Testo in lingua italiana
Traduzione in lingua francese
Traduzione in lingua inglese
Traduzione in lingua spagnola
Traduzione in lingua tedesca
Traduzione in lingua portoghese
Traduzione in lingua polacca
Traduzione in lingua araba
Testo in lingua italiana
Lettera Apostolica
in forma di Motu Proprio
del Santo Padre
Francesco
Aperuit illis
con la quale viene istituita la
Domenica della Parola di Dio
1. «Aprì loro la mente per comprendere le Scritture» (Lc 24,45). È uno degli ultimi gesti compiuti dal Signore risorto, prima della sua Ascensione. Appare ai discepoli mentre sono radunati insieme, spezza con loro il pane e apre le loro menti all’intelligenza delle Sacre Scritture. A quegli uomini impauriti e delusi rivela il senso del mistero pasquale: che cioè, secondo il progetto eterno del Padre, Gesù doveva patire e risuscitare dai morti per offrire la conversione e il perdono dei peccati (cfr Lc 24,26.46-47); e promette lo Spirito Santo che darà loro la forza di essere testimoni di questo Mistero di salvezza (cfr Lc 24,49).
La relazione tra il Risorto, la comunità dei credenti e la Sacra Scrittura è estremamente vitale per la nostra identità. Senza il Signore che ci introduce è impossibile comprendere in profondità la Sacra Scrittura, ma è altrettanto vero il contrario: senza la Sacra Scrittura restano indecifrabili gli eventi della missione di Gesù e della sua Chiesa nel mondo. Giustamente San Girolamo poteva scrivere: «L’ignoranza delle Scritture è ignoranza di Cristo» (In Is., Prologo: PL 24,17).
2. A conclusione del Giubileo straordinario della misericordia avevo chiesto che si pensasse a «una domenica dedicata interamente alla Parola di Dio, per comprendere l’inesauribile ricchezza che proviene da quel dialogo costante di Dio con il suo popolo» (Lett. ap. Misericordia et misera, 7). Dedicare in modo particolare una domenica dell’Anno liturgico alla Parola di Dio consente, anzitutto, di far rivivere alla Chiesa il gesto del Risorto che apre anche per noi il tesoro della sua Parola perché possiamo essere nel mondo annunciatori di questa inesauribile ricchezza. Tornano alla mente in proposito gli insegnamenti di Sant’Efrem: «Chi è capace di comprendere, Signore, tutta la ricchezza di una sola delle tue parole? È molto di più ciò che sfugge di quanto riusciamo a comprendere. Siamo proprio come gli assetati che bevono a una fonte. La tua parola offre molti aspetti diversi, come numerose sono le prospettive di quanti la studiano. Il Signore ha colorato la sua parola di bellezze svariate, perché coloro che la scrutano possano contemplare ciò che preferiscono. Ha nascosto nella sua parola tutti i tesori, perché ciascuno di noi trovi una ricchezza in ciò che contempla» (Commenti sul Diatessaron, 1, 18).
Con questa Lettera, pertanto, intendo rispondere a tante richieste che mi sono giunte da parte del popolo di Dio, perché in tutta la Chiesa si possa celebrare in unità di intenti la Domenica della Parola di Dio. È diventata ormai una prassi comune vivere dei momenti in cui la comunità cristiana si concentra sul grande valore che la Parola di Dio occupa nella sua esistenza quotidiana. Esiste nelle diverse Chiese locali una ricchezza di iniziative che rende sempre più accessibile la Sacra Scrittura ai credenti, così da farli sentire grati di un dono tanto grande, impegnati a viverlo nel quotidiano e responsabili di testimoniarlo con coerenza.
Il Concilio Ecumenico Vaticano II ha dato un grande impulso alla riscoperta della Parola di Dio con la Costituzione dogmatica Dei Verbum. Da quelle pagine, che sempre meritano di essere meditate e vissute, emerge in maniera chiara la natura della Sacra Scrittura, il suo essere tramandata di generazione in generazione (cap. II), la sua ispirazione divina (cap. III) che abbraccia Antico e Nuovo Testamento (capp. IV e V) e la sua importanza per la vita della Chiesa (cap. VI). Per incrementare quell’insegnamento, Benedetto XVI convocò nel 2008 un’Assemblea del Sinodo dei Vescovi sul tema “La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa”, in seguito alla quale pubblicò l’Esortazione Apostolica Verbum Domini, che costituisce un insegnamento imprescindibile per le nostre comunità.[1] In questo Documento, in modo particolare, viene approfondito il carattere performativo della Parola di Dio, soprattutto quando nell’azione liturgica emerge il suo carattere propriamente sacramentale.[2]
È bene, pertanto, che non venga mai a mancare nella vita del nostro popolo questo rapporto decisivo con la Parola viva che il Signore non si stanca mai di rivolgere alla sua Sposa, perché possa crescere nell’amore e nella testimonianza di fede.
3. Stabilisco, pertanto, che la III Domenica del Tempo Ordinario sia dedicata alla celebrazione, riflessione e divulgazione della Parola di Dio. Questa Domenica della Parola di Dio verrà così a collocarsi in un momento opportuno di quel periodo dell’anno, quando siamo invitati a rafforzare i legami con gli ebrei e a pregare per l’unità dei cristiani. Non si tratta di una mera coincidenza temporale: celebrare la Domenica della Parola di Dio esprime una valenza ecumenica, perché la Sacra Scrittura indica a quanti si pongono in ascolto il cammino da perseguire per giungere a un’unità autentica e solida.
Le comunità troveranno il modo per vivere questa Domenica come un giorno solenne. Sarà importante, comunque, che nella celebrazione eucaristica si possa intronizzare il testo sacro, così da rendere evidente all’assemblea il valore normativo che la Parola di Dio possiede. In questa domenica, in modo particolare, sarà utile evidenziare la sua proclamazione e adattare l’omelia per mettere in risalto il servizio che si rende alla Parola del Signore. I Vescovi potranno in questa Domenica celebrare il rito del Lettorato o affidare un ministero simile, per richiamare l’importanza della proclamazione della Parola di Dio nella liturgia. È fondamentale, infatti, che non venga meno ogni sforzo perché si preparino alcuni fedeli ad essere veri annunciatori della Parola con una preparazione adeguata, così come avviene in maniera ormai usuale per gli accoliti o i ministri straordinari della Comunione. Alla stessa stregua, i parroci potranno trovare le forme per la consegna della Bibbia, o di un suo libro, a tutta l’assemblea in modo da far emergere l’importanza di continuare nella vita quotidiana la lettura, l’approfondimento e la preghiera con la Sacra Scrittura, con un particolare riferimento alla lectio divina.
4. Il ritorno del popolo d’Israele in patria, dopo l’esilio babilonese, fu segnato in modo significativo dalla lettura del libro della Legge. La Bibbia ci offre una commovente descrizione di quel momento nel libro di Neemia. Il popolo è radunato a Gerusalemme nella piazza della Porta delle Acque in ascolto della Legge. Quel popolo era stato disperso con la deportazione, ma ora si ritrova radunato intorno alla Sacra Scrittura come fosse «un solo uomo» (Ne 8,1). Alla lettura del libro sacro, il popolo «tendeva l’orecchio» (Ne 8,3), sapendo di ritrovare in quella parola il senso degli eventi vissuti. La reazione alla proclamazione di quelle parole fu la commozione e il pianto: «[I leviti] leggevano il libro della Legge di Dio a brani distinti e spiegavano il senso, e così facevano comprendere la lettura. Neemia, che era il governatore, Esdra, sacerdote e scriba, e i leviti che ammaestravano il popolo dissero a tutto il popolo: “Questo giorno è consacrato al Signore, vostro Dio; non fate lutto e non piangete!”. Infatti tutto il popolo piangeva, mentre ascoltava le parole della Legge. […] “Non vi rattristate, perché la gioia del Signore è la vostra forza”» (Ne 8,8-10).
