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Messaggio del Santo Padre per la 57ª Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni, 24.03.2020


Messaggio del Santo Padre

Traduzione in lingua francese

Traduzione in lingua inglese

Traduzione in lingua tedesca

Traduzione in lingua spagnola

Traduzione in lingua portoghese

Traduzione in lingua polacca

Traduzione in lingua araba

Il 3 maggio 2020, IV Domenica di Pasqua, si celebra la 57a Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni sul tema: Le parole della vocazione.

Pubblichiamo di seguito il Messaggio che il Santo Padre Francesco ha inviato per l’occasione ai Vescovi, ai sacerdoti, ai consacrati ed ai fedeli di tutto il mondo:

Messaggio del Santo Padre

Le parole della vocazione

Cari fratelli e sorelle!

Il 4 agosto dello scorso anno, nel 160° anniversario della morte del santo Curato d’Ars, ho voluto offrire una Lettera ai sacerdoti, che ogni giorno spendono la vita per la chiamata che il Signore ha rivolto loro, al servizio del Popolo di Dio.

In quell’occasione, ho scelto quattro parole-chiave – dolore, gratitudine, coraggio e lode – per ringraziare i sacerdoti e sostenere il loro ministero. Ritengo che oggi, in questa 57ª Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni, quelle parole si possano riprendere e rivolgere a tutto il Popolo di Dio, sullo sfondo di un brano evangelico che ci racconta la singolare esperienza capitata a Gesù e Pietro durante una notte di tempesta sul lago di Tiberiade (cfr Mt 14,22-33).

Dopo la moltiplicazione dei pani, che aveva entusiasmato la folla, Gesù ordina ai suoi di salire sulla barca e di precederlo all’altra riva, mentre Egli avrebbe congedato la gente. L’immagine di questa traversata sul lago evoca in qualche modo il viaggio della nostra esistenza. La barca della nostra vita, infatti, avanza lentamente, sempre inquieta perché alla ricerca di un approdo felice, pronta ad affrontare i rischi e le opportunità del mare, ma anche desiderosa di ricevere dal timoniere una virata che conduca finalmente verso la giusta rotta. Talvolta, però, le può capitare di smarrirsi, di lasciarsi abbagliare dalle illusioni invece che seguire il faro luminoso che la conduce al porto sicuro, o di essere sfidata dai venti contrari delle difficoltà, dei dubbi e delle paure.

Succede così anche nel cuore dei discepoli, i quali, chiamati a seguire il Maestro di Nazaret, devono decidersi a passare all’altra riva, scegliendo con coraggio di abbandonare le proprie sicurezze e di mettersi alla sequela del Signore. Questa avventura non è pacifica: arriva la notte, soffia il vento contrario, la barca è sballottata dalle onde, e la paura di non farcela e di non essere all’altezza della chiamata rischia di sovrastarli.

Il Vangelo ci dice, però, che nell’avventura di questo non facile viaggio non siamo soli. Il Signore, quasi forzando l’aurora nel cuore della notte, cammina sulle acque agitate e raggiunge i discepoli, invita Pietro ad andargli incontro sulle onde, lo salva quando lo vede affondare, e infine sale sulla barca e fa cessare il vento.

La prima parola della vocazione, allora, è gratitudine. Navigare verso la rotta giusta non è un compito affidato solo ai nostri sforzi, né dipende solo dai percorsi che scegliamo di fare. La realizzazione di noi stessi e dei nostri progetti di vita non è il risultato matematico di ciò che decidiamo dentro un “io” isolato; al contrario, è prima di tutto la risposta a una chiamata che ci viene dall’Alto. È il Signore che ci indica la riva verso cui andare e che, prima ancora, ci dona il coraggio di salire sulla barca; è Lui che, mentre ci chiama, si fa anche nostro timoniere per accompagnarci, mostrarci la direzione, impedire che ci incagliamo negli scogli dell’indecisione e renderci capaci perfino di camminare sulle acque agitate.

Ogni vocazione nasce da quello sguardo amorevole con cui il Signore ci è venuto incontro, magari proprio mentre la nostra barca era in preda alla tempesta. «Più che una nostra scelta, è la risposta alla chiamata gratuita del Signore» (Lettera ai sacerdoti, 4 agosto 2019); perciò, riusciremo a scoprirla e abbracciarla quando il nostro cuore si aprirà alla gratitudine e saprà cogliere il passaggio di Dio nella nostra vita.

Quando i discepoli vedono Gesù avvicinarsi camminando sulle acque, inizialmente pensano che si tratti di un fantasma e hanno paura. Ma subito Gesù li rassicura con una parola che deve sempre accompagnare la nostra vita e il nostro cammino vocazionale: «Coraggio, sono io, non abbiate paura!» (v. 27). Proprio questa è la seconda parola che vorrei consegnarvi: coraggio.

Ciò che spesso ci impedisce di camminare, di crescere, di scegliere la strada che il Signore traccia per noi sono i fantasmi che si agitano nel nostro cuore. Quando siamo chiamati a lasciare la nostra riva sicura e abbracciare uno stato di vita – come il matrimonio, il sacerdozio ordinato, la vita consacrata –, la prima reazione è spesso rappresentata dal “fantasma dell’incredulità”: non è possibile che questa vocazione sia per me; si tratta davvero della strada giusta? Il Signore chiede questo proprio a me?

E, via via, crescono in noi tutte quelle considerazioni, quelle giustificazioni e quei calcoli che ci fanno perdere lo slancio, ci confondono e ci lasciano paralizzati sulla riva di partenza: crediamo di aver preso un abbaglio, di non essere all’altezza, di aver semplicemente visto un fantasma da scacciare.

Il Signore sa che una scelta fondamentale di vita – come quella di sposarsi o consacrarsi in modo speciale al suo servizio – richiede coraggio. Egli conosce le domande, i dubbi e le difficoltà che agitano la barca del nostro cuore, e perciò ci rassicura: “Non avere paura, io sono con te!”. La fede nella sua presenza che ci viene incontro e ci accompagna, anche quando il mare è in tempesta, ci libera da quell’accidia che ho già avuto modo di definire «tristezza dolciastra» (Lettera ai sacerdoti, 4 agosto 2019), cioè quello scoraggiamento interiore che ci blocca e non ci permette di gustare la bellezza della vocazione.

Nella Lettera ai sacerdoti ho parlato anche del dolore, ma qui vorrei tradurre diversamente questa parola e riferirmi alla fatica. Ogni vocazione comporta un impegno. Il Signore ci chiama perché vuole renderci come Pietro, capaci di “camminare sulle acque”, cioè di prendere in mano la nostra vita per metterla al servizio del Vangelo, nei modi concreti e quotidiani che Egli ci indica, e specialmente nelle diverse forme di vocazione laicale, presbiterale e di vita consacrata. Ma noi assomigliamo all’Apostolo: abbiamo desiderio e slancio, però, nello stesso tempo, siamo segnati da debolezze e timori.

Se ci lasciamo travolgere dal pensiero delle responsabilità che ci attendono – nella vita matrimoniale o nel ministero sacerdotale – o delle avversità che si presenteranno, allora distoglieremo presto lo sguardo da Gesù e, come Pietro, rischieremo di affondare. Al contrario, pur nelle nostre fragilità e povertà, la fede ci permette di camminare incontro al Signore Risorto e di vincere anche le tempeste. Lui infatti ci tende la mano quando per stanchezza o per paura rischiamo di affondare, e ci dona lo slancio necessario per vivere la nostra vocazione con gioia ed entusiasmo.

Infine, quando Gesù sale sulla barca, il vento cessa e le onde si placano. È una bella immagine di ciò che il Signore opera nella nostra vita e nei tumulti della storia,specialmente quando siamo nella tempesta: Egli comanda ai venti contrari di tacere, e le forze del male, della paura, della rassegnazione non hanno più potere su di noi.

Nella specifica vocazione che siamo chiamati a vivere, questi venti possono sfiancarci. Penso a coloro che assumono importanti compiti nella società civile, agli sposi che non a caso mi piace definire “i coraggiosi”, e specialmente a coloro che abbracciano la vita consacrata e il sacerdozio. Conosco la vostra fatica, le solitudini che a volte appesantiscono il cuore, il rischio dell’abitudine che pian piano spegne il fuoco ardente della chiamata, il fardello dell’incertezza e della precarietà dei nostri tempi, la paura del futuro. Coraggio, non abbiate paura! Gesù è accanto a noi e, se lo riconosciamo come unico Signore della nostra vita, Egli ci tende la mano e ci afferra per salvarci.

E allora, pur in mezzo alle onde, la nostra vita si apre alla lode. È questa l’ultima parola della vocazione, e vuole essere anche l’invito a coltivare l’atteggiamento interiore di Maria Santissima: grata per lo sguardo di Dio che si è posato su di lei, consegnando nella fede le paure e i turbamenti, abbracciando con coraggio la chiamata, Ella ha fatto della sua vita un eterno canto di lode al Signore.

Carissimi, specialmente in questa Giornata, ma anche nell’ordinaria azione pastorale delle nostre comunità, desidero che la Chiesa percorra questo cammino al servizio delle vocazioni, aprendo brecce nel cuore di ogni fedele, perché ciascuno possa scoprire con gratitudine la chiamata che Dio gli rivolge, trovare il coraggio di dire “sì”, vincere la fatica nella fede in Cristo e, infine, offrire la propria vita come cantico di lode per Dio, per i fratelli e per il mondo intero. La Vergine Maria ci accompagni e interceda per noi.

