Sala Stampa

www.vatican.va

Sala Stampa Back Top Print Pdf
Sala Stampa


Messaggio del Santo Padre Francesco per la celebrazione della 53ma Giornata Mondiale della Pace (1° gennaio 2020), 12.12.2019


Messaggio del Santo Padre

Traduzione in lingua francese

Traduzione in lingua inglese

Traduzione in lingua tedesca

Traduzione in lingua spagnola

Traduzione in lingua portoghese

Traduzione in lingua polacca

Traduzione in lingua araba

Pubblichiamo di seguito il testo del Messaggio del Santo Padre Francesco per la 53ma Giornata Mondiale della Pace, che si celebra il 1° gennaio 2020 sul tema “La Pace come cammino di speranza: dialogo, riconciliazione e conversione ecologica”:

Messaggio del Santo Padre

LA PACE COME CAMMINO DI SPERANZA:
DIALOGO, RICONCILIAZIONE E CONVERSIONE ECOLOGICA

1. La pace, cammino di speranza di fronte agli ostacoli e alle prove

La pace è un bene prezioso, oggetto della nostra speranza, al quale aspira tutta l’umanità. Sperare nella pace è un atteggiamento umano che contiene una tensione esistenziale, per cui anche un presente talvolta faticoso «può essere vissuto e accettato se conduce verso una meta e se di questa meta noi possiamo essere sicuri, se questa meta è così grande da giustificare la fatica del cammino».[1] In questo modo, la speranza è la virtù che ci mette in cammino, ci dà le ali per andare avanti, perfino quando gli ostacoli sembrano insormontabili.

La nostra comunità umana porta, nella memoria e nella carne, i segni delle guerre e dei conflitti che si sono succeduti, con crescente capacità distruttiva, e che non cessano di colpire specialmente i più poveri e i più deboli. Anche intere nazioni stentano a liberarsi dalle catene dello sfruttamento e della corruzione, che alimentano odi e violenze. Ancora oggi, a tanti uomini e donne, a bambini e anziani, sono negate la dignità, l’integrità fisica, la libertà, compresa quella religiosa, la solidarietà comunitaria, la speranza nel futuro. Tante vittime innocenti si trovano a portare su di sé lo strazio dell’umiliazione e dell’esclusione, del lutto e dell’ingiustizia, se non addirittura i traumi derivanti dall’accanimento sistematico contro il loro popolo e i loro cari.

Le terribili prove dei conflitti civili e di quelli internazionali, aggravate spesso da violenze prive di ogni pietà, segnano a lungo il corpo e l’anima dell’umanità. Ogni guerra, in realtà, si rivela un fratricidio che distrugge lo stesso progetto di fratellanza, inscritto nella vocazione della famiglia umana.

La guerra, lo sappiamo, comincia spesso con l’insofferenza per la diversità dell’altro, che fomenta il desiderio di possesso e la volontà di dominio. Nasce nel cuore dell’uomo dall’egoismo e dalla superbia, dall’odio che induce a distruggere, a rinchiudere l’altro in un’immagine negativa, ad escluderlo e cancellarlo. La guerra si nutre di perversione delle relazioni, di ambizioni egemoniche, di abusi di potere, di paura dell’altro e della differenza vista come ostacolo; e nello stesso tempo alimenta tutto questo.

Risulta paradossale, come ho avuto modo di notare durante il recente viaggio in Giappone, che «il nostro mondo vive la dicotomia perversa di voler difendere e garantire la stabilità e la pace sulla base di una falsa sicurezza supportata da una mentalità di paura e sfiducia, che finisce per avvelenare le relazioni tra i popoli e impedire ogni possibile dialogo. La pace e la stabilità internazionale sono incompatibili con qualsiasi tentativo di costruire sulla paura della reciproca distruzione o su una minaccia di annientamento totale; sono possibili solo a partire da un’etica globale di solidarietà e cooperazione al servizio di un futuro modellato dall’interdipendenza e dalla corresponsabilità nell’intera famiglia umana di oggi e di domani».[2]

Ogni situazione di minaccia alimenta la sfiducia e il ripiegamento sulla propria condizione. Sfiducia e paura aumentano la fragilità dei rapporti e il rischio di violenza, in un circolo vizioso che non potrà mai condurre a una relazione di pace. In questo senso, anche la dissuasione nucleare non può che creare una sicurezza illusoria.

Perciò, non possiamo pretendere di mantenere la stabilità nel mondo attraverso la paura dell’annientamento, in un equilibrio quanto mai instabile, sospeso sull’orlo del baratro nucleare e chiuso all’interno dei muri dell’indifferenza, dove si prendono decisioni socio-economiche che aprono la strada ai drammi dello scarto dell’uomo e del creato, invece di custodirci gli uni gli altri.[3] Come, allora, costruire un cammino di pace e di riconoscimento reciproco? Come rompere la logica morbosa della minaccia e della paura? Come spezzare la dinamica di diffidenza attualmente prevalente?

Dobbiamo perseguire una reale fratellanza, basata sulla comune origine da Dio ed esercitata nel dialogo e nella fiducia reciproca. Il desiderio di pace è profondamente inscritto nel cuore dell’uomo e non dobbiamo rassegnarci a nulla che sia meno di questo.

2. La pace, cammino di ascolto basato sulla memoria, sulla solidarietà e sulla fraternità

Gli Hibakusha, i sopravvissuti ai bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki, sono tra quelli che oggi mantengono viva la fiamma della coscienza collettiva, testimoniando alle generazioni successive l’orrore di ciò che accadde nell’agosto del 1945 e le sofferenze indicibili che ne sono seguite fino ad oggi. La loro testimonianza risveglia e conserva in questo modo la memoria delle vittime, affinché la coscienza umana diventi sempre più forte di fronte ad ogni volontà di dominio e di distruzione: «Non possiamo permettere che le attuali e le nuove generazioni perdano la memoria di quanto accaduto, quella memoria che è garanzia e stimolo per costruire un futuro più giusto e fraterno».[4]

Come loro molti, in ogni parte del mondo, offrono alle future generazioni il servizio imprescindibile della memoria, che va custodita non solo per non commettere di nuovo gli stessi errori o perché non vengano riproposti gli schemi illusori del passato, ma anche perché essa, frutto dell’esperienza, costituisca la radice e suggerisca la traccia per le presenti e le future scelte di pace.

Ancor più, la memoria è l’orizzonte della speranza: molte volte nel buio delle guerre e dei conflitti, il ricordo anche di un piccolo gesto di solidarietà ricevuta può ispirare scelte coraggiose e persino eroiche, può rimettere in moto nuove energie e riaccendere nuova speranza nei singoli e nelle comunità.

Aprire e tracciare un cammino di pace è una sfida, tanto più complessa in quanto gli interessi in gioco, nei rapporti tra persone, comunità e nazioni, sono molteplici e contradditori. Occorre, innanzitutto, fare appello alla coscienza morale e alla volontà personale e politica. La pace, in effetti, si attinge nel profondo del cuore umano e la volontà politica va sempre rinvigorita, per aprire nuovi processi che riconcilino e uniscano persone e comunità.

Il mondo non ha bisogno di parole vuote, ma di testimoni convinti, di artigiani della pace aperti al dialogo senza esclusioni né manipolazioni. Infatti, non si può giungere veramente alla pace se non quando vi sia un convinto dialogo di uomini e donne che cercano la verità al di là delle ideologie e delle opinioni diverse. La pace è «un edificio da costruirsi continuamente»,[5] un cammino che facciamo insieme cercando sempre il bene comune e impegnandoci a mantenere la parola data e a rispettare il diritto. Nell’ascolto reciproco possono crescere anche la conoscenza e la stima dell’altro, fino al punto di riconoscere nel nemico il volto di un fratello.

Il processo di pace è quindi un impegno che dura nel tempo. È un lavoro paziente di ricerca della verità e della giustizia, che onora la memoria delle vittime e che apre, passo dopo passo, a una speranza comune, più forte della vendetta. In uno Stato di diritto, la democrazia può essere un paradigma significativo di questo processo, se è basata sulla giustizia e sull’impegno a salvaguardare i diritti di ciascuno, specie se debole o emarginato, nella continua ricerca della verità.[6] Si tratta di una costruzione sociale e di un’elaborazione in divenire, in cui ciascuno porta responsabilmente il proprio contributo, a tutti i livelli della collettività locale, nazionale e mondiale.

Come sottolineava San Paolo VI, «la duplice aspirazione all’uguaglianza e alla partecipazione è diretta a promuovere un tipo di società democratica […]. Ciò sottintende l’importanza dell’educazione alla vita associata, dove, oltre l’informazione sui diritti di ciascuno, sia messo in luce il loro necessario correlativo: il riconoscimento dei doveri nei confronti degli altri. Il significato e la pratica del dovere sono condizionati dal dominio di sé, come pure l’accettazione delle responsabilità e dei limiti posti all’esercizio della libertà dell’individuo o del gruppo».[7]

Al contrario, la frattura tra i membri di una società, l’aumento delle disuguaglianze sociali e il rifiuto di usare gli strumenti per uno sviluppo umano integrale mettono in pericolo il perseguimento del bene comune. Invece il lavoro paziente basato sulla forza della parola e della verità può risvegliare nelle persone la capacità di compassione e di solidarietà creativa.

Nella nostra esperienza cristiana, noi facciamo costantemente memoria di Cristo, che ha donato la sua vita per la nostra riconciliazione (cfr Rm 5,6-11). La Chiesa partecipa pienamente alla ricerca di un ordine giusto, continuando a servire il bene comune e a nutrire la speranza della pace, attraverso la trasmissione dei valori cristiani, l’insegnamento morale e le opere sociali e di educazione.

3. La pace, cammino di riconciliazione nella comunione fraterna

La Bibbia, in modo particolare mediante la parola dei profeti, richiama le coscienze e i popoli all’alleanza di Dio con l’umanità. Si tratta di abbandonare il desiderio di dominare gli altri e imparare a guardarci a vicenda come persone, come figli di Dio, come fratelli. L’altro non va mai rinchiuso in ciò che ha potuto dire o fare, ma va considerato per la promessa che porta in sé. Solo scegliendo la via del rispetto si potrà rompere la spirale della vendetta e intraprendere il cammino della speranza.

Ci guida il brano del Vangelo che riporta il seguente colloquio tra Pietro e Gesù: «“Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?”. E Gesù gli rispose: “Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette”» (Mt 18,21-22). Questo cammino di riconciliazione ci chiama a trovare nel profondo del nostro cuore la forza del perdono e la capacità di riconoscerci come fratelli e sorelle. Imparare a vivere nel perdono accresce la nostra capacità di diventare donne e uomini di pace.

Quello che è vero della pace in ambito sociale, è vero anche in quello politico ed economico, poiché la questione della pace permea tutte le dimensioni della vita comunitaria: non vi sarà mai vera pace se non saremo capaci di costruire un più giusto sistema economico. Come scriveva Benedetto XVI, dieci anni fa, nella Lettera Enciclica Caritas in veritate: «La vittoria del sottosviluppo richiede di agire non solo sul miglioramento delle transazioni fondate sullo scambio, non solo sui trasferimenti delle strutture assistenziali di natura pubblica, ma soprattutto sulla progressiva apertura, in contesto mondiale, a forme di attività economica caratterizzate da quote di gratuità e comunione» (n. 39).

4. La pace, cammino di conversione ecologica

«Se una cattiva comprensione dei nostri principi ci ha portato a volte a giustificare l’abuso della natura o il dominio dispotico dell’essere umano sul creato, o le guerre, l’ingiustizia e la violenza, come credenti possiamo riconoscere che in tal modo siamo stati infedeli al tesoro di sapienza che avremmo dovuto custodire».[8]

Di fronte alle conseguenze della nostra ostilità verso gli altri, del mancato rispetto della casa comune e dello sfruttamento abusivo delle risorse naturali – viste come strumenti utili unicamente per il profitto di oggi, senza rispetto per le comunità locali, per il bene comune e per la natura – abbiamo bisogno di una conversione ecologica.

Il recente Sinodo sull’Amazzonia ci spinge a rivolgere, in modo rinnovato, l’appello per una relazione pacifica tra le comunità e la terra, tra il presente e la memoria, tra le esperienze e le speranze.

Questo cammino di riconciliazione è anche ascolto e contemplazione del mondo che ci è stato donato da Dio affinché ne facessimo la nostra casa comune. Infatti, le risorse naturali, le numerose forme di vita e la Terra stessa ci sono affidate per essere “coltivate e custodite” (cfr Gen 2,15) anche per le generazioni future, con la partecipazione responsabile e operosa di ognuno. Inoltre, abbiamo bisogno di un cambiamento nelle convinzioni e nello sguardo, che ci apra maggiormente all’incontro con l’altro e all’accoglienza del dono del creato, che riflette la bellezza e la sapienza del suo Artefice.

Da qui scaturiscono, in particolare, motivazioni profonde e un nuovo modo di abitare la casa comune, di essere presenti gli uni agli altri con le proprie diversità, di celebrare e rispettare la vita ricevuta e condivisa, di preoccuparci di condizioni e modelli di società che favoriscano la fioritura e la permanenza della vita nel futuro, di sviluppare il bene comune dell’intera famiglia umana.

La conversione ecologica alla quale facciamo appello ci conduce quindi a un nuovo sguardo sulla vita, considerando la generosità del Creatore che ci ha donato la Terra e che ci richiama alla gioiosa sobrietà della condivisione. Tale conversione va intesa in maniera integrale, come una trasformazione delle relazioni che intratteniamo con le nostre sorelle e i nostri fratelli, con gli altri esseri viventi, con il creato nella sua ricchissima varietà, con il Creatore che è origine di ogni vita. Per il cristiano, essa richiede di «lasciar emergere tutte le conseguenze dell’incontro con Gesù nelle relazioni con il mondo».[9]

5. Si ottiene tanto quanto si spera[10]

Il cammino della riconciliazione richiede pazienza e fiducia. Non si ottiene la pace se non la si spera.

Si tratta prima di tutto di credere nella possibilità della pace, di credere che l’altro ha il nostro stesso bisogno di pace. In questo, ci può ispirare l’amore di Dio per ciascuno di noi, amore liberante, illimitato, gratuito, instancabile.

La paura è spesso fonte di conflitto. È importante, quindi, andare oltre i nostri timori umani, riconoscendoci figli bisognosi, davanti a Colui che ci ama e ci attende, come il Padre del figlio prodigo (cfr Lc 15,11-24). La cultura dell’incontro tra fratelli e sorelle rompe con la cultura della minaccia. Rende ogni incontro una possibilità e un dono dell’amore generoso di Dio. Ci guida ad oltrepassare i limiti dei nostri orizzonti ristretti, per puntare sempre a vivere la fraternità universale, come figli dell’unico Padre celeste.

Per i discepoli di Cristo, questo cammino è sostenuto anche dal sacramento della Riconciliazione, donato dal Signore per la remissione dei peccati dei battezzati. Questo sacramento della Chiesa, che rinnova le persone e le comunità, chiama a tenere lo sguardo rivolto a Gesù, che ha riconciliato «tutte le cose, avendo pacificato con il sangue della sua croce sia le cose che stanno sulla terra, sia quelle che stanno nei cieli» (Col 1,20); e chiede di deporre ogni violenza nei pensieri, nelle parole e nelle opere, sia verso il prossimo sia verso il creato.

La grazia di Dio Padre si dà come amore senza condizioni. Ricevuto il suo perdono, in Cristo, possiamo metterci in cammino per offrirlo agli uomini e alle donne del nostro tempo. Giorno dopo giorno, lo Spirito Santo ci suggerisce atteggiamenti e parole affinché diventiamo artigiani di giustizia e di pace.

Che il Dio della pace ci benedica e venga in nostro aiuto.

Che Maria, Madre del Principe della pace e Madre di tutti i popoli della terra, ci accompagni e ci sostenga nel cammino di riconciliazione, passo dopo passo.

E che ogni persona, venendo in questo mondo, possa conoscere un’esistenza di pace e sviluppare pienamente la promessa d’amore e di vita che porta in sé.

Dal Vaticano, 8 dicembre 2019

FRANCESCO

___________________

[1] Benedetto XVI, Lett. enc. Spe salvi (30 novembre 2007), 1.
[2]
Discorso sulle armi nucleari, Nagasaki, Parco “Atomic Bomb Hypocenter”, 24 novembre 2019.
[3]
Cfr Omelia a Lampedusa, 8 luglio 2013.
[4]
Discorso sulla Pace, Hiroshima, Memoriale della Pace, 24 novembre 2019.
[5]
Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. Gaudium et spes, 78.
[6]
Cfr Benedetto XVI, Discorso ai dirigenti delle Associazioni Cristiane Lavoratori Italiani, 27 gennaio 2006.
[7]
Lett. ap. Octogesima adveniens (14 maggio 1971), 24.
[8]
Lett. enc. Laudato si’ (24 maggio 2015), 200.
[9]
Ibid., 217.
[10]
Cfr S. Giovanni della Croce, Notte Oscura, II, 21, 8.

