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Omelia del Cardinale Segretario di Stato in occasione delle celebrazioni conclusive del Centenario dell’erezione dell’Eparchia di Lungro degli Italo-Albanesi dell’Italia Continentale, 06.12.2019


Pubblichiamo di seguito l’omelia che il Cardinale Segretario di Stato Pietro Parolin ha pronunciato ieri nel corso dei Solenni Vespri di San Nicola di Mira, in occasione delle celebrazioni conclusive del Centenario dell’erezione dell’Eparchia di Lungro degli Italo-Albanesi dell’Italia Continentale:

Omelia del Cardinale Segretario di Stato

Eccellenza Reverendissima, Mons. Donato Oliverio, Vescovo Eparchiale,

Eccellenze Reverendissime,

Distinte Autorità,

Reverendi Sacerdoti, Religiose, Seminaristi,

Sorelle e fratelli nel Signore!

1. Sono lieto di trovarmi oggi in questa Cattedrale per concludere le celebrazioni centenarie della creazione dell’Eparchia di Lungro degli Italo-Albanesi dell’Italia Continentale, avvenuta il 13 febbraio 1919.

Vi saluto tutti con affetto fraterno e vi porto il saluto, la vicinanza spirituale e la benedizione del Santo Padre Francesco. Immagino che la gran parte di voi hanno ancora negli occhi e nel cuore il ricordo dell’incontro con lui il 25 maggio scorso, a Roma, ove vi siete recati per essere confermati nella fede e nell’amore dal Successore dell’Apostolo Pietro e per ridestare la consapevolezza di come la Madre Chiesa di Roma, attraverso i gesti dei Sommi Pontefici e in particolare di Papa Benedetto XV, hanno voluto preservare la vostra identità e tradizione, nelle nuove terre ove i vostri antenati sono stati costretti ad emigrare. Si è trattato di un modo di manifestare quella sollicitudo ecclesiarum omnium propria del Vescovo di Roma, chiamato a presiedere all’unità nella carità.

Altre tappe particolarmente significative hanno contrassegnato questo anno centenario, che possiamo paragonare ad un pellegrinaggio spirituale, in cui avete avuto modo di “ringraziare il Signore di quanto, nella sua bontà e misericordia, ha operato nella vostra Comunità negli ultimi secoli” (Papa Francesco).

Penso in particolare all’incontro dei Vescovi Cattolici Orientali di Europa, nel giugno dello scorso anno, momento in cui riflettere insieme sulla presenza e le modalità della testimonianza del Vangelo nel nostro Continente europeo, che, più di altri, respira “a due polmoni”, secondo la felice espressione del Santo Pontefice Giovanni Paolo II.

Nel febbraio del 2019, alla presenza del Cardinale Prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, Leonardo Sandri, e del testimone della fede Cardinale Ernst Simoni, la solenne apertura del Giubileo centenario, da sperimentare, secondo le parole di Papa Francesco, “non tanto come un traguardo, ma piuttosto come un nuovo e gioioso slancio nel vostro impegno umano e nel vostro percorso cristiano. In questo senso, è quanto mai necessario approfondire il passato e farne grata memoria, per trovare in esso ragioni di speranza e camminare insieme verso il futuro che Dio vorrà donarci”, cercando di vivere in maniera sempre più intensa la nostra appartenenza al Signore e la nostra chiamata a compiere la missione che egli ci affida per farlo conoscere nel mondo di oggi.

La visita del Patriarca Ecumenico Sua Santità Bartolomeo è stata senz’altro un dono singolare, con cui la Chiesa Madre di Costantinopoli, che vi trasmise l’annuncio della fede secondo la tradizione propria bizantina, ha mostrato di stimare la vostra presenza come di una comunità che ha ben presenti le proprie radici, il proprio percorso storico, e ora – mantenendo la propria peculiarità nella pienezza della comunione con la Chiesa Cattolica – rimane un ponte che rinsalda i vincoli ecclesiali e fa sperare passi ulteriori verso la piena unità visibile tra tutti i fratelli in Cristo.

