Sala Stampa

www.vatican.va

Sala Stampa Back Top Print Pdf
Sala Stampa


“Stazione” quaresimale presieduta dal Santo Padre nella Basilica di Santa Sabina all’Aventino, 26.02.2020


Omelia del Santo Padre

Traduzione in lingua francese

Traduzione in lingua inglese

Traduzione in lingua tedesca

Traduzione in lingua spagnola

Traduzione in lingua portoghese

Traduzione in lingua polacca

Traduzione in lingua araba

Nel pomeriggio di oggi - Mercoledì delle Ceneri, giorno di inizio della Quaresima – ha avuto luogo un’assemblea di preghiera nella forma delle «Stazioni» romane, presieduta dal Santo Padre Francesco.

Alle ore 16.30, nella chiesa di Sant’Anselmo all’Aventino, si è tenuto un momento di preghiera, cui ha fatto seguito la processione penitenziale verso la Basilica di Santa Sabina. Alla processione hanno preso parte i Cardinali, gli Arcivescovi, i Vescovi, i Monaci Benedettini di Sant’Anselmo, i Padri Domenicani di Santa Sabina ed alcuni fedeli.

Al termine della processione, nella Basilica di Santa Sabina, il Santo Padre Francesco ha presieduto la celebrazione dell’Eucarestia con il rito di benedizione e di imposizione delle ceneri.

Pubblichiamo di seguito l’omelia che il Papa ha pronunciato dopo la proclamazione del Santo Vangelo:

Omelia del Santo Padre

Iniziamo la Quaresima ricevendo le ceneri: “Ricordati che sei polvere, e in polvere ritornerai” (cfr Gen 3,19). La polvere sul capo ci riporta a terra, ci ricorda che veniamo dalla terra e che in terra torneremo. Siamo cioè deboli, fragili, mortali. Nel corso dei secoli e dei millenni siamo di passaggio, davanti all’immensità delle galassie e dello spazio siamo minuscoli. Siamo polvere nell’universo. Ma siamo la polvere amata da Dio. Il Signore ha amato raccogliere la nostra polvere tra le mani e soffiarvi il suo alito di vita (cfr Gen 2,7). Così siamo polvere preziosa, destinata a vivere per sempre. Siamo la terra su cui Dio ha riversato il suo cielo, la polvere che contiene i suoi sogni. Siamo la speranza di Dio, il suo tesoro, la sua gloria.

La cenere ci ricorda così il percorso della nostra esistenza: dalla polvere alla vita. Siamo polvere, terra, argilla, ma se ci lasciamo plasmare dalle mani di Dio diventiamo una meraviglia. Eppure spesso, soprattutto nelle difficoltà e nella solitudine, vediamo solo la nostra polvere! Ma il Signore ci incoraggia: il poco che siamo ha un valore infinito ai suoi occhi. Coraggio, siamo nati per essere amati, siamo nati per essere figli di Dio.

Cari fratelli e sorelle, all’inizio della Quaresima rendiamoci conto di questo. Perché la Quaresima non è il tempo per riversare sulla gente inutili moralismi, ma per riconoscere che le nostre misere ceneri sono amate da Dio. È tempo di grazia, per accogliere lo sguardo d’amore di Dio su di noi e, così guardati, cambiare vita. Siamo al mondo per camminare dalla cenere alla vita. Allora, non polverizziamo la speranza, non inceneriamo il sogno che Dio ha su di noi. Non cediamo alla rassegnazione. E tu dici: “Come posso aver fiducia? Il mondo va male, la paura dilaga, c’è tanta cattiveria e la società si sta scristianizzando…”. Ma non credi che Dio può trasformare la nostra polvere in gloria?

La cenere che riceviamo sul capo scuote i pensieri che abbiamo in testa. Ci ricorda che noi, figli di Dio, non possiamo vivere per inseguire la polvere che svanisce. Una domanda può scenderci dalla testa al cuore: “Io, per che cosa vivo?”. Se vivo per le cose del mondo che passano, torno alla polvere, rinnego quello che Dio ha fatto in me. Se vivo solo per portare a casa un po’ di soldi e divertirmi, per cercare un po’ di prestigio, fare un po’ di carriera, vivo di polvere. Se giudico male la vita solo perché non sono tenuto in sufficiente considerazione o non ricevo dagli altri quello che credo di meritare, resto ancora a guardare la polvere.

Non siamo al mondo per questo. Valiamo molto di più, viviamo per molto di più: per realizzare il sogno di Dio, per amare. La cenere si posa sulle nostre teste perché nei cuori si accenda il fuoco dell’amore. Perché siamo cittadini del cielo e l’amore a Dio e al prossimo è il passaporto per il cielo, è il nostro passaporto. I beni terreni che possediamo non ci serviranno, sono polvere che svanisce, ma l’amore che doniamo – in famiglia, al lavoro, nella Chiesa, nel mondo – ci salverà, resterà per sempre.

La cenere che riceviamo ci ricorda un secondo percorso, quello contrario, quello che va dalla vita alla polvere. Ci guardiamo attorno e vediamo polveri di morte. Vite ridotte in cenere. Macerie, distruzione, guerra. Vite di piccoli innocenti non accolti, vite di poveri rifiutati, vite di anziani scartati. Continuiamo a distruggerci, a farci tornare in polvere. E quanta polvere c’è nelle nostre relazioni! Guardiamo in casa nostra, nelle famiglie: quanti litigi, quanta incapacità di disinnescare i conflitti, quanta fatica a chiedere scusa, a perdonare, a ricominciare, mentre con tanta facilità reclamiamo i nostri spazi e i nostri diritti! C’è tanta polvere che sporca l’amore e abbruttisce la vita. Anche nella Chiesa, la casa di Dio, abbiamo lasciato depositare tanta polvere, la polvere della mondanità.

E guardiamoci dentro, nel cuore: quante volte soffochiamo il fuoco di Dio con la cenere dell’ipocrisia! L’ipocrisia: è la sporcizia che Gesù chiede di rimuovere oggi nel Vangelo. Infatti, il Signore non dice solo di compiere opere di carità, di pregare e di digiunare, ma di fare tutto questo senza finzioni, senza doppiezze, senza ipocrisia (cfr Mt 6,2.5.16). Quante volte, invece, facciamo qualcosa solo per essere approvati, per il nostro ritorno di immagine, per il nostro ego! Quante volte ci proclamiamo cristiani e nel cuore cediamo senza problemi alle passioni che ci rendono schiavi! Quante volte predichiamo una cosa e ne facciamo un’altra! Quante volte ci mostriamo buoni fuori e coviamo rancori dentro! Quanta doppiezza abbiamo nel cuore... È polvere che sporca, cenere che soffoca il fuoco dell’amore.

Abbiamo bisogno di pulizia dalla polvere che si deposita sul cuore. Come fare? Ci aiuta il richiamo accorato di san Paolo nella seconda Lettura: «Lasciatevi riconciliare con Dio!». Paolo non lo chiede, lo supplica: «Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio». (2 Cor 5,20). Noi avremmo detto: “Riconciliatevi con Dio!”. Invece no, utilizza il passivo: lasciatevi riconciliare. Perché la santità non è attività nostra, è grazia! Perché da soli non siamo capaci di togliere la polvere che ci sporca il cuore. Perché solo Gesù, che conosce e ama il nostro cuore, può guarirlo. La Quaresima è tempo di guarigione.