Queste parole contengono un grande insegnamento.La Bibbia non può essere solo patrimonio di alcuni e tanto meno una raccolta di libri per pochi privilegiati. Essa appartiene, anzitutto, al popolo convocato per ascoltarla e riconoscersi in quella Parola. Spesso, si verificano tendenze che cercano di monopolizzare il testo sacro relegandolo ad alcuni circoli o a gruppi prescelti. Non può essere così. La Bibbia è il libro del popolo del Signore che nel suo ascolto passa dalla dispersione e dalla divisione all’unità. La Parola di Dio unisce i credenti e li rende un solo popolo.
5. In questa unità, generata dall’ascolto, i Pastori in primo luogo hanno la grande responsabilità di spiegare e permettere a tutti di comprendere la Sacra Scrittura. Poiché essa è il libro del popolo, quanti hanno la vocazione di essere ministri della Parola devono sentire forte l’esigenza di renderla accessibile alla propria comunità.
L’omelia, in particolare, riveste una funzione del tutto peculiare, perché possiede «un carattere quasi sacramentale» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 142). Far entrare in profondità nella Parola di Dio, con un linguaggio semplice e adatto a chi ascolta, permette al sacerdote di far scoprire anche la «bellezza delle immagini che il Signore utilizzava per stimolare la pratica del bene» (ibid.). Questa è un’opportunità pastorale da non perdere!
Per molti dei nostri fedeli, infatti, questa è l’unica occasione che possiedono per cogliere la bellezza della Parola di Dio e vederla riferita alla loro vita quotidiana. È necessario, quindi, che si dedichi il tempo opportuno per la preparazione dell’omelia. Non si può improvvisare il commento alle letture sacre. A noi predicatori è richiesto, piuttosto, l’impegno a non dilungarci oltre misura con omelie saccenti o argomenti estranei. Quando ci si ferma a meditare e pregare sul testo sacro, allora si è capaci di parlare con il cuore per raggiungere il cuore delle persone che ascoltano, così da esprimere l’essenziale che viene colto e che produce frutto. Non stanchiamoci mai di dedicare tempo e preghiera alla Sacra Scrittura, perché venga accolta «non come parola di uomini ma, qual è veramente, come parola di Dio» (1Ts 2,13).
È bene che anche i catechisti, per il ministero che rivestono di aiutare a crescere nella fede, sentano l’urgenza di rinnovarsi attraverso la familiarità e lo studio delle Sacre Scritture, che consentano loro di favorire un vero dialogo tra quanti li ascoltano e la Parola di Dio.
6. Prima di raggiungere i discepoli, chiusi in casa, e aprirli all’intelligenza della Sacra Scrittura (cfr Lc 24,44-45), il Risorto appare a due di loro lungo la via che porta da Gerusalemme a Emmaus (cfr Lc 24,13-35). Il racconto dell’evangelista Luca nota che è il giorno stesso della Risurrezione, cioè la domenica. Quei due discepoli discutono sugli ultimi avvenimenti della passione e morte di Gesù. Il loro cammino è segnato dalla tristezza e dalla delusione per la tragica fine di Gesù. Avevano sperato in Lui come Messia liberatore, e si trovano di fronte allo scandalo del Crocifisso. Con discrezione, il Risorto stesso si avvicina e cammina con i discepoli, ma quelli non lo riconoscono (cfr v. 16). Lungo la strada, il Signore li interroga, rendendosi conto che non hanno compreso il senso della sua passione e morte; li chiama «stolti e lenti di cuore» (v. 25) e «cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui» (v. 27). Cristo è il primo esegeta! Non solo le Scritture antiche hanno anticipato quanto Egli avrebbe realizzato, ma Lui stesso ha voluto essere fedele a quella Parola per rendere evidente l’unica storia della salvezza che trova in Cristo il suo compimento.
7. La Bibbia, pertanto, in quanto Sacra Scrittura, parla di Cristo e lo annuncia come colui che deve attraversare le sofferenze per entrare nella gloria (cfr v. 26). Non una sola parte, ma tutte le Scritture parlano di Lui. La sua morte e risurrezione sono indecifrabili senza di esse. Per questo una delle confessioni di fede più antiche sottolinea che Cristo «morì per i nostri peccati secondo le Scritture e che fu sepolto e che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture e che apparve a Cefa» (1Cor 15,3-5). Poiché le Scritture parlano di Cristo, permettono di credere che la sua morte e risurrezione non appartengono alla mitologia, ma alla storia e si trovano al centro della fede dei suoi discepoli.
È profondo il vincolo tra la Sacra Scrittura e la fede dei credenti. Poiché la fede proviene dall’ascolto e l’ascolto è incentrato sulla parola di Cristo (cfr Rm 10,17), l’invito che ne scaturisce è l’urgenza e l’importanza che i credenti devono riservare all’ascolto della Parola del Signore sia nell’azione liturgica, sia nella preghiera e riflessione personali.
8. Il “viaggio” del Risorto con i discepoli di Emmaus si chiude con la cena. Il misterioso Viandante accetta l’insistente richiesta che gli rivolgono i due: «Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto» (Lc 24,29). Si siedono a tavola, Gesù prende il pane, recita la benedizione, lo spezza e lo offre a loro. In quel momento i loro occhi si aprono e lo riconoscono (cfr v. 31).
Comprendiamo da questa scena quanto sia inscindibile il rapporto tra la Sacra Scrittura e l’Eucaristia. Il Concilio Vaticano II insegna: «La Chiesa ha sempre venerato le divine Scritture come ha fatto per il Corpo stesso di Cristo, non mancando mai, soprattutto nella sacra liturgia, di nutrirsi del pane di vita dalla mensa sia della Parola di Dio che del Corpo di Cristo, e di porgerlo ai fedeli» (Dei Verbum, 21).
La frequentazione costante della Sacra Scrittura e la celebrazione dell’Eucaristia rendono possibile il riconoscimento fra persone che si appartengono. Come cristiani siamo un solo popolo che cammina nella storia, forte della presenza del Signore in mezzo a noi che ci parla e ci nutre. Il giorno dedicato alla Bibbia vuole essere non “una volta all’anno”, ma una volta per tutto l’anno, perché abbiamo urgente necessità di diventare familiari e intimi della Sacra Scrittura e del Risorto, che non cessa di spezzare la Parola e il Pane nella comunità dei credenti. Per questo abbiamo bisogno di entrare in confidenza costante con la Sacra Scrittura, altrimenti il cuore resta freddo e gli occhi rimangono chiusi, colpiti come siamo da innumerevoli forme di cecità.
Sacra Scrittura e Sacramenti tra loro sono inseparabili. Quando i Sacramenti sono introdotti e illuminati dalla Parola, si manifestano più chiaramente come la meta di un cammino dove Cristo stesso apre la mente e il cuore a riconoscere la sua azione salvifica. È necessario, in questo contesto, non dimenticare l’insegnamento che viene dal libro dell’Apocalisse. Qui viene insegnato che il Signore sta alla porta e bussa. Se qualcuno ascolta la sua voce e gli apre, Egli entra per cenare insieme (cfr 3,20). Cristo Gesù bussa alla nostra porta attraverso la Sacra Scrittura; se ascoltiamo e apriamo la porta della mente e del cuore, allora entra nella nostra vita e rimane con noi.