[02001-IT.01] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua francese

LA PAIX, UN CHEMIN D’ESPÉRANCE:
DIALOGUE, RÉCONCILIATION ET CONVERSION ÉCOLOGIQUE

1. La paix, chemin d’espérance face aux obstacles et aux épreuves

La paix est un bien précieux, objet de notre espérance auquel aspire toute l’humanité. Espérer la paix est un comportement humain qui renferme une tension existentielle; c’est pourquoi même un présent parfois pénible «peut être vécu et accepté s'il conduit vers un terme et si nous pouvons être sûrs de ce terme, si ce terme est si grand qu'il peut justifier les efforts du chemin »[1]. De cette façon, l’espérance est la vertu qui nous met en chemin, qui nous donne des ailes pour aller de l’avant, même quand les obstacles semblent insurmontables.

Notre communauté humaine porte dans sa mémoire et dans sa chair les signes des guerres et des conflits qui se sont succédés avec une capacité destructrice croissante, et qui ne cessent de frapper spécialement les plus pauvres et les plus faibles. Aussi, des nations entières peinent à se libérer des chaînes de l’exploitation et de la corruption, lesquelles alimentent haines et violences. Aujourd’hui encore, à tant d’hommes et de femmes, d’enfants et de personnes âgées, sont niées la dignité, l’intégrité physique, la liberté, y compris religieuse, la solidarité communautaire, l’espérance en l’avenir. De nombreuses victimes innocentes portent sur elles le supplice de l’humiliation et de l’exclusion, du deuil et de l’injustice, voire même les traumatismes de l’acharnement systématique contre leur peuple et leurs proches.

Les terribles épreuves des conflits civils et internationaux, aggravées souvent par des violences sans aucune pitié, marquent pour longtemps le corps et l’âme de l’humanité. Toute guerre, en réalité, est un fratricide qui détruit le projet même de fraternité inscrit dans la vocation de la famille humaine.

La guerre, nous le savons bien, commence souvent par l’intolérance à l’égard de la différence de l’autre, qui renforce le désir de possession et la volonté de domination. Elle naît, dans le cœur de l’homme, de l’égoïsme et de l’orgueil, de la haine qui pousse à détruire, à renfermer l’autre dans une vision négative, à l’exclure et à le faire disparaître. La guerre se nourrit de la perversion des relations, d’ambitions hégémoniques, d’abus de pouvoir, de la peur de l’autre et de la différence perçue comme un obstacle; et en même temps elle alimente tout cela.

Il est paradoxal, comme j’ai eu à le souligner durant mon récent voyage au Japon, que « notre monde vit la perverse dichotomie de vouloir défendre et garantir la stabilité et la paix sur la base d’une fausse sécurité soutenue par une mentalité de crainte et de méfiance qui finit par envenimer les relations entre les peuples et empêcher tout dialogue possible. La paix et la stabilité internationales sont incompatibles avec toute tentative de construction sur la peur de la destruction réciproque ou sur une menace d’anéantissement total ; elles ne sont possibles qu’à partir d’une éthique globale de solidarité et de coopération au service d’un avenir façonné par l’interdépendance et la coresponsabilité au sein de toute la famille humaine d’aujourd’hui et de demain »[2].

Toute situation de menace alimente le manque de confiance et le repli sur soi. Le manque de confiance et la peur renforcent la fragilité des rapports et le risque de violence, dans un cercle vicieux qui ne conduira jamais à une relation de paix. En ce sens, la dissuasion nucléaire ne peut que créer une sécurité illusoire.

Par conséquent, nous ne pouvons pas prétendre maintenir la stabilité mondiale par la peur de l’anéantissement, dans un équilibre plus que jamais instable, suspendu au bord du gouffre nucléaire et enfermé dans les murs de l’indifférence, où l’on prend des décisions socio-économiques qui ouvrent la voie aux drames de l’exclusion de l’homme et de la création, au lieu de nous protéger les uns les autres[3]. Comment, alors, construire un chemin de paix et de reconnaissance réciproque? Comment rompre la logique macabre de la menace et de la peur? Comment briser la dynamique de la défiance qui prévaut actuellement?

Nous devons poursuivre une fraternité réelle, basée sur la commune origine divine et exercée dans le dialogue et la confiance réciproques. Le désir de paix est profondément inscrit dans le cœur de l’homme et nous ne devons nous résigner à rien de moins que cela.

2. La paix, chemin d’écoute basé sur la mémoire, sur la solidarité et sur la fraternité

Les Hibakusha, les survivants des bombardements atomiques de Hiroshima et de Nagasaki, sont parmi ceux qui, aujourd’hui, maintiennent vivante la flamme de la conscience collective, témoignant aux générations successives l’horreur de ce qui est arrivé en août 1945 et les souffrances indicibles qui ont suivi jusqu’à aujourd’hui. Leur témoignage réveille et conserve de cette façon la mémoire des victimes afin que la conscience humaine devienne toujours plus forte face à toute volonté de domination et de destruction: « Nous ne pouvons pas permettre que les générations présentes et nouvelles perdent la mémoire de ce qui est arrivé, cette mémoire qui est garantie et encouragement pour construire un avenir plus juste et plus fraternel »[4].

Tout comme eux, de nombreuses personnes partout dans le monde offrent aux générations futures le service indispensable de la mémoire qui doit être conservée, non seulement pour ne pas commettre de nouveau les mêmes erreurs ou pour que les schémas illusoires du passé ne soient reproposés, mais aussi pour que celle-ci, fruit de l’expérience, constitue la racine et suggère le chemin pour les choix présents et futurs en faveur de la paix.

De plus, la mémoire est l’horizon de l’espérance: bien des fois, dans l’obscurité des guerres et des conflits, même le rappel d’un petit geste de solidarité reçu peut inspirer des choix courageux et même héroïques, peut susciter de nouvelles énergies et rallumer une nouvelle espérance chez les individus et dans les communautés.

Ouvrir et tracer un chemin de paix est un défi d’autant plus complexe que les intérêts qui sont en jeu dans les relations entre les personnes, les communautés et les nations, sont multiples et contradictoires. Il faut avant tout faire appel à la conscience morale et à la volonté personnelle et politique. La paix, en effet, trouve sa source au plus profond du cœur humain, et la volonté politique doit toujours être revigorée afin d’initier de nouveaux processus qui réconcilient et unissent personnes et communautés.

Le monde n’a pas besoin de paroles creuses, mais de témoins convaincus, d’artisans de paix ouverts au dialogue sans exclusions ni manipulations. En effet, on ne peut parvenir vraiment à la paix que lorsqu’il y a un dialogue convaincu d’hommes et de femmes qui cherchent la vérité au-delà des idéologies et des opinions diverses. La paix est un édifice « sans cesse à construire »[5], un chemin que nous faisons ensemble, en cherchant toujours le bien commun et en nous engageant à maintenir la parole donnée et à respecter le droit. Dans l’écoute réciproque, la connaissance et l’estime de l’autre peuvent se développer jusqu’à reconnaître, dans l’ennemi, le visage d’un frère.

Le processus de paix est donc un engagement qui dure dans le temps. C’est un travail patient de recherche de la vérité et de la justice qui honore la mémoire des victimes et qui ouvre, pas à pas, à une espérance commune plus forte que la vengeance. Dans un État de droit, la démocratie peut être un paradigme significatif de ce processus si elle est basée sur la justice et sur l’engagement à sauvegarder les droits de chaque personne, en particulier si elle est faible ou marginalisée, dans la recherche continuelle de la vérité[6]. Il s’agit d’une construction sociale et d’une élaboration en devenir, où chacun apporte de manière responsable sa propre contribution, à tous les niveaux de la collectivité locale, nationale et mondiale.

Comme le soulignait saint Paul VI, « la double aspiration vers l’égalité et la participation cherche à promouvoir un type de société démocratique […]. C’est dire l’importance d’une éducation à la vie en société où, en plus de l’information sur les droits de chacun, soit rappelé leur nécessaire corrélatif : la reconnaissance des devoirs à l’égard des autres ; le sens et la pratique du devoir sont eux-mêmes conditionnés par la maîtrise de soi, l’acceptation des responsabilités et des limites posées à l’exercice de la liberté de l’individu ou du groupe »[7].

Au contraire, la fracture entre les membres d’une société, l’accroissement des inégalités sociales et le refus d’utiliser les instruments en vue d’un développement humain intégral mettent en péril la poursuite du bien commun. Par contre, le travail patient basé sur la force de la parole et de la vérité peut réveiller chez les personnes la capacité de compassion et de solidarité créative.

Dans notre expérience chrétienne, nous faisons constamment mémoire du Christ qui a donné sa vie pour notre réconciliation (cf. Rm 5, 6-11). L’Eglise participe pleinement à la recherche d’un ordre juste, tout en continuant à servir le bien commun et à nourrir l’espérance de paix à travers la transmission des valeurs chrétiennes, l’enseignement moral et les œuvres sociales et éducatives.

3. La paix, chemin de réconciliation dans la communion fraternelle

La Bible, en particulier à travers la parole des prophètes, rappelle les consciences et les peuples à l’alliance de Dieu avec l’humanité. Il s’agit d’abandonner le désir de dominer les autres et d’apprendre à se regarder réciproquement comme des personnes, comme des enfants de Dieu, comme des frères. L’autre ne doit jamais être enfermé dans ce qu’il a pu dire ou faire, mais il doit être considéré selon la promesse qu’il porte en lui. C’est seulement en choisissant la voie du respect qu’on pourra rompre la spirale de la vengeance et entreprendre le chemin de l’espérance.

Le passage de l’Évangile qui rapporte l’échange entre Pierre et Jésusnous guide : «Seigneur, lorsque mon frère commettra des fautes contre moi, combien de fois dois-je lui pardonner? Jusqu’à sept fois?Jésus lui répond: “Je ne te dis pas jusqu’à sept fois, mais jusqu’à soixante-dix fois sept fois”» (Mt 18, 21-22). Ce chemin de réconciliation nous appelle à trouver dans le fond de notre cœur la force du pardon et la capacité de nous reconnaître frères et sœurs. Apprendre à vivre le pardon fait grandir notre capacité à devenir des femmes et des hommes de paix.

Ce qui est vrai de la paix dans le domaine social est vrai aussi dans le domaine politique et économique, puisque la question de la paix traverse toutes les dimensions de la vie communautaire: il n’y aura jamais de vraie paix tant que nous ne serons pas capables de construire un système économique plus juste. Comme l’écrivait Benoît XVI, il y a dix ans, dans l’Encyclique Caritas in veritate: «Vaincre le sous-développement demande d’agir non seulement en vue de l’amélioration des transactions fondées sur l’échange et des prestations sociales, mais surtout sur l’ouverture progressive, dans un contexte mondial, à des formes d’activité économique caractérisées par une part de gratuité et de communion » (n. 39).

4. La paix, chemin de conversion écologique

«Si une mauvaise compréhension de nos propres principes nous a parfois conduits à justifier le mauvais traitement de la nature, la domination despotique de l’être humain sur la création, ou les guerres, l’injustice et la violence, nous, les croyants, nous pouvons reconnaître que nous avons alors été infidèles au trésor de sagesse que nous devions garder ».[8]

Face aux conséquences de notre hostilité envers les autres, du manque de respect de la maison commune et de l’exploitation abusive des ressources naturelles – considérées comme des instruments utiles uniquement pour le profit d’aujourd’hui, sans respect pour les communautés locales, pour le bien commun ni pour la nature – nous avons besoin d’une conversion écologique.

Le récent Synode sur l’Amazonie nous pousse à adresser, de manière nouvelle, l’appel à une relation pacifique entre les communautés et la terre, entre le présent et la mémoire, entre les expériences et les espérances.

Ce chemin de réconciliation est aussi écoute et contemplation du monde qui nous a été donné par Dieu pour que nous en fassions notre maison commune. En effet, les ressources naturelles, les nombreuses formes de vie et la terre elle-même nous sont confiées pour être “cultivées et gardées” (cf. Gn 2, 15) aussi pour les générations à venir, avec la participation responsable et active de chacun. En outre, nous avons besoin d’un changement, dans les convictions et dans le regard, qui ouvre davantage à la rencontre avec l’autre et à l’accueil du don de la création qui reflète la beauté et la sagesse de son Auteur.

En découlent, en particulier, des motivations profondes et une nouvelle manière d’habiter la maison commune, d’être présents les uns aux autres, chacun dans sa diversité, de célébrer et de respecter la vie reçue et partagée, de se préoccuper des conditions et des modèles de société qui favorisent l’éclosion et la permanence de la vie dans l’avenir, de développer le bien commun de toute la famille humaine.

La conversion écologique à laquelle nous faisons appel nous conduit donc à avoir un nouveau regard sur la vie, en considérant la générosité du Créateur qui nous a donné la terre et nous rappelle à la joyeuse sobriété du partage. Cette conversion doit être comprise de manière intégrale, comme une transformation des relations que nous entretenons avec nos sœurs et nos frères, avec les autres êtres vivants, avec la création dans sa très riche variété, avec le Créateur qui est l’origine de toute vie. Pour le chrétien, elle demande de « laisser jaillir toutes les conséquences de la rencontre avec Jésus-Christ sur les relations avec le monde »[9].

5. On obtient autant qu’on espère[10]

Le chemin de la réconciliation exige patience et confiance. On n’obtient pas la paix si on ne l’espère pas.

Il s’agit avant tout de croire en la possibilité de la paix, de croire que l’autre a le même besoin de paix que nous. En cela, l’amour de Dieu pour chacun d’entre nous peut nous inspirer, un amour libérateur, sans limite, gratuit, inlassable.

La peur est souvent source de conflit. Il est donc important d’aller au-delà de nos craintes humaines, en nous reconnaissant comme des enfants dans le besoin devant celui qui nous aime et qui nous attend, comme le Père du fils prodigue (cf. Lc 15, 11-24). La culture de la rencontre entre frères et sœurs rompt avec la culture de la menace. Elle fait de toute rencontre une possibilité et un don de l’amour généreux de Dieu. Elle nous pousse à dépasser les limites de nos horizons restreints afin de toujours viser à vivre la fraternité universelle comme enfants de l’unique Père céleste.

Pour les disciples du Christ, ce chemin est aussi soutenu par le sacrement de la Réconciliation, donné par le Seigneur pour la rémission des péchés des baptisés. Ce sacrement de l’Eglise, qui renouvelle les personnes et les communautés, invite à avoir le regard tourné vers Jésus qui a réconcilié « tous les êtres pour lui, aussi bien sur la terre que dans les cieux, en faisant la paix par le sang de sa croix » (Col 1, 20); et il demande d’abandonner toute violence en pensées, en paroles et en actions, aussi bien envers le prochain qu’envers la création.

La grâce de Dieu le Père s’offre comme un amour sans conditions. Une fois reçu son pardon dans le Christ, nous pouvons nous mettre en chemin afin de l’offrir aux hommes et aux femmes de notre temps. Jour après jour, l’Esprit Saint nous suggère des comportements et des paroles pour que nous devenions des artisans de justice et de paix.

Que le Dieu de la paix nous bénisse et vienne à notre aide.

Que Marie, Mère du Prince de la Paix et Mère de tous les peuples de la terre, nous accompagne et nous soutienne, pas à pas, sur notre chemin de réconciliation.

Et que toute personne venant en ce monde puisse connaître une existence paisible et développer pleinement la promesse d’amour et de vie qu’elle porte en elle.

Du Vatican, le 8 décembre 2019

FRANÇOIS

___________________

[1] Benoît XVI, Lett. enc. Spe salvi (30 novembre 2007), n. 1.
[2]
Discours sur les armes nucléaires, Nagasaki, “Atomic Bomb Hypocenter”, 24 novembre 2019.
[3]
Cf. Homélie à Lampedusa, 8 juillet 2013.
[4]
Discours sur la Paix, Hiroshima, Mémorial de la Paix, 24 novembre 2019.
[5]
Conc. œcum. Vat. II, Const. past. Gaudium et spes, n. 78.
[6]
Cf. Benoît XVI, Discours du pape Benoît XVI aux dirigeants des associations chrétiennes des travailleurs italiens, 27 janvier 2006.
[7]
Lett. ap. Octogesima adveniens (14 mai 1971), n. 24.
[8]
Lett. enc. Laudato si’ (24 mai 2015), n. 200.
[9]
Ibid., n. 217.
[10]
Cf. Jean de la Croix, Nuit obscure, II, 21, 8.

[02001-FR.01] [Texte original: Italien]

Traduzione in lingua inglese

PEACE AS A JOURNEY OF HOPE:
DIALOGUE, RECONCILIATION AND ECOLOGICAL CONVERSION

1. Peace, a journey of hope in the face of obstacles and trial

Peace is a great and precious value, the object of our hope and the aspiration of the entire human family. As a human attitude, our hope for peace is marked by an existential tension that makes it possible for the present, with all its difficulties, to be “lived and accepted if it leads towards a goal, if we can be sure of this goal, and if this goal is great enough to justify the effort of the journey”.[1] Hope is thus the virtue that inspires us and keeps us moving forward, even when obstacles seem insurmountable.