Che cosa fare dunque? Nel cammino verso la Pasqua possiamo compiere due passaggi: il primo, dalla polvere alla vita, dalla nostra umanità fragile all’umanità di Gesù, che ci guarisce. Possiamo metterci davanti al Crocifisso, stare lì, guardare e ripetere: “Gesù, tu mi ami, trasformami… Gesù, tu mi ami, trasformami…”. E dopo aver accolto il suo amore, dopo aver pianto davanti a questo amore, il secondo passaggio, per non ricadere dalla vita alla polvere. Si va a ricevere il perdono di Dio, nella Confessione, perché lì il fuoco dell’amore di Dio consuma la cenere del nostro peccato. L’abbraccio del Padre nella Confessione ci rinnova dentro, ci pulisce il cuore. Lasciamoci riconciliare per vivere come figli amati, come peccatori perdonati, come malati risanati, come viandanti accompagnati. Lasciamoci amare per amare. Lasciamoci rialzare, per camminare verso la meta, la Pasqua. Avremo la gioia di scoprire che Dio ci risuscita dalle nostre ceneri.

[00274-IT.01] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua francese

Nous commençons le Carême en recevant les cendres: «Souviens-toi que tu es poussière et que tu retourneras à la poussière» (cf. Gn 3,19). La poussière sur la tête nous ramène à la terre, elle nous rappelle que nous venons de la terre et qu’en terre nous retournerons. Cela veut dire que nous sommes faibles, fragiles, mortels. Dans le cours des siècles et des millénaires, nous sommes de passage; devant l’immensité des galaxies et de l’espace nous sommes minuscules. Nous sommes poussière dans l’univers. Mais nous sommes la poussière aimée de Dieu. Le Seigneur a aimé recueillir notre poussière dans ses mains et y insuffler son haleine de vie (cf. Gn 2, 7). Nous sommes ainsi une poussière précieuse, destinée à vivre pour toujours. Nous sommes la terre sur laquelle Dieu a versé son ciel, la poussière qui contient ses rêves. Nous sommes l’espérance de Dieu, son trésor, sa gloire.

La cendre nous rappelle ainsi le parcours de notre existence: de la poussière à la vie. Nous sommes poussière, terre, argile, mais si nous nous laissons modeler par les mains de Dieu nous devenons une merveille. Et cependant, souvent, surtout dans les difficultés et dans la solitude, nous ne voyons que notre poussière! Mais le Seigneur nous encourage: le peu que nous sommes a une valeur infinie à ses yeux. Courage, nous sommes nés pour être aimés, nous sommes nés pour être enfants de Dieu.

Chers frères et sœurs, au début du Carême rendons-nous compte de cela. Parce que le Carême n’est pas un temps pour verser sur les gens un moralisme inutile, mais pour reconnaître que nos pauvres cendres sont aimées de Dieu. Il est un temps de grâce, pour accueillir le regard d’amour de Dieu sur nous et, regardés de la sorte, changer de vie. Nous sommes au monde pour marcher de la cendre à la vie. Alors, ne réduisons pas l’espérance en poussière, n’incinérons pas le rêve que Dieu a sur nous. Ne cédons pas à la résignation. Et toi tu dis “Comment puis-je avoir confiance? Le monde va mal, la peur se répand, il y a beaucoup de méchanceté et la société se déchristianise…” Mais tu ne crois pas que Dieu peut transformer notre poussière en gloire?

La cendre que nous recevons sur la tête ébranle les pensées que nous avons. Elle nous rappelle que, enfants de Dieu, nous ne pouvons pas vivre pour suivre la poussière qui disparait. Une question peut descendre de la tête vers cœur: “Moi, qu’est-ce qui me fait vivre? ” Si je vis pour les choses du monde qui passent, je retourne à la poussière, je renie ce que Dieu a fait en moi. Si je vis seulement pour rapporter à la maison un peu d’argent et me divertir, pour chercher un peu de prestige, faire un peu carrière, je vis de poussière. Si je juge mal la vie seulement parce que je ne suis pas pris suffisamment en considération ou que je ne reçois pas des autres ce que je crois mériter, je reste encore à regarder la poussière.

Nous ne sommes pas au monde pour cela. Nous vallons beaucoup plus, nous vivons pour beaucoup plus: pour réaliser le rêve de Dieu, pour aimer. Les cendres sont mises sur notre tête pour que le feu de l’amour s’allume dans nos cœurs. Car nous sommes citoyens du ciel et l’amour envers Dieu et le prochain est le passeport pour le ciel, c’est notre passeport. Les biens terrestres que nous possédons ne nous serviront pas, ils sont poussière qui disparaît, mais l’amour que nous donnons – en famille, au travail, dans l’Eglise, dans le monde – nous sauvera, il restera pour toujours.

Les cendres que nous recevons nous rappellent un second parcours, inverse, celui qui va de la vie à la poussière. Nous regardons tout autour et nous voyons des poussières de mort. Des vies réduites en cendres. Des décombres, des destructions, la guerre. Des vies de petits innocents non accueillis, des vies de pauvres rejetés, des vies de personnes âgées mises à l’écart. Nous continuons à nous détruire, à nous faire retourner en poussière. Et que de poussière il y a dans nos relations! Regardons chez nous, dans les familles: que de disputes, que d’incapacités à désarmer les conflits, que de difficultés à s’excuser, à pardonner, à repartir, alors qu’avec tant de facilité nous réclamons nos espaces et nos droits. Il y a beaucoup de poussière qui salit l’amour et affaiblit la vie. Même dans l’Eglise, la maison de Dieu, nous avons laissé se déposer beaucoup de poussière, la poussière de la mondanité.

Et regardons-nous à l’intérieur, dans le cœur: que de fois nous étouffons le feu de Dieu avec la cendre de l’hypocrisie! L’hypocrisie: c’est la saleté que Jésus, aujourd’hui dans l’Evangile, demande d’enlever. En effet, le Seigneur ne dit pas seulement d’accomplir des œuvres de charité, de prier, de jeûner, mais de faire tout cela sans feintes, sans duplicités, sans hypocrisie (cf. Mt 6, 2.5.16). Que de fois, en revanche, nous faisons quelque chose pour être approuvés, pour notre image, pour notre ego! Que de fois nous nous proclamons chrétiens et dans le cœur nous cédons sans problème aux passions qui nous rendent esclaves! Que de fois nous prêchons une chose et en faisons une autre! Que de fois nous nous montrons bons au dehors et nourrissons des rancunes au-dedans! Que de duplicités nous avons dans le cœur… c’est la poussière qui salit, les cendres qui étouffent le feu de l’amour.

Nous avons besoin de nettoyer la poussière qui se dépose sur le cœur. Comment faire? L’appel pressant de saint Paul dans la seconde lecture nous aide: «Laissez-vous réconcilier avec Dieu!» Paul ne demande pas, il supplie: «Nous vous le demandons au nom du Christ, laissez-vous réconcilier avec Dieu » (2Co 5, 20). Nous aurions dit “Réconciliez-vous avez Dieu”. Mais non, il utilise le passif: laissez-vous réconcilier. Parce que la sainteté n’est pas notre activité, elle est une grâce! Parce que, seuls, nous ne sommes pas capables d’enlever la poussière qui salit notre cœur. Parce que seul Jésus, qui connaît et aime notre cœur, peut le guérir. Le Carême est le temps de la guérison.

Que faut-il donc faire? Sur le chemin vers Pâques nous pouvons accomplir deux passages: le premier, de la poussière à la vie, de notre humanité fragile à l’humanité de Jésus qui nous guérit. Nous pouvons nous mettre devant le Crucifié, rester là, regarder et répéter: “Jésus, tu m’aimes, transforme-moi… Jésus, tu m’aimes, transforme-moi…” Et après avoir accueilli son amour, après avoir pleuré devant cet amour, le second passage, pour ne pas retomber de la vie à la poussière. Aller recevoir le pardon de Dieu, dans la confession, parce que là, le feu de l’amour de Dieu consume la cendre de notre péché. L’étreinte du Père dans la Confession nous renouvelle à l’intérieur, nous nettoie le cœur. Laissons-nous réconcilier pour vivre comme des enfants aimés, comme des pécheurs pardonnés, comme des malades guéris, comme des voyageurs accompagnés. Laissons-nous aimer pour aimer. Laissons-nous relever, pour marcher vers le but, Pâques. Nous aurons la joie de découvrir que Dieu nous ressuscite de nos cendres.

