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Santa Messa in occasione della Giornata Missionaria Mondiale, 20.10.2019


Omelia del Santo Padre

Traduzione in lingua francese

Traduzione in lingua inglese

Traduzione in lingua tedesca

Traduzione in lingua spagnola

Traduzione in lingua portoghese

Alle ore 10.00 di questa mattina, XXIX Domenica del Tempo Ordinario, nella Basilica Vaticana, il Santo Padre Francesco ha celebrato la Santa Messa in occasione della Giornata Missionaria Mondiale, nell’ambito del Mese Missionario Straordinario.

Pubblichiamo di seguito l’omelia che il Papa ha pronunciato nel corso della Celebrazione Eucaristica:

Omelia del Santo Padre

Dalle Letture ascoltate vorrei cogliere tre parole: un sostantivo, un verbo e un aggettivo. Il sostantivo è il monte: ne parla Isaia, profetizzando di un monte del Signore, alto sopra i colli, a cui affluiranno tutte le genti (cfr Is 2,2). Il monte ritorna nel Vangelo, dato che Gesù, dopo la sua risurrezione, indica ai discepoli come luogo di ritrovo un monte della Galilea, proprio quella Galilea popolata da molte genti diverse, la «Galilea delle genti» (cfr Mt 4,15). Sembra, insomma, che il monte sia il luogo dove Dio ami dare appuntamento all’umanità intera. È il luogo dell’incontro con noi, come mostra la Bibbia dal Sinai al Carmelo fino a Gesù, che proclamò le Beatitudini sulla montagna, si trasfigurò sul monte Tabor, diede la vita sul Calvario e ascese al cielo dal Monte degli Ulivi. Il monte, luogo dei grandi incontri tra Dio e l’uomo, è anche il posto dove Gesù trascorse ore e ore in preghiera (cfr Mc 6,46), a unire terra e Cielo, noi suoi fratelli al Padre.

Che cosa dice a noi il monte? Che siamo chiamati ad avvicinarci a Dio e agli altri: a Dio, l’Altissimo, nel silenzio, nella preghiera, prendendo le distanze dalle chiacchiere e dai pettegolezzi che inquinano. Ma anche agli altri, che dal monte si vedono in un’altra prospettiva, quella di Dio che chiama tutte le genti: dall’alto gli altri si vedono nell’insieme e si scopre che l’armonia della bellezza è data solo dall’insieme. Il monte ci ricorda che i fratelli e le sorelle non vanno selezionati, ma abbracciati, con lo sguardo e soprattutto con la vita. Il monte lega Dio e i fratelli in un unico abbraccio, quello della preghiera. Il monte ci porta in alto, lontano da tante cose materiali che passano; ci invita a riscoprire l’essenziale, ciò che rimane: Dio e i fratelli. La missione inizia sul monte: lì si scopre ciò che conta. Al cuore di questo mese missionario chiediamoci: che cosa conta per me nella vita? Quali sono le vette a cui punto?

Un verbo accompagna il sostantivo monte: salire. Isaia ci esorta: «Venite, saliamo sul monte del Signore» (2,3). Non siamo nati per stare a terra, per accontentarci di cose piatte, siamo nati per raggiungere le altezze, per incontrare Dio e i fratelli. Ma per questo bisogna salire: bisogna lasciare una vita orizzontale, lottare contro la forza di gravità dell’egoismo, compiere un esodo dal proprio io. Salire, perciò, costa fatica, ma è l’unico modo per vedere tutto meglio, come quando si va in montagna e solo in cima si scorge il panorama più bello e si capisce che non lo si poteva conquistare se non per quel sentiero sempre in salita.

E come in montagna non si può salire bene se si è appesantiti di cose, così nella vita bisogna alleggerirsi di ciò che non serve. È anche il segreto della missione: per partire bisogna lasciare, per annunciare bisogna rinunciare. L’annuncio credibile non è fatto di belle parole, ma di vita buona: una vita di servizio, che sa rinunciare a tante cose materiali che rimpiccioliscono il cuore, rendono indifferenti e chiudono in sé stessi; una vita che si stacca dalle inutilità che ingolfano il cuore e trova tempo per Dio e per gli altri. Possiamo chiederci: come va la mia salita? So rinunciare ai bagagli pesanti e inutili delle mondanità per salire sul monte del Signore? La mia strada è in salita o in “arrampicamento”?

Se il monte ci ricorda ciò che conta – Dio e i fratelli –, e il verbo salire come arrivarci, una terza parola risuona oggi come la più forte. È l’aggettivo tutti, che prevale nelle Letture: «tutte le genti», diceva Isaia (2,2); «tutti i popoli», abbiamo ripetuto nel Salmo; Dio vuole «che tutti gli uomini siano salvati», scrive Paolo (1 Tm 2,4); «andate e fate discepoli tutti i popoli», chiede Gesù nel Vangelo (Mt 28,19). Il Signore è ostinato nel ripetere questo tutti. Sa che noi siamo testardi nel ripetere “mio” e “nostro”: le mie cose, la nostra gente, la nostra comunità…, e Lui non si stanca di ripetere: “tutti”. Tutti, perché nessuno è escluso dal suo cuore, dalla sua salvezza; tutti, perché il nostro cuore vada oltre le dogane umane, oltre i particolarismi fondati sugli egoismi che non piacciono a Dio. Tutti, perché ciascuno è un tesoro prezioso e il senso della vita è donare agli altri questo tesoro. Ecco la missione: salire sul monte a pregare per tutti e scendere dal monte per farsi dono a tutti.