9. Nella Seconda Lettera a Timoteo, che costituisce in qualche modo il suo testamento spirituale, San Paolo raccomanda al suo fedele collaboratore di frequentare costantemente la Sacra Scrittura. L’Apostolo è convinto che «tutta la Sacra Scrittura, ispirata da Dio, è anche utile per insegnare, convincere, correggere ed educare» (3,16). Questa raccomandazione di Paolo a Timoteo costituisce una base su cui la Costituzione conciliare Dei Verbum affronta il grande tema dell’ispirazione della Sacra Scrittura, una base da cui emergono in particolare la finalità salvifica, la dimensione spirituale e il principio dell’incarnazione per la Sacra Scrittura.
Richiamando anzitutto la raccomandazione di Paolo a Timoteo, la Dei Verbum sottolinea che «i libri della Scrittura insegnano con certezza, fedelmente e senza errore la verità che Dio, per la nostra salvezza, volle fosse consegnata nelle sacre Scritture» (n. 11). Poiché queste istruiscono in vista della salvezza per la fede in Cristo (cfr 2Tm 3,15), le verità contenute in esse servono per la nostra salvezza. La Bibbia non è una raccolta di libri di storia, né di cronaca, ma è interamente rivolta alla salvezza integrale della persona. L’innegabile radicamento storico dei libri contenuti nel testo sacro non deve far dimenticare questa finalità primordiale: la nostra salvezza. Tutto è indirizzato a questa finalità iscritta nella natura stessa della Bibbia, che è composta come storia di salvezza in cui Dio parla e agisce per andare incontro a tutti gli uomini e salvarli dal male e dalla morte.
Per raggiungere tale finalità salvifica, la Sacra Scrittura sotto l’azione dello Spirito Santo trasforma in Parola di Dio la parola degli uomini scritta in maniera umana (cfr Dei Verbum, 12). Il ruolo dello Spirito Santo nella Sacra Scrittura è fondamentale. Senza la sua azione, il rischio di rimanere rinchiusi nel solo testo scritto sarebbe sempre all’erta, rendendo facile l’interpretazione fondamentalista, da cui bisogna rimanere lontani per non tradire il carattere ispirato, dinamico e spirituale che il testo sacro possiede. Come ricorda l’Apostolo «La lettera uccide, lo Spirito invece dà vita» (2Cor 3,6). Lo Spirito Santo, dunque, trasforma la Sacra Scrittura in Parola vivente di Dio, vissuta e trasmessa nella fede del suo popolo santo.
10. L’azione dello Spirito Santo non riguarda soltanto la formazione della Sacra Scrittura, ma opera anche in coloro che si pongono in ascolto della Parola di Dio. È importante l’affermazione dei Padri conciliari secondo cui la Sacra Scrittura deve essere «letta e interpretata alla luce dello stesso Spirito mediante il quale è stata scritta» (Dei Verbum, 12). Con Gesù Cristo la rivelazione di Dio raggiunge il suo compimento e la sua pienezza; eppure, lo Spirito Santo continua la sua azione. Sarebbe riduttivo, infatti, limitare l’azione dello Spirito Santo solo alla natura divinamente ispirata della Sacra Scrittura e ai suoi diversi autori. È necessario, pertanto, avere fiducia nell’azione dello Spirito Santo che continua a realizzare una sua peculiare forma di ispirazione quando la Chiesa insegna la Sacra Scrittura, quando il Magistero la interpreta autenticamente (cfr ibid., 10) e quando ogni credente ne fa la propria norma spirituale. In questo senso possiamo comprendere le parole di Gesù quando, ai discepoli che confermano di aver afferrato il significato delle sue parabole, dice: «Ogni scriba, divenuto discepolo del regno dei cieli, è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche» (Mt 13,52).
11. La Dei Verbum, infine, precisa che «le parole di Dio espresse con lingue umane, si sono fatte simili al parlare dell’uomo, come già il Verbo dell’eterno Padre, avendo assunto le debolezze dell’umana natura, si fece simile all’uomo» (n. 13). È come dire che l’Incarnazione del Verbo di Dio dà forma e senso alla relazione tra la Parola di Dio e il linguaggio umano, con le sue condizioni storiche e culturali. È in questo evento che prende forma la Tradizione, che è anch’essa Parola di Dio (cfr ibid., 9). Spesso si corre il rischio di separare tra loro la Sacra Scrittura e la Tradizione, senza comprendere che insieme sono l’unica fonte della Rivelazione. Il carattere scritto della prima nulla toglie al suo essere pienamente parola viva; così come la Tradizione viva della Chiesa, che la trasmette incessantemente nel corso dei secoli di generazione in generazione, possiede quel libro sacro come la «regola suprema della fede» (ibid., 21). D’altronde, prima di diventare un testo scritto, la Sacra Scrittura è stata trasmessa oralmente e mantenuta viva dalla fede di un popolo che la riconosceva come sua storia e principio di identità in mezzo a tanti altri popoli. La fede biblica, pertanto, si fonda sulla Parola viva, non su un libro.
12. Quando la Sacra Scrittura è letta nello stesso Spirito con cui è stata scritta, permane sempre nuova. L’Antico Testamento non è mai vecchio una volta che è parte del Nuovo, perché tutto è trasformato dall’unico Spirito che lo ispira. L’intero testo sacro possiede una funzione profetica: essa non riguarda il futuro, ma l’oggi di chi si nutre di questa Parola. Gesù stesso lo afferma chiaramente all’inizio del suo ministero: «Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato» (Lc 4,21). Chi si nutre ogni giorno della Parola di Dio si fa, come Gesù, contemporaneo delle persone che incontra; non è tentato di cadere in nostalgie sterili per il passato, né in utopie disincarnate verso il futuro.
La Sacra Scrittura svolge la sua azione profetica anzitutto nei confronti di chi l’ascolta. Essa provoca dolcezza e amarezza. Tornano alla mente le parole del profeta Ezechiele quando, invitato dal Signore a mangiare il rotolo del libro, confida: «Fu per la mia bocca dolce come il miele» (3,3). Anche l’evangelista Giovanni sull’isola di Patmos rivive la stessa esperienza di Ezechiele di mangiare il libro, ma aggiunge qualcosa di più specifico: «In bocca lo sentii dolce come il miele, ma come l’ebbi inghiottito ne sentii nelle viscere tutta l’amarezza» (Ap 10,10).
La dolcezza della Parola di Dio ci spinge a parteciparla a quanti incontriamo nella nostra vita per esprimere la certezza della speranza che essa contiene (cfr 1Pt 3,15-16). L’amarezza, a sua volta, è spesso offerta dal verificare quanto difficile diventi per noi doverla vivere con coerenza, o toccare con mano che essa viene rifiutata perché non ritenuta valida per dare senso alla vita. È necessario, pertanto, non assuefarsi mai alla Parola di Dio, ma nutrirsi di essa per scoprire e vivere in profondità la nostra relazione con Dio e i fratelli.