Our human community bears, in its memory and its flesh, the scars of ever more devastating wars and conflicts that affect especially the poor and the vulnerable. Entire nations find it difficult to break free of the chains of exploitation and corruption that fuel hatred and violence. Even today, dignity, physical integrity, freedom, including religious freedom, communal solidarity and hope in the future are denied to great numbers of men and women, young and old. Many are the innocent victims of painful humiliation and exclusion, sorrow and injustice, to say nothing of the trauma born of systematic attacks on their people and their loved ones.

The terrible trials of internal and international conflicts, often aggravated by ruthless acts of violence, have an enduring effect on the body and soul of humanity. Every war is a form of fratricide that destroys the human family’s innate vocation to brotherhood.

War, as we know, often begins with the inability to accept the diversity of others, which then fosters attitudes of aggrandizement and domination born of selfishness and pride, hatred and the desire to caricature, exclude and even destroy the other. War is fueled by a perversion of relationships, by hegemonic ambitions, by abuses of power, by fear of others and by seeing diversity as an obstacle. And these, in turn, are aggravated by the experience of war.

As I observed during my recent Apostolic Journey to Japan, our world is paradoxically marked by “a perverse dichotomy that tries to defend and ensure stability and peace through a false sense of security sustained by a mentality of fear and mistrust, one that ends up poisoning relationships between peoples and obstructing any form of dialogue. Peace and international stability are incompatible with attempts to build upon the fear of mutual destruction or the threat of total annihilation. They can be achieved only on the basis of a global ethic of solidarity and cooperation in the service of a future shaped by interdependence and shared responsibility in the whole human family of today and tomorrow”.[2]

Every threatening situation feeds mistrust and leads people to withdraw into their own safety zone. Mistrust and fear weaken relationships and increase the risk of violence, creating a vicious circle that can never lead to a relationship of peace. Even nuclear deterrence can only produce the illusion of security.

We cannot claim to maintain stability in the world through the fear of annihilation, in a volatile situation, suspended on the brink of a nuclear abyss and enclosed behind walls of indifference. As a result, social and economic decisions are being made that lead to tragic situations where human beings and creation itself are discarded rather than protected and preserved.[3] How, then, do we undertake a journey of peace and mutual respect? How do we break the unhealthy mentality of threats and fear? How do we break the current dynamic of distrust?

We need to pursue a genuine fraternity based on our common origin from God and exercised in dialogue and mutual trust. The desire for peace lies deep within the human heart, and we should not resign ourselves to seeking anything less than this.

2. Peace, a journey of listening based on memory, solidarity and fraternity

The Hibakusha, the survivors of the atomic bombs dropped on Hiroshima and Nagasaki, are among those who currently keep alive the flame of collective conscience, bearing witness to succeeding generations to the horror of what happened in August 1945 and the unspeakable sufferings that have continued to the present time. Their testimony awakens and preserves the memory of the victims, so that the conscience of humanity may rise up in the face of every desire for dominance and destruction. “We cannot allow present and future generations to lose the memory of what happened here. It is a memory that ensures and encourages the building of a more fair and fraternal future”.[4]

Like the Hibakusha, many people in today’s world are working to ensure that future generations will preserve the memory of past events, not only in order to prevent the same errors or illusions from recurring, but also to enable memory, as the fruit of experience, to serve as the basis and inspiration for present and future decisions to promote peace.

What is more, memory is the horizon of hope. Many times, in the darkness of wars and conflicts, the remembrance of even a small gesture of solidarity received can lead to courageous and even heroic decisions. It can unleash new energies and kindle new hope in individuals and communities.

Setting out on a journey of peace is a challenge made all the more complex because the interests at stake in relationships between people, communities and nations, are numerous and conflicting. We must first appeal to people’s moral conscience and to personal and political will. Peace emerges from the depths of the human heart and political will must always be renewed, so that new ways can be found to reconcile and unite individuals and communities.

The world does not need empty words but convinced witnesses, peacemakers who are open to a dialogue that rejects exclusion or manipulation. In fact, we cannot truly achieve peace without a convinced dialogue between men and women who seek the truth beyond ideologies and differing opinions. Peace “must be built up continually”;[5] it is a journey made together in constant pursuit of the common good, truthfulness and respect for law. Listening to one another can lead to mutual understanding and esteem, and even to seeing in an enemy the face of a brother or sister.

The peace process thus requires enduring commitment. It is a patient effort to seek truth and justice, to honour the memory of victims and to open the way, step by step, to a shared hope stronger than the desire for vengeance. In a state based on law, democracy can be an important paradigm of this process, provided it is grounded in justice and a commitment to protect the rights of every person, especially the weak and marginalized, in a constant search for truth.[6] This is a social undertaking, an ongoing work in which each individual makes his or her contribution responsibly, at every level of the local, national and global community.

As Saint Paul VI pointed out, these “two aspirations, to equality and to participation, seek to promote a democratic society… This calls for an education to social life, involving not only the knowledge of each person’s rights, but also its necessary correlative: the recognition of his or her duties with regard to others. The sense and practice of duty are themselves conditioned by the capacity for self-mastery and by the acceptance of responsibility and of the limits placed upon the freedom of individuals or the groups”.[7]

Divisions within a society, the increase of social inequalities and the refusal to employ the means of ensuring integral human development endanger the pursuit of the common good. Yet patient efforts based on the power of the word and of truth can help foster a greater capacity for compassion and creative solidarity.

In our Christian experience, we constantly remember Christ, who gave his life to reconcile us to one another (cf. Rom 5:6-11). The Church shares fully in the search for a just social order; she continues to serve the common good and to nourish the hope for peace by transmitting Christian values and moral teaching, and by her social and educational works.

3. Peace, a journey of reconciliation in fraternal communion

The Bible, especially in the words of the Prophets, reminds individuals and peoples of God’s covenant with humanity, which entails renouncing our desire to dominate others and learning to see one another as persons, sons and daughters of God, brothers and sisters. We should never encapsulate others in what they may have said or done, but value them for the promise that they embody. Only by choosing the path of respect can we break the spiral of vengeance and set out on the journey of hope.

We are guided by the Gospel passage that tells of the following conversation between Peter and Jesus: “Lord, how often shall my brother sin against me, and I forgive him? As many as seven times?” Jesus said to him, “I do not say to you seven times, but seventy times seven” (Mt 18:21-22). This path of reconciliation is a summons to discover in the depths of our heart the power of forgiveness and the capacity to acknowledge one another as brothers and sisters. When we learn to live in forgiveness, we grow in our capacity to become men and women of peace.

What is true of peace in a social context is also true in the areas of politics and the economy, since peace permeates every dimension of life in common. There can be no true peace unless we show ourselves capable of developing a more just economic system. As Pope Benedict XVI said ten years ago in his Encyclical Letter Caritas in Veritate, “in order to defeat underdevelopment, action is required not only on improving exchange-based transactions and implanting public welfare structures, but above all on gradually increasing openness, in a world context, to forms of economic activity marked by quotas of gratuitousness and communion” (No. 39).

4. Peace, a journey of ecological conversion

“If a mistaken understanding of our own principles has at times led us to justify mistreating nature, to exercise tyranny over creation, to engage in war, injustice and acts of violence, we believers should acknowledge that by so doing we were not faithful to the treasures of wisdom which we have been called to protect and preserve”.[8]

Faced with the consequences of our hostility towards others, our lack of respect for our common home or our abusive exploitation of natural resources – seen only as a source of immediate profit, regardless of local communities, the common good and nature itself – we are in need of an ecological conversion. The recent Synod on the Pan-Amazon Region moves us to make a pressing renewed call for a peaceful relationship between communities and the land, between present and past, between experience and hope.

This journey of reconciliation also calls for listening and contemplation of the world that God has given us as a gift to make our common home. Indeed, natural resources, the many forms of life and the earth itself have been entrusted to us “to till and keep” (Gen 1:15), also for future generations, through the responsible and active participation of everyone. We need to change the way we think and see things, and to become more open to encountering others and accepting the gift of creation, which reflects the beauty and wisdom of its Creator.

All this gives us deeper motivation and a new way to dwell in our common home, to accept our differences, to respect and celebrate the life that we have received and share, and to seek living conditions and models of society that favour the continued flourishing of life and the development of the common good of the entire human family.

The ecological conversion for which we are appealing will lead us to a new way of looking at life, as we consider the generosity of the Creator who has given us the earth and called us to a share it in joy and moderation. This conversion must be understood in an integral way, as a transformation of how we relate to our sisters and brothers, to other living beings, to creation in all its rich variety and to the Creator who is the origin and source of all life. For Christians, it requires that “the effects of their encounter with Jesus Christ become evident in their relationship with the world around them”.[9]

5. “We obtain all that we hope for”[10]

The journey of reconciliation calls for patience and trust. Peace will not be obtained unless it is hoped for.

In the first place, this means believing in the possibility of peace, believing that others need peace just as much as we do. Here we can find inspiration in the love that God has for each of us: a love that is liberating, limitless, gratuitous and tireless.

Fear is frequently a source of conflict. So it is important to overcome our human fears and acknowledge that we are needy children in the eyes of the One who loves us and awaits us, like the father of the prodigal son (cf. Lk 15:11-24). The culture of fraternal encounter shatters the culture of conflict. It makes of every encounter a possibility and a gift of God’s generous love. It leads us beyond the limits of our narrow horizons and constantly encourages us to a live in a spirit of universal fraternity, as children of the one heavenly Father.

For the followers of Christ, this journey is likewise sustained by the sacrament of Reconciliation, given by the Lord for the remission of sins of the baptized. This sacrament of the Church, which renews individuals and communities, bids us keep our gaze fixed on Jesus, who reconciled “all things, whether on earth or in heaven, by making peace through the blood of his cross” (Col 1:20). It requires us to set aside every act of violence in thought, word and deed, whether against our neighbours or against God’s creation.

The grace of God our Father is bestowed as unconditional love. Having received his forgiveness in Christ, we can set out to offer that peace to the men and women of our time. Day by day, the Holy Spirit prompts in us ways of thinking and speaking that can make us artisans of justice and peace.

May the God of peace bless us and come to our aid.

May Mary, Mother of the Prince of Peace and Mother of all the peoples of the earth, accompany and sustain us at every step of our journey of reconciliation.

And may all men and women who come into this world experience a life of peace and develop fully the promise of life and love dwelling in their heart.

From the Vatican, 8 December 2019

FRANCIS

___________________

[1] BENEDICT XVI, Encyclical Letter Spe Salvi (30 November 2007), 1.
[2]
Address on Nuclear Weapons, Nagasaki, Atomic Bomb Hypocenter, 24 November 2019.
[3]
Cf. Homily at Lampedusa, 8 July 2013.
[4]
Address on Peace, Hiroshima, Peace Memorial, 24 November 2019.
[5]
SECOND VATICAN ECUMENICAL COUNCIL, Pastoral Constitution Gaudium et Spes, 78.
[6]
Cf. BENEDICT XVI, Address to the Italian Christian Workers’ Associations, 27 January 2006.
[7]
Apostolic Letter Octogesima Adveniens (14 May 1971), 24.
[8]
Encyclical Letter Laudato Si’ (24 May 2015).
[9]
Ibid., 217.
[10]
Cf. SAINT JOHN OF THE CROSS, Noche obscura, II, 21,8.

[02001-EN.01] [Original text: Italian]

Traduzione in lingua tedesca

DER FRIEDEN ALS WEG DER HOFFNUNG:
DIALOG, VERSÖHNUNG UND ÖKOLOGISCHE UMKEHR

1. Der Frieden als Weg der Hoffnung angesichts der Hindernisse und der Prüfungen

Der Frieden ist ein kostbares Gut, er ist Gegenstand unserer Hoffnung, nach dem die ganze Menschheit strebt. Auf den Frieden zu hoffen ist eine menschliche Haltung, die eine existentielle Spannung beinhaltet, weshalb auch eine zuweilen mühsame Gegenwart »gelebt und angenommen werden [kann], wenn sie auf ein Ziel zuführt und wenn wir dieses Ziels gewiss sein können; wenn dies Ziel so groß ist, dass es die Anstrengung des Weges rechtfertigt«[1]. Auf diese Weise ist die Hoffnung die Tugend, die uns aufbrechen lässt, die uns die Flügel verleiht, um weiterzugehen, selbst dann, wenn die Hindernisse unüberwindlich scheinen.

Unsere menschliche Gemeinschaft trägt im Gedächtnis und am eigenen Fleisch die Zeichen der Kriege und Konflikte, die mit wachsender Zerstörungskraft aufeinander gefolgt sind und die nicht aufhören, vor allem die Ärmsten und die Schwächsten zu treffen. Selbst ganze Nationen haben Mühe, sich von den Fesseln der Ausbeutung und der Korruption zu befreien, welche Hass und Gewalt schüren. Auch heute noch bleiben vielen Männern und Frauen, Kindern und alten Menschen die Würde, die physische Unversehrtheit, die Freiheit einschließlich der Religionsfreiheit, die gemeinschaftliche Solidarität und die Hoffnung auf Zukunft versagt. Viele unschuldige Opfer müssen die Qual der Demütigung und des Ausgeschlossenseins, der Trauer und der Ungerechtigkeit ertragen, wenn nicht sogar Traumata, die von der systematischen Feindseligkeit gegen ihr Volk und ihre Angehörigen herrühren.

Die schrecklichen Prüfungen nationaler und internationaler Konflikte, die oftmals durch erbarmungslose Gewalt verschlimmert werden, zeichnen Leib und Seele der Menschheit auf lange Zeit. Denn jeder Krieg entpuppt sich in Wirklichkeit als Brudermord, der das Projekt der Brüderlichkeit selbst zerstört, das der Berufung der Menschheitsfamilie eingeschrieben ist.

Der Krieg beginnt, wie wir wissen, häufig mit einer Unduldsamkeit gegen die Verschiedenartigkeit des anderen, die das Verlangen nach Besitz und den Willen zur Vorherrschaft schürt. Sie entsteht im Herzen des Menschen aus Egoismus und Stolz sowie aus dem Hass, der dazu verleitet, zu zerstören, den anderen allein negativ zu sehen, ihn auszuschließen oder auszulöschen. Der Krieg speist sich aus einer Verkehrung der Beziehungen, aus hegemonialen Ambitionen, aus Machtmissbrauch, aus der Angst vor dem anderen und vor der Verschiedenartigkeit, die für ein Hindernis gehalten wird; und zugleich nährt der Krieg dies alles.

Während meiner jüngsten Reise nach Japan hatte ich Gelegenheit, auf den offenbaren Widerspruch hinzuweisen, dass »unsere Welt in der abartigen Dichotomie [lebt], Stabilität und Frieden auf der Basis einer falschen, von einer Logik der Angst und des Misstrauens gestützten Sicherheit verteidigen und sichern zu wollen. Am Ende vergiftet sie die Beziehungen zwischen den Völkern und verhindert jeden möglichen Dialog. Der Frieden und die internationale Stabilität sind unvereinbar mit jedwedem Versuch, sie auf der Angst gegenseitiger Zerstörung oder auf der Bedrohung einer gänzlichen Auslöschung aufzubauen; sie sind nur möglich im Anschluss an eine globale Ethik der Solidarität und Zusammenarbeit im Dienst an einer Zukunft, die von der Interdependenz und Mitverantwortlichkeit innerhalb der ganzen Menschheitsfamilie von heute und morgen gestaltet wird.«[2]

Jede Bedrohung nährt das Misstrauen und fördert den Rückzug auf die eigene Position. Misstrauen und Angst erhöhen die Brüchigkeit der Beziehungen und das Risiko der Gewalt; es handelt sich um einen Teufelskreis, der niemals zu einem Verhältnis des Friedens wird führen können. In diesem Sinne kann auch die nukleare Abschreckung nur eine trügerische Sicherheit schaffen.

Daher dürfen wir uns nicht einbilden, dass wir die Stabilität in der Welt durch die Angst vor der Vernichtung aufrechterhalten können; ein solches höchst instabiles Gleichgewicht steht am Rande des nuklearen Abgrunds und ist in den Mauern der Gleichgültigkeit eingeschlossen, wo man sozioökonomische Entscheidungen trifft, die dazu führen, dass Mensch und Schöpfung dramatisch herabgewürdigt werden, anstatt dass man einander behütet.[3] Wie also kann man einen Weg des Friedens und der gegenseitigen Anerkennung aufbauen? Wie die krankhafte Logik von Drohung und Angst durchbrechen? Wie die derzeit vorherrschende Dynamik des Misstrauens unterbinden?

Wir müssen eine echte Brüderlichkeit anstreben, die auf unserem gemeinsamen Ursprung in Gott gründet und im Dialog und im gegenseitigen Vertrauen gelebt wird. Der Wunsch nach Frieden ist tief in das Herz des Menschen eingeschrieben, und wir dürfen uns mit nichts Geringerem als diesem abfinden.