Roma, San Giovanni in Laterano, 8 marzo 2020, II Domenica di Quaresima

FRANCESCO

[00388-IT.01] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua francese

Les paroles de la vocation

Chers frères et sœurs!

Le 4 août de l’année dernière, lors du 160° anniversaire de la mort du saint Curé d’Ars, j’ai voulu offrir une lettre aux prêtres qui, chaque jour consacrent leur vie à l’appel que le Seigneur leur a adressé, au service du peuple de Dieu.

A cette occasion, j’avais choisi quatre paroles-clés – souffrance – gratitude – courage et louange – pour remercier les prêtres et soutenir leur ministère. J’estime qu’aujourd’hui, en cette 57ème Journée Mondiale de Prière pour les Vocations, ces paroles peuvent être reprises et adressées à tout le Peuple de Dieu, sur le fond d’un passage évangélique qui nous raconte la singulière expérience survenue à Jésus et Pierre, durant une nuit de tempête sur le lac de Tibériade (cf. Mt 14, 22-33).

Après la multiplication des pains, qui avait enthousiasmé la foule, Jésus ordonna à ses disciples de monter dans la barque et de le précéder sur l’autre rive, pendant qu’il renverrait les foules. L’image de cette traversée sur le lac évoque, en quelque manière, le voyage de notre existence. La barque de notre vie, en effet, avance lentement, toujours agitée parce qu’à la recherche d’un lieu d’accostage favorable, prête à affronter les risques et les opportunités de la mer, mais aussi désireuse de recevoir du timonier un virage qui conduise finalement vers la bonne direction. Mais parfois, il peut arriver qu’elle s’égare, qu’elle se laisse aveugler par les illusions, au lieu de suivre le phare lumineux qui la conduit à bon port, ou d’être défiée par les vents contraires des difficultés, des doutes et des peurs.

Il en est de même aussi dans le cœur des disciples, lesquels, appelés à suivre le Maître de Nazareth, doivent se décider à passer sur l’autre rive, en choisissant avec courage d’abandonner leurs sécurités et de se mettre à la suite du Seigneur. Cette aventure n’est pas tranquille: la nuit arrive, le vent contraire souffle, la barque est ballotée par les vagues, et la peur de ne pas y arriver et de pas être à la hauteur de l’appel risque de les dominer.

L’Evangile nous dit, cependant, que dans l’aventure de ce voyage difficile, nous ne sommes pas seuls. Le Seigneur, presqu’en forçant l’aurore au cœur de la nuit, marche sur les eaux agitées et rejoint les disciples, il invite Pierre à venir à sa rencontre sur les vagues, il le sauve quand il le voit s’enfoncer, et enfin, il monte dans la barque et fait cesser le vent.

La première parole de la vocation, alors, est gratitude. Naviguer vers le juste cap n’est pas une tâche qui relève de nos seuls efforts, et ne dépend pas seulement des parcours que nous choisissons de faire. La réalisation de nous-mêmes et de nos projets de vie n’est pas le résultat mathématique de ce que nous décidons dans un "moi" isolé; au contraire, elle est avant tout la réponse à un appel qui vient d’En-Haut. C’est le Seigneur qui nous indique le rivage vers lequel aller et qui, bien avant, nous donne le courage de monter sur la barque; alors qu’il nous appelle, c’est lui qui se fait aussi notre timonier pour nous accompagner, nous montrer la direction, nous empêcher de nous échouer dans les écueils de l’indécision et nous rendre même capables de marcher sur les eaux agitées.

Toute vocation naît de ce regard aimant par lequel le Seigneur est venu à notre rencontre, peut-être alors même que notre barque était en proie à la tempête. «Plus qu’un choix de notre part, la vocation est la réponse à un appel gratuit du Seigneur» (Lettre aux prêtres, 4 août 2019); c’est pourquoi, nous réussirons à la découvrir et à l’embrasser, quand notre cœur s’ouvrira à la gratitude et saura saisir le passage de Dieu dans notre vie.

Quand les disciples voient Jésus s’approcher en marchant sur les eaux, ils pensent d’abord qu’il s’agit d’un fantôme et ils ont peur. Mais aussitôt Jésus les rassure par une parole qui doit toujours accompagner notre vie et notre chemin vocationnel: «Courage, c’est moi, n’ayez pas peur!» (v.27). Justement c’est la seconde parole que je voudrais vous confier: courage.

Ce qui souvent nous empêche de marcher, de grandir, de choisir la voie que le Seigneur trace pour nous, ce sont les fantômes qui s’agitent dans notre cœur. Quand nous sommes appelés à laisser notre rivage de sûreté et à embrasser un état de vie – comme le mariage, le sacerdoce ordonné, la vie consacrée –, la première réaction est souvent représentée par le "fantôme de l’incrédulité": ce n’est pas possible que cette vocation soit pour moi; s’agit-il vraiment du juste chemin? le Seigneur me demande-t-il vraiment cela?

Et, peu à peu, croissent en nous toutes ces considérations, ces justifications et ces calculs qui nous font perdre l’élan, qui nous troublent et nous paralysent sur le rivage de départ: nous pensons avoir fait fausse route, ne pas être à la hauteur, avoir simplement vu un fantôme à chasser.

Le Seigneur sait qu’un choix fondamental de vie – comme celui de se marier ou de se consacrer de façon spéciale à son service – nécessite du courage. Il connaît les interrogations, les doutes et les difficultés qui agitent la barque de notre cœur, et c’est pourquoi il nous rassure: "N’aie pas peur, je suis avec toi!". La foi en sa présence, qui vient à notre rencontre et nous accompagne, même quand la mer est en tempête, nous libère de cette acédie que j’ai déjà eu l’occasion de définir comme une «douce tristesse» (Lettre aux prêtres, 4 août 2019), c’est-à-dire ce découragement intérieur qui nous bloque et ne nous permet pas de goûter la beauté de la vocation.

Dans la Lettre aux prêtres, j’ai parlé aussi de la souffrance, mais ici je voudrais traduire autrement ce mot et me référer à la fatigue. Toute vocation comporte un engagement. Le Seigneur nous appelle parce qu’il veut nous rendre comme Pierre, capables de "marcher sur les eaux", c’est-à-dire de prendre en main notre vie pour la mettre au service de l’Evangile, dans les modes concrets et quotidiens qu’il nous indique, et spécialement dans les diverses formes de vocation laïque, presbytérale et de vie consacrée. Mais nous ressemblons à l’Apôtre: nous avons le désir et l’élan, cependant, au même moment, nous sommes marqués par des faiblesses et des craintes.

Si nous nous laissons emporter par la pensée des responsabilités qui nous attendent – dans la vie matrimoniale ou dans le ministère sacerdotal – ou par les épreuves qui se présenteront, alors nous détournerons vite notre regard de Jésus et, comme Pierre, nous risquerons de couler. Au contraire, même dans nos fragilités et nos pauvretés, la foi nous permet de marcher à la rencontre du Seigneur Ressuscité et de vaincre même les tempêtes. En effet, il nous tend la main quand, par fatigue ou par peur, nous risquons de couler, et il nous donne l’élan nécessaire pour vivre notre vocation avec joie et enthousiasme.

Enfin, quand Jésus monte sur la barque, le vent cesse et les vagues s’apaisent. C’est une belle image de ce que le Seigneur opère dans notre vie et dans les tumultes de l’histoire, spécialement quand nous sommes dans la tempête: Il commande aux vents contraires de se calmer, et les forces du mal, de la peur, de la résignation n’ont plus pouvoir sur nous.

Dans la vocation spécifique que nous sommes appelés à vivre, ces vents peuvent nous épuiser. Je pense à ceux qui assument d’importantes charges dans la société civile, aux époux que, non pas par hasard, j’aime définir comme "les courageux", et spécialement à ceux qui embrassent la vie consacrée et le sacerdoce. Je connais votre fatigue, les solitudes qui parfois alourdissent le cœur, le risque de l’habitude qui petit à petit éteint le feu ardent de l’appel, le fardeau de l’incertitude et de la précarité de notre temps, la peur de l’avenir. Courage, n’ayez pas peur! Jésus est à côté de nous et, si nous le reconnaissons comme l’unique Seigneur de notre vie, il nous tend la main et nous saisit pour nous sauver.

Et alors, même au milieu des vagues, notre vie s’ouvre à la louange. C’est elle la dernière parole de la vocation, et elle veut être aussi l’invitation à cultiver le comportement intérieur de la sainte Vierge Marie: reconnaissante pour le regard de Dieu qui s’est posé sur elle, confiant dans la foi ses peurs et ses troubles, embrassant avec courage l’appel, elle a fait de sa vie un éternel chant de louange au Seigneur.

Chers frères et sœurs, spécialement en cette Journée, mais aussi dans l’action pastorale ordinaire de nos communautés, je désire que l’Eglise parcoure ce chemin au service des vocations, en ouvrant des brèches dans le cœur de chaque fidèle, pour que chacun puisse découvrir avec gratitude l’appel que Dieu lui adresse, trouver le courage de dire "oui", vaincre la fatigue dans la foi au Christ et, enfin, offrir sa vie comme un cantique de louange pour Dieu, pour les frères et pour le monde entier. Que la Vierge Marie nous accompagne et intercède pour nous.

Rome, Saint Jean de Latran, 8 mars 2020, deuxième dimanche de Carême.