13. Un’ulteriore provocazione che proviene dalla Sacra Scrittura è quella che riguarda la carità. Costantemente la Parola di Dio richiama all’amore misericordioso del Padre che chiede ai figli di vivere nella carità. La vita di Gesù è l’espressione piena e perfetta di questo amore divino che non trattiene nulla per sé, ma a tutti offre sé stesso senza riserve. Nella parabola del povero Lazzaro troviamo un’indicazione preziosa. Quando Lazzaro e il ricco muoiono, questi, vedendo il povero nel seno di Abramo, chiede che venga inviato ai suoi fratelli perché li ammonisca a vivere l’amore del prossimo, per evitare che anch’essi subiscano i suoi stessi tormenti. La risposta di Abramo è pungente: «Hanno Mosè e i profeti ascoltino loro» (Lc 16,29). Ascoltare le Sacre Scritture per praticare la misericordia: questa è una grande sfida posta dinanzi alla nostra vita. La Parola di Dio è in grado di aprire i nostri occhi per permetterci di uscire dall’individualismo che conduce all’asfissia e alla sterilità mentre spalanca la strada della condivisione e della solidarietà.
14. Uno degli episodi più significativi del rapporto tra Gesù e i discepoli è il racconto della Trasfigurazione. Gesù sale sul monte a pregare con Pietro, Giacomo e Giovanni. Gli evangelisti ricordano che mentre il volto e le vesti di Gesù risplendevano, due uomini conversavano con Lui: Mosè ed Elia, che impersonano rispettivamente la Legge e i Profeti, cioè le Sacre Scritture. La reazione di Pietro, a quella vista, è piena di gioiosa meraviglia: «Maestro, è bello per noi essere qui. Facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia» (Lc 9,33). In quel momento una nube li copre con la sua ombra e i discepoli sono colti dalla paura.
La Trasfigurazione richiama la festa delle capanne, quando Esdra e Neemia leggevano il testo sacro al popolo, dopo il ritorno dall’esilio. Nello stesso tempo, essa anticipa la gloria di Gesù in preparazione allo scandalo della passione, gloria divina che viene evocata anche dalla nube che avvolge i discepoli, simbolo della presenza del Signore. Questa Trasfigurazione è simile a quella della Sacra Scrittura, che trascende sé stessa quando nutre la vita dei credenti. Come ricorda la Verbum Domini: «Nel recupero dell’articolazione tra i diversi sensi scritturistici diventa allora decisivo cogliere il passaggio tra lettera e spirito. Non si tratta di un passaggio automatico e spontaneo; occorre piuttosto un trascendimento della lettera» (n. 38).
15. Nel cammino di accoglienza della Parola di Dio, ci accompagna la Madre del Signore, riconosciuta come beata perché ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le aveva detto (cfr Lc 1,45). La beatitudine di Maria precede tutte le beatitudini pronunciate da Gesù per i poveri, gli afflitti, i miti, i pacificatori e coloro che sono perseguitati, perché è la condizione necessaria per qualsiasi altra beatitudine. Nessun povero è beato perché povero; lo diventa se, come Maria, crede nell’adempimento della Parola di Dio. Lo ricorda un grande discepolo e maestro della Sacra Scrittura, Sant’Agostino: «Qualcuno in mezzo alla folla, particolarmente preso dall’entusiasmo, esclamò: “Beato il seno che ti ha portato”. E lui: “Beati piuttosto quelli che ascoltano la parola di Dio, e la custodiscono”. Come dire: anche mia madre, che tu chiami beata, è beata appunto perché custodisce la parola di Dio, non perché in lei il Verbo si è fatto carne e abitò fra noi, ma perché custodisce il Verbo stesso di Dio per mezzo del quale è stata fatta, e che in lei si è fatto carne» (Sul Vang. di Giov., 10, 3).
La domenica dedicata alla Parola possa far crescere nel popolo di Dio la religiosa e assidua familiarità con le Sacre Scritture, così come l’autore sacro insegnava già nei tempi antichi: «Questa parola è molto vicina a te, è nella tua bocca e nel tuo cuore, perché tu la metta in pratica» (Dt 30,14).
Dato a Roma, presso San Giovanni in Laterano, 30 Settembre 2019
Memoria liturgica di San Girolamo nell’inizio del 1600° anniversario della morte
FRANCESCO
_______________________
[1] Cfr AAS 102 (2010), 692-787.
[2] «La sacramentalità della Parola si lascia così comprendere in analogia alla presenza reale di Cristo sotto le specie del pane e del vino consacrati. Accostandoci all’altare e prendendo parte al banchetto eucaristico noi comunichiamo realmente al corpo e al sangue di Cristo. La proclamazione della Parola di Dio nella celebrazione comporta il riconoscere che sia Cristo stesso ad essere presente e a rivolgersi a noi per essere accolto» (Verbum Domini, 56).
[01537-IT.01] [Testo originale: Italiano]
Traduzione in lingua francese
Lettre Apostolique
en forme de Motu Proprio
du souverain pontife
François
Aperuit Illis
par laquelle est institué le
Dimanche de la Parole de Dieu
1. « Alors il ouvrit leur intelligence à la compréhension des Écritures » (Lc 24, 45). Voilà l’un des derniers gestes accomplis par le Seigneur ressuscité, avant son Ascension. Il apparaît aux disciples alors qu’ils sont rassemblés dans un même lieu, il rompt avec eux le pain et ouvre leur esprit à l’intelligence des Saintes Écritures. À ces hommes effrayés et déçus, il révèle le sens du mystère pascal : c’est-à-dire que, selon le projet éternel du Père, Jésus devait souffrir et ressusciter des morts pour offrir la conversion et le pardon des péchés (cf. Lc 24, 26.46-47) et promet l’Esprit Saint qui leur donnera la force d’être témoins de ce Mystère de salut (cf. Lc 24, 49).
La relation entre le Ressuscité, la communauté des croyants et l’Écriture Sainte est extrêmement vitale pour notre identité. Si le Seigneur ne nous y introduit pas, il est impossible de comprendre en profondeur l’Écriture Sainte. Pourtant le contraire est tout aussi vrai : sans l’Écriture Sainte, les événements de la mission de Jésus et de son Église dans le monde restent indéchiffrables. De manière juste, Saint Jérôme pouvait écrire : « Ignorer les Écritures c’est ignorer le Christ » (In Is., prologue : PL 24, 17)
2. En conclusion du Jubilé extraordinaire de la Miséricorde, j’avais demandé que l’on pense à « un dimanche entièrement consacré à la Parole de Dieu, pour comprendre l’inépuisable richesse qui provient de ce dialogue constant de Dieu avec son peuple » (Misericordia et misera, n. 7). Consacrer de façon particulière un dimanche de l’Année liturgique à la Parole de Dieu permet, par-dessus tout, de faire revivre à l’Église le geste du Ressuscité qui ouvre également pour nous le trésor de sa Parole afin que nous puissions être dans le monde des annonciateurs de cette richesse inépuisable. À cet égard, les enseignements de Saint Éphrem me viennent à l'esprit : « Qui donc est capable de comprendre toute la richesse d'une seule de tes paroles, Seigneur ? Ce que nous en comprenons est bien moindre que ce que nous en laissons, comme des gens assoiffés qui boivent à une source. Les perspectives de ta parole sont nombreuses, comme sont nombreuses les orientations de ceux qui l'étudient. Le Seigneur a coloré sa parole de multiples beautés, pour que chacun de ceux qui la scrutent puisse contempler ce qu'il aime. Et dans sa parole il a caché tous les trésors, pour que chacun de nous trouve une richesse dans ce qu'il médite » (Commentaires sur le Diatessaron, 1, 18).