2. Der Frieden als Weg des Zuhörens auf der Grundlage der Erinnerung, der Solidarität und der Brüderlichkeit

Die Hibakusha, die Überlebenden der Atombombenangriffe von Hiroshima und Nagasaki, zählen zu denen, die das kollektive Bewusstsein lebendig erhalten. Sie bezeugen nämlich den nachfolgenden Generationen das schreckliche Geschehen vom August 1945 und die unsäglichen Leiden, die bis heute daraus erwachsen sind. Auf diese Weise ruft ihr Zeugnis das Gedächtnis an die Opfer wach und bewahrt es, damit das menschliche Gewissen immer stärker werde gegenüber jedem Willen zur Vorherrschaft und zur Zerstörung: »Deshalb dürfen wir nicht zulassen, dass die gegenwärtigen und künftigen Generationen die Erinnerung an das Geschehene verlieren; jene Erinnerung, die Garantie und Ansporn ist, um eine gerechtere und brüderlichere Welt zu erbauen.«[4]

Wie sie erbringen viele Menschen in allen Teilen der Welt den künftigen Generationen den unabdingbaren Dienst des Gedächtnisses. Dieses muss nicht nur deswegen bewahrt werden, damit die gleichen Fehler nicht wieder begangen werden oder die trügerischen Denkweisen der Vergangenheit erneut salonfähig werden, sondern auch deshalb, damit es als Frucht der Erfahrung für die gegenwärtigen und zukünftigen Friedensentscheidungen den Grund bilden und die Richtung vorgeben möge.

Darüber hinaus ist das Gedächtnis der Horizont der Hoffnung: Oftmals kann im Dunkel der Kriege und der Konflikte die Erinnerung auch an eine kleine Geste der Solidarität, die man empfangen hat, zu mutigen und sogar heroischen Entscheidungen anregen, sie kann neue Energien in Bewegung setzen und neue Hoffnung in den Einzelnen und den Gemeinschaften entzünden.

Einen Weg des Friedens zu eröffnen und festzulegen ist eine Herausforderung, die umso komplexer ist, je zahlreicher und widersprüchlicher die Interessen sind, die bei Beziehungen zwischen Personen, Gemeinschaften und Nationen im Spiel sind. Es tut vor allem not, an das moralische Gewissen und an den persönlichen und politischen Willen zu appellieren. Den Frieden erlangt man nämlich in der Tiefe des menschlichen Herzens und der politische Wille muss immer wieder gestärkt werden, um neue Prozesse zu eröffnen, die Personen und Gemeinschaften versöhnen und vereinen.

Die Welt braucht keine leeren Worte, sondern glaubwürdige Zeugen, „Handwerker des Friedens“, die offen für den Dialog sind, ohne dabei jemanden auszuschließen oder zu manipulieren. In der Tat kann man nicht wirklich zum Frieden gelangen, wenn es keinen überzeugten Dialog von Männern und Frauen gibt, die über die verschiedenen Ideologien und Meinungen hinaus nach der Wahrheit suchen. Der Frieden ist eine »immer wieder neu zu erfüllende Aufgabe«[5], ein Weg, den wir gemeinsam gehen, indem wir auf das Gemeinwohl bedacht sind und uns dafür einsetzen, das gegebene Wort zu halten und das Recht zu achten. Im gegenseitigen Zuhören können auch die Kenntnis und die Wertschätzung des anderen so sehr wachsen, dass man im Feind das Antlitz eines Bruders erkennt.

Der Friedensprozess ist also eine Aufgabe, die Zeit braucht. Er ist eine geduldige Arbeit der Suche nach Wahrheit und Gerechtigkeit, die das Gedächtnis an die Opfer ehrt und schrittweise eine gemeinsame Hoffnung eröffnet, die stärker ist als die Rache. In einem Rechtsstaat kann die Demokratie ein bedeutendes Paradigma dieses Prozesses sein, wenn sie auf Gerechtigkeit und auf dem Einsatz für den Schutz der Rechte aller in der beständigen Suche nach Wahrheit gründet, insbesondere, wenn sie schwach oder ausgegrenzt sind.[6] Es geht um den sozialen Aufbau und um eine wachsende Ausgestaltung, in der jeder verantwortlich seinen Beitrag auf allen Ebenen der lokalen, nationalen und weltweiten Gemeinschaft beisteuert.

So hob der heilige Paul VI. hervor: »Das zweifache Bestreben nach Erlangung der Gleichheit und Mitverantwortung hängt aber mit der Förderung eines demokratischen Gesellschaftsstils zusammen. […] Damit ist die Bedeutung jener Institution für das gesellschaftliche Leben genannt, durch die nicht nur die Kenntnis der persönlichen Rechte weitergegeben, sondern auch das ins Gedächtnis zurückgerufen wird, was mit ihnen notwendig zusammenhängt: die Anerkennung der Pflichten, zu denen der eine dem anderen gegenüber gehalten ist. Bewusstsein und Wahrnehmung der damit verbundenen Aufgabe aber hängen vor allem wieder von der persönlichen Einstellung, von der geistigen Selbstzucht, von der Übernahme von Verantwortung und von der Einwilligung in Reglements ab, durch die sowohl für den Einzelnen als auch für einzelne Gruppen bestimmte Freiheitsgrenzen festgelegt werden.«[7]

Im Gegenteil, der Bruch zwischen den Mitgliedern einer Gesellschaft, die Zunahme sozialer Ungleichheit und die Ablehnung, die Mittel für eine ganzheitliche menschliche Entwicklung zu gebrauchen, gefährden die Verwirklichung des Gemeinwohls. Die geduldige Arbeit hingegen, die auf der Kraft des Wortes und der Wahrheit gründet, kann in den Personen die Fähigkeit zu Mitleid und kreativer Solidarität wiedererwecken.

In unserer christlichen Erfahrung haben wir stets Christus vor Augen, der sein Leben zu unserer Versöhnung hingegeben hat (vgl. Röm 5,6-11). Die Kirche nimmt an der Suche nach einer gerechten Ordnung auf umfassende Weise teil, indem sie dem Gemeinwohl dient und durch die Weitergabe der christlichen Werte, durch moralische Unterweisung und ihr soziales und erzieherisches Wirken die Hoffnung auf Frieden nährt.

3. Der Frieden als Weg der Versöhnung in geschwisterlicher Gemeinschaft

Die Bibel ruft – besonders durch das Wort der Propheten – die Gewissen und die Völker zum Bund Gottes mit den Menschen. Es geht darum, den Wunsch aufzugeben, über die anderen zu herrschen, und zu lernen, einander als Menschen, als Kinder Gottes, als Brüder und Schwestern anzusehen. Der andere darf niemals auf das reduziert werden, was er sagen oder machen konnte, sondern muss im Hinblick auf die Verheißung, die er in sich trägt, geachtet werden. Nur wenn der Weg der Achtung gewählt wird, kann man die Spirale der Rache aufbrechen und den Weg der Hoffnung beschreiten.

Hier leitet uns der Abschnitt aus dem Evangelium, der das folgende Gespräch zwischen Petrus und Jesus wiedergibt: »„Herr, wie oft muss ich meinem Bruder vergeben, wenn er gegen mich sündigt? Bis zu siebenmal?“ Jesus sagte zu ihm: „Ich sage dir nicht: Bis zu siebenmal, sondern bis zu siebzigmal siebenmal“« (Mt 18,21-22). Dieser Weg der Versöhnung ruft uns auf, tief in unserem Herzen die Kraft zur Vergebung zu finden sowie die Fähigkeit, uns als Brüder und Schwestern zu erkennen. Wenn wir in der Vergebung zu leben lernen, dann wächst unsere Fähigkeit, Frauen und Männer des Friedens zu werden.

Was für den Frieden im sozialen Bereich zutrifft, das stimmt auch im politischen und wirtschaftlichen Bereich, weil die Frage des Friedens alle Dimensionen des gemeinschaftlichen Lebens durchdringt: Es wird nie einen wahren Frieden geben, wenn wir nicht in der Lage sind, ein gerechteres Wirtschaftssystem aufzubauen. So schrieb vor zehn Jahren Benedikt XVI. in der Enzyklika Caritas in veritate: »Die Überwindung der Unterentwicklung erfordert ein Eingreifen nicht nur zur Verbesserung der auf Gütertausch beruhenden Transaktionen, nicht nur im Bereich der Leistungen der öffentlichen Hilfseinrichtungen, sondern vor allem eine fortschreitende Offenheit auf weltweiter Ebene für wirtschaftliche Tätigkeiten, die sich durch einen Anteil von Unentgeltlichkeit und Gemeinschaft auszeichnen« (Nr. 39).

4. Der Frieden als Weg der ökologischen Umkehr

»Wenn ein falsches Verständnis unserer eigenen Grundsätze uns auch manchmal dazu geführt hat, die schlechte Behandlung der Natur oder die despotische Herrschaft des Menschen über die Schöpfung oder die Kriege, die Ungerechtigkeit und die Gewalt zu rechtfertigen, können wir Glaubenden erkennen, dass wir auf diese Weise dem Schatz an Weisheit, den wir hätten hüten müssen, untreu gewesen sind.«[8]

Angesichts der Folgen unserer Feindseligkeit den anderen gegenüber und der Auswirkungen der fehlenden Achtung für das gemeinsame Haus und der missbräuchlichen Ausbeutung der natürlichen Ressourcen – einzig als Mittel für schnellen Profit heute gesehen, ohne auf die Gemeinschaften vor Ort, das Gemeinwohl und die Natur zu achten – brauchen wir eine ökologische Umkehr.

Die kürzlich stattgefundene Amazonien-Synode drängt uns, wieder neu zu einer friedlichen Beziehung zwischen den Gemeinschaften und der Erde, zwischen der Gegenwart und dem Gedächtnis, zwischen Erfahrungen und Hoffnungen aufzurufen.

Dieser Weg der Versöhnung bedeutet auch, die Welt zu hören und zu betrachten, die uns von Gott geschenkt wurde, damit wir sie zu unserem gemeinsamen Haus machen. Die natürlichen Ressourcen, die vielen Formen des Lebens und die Erde selbst wurden uns nämlich anvertraut, damit sie unter verantwortlicher und tätiger Mitwirkung eines jeden auch für die künftigen Generationen „bearbeitet und gehütet“ würden (vgl. Gen 2,15). Ferner brauchen wir einen Wandel der Überzeugungen und des Blicks, der uns offener macht für die Begegnung mit dem anderen und für die Annahme des Geschenks der Schöpfung, die die Schönheit und Weisheit ihres Schöpfers widerspiegelt.

Daraus entspringen insbesondere solide Beweggründe und eine neue Art und Weise, wie wir das gemeinsame Haus bewohnen und in unserer Verschiedenheit füreinander da sein sollen, wie wir das empfangene und gemeinsame Leben führen und achten sollen, wie wir uns um die Voraussetzungen und Modelle einer Gesellschaft, welche die Blüte und den Verbleib des Lebens in der Zukunft sichern, kümmern sollen und wie wir das Gemeinwohl der ganzen Menschheitsfamilie fördern sollen.

Die ökologische Umkehr, zu der wir aufrufen, führt uns also zu einem neuen Blick auf das Leben. Dabei betrachten wir die Freigebigkeit des Schöpfers, der uns die Erde geschenkt hat und zur frohen Genügsamkeit des Teilens mahnt. Eine solche Umkehr ist ganzheitlich zu verstehen, als eine Veränderung unserer Beziehungen zu unseren Schwestern und Brüdern, zu den anderen Lebewesen, zur Schöpfung in ihrer so reichen Vielfalt und zum Schöpfer, dem Urgrund allen Lebens. Für Christen heißt dies, dass sie verlangt, »alles, was ihnen aus ihrer Begegnung mit Jesus Christus erwachsen ist, in ihren Beziehungen zu der Welt, die sie umgibt, zur Blüte zu bringen«[9].

5. Man erlangt so viel, wie man erhofft[10]

Der Weg der Versöhnung erfordert Geduld und Vertrauen. Man erhält keinen Frieden, wenn man ihn nicht erhofft.

Es geht vor allem darum, an die Möglichkeit des Friedens zu glauben, zu glauben, dass der andere ebenso wie wir Frieden braucht. Darin kann uns die Liebe Gottes zu einem jeden von uns inspirieren, die eine befreiende, uneingeschränkte, unentgeltliche und unermüdliche Liebe ist.

Die Angst ist oft Quelle von Konflikten. Es ist daher wichtig, dass wir unsere menschliche Furcht überwinden und uns zugleich vor dem als bedürftige Kinder erkennen, der uns wie der Vater des verlorenen Sohns liebt und erwartet (vgl. Lk 15,11-24). Die Kultur der Begegnung zwischen Brüdern und Schwestern bricht mit der Kultur der Bedrohung. Sie macht aus jeder Begegnung eine Möglichkeit und eine Gabe der freigebigen Liebe Gottes. Sie leitet uns, die Grenzen unserer engen Horizonte zu überschreiten, um immer bestrebt zu sein, die Brüderlichkeit aller Menschen als Söhne und Töchter des einen himmlischen Vaters zu leben.

Für die Jünger Christi wird dieser Weg auch vom Sakrament der Versöhnung getragen, das der Herr zur Vergebung der Sünden der Getauften geschenkt hat. Dieses Sakrament der Kirche, das die Menschen und Gemeinschaften erneuert, ruft dazu auf, den Blick auf Jesus gerichtet zu halten, der »alles im Himmel und auf Erden« versöhnt hat und »der Frieden gestiftet hat am Kreuz durch sein Blut« (Kol 1,20). Dieses Sakrament verlangt zudem, jede Gewalt in Gedanken, Worten und Werken sowohl gegen den Nächsten als auch gegen die Schöpfung abzulegen.

Die Gnade Gottes des Vaters wird als bedingungslose Liebe geschenkt. Wenn wir in Christus seine Vergebung empfangen haben, können wir uns auf den Weg machen, um diese Vergebung den Männern und Frauen unserer Zeit anzubieten. Tag für Tag gibt uns der Heilige Geist Haltungen und Worte ein, damit wir zu „Handwerkern“ der Gerechtigkeit und des Friedens werden.

Möge der Gott des Friedens uns segnen und uns zu Hilfe kommen.

Möge Maria, die Mutter des Friedensfürsten und die Mutter aller Völker der Erde, uns Schritt für Schritt auf dem Weg der Versöhnung begleiten und unterstützen.

Möge jeder Mensch in dieser Welt ein friedliches Dasein finden und die Verheißung von Liebe und Leben, die er in sich trägt, vollkommen entfalten.

Aus dem Vatikan, am 8. Dezember 2019

FRANZISKUS

___________________

[1] Benedikt XVI., Enzyklika Spe salvi (30. November 2007), 1.
[2]
Botschaft über Atomwaffen, Nagasaki, Atomic Bomb Hypocenter Park, 24. November 2019.
[3]
Vgl. Predigt in Lampedusa, 8. Juli 2013.
[4]
Friedensansprache, Hiroshima, Friedensdenkmal, 24. November 2019.
[5]
Zweites Vatikanisches Konzil, Pastoralkonstitution Gaudium et spes, 78.
[6]
Vgl. Benedikt XVI., Ansprache an die Mitglieder der italienischen christlichen Arbeiterverbände, 27. Januar 2006.
[7]
Apostolisches Schreiben Octogesima adveniens (14. Mai 1971), 24.
[8]
Enzyklika Laudato si’ (24. Mai 2015), 200.
[9]
Ebd., 217.
[10]
Vgl. hl. Johannes vom Kreuz, Die dunkle Nacht, II, 21, 8.

[02001-DE.01] [Originalsprache: Italienisch]

Traduzione in lingua spagnola

LA PAZ COMO CAMINO DE ESPERANZA:
DIÁLOGO, RECONCILIACIÓN Y CONVERSIÓN ECOLÓGICA

1. La paz, camino de esperanza ante los obstáculos y las pruebas

La paz, como objeto de nuestra esperanza, es un bien precioso, al que aspira toda la humanidad. Esperar en la paz es una actitud humana que contiene una tensión existencial, y de este modo cualquier situación difícil «se puede vivir y aceptar si lleva hacia una meta, si podemos estar seguros de esta meta y si esta meta es tan grande que justifique el esfuerzo del camino».[1] En este sentido, la esperanza es la virtud que nos pone en camino, nos da alas para avanzar, incluso cuando los obstáculos parecen insuperables.

Nuestra comunidad humana lleva, en la memoria y en la carne, los signos de las guerras y de los conflictos que se han producido, con una capacidad destructiva creciente, y que no dejan de afectar especialmente a los más pobres y a los más débiles. Naciones enteras se afanan también por liberarse de las cadenas de la explotación y de la corrupción, que alimentan el odio y la violencia. Todavía hoy, a tantos hombres y mujeres, niños y ancianos se les niega la dignidad, la integridad física, la libertad, incluida la libertad religiosa, la solidaridad comunitaria, la esperanza en el futuro. Muchas víctimas inocentes cargan sobre sí el tormento de la humillación y la exclusión, del duelo y la injusticia, por no decir los traumas resultantes del ensañamiento sistemático contra su pueblo y sus seres queridos.

Las terribles pruebas de los conflictos civiles e internacionales, a menudo agravados por la violencia sin piedad, marcan durante mucho tiempo el cuerpo y el alma de la humanidad. En realidad, toda guerra se revela como un fratricidio que destruye el mismo proyecto de fraternidad, inscrito en la vocación de la familia humana.

Sabemos que la guerra a menudo comienza por la intolerancia a la diversidad del otro, lo que fomenta el deseo de posesión y la voluntad de dominio. Nace en el corazón del hombre por el egoísmo y la soberbia, por el odio que instiga a destruir, a encerrar al otro en una imagen negativa, a excluirlo y eliminarlo. La guerra se nutre de la perversión de las relaciones, de las ambiciones hegemónicas, de los abusos de poder, del miedo al otro y la diferencia vista como un obstáculo; y al mismo tiempo alimenta todo esto.