[00274-FR.01] [Texte original: Italien]

Traduzione in lingua inglese

We begin the Lenten Season by receiving ashes: “You are dust, and to dust you shall return (cf. Gen 3:19). The dust sprinkled on our heads brings us back to earth; it reminds us that we are dust and to dust we shall return. We are weak, frail and mortal. Centuries and millennia pass and we come and go; before the immensity of galaxies and space, we are nothing. We are dust in the universe. Yet we are dust loved by God. It pleased the Lord to gather that dust in his hands and to breathe into it the breath of life (cf. Gen 2:7). We are thus a dust that is precious, destined for eternal life. We are the dust of the earth, upon which God has poured out his heaven, the dust that contains his dreams. We are God’s hope, his treasure and his glory.

Ashes are thus a reminder of the direction of our existence: a passage from dust to life. We are dust, earth, clay, but if we allow ourselves to be shaped by the hands of God, we become something wondrous. More often than not, though, especially at times of difficulty and loneliness, we only see our dust! But the Lord encourages us: in his eyes, our littleness is of infinite value. So let us take heart: we were born to be loved; we were born to be children of God.

Dear brothers and sisters, may we keep this in mind as we begin this Lenten season. For Lent is not a time for useless sermons, but for recognizing that our lowly ashes are loved by God. It is a time of grace, a time for letting God gaze upon us with love and in this way change our lives. We were put in this world to go from ashes to life. So let us not turn our hopes and God’s dream for us into powder and ashes. Let us not grow resigned. You may ask: “How can I trust? The world is falling to pieces, fear is growing, there is so much malice all around us, society is becoming less and less Christian…” Don’t you believe that God can transform our dust into glory?

The ashes we receive on our foreheads should affect the thoughts passing through our minds. They remind us that, as God’s children, we cannot spend our lives chasing after dust. From there a question can pass into our hearts: “What am I living for?” If it is for the fleeting realities of this world, I am going back to ashes and dust, rejecting what God has done in my life. If I live only to earn money, to have a good time, to gain a bit of prestige or a promotion in my work, I am living for dust. If I am unhappy with life because I think I do not get enough respect or receive what I think is my due, then I am simply staring at dust.

That is not why we have been put in this world. We are worth so much more. We live for so much more, for we are meant to make God’s dream a reality and to love. Ashes are sprinkled on our heads so that the fire of love can be kindled in our hearts. We are citizens of heaven, and our love for God and neighbour is our passport to heaven. Our earthly possessions will prove useless, dust that scatters, but the love we share – in our families, at work, in the Church and in the world – will save us, for it will endure forever.

The ashes we receive remind us of a second and opposite passage: from life to dust. All around us, we see the dust of death. Lives reduced to ashes. Rubble, destruction, war. The lives of unwelcomed innocents, the lives of the excluded poor, the lives of the abandoned elderly. We continue to destroy ourselves, to return to ashes and dust. And how much dust there is in our relationships! Look at our homes and families: our quarrels, our inability to resolve conflicts, our unwillingness to apologize, to forgive, to start over, while at the same time insisting on our own freedom and our rights! All this dust that besmirches our love and mars our life. Even in the Church, the house of God, we have let so much dust collect, the dust of worldliness.

Let us look inside, into our hearts: how many times do we extinguish the fire of God with the ashes of hypocrisy! Hypocrisy is the filth that Jesus tells us in today’s Gospel that we have to remove. Indeed, the Lord tells us not only to carry out works of charity, to pray and to fast, but also to do these without pretense, duplicity and hypocrisy (cf. Mt 6:2.5.16). Yet how often do we do things only to be recognized, to look good, to satisfy our ego! How often do we profess to be Christians, yet in our hearts readily yield to passions that enslave us! How often do we preach one thing and practice another! How many times do we make ourselves look good on the outside while nursing grudges within! How much duplicity do we have in our hearts... All this is dust that besmirches, ashes that extinguish the fire of love.

We need to be cleansed of all the dust that has sullied our hearts. How? The urgent summons of Saint Paul in today’s second reading can help us. Paul says: “Be reconciled to God!” He does not simply ask; he begs: “We beg you on behalf of Christ, be reconciled to God” (2 Cor 5:20). We would have said: “Reconcile yourselves with God!” But no, Paul uses passive form: Be reconciled! Holiness is not achieved by our efforts, for it is grace! By ourselves, we cannot remove the dust that sullies our hearts. Only Jesus, who knows and loves our heart, can heal it. Lent is a time of healing.

What, then, are we to do? In journeying towards Easter, we can make two passages: first, from dust to life, from our fragile humanity to the humanity of Jesus, who heals us. We can halt in contemplation before the crucified Lord and repeat: “Jesus, you love me, transform me... Jesus, you love me, transform me...” And once we have received his love, once we have wept at the thought of that love, we can make the second passage, by determining never to fall again from life into dust. We can receive God’s forgiveness in the sacrament of Penance, because there the fire of God’s love consumes the ashes of our sin. The embrace of the Father in confession renews us from inside and purifies our heart. May we allow ourselves to be reconciled, in order to live as beloved children, as forgiven and healed sinners, as wayfarers with him at our side.

Let us allow ourselves to be loved, so that we can give love in return. Let us allow ourselves to stand up and walk towards Easter. Then we will experience the joy of discovering how God raises us up from our ashes.

[00274-EN.01] [Original text: Italian]

Traduzione in lingua tedesca

Wir beginnen die Fastenzeit mit dem Empfang des Aschekreuzes: „Bedenke, Mensch, dass du Staub bist und wieder zum Staub zurückkehren wirst“ (vgl. Gen 3,19). Der Staub auf unseren Häuptern bringt uns zur Erde zurück, er erinnert uns daran, dass wir von der Erde kommen und zur Erde zurückkehren werden. Wir sind also schwach, zerbrechlich, sterblich. Im Laufe der Jahrhunderte und Jahrtausende geben wir ein kurzes Gastspiel, vor der Unermesslichkeit der Galaxien und des Weltraums sind wir winzig klein. Wir sind wie Staub im Universum. Aber wir sind der von Gott geliebte Staub. Liebevoll nahm der Herr unseren Staub in seine Hände und hauchte ihm seinen Lebensatem ein (vgl. Gen 2,7). So sind wir kostbarer, zu ewigem Leben bestimmter Staub. Wir sind die Erde, über die Gott seinen Himmel ausgegossen hat, der Staub, der seine Träume enthält. Wir sind Gottes Hoffnung, sein Schatz, seine Herrlichkeit.

Die Asche erinnert uns also an den Weg unseres Lebens: vom Staub zum Leben. Wir sind Staub, Erde, Lehm, aber, wenn wir uns von Gottes Händen formen lassen, werden wir zu etwas Wunderbarem. Und doch sehen wir oft, besonders in Schwierigkeiten und in der Einsamkeit, nur unseren Staub! Aber der Herr ermutigt uns: Das Wenige, das wir sind, besitzt in seinen Augen einen unendlichen Wert. Nur Mut, wir wurden geboren, um geliebt zu werden, wir wurden geboren, um Kinder Gottes zu sein.