Salire e scendere: il cristiano, dunque, è sempre in movimento, in uscita. Andate è infatti l’imperativo di Gesù nel Vangelo. Tutti i giorni incrociamo tante persone, ma – possiamo chiederci – andiamo incontro alle persone che troviamo? Facciamo nostro l’invito di Gesù o ce ne stiamo per i fatti nostri? Tutti si aspettano cose dagli altri, il cristiano va verso gli altri. Il testimone di Gesù non è mai in credito di riconoscimento dagli altri, ma in debito di amore verso chi non conosce il Signore. Il testimone di Gesù va incontro a tutti, non solo ai suoi, nel suo gruppetto. Gesù dice anche a te: “Va’, non perdere l’occasione di testimoniare!”. Fratello, sorella, il Signore si aspetta da te quella testimonianza che nessuno può donare al tuo posto. «Voglia il Cielo che tu possa riconoscere qual è quella parola, quel messaggio di Gesù che Dio desidera dire al mondo con la tua vita, […] così la tua preziosa missione non andrà perduta» (Esort. ap. Gaudete et exsultate, 24).

Quali istruzioni ci dà il Signore per andare verso tutti? Una sola, molto semplice: fate discepoli. Ma, attenzione: discepoli suoi, non nostri. La Chiesa annuncia bene solo se vive da discepola. E il discepolo segue ogni giorno il Maestro e condivide con gli altri la gioia del discepolato. Non conquistando, obbligando, facendo proseliti, ma testimoniando, mettendosi allo stesso livello, discepoli coi discepoli, offrendo con amore quell’amore che abbiamo ricevuto. Questa è la missione: donare aria pura, di alta quota, a chi vive immerso nell’inquinamento del mondo; portare in terra quella pace che ci riempie di gioia ogni volta che incontriamo Gesù sul monte, nella preghiera; mostrare con la vita e persino a parole che Dio ama tutti e non si stanca mai di nessuno.

Cari fratelli e sorelle, ciascuno di noi ha, ciascuno di noi “è una missione su questa terra” (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 273). Siamo qui per testimoniare, benedire, consolare, rialzare, trasmettere la bellezza di Gesù. Coraggio, Lui si aspetta tanto da te! Il Signore ha una sorta di ansia per quelli che non sanno ancora di essere figli amati dal Padre, fratelli per i quali ha dato la vita e lo Spirito Santo. Vuoi placare l’ansia di Gesù? Vai con amore verso tutti, perché la tua vita è una missione preziosa: non è un peso da subire, ma un dono da offrire. Coraggio, senza paura: andiamo verso tutti!

[01677-IT.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua francese

Je voudrais recueillir trois mots dans les lectures que nous avons entendues: un nom, un verbe et un adjectif. Le nom est la montagne: Isaïe en parle lorsqu’il prophétise une montagne du Seigneur, plus haute que les collines, vers laquelle toutes les nations afflueront (cf. Is 2,2). La montagne revient dans l’Evangile, puisque Jésus, après sa résurrection, indique aux disciples, comme lieu de rencontre, une montagne de Galilée, cette Galilée habitée par de nombreux peuples différents, la «Galilée des nations» (cf. Mt 4, 15). Il semble, finalement, que la montagne soit le lieu où Dieu aime donner rendez-vous à l’humanité entière. Elle est le lieu de la rencontre avec nous, comme le montre la Bible, du Sinaï au Carmel jusqu’à Jésus qui a proclamé les Béatitudes sur la montagne, qui s’est transfiguré sur le mont Thabor, qui a donné sa vie sur le Calvaire et qui est monté aux cieux du Mont des Oliviers. La montagne, lieu des grandes rencontres entre Dieu et l’homme, c’est aussi l’endroit où Jésus reste des heures et des heures en prière (cf. Mc 6, 46), unissant la terre et le ciel, nous, ses frères, au Père.

La montagne, que dit-elle, à nous? Que nous sommes appelés à nous approcher de Dieu et des autres: de Dieu, le Très Haut, dans le silence, dans la prière, en prenant distance des bavardages et des commérages qui polluent. Mais approcher aussi des autres, que l’on voit d’un autre point de vue, de la montagne, le point de vue de Dieu qui appelle tous les peuples: de haut, les autres sont vus dans leur ensemble, et l’on découvre que l’harmonie de la beauté est donnée seulement à tout l’ensemble. La montagne nous rappelle que les frères et les sœurs ne doivent pas être sélectionnés mais embrassés, avec le regard et surtout avec la vie. La montagne lie Dieu et les frères dans un unique embrassement, celui de la prière. La montagne nous conduit en haut, loin de tant de choses matérielles qui passent; elle nous invite à redécouvrir l’essentiel, c’est à dire ce qui demeure: Dieu et les frères. La mission commence sur la montagne: on y découvre ce qui compte. Au cœur de ce mois missionnaire, demandons-nous: qu’est-ce qui compte pour moi dans la vie? Quels sont les sommets que je vise?

Un verbe accompagne le nom montagne: monter. Isaïe nous exhorte: «Venez, montons à la montagne du Seigneur» (2, 3). Nous ne sommes pas nés pour rester à terre, pour nous contenter de choses basses, nous sommes nés pour rejoindre les hauteurs, pour rencontrer Dieu et les frères. Mais, pour cela, il faut monter: il faut quitter une vie horizontale, lutter contre la force de gravité de l’égoïsme, accomplir un exode de soi-même. Or monter est fatiguant, mais c’est l’unique moyen pour tout voir mieux, comme lorsqu’on va en montagne et que l’on aperçoit, seulement au sommet, le plus beau panorama et que l’on comprend qu’on ne pouvait pas le conquérir sinon par ce chemin toujours en montée.

Et, de même qu’en montagne on ne peut pas bien monter si l’on est alourdi par des affaires, de même, dans la vie, il faut s’alléger de ce qui est inutile. C’est aussi le secret de la mission: pour partir il faut quitter, pour annoncer il faut renoncer. L’annonce crédible n’est pas faite de belles paroles, mais d’une bonne vie : une vie de service, qui sait renoncer à beaucoup de choses matérielles qui rétrécissent le cœur, qui rendent indifférents et referment en soi-même; une vie qui se détache des choses inutiles qui monopolisent le cœur, et qui trouve du temps pour Dieu et pour les autres. Nous pouvons nous demander: où en est mon ascension? Est-ce que je sais renoncer aux lourds et inutiles bagages de la mondanité pour gravir la montagne du Seigneur? Ma route est-elle une montée, une escalade?