2. In questa cornice, mentre celebriamo i solenni Vespri di San Nicola di Mira, Patrono di questa Cattedrale, ci rendiamo conto di come risplendano non soltanto le luci delle candele e lo scintillio delle tessere dei mosaici che decorano la volta e le pareti, ma soprattutto la luce della santità, in particolare quella dei testimoni della Chiesa indivisa.

La vicenda di San Nicola e delle sue reliquie anticipa ed in qualche modo riproduce alcuni tratti dell’esistenza delle comunità bizantine italo-greche ed albanesi: in entrambi i casi, infatti, la luce dell’Oriente ha trovato accoglienza nell’Italia continentale, che ha offerto ai resti mortali del santo vescovo e taumaturgo un luogo ove poter essere venerate degnamente, nella Basilica che ancora oggi porta il suo nome a Bari, e ai vostri antenati rifugio e riparo nella loro fuga dalla violenza e dall’oppressione.

Una storia di “pellegrinaggio” e “accoglienza”, resa possibile dalla fede di chi si è messo in cammino; una storia che, come tesoro prezioso, riverbera ancora oggi i suoi raggi sull’Eparchia di Lungro, nella duplice direzione dell’annuncio del Vangelo alla società odierna e della testimonianza dell’unità nella diversità della Chiesa cattolica, attraverso la compresenza, in terra calabra, di presenze latine e bizantine, entrambe non dimentiche, seppur per strade diverse, di quel passato che vide in queste terre una presenza consistente di comunità greche, con Diocesi, chiese e monasteri, e in seguito lo stabilirsi di quelle arberesche.

Di questa storia il mondo dell’ortodossia è consapevole, e a differenza di altri contesti più travagliati, non percepisce alcuna forzatura nell’“unità” poi stabilita dai vostri antenati con la sede di Roma e per questo affida alla vostra Eparchia una singolare vocazione per l’unione di tutti i cristiani.

In modo analogo la Basilica di San Nicola a Bari, che custodisce le reliquie del santo nella sua cripta e ogni anno si stupisce per il dono della manna che viene raccolta presso la sua sepoltura: un tempio pienamente inserito nel contesto occidentale, ma che rimane spalancato agli orizzonti al di là del Mar Mediterraneo. Non per nulla, proprio dall’Oriente continuano a venire milioni di fedeli ortodossi, e si sentono a casa, potendo pregare l’unico Signore guardando al suo fedele discepolo San Nicola.

Alla sua potente intercessione affidiamo la vostra Eparchia, con il Vescovo Donato – che ringrazio vivamente per l’invito – i sacerdoti, le religiose e tutti voi fedeli, accorsi così numerosi anche questa sera.

Non vogliamo dimenticare due intenzioni: quella della pace e della riconciliazione in Medio Oriente, secondo quanto indicato dal Santo Padre insieme ai Patriarchi di quella tormentata regione, Cattolici e non, nell’incontro del 7 luglio 2018; e quella che vedrà Papa Francesco nel febbraio 2020 insieme ai Vescovi di tutti i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo, con l’organizzazione della Conferenza Episcopale Italiana: sia occasione di un risveglio del ruolo e della missione dei cattolici nei diversi Paesi, nell’annuncio del Vangelo e in quella difesa della dignità della persona umana che da esso scaturisce.

3. La liturgia del Vespro bizantino prevede in modo suggestivo il canto dell’Inno Phos Ilaron, luce gioiosa, preceduta dall’incensazione del tempio e delle pietre vive che sono i Pastori e i fedeli che lo affollano: il rito che si ripete non ci trovi spettatori distratti o presi dall’abitudine, incapaci così di stupirci per il significato e il mistero cui siamo ricondotti: è la certezza profonda che abita nel profondo del cuore del credente – grazia e non merito o conquista! – di sapere che ogni tenebra non ha e non può avere l’ultima parola sulla vita del discepolo di Cristo, di sapere che – come ricordava il Papa – “l’amore è più bello dell’odio, l’amicizia è più bella dell’inimicizia, la fratellanza fra tutti noi è più bella dei conflitti”.