FRANÇOIS

[00388-FR.01] [Texte original: Italien]

Traduzione in lingua inglese

Words of Vocation

Dear Brothers and Sisters,

On 4 August last year, the 160th anniversary of the death of the Curé of Ars, I chose to write a letter to all those priests who daily devote their lives to the service of God’s people in response to the Lord’s call.

On that occasion, I chose four key words – pain, gratitude, encouragement and praise – as a way of thanking priests and supporting their ministry. I believe that today, on this 57th World Day of Prayer for Vocations, those words can be addressed to the whole people of God, against the backdrop of the Gospel passage that recounts for us the remarkable experience of Jesus and Peter during a stormy night on the Sea of Galilee (cf. Mt 14:22-33).

After the multiplication of the loaves, which had astonished the crowds, Jesus told his disciples to get into the boat and precede him to the other shore, while he took leave of the people. The image of the disciples crossing the lake can evoke our own life’s journey. Indeed, the boat of our lives slowly advances, restlessly looking for a safe haven and prepared to face the perils and promises of the sea, yet at the same time trusting that the helmsman will ultimately keep us on the right course. At times, though, the boat can drift off course, misled by mirages, not the lighthouse that leads it home, and be tossed by the tempests of difficulty, doubt and fear.

Something similar takes place in the hearts of those who, called to follow the Teacher of Nazareth, have to undertake a crossing and abandon their own security to become the Lord’s disciples. The risk involved is real: the night falls, the headwinds howl, the boat is tossed by the waves, and fear of failure, of not being up to the call, can threaten to overwhelm them.

The Gospel, however, tells us that in the midst of this challenging journey we are not alone. Like the first ray of dawn in the heart of the night, the Lord comes walking on the troubled waters to join the disciples; he invites Peter to come to him on the waves, saves him when he sees him sinking and, once in the boat, makes the winds die down.

The first word of vocation, then, is gratitude. Taking the right course is not something we do on our own, nor does it depend solely on the road we choose to travel. How we find fulfilment in life is more than a decision we make as isolated individuals; above all else, it is a response to a call from on high. The Lord points out our destination on the opposite shore and he grants us the courage to board the boat. In calling us, he becomes our helmsman; he accompanies and guides us; he prevents us from running aground on the shoals of indecision and even enables us to walk on surging waters.

Every vocation is born of that gaze of love with which the Lord came to meet us, perhaps even at a time when our boat was being battered by the storm. “Vocation, more than our own choice, is a response to the Lord’s unmerited call” (Letter to Priests, 4 August 2019). We will succeed in discovering and embracing our vocation once we open our hearts in gratitude and perceive the passage of God in our lives.

When the disciples see Jesus walking towards them on the sea, they first think that he is a ghost and are filled with fear. Jesus immediately reassures them with words that should constantly accompany our lives and our vocational journey: “Take heart, it is I; have no fear” (Mt 14:27). This, then, is the second word I wish to offer you: encouragement.

What frequently hinders our journey, our growth, our choosing the road the Lord is marking out for us, are certain “ghosts” that trouble our hearts. When we are called to leave safe shores and embrace a state of life – like marriage, ministerial priesthood, consecrated life – our first reaction is often from the “ghost of disbelief”. Surely, this vocation is not for me! Can this really be the right path? Is the Lord really asking me to do this?

Those thoughts can keep growing – justifications and calculations that sap our determination and leave us hesitant and powerless on the shore where we started. We think we might be wrong, not up to the challenge, or simply glimpsing a ghost to be exorcized.

The Lord knows that a fundamental life choice – like marriage or special consecration to his service – calls for courage. He knows the questions, doubts and difficulties that toss the boat of our heart, and so he reassures us: “Take heart, it is I; have no fear!” We know in faith that he is present and comes to meet us, that he is ever at our side even amid stormy seas. This knowledge sets us free from that lethargy which I have called “sweet sorrow” (Letter to Priests, 4 August 2019), the interior discouragement that hold us back from experiencing the beauty of our vocation.

In the Letter to Priests, I also spoke about pain, but here I would like to translate the word differently, as fatigue. Every vocation brings with it a responsibility. The Lord calls us because he wants to enable us, like Peter, to “walk on water”, in other words, to take charge of our lives and place them at the service of the Gospel, in the concrete and everyday ways that he shows us, and specifically in the different forms of lay, priestly and consecrated vocation. Yet, like Saint Peter, our desire and enthusiasm coexist with our failings and fears.

If we let ourselves be daunted by the responsibilities that await us – whether in married life or priestly ministry – or by the hardships in store for us, then we will soon turn away from the gaze of Jesus and, like Peter, we will begin to sink. On the other hand, despite our frailty and poverty, faith enables us to walk towards the Risen Lord and to weather every storm. Whenever fatigue or fear make us start to sink, Jesus holds out his hand to us. He gives us the enthusiasm we need to live our vocation with joy and fervour.

When Jesus at last boards the boat, the winds die down and the waves are calmed. Here we have a beautiful image of what the Lord can do at times of turbulence and tempest in our lives. He stills those winds, so that the forces of evil, fear and resignation no longer have power over us.

As we live out our specific vocation, those headwinds can wear us down. Here I think of all those who have important responsibilities in civil society, spouses whom I like to refer to – not without reason – as “courageous”, and in a particular way those who have embraced the consecrated life or the priesthood. I am conscious of your hard work, the sense of isolation that can at times weigh upon your hearts, the risk of falling into a rut that can gradually make the ardent flame of our vocation die down, the burden of the uncertainty and insecurity of the times, and worry about the future. Take heart, do not be afraid! Jesus is at our side, and if we acknowledge him as the one Lord of our lives, he will stretch out his hand, take hold of us and save us.

Even amid the storm-tossed waters, then, our lives become open to praise. This is the last of our vocation words, and it is an invitation to cultivate the interior disposition of the Blessed Virgin Mary. Grateful that Lord gazed upon her, faithful amid fear and turmoil, she courageously embraced her vocation and made of her life an eternal song of praise to the Lord.

Dear friends, on this day in particular, but also in the ordinary pastoral life of our communities, I ask the Church to continue to promote vocations. May she touch the hearts of the faithful and enable each of them to discover with gratitude God’s call in their lives, to find courage to say “yes” to God, to overcome all weariness through faith in Christ, and to make of their lives a song of praise for God, for their brothers and sisters, and for the whole world. May the Virgin Mary accompany us and intercede for us.

Rome, Saint John Lateran, 8 March 2020, the Second Sunday of Lent

FRANCIS

[00388-EN.01] [Original text: Italian]

Traduzione in lingua tedesca

Die Worte der Berufung

Liebe Brüder und Schwestern!

Am 4. August letzten Jahres, dem 160. Todestag des heiligen Pfarrers von Ars, habe ich an die Priester, die jeden Tag ihr Leben für den Ruf des Herrn zum Dienst am Volk Gottes hingeben, einen Brief geschrieben.

Bei dieser Gelegenheit habe ich vier Schlüsselworte – Schmerz, Dankbarkeit, Lebensmut und Lobpreis – gewählt, um den Priestern zu danken und sie in ihrem Dienst zu stützen. Ich denke, an diesem 57. Weltgebetstag um geistliche Berufungen kann man diese Worte vor dem Hintergrund der Erzählung des Evangeliums von der besonderen Erfahrung, die Jesus und Petrus während eines nächtlichen Sturms auf dem See von Tiberias machen (vgl. Mt 14,22-33), aufgreifen und an das ganze Volk Gottes richten.

Nach der Brotvermehrung, die unter der Menge begeistertes Staunen hervorgerufen hatte, befahl Jesus den Seinen, ins Boot zu steigen und an das andere Ufer vorauszufahren. Inzwischen wollte er die Leute nach Hause schicken. Das Bild dieser Fahrt über den See erinnert in gewisser Weise an die Reise unseres Lebens: Das Boot unseres Lebens fährt langsam weiter, immer in Bewegung auf der Suche nach einer glücklichen Landung; es ist bereit, den Gefahren zu trotzen und die Chancen des Meeres zu ergreifen, möchte aber ebenso, dass der Steuermann es mit einer Wende schließlich auf den richtigen Kurs bringt. Zuweilen kann es hingegen vorkommen, dass das Boot sich verirrt, dass es sich von falschen Hoffnungen blenden lässt, anstatt dem hellen Leuchtturm zu folgen, der es zum sicheren Hafen führt, oder dass es den Gegenwinden der Schwierigkeiten, der Zweifel und der Ängste ausgesetzt ist.

So ist es auch im Herzen der Jünger der Fall. Nachdem sie gerufen wurden, dem Meister aus Nazaret zu folgen, müssen sie sich entscheiden, ans andere Ufer hinüberzufahren; sie müssen sich mutig dazu entschließen, die eigenen Sicherheiten aufzugeben und sich in die Nachfolge des Herrn zu begeben. Es ist dies kein friedliches Abenteuer: Die Nacht bricht herein, der Gegenwind bläst, das Boot wird von den Wellen hin- und hergeworfen, und die Angst, es nicht zu schaffen und dem Ruf nicht gewachsen zu sein, droht sie zu überwältigen.

Doch das Evangelium sagt uns, dass wir bei dem Abenteuer dieser nicht einfachen Fahrt nicht allein sind. Als würde er mitten in der Nacht gewissermaßen das Morgenrot heraufbeschwören, geht der Herr über das aufgewühlte Wasser zu den Jüngern. Er lädt Petrus ein, über die Wellen zu ihm zu kommen, und rettet ihn, als er ihn untergehen sieht. Schließlich steigt er ins Boot und lässt den Wind verstummen.