Par cette Lettre, j’entends donc répondre à de nombreuses demandes qui me sont parvenues de la part du peuple de Dieu, afin que, dans toute l’Église, on puisse célébrer en unité d’intentions le Dimanche de la Parole de Dieu. Il est désormais devenu une pratique courante de vivre des moments où la communauté chrétienne se concentre sur la grande valeur qu’occupe la Parole de Dieu dans son quotidien. Dans les diverses Églises locales, de nombreuses initiatives rendent les Saintes Écritures plus accessibles aux croyants, ce qui les rend reconnaissants pour un tel don, engagés à le vivre quotidiennement et responsables de le témoigner avec cohérence.
Le Concile œcuménique Vatican II a donné une grande impulsion à la redécouverte de la Parole de Dieu par la Constitution dogmatique Dei Verbum. De ces pages, qui méritent toujours d’être méditées et vécues, émerge clairement la nature de l’Écriture Sainte, transmise de génération en génération (chap. II), son inspiration divine (chap. III) qui embrasse Ancien et Nouveau Testament (Chap. IV et V) et son importance pour la vie de l’Église (chap. VI). Pour accroître cet enseignement, Benoît XVI convoqua en 2008 une Assemblée du Synode des Évêques sur le thème « La Parole de Dieu dans la vie et la mission de l’Église », à la suite de laquelle il publia l’Exhortation Apostolique Verbum Domini, qui constitue un enseignement incontournable pour nos communautés[1]. Dans ce document, le caractère performatif de la Parole de Dieu est particulièrement approfondi surtout, lorsque dans l’action liturgique, émerge son caractère proprement sacramentel[2].
Il est donc bon que ne manque jamais dans la vie de notre peuple ce rapport décisif avec la Parole vivante que le Seigneur ne se lasse jamais d’adresser à son Épouse, afin qu’elle puisse croître dans l’amour et dans le témoignage de foi.
3. J’établis donc que le IIIe Dimanche du Temps Ordinaire soit consacré à la célébration, à la réflexion et à la proclamation de la Parole de Dieu. Ce dimanche de la Parole de Dieu viendra ainsi se situer à un moment opportun de cette période de l’année, où nous sommes invités à renforcer les liens avec la communauté juive et à prier pour l’unité des chrétiens. Il ne s’agit pas d’une simple coïncidence temporelle : célébrer le Dimanche de la Parole de Dieu exprime une valeur œcuménique, parce que l’Écriture Sainte indique à ceux qui se mettent à l’écoute le chemin à suivre pour parvenir à une unité authentique et solide.
Les communautés trouveront le moyen de vivre ce dimanche comme un jour solennel. Il sera important, en tout cas que, dans la célébration eucharistique, l’on puisse introduire le texte sacré, de manière à rendre évidente à l’assemblée la valeur normative que possède la Parole de Dieu. En ce dimanche, de façon particulière, il sera utile de souligner sa proclamation et d’adapter l’homélie pour mettre en évidence le service rendu à la Parole du Seigneur. Les Évêques pourront, en ce dimanche, célébrer le rite du lectorat ou confier un ministère similaire, pour rappeler l’importance de la proclamation de la Parole de Dieu dans la liturgie. Il est fondamental, en effet, de faire tous les efforts nécessaires pour former certains fidèles à être de véritables annonciateurs de la Parole avec une préparation adéquate, comme cela se produit de manière désormais habituelle pour les acolytes ou les ministres extraordinaires de la communion. De la même manière, les prêtres en paroisse pourront trouver la forme la plus adéquate pour la remise de la Bible, ou de l’un de ses livres, à toute l’assemblée, afin de faire ressortir l’importance d’en continuer la lecture dans sa vie quotidienne, de l’approfondir et de prier avec la Sainte Écriture, se référant de manière particulière à la Lectio Divina.
4. Le retour du peuple d’Israël dans sa patrie, après l’exil babylonien, fut marqué de façon significative par la lecture du livre de la Loi. La Bible nous offre une description émouvante de ce moment dans le livre de Néhémie. Le peuple est rassemblé à Jérusalem sur la place de la Porte des Eaux à l’écoute de la Loi. Dispersé par la déportation, il se retrouve maintenant rassemblé autour de l’Écriture Sainte comme s’il était « un seul homme » (Ne 8, 1). À la lecture du livre sacré, le peuple « écoutait » (Ne 8, 3), sachant qu’il retrouvait dans cette parole le sens des événements vécus. La réaction à la proclamation de ces paroles fut l’émotion et les pleurs : « Esdras lisait un passage dans le livre de la loi de Dieu, puis les lévites traduisaient, donnaient le sens, et l’on pouvait comprendre. Néhémie le gouverneur, Esdras qui était prêtre et scribe, et les lévites qui donnaient les explications, dirent à tout le peuple : « Ce jour est consacré au Seigneur votre Dieu ! Ne prenez pas le deuil, ne pleurez pas ! » Car ils pleuraient tous en entendant les paroles de la Loi. […] Ne vous affligez pas : la joie du Seigneur est votre rempart ! » (Ne 8, 8-10).
Ces mots contiennent un grand enseignement. La Bible ne peut pas être seulement le patrimoine de quelques-uns et encore moins une collection de livres pour quelques privilégiés. Elle appartient, avant tout, au peuple convoqué pour l’écouter et se reconnaître dans cette Parole. Souvent, il y a des tendances qui tentent de monopoliser le texte sacré en le reléguant à certains cercles ou groupes choisis. Il ne peut en être ainsi. La Bible est le livre du peuple du Seigneur qui, dans son écoute, passe de la dispersion et de la division à l’unité. La Parole de Dieu unit les croyants et les rend un seul peuple.
5. Dans cette unité générée par l’écoute, les pasteurs ont en premier lieu la grande responsabilité d’expliquer et de permettre à tous de comprendre l’Écriture Sainte. Puisqu’elle est le livre du peuple, ceux qui ont la vocation d’être ministres de la Parole doivent ressentir avec force l’exigence de la rendre accessible à leur communauté.
L’homélie, en particulier, revêt une fonction tout à fait particulière, car elle possède « un caractère presque sacramentel » (Evangelii Gaudium, n. 142). Faire entrer en profondeur dans la Parole de Dieu, dans un langage simple et adapté celui qui écoute, permet au prêtre de faire découvrir également la « beauté des images que le Seigneur utilisait pour stimuler la pratique du bien » (Ibid.). C’est une opportunité pastorale à ne pas manquer !
Pour beaucoup de nos fidèles, en effet, c’est l’unique occasion qu’ils possèdent pour saisir la beauté de la Parole de Dieu et de la voir se référer à leur vie quotidienne. Il faut donc consacrer le temps nécessaire à la préparation de l’homélie. On ne peut improviser le commentaire aux lectures sacrées. Pour nous, comme prédicateurs, il est plutôt demandé de ne pas s’étendre au-delà de la mesure avec des homélies ou des arguments étrangers. Quand on s’arrête pour méditer et prier sur le texte sacré, on est capable de parler avec son cœur pour atteindre le cœur des personnes qui écoutent, pour exprimer l’essentiel qui est reçu et qui produit du fruit. Ne nous lassons jamais de consacrer du temps et de prier avec l’Écriture Sainte, pour qu’elle soit accueillie « pour ce qu’elle est réellement, non pas une parole d’hommes, mais la parole de Dieu » (1Th 2, 13).
Il est également souhaitable que les catéchistes, par le ministère dont ils sont revêtus, aident à faire grandir dans la foi, ressentant l’urgence de se renouveler à travers la familiarité et l’étude des Saintes Écritures, leur permettant de favoriser un vrai dialogue entre ceux qui les écoutent et la Parole de Dieu.