Si la montagne nous rappelle ce qui compte – Dieu et les frères-, et le verbe monter comment y arriver, un troisième mot résonne aujourd’hui plus fortement. C’est l’adjectif tous, qui domine dans les lectures: «toutes les nations», disait Isaïe (2, 2); «tous les peuples», avons-nous répété dans le Psaume; Dieu veut que «tous les hommes soient sauvés», écrit Paul (1Tm 2, 4); «De toutes les nations faites des disciples», demande Jésus dans l’Evangile (Mt 28, 19). Le Seigneur s’obstine à répéter ce tous. Il sait que nous, nous sommes obstinés à répéter “mon” et “notre”: mes affaires, notre nation, notre communauté…, et lui, il ne se lasse pas de répéter: “tous”. Tous, parce que personne n’est exclu de son cœur, de son salut; tous, pour que notre cœur aille au-delà des douanes humaines, au-delà des particularismes fondés sur les égoïsmes qui ne plaisent pas à Dieu. Tous, parce que chacun est un trésor précieux, et le sens de la vie c’est de donner aux autres ce trésor. Voilà la mission: gravir la montagne afin de prier pour tous, et descendre de la montagne afin de se donner à tous.

Monter et descendre: le chrétien est ainsi toujours en mouvement, en sortie. Allez est en effet l’impératif de Jésus dans l’Evangile. Tous les jours, nous croisons beaucoup de personnes, mais – nous pouvons nous demander – est-ce que nous allons à la rencontre de ces personnes que nous rencontrons? Faisons-nous nôtre l’invitation de Jésus, ou bien nous en tenons-nous à nos affaires? Tous attendent quelque chose des autres, mais le chrétien va vers les autres. Le témoin de Jésus n’est jamais en crédit de reconnaissance de la part des autres, mais en débit d’amour envers celui qui ne connaît pas le Seigneur. Le témoin de Jésus va à la rencontre de chacun, pas seulement des siens, de son petit groupe. Jésus te dit à toi aussi: “Va, ne perds pas l’occasion de témoigner!”. Frère, sœur, le Seigneur attend de toi ce témoignage que personne ne peut donner à ta place. «Puisses-tu reconnaître quelle est cette parole, ce message de Jésus que Dieu veut délivrer au monde par ta vie ! […] ainsi ta belle mission ne sera pas compromise» (Exhort. ap. Gaudete et exsultate, n. 24).

Quelles instructions le Seigneur nous donne-t-il pour aller vers tous les autres? Une seule, très simple: faites des disciples. Mais, attention: des disciples à lui, pas à nous. L’Eglise annonce bien seulement si elle vit en disciple. Et le disciple suit tous les jours le Maître, et il partage avec les autres la joie d’être disciple. Non pas en conquérant, en obligeant, en faisant du prosélytisme, mais en témoignant, en se mettant au même niveau, disciple avec des disciples, en offrant avec amour cet amour que nous avons reçu. C’est cela la mission: donner de l’air pur, de haute altitude, à celui qui vit plongé dans la pollution du monde; porter à la terre cette paix qui nous remplit de joie chaque fois que nous rencontrons Jésus sur la montagne, dans la prière; montrer par la vie, et aussi avec des mots, que Dieu aime chacun et ne se fatigue jamais de personne.

Chers frères et sœurs, chacun de nous a, chacun de nous «est une mission sur cette terre» (Exhort. ap. Evangelii gaudium, n. 273). Nous sommes ici pour témoigner, bénir, consoler, relever, transmettre la beauté de Jésus. Courage, il attend beaucoup de toi! Le Seigneur éprouve une sorte d’angoisse pour ceux qui ne savent pas encore qu’ils sont des enfants aimés du Père, des frères pour lesquels il a donné sa vie et l’Esprit Saint. Veux-tu apaiser l’angoisse de Jésus? Va avec amour vers chacun, parce que ta vie est une mission précieuse: elle n’est pas un poids à supporter, mais un don à offrir. Courage, sans peur: allons vers chacun!

[01677-FR.02] [Texte original: Italien]

Traduzione in lingua inglese

I would like to reflect on three words taken from the readings we have just heard: a noun, a verb and an adjective. The noun is the mountain: Isaiah speaks of it when he prophesies about a mountain of the Lord, raised above the hills, to which all the nations will flow (cf. Is 2:2). We see the image of the mountain again in the Gospel when Jesus, after his resurrection, tells his disciples to meet him on the mount of Galilee; the Galilee inhabited by many different peoples: “Galilee of the Gentiles” (cf. Mt 4:15). It seems, then, that the mountain is God’s favourite place for encountering humanity. It is his meeting place with us, as we see in the Bible, beginning with Mount Sinai and Mount Carmel, all the way to Jesus, who proclaimed the Beatitudes on the mountain, was transfigured on Mount Tabor, gave his life on Mount Calvary and ascended to heaven from the Mount of Olives. The mountain, the place of great encounters between God and humanity, is also the place where Jesus spent several hours in prayer (cf. Mk 6:46) to unite heaven and earth, and to unite us, his brothers and sisters, with the Father.