Das erste Wort der Berufung ist also Dankbarkeit. Den richtigen Kurs zu halten ist nicht eine Aufgabe, die nur unseren Kräften anvertraut ist, noch hängt es allein von den von uns gewählten Wegen ab. Die Verwirklichung unserer selbst und unserer Lebenspläne ist nicht das mathematische Ergebnis dessen, was wir in einem abgeschotteten „Ich“ beschlossen haben; vielmehr handelt es sich zuallererst um die Antwort auf einen Ruf, der von oben an uns ergeht. Der Herr nämlich zeigt uns das Ufer, an das wir fahren sollen, und schenkt uns zuvor den Mut, ins Boot zu steigen; während er uns ruft, macht er sich schon zu unserem Steuermann, um uns zu begleiten, um uns die Richtung zu weisen, um zu verhindern, dass wir an den Klippen der Unentschlossenheit stranden, und um uns zu befähigen, sogar über das aufgewühlte Wasser zu gehen.

Jede Berufung geht aus dem liebevollen Blick hervor, mit dem der Herr uns begegnet ist, vielleicht eben als unser Boot vom Sturm gebeutelt wurde. Sie ist »nicht so sehr unsere Entscheidung als vielmehr eine Antwort auf einen ungeschuldeten Ruf des Herrn« (Brief an die Priester, 4. August 2019). Daher werden wir seinen Ruf entdecken und annehmen können, wenn sich unser Herz der Dankbarkeit öffnet und den Augenblick zu ergreifen vermag, da Gott in unserem Leben vorbeigeht.

Als die Jünger Jesus über das Wasser näherkommen sehen, meinen sie zunächst, es handle sich um ein Gespenst, und haben Angst. Doch Jesus beruhigt sie sofort mit einem Wort, das unser Leben und unseren Berufungsweg immer begleiten muss: »Habt Vertrauen, ich bin es; fürchtet euch nicht!« (V. 27). Das eben ist das zweite Wort, das ich euch mitgeben will: Mut.

Was uns oft daran hindert, zu gehen, zu wachsen und den Weg einzuschlagen, den der Herr für uns vorgezeichnet hat, sind die Gespenster, die in unserem Herzen herumgeistern. Wenn wir gerufen sind, unser sicheres Ufer aufzugeben und in unserem Leben einen Stand – wie die Ehe, das Weihepriestertum, das geweihte Leben – zu ergreifen, dann zeigt sich die erste Reaktion häufig in der Gestalt des „Gespenstes der Ungläubigkeit“: Dies kann unmöglich meine Berufung sein; handelt es sich wirklich um den richtigen Weg? Verlangt der Herr das im Ernst von mir?

Und nach und nach nehmen in uns die Überlegungen, Rechtfertigungen und Berechnungen zu, die uns den Schwung rauben, uns verwirren und uns wie gelähmt am Abfahrtsufer zurücklassen: Wir meinen, einen Bock geschossen zu haben, nicht auf der Höhe zu sein oder einfach ein Gespenst gesehen zu haben, das man verscheuchen muss.

Der Herr weiß, dass eine grundsätzliche Lebensentscheidung – wie die Entscheidung, zu heiraten oder sich auf besondere Weise dem Dienst des Herrn zu weihen – Mut verlangt. Er kennt die Fragen, die Zweifel und die Schwierigkeiten, die das Boot unseres Herzens schütteln. Daher beruhigt er uns: „Hab keine Angst, ich bin bei dir!“ Der Glaube an seine Gegenwart, dass er uns entgegenkommt und uns begleitet, selbst wenn das Meer vom Sturm gepeitscht wird, befreit uns von der Trägheit (acedia), die ich einmal als »süßliche Traurigkeit« (Brief an die Priester, 4. August 2019) bezeichnet habe, also von der inneren Mutlosigkeit, die uns lähmt und die Schönheit der Berufung nicht auskosten lässt.

Im Brief an die Priester habe ich auch vom Schmerz gesprochen. Hier aber möchte ich dieses Wort anders wiedergeben und mich auf die Mühe beziehen. Jede Berufung verlangt Einsatz. Der Herr ruft uns, weil er uns wie Petrus dazu befähigen will, „über das Wasser zu gehen“, das heißt unser Leben in die Hand zu nehmen, um es in den Dienst für das Evangelium zu stellen, und zwar Tag für Tag auf die konkreten Weisen, die er uns zeigt, insbesondere in den verschiedenen Formen der Berufung als gläubige Laien, Priester oder Personen des geweihten Lebens. Wir sind jedoch dem Apostel ähnlich: Wir haben den Wunsch und den Schwung, sind aber zugleich von Schwächen und Ängsten geprägt.

Wenn wir uns von dem Gedanken, welche Verantwortung uns – im Eheleben oder im priesterlichen Dienst – erwartet oder welche Widrigkeiten auftreten werden, überwältigen lassen, dann werden wir schnell den Blick von Jesus abwenden und wie Petrus unterzugehen drohen. Doch selbst in unserer Schwachheit und Armut erlaubt uns der Glaube, dem auferstandenen Herrn entgegenzugehen und sogar Stürme zu überwinden. Er reicht uns nämlich die Hand, wenn wir aus Müdigkeit oder Angst unterzugehen drohen, und verleiht uns den nötigen Schwung, um unsere Berufung voll Freude und Begeisterung zu leben.

Als Jesus ins Boot steigt, legt sich schließlich der Wind und lassen die Wellen nach. Dies ist ein schönes Bild dafür, was der Herr in unserem Leben und in den Tumulten der Geschichte wirkt, vor allem wenn wir uns im Sturm befinden: Der Herr befiehlt den widrigen Winden zu schweigen, und die Kräfte des Bösen, der Angst, der Resignation haben keine Macht mehr über uns.

In der besonderen Berufung, die wir leben sollen, können uns diese Winde völlig erschöpfen. Ich denke an alle, die wichtige Aufgaben in der Zivilgesellschaft übernehmen, ich denke an die Eheleute, die ich nicht umsonst gerne als „mutig“ bezeichne, und insbesondere an alle, die das geweihte Leben und das Priestertum ergriffen haben. Ich kenne eure Mühe, eure Einsamkeit, die manchmal das Herz schwermacht, die Gefahr der Gewohnheit, die allmählich das brennende Feuer des Rufes auslöscht, die Last der Unsicherheit und der prekären Situation unserer Zeit, die Sorge um die Zukunft. Nur Mut, habt keine Angst! Jesus ist an unserer Seite. Wenn wir ihn als den einzigen Herrn unseres Lebens erkennen, streckt er uns die Hand entgegen und packt uns, um uns zu retten.

Und dann öffnet sich unser Leben selbst inmitten der Wellen dem Lobpreis. Das ist das letzte Wort der Berufung und möchte zudem eine Einladung sein, die innere Haltung der seligen Jungfrau Maria einzunehmen: Dankbar für den Blick, mit dem Gott auf sie geschaut hat, hat sie ihm im Glauben alle Angst und Unruhe übergeben und mutig den Ruf angenommen – so machte sie ihr Leben zu einem ewigen Lobgesang des Herrn.

Liebe Brüder und Schwestern, ich möchte, dass die Kirche besonders am Weltgebetstag, aber ebenso in der gewöhnlichen pastoralen Tätigkeit unserer Gemeinden, diesen Weg im Dienst an den Berufungen geht und dafür die Herzen aller Gläubigen gewinnt. Denn so kann jeder dankbar den Ruf entdecken, den der Herr an ihn richtet, als auch den Mut finden, „Ja“ zu sagen, und im Glauben an Christus die Mühe überwinden und schließlich das eigene Leben als Lobgesang für Gott, für die Brüder und Schwestern sowie für die ganze Welt darbringen. Die Jungfrau Maria begleite uns dabei und sei uns Fürsprecherin.

Gegeben zu Rom, bei St. Johannes im Lateran, am 8. März 2020, zweiter Fastensonntag.

FRANZISKUS

[00388-DE.01] [Originalsprache: Italienisch]

Traduzione in lingua spagnola

Las palabras de la vocación

Queridos hermanos y hermanas:

El 4 de agosto del año pasado, en el 160 aniversario de la muerte del santo Cura de Ars, quise ofrecer una Carta a los sacerdotes, que por la llamada que el Señor les hizo, gastan la vida cada día al servicio del Pueblo de Dios.

En esa ocasión, elegí cuatro palabras clave —dolor, gratitud, ánimo y alabanza— para agradecer a los sacerdotes y apoyar su ministerio. Considero que hoy, en esta 57 Jornada Mundial de Oración por las Vocaciones, esas palabras se pueden retomar y dirigir a todo el Pueblo de Dios, a la luz de un pasaje evangélico que nos cuenta la singular experiencia de Jesús y Pedro durante una noche de tempestad, en el lago de Tiberíades (cf. Mt 14,22-33).

Después de la multiplicación de los panes, que había entusiasmado a la multitud, Jesús ordenó a los suyos que subieran a la barca y lo precedieran en la otra orilla, mientras Él despedía a la gente. La imagen de esta travesía en el lago evoca de algún modo el viaje de nuestra existencia. En efecto, la barca de nuestra vida avanza lentamente, siempre inquieta porque busca un feliz desembarco, dispuesta para afrontar los riesgos y las oportunidades del mar, aunque también anhela recibir del timonel un cambio de dirección que la ponga finalmente en el rumbo adecuado. Pero, a veces puede perderse, puede dejarse encandilar por ilusiones en lugar de seguir el faro luminoso que la conduce al puerto seguro, o ser desafiada por los vientos contrarios de las dificultades, de las dudas y de los temores.