Liebe Brüder und Schwestern, zu Beginn der Fastenzeit sollten wir uns das bewusstmachen. Denn die Fastenzeit ist nicht die Zeit, nutzlose Moralismen über die Menschen zu ergießen, sondern anzuerkennen, dass unsere erbärmliche Asche von Gott geliebt ist. Dies ist eine Zeit der Gnade, damit wir Gottes liebevoll auf uns gerichteten Blick annehmen und unter diesem Blick unser Leben ändern. Wir sind in dieser Welt, um von der Asche zum Leben zu gelangen. Lasst uns also die Hoffnung nicht zerstäuben, lassen wir den Traum, den Gott von uns hat, nicht zu Asche werden. Lasst uns nicht in Resignation verfallen. Und du sagst: „Wie kann ich vertrauen? Um die Welt steht es schlecht, die Angst breitet sich aus, es gibt so viel Bosheit und die Gesellschaft wird immer unchristlicher...“. Glaubst du denn nicht, dass Gott unseren Staub in Herrlichkeit verwandeln kann?

Die Asche, die uns auf das Haupt gestreut wird, erschüttert die Gedanken in unserem Kopf. Sie erinnert uns daran, dass wir Kinder Gottes nicht dafür leben dürfen, um dem Staub nachzulaufen, der sich auflöst. Eine Frage kann von unseren Köpfen in die Tiefe unserer Herzen gelangen: „Wofür lebe ich?“ Wenn ich für die Dinge der Welt lebe, die vergehen, kehre ich zum Staub zurück und verleugne, was Gott an mir getan hat. Wenn ich nur lebe, um ein wenig Geld nach Hause zu bringen und Spaß zu haben, für ein wenig Ansehen, um ein bisschen Karriere zu machen, dann lebe ich von Staub. Wenn ich das Leben nur deshalb für schlecht halte, weil ich nicht genug Beachtung finde oder von anderen nicht das bekomme, was mir meines Erachtens zusteht, bleibt mein Blick dem Staub verhaftet.

Dafür sind wir nicht in der Welt. Wir sind viel mehr wert, wir leben für viel mehr: um Gottes Traum zu verwirklichen, um zu lieben. Die Asche legt sich auf unsere Häupter, damit sich in unseren Herzen das Feuer der Liebe entzünde. Denn wir sind Bürger des Himmels und die Liebe zu Gott und zum Nächsten ist unser Reisepass für den Himmel, unser Ausweis. Die irdischen Güter, die wir besitzen, werden uns nichts nützen, sie sind Staub, der verweht, aber die Liebe, die wir schenken – in der Familie, bei der Arbeit, in der Kirche, in der Welt – wird uns retten, sie wird für immer bleiben.

Die Asche, die wir empfangen, erinnert uns an einen zweiten, entgegengesetzten Weg, den vom Leben zum Staub. Wir schauen uns um und sehen den Staub des Todes. Leben, das zu Asche zerfällt. Trümmer, Zerstörung, Krieg. Das Leben von nicht angenommenen unschuldigen Kindern, das Leben zurückgewiesener armer Menschen, das Leben ausrangierter alter Menschen. Wir zerstören uns immer weiter selbst und werden wieder zu Staub. Und wie viel Staub gibt es in unseren Beziehungen! Schauen wir, wie es bei uns zu Hause aussieht, in unseren Familien: wie viele Streitigkeiten, wieviel Unfähigkeit, Konflikte zu entschärfen, wie viel Mühe, sich zu entschuldigen, zu vergeben, neu anzufangen, während es uns so leicht fällt unsere Freiräume und unsere Rechte einzufordern! Es gibt eine Menge Staub, der die Liebe beschmutzt und das Leben verunstaltet. Wir haben zugelassen, dass sich auch in der Kirche, dem Haus Gottes, so viel Staub absetzen konnte, der Staub der Weltlichkeit.

Und schauen wir in uns selbst, in unsere Herzen: Wie oft ersticken wir Gottes Feuer mit der Asche der Heuchelei! Heuchelei ist der Schmutz, den zu entfernen uns Jesus im heutigen Evangelium auffordert. In der Tat sagt der Herr nicht nur, dass man Werke der Nächstenliebe tun, beten und fasten soll, sondern dass man all dies tun soll, ohne irgendetwas vorzutäuschen, ohne Doppelzüngigkeit und ohne Heuchelei (vgl. Mt 6,2.5.16). Wie oft hingegen machen wir etwas, nur um anerkannt zu werden, für unser Ansehen, für unser Ego! Wie oft bezeichnen wir uns als Christen und geben uns in unseren Herzen ohne Probleme den Leidenschaften hin, die uns zu Sklaven machen! Wie oft predigen wir das eine und tun das andere! Wie oft geben wir uns äußerlich gut und hegen in unserem Inneren Groll! Wie viel Falschheit ist in unseren Herzen... Das ist Staub, der schmutzig macht, Asche, die das Feuer der Liebe erstickt.

Wir müssen uns von dem Staub reinigen, der sich auf unseren Herzen ablagert. Wie geht das? Der eindringliche Aufruf des heiligen Paulus in der zweiten Lesung hilft uns: »Lasst euch mit Gott versöhnen!« Paulus fordert das nicht, er fleht darum: »Wir bitten an Christi statt: Lasst euch mit Gott versöhnen!« (2 Kor 5,20). Wir hätten wohl gesagt: „Versöhnt euch mit Gott!“. Aber nein, er gebraucht die passive Form: Lasst euch versöhnen. Denn Heiligkeit kommt nicht von unserem Tun, sie ist Gnade! Denn alleine sind wir nicht in der Lage, den Staub, der unsere Herzen beschmutzt, zu entfernen. Denn nur Jesus, der unser Herz kennt und liebt, kann es heilen. Die Fastenzeit ist eine Zeit der Heilung.

Was sollten wir also tun? Auf Ostern hin können wir zwei Übergänge vollziehen: den ersten, vom Staub zum Leben, von unserer schwachen Menschlichkeit zur Menschlichkeit Jesu, der uns heilt. Wir können uns vor den Gekreuzigten hinstellen, dort verweilen, ihn anblicken und immer wieder sagen: „Jesus, du liebst mich, verwandle mich... Jesus, du liebst mich, verwandle mich...“. Und nachdem man seine Liebe angenommen hat, nachdem man angesichts dieser Liebe geweint hat, kommt der zweite Übergang, damit man nicht vom Leben wieder in den Staub zurückfällt. Man geht zur Beichte, um Gottes Vergebung zu empfangen, denn dort verzehrt das Feuer der Liebe Gottes die Asche unserer Sünde. Die Umarmung des Vaters bei der Beichte erneuert uns innerlich, sie reinigt unser Herz. Lassen wir uns versöhnen, um als geliebte Kinder zu leben, als Sünder, denen vergeben wurde, als geheilte Kranke, als Wanderer, die auf ihrem Weg nicht alleine sind. Lassen wir uns lieben, um selbst zu lieben. Lassen wir uns aufhelfen, um auf das Ziel zuzugehen, auf Ostern. Wir werden mit Freude entdecken, dass Gott uns aus unserer Asche auferweckt.

[00274-DE.01] [Originalsprache: Italienisch]

Traduzione in lingua spagnola

Comenzamos la Cuaresma recibiendo las cenizas: “Recuerda que eres polvo y al polvo volverás” (cf. Gn 3,19). El polvo en la cabeza nos devuelve a la tierra, nos recuerda que procedemos de la tierra y que volveremos a la tierra. Es decir, somos débiles, frágiles, mortales. Respecto al correr de los siglos y los milenios, estamos de paso; ante la inmensidad de las galaxias y del espacio, somos diminutos. Somos polvo en el universo. Pero somos el polvo amado por Dios. Al Señor le complació recoger nuestro polvo en sus manos e infundirle su aliento de vida (cf. Gn 2,7). Así que somos polvo precioso, destinado a vivir para siempre. Somos la tierra sobre la que Dios ha vertido su cielo, el polvo que contiene sus sueños. Somos la esperanza de Dios, su tesoro, su gloria.