È quanto celebriamo nel mistero dell’Incarnazione, come proclama il Santo Vangelo secondo Giovanni: “Il Verbo si fece carne.. è la Luce vera; la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno vinta”, parole che trovano il loro pieno compimento nella Pasqua di Passione, Morte e Resurrezione. La morte non ha vinto il Figlio di Dio, che l’ha sconfitta dal legno della Croce.

Se l’Eparchia di Lungro può festeggiare il suo centenario, lo deve certamente all’intuizione paterna di Papa Benedetto XV, culmine di un cammino di accoglienza scaturito con la decisione pontificia contenuta nella Bolla Catholici Fideles: “I fedeli cattolici di rito greco, che abitavano l’Epiro e l’Albania, fuggiti a più riprese dalla dominazione dei turchi, ... accolti con generosa liberalità ... nelle terre della Calabria e della Sicilia, conservando, come del resto era giusto, i costumi e le tradizioni del popolo greco, in modo particolare i riti della loro Chiesa, insieme a tutte le leggi e consuetudini che essi avevano ricevute dai loro padri ed avevano con somma cura ed amore conservate per lungo corso di secoli. Questo modo di vivere dei profughi albanesi fu ben volentieri approvato e permesso dall’autorità pontificia, di modo che essi, al di là del proprio ciel, quasi ritrovarono la loro patria in suolo italiano”.

Tutto ciò non sarebbe stato possibile se i vostri antenati, di fronte all’addensarsi delle tenebre della guerra, della conquista e della possibile persecuzione, non avessero custodito la certezza incrollabile che la luce della fede, la luce gioiosa della Pasqua, li avrebbe guidati nella prova e condotti secondo un disegno provvidente ad un porto sicuro di salvezza.

Tale memoria non deve essere solo commemorata con le parole e i riti liturgici, ma deve essere un appello e un dovere anche per l’oggi: in contesti in cui a volte è smarrito il senso di Dio, o sostituito da diverse forme idolatriche del successo, del piacere, della sopraffazione del fratello, come credenti dovete portare nei diversi contesti in cui siete presenti ed operate la testimonianza della luce del Signore Gesù.

In modo particolare vi raccomando la via della carità, concretizzata nella parabola del Buon Samaritano: a chi è senza speranza portate il conforto che nasce dalla certezza che Cristo cammina con noi tutti i giorni, fino alla fine del mondo, a chi è nella necessità recate secondo le vostre possibilità il conforto della solidarietà fraterna.

Il gesto della benedizione dei pani, e dell’artoclasia che pure animerà questo Vespro è rimando a questa dimensione concreta: il pane è frutto della terra e del lavoro dell’uomo, in maniera più evidente quando in molti dei vostri paesi e parrocchie le prosfore per il sacrificio eucaristico sono prodotte e impastate personalmente da alcuni fedeli. Il pane benedetto invece nella festa di San Nicola è spezzato per nutrire ed essere portato nella vita di tutti giorni: la regola del cristiano è dunque quella del prendere, spezzare e condividere, come è stata la vita stessa del Figlio di Dio, nella sua Passione “volontariamente accettata”, come ama ripetere la liturgia bizantina.

Un segno di questa condivisione è la gara di solidarietà fraterna che state esprimendo in questi giorni per coloro che in Albania sono stati colpiti dal terremoto: ringrazio tutti coloro che a diversi livelli si sono attivati e vi incoraggio a proseguire su questa strada.

Il monumento più bello a commemorazione del primo centenario sarà la carità che state usando verso quella terra che diede i natali ai vostri antenati e verso la sua popolazione attuale: la vostra carità manifesterà il vero volto della Chiesa di Cristo, che si china sulle ferite, interiori ed esteriori, di tutti i suoi figli.

4. La Tutta Santa Madre di Dio, Maria Santissima, l’Odegitria che ci conduce sulla via, che è il suo stesso Figlio Gesù Cristo, vi accompagni con la sua protezione oggi e sempre. Amen.

[01993-IT.01] [Testo originale: Italiano]