También sucede así en el corazón de los discípulos. Ellos, que están llamados a seguir al Maestro de Nazaret, deben decidirse a pasar a la otra orilla, apostando valientemente por abandonar sus propias seguridades e ir tras las huellas del Señor. Esta aventura no es pacífica: llega la noche, sopla el viento contrario, la barca es sacudida por las olas, y el miedo de no lograrlo y de no estar a la altura de la llamada amenaza con hundirlos.

Pero el Evangelio nos dice que, en la aventura de este viaje difícil, no estamos solos. El Señor, casi anticipando la aurora en medio de la noche, caminó sobre las aguas agitadas y alcanzó a los discípulos, invitó a Pedro a ir a su encuentro sobre las aguas, lo salvó cuando lo vio hundirse y, finalmente, subió a la barca e hizo calmar el viento.

Así pues, la primera palabra de la vocación es gratitud. Navegar en la dirección correcta no es una tarea confiada sólo a nuestros propios esfuerzos, ni depende solamente de las rutas que nosotros escojamos. Nuestra realización personal y nuestros proyectos de vida no son el resultado matemático de lo que decidimos dentro de un “yo” aislado; al contrario, son ante todo la respuesta a una llamada que viene de lo alto. Es el Señor quien nos concede en primer lugar la valentía para subirnos a la barca y nos indica la orilla hacia la que debemos dirigirnos. Es Él quien, cuando nos llama, se convierte también en nuestro timonel para acompañarnos, mostrarnos la dirección, impedir que nos quedemos varados en los escollos de la indecisión y hacernos capaces de caminar incluso sobre las aguas agitadas.

Toda vocación nace de la mirada amorosa con la que el Señor vino a nuestro encuentro, quizá justo cuando nuestra barca estaba siendo sacudida en medio de la tempestad. «La vocación, más que una elección nuestra, es respuesta a un llamado gratuito del Señor» (Carta a los sacerdotes, 4 agosto 2019); por eso, llegaremos a descubrirla y a abrazarla cuando nuestro corazón se abra a la gratitud y sepa acoger el paso de Dios en nuestra vida.

Cuando los discípulos vieron que Jesús se acercaba caminando sobre las aguas, pensaron que se trataba de un fantasma y tuvieron miedo. Pero enseguida Jesús los tranquilizó con una palabra que siempre debe acompañar nuestra vida y nuestro camino vocacional: «¡Ánimo, soy yo, no tengáis miedo!» (v. 27). Esta es precisamente la segunda palabra que deseo daros: ánimo.

Lo que a menudo nos impide caminar, crecer, escoger el camino que el Señor nos señala son los fantasmas que se agitan en nuestro corazón. Cuando estamos llamados a dejar nuestra orilla segura y abrazar un estado de vida —como el matrimonio, el orden sacerdotal, la vida consagrada—, la primera reacción la representa frecuentemente el “fantasma de la incredulidad”: No es posible que esta vocación sea para mí; ¿será realmente el camino acertado? ¿El Señor me pide esto justo a mí?

Y, poco a poco, crecen en nosotros todos esos argumentos, justificaciones y cálculos que nos hacen perder el impulso, que nos confunden y nos dejan paralizados en el punto de partida: creemos que nos equivocamos, que no estamos a la altura, que simplemente vimos un fantasma que tenemos que ahuyentar.

El Señor sabe que una opción fundamental de vida —como la de casarse o consagrarse de manera especial a su servicio— requiere valentía. Él conoce las preguntas, las dudas y las dificultades que agitan la barca de nuestro corazón, y por eso nos asegura: “No tengas miedo, ¡yo estoy contigo!”. La fe en su presencia, que nos viene al encuentro y nos acompaña, aun cuando el mar está agitado, nos libera de esa acedia que ya tuve la oportunidad de definir como «tristeza dulzona» (Carta a los sacerdotes, 4 agosto 2019), es decir, ese desaliento interior que nos bloquea y no nos deja gustar la belleza de la vocación.

En la Carta a los sacerdotes hablé también del dolor, pero aquí quisiera traducir de otro modo esta palabra y referirme a la fatiga. Toda vocación implica un compromiso. El Señor nos llama porque quiere que seamos como Pedro, capaces de “caminar sobre las aguas”, es decir, que tomemos las riendas de nuestra vida para ponerla al servicio del Evangelio, en los modos concretos y cotidianos que Él nos muestra, y especialmente en las distintas formas de vocación laical, presbiteral y de vida consagrada. Pero nosotros somos como el Apóstol: tenemos deseo y empuje, aunque, al mismo tiempo, estamos marcados por debilidades y temores.

Si dejamos que nos abrume la idea de la responsabilidad que nos espera —en la vida matrimonial o en el ministerio sacerdotal— o las adversidades que se presentarán, entonces apartaremos la mirada de Jesús rápidamente y, como Pedro, correremos el riesgo de hundirnos. Al contrario, a pesar de nuestras fragilidades y carencias, la fe nos permite caminar al encuentro del Señor resucitado y también vencer las tempestades. En efecto, Él nos tiende la mano cuando el cansancio o el miedo amenazan con hundirnos, y nos da el impulso necesario para vivir nuestra vocación con alegría y entusiasmo.

Finalmente, cuando Jesús subió a la barca, el viento cesó y las olas se calmaron. Es una hermosa imagen de lo que el Señor obra en nuestra vida y en los tumultos de la historia, de manera especial cuando atravesamos la tempestad: Él ordena que los vientos contrarios cesen y que las fuerzas del mal, del miedo y de la resignación no tengan más poder sobre nosotros.

En la vocación específica que estamos llamados a vivir, estos vientos pueden agotarnos. Pienso en los que asumen tareas importantes en la sociedad civil, en los esposos que —no sin razón— me gusta llamar “los valientes”, y especialmente en quienes abrazan la vida consagrada y el sacerdocio. Conozco vuestras fatigas, las soledades que a veces abruman vuestro corazón, el riesgo de la rutina que poco a poco apaga el fuego ardiente de la llamada, el peso de la incertidumbre y de la precariedad de nuestro tiempo, el miedo al futuro. Ánimo, ¡no tengáis miedo! Jesús está a nuestro lado y, si lo reconocemos como el único Señor de nuestra vida, Él nos tiende la mano y nos sujeta para salvarnos.

Y entonces, aun en medio del oleaje, nuestra vida se abre a la alabanza. Esta es la última palabra de la vocación, y quiere ser también una invitación a cultivar la actitud interior de la Bienaventurada Virgen María. Ella, agradecida por la mirada que Dios le dirigió, abandonó con fe sus miedos y su turbación, abrazó con valentía la llamada e hizo de su vida un eterno canto de alabanza al Señor.

Queridos hermanos: Particularmente en esta Jornada, como también en la acción pastoral ordinaria de nuestras comunidades, deseo que la Iglesia recorra este camino al servicio de las vocaciones abriendo brechas en el corazón de los fieles, para que cada uno pueda descubrir con gratitud la llamada de Dios en su vida, encontrar la valentía de decirle “sí”, vencer la fatiga con la fe en Cristo y, finalmente, ofrecer la propia vida como un cántico de alabanza a Dios, a los hermanos y al mundo entero. Que la Virgen María nos acompañe e interceda por nosotros.

Roma, San Juan de Letrán, 8 de marzo de 2020, II Domingo de Cuaresma.

FRANCISCO

[00388-ES.01] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua portoghese

As palavras da vocação

Queridos irmãos e irmãs!

A 4 de agosto do ano passado, no 160º aniversário da morte do Santo Cura d'Ars, quis dedicar uma Carta aos sacerdotes, que todos os dias, obedecendo à chamada que o Senhor lhes dirigiu, gastam a vida ao serviço do Povo de Deus.

Então escolhi quatro palavras-chave – tribulação, gratidão, coragem e louvor – para agradecer aos sacerdotes e apoiar o seu ministério. Acho que, neste 57º Dia Mundial de Oração pelas Vocações, poder-se-iam retomar aquelas palavras e dirigi-las a todo o Povo de Deus, tendo como pano de fundo o texto evangélico que nos conta a experiência singular que sobreveio a Jesus e a Pedro durante uma noite de tempestade no lago de Tiberíades (cf. Mt 14, 22-33).

Depois da multiplicação dos pães, que entusiasmou a multidão, Jesus manda os discípulos subir para o barco e seguir à sua frente para a outra margem, enquanto Ele despedia o povo. A imagem desta travessia do lago sugere de algum modo a viagem da nossa existência. De facto, o barco da nossa vida avança lentamente, sempre preocupado à procura dum local afortunado de atracagem, pronto a desafiar os riscos e as conjunturas do mar, mas desejoso também de receber do timoneiro a orientação que o coloque finalmente na rota certa. Às vezes, porém, é possível perder-se, deixar-se cegar pelas ilusões em vez de seguir o farol luminoso que o conduz ao porto seguro, ou ser desafiado pelos ventos contrários das dificuldades, dúvidas e medos.

Assim acontece também no coração dos discípulos, que, chamados a seguir o Mestre de Nazaré, têm de se decidir a passar à outra margem, optando corajosamente por abandonar as próprias seguranças e seguir os passos do Senhor. Esta aventura não é tranquila: cai a noite, sopra o vento contrário, o barco é sacudido pelas ondas, e há o risco de sobrepor-se o medo de falhar e não estar à altura da vocação.