La ceniza nos recuerda así el trayecto de nuestra existencia: del polvo a la vida. Somos polvo, tierra, arcilla, pero si nos dejamos moldear por las manos de Dios, nos convertimos en una maravilla. Y aún así, especialmente en las dificultades y la soledad, solamente vemos nuestro polvo. Pero el Señor nos anima: lo poco que somos tiene un valor infinito a sus ojos. Ánimo, nacimos para ser amados, nacimos para ser hijos de Dios.

Queridos hermanos y hermanas: Al comienzo de la Cuaresma, necesitamos caer en la cuenta de esto. Porque la Cuaresma no es el tiempo para cargar con moralismos innecesarios a las personas, sino para reconocer que nuestras pobres cenizas son amadas por Dios. Es un tiempo de gracia, para acoger la mirada amorosa de Dios sobre nosotros y, sintiéndonos mirados así, cambiar de vida. Estamos en el mundo para caminar de las cenizas a la vida. Entonces, no pulvericemos la esperanza, no incineremos el sueño que Dios tiene sobre nosotros. No caigamos en la resignación. Y te preguntas: “¿Cómo puedo confiar? El mundo va mal, el miedo se extiende, hay mucha crueldad y la sociedad se está descristianizando...”. Pero, ¿no crees que Dios puede transformar nuestro polvo en gloria?

La ceniza que nos imponen en nuestras cabezas sacude los pensamientos que tenemos en la mente. Nos recuerda que nosotros, hijos de Dios, no podemos vivir para ir tras el polvo que se desvanece. Una pregunta puede descender de nuestra cabeza al corazón: “Yo, ¿para qué vivo?”. Si vivo para las cosas del mundo que pasan, vuelvo al polvo, niego lo que Dios ha hecho en mí. Si vivo sólo para traer algo de dinero a casa y divertirme, para buscar algo de prestigio, para hacer un poco de carrera, vivo del polvo. Si juzgo mal la vida sólo porque no me toman suficientemente en consideración o no recibo de los demás lo que creo merecer, sigo mirando el polvo.

No estamos en el mundo para esto. Valemos mucho más, vivimos para mucho más: para realizar el sueño de Dios, para amar. La ceniza se posa sobre nuestras cabezas para que el fuego del amor se encienda en los corazones. Porque somos ciudadanos del cielo y el amor a Dios y al prójimo es el pasaporte al cielo, es nuestro pasaporte. Los bienes terrenos que poseemos no nos servirán, son polvo que se desvanece, pero el amor que damos —en la familia, en el trabajo, en la Iglesia, en el mundo— nos salvará, permanecerá para siempre.

La ceniza que recibimos nos recuerda un segundo camino, el opuesto, el que va de la vida al polvo. Miramos a nuestro alrededor y vemos polvo de muerte. Vidas reducidas a cenizas. Ruinas, destrucción, guerra. Vidas de niños inocentes no acogidos, vidas de pobres rechazados, vidas de ancianos descartados. Seguimos destruyéndonos, volviéndonos de nuevo al polvo. ¡Y cuánto polvo hay en nuestras relaciones! Miremos en nuestra casa, en nuestras familias: cuántos litigios, cuánta incapacidad para calmar los conflictos. ¡Qué difícil es disculparse, perdonar, comenzar de nuevo, mientras que reclamamos con tanta facilidad nuestros espacios y nuestros derechos! Hay tanto polvo que ensucia el amor y desfigura la vida. Incluso en la Iglesia, la casa de Dios, hemos dejado que se deposite tanto polvo, el polvo de la mundanidad.

Y mirémonos dentro, en el corazón: ¡cuántas veces sofocamos el fuego de Dios con las cenizas de la hipocresía! La hipocresía es la inmundicia que hoy en el Evangelio Jesús nos pide que eliminemos. De hecho, el Señor no dice sólo hacer obras de caridad, orar y ayunar, sino cumplir todo esto sin simulación, sin doblez, sin hipocresía (cf. Mt 6,2.5.16). Sin embargo, cuántas veces hacemos algo sólo para ser estimados, para aparentar, para alimentar nuestro ego. Cuántas veces nos decimos cristianos y en nuestro corazón cedemos sin problemas a las pasiones que nos esclavizan. Cuántas veces predicamos una cosa y hacemos otra. Cuántas veces aparentamos ser buenos por fuera y guardamos rencores por dentro. Cuánta doblez tenemos en nuestro corazón... Es polvo que ensucia, ceniza que sofoca el fuego del amor.

Necesitamos limpiar el polvo que se deposita en el corazón. ¿Cómo hacerlo? Nos ayuda la sincera llamada de san Pablo en la segunda lectura: “¡Dejaos reconciliar con Dios!”. Pablo no lo sugiere, lo pide: «En nombre de Cristo os pedimos que os reconciliéis con Dios» (2 Co 5,20). Nosotros habríamos dicho: “¡Reconciliaos con Dios!”. Pero no, usa el pasivo: Dejaos reconciliar. Porque la santidad no es asunto nuestro, sino es gracia. Porque nosotros solos no somos capaces de eliminar el polvo que ensucia nuestros corazones. Porque sólo Jesús, que conoce y ama nuestro corazón, puede sanarlo. La Cuaresma es tiempo de curación.

Entonces, ¿qué debemos hacer? En el camino hacia la Pascua podemos dar dos pasos: el primero, del polvo a la vida, de nuestra frágil humanidad a la humanidad de Jesús, que nos sana. Podemos ponernos delante del Crucifijo, quedarnos allí, mirar y repetir: “Jesús, tú me amas, transfórmame... Jesús, tú me amas, transfórmame...”. Y después de haber acogido su amor, después de haber llorado ante este amor, se da el segundo paso, para no volver a caer de la vida al polvo. Se va a recibir el perdón de Dios, en la confesión, porque allí el fuego del amor de Dios consume las cenizas de nuestro pecado. El abrazo del Padre en la confesión nos renueva por dentro, limpia nuestro corazón. Dejémonos reconciliar para vivir como hijos amados, como pecadores perdonados, como enfermos sanados, como caminantes acompañados. Dejémonos amar para amar. Dejémonos levantar para caminar hacia la meta, la Pascua. Tendremos la alegría de descubrir que Dios nos resucita de nuestras cenizas.

[00274-ES.01] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua portoghese

Começamos a Quaresma com a receção das cinzas: «Lembra-te que és pó da terra e à terra hás de voltar» (cf. Gn 3, 19). O pó sobre a cabeça faz-nos ter os pés assentes na terra: recorda-nos que viemos da terra e, à terra, voltaremos; isto é, somos débeis, frágeis, mortais. No longo decorrer dos séculos e milénios, passamos num ai; comparados com a imensidão das galáxias e do espaço, somos minúsculos; somos um bocado de pó no universo. Mas somos o pó amado por Deus. Amorosamente o Senhor recolheu nas suas mãos o nosso pó e, nele, insuflou o seu sopro de vida (cf. Gn 2, 7). Por isso somos um pó precioso, destinado a viver para sempre. Somos a terra sobre a qual Deus estendeu o seu céu, o pó que contém os seus sonhos. Somos a esperança de Deus, o seu tesouro, a sua glória.