6. Avant de se manifester aux disciples enfermés au cénacle et de les ouvrir à l’intelligence de l’Écriture (cf. Lc 24, 44-45), le Ressuscité apparaît à deux d’entre eux sur le chemin qui mène de Jérusalem à Emmaüs (cf. 24, 13-35). Le récit de l’évangéliste Luc note que c’est le jour de la Résurrection, c’est-à-dire le dimanche. Ces deux disciples discutent sur les derniers événements de la passion et de la mort de Jésus. Leur chemin est marqué par la tristesse et la désillusion de la fin tragique de Jésus. Ils avaient espéré en Lui le voyant comme le Messie libérateur, mais ils se trouvent devant le scandale du Crucifié. Discrètement, le Ressuscité s’approche et marche avec les disciples, mais ceux-ci ne le reconnaissent pas (cf. v. 16). Au long du chemin, le Seigneur les interroge, se rendant compte qu’ils n’ont pas compris le sens de sa passion et de sa mort ; il les appelle « esprits sans intelligence et lents à croire » (v. 25) « et, partant de Moïse et de tous les Prophètes, il leur interpréta, dans toute l’Écriture, ce qui le concernait » (v. 27) Le Christ est le premier exégète ! Non seulement les Écritures anciennes ont anticipé ce qu’Il aurait réalisé, mais Lui-même a voulu être fidèle à cette Parole pour rendre évidente l’unique histoire du salut qui trouve dans le Christ son accomplissement.
7. La Bible, par conséquent, en tant qu’Écriture Sainte, parle du Christ et l’annonce comme celui qui doit traverser les souffrances pour entrer dans la gloire (cf. v. 26). Ce n’est pas une seule partie, mais toutes les Écritures qui parlent de Lui. Sa mort et sa résurrection sont indéchiffrables sans elles. C’est pourquoi l’une des confessions de foi les plus anciennes souligne que « le Christ est mort pour nos péchés conformément aux Écritures, et il fut mis au tombeau ; il est ressuscité le troisième jour conformément aux Écritures, il est apparu à Pierre » (1Co 15, 3-5). Puisque les Écritures parlent du Christ, elles permettent de croire que sa mort et sa résurrection n’appartiennent pas à la mythologie, mais à l’histoire et se trouvent au centre de la foi de ses disciples.
Le lien entre l’Écriture Sainte et la foi des croyants est profond. Puisque la foi provient de l’écoute et que l’écoute est centrée sur la parole du Christ (cf. Rm 10, 17), l’invitation qui en découle est l’urgence et l’importance que les croyants doivent réserver à l’écoute de la Parole du Seigneur, tant dans l’action liturgique que dans la prière et la réflexion personnelle.
8. Le « voyage » du Ressuscité avec les disciples d’Emmaüs se termine par le repas. Le mystérieux Voyageur accepte l’insistante demande que lui adressent les deux compagnons : « Reste avec nous, car le soir approche et déjà le jour baisse » (Lc 24, 29). S’assoyant à table avec eux, Jésus prend le pain, récite la bénédiction, le rompt et le leur donne. Alors, leurs yeux s’ouvrirent et ils le reconnurent. (cf. v. 31)
Nous comprenons de cette scène, combien est inséparable le rapport entre l’Écriture Sainte et l’Eucharistie. Le Concile Vatican II enseigne : « L’Église a toujours vénéré les divines Écritures comme elle le fait aussi pour le Corps même du Seigneur, elle qui ne cesse pas, surtout dans la sainte liturgie, de prendre le pain de vie de la table de la Parole de Dieu et de celle du Corps du Christ, pour l’offrir aux fidèles » (Dei Verbum, n. 21).
La fréquentation constante de l’Écriture Sainte et la célébration de l’Eucharistie rendent possible la reconnaissance entre personnes qui s’appartiennent. En tant que chrétiens, nous sommes un seul peuple qui marche dans l’histoire, fort de la présence du Seigneur parmi nous qui nous parle et nous nourrit. Ce jour consacré à la Bible veut être non pas « une seule fois par an », mais un événement pour toute l’année, parce que nous avons un besoin urgent de devenir familiers et intimes de l’Écriture Sainte et du Ressuscité, qui ne cesse de rompre la Parole et le Pain dans la communauté des croyants. C’est pourquoi nous avons besoin d’entrer constamment en confiance avec l’Écriture Sainte, sinon le cœur restera froid et les yeux resteront fermés, frappés comme par d’innombrables formes de cécité.
Écriture et Sacrements sont donc inséparables. Lorsque les sacrements sont introduits et illuminés par la Parole, ils se manifestent plus clairement comme le but d’un chemin où le Christ lui-même ouvre l’esprit et le cœur pour reconnaître son action salvifique. Il est nécessaire, dans ce contexte, de ne pas oublier l’enseignement qui vient du livre de l’Apocalypse. Il est dit ici que le Seigneur est à la porte et qu’Il frappe. Si quelqu’un entend sa voix et lui ouvre, Il entre pour dîner avec lui (cf. 3, 20). Le Christ Jésus, à travers l’Écriture Sainte, frappe à notre porte; si nous écoutons et ouvrons la porte de notre esprit et celle de notre cœur, alors Il entrera dans notre vie et demeurera avec nous.
9. Dans la deuxième lettre à Timothée, qui constitue en quelque sorte son testament spirituel, saint Paul recommande à son fidèle collaborateur de fréquenter constamment l’Écriture Sainte. L’Apôtre est convaincu que « toute l’Écriture est inspirée par Dieu ; elle est utile pour enseigner, dénoncer le mal, redresser, éduquer dans la justice » (cf. 3, 16). Cette recommandation de Paul à Timothée constitue une base sur laquelle la Constitution conciliaire Dei Verbum aborde le grand thème de l’inspiration de l’Écriture Sainte, une base dont émergent en particulier la finalité salvifique, la dimension spirituelle et le principe de l’incarnation pour l’Écriture Sainte.
Rappelant tout d’abord la recommandation de Paul à Timothée, Dei Verbum souligne que « les livres de l’Écriture enseignent fermement, fidèlement et sans erreur la vérité que Dieu a voulu voir consigner dans les Lettres sacrées pour notre salut » (n. 11). Puisque celles-ci enseignent en vue du salut pour la foi dans le Christ (2 Tm 3, 15), les vérités qu’elles contiennent servent à notre salut. La Bible n’est pas une collection de livres d’histoires ni de chroniques, mais elle est entièrement tournée vers le salut intégral de la personne. L’indéniable enracinement historique des livres contenus dans le texte sacré ne doit pas faire oublier cette finalité primordiale : notre salut. Tout est orienté vers cette finalité inscrite dans la nature même de la Bible, qui est composée comme histoire du salut dans laquelle Dieu parle et agit pour aller à la rencontre de tous les hommes, pour les sauver du mal et de la mort.
Pour atteindre ce but salvifique, l’Écriture Sainte, sous l’action de l’Esprit Saint, transforme en Parole de Dieu la parole des hommes écrite de manière humaine (cf. Dei Verbum, n. 12). Le rôle de l’Esprit Saint dans la Sainte Écriture est fondamental. Sans son action, le risque d'être enfermé dans le texte serait toujours un danger, rendant facile l’interprétation fondamentaliste, d'où nous devons rester à l'écart afin de ne pas trahir le caractère inspiré, dynamique et spirituel que possède le texte sacré. Comme le rappelle l’Apôtre, « la lettre tue, mais l’Esprit donne la vie » (2 Co 3, 6). Le Saint-Esprit transforme donc la Sainte Écriture en une Parole vivante de Dieu, vécue et transmise dans la foi de son peuple saint.