Es paradójico, como señalé durante el reciente viaje a Japón, que «nuestro mundo vive la perversa dicotomía de querer defender y garantizar la estabilidad y la paz en base a una falsa seguridad sustentada por una mentalidad de miedo y desconfianza, que termina por envenenar las relaciones entre pueblos e impedir todo posible diálogo. La paz y la estabilidad internacional son incompatibles con todo intento de fundarse sobre el miedo a la mutua destrucción o sobre una amenaza de aniquilación total; sólo es posible desde una ética global de solidaridad y cooperación al servicio de un futuro plasmado por la interdependencia y la corresponsabilidad entre toda la familia humana de hoy y de mañana».[2]

Cualquier situación de amenaza alimenta la desconfianza y el repliegue en la propia condición. La desconfianza y el miedo aumentan la fragilidad de las relaciones y el riesgo de violencia, en un círculo vicioso que nunca puede conducir a una relación de paz. En este sentido, incluso la disuasión nuclear no puede crear más que una seguridad ilusoria.

Por lo tanto, no podemos pretender que se mantenga la estabilidad en el mundo a través del miedo a la aniquilación, en un equilibrio altamente inestable, suspendido al borde del abismo nuclear y encerrado dentro de los muros de la indiferencia, en el que se toman decisiones socioeconómicas, que abren el camino a los dramas del descarte del hombre y de la creación, en lugar de protegerse los unos a los otros.[3] Entonces, ¿cómo construir un camino de paz y reconocimiento mutuo? ¿Cómo romper la lógica morbosa de la amenaza y el miedo? ¿Cómo acabar con la dinámica de desconfianza que prevalece actualmente?

Debemos buscar una verdadera fraternidad, que esté basada sobre nuestro origen común en Dios y ejercida en el diálogo y la confianza recíproca. El deseo de paz está profundamente inscrito en el corazón del hombre y no debemos resignarnos a nada menos que esto.

2. La paz, camino de escucha basado en la memoria, en la solidaridad y en la fraternidad

Los Hibakusha, los sobrevivientes de los bombardeos atómicos de Hiroshima y Nagasaki, se encuentran entre quienes mantienen hoy viva la llama de la conciencia colectiva, testificando a las generaciones venideras el horror de lo que sucedió en agosto de 1945 y el sufrimiento indescriptible que continúa hasta nuestros días. Su testimonio despierta y preserva de esta manera el recuerdo de las víctimas, para que la conciencia humana se fortalezca cada vez más contra todo deseo de dominación y destrucción: «No podemos permitir que las actuales y nuevas generaciones pierdan la memoria de lo acontecido, esa memoria que es garante y estímulo para construir un futuro más justo y más fraterno».[4]

Como ellos, muchos ofrecen en todo el mundo a las generaciones futuras el servicio esencial de la memoria, que debe mantenerse no sólo para evitar cometer nuevamente los mismos errores o para que no se vuelvan a proponer los esquemas ilusorios del pasado, sino también para que esta, fruto de la experiencia, constituya la raíz y sugiera el camino para las decisiones de paz presentes y futuras.

La memoria es, aún más, el horizonte de la esperanza: muchas veces, en la oscuridad de guerras y conflictos, el recuerdo de un pequeño gesto de solidaridad recibido puede inspirar también opciones valientes e incluso heroicas, puede poner en marcha nuevas energías y reavivar una nueva esperanza tanto en los individuos como en las comunidades.

Abrir y trazar un camino de paz es un desafío muy complejo, en cuanto los intereses que están en juego en las relaciones entre personas, comunidades y naciones son múltiples y contradictorios. En primer lugar, es necesario apelar a la conciencia moral y a la voluntad personal y política. La paz, en efecto, brota de las profundidades del corazón humano y la voluntad política siempre necesita revitalización, para abrir nuevos procesos que reconcilien y unan a las personas y las comunidades.

El mundo no necesita palabras vacías, sino testigos convencidos, artesanos de la paz abiertos al diálogo sin exclusión ni manipulación. De hecho, no se puede realmente alcanzar la paz a menos que haya un diálogo convencido de hombres y mujeres que busquen la verdad más allá de las ideologías y de las opiniones diferentes. La paz «debe edificarse continuamente»,[5] un camino que hacemos juntos buscando siempre el bien común y comprometiéndonos a cumplir nuestra palabra y respetar las leyes. El conocimiento y la estima por los demás también pueden crecer en la escucha mutua, hasta el punto de reconocer en el enemigo el rostro de un hermano.

Por tanto, el proceso de paz es un compromiso constante en el tiempo. Es un trabajo paciente que busca la verdad y la justicia, que honra la memoria de las víctimas y que se abre, paso a paso, a una esperanza común, más fuerte que la venganza. En un Estado de derecho, la democracia puede ser un paradigma significativo de este proceso, si se basa en la justicia y en el compromiso de salvaguardar los derechos de cada uno, especialmente si es débil o marginado, en la búsqueda continua de la verdad.[6] Es una construcción social y una tarea en progreso, en la que cada uno contribuye responsablemente a todos los niveles de la comunidad local, nacional y mundial.

Como resaltaba san Pablo VI: «La doble aspiración hacia la igualdad y la participación trata de promover un tipo de sociedad democrática. […] Esto indica la importancia de la educación para la vida en sociedad, donde, además de la información sobre los derechos de cada uno, sea recordado su necesario correlativo: el reconocimiento de los deberes de cada uno de cara a los demás; el sentido y la práctica del deber están mutuamente condicionados por el dominio de sí, la aceptación de las responsabilidades y de los límites puestos al ejercicio de la libertad de la persona individual o del grupo».[7]

Por el contrario, la brecha entre los miembros de una sociedad, el aumento de las desigualdades sociales y la negativa a utilizar las herramientas para el desarrollo humano integral ponen en peligro la búsqueda del bien común. En cambio, el trabajo paciente basado en el poder de la palabra y la verdad puede despertar en las personas la capacidad de compasión y solidaridad creativa.

En nuestra experiencia cristiana, recordamos constantemente a Cristo, quien dio su vida por nuestra reconciliación (cf. Rm 5,6-11). La Iglesia participa plenamente en la búsqueda de un orden justo, y continúa sirviendo al bien común y alimentando la esperanza de paz a través de la transmisión de los valores cristianos, la enseñanza moral y las obras sociales y educativas.

3. La paz, camino de reconciliación en la comunión fraterna

La Biblia, de una manera particular a través de la palabra de los profetas, llama a las conciencias y a los pueblos a la alianza de Dios con la humanidad. Se trata de abandonar el deseo de dominar a los demás y aprender a verse como personas, como hijos de Dios, como hermanos. Nunca se debe encasillar al otro por lo que pudo decir o hacer, sino que debe ser considerado por la promesa que lleva dentro de él. Sólo eligiendo el camino del respeto será posible romper la espiral de venganza y emprender el camino de la esperanza.

Nos guía el pasaje del Evangelio que muestra el siguiente diálogo entre Pedro y Jesús: «“Señor, si mi hermano me ofende, ¿cuántas veces tengo que perdonarlo? ¿Hasta siete veces?”. Jesús le contesta: “No te digo hasta siete veces, sino hasta setenta veces siete”» (Mt 18,21-22). Este camino de reconciliación nos llama a encontrar en lo más profundo de nuestros corazones la fuerza del perdón y la capacidad de reconocernos como hermanos y hermanas. Aprender a vivir en el perdón aumenta nuestra capacidad de convertirnos en mujeres y hombres de paz.

Lo que afirmamos de la paz en el ámbito social vale también en lo político y económico, puesto que la cuestión de la paz impregna todas las dimensiones de la vida comunitaria: nunca habrá una paz verdadera a menos que seamos capaces de construir un sistema económico más justo. Como escribió hace diez años Benedicto XVI en la Carta encíclica Caritas in veritate: «La victoria sobre el subdesarrollo requiere actuar no sólo en la mejora de las transacciones basadas en la compraventa, o en las transferencias de las estructuras asistenciales de carácter público, sino sobre todo en la apertura progresiva en el contexto mundial a formas de actividad económica caracterizada por ciertos márgenes de gratuidad y comunión» (n. 39).

4. La paz, camino de conversión ecológica

«Si una mala comprensión de nuestros propios principios a veces nos ha llevado a justificar el maltrato a la naturaleza o el dominio despótico del ser humano sobre lo creado o las guerras, la injusticia y la violencia, los creyentes podemos reconocer que de esa manera hemos sido infieles al tesoro de sabiduría que debíamos custodiar».[8]

Ante las consecuencias de nuestra hostilidad hacia los demás, la falta de respeto por la casa común y la explotación abusiva de los recursos naturales —vistos como herramientas útiles únicamente para el beneficio inmediato, sin respeto por las comunidades locales, por el bien común y por la naturaleza—, necesitamos una conversión ecológica.

El reciente Sínodo sobre la Amazonia nos lleva a renovar la llamada a una relación pacífica entre las comunidades y la tierra, entre el presente y la memoria, entre las experiencias y las esperanzas.

Este camino de reconciliación es también escucha y contemplación del mundo que Dios nos dio para convertirlo en nuestra casa común. De hecho, los recursos naturales, las numerosas formas de vida y la tierra misma se nos confían para ser “cultivadas y preservadas” (cf. Gn 2,15) también para las generaciones futuras, con la participación responsable y activa de cada uno. Además, necesitamos un cambio en las convicciones y en la mirada, que nos abra más al encuentro con el otro y a la acogida del don de la creación, que refleja la belleza y la sabiduría de su Hacedor.

De aquí surgen, en particular, motivaciones profundas y una nueva forma de vivir en la casa común, de encontrarse unos con otros desde la propia diversidad, de celebrar y respetar la vida recibida y compartida, de preocuparse por las condiciones y modelos de sociedad que favorecen el florecimiento y la permanencia de la vida en el futuro, de incrementar el bien común de toda la familia humana.

Por lo tanto, la conversión ecológica a la que apelamos nos lleva a tener una nueva mirada sobre la vida, considerando la generosidad del Creador que nos dio la tierra y que nos recuerda la alegre sobriedad de compartir. Esta conversión debe entenderse de manera integral, como una transformación de las relaciones que tenemos con nuestros hermanos y hermanas, con los otros seres vivos, con la creación en su variedad tan rica, con el Creador que es el origen de toda vida. Para el cristiano, esta pide «dejar brotar todas las consecuencias de su encuentro con Jesucristo en las relaciones con el mundo que los rodea».[9]

5. Se alcanza tanto cuanto se espera[10]

El camino de la reconciliación requiere paciencia y confianza. La paz no se logra si no se la espera.

En primer lugar, se trata de creer en la posibilidad de la paz, de creer que el otro tiene nuestra misma necesidad de paz. En esto, podemos inspirarnos en el amor de Dios por cada uno de nosotros, un amor liberador, ilimitado, gratuito e incansable.

El miedo es a menudo una fuente de conflicto. Por lo tanto, es importante ir más allá de nuestros temores humanos, reconociéndonos hijos necesitados, ante Aquel que nos ama y nos espera, como el Padre del hijo pródigo (cf. Lc 15,11-24). La cultura del encuentro entre hermanos y hermanas rompe con la cultura de la amenaza. Hace que cada encuentro sea una posibilidad y un don del generoso amor de Dios. Nos guía a ir más allá de los límites de nuestros estrechos horizontes, a aspirar siempre a vivir la fraternidad universal, como hijos del único Padre celestial.

Para los discípulos de Cristo, este camino está sostenido también por el sacramento de la Reconciliación, que el Señor nos dejó para la remisión de los pecados de los bautizados. Este sacramento de la Iglesia, que renueva a las personas y a las comunidades, nos llama a mantener la mirada en Jesús, que ha reconciliado «todas las cosas, las del cielo y las de la tierra, haciendo la paz por la sangre de su cruz» (Col 1,20); y nos pide que depongamos cualquier violencia en nuestros pensamientos, palabras y acciones, tanto hacia nuestro prójimo como hacia la creación.

La gracia de Dios Padre se da como amor sin condiciones. Habiendo recibido su perdón, en Cristo, podemos ponernos en camino para ofrecerlo a los hombres y mujeres de nuestro tiempo. Día tras día, el Espíritu Santo nos sugiere actitudes y palabras para que nos convirtamos en artesanos de la justicia y la paz.

Que el Dios de la paz nos bendiga y venga en nuestra ayuda.

Que María, Madre del Príncipe de la paz y Madre de todos los pueblos de la tierra, nos acompañe y nos sostenga en el camino de la reconciliación, paso a paso.

Y que cada persona que venga a este mundo pueda conocer una existencia de paz y desarrollar plenamente la promesa de amor y vida que lleva consigo.

Vaticano, 8 de diciembre de 2019

FRANCISCO

____________________

[1] Benedicto XVI, Carta enc. Spe salvi (30 noviembre 2007), 1.
[2]
Discurso sobre las armas nucleares, Nagasaki, Parque del epicentro de la bomba atómica, 24 noviembre 2019.
[3]
Cf. Homilía en Lampedusa, 8 julio 2013.
[4]
Encuentro por la paz, Hiroshima, Memorial de la Paz, 24 noviembre 2019.
[5]
Conc. Ecum. Vat. II, Const. past. Gaudium et spes, 78.
[6]
Cf. Benedicto XVI, Discurso a los dirigentes de las asociaciones cristianas de trabajadores italianos, 27 enero 2006.
[7]
Carta. ap. Octogesima adveniens (14 mayo 1971), 24.
[8]
Carta enc. Laudato si’ (24 mayo 2015), 200.
[9]
Ibíd., 217.
[10]
Cf. S. Juan de la Cruz, Noche Oscura, II, 21, 8.

[02001-ES.01] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua portoghese

A PAZ COMO CAMINHO DE ESPERANÇA:
DIÁLOGO, RECONCILIAÇÃO E CONVERSÃO ECOLÓGICA

1. A paz, caminho de esperança face aos obstáculos e provações

A paz é um bem precioso, objeto da nossa esperança; por ela aspira toda a humanidade. Depor esperança na paz é um comportamento humano que alberga uma tal tensão existencial, que o momento presente, às vezes até custoso, «pode ser vivido e aceite, se levar a uma meta e se pudermos estar seguros dessa meta, se esta meta for tão grande que justifique a canseira do caminho».[1] Assim, a esperança é a virtude que nos coloca a caminho, dá asas para continuar, mesmo quando os obstáculos parecem intransponíveis.

A nossa comunidade humana traz, na memória e na carne, os sinais das guerras e conflitos que têm vindo a suceder-se, com crescente capacidade destruidora, afetando especialmente os mais pobres e frágeis. Há nações inteiras que não conseguem libertar-se das cadeias de exploração e corrupção que alimentam ódios e violências. A muitos homens e mulheres, crianças e idosos, ainda hoje se nega a dignidade, a integridade física, a liberdade – incluindo a liberdade religiosa –, a solidariedade comunitária, a esperança no futuro. Inúmeras vítimas inocentes carregam sobre si o tormento da humilhação e da exclusão, do luto e da injustiça, se não mesmo os traumas resultantes da opressão sistemática contra o seu povo e os seus entes queridos.

As terríveis provações dos conflitos civis e dos conflitos internacionais, agravadas muitas vezes por violências desalmadas, marcam prolongadamente o corpo e a alma da humanidade. Na realidade, toda a guerra se revela um fratricídio que destrói o próprio projeto de fraternidade, inscrito na vocação da família humana.

Sabemos que, muitas vezes, a guerra começa pelo facto de não se suportar a diversidade do outro, que fomenta o desejo de posse e a vontade de domínio. Nasce, no coração do homem, a partir do egoísmo e do orgulho, do ódio que induz a destruir, a dar uma imagem negativa do outro, a excluí-lo e cancelá-lo. A guerra nutre-se com a perversão das relações, com as ambições hegemónicas, os abusos de poder, com o medo do outro e a diferença vista como obstáculo; e simultaneamente alimenta tudo isso.

Como fiz notar durante a recente viagem ao Japão, é paradoxal que «o nosso mundo viva a dicotomia perversa de querer defender e garantir a estabilidade e a paz com base numa falsa segurança sustentada por uma mentalidade de medo e desconfiança, que acaba por envenenar as relações entre os povos e impedir a possibilidade de qualquer diálogo. A paz e a estabilidade internacional são incompatíveis com qualquer tentativa de as construir sobre o medo de mútua destruição ou sobre uma ameaça de aniquilação total. São possíveis só a partir duma ética global de solidariedade e cooperação ao serviço dum futuro modelado pela interdependência e a corresponsabilidade na família humana inteira de hoje e de amanhã».[2]

Toda a situação de ameaça alimenta a desconfiança e a retirada para dentro da própria condição. Desconfiança e medo aumentam a fragilidade das relações e o risco de violência, num círculo vicioso que nunca poderá levar a uma relação de paz. Neste sentido, a própria dissuasão nuclear só pode criar uma segurança ilusória.