Mas, na aventura desta travessia não fácil, o Evangelho diz-nos que não estamos sozinhos. Quase forçando a aurora no coração da noite, o Senhor caminha sobre as águas tumultuosas e vai ter com os discípulos, convida Pedro a vir ao encontro d’Ele sobre as ondas e salva-o quando o vê afundar; finalmente, sobe para o barco e faz cessar o vento.

Assim, a primeira palavra da vocação é gratidão. Navegar pela rota certa não é uma tarefa confiada só aos nossos esforços, nem depende apenas dos percursos que escolhemos fazer. A realização de nós mesmos e dos nossos projetos de vida não é o resultado matemático do que decidimos dentro do nosso «eu» isolado; pelo contrário, trata-se, antes de mais nada, da resposta a uma chamada que nos chega do Alto. É o Senhor que nos indica a margem para onde ir e, ainda antes disso, dá-nos a coragem de subir para o barco; e Ele, ao mesmo tempo que nos chama, faz-Se também nosso timoneiro para nos acompanhar, mostrar a direção, impedir de encalhar nas rochas da indecisão e tornar-nos capazes até de caminhar sobre as águas tumultuosas.

Toda a vocação nasce daquele olhar amoroso com que o Senhor veio ao nosso encontro, talvez mesmo quando o nosso barco estava à mercê da tempestade. «Mais do que uma escolha nossa, a vocação é resposta a uma chamada gratuita do Senhor» (Carta aos Presbíteros, 4/VIII/2019); por isso conseguiremos descobri-la e abraçá-la, quando o nosso coração se abrir à gratidão e souber reconhecer a passagem de Deus pela nossa vida.

Quando os discípulos veem aproximar-Se Jesus caminhando sobre as águas, começam por pensar que se trata dum fantasma e assustam-se. Mas, Jesus imediatamente os tranquiliza com uma palavra que deve acompanhar sempre a nossa vida e o nosso caminho vocacional: «Coragem! Sou Eu! Não temais!» (Mt 14, 27). Esta é precisamente a segunda palavra que gostaria de vos deixar: coragem.

Frequentemente aquilo que nos impede de caminhar, crescer, escolher a estrada que o Senhor traça para nós são os fantasmas que pululam nos nossos corações. Quando somos chamados a deixar a nossa margem segura para abraçar um estado de vida – como o matrimónio, o sacerdócio ordenado, a vida consagrada – muitas vezes a primeira reação é constituída pelo «fantasma da incredulidade»: não é possível que esta vocação seja para mim; trata-se verdadeiramente da estrada certa? Precisamente a mim é que o Senhor pede isto?

E pouco a pouco avolumam-se em nós todas aquelas considerações, justificações e cálculos que nos fazem perder o ímpeto, confundem-nos e deixam-nos paralisados na margem de embarque: julgamos ter sido um erro, não estar à altura, ter simplesmente visto um fantasma que se deve afugentar.

O Senhor sabe que uma opção fundamental de vida – como casar-se ou consagrar-se de forma especial ao seu serviço – exige coragem. Ele conhece os interrogativos, as dúvidas e as dificuldades que agitam o barco do nosso coração e, por isso, nos tranquiliza: «Não tenhas medo! Eu estou contigo». A fé na presença d’Ele que vem ao nosso encontro e nos acompanha mesmo quando o mar está revolto, liberta-nos daquela acédia que podemos definir uma «tristeza adocicada» (Carta aos Presbíteros, 4/VIII/2019), isto é, aquele desânimo interior que nos bloqueia impedindo-nos de saborear a beleza da vocação.

Na Carta aos Presbíteros, falei também da tribulação, que aqui gostaria de especificar concretamente como fadiga. Toda a vocação requer empenhamento. O Senhor chama-nos, porque nos quer tornar, como Pedro, capazes de «caminhar sobre as águas», isto é, pegar na nossa vida para a colocar ao serviço do Evangelho, nas formas concretas que Ele nos indica cada dia e, de modo especial, nas diferentes formas de vocação laical, presbiteral e de vida consagrada. À semelhança do Apóstolo, porém, sentimos desejo e ardor e, ao mesmo tempo, vemo-nos assinalados por fragilidades e temores.

Se nos deixarmos arrastar pelo pensamento das responsabilidades que nos esperam – na vida matrimonial ou no ministério sacerdotal – ou das adversidades que surgirão, bem depressa desviaremos o olhar de Jesus e, como Pedro, arriscamo-nos a afundar. Pelo contrário a fé permite-nos, apesar das nossas fragilidades e limitações, caminhar ao encontro do Senhor Ressuscitado e vencer as próprias tempestades. Pois Ele estende-nos a mão, quando, por cansaço ou medo, corremos o risco de afundar e dá-nos o ardor necessário para viver a nossa vocação com alegria e entusiasmo.

Por fim, quando Jesus sobe para o barco, cessa o vento e aplacam-se as ondas. É uma bela imagem daquilo que o Senhor realiza na nossa vida e nos tumultos da história, especialmente quando estamos a braços com a tempestade: Ele ordena aos ventos contrários que se calem, e então as forças do mal, do medo, da resignação deixam de ter poder sobre nós.

Na vocação específica que somos chamados a viver, estes ventos podem debilitar-nos. Penso em quantos assumem funções importantes na sociedade civil, nos esposos, que intencionalmente me apraz definir «os corajosos», e de modo especial penso nas pessoas que abraçam a vida consagrada e o sacerdócio. Conheço a vossa fadiga, as solidões que às vezes tornam pesado o coração, o risco da monotonia que pouco a pouco apaga o fogo ardente da vocação, o fardo da incerteza e da precariedade dos nossos tempos, o medo do futuro. Coragem, não tenhais medo! Jesus está ao nosso lado e, se O reconhecermos como único Senhor da nossa vida, Ele estende-nos a mão e agarra-nos para nos salvar.

E então a nossa vida, mesmo no meio das ondas, abre-se ao louvor. Esta é a última palavra da vocação, e pretende ser também o convite a cultivar a atitude interior de Maria Santíssima: agradecida pelo olhar que Deus pousou sobre Ela, superando na fé medos e perturbações, abraçando com coragem a vocação, Ela fez da sua vida um cântico eterno de louvor ao Senhor.

Caríssimos, especialmente neste Dia de Oração pelas Vocações, mas também na ação pastoral ordinária das nossas comunidades, desejo que a Igreja percorra este caminho ao serviço das vocações, abrindo brechas no coração de todos os fiéis, para que cada um possa descobrir com gratidão a chamada que Deus lhe dirige, encontrar a coragem de dizer «sim», vencer a fadiga com a fé em Cristo e finalmente, como um cântico de louvor, oferecer a própria vida por Deus, pelos irmãos e pelo mundo inteiro. Que a Virgem Maria nos acompanhe e interceda por nós.

Roma, São João de Latrão, no II Domingo da Quaresma, 8 de março de 2020.

FRANCISCO

[00388-PO.01] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua polacca

Słowa powołania

Drodzy bracia i siostry!

4 sierpnia ubiegłego roku, w 160. rocznicę śmierci świętego Proboszcza z Ars, zechciałem wystosować List do kapłanów, którzy codziennie poświęcają swe życie powołaniu, jakie skierował do nich Pan, służąc Ludowi Bożemu.

Przy tej okazji wybrałem cztery kluczowe słowa – smutek, wdzięczność, odwaga i uwielbienie – by podziękować kapłanom i wesprzeć ich posługę. Uważam, że dziś, w 57. Światowy Dzień Modlitw o Powołania, słowa te mogą zostać podjęte na nowo i skierowane do całego Ludu Bożego na tle fragmentu Ewangelii, który mówi nam o szczególnym doświadczeniu, które spotkało Jezusa i Piotra podczas burzliwej nocy nad jeziorem Tyberiadzkim (por. Mt 14, 22-36).

Po rozmnożeniu chlebów, które wprowadziło tłum w zachwyt, Jezus nakazał swoim uczniom wsiąść do łodzi i wyprzedzić Go na drugi brzeg, zanim odprawi lud. Obraz tej przeprawy przez jezioro w jakiś sposób przypomina podróż naszego istnienia. Łódź naszego życia powoli płynie naprzód, wciąż niespokojna, ponieważ szuka szczęśliwej przystani, gotowa rzucić wyzwanie niebezpieczeństwom i możliwościom morza, ale także oczekująca na manewr sternika, który ostatecznie naprowadzi na właściwy kurs. Czasami jednak może się zdarzyć, że się zagubi, że da się oślepić iluzjami, zamiast podążać za latarnią morską, która prowadzi ją do bezpiecznego portu, lub że zderzy się z przeciwnymi wiatrami trudności, wątpliwości i obaw.

Dzieje się tak również w sercach uczniów, którzy, powołani do podążania za Nauczycielem z Nazaretu, muszą zdecydować się przepłynąć na drugi brzeg, wybierając odważnie porzucenie swoich zabezpieczeń i wyruszenie za Panem. Ta przygoda nie jest spokojna: nadchodzi noc, wieje wiatr przeciwny, łódź jest miotana falami, i grozi im, że przerośnie ich strach przed tym, że się nie uda i że nie potrafią sprostać powołaniu.