10. L’action de l’Esprit Saint ne concerne pas seulement la formation de l’Écriture Sainte, mais agit aussi chez ceux qui se mettent à l’écoute de la Parole de Dieu. Elle est importante l’affirmation des Pères conciliaires selon laquelle l’Écriture Sainte doit être « lue et interprétée à la lumière du même Esprit par lequel elle a été écrite » (Dei Verbum, n. 12). Avec Jésus Christ, la révélation de Dieu atteint son accomplissement et sa plénitude ; pourtant, l’Esprit Saint continue son action. En effet, il serait réducteur de limiter l’action de l’Esprit Saint uniquement à la nature divinement inspirée de l’Écriture Sainte et à ses différents auteurs. Il est donc nécessaire d’avoir confiance en l’action de l’Esprit Saint qui continue à réaliser sa forme particulière d’inspiration lorsque l’Église enseigne l’Écriture Sainte, lorsque le Magistère l’interprète authentiquement (cf. ibid., 10) et quand chaque croyant en fait sa norme spirituelle. Dans ce sens, nous pouvons comprendre les paroles de Jésus quand, aux disciples qui lui confirment avoir saisi le sens de ses paraboles, Il dit : « C’est pourquoi tout scribe devenu disciple du royaume des Cieux est comparable à un maître de maison qui tire de son trésor du neuf et de l’ancien » (Mt 13, 52).
11. Dei Verbum précise enfin que « les paroles de Dieu, passant par les langues humaines, sont devenues semblables au langage des hommes, de même que jadis le Verbe du Père éternel, ayant assumé l’infirmité de notre chair, est devenu semblable aux hommes » (n. 13). C’est comme dire que l’Incarnation du Verbe de Dieu donne forme et sens à la relation entre la Parole de Dieu et le langage humain, avec ses conditions historiques et culturelles. C’est dans cet événement que prend forme la Tradition, qui elle aussi est Parole de Dieu (cf. Ibid., n. 9). On court souvent le risque de séparer entre elles l’Écriture Sainte et la Tradition, sans comprendre qu’ensemble elles sont l’unique source de la Révélation. Le caractère écrit de la première ne diminue en rien le fait qu’elle soit pleinement parole vivante ; de même que la Tradition vivante de l’Église, qui la transmet sans cesse au cours des siècles de génération en génération, possède ce livre sacré comme la « règle suprême de la foi » (Ibid., n. 21). D’ailleurs, avant de devenir un texte écrit, l’Écriture Sainte a été transmise oralement et maintenue vivante par la foi d’un peuple qui la reconnaissait comme son histoire et son principe d’identité parmi tant d’autres peuples. La foi biblique se fonde donc sur la Parole vivante et non pas sur un livre.
12. Lorsque l’Écriture Sainte est lue dans le même esprit que celui avec lequel elle a été écrite, elle demeure toujours nouvelle. L’Ancien Testament n’est jamais vieux une fois qu’on le fait entrer dans le Nouveau, car tout est transformé par l’unique Esprit qui l’inspire. Tout le texte sacré possède une fonction prophétique : il ne concerne pas l’avenir, mais l’aujourd’hui de celui qui se nourrit de cette Parole. Jésus lui-même l’affirme clairement au début de son ministère : « Aujourd’hui s’accomplit ce passage de l’Écriture que vous venez d’entendre » (Lc 4, 21). Celui qui se nourrit chaque jour de la Parole de Dieu se fait, comme Jésus, contemporain des personnes qu’il rencontre ; il n’est pas tenté de tomber dans des nostalgies stériles du passé ni dans des utopies désincarnées vers l’avenir.
L’Écriture Sainte accomplit son action prophétique avant tout à l’égard de celui qui l’écoute. Elle provoque douceur et amertume. Rappelons-nous les paroles du prophète Ézéchiel lorsque le Seigneur l’invite à manger le rouleau du livre, il confie : « dans ma bouche il fut doux comme du miel » (cf. 3, 3). Même l’évangéliste Jean sur l’île de Patmos revit la même expérience qu’Ézéchiel de manger le livre, mais il ajoute quelque chose de plus spécifique : « Dans ma bouche il était doux comme le miel, mais, quand je l’eus mangé, il remplit mes entrailles d’amertume » (Ap 10, 10).
L’effet de douceur de la Parole de Dieu nous pousse à la partager avec ceux que nous rencontrons au quotidien pour leur exprimer la certitude de l’espérance qu’elle contient (cf. 1 P 3, 15-16). L’amertume, à son contraire, est souvent offerte lorsqu’on saisit à quel point il nous est difficile de vivre la parole de manière cohérente, ou se voit même refusée d’être touchée du doigt parce qu’elle n’est pas retenue valable pour donner un sens à la vie. Il est donc nécessaire de ne jamais s’accoutumer à la Parole de Dieu, mais de se nourrir de celle-ci pour découvrir et vivre en profondeur notre relation avec Dieu et avec nos frères.
13. Une autre provocation qui provient de l’Écriture Sainte est celle qui concerne la charité. Constamment la Parole de Dieu rappelle l’amour miséricordieux du Père qui demande à ses enfants de vivre dans la charité. La vie de Jésus est l’expression pleine et parfaite de cet amour divin qui ne retient rien pour lui-même, mais qui s’offre à tous sans réserve. Dans la parabole du pauvre Lazare, nous trouvons une indication précieuse. Lorsque Lazare et le riche meurent, celui-ci, voyant le pauvre dans le sein d’Abraham, demande qu’il soit envoyé à ses frères pour les avertir de vivre l’amour du prochain, pour éviter qu’eux aussi subissent ses propres tourments. La réponse d’Abraham est cinglante : « Ils ont Moïse et les prophètes, qu’ils les écoutent » (Lc 16, 29). Écouter les Saintes Écritures pour pratiquer la miséricorde : c’est un grand défi pour notre vie. La Parole de Dieu est en mesure d’ouvrir nos yeux pour nous permettre de sortir de l’individualisme qui conduit à l’asphyxie et à la stérilité tout en ouvrant grand la voie du partage et de la solidarité.
14. L’un des épisodes les plus significatifs du rapport entre Jésus et les disciples est le récit de la Transfiguration. Jésus monte sur la montagne pour prier avec Pierre, Jacques et Jean. Les évangélistes se rappellent que, tandis que le visage et les vêtements de Jésus resplendissaient, deux hommes conversaient avec Lui : Moïse et Élie, qui incarnent respectivement la Loi et les Prophètes, c’est-à-dire les Saintes Écritures. La réaction de Pierre, à cette vue, est remplie d’un joyeux émerveillement : « Maître, il est bon que nous soyons ici ! Faisons trois tentes : une pour toi, une pour Moïse, et une pour Élie » (Lc 9, 33). A ce moment-là, une nuée les couvrit de son ombre et les disciples furent saisis de peur.