What does the mountain say to us? We are called to draw near to God and to others. To God, the Most High, in silence and prayer, avoiding the rumours and gossip that diminish us. And to others, who, from the mountain, can be seen in a different perspective: that of God who calls all peoples. From on high, others are seen as a community whose harmonious beauty is discovered only in viewing them as a whole. The mountain reminds us that our brothers and sisters should not be selected but embraced, not only with our gaze but also with our entire life. The mountain unites God and our brothers and sisters in a single embrace, that of prayer. The mountain draws us up and away from the many transient things, and summons us to rediscover what is essential, what is lasting: God and our brothers and sisters. Mission begins on the mountain: there, we discover what really counts. In the midst of this missionary month, let us ask ourselves: what really counts in my life? To what peaks do I want to ascend?

A verb accompanies the noun “mountain”: the verb to go up. Isaiah exhorts us: “Come, let us go up to the mountain of the Lord” (2:3). We were not born to remain on the ground, to be satisfied with ordinary things, we were born to reach the heights and there to meet God and our brothers and sisters. However, this means that we have to go up: to leave behind a horizontal life and to resist the force of gravity caused by our self-centredness, to make an exodus from our own ego. Going up requires great effort, but it is the only way to get a better view of everything. As mountain-climbers know, only when you arrive at the top can you get the most beautiful view; only then do you realize that you would not have that view were it not for that uphill path.

And as in the mountains we cannot climb well if we are weighed down by our packs, so in life we must rid ourselves of things that are useless. This is also the secret of mission: to go, you have to leave something behind, to proclaim, you must first renounce. A credible proclamation is not made with beautiful words, but by an exemplary life: a life of service that is capable of rejecting all those material things that shrink the heart and make people indifferent and inward-looking; a life that renounces the useless things that entangle the heart in order to find time for God and others. We can ask ourselves: how am I doing in my efforts to go up? Am I able to reject the heavy and useless baggage of worldliness in order to climb the mountain of the Lord? Is mine a journey upwards or one of worldliness?

If the mountain reminds us of what matters – God and our brothers and sisters – and the verb to go up tells us how to get there, a third word is even more important for today’s celebration. It is the adjective all, which constantly reappears in the readings we have heard: “all peoples”, says Isaiah (2:2); “all peoples”, we repeated in the Psalm; God desires “all to be saved”, writes Paul (1 Tim 2:4); “Go and make disciples of all nations”, says Jesus in the Gospel (Mt 28:19). The Lord is deliberate in repeating the word all. He knows that we are always using the words “my” and “our”: my things, our people, our community... But he constantly uses the word all. All, because no one is excluded from his heart, from his salvation; all, so that our heart can go beyond human boundaries and particularism based on a self-centredness that displeases God. All, because everyone is a precious treasure, and the meaning of life is found only in giving this treasure to others. Here is our mission: to go up the mountain to pray for everyone and to come down from the mountain to be a gift to all.

Going up and coming down: the Christian, therefore, is always on the move, outward-bound. Go is in fact the imperative of Jesus in the Gospel. We meet many people every day, but – we can ask – do we really encounter the people we meet? Do we accept the invitation of Jesus or simply go about our own business? Everyone expects things from others, but the Christian goes to others. Bearing witness to Jesus is never about getting accolades from others, but about loving those who do not even know the Lord. Those who bear witness to Jesus go out to all, not just to their own acquaintances or their little group. Jesus is also saying to you: “Go, don’t miss a chance to bear me witness!” My brother, my sister, the Lord expects from you a testimony that no one can give in your place. “May you come to realize what that word is, the message of Jesus that God wants to speak to the world by your life…. lest you fail in your precious mission.” (Gaudete et Exsultate, 24).

What instructions does the Lord give us for going forth to others? Only one, and very simple: make disciples. But, be careful: his disciples, not our own. The Church proclaims the Gospel well only if she lives the life of a disciple. And a disciple follows the Master daily and shares the joy of discipleship with others. Not by conquering, mandating, proselytizing, but by witnessing, humbling oneself alongside other disciples and offering with love the love that we ourselves received. This is our mission: to give pure and fresh air to those immersed in the pollution of our world; to bring to earth that peace which fills us with joy whenever we meet Jesus on the mountain in prayer; to show by our lives, and perhaps even by our words, that God loves everyone and never tires of anyone.

Dear brothers and sisters, each of us has and is “a mission on this earth” (Evangelii Gaudium, 273). We are here to witness, bless, console, raise up, and radiate the beauty of Jesus. Have courage! Jesus expects so much from you! We can say that the Lord is “concerned” about those who do not yet know that they are beloved children of the Father, brothers and sisters for whom he gave his life and sent the Holy Spirit. Do you want to quell Jesus’ concern? Go and show love to everyone, because your life is a precious mission: it is not a burden to be borne, but a gift to offer. Have courage, and let us fearlessly go forth to all!

[01677-EN.02] [Original text: Italian]

Traduzione in lingua tedesca

Aus den eben gehörten Lesungen möchte ich drei Worte herausgreifen: ein Substantiv, ein Verb und ein Adjektiv. Das Substantiv ist der Berg: Jesaja spricht davon und prophezeit einen Berg des Herrn, hoch über den Hügeln, zu dem alle Nationen strömen werden (vgl. Jes 2,2). Von einem Berg ist dann auch im Evangelium die Rede, denn Jesus nennt den Jüngern nach seiner Auferstehung einen Berg in Galiläa als Treffpunkt, gerade in Galiläa, das von vielen verschiedenen Völkern bewohnt wird, das »heidnische Galiläa« (Mt 4,15). Kurz gesagt, es scheint, dass der Berg der Ort ist, an dem Gott die ganze Menschheit treffen möchte. Es ist der Ort der Begegnung mit uns. Das zeigt die Bibel vom Sinai über den Karmel bis hin zu Jesus, der die Seligpreisungen auf einem Berg verkündet, der auf dem Berg Tabor verklärt wird, sein Leben auf dem Kalvarienberg hingegeben hat und vom Ölberg aus zum Himmel aufgefahren ist. Der Berg, der Ort der großen Begegnungen zwischen Gott und Mensch, ist auch der Ort, an dem Jesus viele Stunden im Gebet verbrachte (vgl. Mk 6,46) und dabei Erde und Himmel, uns – seine Brüder und Schwestern – mit dem Vater vereinte.