Deste modo, a cinza recorda-nos o percurso da nossa existência: do pó à vida. Somos pó, terra, barro; mas, se nos deixarmos plasmar pelas mãos de Deus, tornamo-nos uma maravilha. Todavia muitas vezes, sobretudo nas dificuldades e na solidão, vemos só o nosso pó! Mas o Senhor encoraja-nos: o pouco que somos, aos olhos d’Ele tem valor infinito. Coragem! Nascemos para ser amados; nascemos para ser filhos de Deus.

No início da Quaresma, amados irmãos e irmãs, consciencializemo-nos disto. Porque a Quaresma não é o tempo para fazer cair sobre o povo inúteis moralismos, mas para reconhecer que as nossas míseras cinzas são amadas por Deus. É tempo de graça, para acolher o olhar amoroso de

Deus sobre nós e, assim contemplados, mudar de vida. Estamos no mundo para caminhar da cinza à vida. Então, não pulverizemos a esperança, nem incineremos o sonho que Deus tem sobre nós. Não cedamos à resignação. Dizes tu: «E como posso ter confiança? O mundo vai mal, o medo alastra, há tanta malvadez e a sociedade está a descristianizar-se...» Mas tu, não acreditas que Deus pode transformar o nosso pó em glória?

A cinza, que recebemos na testa, abala os pensamentos que temos na cabeça. Lembra-nos que nós, filhos de Deus, não podemos viver correndo atrás do pó que desaparece. Pode descer da cabeça ao coração esta pergunta: «Para que vivo eu?» Se vivo para as coisas do mundo que passam, volto ao pó, renego aquilo que Deus fez em mim. Se vivo só para arrecadar algum dinheiro e divertir-me, procurar um certo prestígio, fazer carreira, então estou a viver de pó. Se julgo má a vida, só porque não sou tido suficientemente em consideração, ou não recebo dos outros o que acho merecer, estou ainda com o olhar no pó.

Não estamos no mundo para isso. Valemos muito mais, vivemos para muito mais: para realizar o sonho de Deus, para amar. A cinza pousa nas nossas testas, para que, nos corações, se acenda o fogo do amor. Com efeito, somos cidadãos do céu. E o amor a Deus e ao próximo é o passaporte para o céu; é o nosso passaporte. Não poderão valer-nos os bens terrenos que possuímos – são pó que desaparece! –, mas salvar-nos-á o amor que oferecemos na família, no trabalho, na Igreja, no mundo: tal amor permanecerá para sempre.

A cinza que recebemos recorda-nos um segundo percurso: o percurso contrário, que vai da vida ao pó. Olhamos em redor e vemos pó de morte, vidas reduzidas a cinzas: escombros, destruição, guerra. Vidas de bebés inocentes não acolhidos, vidas de pobres rejeitados, vidas de idosos descartados. Continuamos a destruir-nos, a fazer-nos voltar ao pó. E quanto pó existe nas nossas relações! Vejamos em nossa casa, nas famílias: quantas brigas, quanta incapacidade de neutralizar os conflitos, quanta dificuldade em pedir desculpa, perdoar, recomeçar, enquanto com tanta facilidade reclamamos os nossos espaços e direitos! Há tanto pó que suja o amor e embrutece a vida. Mesmo na Igreja, a casa de Deus, deixamos depositar tanto pó, o pó do mundanismo.

E olhemo-nos dentro, no coração… Quantas vezes sufocamos o fogo de Deus com a cinza da hipocrisia! A hipocrisia: é a imundície que hoje, no Evangelho, Jesus pede para remover. De facto, o Senhor não diz apenas para fazer obras de caridade, rezar e jejuar, mas que tudo isso seja feito sem fingimento, sem falsidade nem hipocrisia (cf. Mt 6, 2.5.16). E, contudo, quantas vezes fazemos algo só para ser louvados, para meter figura, para me vangloriar! Quantas vezes nos proclamamos cristãos e, no coração, cedemos sem problemas às paixões que nos escravizam! Quantas vezes pregamos uma coisa e fazemos outra! Quantas vezes nos mostramos bons por fora e dentro incubamos rancores! Quanta duplicidade temos no coração... É pó que suja, cinza que sufoca o fogo do amor.

Precisamos de limpar o pó que se deposita no coração. Como fazer? Ajuda-nos o veemente apelo de São Paulo na segunda Leitura: «Deixai-vos reconciliar com Deus!» Paulo não o exige; suplica-o: «Em nome de Cristo suplicamo-vos: deixai-vos reconciliar com Deus!» (2 Cor 5, 20). Nós teríamos dito: «Reconciliai-vos com Deus». Mas ele, não; usa o passivo: deixai-vos reconciliar. Porque a santidade não é obra nossa; é graça. Sozinhos, não somos capazes de tirar o pó que suja o coração, pois só Jesus, que conhece e ama o nosso coração, pode curá-lo. A Quaresma é tempo de cura.

Que fazer então? No caminho rumo à Páscoa, podemos efetuar duas passagens: a primeira, do pó à vida, da nossa humanidade frágil à humanidade de Jesus, que nos cura. Podemos colocar-nos diante do Crucificado, ficar lá olhando-O e repetindo: «Jesus, Vós me amais; transformai-me! Jesus, Vós me amais; transformai-me…» E depois de ter acolhido o seu amor, depois de ter chorado à vista deste amor, a segunda passagem, para não voltar a cair da vida ao pó: vai-se receber o perdão de Deus, na Confissão, porque lá o fogo do amor de Deus consome a cinza do nosso pecado. O abraço do Pai na Confissão renova-nos por dentro, limpa-nos o coração. Deixemo-nos reconciliar, para viver como filhos amados, pecadores perdoados, doentes curados, viandantes acompanhados. Para amar, deixemo-nos amar; deixemo-nos erguer, para caminhar rumo à meta – à Páscoa. Teremos a alegria de descobrir que Deus nos ressuscita das nossas cinzas.

[00274-PO.01] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua polacca

Rozpoczynamy Wielki Post od posypania popiołem: „Pamiętaj, że jesteś prochem i w proch się obrócisz” (por. Rdz 3, 19). Pył na głowie zwraca nas ku ziemi, przypomina nam, że pochodzimy z ziemi i że do ziemi powrócimy. Oznacza to, że jesteśmy słabi, wątli, śmiertelni. Przez stulecia i tysiąclecia jesteśmy na drodze przemijania, w obliczu ogromu galaktyk i przestrzeni jesteśmy maleńcy. Jesteśmy prochem we wszechświecie. Ale jesteśmy prochem umiłowanym przez Boga. Pan z miłością wziął nasz pył w ręce i tchnął weń swoje tchnienie życia (por. Rdz 2, 7). Jesteśmy więc cennym pyłem, przeznaczonym, by żyć na wieki. Jesteśmy ziemią, którą Bóg obdarzył swym niebem, prochem zawierającym Jego marzenia. Jesteśmy nadzieją Boga, Jego skarbem, Jego chwałą.

Popiół przypomina nam zatem przebieg naszego życia: od prochu do życia. Jesteśmy prochem, ziemią, gliną, ale jeśli pozwolimy się kształtować rękoma Boga, staniemy się cudem. Jednak często, szczególnie w chwilach trudnych i w samotności, widzimy jedynie nasz proch! Ale Pan dodaje nam otuchy: to niewiele, jakim jesteśmy, ma w Jego oczach nieskończoną wartość. Odwagi, urodziliśmy się, by być miłowanymi, urodziliśmy się, aby być dziećmi Bożymi.