Por isso, não podemos pretender manter a estabilidade no mundo através do medo da aniquilação, num equilíbrio muito instável, pendente sobre o abismo nuclear e fechado dentro dos muros da indiferença, onde se tomam decisões socioeconómicas que abrem a estrada para os dramas do descarte do homem e da criação, em vez de nos guardarmos uns aos outros.[3] Então como construir um caminho de paz e mútuo reconhecimento? Como romper a lógica morbosa da ameaça e do medo? Como quebrar a dinâmica de desconfiança atualmente prevalecente?

Devemos procurar uma fraternidade real, baseada na origem comum de Deus e vivida no diálogo e na confiança mútua. O desejo de paz está profundamente inscrito no coração do homem e não devemos resignar-nos com nada de menos.

2. A paz, caminho de escuta baseado na memória, solidariedade e fraternidade

Os sobreviventes aos bombardeamentos atómicos de Hiroxima e Nagasáqui – denominados os hibakusha – contam-se entre aqueles que, hoje, mantêm viva a chama da consciência coletiva, testemunhando às sucessivas gerações o horror daquilo que aconteceu em agosto de 1945 e os sofrimentos indescritíveis que se seguiram até aos dias de hoje. Assim, o seu testemunho aviva e preserva a memória das vítimas, para que a consciência humana se torne cada vez mais forte contra toda a vontade de domínio e destruição. «Não podemos permitir que as atuais e as novas gerações percam a memória do que aconteceu, aquela memória que é garantia e estímulo para construir um futuro mais justo e fraterno».[4]

Como eles, há muitos, em todas as partes do mundo, que oferecem às gerações futuras o serviço imprescindível da memória, que deve ser preservada não apenas para evitar que se voltem a cometer os mesmos erros ou se reproponham os esquemas ilusórios do passado, mas também para que a memória, fruto da experiência, constitua a raiz e sugira a vereda para as opções de paz presentes e futuras.

Mais ainda, a memória é o horizonte da esperança: muitas vezes, na escuridão das guerras e dos conflitos, a lembrança mesmo dum pequeno gesto de solidariedade recebida pode inspirar opções corajosas e até heroicas, pode colocar em movimento novas energias e reacender nova esperança nos indivíduos e nas comunidades.

Abrir e traçar um caminho de paz é um desafio muito complexo, pois os interesses em jogo, nas relações entre pessoas, comunidades e nações, são múltiplos e contraditórios. É preciso, antes de mais nada, fazer apelo à consciência moral e à vontade pessoal e política. Com efeito, a paz alcança-se no mais fundo do coração humano, e a vontade política deve ser incessantemente revigorada para abrir novos processos que reconciliem e unam pessoas e comunidades.

O mundo não precisa de palavras vazias, mas de testemunhas convictas, artesãos da paz abertos ao diálogo sem exclusões nem manipulações. De facto, só se pode chegar verdadeiramente à paz quando houver um convicto diálogo de homens e mulheres que buscam a verdade mais além das ideologias e das diferentes opiniões. A paz é uma construção que «deve estar constantemente a ser edificada»,[5] um caminho que percorremos juntos procurando sempre o bem comum e comprometendo-nos a manter a palavra dada e a respeitar o direito. Na escuta mútua, podem crescer também o conhecimento e a estima do outro, até ao ponto de reconhecer no inimigo o rosto dum irmão.

Por conseguinte, o processo de paz é um empenho que se prolonga no tempo. É um trabalho paciente de busca da verdade e da justiça, que honra a memória das vítimas e abre, passo a passo, para uma esperança comum, mais forte que a vingança. Num Estado de direito, a democracia pode ser um paradigma significativo deste processo, se estiver baseada na justiça e no compromisso de tutelar os direitos de cada um, especialmente se vulnerável ou marginalizado, na busca contínua da verdade.[6] Trata-se duma construção social em contínua elaboração, para a qual cada um presta responsavelmente a própria contribuição, a todos os níveis da comunidade local, nacional e mundial.

Como assinalava o Papa São Paulo VI, «a dupla aspiração – à igualdade e à participação – procura promover um tipo de sociedade democrática. (...). Isto, de per si, já diz bem qual a importância de uma educação para a vida em sociedade, em que, para além da informação sobre os direitos de cada um, seja recordado também o seu necessário correlativo: o reconhecimento dos deveres de cada um em relação aos outros. O sentido e a prática do dever são, por sua vez, condicionados pelo domínio de si mesmo, pela aceitação das responsabilidades e das limitações impostas ao exercício da liberdade do indivíduo ou do grupo».[7]

Pelo contrário, a fratura entre os membros duma sociedade, o aumento das desigualdades sociais e a recusa de empregar os meios para um desenvolvimento humano integral colocam em perigo a prossecução do bem comum. Inversamente, o trabalho paciente, baseado na força da palavra e da verdade, pode despertar nas pessoas a capacidade de compaixão e solidariedade criativa.

Na nossa experiência cristã, fazemos constantemente memória de Cristo, que deu a sua vida pela nossa reconciliação (cf. Rm 5, 6-11). A Igreja participa plenamente na busca duma ordem justa, continuando a servir o bem comum e a alimentar a esperança da paz, através da transmissão dos valores cristãos, do ensinamento moral e das obras sociais e educacionais.

3. A paz, caminho de reconciliação na comunhão fraterna

A Bíblia, particularmente através da palavra dos profetas, chama as consciências e os povos à aliança de Deus com a humanidade. Trata-se de abandonar o desejo de dominar os outros e aprender a olhar-se mutuamente como pessoas, como filhos de Deus, como irmãos. O outro nunca há de ser circunscrito àquilo que pôde ter dito ou feito, mas deve ser considerado pela promessa que traz em si mesmo. Somente escolhendo a senda do respeito é que será possível romper a espiral da vingança e empreender o caminho da esperança.

Guia-nos a passagem do Evangelho que reproduz o seguinte diálogo entre Pedro e Jesus: «“Senhor, se o meu irmão me ofender, quantas vezes lhe deverei perdoar? Até sete vezes?” Jesus respondeu: “Não te digo até sete vezes, mas até setenta vezes sete”» (Mt 18, 21-22). Este caminho de reconciliação convida-nos a encontrar no mais fundo do nosso coração a força do perdão e a capacidade de nos reconhecermos como irmãos e irmãs. Aprender a viver no perdão aumenta a nossa capacidade de nos tornarmos mulheres e homens de paz.

O que é verdade em relação à paz na esfera social, é verdadeiro também no campo político e económico, pois a questão da paz permeia todas as dimensões da vida comunitária: nunca haverá paz verdadeira, se não formos capazes de construir um sistema económico mais justo. Como escreveu Bento XVI, «a vitória sobre o subdesenvolvimento exige que se atue não só sobre a melhoria das transações fundadas sobre o intercâmbio, nem apenas sobre as transferências das estruturas assistenciais de natureza pública, mas sobretudo sobre a progressiva abertura, em contexto mundial, para formas de atividade económica caraterizadas por quotas de gratuidade e de comunhão».[8]

4. A paz, caminho de conversão ecológica

«Se às vezes uma má compreensão dos nossos princípios nos levou a justificar o abuso da natureza, ou o domínio despótico do ser humano sobre a criação, ou as guerras, a injustiça e a violência, nós, crentes, podemos reconhecer que então fomos infiéis ao tesouro de sabedoria que devíamos guardar».[9]

Vendo as consequências da nossa hostilidade contra os outros, da falta de respeito pela casa comum e da exploração abusiva dos recursos naturais – considerados como instrumentos úteis apenas para o lucro de hoje, sem respeito pelas comunidades locais, pelo bem comum e pela natureza –, precisamos duma conversão ecológica.

O Sínodo recente sobre a Amazónia impele-nos a dirigir, de forma renovada, o apelo em prol duma relação pacífica entre as comunidades e a terra, entre o presente e a memória, entre as experiências e as esperanças.

Este caminho de reconciliação inclui também escuta e contemplação do mundo que nos foi dado por Deus, para fazermos dele a nossa casa comum. De facto, os recursos naturais, as numerosas formas de vida e a própria Terra foram-nos confiados para ser «cultivados e guardados» (cf. Gn 2, 15) também para as gerações futuras, com a participação responsável e diligente de cada um. Além disso, temos necessidade duma mudança nas convicções e na perspetiva, que nos abra mais ao encontro com o outro e à receção do dom da criação, que reflete a beleza e a sabedoria do seu Artífice.

De modo particular brotam daqui motivações profundas e um novo modo de habitar na casa comum, de convivermos uns e outros com as próprias diversidades, de celebrar e respeitar a vida recebida e partilhada, de nos preocuparmos com condições e modelos de sociedade que favoreçam o desabrochar e a permanência da vida no futuro, de desenvolver o bem comum de toda a família humana.

Por conseguinte a conversão ecológica, a que apelamos, leva-nos a uma nova perspetiva sobre a vida, considerando a generosidade do Criador que nos deu a Terra e nos chama à jubilosa sobriedade da partilha. Esta conversão deve ser entendida de maneira integral, como uma transformação das relações que mantemos com as nossas irmãs e irmãos, com os outros seres vivos, com a criação na sua riquíssima variedade, com o Criador que é origem de toda a vida. Para o cristão, uma tal conversão exige «deixar emergir, nas relações com o mundo que o rodeia, todas as consequências do encontro com Jesus».[10]

5. Obtém-se tanto quanto se espera[11]

O caminho da reconciliação requer paciência e confiança. Não se obtém a paz, se não a esperamos.

Trata-se, antes de mais nada, de acreditar na possibilidade da paz, de crer que o outro tem a mesma necessidade de paz que nós. Nisto, pode-nos inspirar o amor de Deus por cada um de nós, amor libertador, ilimitado, gratuito, incansável.

O medo é, frequentemente, fonte de conflito. Por isso, é importante ir além dos nossos temores humanos, reconhecendo-nos filhos necessitados diante d’Aquele que nos ama e espera por nós, como o Pai do filho pródigo (cf. Lc 15, 11-24). A cultura do encontro entre irmãos e irmãs rompe com a cultura da ameaça. Torna cada encontro uma possibilidade e um dom do amor generoso de Deus. Faz-nos de guia para ultrapassarmos os limites dos nossos horizontes estreitos, procurando sempre viver a fraternidade universal, como filhos do único Pai celeste.

Para os discípulos de Cristo, este caminho é apoiado também pelo sacramento da Reconciliação, concedido pelo Senhor para a remissão dos pecados dos batizados. Este sacramento da Igreja, que renova as pessoas e as comunidades, convida a manter o olhar fixo em Jesus, que reconciliou «todas as coisas, pacificando pelo sangue da sua cruz, tanto as que estão na terra como as que estão no céu» (Col 1, 20); e pede para depor toda a violência nos pensamentos, nas palavras e nas obras quer para com o próximo quer para com a criação.

A graça de Deus Pai oferece-se como amor sem condições. Recebido o seu perdão, em Cristo, podemos colocar-nos a caminho para ir oferecê-lo aos homens e mulheres do nosso tempo. Dia após dia, o Espírito Santo sugere-nos atitudes e palavras para nos tornarmos artesãos de justiça e de paz.

Que o Deus da paz nos abençoe e venha em nossa ajuda.

Que Maria, Mãe do Príncipe da paz e Mãe de todos os povos da terra, nos acompanhe e apoie, passo a passo, no caminho da reconciliação.

E que toda a pessoa que vem a este mundo possa conhecer uma existência de paz e desenvolver plenamente a promessa de amor e vida que traz em si.

Vaticano, 8 de dezembro de 2019.

FRANCISCO

___________________

[1] Bento XVI, Carta enc. Spe salvi, 30 de novembro de 2007, 1.
[2]
Discurso sobre as armas nucleares, Nagasáqui – Parque «Atomic Bomb Hypocenter», 24 de novembro de 2019.
[3]
Cf. Francisco, Homilia em Lampedusa, 8 de julho de 2013.
[4]
Francisco, Discurso sobre a Paz, Hiroxima – Memorial da Paz, 24 de novembro de 2019.
[5]
Conc. Ecum. Vat. II, Const. past. Gaudium et spes, 78.
[6]
Cf. Bento XVI, Discurso aos dirigentes e membros das Associações Cristãs dos Trabalhadores Italianos (ACLI), 27 de janeiro de 2006.
[7]
Carta ap. Octogesima adveniens, 14 de maio de 1971, 24.
[8]
Carta enc. Caritas in veritate, 29 de junho de 2009, 39.
[9]
Francisco, Carta enc. Laudato si’, 24 de maio de 2015, 200.
[10]
Ibid., 217.
[11]
Cf. São João da Cruz, Noite Escura, II, 21, 8.

[02001-PO.01] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua polacca

POKÓJ JAKO DROGA NADZIEI:
DIALOG, POJEDNANIE I NAWRÓCENIE EKOLOGICZNE

1. Pokój, droga nadziei w obliczu przeciwności i prób

Pokój jest dobrem cennym, przedmiotem naszej nadziei, do którego dąży cała ludzkość. Nadzieja na pokój to postawa ludzka, która zawiera napięcie egzystencjalne, ze względu na które nawet niekiedy uciążliwą teraźniejszość „można przeżywać i akceptować, jeśli ma jakiś cel i jeśli tego celu możemy być pewni, jeśli jest to cel tak wielki, że usprawiedliwia trud drogi”[1]. Dzięki temu nadzieja jest cnotą, która każe nam wyruszyć w drogę, daje nam skrzydła, by iść naprzód, nawet gdy przeszkody wydają się nie do pokonania.

Nasza ludzka wspólnota nosi w pamięci i ciele znaki wojen i konfliktów, które następowały po sobie z coraz większymi możliwościami zniszczenia, a które nie przestają dotykać szczególnie najuboższych i najsłabszych. Nawet całym narodom trudno wyzwolić się z okowów wyzysku i korupcji, podsycających nienawiść i przemoc. Do dziś, wielu mężczyznom i kobietom, dzieciom i osobom starszym odmawia się godności, nietykalności fizycznej, wolności, w tym wolności religijnej, solidarności wspólnotowej, nadziei na przyszłość. Wiele niewinnych ofiar znosi udrękę upokorzenia i wykluczenia, żałoby i niesprawiedliwości, a nawet urazów wynikających z systematycznych zaciekłych prześladowań przeciw swemu ludowi i swoim bliskim.

Straszliwe doświadczenia konfliktów wewnętrznych i międzynarodowych, często pogłębiane przemocą bez jakiejkolwiek litości, odcisnęły piętno na ciele i duszy ludzkości. Każda wojna okazuje się bowiem bratobójstwem, które niszczy sam projekt braterstwa, wpisany w powołanie rodziny ludzkiej.

Wiemy, że wojna często zaczyna się od nietolerancji wobec odmienności drugiego, co wywołuje chęć posiadania i wolę panowania. Rodzi się w sercu człowieka z egoizmu i pychy, z nienawiści prowadzącej do zniszczenia, aby zamknąć drugiego w obrazie negatywnym, żeby go wykluczyć i usunąć. Wojna jest podsycana przez wypaczanie relacji, ambicje hegemoniczne, nadużycia władzy, lęk przed drugim i różnicę postrzeganą jako przeszkodę; i jednocześnie to wszystko podsyca.

Paradoksalne jest, jak zauważyłem podczas ostatniej podróży do Japonii, że „nasz świat żyje przewrotną dychotomią chęci obrony i zapewnienia stabilności i pokoju, opartych na fałszywym bezpieczeństwie wspieranym mentalnością strachu i nieufności, co doprowadza do zatrucia relacji między narodami i uniemożliwienia jakiegokolwiek dialogu. Nie da się pogodzić pokoju między narodami i stabilności z jakimkolwiek usiłowaniem budowania na strachu przed wzajemnym zniszczeniem lub na groźbie całkowitej zagłady. Jest to możliwe jedynie wychodząc z globalnej etyki solidarności i współpracy w służbie przyszłości kształtowanej przez współzależność i współodpowiedzialność całej rodziny ludzkiej dziś i jutro”[2].

Każda sytuacja zagrożenia wywołuje nieufność i skupienie się na swoim statusie. Nieufność i strach zwiększają kruchość relacji i zagrożenie przemocą, w błędnym kole, które nigdy nie może prowadzić do relacji pokojowych. W związku z tym, nawet odstraszanie nuklearne może stworzyć jedynie złudne bezpieczeństwo.

Dlatego nie możemy oczekiwać utrzymania stabilności na świecie poprzez strach przed unicestwieniem, w bardzo niestabilnej równowadze, zawieszonej na skraju otchłani nuklearnej i zamkniętej w murach obojętności, gdzie podejmowane są decyzje społeczno-gospodarcze otwierające drogę do dramatów odrzucenia człowieka i stworzenia, zamiast strzec siebie nawzajem[3]. Jak zatem zbudować drogę pokoju i wzajemnego uznania? Jak przełamać chorobliwą logikę pogróżek i strachu? Jak pokonać dominującą obecnie dynamikę nieufności?

Musimy dążyć do prawdziwego braterstwa opartego na wspólnym pochodzeniu od Boga, braterstwa realizowanego w dialogu i wzajemnym zaufaniu. Pragnienie pokoju jest głęboko zakorzenione w sercu człowieka i nie wolno nam rezygnować, godząc się na coś, co byłoby od niego mniejsze.