Ewangelia mówi nam jednak, że w przygodzie tej trudnej podróży nie jesteśmy sami. Pan, niemal wymuszając jutrzenkę w środku nocy, idzie po wzburzonych wodach i dociera do uczniów, zaprasza Piotra, by po falach wyszedł Mu na spotkanie, ratuje go, gdy widzi, że tonie, i wreszcie wsiada do łodzi i sprawia, iż ustaje wiatr.

Zatem pierwszym słowem powołania jest wdzięczność. Nawigacja we właściwym kierunku nie jest zadaniem powierzonym wyłącznie naszym wysiłkom, ani nie zależy tylko od wybranych przez nas tras. Realizacja siebie i naszych planów życiowych nie jest matematycznym wynikiem tego, co postanawiamy w odizolowanym „ja”; wręcz przeciwnie, jest to przede wszystkim odpowiedź na powołanie, które otrzymujemy z wysoka. To Pan wskazuje nam brzeg, ku któremu powinniśmy się udać, a jeszcze wcześniej dodaje nam odwagi, aby wejść na łódź; to On, wzywając nas, staje się również naszym sternikiem, by nam towarzyszyć, wskazać nam kierunek, zapobiec, byśmy nie osiedli na rafach niezdecydowania i uzdolnić nas wręcz do chodzenia po wzburzonych wodach.

Każde powołanie rodzi się z tego miłującego spojrzenia, z jakim Pan wyszedł nam na spotkanie, być może właśnie w chwili, kiedy nasza łódź była ogarnięta burzą. „Jest ono nie tyle naszym wyborem, ile odpowiedzią na bezinteresowne wezwanie Pana” (List do kapłanów, 4 sierpnia 2019 r.); dlatego będziemy mogli je odkryć i przyjąć, gdy nasze serce otworzy się na wdzięczność i będzie potrafiło przyjąć przejście Boga w naszym życiu.

Kiedy uczniowie widzą zbliżającego się Jezusa idącego po wodzie, początkowo myślą, że to zjawa i boją się. Ale Jezus natychmiast uspokaja ich słowem, które musi zawsze towarzyszyć naszemu życiu i naszej drodze powołania: „Odwagi! Ja jestem, nie bójcie się!” (w. 27). To jest właśnie drugie słowo, które chciałbym wam przekazać: odwaga.

Tym, co często przeszkadza nam iść, wzrastać, obierać drogę, jaką Pan dla nas wytycza, są zjawy, które miotają się w naszym sercu. Kiedy jesteśmy powołani do opuszczenia naszego pewnego brzegu i przyjęcia stanu życia – takiego, jak małżeństwo, święcenia kapłańskie, życie konsekrowane – pierwszą reakcją jest często „zjawa niewiary”: to niemożliwe, aby to powołanie było dla mnie; czy to naprawdę właściwa droga? Czy Pan chce tego właśnie ode mnie?

Stopniowo narastają w nas wszystkie te rozważania, usprawiedliwienia i kalkulacje, które powodują, że tracimy rozmach, wprawiają w zakłopotanie i pozostawiają nas sparaliżowanych na brzegu wyjściowym: sądzimy, że coś nas zaślepiło, że nie jesteśmy na wysokości zadania, po prostu, że zobaczyliśmy zjawę, którą trzeba odpędzić.

Pan wie, że fundamentalna decyzja życiowa – taka, jak zawarcie małżeństwa lub poświęcenie się w sposób szczególny Jego służbie – wymaga odwagi. On zna pytania, wątpliwości i trudności, które wstrząsają łodzią naszego serca, i dlatego zapewnia nas: „Nie bój się, jestem z tobą!”. Wiara w Jego obecność, która wychodzi nam na spotkanie i nam towarzyszy, nawet gdy morze jest wzburzone, wyzwala nas ze znużenia, które miałem już okazję określić jako „słodkawy smutek” (List do kapłanów, 4 sierpnia 2019 r.), to znaczy wewnętrzne zniechęcenie, które nas blokuje i nie pozwala nam zasmakować piękna naszego powołania.

W Liście do kapłanów mówiłem także o cierpieniu, ale tutaj chciałbym przetłumaczyć to słowo inaczej i odnieść się do znużenia. Każde powołanie wymaga zaangażowania. Pan nas powołuje, ponieważ chce uczynić nas podobnymi do Piotra, zdolnymi do „chodzenia po wodzie”, to znaczy do wzięcia naszego życia w swe ręce, aby oddać je na służbę Ewangelii, w sposób konkretny i codzienny, jaki On nam wskazuje, a zwłaszcza w różnych formach powołania świeckiego, kapłańskiego oraz życia konsekrowanego. Ale jesteśmy podobni do Apostoła: mamy pragnienie i zapał, ale jednocześnie jesteśmy naznaczeni słabościami i obawami.

Jeśli pozwolimy się przytłoczyć myślom o oczekujących nas obowiązkach – w życiu małżeńskim lub kapłańskim – lub przeciwnościach, które się pojawią, wkrótce odwrócimy się od spojrzenia Jezusa i, podobnie jak Piotrowi, grozi nam, że zaczniemy tonąć. Przeciwnie, pomimo naszych słabości i ubóstwa, wiara pozwala nam iść w kierunku Zmartwychwstałego Pana i pokonać także burze. On rzeczywiście wyciąga ku nam rękę, gdy z powodu znużenia lub strachu grozi nam zatonięcie, i daje nam zapał niezbędny do przeżywania naszego powołania z radością i entuzjazmem.

Wreszcie, kiedy Jezus wsiada do łodzi, wiatr ustaje a fale się uspokajają. Jest to piękny obraz tego, jak Pan działa w naszym życiu i podczas zawirowań historycznych, zwłaszcza gdy przeżywamy burzę: On nakazuje przeciwnym wiatrom, by zamilkły, a moce zła, lęku, rezygnacji nie mają już nad nami władzy.

Wiatry te mogą nas wyczerpać w konkretnym powołaniu, do którego przeżywania jesteśmy powołani. Myślę o tych, którzy podejmują ważne obowiązki w społeczeństwie obywatelskim, o małżonkach, których nie przypadkiem lubię nazywać „odważnymi”, a zwłaszcza o tych, którzy podejmują życie konsekrowane i kapłaństwo. Znam wasze trudy, samotność, która czasem obciąża serce, ryzyko rutyny, która powoli gasi żar powołania, brzemię niepewności i niedostatku naszych czasów, lęk przed przyszłością. Odwagi, nie lękajcie się! Jezus jest obok nas i jeśli uznajemy Go za jedynego Pana naszego życia, On wyciąga ku nam rękę i chwyta nas, aby nas zbawić.

A wówczas, nawet pośród fal, nasze życie otwiera się na uwielbienie. Jest to ostatnie słowo powołania, które chce być także zaproszeniem do pielęgnowania wewnętrznej postawy Najświętszej Maryi Panny: wdzięczna za spojrzenie Boga, które na Niej spoczęło, oddając w wierze lęki i troski, odważnie podejmując powołanie, Ona uczyniła swoje życie wieczną pieśnią uwielbienia dla Pana.

Najmilsi, szczególnie w tym Dniu, ale także w zwykłym działaniu duszpasterskim naszych wspólnot, pragnę, aby Kościół podążał tą drogą w służbie powołań, otwierając przestrzeń w sercu każdego wierzącego, aby mógł z wdzięcznością odkryć powołanie, jakie kieruje do niego Bóg, znaleźć odwagę, by powiedzieć „tak”, przezwyciężyć znużenie w wierze w Chrystusa i wreszcie ofiarować swoje życie jako pieśń chwały dla Boga, braci i całego świata. Niech Dziewica Maryja towarzyszy nam i wstawia się za nami.

Rzym, u św. Jana na Lateranie, 8 marca, w II Niedzielę Wielkiego Postu

FRANCISZEK

[00388-PL.01] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua araba

رسالة البابا فرنسيس

بمناسبة اليوم العالمي السابع والخمسين

للصلاة من أجل الدعوات 2020

كلمات الدعوةأيّها الإخوة والأخوات الأعزّاء،

في 4 أغسطس / آب من العام الماضي، في الذكرى المئة والستّين لموت كاهن رعيّة آرس القديس، أردت أن أبعث برسالة إلى الكهنة، الذين يبذلون حياتهم كلّ يوم من أجل الدعوة التي وجهّها السيد المسيح إليهم، لخدمة شعب الله.

في تلك المناسبة اخترت أربعَ كلمات أساسية – الألم، وعرفان الجميل، والشجاعة والتسبيح - كي أشكر الكهنة وأشجعهم في خدمتهم. وأعتقد أنه بإمكاننا اليوم، في اليوم العالمي السابع والخمسين للصلاة من أجل الدعوات، أن نعود مجدّدًا إلى هذه الكلمات لنوجّهها إلى شعب الله بأسره، ونحن نتأمل في مقطع من الإنجيل يروي لنا حادثة فريدة حدثت ليسوع وبطرس في ليلةٍ عاصفة في بحيرة طبريّا (را. متى 14، 22- 33).

بعد معجزة تكثير الخبز التي أثارت حماس الجموع، أمَر يسوع تلاميذه بأن يركبوا السَّفينةَ ويتقدَّموه إِلى الشَّاطئ المُقابل، فيما يبقى هو ويَصرِف الجُموع. صورة عبور البحيرة تشير نوعًا ما إلى رحلة حياتنا. في الواقع، يتقدم قارب حياتنا ببطء، وبقلق لأنه يبحث عن ميناء يرسو فيه، وهو مستعدّ لتحدّي مخاطر البحر وتقلباته، ولكنه يتوق أيضًا إلى أن يعطيه قائد الدفّة وجهةً جديدة تقوده أخيرًا في الطريق الصحيح. وقد يضِلُّ الطريق أحيانًا، أو قد تبهره الأوهام بدل أن يتبع المنارة التي تقوده إلى بَرّ الأمان، أو قد تواجهه رياح معاكسة من الصعوبات والشكوك والمخاوف.  