Was sagt uns der Berg? Dass wir dazu berufen sind, Gott und den anderen näher zu kommen: Gott, dem Allerhöchsten, nähern wir uns im Schweigen und im Gebet und entfliehen damit dem Smog von Klatsch und Tratsch. Wir nähern uns aber auch den anderen, die vom Berg aus in einer anderen Perspektive erscheinen, aus der Perspektive Gottes, der alle Nationen ruft: Von oben betrachtet können die anderen in ihrer Gesamtheit wahrgenommen werden, und wir entdecken, dass die Harmonie der Schönheit nur vom Ganzen her sichtbar wird. Der Berg erinnert uns daran, dass Brüder und Schwestern nicht selektiert, sondern „umarmt“ gehören – in den Blick genommen und vor allem ins Leben einbezogen. Der Berg verbindet Gott und die Brüder und Schwestern in einer einzigen Umarmung, in der Umarmung des Gebets. Der Berg führt uns hinauf, weg von vielen materiellen Dingen, die vergehen; er lädt uns ein, das Wesentliche wieder zu entdecken, das, was bleibt: Gott und unsere Brüder und Schwestern. Die Mission beginnt auf dem Berg: Dort entdeckt man, was zählt. Inmitten dieses Missionsmonats wollen wir uns fragen: Was zählt für mich im Leben? Zu welchen Gipfeln bin ich unterwegs?

Ein Verb begleitet das Substantiv Berg: hinaufsteigen. Jesaja ermuntert uns: »Auf, wir ziehen hinauf zum Berg des Herrn« (2,3). Wir sind nicht dazu geboren, unten stehen zu bleiben und uns mit flachen Dingen zufrieden zu geben. Wir sind geboren, um die Höhen zu erreichen, um Gott und unseren Brüdern und Schwestern zu begegnen. Aber dazu müssen wir hinaufsteigen: Wir müssen ein horizontales Leben hinter uns lassen, gegen die Schwerkraft des Egoismus kämpfen, einen Exodus aus unserem eigenen Selbst vollziehen. Ein Aufstieg kostet also Mühe, aber es ist die einzige Möglichkeit, alles besser zu sehen. Es ist wie beim Bergwandern, wo man auch erst oben die schönste Aussicht hat und versteht, dass man sie ohne diesen ständig aufsteigenden Pfad nicht erlangt hätte.

Und wie das Erklimmen eines Berges nicht gut möglich ist, wenn man mit Dingen belastet ist, so muss man auch im Leben ablegen, was nicht gebraucht wird. Das ist auch das Geheimnis der Mission: um aufzubrechen muss man loslassen, um zu verkündigen muss man verzichten. Die glaubwürdige Verkündigung besteht nicht aus schönen Worten, sondern aus einem guten Leben: einem Leben im Dienst, das auf viele materielle Dinge verzichten kann, die das Herz klein, gleichgültig und in sich verschlossen machen; einem Leben, das sich von dem Unnützen, das das Herz überflutet, löst und Zeit für Gott und die anderen findet. Wir können uns fragen: Wie läuft mein Aufstieg? Kann ich auf das schwere und nutzlose Gepäck der Welt verzichten, um auf den Berg des Herrn hinaufzusteigen? Ist mein Weg ein solcher Aufstieg oder verfolge ich dabei eher meine eigenen ehrgeizigen Ziele?

Wenn der Berg uns an das Wesentliche erinnert – Gott und die Brüder und Schwestern – und das Verb „hinaufsteigen“ daran, wie man dorthin gelangt, hat ein drittes Wort heute den stärksten Klang. Es ist das Adjektiv alle, das die Lesungen dominiert: »alle Nationen«, sagte Jesaja (2,2); »alle Völker« wiederholten wir im Psalm; Gott will, »dass alle Menschen gerettet werden«, schreibt Paulus (1Tim 2,4); »geht und macht alle Völker zu meinen Jüngern«, fordert Jesus im Evangelium (Mt 28,19). Beharrlich wiederholt der Herr dieses alle. Er weiß, dass wir eigensinnig bei „mein“ und „unser“ bleiben: meine Sachen, unser Volk, unsere Gemeinschaft ..., und er wird nie müde, immer wieder „alle“ zu sagen. Alle, weil niemand von seinem Herzen, von seinem Heil ausgeschlossen ist; alle, damit unser Herz die menschlichen Zollschranken übersteigt, die Kleinlichkeiten, die auf Egoismus basieren, der Gott nicht gefällt. Alle, denn jeder einzelne ist ein kostbarer Schatz, und der Sinn des Lebens besteht darin, diesen Schatz anderen weiterzugeben. Das also ist die Mission: den Berg hinaufsteigen, um für alle zu beten, und den Berg hinabsteigen, um sich allen zum Geschenk zu machen.

Hinauf- und hinabsteigen: Der Christ ist also immer in Bewegung, im Aufbruch. Geht: so lautet in der Tat der Imperativ Jesu im Evangelium. Jeden Tag treffen wir auf viele Menschen, aber – so können wir uns fragen – gehen wir auf die Menschen zu, die wir treffen? Folgen wir der Einladung Jesu oder kümmern wir uns nur um unsere eigenen Angelegenheiten? Jeder erwartet etwas von den anderen, der Christ geht auf die anderen zu. Der Zeuge Jesu hat keinen Anspruch auf die Anerkennung der anderen, doch er schuldet denen Liebe, die den Herrn nicht kennen. Der Zeuge Jesu geht allen entgegen, nicht nur den Seinen, nicht nur innerhalb seines Grüppchens. Jesus sagt auch zu dir: „Geh, verpass’ nicht die Gelegenheit, Zeugnis abzulegen! Bruder, Schwester, der Herr erwartet von dir das Zeugnis, das niemand an deiner Stelle geben kann. »Hoffentlich kannst du erkennen, was dieses Wort ist, diese Botschaft Jesu, die Gott der Welt mit deinem Leben sagen will […] damit deine wertvolle Sendung nicht scheitert« (Apostolisches Schreiben Gaudete et exsultate, 24).