2. Pokój, droga słuchania oparta na pamięci, solidarności i braterstwie

Hibakusha, osoby, które przeżyły bombardowania atomowe w Hiroszimie i Nagasaki, należą do tych, którzy dziś podtrzymują płomień zbiorowej świadomości, świadcząc następnym pokoleniom o potworności tego, co wydarzyło się w sierpniu 1945 r. oraz o niewypowiedzianych cierpieniach, jakie po tym nastąpiły aż po dzień dzisiejszy. Ich świadectwo rozbudza i zachowuje w ten sposób pamięć o ofiarach, aby ludzkie sumienie stawało się coraz silniejsze w obliczu wszelkiej woli dominacji i zniszczenia: „nie możemy pozwolić, by obecne i nowe pokolenia utraciły pamięć o tym, co się wydarzyło, tę pamięć, która jest gwarantem i bodźcem do budowania bardziej sprawiedliwej i braterskiej przyszłości”[4].

Podobnie jak oni, wiele osób na całym świecie oferuje przyszłym pokoleniom nieodzowną posługę pamięci, której należy strzec nie tylko po to, aby nie popełniać na nowo tych samych błędów, albo by nie proponowano na nowo złudnych wzorców przeszłości, ale także dlatego, aby jako owoc doświadczenia stanowiła ona korzeń i podpowiadała drogę dla obecnych i przyszłych decyzji pokojowych.

Co więcej, pamięć jest perspektywą nadziei: często w mrokach wojen i konfliktów, pamięć o nawet niewielkim otrzymanym geście solidarności może zainspirować decyzje odważne, a nawet heroiczne, może uruchomić nowe energie i rozpalić nową nadzieję w poszczególnych osobach i wspólnotach.

Otwarcie i wytyczanie drogi pokoju jest wyzwaniem o tyle bardziej złożonym, o ile wchodzące w grę interesy w stosunkach między osobami, wspólnotami i narodami są wielorakie i sprzeczne. Przede wszystkim należy odwoływać się do sumienia moralnego oraz do woli osobistej i politycznej. Pokój czerpiemy bowiem z głębi ludzkiego serca, a wola polityczna zawsze musi być umacniana, aby rozpocząć nowe procesy, które jednają i jednoczą osoby i wspólnoty.

Świat nie potrzebuje pustych słów, ale przekonanych świadków, budowniczych pokoju otwartych na dialog, bez wykluczenia i manipulacji. Nie można bowiem naprawdę osiągnąć pokoju, jeśli nie będzie pełnego przekonania dialogu mężczyzn i kobiet, którzy szukają prawdy pomijając ideologie i różne opinie. Pokój „należy budować bezustannie”[5], jest drogą, którą przebywamy razem, zawsze szukając dobra wspólnego i zobowiązując się do dotrzymywania danego słowa i poszanowania prawa. We wzajemnym słuchaniu mogą też wzrastać poznanie i szacunek dla drugiego, aż po rozpoznanie w nieprzyjacielu twarzy brata.

Proces pokojowy jest zatem zaangażowaniem, które trwa w czasie. Jest to cierpliwe dzieło poszukiwania prawdy i sprawiedliwości, szanujące pamięć ofiar i otwierające krok po kroku wspólną nadzieję, silniejszą niż zemsta. W państwie prawa demokracja może być znaczącym paradygmatem tego procesu, jeżeli opiera się na sprawiedliwości i dążeniu do ochrony praw każdego, zwłaszcza słabych lub zmarginalizowanych, w nieustannym poszukiwaniu prawdy[6]. Chodzi o konstrukcję społeczną i dzieło w toku, w które każdy odpowiedzialnie wnosi swój wkład na wszystkich poziomach społeczności lokalnej, krajowej i ogólnoświatowej.

Jak podkreślał św. Paweł VI, „podwójna tendencja, do równości i do udziału w zarządzaniu zmierza do wytworzenia pewnego typu społeczeństwa demokratycznego [...]. Stąd wynika doniosłość wychowywania do życia społecznego, wychowania, w którym obok pouczenia o prawach należnych każdemu znajdzie się przypomnienie o wzajemnych obowiązkach, które są koniecznym odpowiednikiem praw. Świadomość zaś obowiązków i wykonywanie ich zależą najbardziej od panowania nad sobą, a także od podjęcia odpowiedzialności i uznania granic wolności jednostki czy grupy”[7].

Przeciwnie, rozdźwięk między członkami społeczeństwa, wzrost nierówności społecznych i odmowa użycia narzędzi służących integralnemu rozwojowi człowieka zagrażają dążeniu do dobra wspólnego. Natomiast cierpliwa praca, oparta na sile słowa i prawdy, może rozbudzić w osobach zdolność do współczucia i twórczej solidarności.

W naszym chrześcijańskim doświadczeniu nieustannie upamiętniamy Chrystusa, który oddał swoje życie dla naszego pojednania (por. Rz 5, 6-11). Kościół w pełni uczestniczy w dążeniu do sprawiedliwego ładu, nieustannie służąc dobru wspólnemu i pielęgnując nadzieję pokoju, poprzez przekaz wartości chrześcijańskich, nauczanie moralne oraz dzieła społeczne i wychowawcze.

3. Pokój, droga pojednania w braterskiej komunii

Biblia, zwłaszcza poprzez słowo proroków, nawołuje sumienia i ludy do przymierza Boga z ludzkością. Chodzi o porzucenie chęci panowania nad innymi i nauczenie się patrzenia na siebie nawzajem jako na osoby, jako na dzieci Boże, jako na braci. Drugi nigdy nie powinien być spychany do tego, co mógł powiedzieć lub uczynić, ale powinien być widziany przez pryzmat obietnicy, którą w sobie niesie. Tylko wybierając drogę szacunku można przełamać spiralę zemsty i wejść na drogę nadziei.

Prowadzi nas fragment Ewangelii przytaczający następującą rozmowę między Piotrem a Jezusem: „«Panie, ile razy mam przebaczyć, jeśli mój brat wykroczy przeciwko mnie? Czy aż siedem razy?». Jezus mu odrzekł: «Nie mówię ci, że aż siedem razy, lecz aż siedemdziesiąt siedem razy»”(Mt 18, 21-22). Ta droga pojednania wzywa nas do odnalezienia w głębi naszych serc siły przebaczenia i umiejętności uznania siebie za braci i siostry. Uczenie się życia w przebaczeniu zwiększa naszą zdolność do stawania się kobietami i mężczyznami pokoju.

To, co jest prawdą o pokoju w sferze społecznej, jest również prawdziwe w sferze politycznej i gospodarczej, ponieważ kwestia pokoju przenika wszystkie wymiary życia wspólnotowego: nigdy nie będzie prawdziwego pokoju, dopóki nie będziemy zdolni do zbudowania bardziej sprawiedliwego systemu gospodarczego. Jak dziesięć lat temu napisał Benedykt XVI w encyklice Caritas in veritate: „Przezwyciężenie niedorozwoju wymaga interwencji nie tylko w zakresie polepszenia transakcji opierających się na wymianie, nie tylko tworzenia struktur opiekuńczych natury publicznej, ale przede wszystkim stopniowego otwarcia, w kontekście światowym, na formy działalności ekonomicznej charakteryzujące się elementami darmowości i komunii” (n. 39).

4. Pokój, droga nawrócenia ekologicznego

„Jeśli złe zrozumienie naszych zasad prowadziło nas czasami do usprawiedliwiania nadużyć w traktowaniu natury lub despotycznego panowania człowieka nad stworzeniem czy też wojen, niesprawiedliwości i przemocy, to jako ludzie wierzący możemy uznać, że w ten sposób byliśmy niewierni względem skarbu mądrości, którego powinniśmy strzec”[8].

W obliczu następstw naszej wrogości wobec innych, braku szacunku dla wspólnego domu i rabunkowej eksploatacji zasobów naturalnych – postrzeganych jako użyteczne narzędzia wyłącznie dla doraźnego zysku, bez poszanowania wspólnot lokalnych, dobra wspólnego i dobra przyrody – potrzebujemy nawrócenia ekologicznego.

Niedawny Synod na temat Amazonii pobudza nas do skierowania w nowy sposób apelu o pokojową relację między wspólnotami a ziemią, między teraźniejszością a pamięcią, między doświadczeniami a nadziejami.

Ta droga pojednania jest także słuchaniem i kontemplacją świata, który został nam dany przez Boga, abyśmy go uczynili naszym wspólnym domem. Istotnie, zasoby naturalne, liczne formy życia i sama Ziemia zostały nam powierzone, abyśmy je „uprawiali i strzegli” (por. Rdz 2, 15), także dla przyszłych pokoleń, z odpowiedzialnym i aktywnym udziałem każdego. Ponadto potrzebujemy przemiany przekonań i spojrzeń, która otworzyłaby nas bardziej na spotkanie z drugim człowiekiem i na przyjęcie daru stworzenia, które odzwierciedla piękno i mądrość Stwórcy.

Stąd wypływają zwłaszcza głębokie motywacje i nowy sposób zamieszkiwania we wspólnym domu, bycia obecnymi jedni dla drugich ze swoimi różnorodnościami, celebrowania i szanowania życia otrzymanego i dzielonego z innymi, zatroszczenia się o warunki i modele społeczeństwa, które sprzyjałyby rozkwitaniu i trwałości życia w przyszłości, rozwijania dobra wspólnego całej rodziny ludzkiej.

Nawrócenie ekologiczne, o które apelujemy, prowadzi nas zatem do nowego spojrzenia na życie, biorąc pod uwagę szczodrość Stwórcy, który dał nam Ziemię i który wzywa nas do radosnej wstrzemięźliwości dzielenia się. Takie nawrócenie należy rozumieć w sposób integralny, jako przekształcenie relacji utrzymywanych z naszymi siostrami i braćmi, z innymi istotami żywymi, ze stworzeniem w jego niezwykle bogatej różnorodności, ze Stwórcą, który jest źródłem wszelkiego życia. Dla chrześcijanina wymaga to „rozwijania wszystkich konsekwencji swego spotkania z Jezusem w relacjach z otaczającym go światem”[9].

5. Tyle się zyskuje, ile się spodziewa[10]

Droga pojednania wymaga cierpliwości i zaufania. Nie można osiągnąć pokoju, jeśli się go nie spodziewamy.

Chodzi przede wszystkim o wiarę w możliwość pokoju, wiarę w to, że druga osoba ma – tak samo, jak my – potrzebę pokoju. Może nas w tym inspirować miłość Boga do każdego z nas, miłość wyzwalająca, miłość nieograniczona, darmowa, niestrudzona.

Często źródłem konfliktu jest strach. Dlatego ważne jest, aby wyjść poza nasze ludzkie obawy, uznając siebie za potrzebujące dzieci, w obliczu Tego, który nas miłuje i na nas czeka, jak Ojciec na syna marnotrawnego (por. Łk 15, 11–24). Kultura spotkania między braćmi i siostrami zrywa z kulturą pogróżek. Sprawia, że każde spotkanie staje się szansą i darem szczodrej miłości Boga. Prowadzi nas do przekroczenia granic naszych ograniczonych horyzontów, aby zawsze zmierzać do życia w powszechnym braterstwie, jako dzieci jednego Ojca Niebieskiego.

Dla uczniów Chrystusa droga ta jest także wspierana sakramentem Pojednania, danym przez Pana na odpuszczenie grzechów osób ochrzczonych. Ten sakrament Kościoła, który odnawia osoby i wspólnoty, wzywa nas, byśmy patrzyli na Jezusa, który pojednał „wszystko z sobą: przez Niego – i to, co na ziemi, i to, co w niebiosach, wprowadziwszy pokój przez krew Jego krzyża” (Kol 1, 20); i prosi nas, byśmy zrezygnowali z wszelkiej przemocy w naszych myślach, słowach i czynach, zarówno wobec bliźniego, jak i wobec stworzenia.

Łaska Boga Ojca daje się jako miłość bez warunków. Otrzymawszy Jego przebaczenie w Chrystusie, możemy wyruszyć w drogę, aby je ofiarować mężczyznom i kobietom naszych czasów. Dzień po dniu Duch Święty podpowiada nam postawy i słowa, abyśmy stali się budowniczymi sprawiedliwości i pokoju.

Niech Bóg pokoju nas błogosławi i przyjdzie nam z pomocą.

Niech Maryja, Matka Księcia Pokoju i Matka wszystkich ludów ziemi towarzyszy nam i wspiera nas na drodze pojednania, krok po kroku.

I oby każda osoba, przychodząc na ten świat, mogła zaznać życia w pokoju i w pełni rozwinąć obietnicę miłości i życia, jaką w sobie nosi.

Watykan, 8 grudnia 2019 r.

FRANCISZEK

_____________________

[1] Benedykt XVI, Enc. Spe salvi (30 listopada 2007), 1.
[2]
Przemówienie o broni nuklearnej, Nagasaki, „Atomic Bomb Hypocenter”, 24 listopada 2019.
[3]
Por. Homilia na Lampedusie, 8 lipca 2013.
[4]
Przemówienie na temat pokoju, Hiroszima, Pomnik Pokoju, 24 listopada 2019.
[5]
Sobór Watykański II, Konst. duszp. Gaudium et spes, 78.
[6]
Por. Benedykt XVI, Discorso ai dirigenti delle Associazioni Cristiane Lavoratori Italiani, 27 stycznia 2006.
[7]
List apost. Octogesima adveniens (14 maja 1971), 24.
[8]
Enc. Laudato si’ (24 maja 2015), 200.
[9]
Tamże, 217.
[10]
Por. Św. Jan od Krzyża, Noc ciemna, II, 21, 8.

[02001-PL.01] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua araba

رسالة

قداسة البابا

فرنسيس

بمناسبة الاحتفال

باليوم العالمي للسلام

الأول من يناير / كانون الثاني 2020

السلام كمسيرة رجاء:

حوار ومصالحة وتوبة بيئيّة

إن السلام قيّم للغاية، وهو مقصد رجائنا، الذي تتطلّع إليه البشرية جمعاء. وترجيّ السلام هو موقف بشريّ يحتوي على تَوق وجودي، ولذلك فإننا "نستطيع أن نواجه الحياة الحاضرة التي بالرغم من كونها مُتعِبة يُمكنها أن تُقبَل وتُعاش إذا كانت تُفضي إلى غايةٍ ما، وإذا ما كنّا أكيدين من تلك الغاية، وإذا ما كانت تلك الغاية عظيمة لدرجة أنها تُبرِّرُ تعبَ المسيرة"[1]. وهكذا فإن الرجاء هو الفضيلة التي تجعلنا ننطلق، وتعطينا أجنحة للمضيّ قدمًا، حتى عندما تبدو العقبات صعبة التخطّي.

إن مجتمعنا البشريّ يحمل، في ذاكرته وفي جسده، علامات الحروب والصراعات التي حدثت وقد ازدادت قدرتها التدميرية، والتي ما زالت تصيب بشكل خاص أفقر الناس وأضعفهم. حتى إن دول بأكملها تكافح كي تتحرّر من سلاسل الاستغلال والفساد التي تغذّي الكراهية والعنف. ويُحرَم الكثير من الرجال والنساء والأطفال والمسنين، حتى في أيامنا هذه، من الكرامة والسلامة البدنية والحرّية، بما في ذلك الحرّية الدينية، والتضامن المجتمعي والرجاء بالمستقبل. ويحمل الكثير من الضحايا الأبرياء عذاب الإذلال والإقصاء والحداد والظلم، وحتى الصدمات الناجمة عن الاضطهاد المنهجي ضدّ شعبهم وأحبّائهم.

أمّا محنة النزاعات المدنيّة والدوليّة الرهيبة، والتي غالباً ما تتفاقم بسبب العنف الجائر، فتترك بصمتها في جسد وروح الإنسانية لفترة طويلة. فكلّ حرب، في الواقع، تتّضح أنها إبادة جماعيّة تدمّر مشروع الأخوّة ذاته، الذي تتضمّنه رسالة الأسرة البشرية.

نحن نعلم أن الحرب تبدأ في كثير من الأحيان، من رفض اختلاف الآخر، ممّا يعزّز الرغبة في الاستحواذ وفي الهيمنة. تولد الحرب في قلب الإنسان، من الأنانية والكبرياء، ومن الكراهية التي تؤدّي إلى التدمير، وإلى سَجنِ الآخر في صورة سلبيّة، وإلى استبعاده وإلغائه. وتتغذّى الحرب من تحريف العلاقات، ومن طموحات الهيمنة، ومن إساءة استخدام السلطة، ومن الخوف من الآخر، ومن الاختلاف الذي يُعتَبر عقبة؛ وفي الوقت عينه تغذّي الحرب نفسها كلّ هذا.

من المفارقات، كما أشرت خلال زيارتي إلى اليابان مؤخرًا، أن يعيش عالمنا اليوم انقسامًا شاذًّا يظهر في رغبته بأن "يدافع عن الاستقرار والسلام ويضمنهما على أساس أمان زائف يرتكز على عقلية الخوف وانعدام الثقة التي تؤدّي إلى إفساد العلاقات بين الشعوب ومنع أيّ حوار ممكن. السلام والاستقرار الدولي يتعارضان مع أيّ محاولة لبناء علاقات على أسس الخوف من تدمير متبادل أو على التهديد بإبادة تامّة؛ فلا يمكن تحقيقهما إلّا من خلال أخلاقيّات عالميّة من التضامن والتعاون في خدمة مستقبل يرتكز على الاعتماد المتبادل والمسؤولية المشتركة في الأسرة البشرية بأكملها اليوم كما في الغد"[2].