Drodzy bracia i siostry, na początku Wielkiego Postu zdajmy sobie z tego sprawę. Wielki Post nie jest bowiem czasem, by wylewać na ludzi niepotrzebne moralizmy, ale by uznać, że nasze nędzne popioły są miłowane przez Boga. Jest to czas łaski, aby przyjąć skierowane na nas spojrzenie miłości Boga i, będąc postrzeganymi w ten sposób, zmienić życie. Jesteśmy w świecie, aby przejść od popiołu do życia. Nie zamieniajmy zatem nadziei w pył, nie zamieniajmy w popiół marzenia, jakie ma Bóg względem nas. Nie ulegajmy rezygnacji. A ty mówisz: „Jak mogę zaufać? Świat zmierza w złym kierunku, szerzy się strach, jest wiele niegodziwości, a społeczeństwo ulega dechrystianizacji... ”. Ale czy wierzysz, że Bóg może przemienić nasz pył w chwałę?

Popiół, którym posypujemy nasze głowy, wstrząsa myślami, jakie mamy w głowach. Przypomina nam, że my, dzieci Boże, nie możemy żyć, by gonić za pyłem, który zanika. Z głowy do serca może zstąpić pytanie: „Po co żyję?”. Jeśli żyję dla rzeczy świata, które przemijają, wracam do prochu, zaprzeczam temu, co Bóg we mnie uczynił. Jeśli żyję tylko po to, żeby przynieść do domu trochę pieniędzy i dobrze się bawić, by dążyć do odrobiny prestiżu, zrobić karierę - żyję prochem. Jeśli źle oceniam życie tylko dlatego, że nie jestem dostatecznie doceniony lub nie otrzymuję od innych tego, na co moim zdaniem zasługuję, to nadal patrzę w proch.

Nie po to jesteśmy na świecie. Jesteśmy warci o wiele więcej, żyjemy dla czegoś znacznie większego: by realizować marzenie Boga, aby kochać. Posypujemy głowy popiołem, aby w sercach rozpalił się ogień miłości. Jesteśmy bowiem obywatelami nieba, a miłość Boga i bliźniego jest paszportem do nieba, to nasz paszport. Dobra ziemskie, które posiadamy, nie będą nam potrzebne, są prochem, który zanika, ale miłość, którą dajemy - w rodzinie, w pracy, w Kościele, na świecie - zbawi nas, pozostanie na zawsze.

Popiół, który przyjmujemy, przypomina nam drugą drogę, przeciwną, tę, która prowadzi od życia do prochu. Rozglądamy się wokół siebie i widzimy prochy śmierci. Życie sprowadzone do popiołu. Ruiny, zniszczenie, wojna. Życie niewinnych maleństw, które nie zostało przyjęte, życie oddalonych ubogich, życie odrzuconych osób starszych. Nadal niszczymy samych siebie, sprawiamy, że obracamy się w proch. Ileż pyłu jest w naszych relacjach! Spójrzmy na nasz dom, w naszych rodzinach: ile kłótni, ile niezdolności do rozładowania konfliktów, jak trudno przeprosić, wybaczyć, zacząć od nowa, gdy z taką łatwością domagamy się naszych przestrzeni i naszych praw! Jest wiele pyłu, który brudzi miłość i brutalizuje życie. Również w Kościele, w domu Bożym, pozwoliliśmy, by osiadło wiele pyłu, pyłu światowości.

Spójrzmy też w nasze wnętrze, do serca: ileż razy tłumimy Boży ogień popiołem obłudy! Hipokryzja: to właśnie jest brud, który Jezus chce dziś w Ewangelii usunąć. Istotnie Pan mówi nie tylko o uczynkach miłosierdzia, o modlitwie i poście, ale o tym, aby uczynić to wszystko bez udawania, bez dwulicowości, bez obłudy, (por. Mt 6,2.5.16). Ileż razy natomiast coś czynimy, tylko po to, aby nas chwalono, dla naszego obrazu, dla naszego ego! Ileż razy deklarujemy się jako chrześcijanie, a w sercu bezproblemowo ulegamy namiętnościom, które czynią nas niewolnikami! Ile razy głosimy jedną rzecz, a robimy co innego! Ileż razy na zewnątrz ukazujemy siebie jako dobrych, a wewnątrz chowamy urazy! Jak wiele w naszych sercach mamy dwulicowości... Jest to proch, który brudzi, popiół tłumiący ogień miłości.

Potrzebujemy oczyszczenia z prochu, który osiada na sercu. Jak to uczynić? Pomaga nam żarliwe wezwanie świętego Pawła w drugim czytaniu: „Dajcie się pojednać z Bogiem!”. Paweł nie prosi o to, ale błaga: „W imię Chrystusa prosimy: zostańcie pojednani z Bogiem” (2 Kor 5, 20). Powiedzielibyśmy: „Pojednajcie się z Bogiem!”. Ale nie, używa strony biernej: zostańcie pojednani. Świętość nie jest bowiem naszym działaniem, jest łaską! O własnych siłach nie jesteśmy bowiem w stanie usunąć pyłu, który brudzi nasze serca. Ponieważ tylko Jezus, który zna i kocha nasze serce, może je uzdrowić. Wielki Post to czas uzdrowienia.

Co zatem czynić? W drodze ku Świętom Paschalnym możemy uczynić dwa kroki: pierwszy, z prochu do życia, od naszego kruchego człowieczeństwa do człowieczeństwa Jezusa, który nas uzdrawia. Możemy stanąć przed krzyżem, pozostać tam, popatrzeć i powtórzyć: „Jezu, Ty mnie miłujesz, przemień mnie... Jezu, Ty mnie miłujesz, przemień mnie...”. A przyjąwszy Jego miłość, po zapłakaniu w obliczu tej miłości, drugi krok, by nie popaść z życia w proch. Idziemy, żeby otrzymać Boże przebaczenie podczas spowiedzi, ponieważ tam ogień Bożej miłości pochłania popioły naszego grzechu. Objęcie Ojca w spowiedzi odnawia nas wewnętrznie, oczyszcza nasze serce. Pozwólmy się pojednać, aby żyć jak umiłowane dzieci, grzesznicy, którym przebaczono, jako uzdrowieni chorzy, jako wędrowcy, wsparci towarzyszeniem. Pozwólmy się miłować, aby kochać. Pozwólmy się podnieść, aby pielgrzymować do celu, ku Wielkanocy. Będziemy się cieszyć odkrywając, że Bóg nas wskrzesza z naszych popiołów.

[00274-PL.01] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua araba

عظة قداسة البابا فرنسيس

خلال القدّاس الإلهيّ

بمناسبة أربعاء الرماد

بازليك القدّيس بطرس

الأربعاء 26 فبراير/ شباط 2020

نبدأ الزمن الصوم الأربعيني بوضع الرماد على رؤوسنا: "أذكر أنك تراب، وإلى التراب ستعود" (را. تك 3، 19). إن الرماد الذي يوضع على الرأس يعيدنا إلى الأرض ويذكرنا بأننا من الأرض أتينا، وإليها سنعود. هذا يعني أننا ضعفاء قابلون للخطأ وعرضة للموت. مقارنة بالعصور وبآلاف السنين نحن عابرون، وأمام الفضاء والمجرات الشاسعة نحن صغار جدا. نحن غبار في الكون. لكننا غبار يحبه الله. أحب الله أن يجمع غبارنا بين يديه وينفخ فيه نسمة الحياة (را. تك 2، 7). لذلك نحن غبار ثمين، ومصيرنا الخلود. نحن الأرض التي عليها أنزل الله سماءه، نحن الغبار الذي يحتوي على أحلامه. نحن رجاء الله وكنزه ومجده.