Welche Anweisungen gibt uns der Herr für dieses Zugehen auf alle? Eine einzige, sehr einfache: Macht sie zu Jüngern. Aber Vorsicht: zu seinen Jüngern, nicht zu unseren. Die Kirche verkündet nur dann in guter Weise das Evangelium, wenn sie als Jüngerin lebt. Und Jünger folgen dem Meister jeden Tag und teilen mit anderen die Freude der Jüngerschaft – nicht indem man erobert, Zwang ausübt, Proselyten macht, sondern Zeugnis gibt, indem man sich als Jünger unter Jüngern auf die gleiche Ebene begibt und in Liebe die Liebe schenkt, die wir empfangen haben. Dies ist die Mission: denen reine Luft aus der Höhe geben, die im Smog der Welt versinken; der Welt den Frieden bringen, der uns jedes Mal, wenn wir im Gebet Jesus auf dem Berg begegnen, mit Freude erfüllt; mit unserem Leben und auch in Worten zeigen, dass Gott jeden liebt und niemanden je aufgibt.

Liebe Brüder und Schwestern, jeder von uns hat, jeder von uns „ist eine Mission auf dieser Erde“ (vgl. Apostolisches Schreiben Evangelii Gaudium, 273). Wir sind hier, um Zeugnis zu geben, zu segnen, zu trösten, aufzurichten und die Schönheit Jesu zu vermitteln. Hab Mut, er erwartet viel von dir! Der Herr sorgt sich um diejenigen, die noch nicht wissen, dass sie vom Vater geliebte Kinder sind, seine Brüder und Schwestern, für die er sein Leben hingegeben und denen er den Heiligen Geist gesandt hat. Willst du diese Sorge Jesu beruhigen? Dann geh mit Liebe auf alle zu, denn dein Leben ist eine kostbare Mission: keine Last, die man ertragen muss, sondern ein Geschenk, das es weiterzugeben gilt. Nur Mut und keine Angst: Lasst uns auf alle zugehen!

[01677-DE.02] [Originalsprache: Italienisch]

Traduzione in lingua spagnola

Quisiera escoger tres palabras de las lecturas que hemos escuchado: un sustantivo, un verbo y un adjetivo. El sustantivo es el monte: de esto habla Isaías, cuando profetiza acerca de un monte del Señor, más elevado que las colinas, al que confluirán todas las naciones (cf. Is 2,2). El monte vuelve en el Evangelio, ya que Jesús, después de su resurrección, indica a los discípulos, como lugar de encuentro, un monte de Galilea, precisamente en Galilea, que está habitada por muchos pueblos diferentes, la «Galilea de los gentiles» (cf. Mt 4,15). Entonces, pareciera que el monte es el lugar donde a Dios le gusta dar cita a toda la humanidad. Es el lugar del encuentro con nosotros, como muestra la Biblia, desde el Sinaí pasando por el Carmelo, hasta llegar a Jesús, que proclamó las Bienaventuranzas en la montaña, se transfiguró en el monte Tabor, dio su vida en el Calvario y ascendió al cielo desde el monte de los Olivos. El monte, lugar de grandes encuentros entre Dios y el hombre, es también el sitio donde Jesús pasa horas y horas en oración (cf. Mc 6,46), uniendo la tierra y el cielo; a nosotros, sus hermanos, con el Padre.

¿Qué significado tiene para nosotros el monte? Que estamos llamados a acercarnos a Dios y a los demás: a Dios, el Altísimo, en el silencio, en la oración, tomando distancia de las habladurías y los chismes que contaminan. Pero también a los demás, que desde el monte se ven en otra perspectiva, la de Dios que llama a todas las personas: desde lo alto, los demás se ven en su conjunto y se descubre que la belleza sólo se da en el conjunto. El monte nos recuerda que los hermanos y las hermanas no se seleccionan, sino que se abrazan, con la mirada y, sobre todo, con la vida. El monte une a Dios y a los hermanos en un único abrazo, el de la oración. El monte nos hacer ir a lo alto, lejos de tantas cosas materiales que pasan; nos invita a redescubrir lo esencial, lo que permanece: Dios y los hermanos. La misión comienza en el monte: allí se descubre lo que cuenta. En el corazón de este mes misionero, preguntémonos: ¿Qué es lo que cuenta para mí en la vida? ¿Cuáles son las cumbres que deseo alcanzar?

Un verbo acompaña al sustantivo monte: subir. Isaías nos exhorta: «Venid, subamos al monte del Señor» (2,3). No hemos nacido para estar en la tierra, para contentarnos con cosas llanas, hemos nacido para alcanzar las alturas, para encontrar a Dios y a los hermanos. Pero para esto se necesita subir: se necesita dejar una vida horizontal, luchar contra la fuerza de gravedad del egoísmo, realizar un éxodo del propio yo. Subir, por tanto, cuesta trabajo, pero es el único modo para ver todo mejor, como cuando se va a la montaña y sólo en la cima se vislumbra el panorama más hermoso y se comprende que no se podía conquistar sino avanzando por aquel sendero siempre en subida.