هذا ما يحدث أيضًا في قلب التلاميذ، الذين دعاهم المعلّم الناصري لاتّباعه. عليهم أن يتخذوا قرارهم ويعبروا إلى الشاطئ المقابل، فيختاروا بشجاعة أن يتخلّوا عن مكانهم الآمن ويشرعوا في المسير ليتبعوا الربّ. ليست المغامرة سهلة: حلَّ الليل، وهبّت الريح المعاكسة، والقارب تَلطِمُه الأمواج، وطغى عليهم الخوف من عدم قدرتهم على متابعة طريقهم، ومن كونهم ليسوا على مستوى الدعوة.

لكن، يقول لنا الإنجيل إننا لسنا وحدنا في مغامرة هذه الرحلة الصعبة. فالربّ، الذي يكاد يستبق الفجر في منتصف الليل، يسير على المياه الهائجة ويصل إلى التلاميذ، ويدعو بطرس ليأتي إليه على الأمواج، وينجّيه عندما يراه يغرق، ويركب أخيرًا السفينة ويوقف الريح.

أوّل كلمة للدعوة هي بالتالي عرفان الجميل. فمهمّة السير باتّجاه الطريق الصحيح لا تعتمد فقط على جهودنا، ولا تعتمد فقط على المسارات التي نختارها. وتحقيق أنفسنا ومشاريع حياتنا، ليس نتيجة لحسابات رياضيّة لما نقرّره في داخل "الأنا" فينا بشكل منفرد؛ بل على العكس. دعوتنا هي قبل كلّ شيء إجابة على دعوة تأتينا من العُلى. الله هو الذي يدلّنا على الشاطئ الذي يجب أن نتّجه إليه، وقبل ذلك هو الذي يعطينا الشجاعة لنركب السفينة. وهو الذي، إذا دعانا، صار قائدَ سفينتنا ورافقنا ودلّنا على الاتّجاه، وحال دون اصطدامنا بصخور التردّد، وجعلنا قادرين حتى على السير على المياه المضطربة.

كلّ دعوة تولد من تلك النظرة الـمُحِبَّة التي لاقانا بها الربّ، وربما لما كان قاربنا في خضمّ العاصفة. "إن الدعوة هي استجابة لنداء مجّاني من قِبَلِ الله أكثر منها خيار منا" (رسالة إلى الكهنة، 4 أغسطس / آب 2019)؛ لذلك، سوف نكتشفها ونعانقها عندما ينفتح قلبنا على عرفان الجميل ويعرف كيف يُحِسُّ بمرور الله في حياتنا.

عندما رأى التلاميذ يسوع يقترب منهم ماشيًا على الماء، ظنّوا أوّلًا أنه خيال وخافوا. لكن يسوع طمأنهم في الحال بكلمة يجب أن ترافق دائمًا حياتنا ومسيرة دعوتنا: "تشجّعوا. أَنا هو، لا تَخافوا!" (آية 27). هذه هي بالتحديد الكلمة الثانية التي أودّ أن أسلمكم إياها: تشجّعوا.

إن ما يمنعنا غالبًا من السير، والنموّ، واختيار الدرب الذي يرسمه الربّ لنا هي الأشباح التي تتخبّط في قلوبنا. عندما نُدعى لترك شاطئنا الآمن لمعانقة حالة من الحياة -مثل الزواج، والكهنوت، والحياة المكرّسة- أول ردة فعل فينا غالبًا هي "شبح عدم الإيمان": من المستحيل أن تكون هذه الدعوة لي؛ هل هذا هو حقّا الطريق الصحيح؟ أهذا هو بالتحديد ما يطلبه الله مني؟

وتكبر تدريجيًّا كلُّ تلك المخاوف، وتلك المبرّرات والحسابات التي تجعلنا نفقد الاندفاع، وتربكنا فنصاب بالشلل ونحن ما زلنا على شاطئ في بداية الرحلة: نظنّ أننا ارتكبنا خطأً، وأننا دون المستوى، وأننا قد رأينا شبحًا يجب طرده.

يعلم الله أن خيارًا أساسيًّا في الحياة -مثل الزواج أو تكريس الذات بطريقة خاصّة في خدمته- يتطلّب الشجاعة. إنه يعرف الأسئلة والشكوك والصعوبات التي تلطم زورق قلبنا، ولذا فهو يطمئننا: "لا تخف، أنا معك!". إن الإيمان بحضوره، هو الذي يأتي إلينا ويرافقنا، حتى عندما يكون البحر عاصفًا، يحرّرنا من ذاك الفتور الذي سبق لي أن حدّدته على أنه "حالة عذبة من الجمود" (رسالة إلى الكهنة، 4 أغسطس / آب 2019). إنه إحباط داخلي يعيقنا، ولا يسمح لنا بتذوّق جمال الدعوة.

تحدّثت أيضًا في الرسالة إلى الكهنة عن الألم، ولكنني أودّ هنا ترجمة هذه الكلمة بشكل مختلف وأتكلم على التعب. كلّ دعوة فيها التزام. يدعونا الله لأنه يريد أن يجعلنا مثل بطرس، قادرين على "السير على المياه"، أي على أن نأخذ حياتنا بيدنا كي نضعها في خدمة الإنجيل، بالطرق العملية واليومية التي يحدّدها لنا، وخاصّة في مختلف أشكال الدعوات العلمانية والكهنوتية وفي الحياة المكرّسة. لكننا نشبه الرسول: لدينا الرغبة والاندفاع، لكن في الوقت نفسه، لدينا نقاط ضعف ومخاوف.

إن تركنا أنفسنا وطغا علينا التفكير في المسؤوليّات التي تنتظرنا -في الحياة الزوجيّة أو في الخدمة الكهنوتية- أو إن فكَّرْنا في الصعاب التي ستواجهنا، سُنبعِد بسرعة نظرنا عن يسوع، وقد نغرق على غرار بطرس. لكن الإيمان، على الرغم من نقاط ضعفنا وفقرنا، يسمح لنا بالسير نحو الربّ القائم من الموت والتغلّب أيضًا على العواصف. فهو في الواقع، يمدّ يده إلينا عندما نواجه خطر الغرق، بسبب التعب أو الخوف، ويغمرنا بالاندفاع الضروري لنعيش رسالتنا بفرح وحماس.

أخيرًا، عندما ركب يسوع السفينة، توقّفت الرياح وهدأت الأمواج. إنها صورة جميلة لما يصنعه يسوع المسيح في حياتنا وفي اضطرابات التاريخ، خاصّة عندما نكون في العاصفة: فهو يأمر الرياح المعاكسة بأن تصمت، فلن تقوى علينا بعد الآن قوى الشرّ والخوف والاستسلام.

قد تهبّ هذه الرياح علينا في الدعوة الخاصّة التي دُعينا لعيشها. أفكّر في الذين يحملون مسؤوليات مهمّة في المجتمع المدني، والأزواج الذين أحبّ أن أسمّيهم، لا عن طريق الصدفة، "الشجعان"، وخاصّة الذين يعتنقون الحياة المكرّسة والكهنوت. أعرف تعبكم، والوحدة التي تثقل قلبكم أحيانًا، وخطر التعوّد الذي يطفئ شيئًا فشيئًا نار الدعوة المشتعلة، والحمل الثقيل الذي يشكله عدم اليقين وعدم الاستقرار في عصرنا، والخوف من المستقبل. تشجّعوا، لا تخافوا! يسوع بجانبنا، وإذا اعترفنا به الرب الأوحد لحياتنا، فهو يمدّ إلينا يده ويمسك بنا لينقذنا.

حينها، وحتى في خضمّ الأمواج، تنفتح حياتنا على التسبيح. هذه الكلمة الأخيرة للدعوة، وأريدها أن تكون أيضًا دعوة لأن ننمّي فينا مثل الاستعداد الداخلي لمريم الكلّية القداسة: ممتنّة لنظرة الله التي استقرت عليها، أسلمت مخاوفها واضطراباتها للإيمان، واعتنقت دعوتها بشجاعة، وجعلت حياتها ترنيمةَ تسبيحٍ أبديٍّ للربّ.

أصدقائي الأعزّاء، في هذا اليوم بشكل خاصّ، ولكن أيضًا في عمل جماعاتنا الرعوي الاعتيادي، أريد من الكنيسة أن تقوم بهذه المسيرة في خدمة الدعوات، وتفتح ثغرات في قلب كلّ مؤمن، حتى يتمكّن كلّ واحد من أن يكتشف شاكرًا الدعوة التي يوجهّها الله إليه. ويجد الشجاعة ليقول "نعم"، ويتغلّب على التعب بقوة إيمانه بالمسيح، ويقدّم أخيرًا حياته كترنيمة تسبيح لله، من أجل الإخوة والعالم بأسره. لترافقنا العذراء مريم وتتشفّع لنا.

أعطيَ في روما، قرب القدّيس يوحنا اللاتيراني، 8 مارس / آذار 2020، الأحد الثاني من زمن الصوم

الكبير.

[00388-AR.01] [Testo originale: Italiano]

[B0176-XX.01]