يذكرنا الرماد إذًا بمراحل وجودنا: من الغبار إلى الحياة. نحن غبار وتراب وطين، لكن إذ جبلنا الله بيديه أصبحنا شيئًا عجيبًا. غير أننا في كثير من الأحيان، وخاصة في الصعوبات والوِحدة، نرى فقط أننا غبار! والله يشجعنا: نحن شيء قليل، لكن لنا قيمة لا متناهية في عينيه. تشجعوا، وُلِدنا لكي نكون محبوبين، وُلِدنا لنكون أبناء الله.

إخوتي وأخواتي الأعزاء، مع بداية زمن الصوم، لندرك هذا الأمر: زمن الصوم ليس الزمن الذي نفرض فيه على الناس ممارسات وأوامر ونواهي لا فائدة لها، بل هو زمن نعي فيه وندرك أننا مع كوننا من التراب البائس فإن الله يحبنا. هذا وقت النعمة، فيه نستقبل نظر الله علينا، وتحت نظره نبدِّل حياتنا. نحن في العالم لكي نسير من الرماد إلى الحياة. لذلك علينا ألّا نبدد الرجاء الذي فينا، وألا ندفن في التراب حلم الله الخاص بنا. لا نخضَعْ للاستلام. قد تقول: "من أين تأتيني الثقة؟ العالم ممتلئ بالسوء، والخوف ينتشر، وهناك خبث وشر كثير، والمجتمع يتخلى عن المسيحية...". لكن ألا تؤمن أن الله قادر على أن يحوِّل غبارنا إلى مجد؟

الرماد الذي يوضع على رؤوسنا ينفض الأفكار التي نغذيها في ذهننا. إنه يذكرنا بأننا أبناء الله، وأننا لا نستطيع العيش لنسير مع الغبار الذي يتبدد. قد يراودنا سؤال يتبلور في رؤوسنا وينزل إلى قلبنا: "أنا، ما الذي أعيش من أجله؟". إن كنت أعيش من أجل أشياء العالم الفاني، فإنني أعود إلى الغبار، وأنكر ما فعله الله فيَّ. إن كنت أعيش فقط حتى أعود كل يوم ببعض المال إلى البيت وأستمتع به، أو لأبحث عن بعض الشهرة، أو لأضمن لي عملًا ومكانة في الحياة، فأنا أعيش في غبار. إن حكمت بالشر على الحياة فقط لأن الناس لا يعتبرونني بما فيه الكفاية أو لأني لا أتلقى من الآخرين ما أعتقد أني أستحقه، فأنا أحدّق في الغبار.

نحن لسنا في العالم لهذا الغرض. قيمتنا أكثر من ذلك بكثير، ونعيش من أجل أكثر من ذلك بكثير: نعيش لنحقق حلم الله، لنحب. الرماد يوضع على رؤوسنا لتشتعل نار المحبة في القلوب. لأننا سكّان السماء، ومحبة الله والقريب هي جواز سفرنا إلى السماء. هذا هو جواز سفرنا. الخيرات الأرضية التي نمتلكها لن تفيدنا، إنها غبار يتلاشى، لكن المحبة التي نبذلها في العائلة، وفي العمل، وفي الكنيسة، وفي العالم، هي التي ستخلصنا، وهي باقية إلى الأبد.

يذكرنا الرماد الذي يوضع على رأسنا بمسيرة ثانية، عكسية، وهي المسيرة من الحياة إلى التراب. لننظر حولنا ولْنَرَ رماد الموت. حياة الكثيرين صارت رمادًا. الأنقاض، والدمار، والحرب. هُدِرت حياة أطفال أبرياء غير مرغوب فيهم، وحياة الفقراء المنبوذين، وحياة المسنين المهملين. ونستمر بتدمير أنفسنا، ونعيد أنفسنا إلى التراب. وكم من غبار موجود في علاقاتنا! لنُلْقِ نظرة على بيتنا، في العائلات: كم من مشاجرات، وعدم القدرة على نزع فتيل النزاعات، كم يصعب علينا أن نعتذر، وأن نغفر، وأن نبدأ من جديد، بينما يسهل علينا أن نطالب بحقوقنا وبما يخصنا! غبار كثير يعكر الحب، ويجعل الحياة قاسية. حتى في الكنيسة، بيت الله، تركنا غبارًا كثيرًا يتراكم، أي غبار حياة العالم.

لننظر إلى الداخل، إلى القلب: كم مرة نخنق نار الله برماد النفاق! النفاق: إنه القذارة التي يطلب يسوع إزالتها، في إنجيل اليوم. في الحقيقة، لا يطلب يسوع المسيح فقط القيام بأعمال المحبة، والصلاة والصوم، بل القيام بكل هذا دون تظاهر، ودون ازدواجية، ودون نفاق (را. متى 6، 2. 5. 16). كم مرة نفعل شيئًا ما لمجرد أن نلاقي الاستحسان، حتى نستعيد لنفوسنا الخير الذي نصنعه، من أجل الأنا! كم مرة نفاخر ونقول إننا مسيحيون وفي قلوبنا نستسلم دون تردد للأهواء التي تستعبدنا! كم مرة نعظ بشيء ونفعل شيئًا آخر! كم مرة نتظاهر في الخارج أننا صالحون وفي الداخل تملأنا الأحقاد! كم من الازدواجية في قلوبنا ... إنه غبار يلوث، ورماد يخنق نار الحب.

نحن بحاجة إلى إزالة الغبار المتراكم على القلب. كيف نفعل ذلك؟ يساعدنا في ذلك القديس بولس بندائه الحارّ الذي يوجهه إلينا في القراءة الثانية، قال أسألكم: " أَن تَدَعوا اللّهَ يُصالِحُكُم!". بولس لا يطلب، بل يتوسل: "نَسأَلُكُم بِاسمِ المسيح أَن تَدَعوا اللّهَ يُصالِحُكُم". (2 قور 5، 20). نحن نقول: " تصالحوا مع الله!". بدلًا من ذلك هو ينسب المصالحة إلى الله، لا إلى محض قوتنا، فيقول: أسألكم أَن تَدَعوا اللّهَ يُصالِحُكُم. لأن القداسة ليست ثمرة جهودنا، إنها نعمة من الله! لأننا، وحدنا، لا نقدر أن نزيل الغبار الذي يلوث قلوبنا. يسوع وحده الذي يعرف قلبنا ويحبنا يقدر أن يشفيه. زمن الصوم هو زمن الشفاء.

ما العمل إذًا؟ في مسيرتنا نحو الفصح يمكننا أن نقوم بخطوتين: الأولى، ننتقل بها من الغبار إلى الحياة، من إنسانيتنا الضعيفة إلى إنسانية يسوع الذي يشفينا. يمكننا أن نقف أمام المصلوب، والبقاء هناك، وننظر إليه ونكرر: "يسوع، أنت تحبني، بدِّلْني... يسوع، أنت تحبني، بدِّلْني...". وبعد أن قبِلْتَ حبه، وبعد البكاء أمام هذا الحب، تأتي الخطوة الثانية، حتى لا نسقط من جديد من الحياة إلى الغبار. تذهب لتقبل المغفرة من الله، في سر التوبة. هناك نار محبة الله التي تبدد رماد خطايانا. معانقة الآب لنا في الاعتراف بخطايانا يجددنا في الداخل، وينقي قلبنا. لندَعْ الله يصالحنا من أجل أن نعيش كأبناء أحباء، وخاطئين غفرت خطاياهم، ومرضى نالوا الشفاء، ومسافرين والله رفيقنا. لنترك الله يحبنا حتى نحبه. لنتركه ينهضنا لنسير نحو الهدف، نحو الفصح. هناك سنفرح حين نكتشف أن الله ينهضنا من رمادنا ويعيدنا إلى الحياة.

[00274-AR.01] [Testo originale: Italiano]

[B0130-XX.02]