Y como en la montaña no se puede subir bien si se está cargado de cosas, así en la vida es necesario aligerarse de lo que no sirve. Es también el secreto de la misión: para partir se necesita dejar, para anunciar se necesita renunciar. El anuncio creíble no está hecho de hermosas palabras, sino de una vida buena: una vida de servicio, que sabe renunciar a muchas cosas materiales que empequeñecen el corazón, nos hacen indiferentes y nos encierran en nosotros mismos; una vida que se desprende de lo inútil que ahoga el corazón y encuentra tiempo para Dios y para los demás. Podemos preguntarnos: ¿Cómo es mi subida? ¿Sé renunciar a los equipajes pesados e inútiles de la mundanidad para subir al monte del Señor? ¿Es de subida mi camino o de “escalada”?

Si el monte nos recuerda lo que cuenta —Dios y los hermanos—, y el verbo subir cómo llegar, una tercera palabra resuena hoy con mayor fuerza. Es el adjetivo todos, que prevalece en las lecturas: «todas las naciones», decía Isaías (2,2); «todos los pueblos», hemos repetido en el salmo; Dios quiere «que todos los hombres se salven», escribe Pablo (1 Tm 2,4); «id y haced discípulos a todos los pueblos», pide Jesús en el Evangelio (Mt 28,19). El Señor es obstinado al repetir este todos. Sabe que nosotros somos testarudos al repetir “mío” y “nuestro”: mis cosas, nuestra gente, nuestra comunidad…, y Él no se cansa de repetir: “todos”. Todos, porque ninguno está excluido de su corazón, de su salvación; todos, para que nuestro corazón vaya más allá de las aduanas humanas, más allá de los particularismos fundados en egoísmos que no agradan a Dios. Todos, porque cada uno es un tesoro precioso y el sentido de la vida es dar a los demás este tesoro. Esta es la misión: subir al monte a rezar por todos y bajar del monte para hacerse don a todos.

Subir y bajar: el cristiano, por tanto, está siempre en movimiento, en salida. De hecho, el imperativo de Jesús en el Evangelio es id. Todos los días cruzamos a muchas personas, pero —podemos preguntarnos— ¿vamos al encuentro de esas personas? ¿Hacemos nuestra la invitación de Jesús o nos quedamos en nuestros propios asuntos? Todos esperan cosas de los demás, el cristiano va hacia los demás. El testigo de Jesús jamás busca ser destinatario de un reconocimiento de los demás, sino que es él quien debe dar amor al que no conoce al Señor. El testigo de Jesús va al encuentro de todos, no sólo de los suyos, de su grupito. Jesús también te dice: “Ve, ¡no pierdas la ocasión de testimoniar!”. Hermano, hermana: El Señor espera de ti ese testimonio que nadie puede dar en tu lugar. «Ojalá puedas reconocer cuál es esa palabra, ese mensaje de Jesús que Dios quiere decir al mundo con tu vida. […] Así tu preciosa misión no se malogrará» (Exhort. apost. Gaudete et exsultate, 24).

¿Qué instrucciones nos da el Señor para ir al encuentro de todos? Una sola, muy sencilla: haced discípulos. Pero, atención: discípulos suyos, no nuestros. La Iglesia anuncia bien sólo si vive como discípula. Y el discípulo sigue cada día al Maestro y comparte con los demás la alegría del discipulado. No conquistando, obligando, haciendo prosélitos, sino testimoniando, poniéndose en el mismo nivel, discípulos con los discípulos, ofreciendo con amor ese amor que hemos recibido. Esta es la misión: dar aire puro, de gran altitud, a quien vive inmerso en la contaminación del mundo; llevar a la tierra esa paz que nos llena de alegría cada vez que encontramos a Jesús en el monte, en la oración; mostrar con la vida e incluso con palabras que Dios ama a todos y no se cansa nunca de ninguno.

Queridos hermanos y hermanas: Cada uno de nosotros tiene, cada uno de nosotros “es una misión en esta tierra” (cf. Exhort. apost. Evangelii gaudium, 273). Estamos aquí para testimoniar, bendecir, consolar, levantar, transmitir la belleza de Jesús. Ánimo, ¡Él espera mucho de ti! El Señor tiene una especie de ansiedad por aquellos que aún no saben que son hijos amados del Padre, hermanos por los que ha dado la vida y el Espíritu Santo. ¿Quieres calmar la ansiedad de Jesús? Ve con amor hacia todos, porque tu vida es una misión preciosa: no es un peso que soportar, sino un don para ofrecer. Ánimo, sin miedo, ¡vayamos al encuentro de todos!

[01677-ES.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua portoghese

in portoghese

Quero tomar três palavras das Leituras escutadas: um substantivo, um verbo e um pronome. O substantivo é o monte: dele profetiza Isaías, quando nos fala de um monte do Senhor, dominando sobre as colinas, para onde acorrerão todas as nações (cf. Is 2, 2). E o monte reaparece no Evangelho: depois da sua ressurreição, Jesus indica aos discípulos como local de encontro um monte da Galileia, precisamente aquela Galileia habitada por muitas populações diferentes, a «Galileia dos gentios» (cf. Mt 4, 15). Em suma, o monte parece ser o lugar onde Deus gosta de marcar encontro com toda a humanidade. É o lugar do encontro connosco, como mostra a Bíblia a começar do Sinai, passando pelo Carmelo até Jesus, que proclamou as Bem-aventuranças no monte, transfigurou-Se no monte Tabor, deu a vida no Calvário e subiu ao Céu no monte das Oliveiras. O monte, lugar dos grandes encontros entre Deus e o homem, é também o sítio onde Jesus passa horas e horas em oração (cf. Mc 6, 46), para unir terra e Céu, unir-nos, nós seus irmãos, ao Pai.