إن كلّ وضع يسوده التهديد يغذّي انعدام الثقة والانغلاق على الذات. ويزيدُ انعدامُ الثقة والخوفُ من هشاشة العلاقات وخطر اندلاع العنف، في حلقة مفرغة لا يمكن أن تؤدّي أبدًا إلى علاقة سلام. في هذا النحو، لا يستطيع حتى الردع النووي إلّا أن يخلق أمان وهميّ.

لذلك، لا يمكننا الادّعاء بالحفاظ على الاستقرار في العالم عبر الخوف من الإبادة، وسط توازن متقلّب للغاية، هو على شفير الهاوية النووية، ومسجون داخل جدران اللامبالاة، حيث تُتّخذ القرارات الاجتماعية-الاقتصادية التي تفتح الطريق أمام مآسي "بقايا" الإنسان والخلق، بدلًا من أن نحافظ بعضنا على البعض[3]. كيف يمكننا بالتالي أن نبني طريق السلام والاعتراف المتبادل؟ كيف نزيل منطق التهديد والخوف الخبيث؟ كيف نحطّم ديناميكية انعدام الثقة السائدة حاليّا؟

علينا أن نعمل من أجل الأخوّة الحقيقية، التي تُبنى على أساسها المشترك في الله، والتي نمارسها عبر الحوار والثقة المتبادلة. إن الرغبة في السلام مدرجة بعمق في قلب الإنسان ولا يجب أن نقبل بأقل من ذلك.

1. السلام، مسيرة إصغاء مبنيّة على الذاكرة، والتضامن والأخوّة

إن الحيباكوشا، الناجين من القصف الذرّي على هيروشيما وناغازاكي، هم من بين الذين يحافظون اليوم على شعلة الوعي الجماعي، ويشهدون للأجيال الصاعدة عن رعب ما حدث في أغسطس/آب 1945 والمعاناة التي تلته حتى اليوم والتي لا توصف. إن شهاداتهم توقِظ وتَحفظ بهذه الطريقة ذكرى الضحايا، حتى يتقوّى الضمير الإنساني باستمرار إزاء كلّ رغبة في الهيمنة والدمار: "لا يمكننا أن نسمح للأجيال الحالية والآتية بأن تفقد ذاكرة ما حدث، وهذه الذاكرة هي التي تضمن وتحفّز على بناء مستقبل أكثر عدلًا وأخوّة"[4].

وعلى غرارهم، في كلّ أنحاء العالم، يقدّم الكثيرون للأجيال الصاعدة خدمةً أساسيّة وهي الذاكرة، والتي يجب الحفاظ عليها، ليس فقط لتجنّب ارتكاب نفس الأخطاء مجدّدًا أو لعدم إعادة طرح المخطّطات الوهميّة الماضية، إنما أيضًا لأنها، ثمرة الخبرة، تشكّل الجذور وترسم الطريق لخيارات سلميّة حاليّة ومستقبليّة.

وبالأكثر، إن الذاكرة هي أفق الرجاء: فمجرّد ذكرى بادرةِ تضامنِ، ولو كانت صغيرة، في ظلام الحروب والنزاعات، تستطيع في الكثير من الأحيان، أن تُلهِمَ خيارات شجاعة وحتى بطولية، وأن تطلق طاقات جديدة وتشعل رجاء جديدًا في الأفراد والمجتمعات.

إن بدء مسار للسلام واتّباعه يشكّلان تحدّيًا، وما يزيده تعقيدًا إنما هي المصالح المتعدّدة والمتناقضة، ضمن العلاقات بين الأفراد والمجتمعات والأمم. ومن الضروري قبل كلّ شيء، العودة إلى الضمير الأخلاقي والإرادة الشخصية والسياسية. فالسلام، في الواقع، يُستَمّد من أعماق قلب الإنسان، والإرادة السياسية تحتاج دائمًا إلى استعادة قوّتها، من أجل مباشرة عمليّات جديدة توفّق بين الأفراد والمجتمعات وتوحّدهم.

لا يحتاج العالم إلى كلمات فارغة، بل إلى شهودٍ راسخين في قناعاتهم، وإلى صانعي سلام منفتحين على الحوار دون استثناء أو تلاعب. في الواقع، لا يمكن الوصول إلى السلام حقًّا ما لم يكن هناك حوار حقيقيّ بين الرجال والنساء الذين يبحثون عن الحقيقة أبعد من الإيديولوجيات والآراء المختلفة. فالسلام ينبغي "أن يُبنى باستمرار"[5]، إنه مسيرة نقوم بها معًا ساعين دائمًا إلى الخير العام وعاملين على الوفاء بالكلمة التي نعطيها وعلى احترام القانون. فمعرفة الآخرين وتقديرهم ينموان أيضًا عبر الاصغاء المتبادل، لدرجة أن نرى في العدو وجهَ أخٍ.

وبالتالي فإن عمليّة السلام هي التزام يستمرّ مع مرور الوقت. إنه عمل صبور من البحث عن الحقيقة والعدالة؛ عمل يكرّم ذكرى الضحايا ويفتح، خطوة بعد خطوة، على رجاء مشترك، أقوى من الانتقام. وفي حالة سيادة القانون، تستطيع الديمقراطية أن تكون نموذجًا مهمًّا لهذه العملية، إذا كانت تقوم على العدالة وعلى الالتزام بحماية حقوق الجميع، ولاسيما الضعيف أو المهمّش، عبر البحث المستمرّ عن الحقيقة[6]. إنه بناء اجتماعي وعمل مستمرّ، حيث يساهم الجميع بمسؤولية، على جميع مستويات المجتمع المحلّي والوطني والعالمي.

وكما أشار القدّيس بولس السادس "إن النزعة المزدوجة إلى المساواة والمشاركة تسعى إلى قيام مجتمع ديمقراطي. [...] من هنا، ضرورة التنشئة على الحياة الاجتماعية حيث يتعلم الفرد الحقوق التي له وما يقابلها حتماً من اعتراف بواجبات تجاه الغير، وما يقتضيه الإحساس بالواجب والقيام به من سيطرة على الذات وقبول للمسؤوليات والحدود الموضوعة للتمرُّس بالحرية على صعيد الأفراد والجماعة"[7].

على العكس، فإن الخلاف بين أفراد المجتمع، وزيادة التفاوتات الاجتماعية ورفض استخدام الأدوات من أجل التنمية البشرية المتكاملة، يهدّدون السعيَ إلى تحقيق الخير العام. أمّا، العمل الصبور القائم على قوّة الكلام والحقيقة فيستطيع أن يوقظ لدى الناس القدرة على التعاطف والتضامن الإبداعي.

في تجربتنا المسيحية، نتذكّر باستمرار المسيح، الذي بذل ذاته كي يصالحنا مع الآب (را روم 5، 6- 11). وتشارك الكنيسة مشاركة كاملة في البحث عن نظام عادل، وتستمرّ في خدمة الخير العام وتَغذية الرجاء بالسلام، من خلال نقل القيم المسيحية، والتعليم الأخلاقي والأعمال الاجتماعيّة والتربويّة.

2. السلام، مسيرة مصالحة في الشركة الأخوية

إن الكتاب المقدّس، ولاسيما عبر كلام الأنبياء، يذكّر الضمائر والشعوب بعهد الله مع البشرية. أي أن نتخلّى عن الرغبة بالسيطرة على الآخرين ونتعلّم أن ننظر إلى بعضنا البعض كأشخاص، وكأبناء لله، وكإخوة. لا يجب أن نسجن الآخر في أقواله أو أفعاله، ولكن يجب أن نعتبره وفقاً للوعد الذي يحمله في ذاته. وسوف نتمكّن، فقط عبر اختيار طريق الاحترام، من سحق دوّامة الانتقام والشروع في مسيرة الرجاء.

يرشدنا في هذا مقطعُ الإنجيل الذي ينقل إلينا المحادثة التالية بين بطرس ويسوع: "“يا ربّ، كم مَرَّةً يَخْطَأُ إِلَيَّ أَخي وَأَغفِرَ لَه؟ أَسَبعَ مَرَّات؟“ فقالَ له يسوع: “لا أَقولُ لكَ: سَبعَ مرَّات، بل سَبعينَ مَرَّةً سَبعَ مَرَّات“" (متى 18، 21- 22). إن طريق المصالحة هذا يدعونا إلى أن نستمدّ من أعماق قلوبنا قوّة المغفرة والقدرة على الاعتراف بأننا إخوة وأخوات. وأن نتعلّم العيش في المغفرة، يزيد من قدرتنا على أن نصبح نساء ورجال سلام.

إن ما ينطبق على السلام في المجال الاجتماعي، هو صحيح أيضًا في المجال السياسي والاقتصادي، لأن مسألة السلام تتخلّل جميع أبعاد الحياة المجتمعية: لن يكون هناك سلام حقيقي أبدًا ما لم نتمكّن من بناء نظام اقتصاديّ أكثر عدالة. كما كتب بندكتس السادس عشر، قبل عشر سنوات، في الرسالة العامّة المحبة في الحقّ (Caritas in veritate): " إنَّ الانتصارَ على التخلُّفِ لا يتطلَّبُ اتّخاذَ إجراءاتٍ لتحسينِ التعاملاتِ القائمةِ على أساسِ التبادلِ وحَسب، أو إقامةَ مرافقَ رعايةٍ ذاتِ الطابعِ العامّ، بل يتطلَّبُ قبلَ كلِّ شيءٍ العملَ في سبيلِ انفتاحٍ تدريجيٍّ –على المستوى العالمي– على أشكالٍ من النشاطِ الاقتصادي تتَّسِمُ بمقدارٍ من المجّانيةِ والتشاركية" (عدد 39).

3. السلام، مسيرة توبة بيئية

"إن كان فهمٌ ملتبسٌ لمبادئنا الخاصة قد حملنا، في بعض الأحيان، على تبرير سوء معاملة الطبيعة أو هيمنة الكائن البشري الاستبدادية على الخليقة، أو الحروب، والظلم والعنف، فنحن كمؤمنين يمكننا الاعتراف بأننا بهذه الطريقة لم نكن أمناء لكنز الحكمة الذي كان يجب علينا أن نحافظ عليه"[8].

إننا بحاجة إلى توبة بيئية إزاء عواقب عدائنا تجاه الآخرين، وعدم احترام البيت المشترك والاستغلال التعسّفي للموارد الطبيعية –التي تعتبر كأدوات مفيدة فقط لتحقيق ربح اليوم، دون احترام المجتمعات المحلية، والخير العام والطبيعة.

لذا فإن السينودس الأخير حول الأمازون، يدفعنا إلى توجيه نداء، بطريقة متجدّدة، من أجل إقامة علاقة سلمية بين المجتمعات والأرض، بين الحاضر والذاكرة، بين التجارب والآمال.

فطريق المصالحة هذا هو الاصغاء والتأمّل في العالم الذي أعطاه الله لنا كي يكون بيتنا المشترك. فقد عهد إلينا في الواقع، بالموارد الطبيعية وبتعدّد أشكال الحياة وبالأرض نفسها "لنفلحها ونحرسها" (را. تك 2، 15) أيضًا من أجل الأجيال الصاعدة، عبر مشاركة مسؤولة وفعّالة من الجميع. ونحن بحاجة، إضافة إلى ذلك، إلى تغيير في معتقداتنا ونظرتنا، مما يفتحنا أكثر على اللقاء مع الآخر وعلى قبول هبة الخلق، الذي يعكس جمال صانعها وحكمته.

من هنا تنشأ، على وجه الخصوص، دوافع عميقة وطريقة جديدة للعيش في البيت المشترك، ولمساعدة بعضنا البعض، كلّ باختلافه الخاص، وللاحتفال بالحياة التي ننالها ونحترمها ونشارك بها، وللاهتمام بأوضاع ونماذج مجتمعيّة تعزّز الازدهار ودوام الحياة في المستقبل، ولتنمية الخير العام لصالح الأسرة البشرية بأسرها.

وبالتالي فإن التوبة البيئية التي ننادي بها تقودنا إلى نظرة جديدة على الحياة، بالنظر إلى كَرم الخالق الذي أعطانا الأرض والذي يدعونا مجدّدًا إلى رزانة المشاركة. يجب أن تُفهم هذه التوبة بطريقة شاملة، على أنها تحوّلٌ في علاقاتنا مع أخواتنا وإخوتنا، ومع الكائنات الحيّة الأخرى، ومع الخلق بتنوّعه الغنيّ للغاية، ومع الخالق الذي هو مصدر كلّ حياة. وهذا يتطلّب من المسيحيّ أن "يُظهِر ثمرات لقائه بيسوع في علاقاته مع العالم"[9].

4. ننال الكثير عندما نرجو[10]

إن طريق المصالحة يتطلّب الصبر والثقة. والسلام لا يتحقّق ما لم نرجوه.

وهذا يعني أوّلًا وقبل كلّ شيء الإيمان بإمكانيّة السلام، والإيمان بأن حاجة الآخر إلى السلام هي نفس حاجتنا إليه. وفي هذا، يمكننا الاستلهام من محبّة الله لكلّ واحد منّا، فهي محبّة تحرّر، وغير محدودة، ومجّانية، ولا تكلّ.

غالبًا ما يكون الخوف مصدرًا للصراع. لذلك من المهمّ أن نتخطّى مخاوفنا البشرية، وأن نعترف بأننا أبناء معوزون، إزاء الذي يحبّنا وينتظرنا، على غرار أب الابن الضال (را. لو 15، 11- 24). فثقافة التهديد لا علاقة لها بثقافة اللقاء بين الإخوة والأخوات، التي تجعل من كلّ لقاء فرصةً وهبةً من محبّة الله السخية، وتقودنا إلى تجاوز حدود آفاقنا الضيّقة، حتى نتوق دومًا إلى عيش أخوّةٍ عالميّة، كأبناء للآب السماوي الأوحد.

إن ما يعضد أيضًا هذه المسيرة، بالنسبة لتلاميذ المسيح، إنما هو سرّ الاعتراف، الذي منحه الربّ لمغفرة خطايا المعمّدين. ويدعونا هذا السرّ الكنسي، الذي يجدّد الأفراد والجماعات، إلى إبقاء أعيننا شاخصة في يسوع، الذي "يُصالِحَ بِه ومِن أَجلِه كُلَّ موجود مِمَّا في الأَرْضِ ومِمَّا في السَّمَوات وقَد حَقَّقَ السَّلامَ بِدَمِ صَليبِه" (قول 1، 20)؛ ويطلب منّا أن نخلع كلّ عنف عن أفكارنا وكلامنا وأفعالنا، سواء تجاه القريب أو تجاه الخلق.

إن نعمة الله الآب تُعطى كالمحبة، دون شرط. وبعد أن نتلقّى المغفرة، في المسيح، يمكننا أن ننطلق كي نهبها لرجال ونساء عصرنا. فيلهمنا الروح القدس، يومًا بعد يوم، بأعمالنا وأقوالنا كي نصبح صانعي عدالة وسلام.

ليباركنا إله السلام وليساعدنا.

ولترافقنا مريم، أمّ سيّد السلام وأمّ جميع شعوب الأرض، ولتعضدنا على درب المصالحة، خطوة بعد خطوة.

وعسى أن يتمكّن كلّ شخص يأتي إلى هذا العالم، من أن يعيش بسلام وأن ينمّي بالملء وعد المحبّة والحياة الذي يحمله في داخله.

 

من الفاتيكان، 8 ديسمبر/كانون الأوّل 2019 فرنسيس

_________________

 

[1] بندكتس السادس عشر، الرسالة العامة بالرجاء مخلَّصون (30 نوفمبر/تشرين الثاني 2007)، 1.

[2] كلمة قداسة البابا فرنسيس حول الأسلحة النوويّة، ناغازاكي، مركز انفجار القنبلة الذرية، 24 نوفمبر/تشرين الثاني 2019.

[3] را. عظة في لامبيدوزا، 8 يوليو/تموز 2013.

[4] كلمة قداسة البابا فرنسيس حول السلام، هيروشيما، النصب التذكاري للسلام، 24 نوفمبر/تشرين الثاني 2019.

[5] را. المجمع الفاتيكاني الثاني، الدستور الرعائي فرح ورجاء، 78.

[6] را. بندكتس السادس عشر، كلمة البابا إلى قادة الجمعيات المسيحية للعمّال الإيطاليين، 27 يناير/كانون الثاني 2006.

[7] الرسالة الرسولية الذكرى الثمانون (14 مايو/أيار 1971)، 24.

[8] الرسالة العامة كن مسبّحًا (24 مايو/أيار 2015)، 200.

[9] نفس المرجع، 217.

[10] را. القديس يوحنا الصليب، الليل المظلم، II، 21، 8.

[02001-AR.01] [Testo originale: Italiano]

[B0992-XX.02]