A nós, que nos diz o monte? Que somos chamados a aproximar-nos de Deus e dos outros: aproximar-nos de Deus, o Altíssimo, no silêncio, na oração, afastando-nos das maledicências e boatos que poluem; e aproximar-nos também dos outros, que, vistos do monte, aparecem-nos noutra perspetiva, a de Deus que chama todos os povos: vistos de cima, os outros aparecem-nos no seu todo e descobre-se que a harmonia da beleza só é dada pelo conjunto. O monte lembra-nos que os irmãos e as irmãs não devem ser selecionados, mas abraçados com o olhar e sobretudo com a vida. O monte liga Deus e os irmãos num único abraço, o da oração. O monte leva-nos para o alto, longe de tantas coisas materiais que passam; convida-nos a redescobrir o essencial, o que permanece: Deus e os irmãos. A missão começa no monte: lá se descobre aquilo que conta. No coração deste mês missionário, interroguemo-nos: Para mim, o que é que conta na vida? Quais são as altitudes para onde tendo?

E o substantivo monte aparece acompanhado por um verbo: subir. Isaías exorta-nos: «Vinde, subamos à montanha do Senhor» (2, 3). Nascemos, não para ficar em terra contentando-nos com coisas triviais, mas para chegar às alturas encontrando Deus e os irmãos. Para isso, porém, é preciso subir: é preciso deixar uma vida horizontal, lutar contra a força de gravidade do egoísmo, realizar um êxodo do próprio eu. Por isso, subir requer esforço, mas é a única maneira para ver tudo melhor, como o panorama mais bonito ao escalar a montanha só se vê no cimo e, então, compreendemos que o único modo possível para o abarcar era seguir aquela vereda sempre em subida.

E como não é fácil subir ao monte se formos carregados de coisas, assim na vida é preciso alijar o que não serve. É também o segredo da missão: para partir é preciso deixar, para anunciar é preciso renunciar. O anúncio credível é feito, não de bonitas palavras, mas de vida boa: uma vida de serviço, que sabe renunciar a tantas coisas materiais que empequenecem o coração, tornam as pessoas indiferentes e as fecham em si mesmas; uma vida que se separa das inutilidades que atafulham o coração e encontra tempo para Deus e para os outros. Podemos interrogar-nos: Como procede a minha subida? Sei renunciar às bagagens pesadas e inúteis do mundanismo para subir ao monte do Senhor? Faço a minha estrada subindo à minha custa ou trepando sobre usando os outros?

Se o monte nos lembra o que conta – Deus e os irmãos –, e o verbo subir, o modo como lá chegamos, há uma terceira palavra que hoje ressoa como a mais forte. É o pronome todos, que prevalece nas Leituras: «todas as nações», dizia Isaías (2, 2); «todos os povos», repetimos no Salmo; Deus «quer que todos os homens sejam salvos», escreve Paulo (1 Tm 2, 4); «ide, pois, fazei discípulos de todos os povos», pede Jesus no Evangelho (Mt 28,19). O Senhor obstina-Se a repetir este «todos». Sabe que somos teimosos a repetir «meu» e «nosso»: as minhas coisas, a nossa nação, a nossa comunidade... e Ele não Se cansa de repetir «todos». Todos, porque ninguém está excluído do seu coração, da sua salvação; todos, para que o nosso coração ultrapasse as alfândegas humanas, os particularismos baseados nos egoísmos que não agradam a Deus. Todos, porque cada qual é um tesouro precioso e o sentido da vida é dar aos outros este tesouro. Eis a missão: subir ao monte para rezar por todos, e descer do monte para se doar a todos.

Subir e descer… Assim o cristão está sempre em movimento, em saída. Realmente, no Evangelho, o mandato de Jesus é «ide». Todos os dias nos cruzamos com tantas pessoas, mas – podemo-nos interrogar – vamos ter com as pessoas que encontramos? Assumimos o convite de Jesus ou ocupamo-nos apenas das nossas coisas? Todos esperam algo dos outros, o cristão vai ter com os outros. A testemunha de Jesus nunca se sente em crédito do reconhecimento de outros, mas em dívida de amor com quem não conhece o Senhor. A testemunha de Jesus vai ao encontro de todos, e não apenas dos seus, do seu grupinho. Jesus diz também a ti: «Vai; não percas a ocasião de testemunhar!» Irmão, irmã, o Senhor espera de ti o testemunho que ninguém pode dar em tua vez. «Oxalá consigas identificar a palavra, a mensagem de Jesus que Deus quer dizer ao mundo com a tua vida (...), e assim a tua preciosa missão não fracassará» (Francisco, Exort. ap. Gaudete et exsultate, 24).

Para ir ao encontro de todos, que instruções nos dá o Senhor? Uma só e muito simples: fazei discípulos. Mas, atenção! Discípulos d’Ele, não nossos. A Igreja só anuncia bem, se viver como discípula. E o discípulo segue dia a dia o Mestre e partilha com os outros a alegria do discipulado. Não conquistando, obrigando, fazendo prosélitos, mas testemunhando, colocando-se ao mesmo nível – discípulo com os discípulos –, oferecendo amorosamente o amor que recebemos. Esta é a missão: oferecer ar puro, de alta quota, a quem vive imerso na poluição do mundo; levar à terra aquela paz que nos enche de alegria, sempre que encontramos Jesus no monte, na oração; mostrar, com a vida e mesmo com palavras, que Deus ama a todos e não se cansa jamais de ninguém.

Queridos irmãos e irmãs, cada um de nós tem, melhor, é uma missão nesta terra (cf. Francisco, Exort. ap. Evangelii gaudium, 273). Estamos aqui para testemunhar, abençoar, consolar, erguer, transmitir a beleza de Jesus. Coragem! Ele espera muito de ti! O Senhor prova uma espécie de ânsia por aqueles que ainda não sabem que são filhos amados pelo Pai, irmãos pelos quais deu a vida e o Espírito Santo. Queres acalmar a ânsia de Jesus? Vai com amor ao encontro de todos, porque a tua vida é uma missão preciosa: não é um peso a suportar, mas um dom a oferecer. Coragem! Sem medo, vamos ao encontro de todos!

[01677-PO.02] [Texto original: Italiano]

[B0807-XX.02]