La Transfiguration rappelle la fête des tentes, quand Esdras et Néhémie lisaient le texte sacré au peuple, après le retour de l’exil. Dans un même temps, elle anticipe la gloire de Jésus en préparation au scandale de la passion, gloire divine qui est également évoquée par la nuée qui enveloppe les disciples, symbole de la présence du Seigneur. Cette Transfiguration est semblable à celle de l’Écriture Sainte qui se transcende lorsqu’elle nourrit la vie des croyants. Comme le rappelle Verbum Domini : « Dans la saisie de l’articulation entre les différents sens de l’Écriture, il devient alors décisif de comprendre le passage de la lettre à l’esprit. Il ne s’agit pas d’un passage automatique et spontané; il faut plutôt un dépassement de la lettre » (n. 38).
15. Sur le chemin d’accueil de la Parole de Dieu nous accompagne la Mère du Seigneur, reconnue comme bienheureuse parce qu’elle a cru en l’accomplissement de ce que le Seigneur lui avait dit (cf. Lc 1, 45). La béatitude de Marie précède toutes les béatitudes prononcées par Jésus pour les pauvres, les affligés, les humbles, les pacificateurs et ceux qui sont persécutés, car c’est la condition nécessaire pour toute autre béatitude. Aucun pauvre n’est bienheureux parce qu’il est pauvre ; il le devient, comme Marie, s’il croit en l’accomplissement de la Parole de Dieu. C’est ce que rappelle un grand disciple et maître des Saintes Écritures, saint Augustin : « Quelqu’un au milieu de la foule, particulièrement pris par l’enthousiasme, s’écria : Bienheureux le sein qui t’a porté. Et lui de répondre : Bienheureux plutôt ceux qui écoutent la parole de Dieu et qui la gardent. C’est comme dire : ma mère, que tu appelles bienheureuse, est bienheureuse précisément parce qu’elle garde la Parole de Dieu, non pas parce que le Verbe est devenu chair en elle et a vécu parmi nous, mais parce qu'elle garde la parole même de Dieu par qui elle a été créée, et qu’en elle Il s’est fait chair » (Comm. l’év. de Jn., 10, 3).
Que le Dimanche de la Parole de Dieu puisse faire grandir dans le peuple de Seigneur la religiosité et l’assiduité familière avec les Saintes Écritures, comme l’auteur sacré enseignait déjà dans les temps anciens « Elle est tout près de toi, cette Parole, elle est dans ta bouche et dans ton cœur, afin que tu la mettes en pratique » (Dt 30, 14).
Donné à Rome, près de saint Jean du Latran, le 30 septembre 2019
En la mémoire liturgique de saint Jérôme, en ce début du 1600e anniversaire de sa mort.
FRANÇOIS
__________________________
[1] Cf. AAS 102 (2010), 692-787.
[2] « La sacramentalité de la Parole se comprend alors par analogie à la présence réelle du Christ sous les espèces du pain et du vin consacrés. En nous approchant de l’autel et en prenant part au banquet eucharistique, nous communions réellement au corps et au sang du Christ. La proclamation de la Parole de Dieu dans la célébration implique la reconnaissance que le Christ lui-même est présent et s’adresse à nous pour être écouté », Verbum Domini, 56.
[01537-FR.01] [Texte original: Italien]
Traduzione in lingua inglese
APOSTOLIC LETTER
ISSUED “MOTU PROPRIO”
BY THE SUPREME PONTIFF
FRANCIS
APERUIT ILLIS
INSTITUTING THE
SUNDAY OF THE WORD OF GOD
1. “He opened their minds to understand the Scriptures” (Lk 24:45). This was one of the final acts of the risen Lord before his Ascension. Jesus appeared to the assembled disciples, broke bread with them and opened their minds to the understanding of the sacred Scriptures. To them, amid their fear and bewilderment, he unveiled the meaning of the paschal mystery: that in accordance with the Father’s eternal plan he had to suffer and rise from the dead, in order to bring repentance and the forgiveness of sins (cf. Lk 24:26.46-47). He then promised to send the Holy Spirit, who would give them strength to be witnesses of this saving mystery (cf. Lk 24:49).
The relationship between the Risen Lord, the community of believers and sacred Scripture is essential to our identity as Christians. Without the Lord who opens our minds to them, it is impossible to understand the Scriptures in depth. Yet the contrary is equally true: without the Scriptures, the events of the mission of Jesus and of his Church in this world would remain incomprehensible. Hence, Saint Jerome could rightly claim: “Ignorance of the Scriptures is ignorance of Christ” (Commentary on the Book of Isaiah, Prologue: PL 24,17B).
2. At the conclusion of the Extraordinary Jubilee of Mercy, I proposed setting aside “a Sunday given over entirely to the word of God, so as to appreciate the inexhaustible riches contained in that constant dialogue between the Lord and his people” (Misericordia et Misera, 7). Devoting a specific Sunday of the liturgical year to the word of God can enable the Church to experience anew how the risen Lord opens up for us the treasury of his word and enables us to proclaim its unfathomable riches before the world. Here, we are reminded of the teaching of Saint Ephrem: “Who is able to understand, Lord, all the richness of even one of your words? There is more that eludes us than what we can understand. We are like the thirsty drinking from a fountain. Your word has as many aspects as the perspectives of those who study it. The Lord has coloured his word with diverse beauties, so that those who study it can contemplate what stirs them. He has hidden in his word all treasures, so that each of us may find a richness in what he or she contemplates” (Commentary on the Diatessaron, 1, 18).
With this Letter, I wish to respond to the many requests I have received from the people of God that the entire Church celebrate, in unity of purpose, a Sunday of the Word of God. It is now common for the Christian community to set aside moments to reflect on the great importance of the word of God for everyday living. The various local Churches have undertaken a wealth of initiatives to make the sacred Scripture more accessible to believers, to increase their gratitude for so great a gift, and to help them to strive daily to embody and bear witness to its teachings.
The Second Vatican Council gave great impulse to the rediscovery of the word of God, thanks to its Dogmatic Constitution Dei Verbum, a document that deserves to be read and appropriated ever anew. The Constitution clearly expounds the nature of sacred Scripture, its transmission from generation to generation (Chapter II), its divine inspiration (Chapter III) embracing the Old and New Testaments (Chapters IV and V), and the importance of Scripture for the life of the Church (Chapter VI). To advance this teaching, Pope Benedict XVI convoked an Assembly of the Synod of Bishops in 2008 on “The Word of God in the Life and Mission of the Church”, and then issued the Apostolic Exhortation Verbum Domini, whose teaching remains fundamental for our communities.1 That document emphasizes in particular the performative character of the Word of God, especially in the context of the liturgy, in which its distinctively sacramental character comes to the fore.2
It is fitting, then that the life of our people be constantly marked by this decisive relationship with the living word that the Lord never tires of speaking to his Bride, that she may grow in love and faithful witness.
3. Consequently, I hereby declare that the Third Sunday in Ordinary Time is to be devoted to the celebration, study and dissemination of the word of God. This Sunday of the Word of God will thus be a fitting part of that time of the year when we are encouraged to strengthen our bonds with the Jewish people and to pray for Christian unity. This is more than a temporal coincidence: the celebration of the Sunday of the Word of God has ecumenical value, since the Scriptures point out, for those who listen, the path to authentic and firm unity.
The various communities will find their own ways to mark this Sunday with a certain solemnity. It is important, however, that in the Eucharistic celebration the sacred text be enthroned, in order to focus the attention of the assembly on the normative value of God’s word. On this Sunday, it would be particularly appropriate to highlight the proclamation of the word of the Lord and to emphasize in the homily the honour that it is due. Bishops could celebrate the Rite of Installation of Lectors or a similar commissioning of readers, in order to bring out the importance of the proclamation of God’s word in the liturgy. In this regard, renewed efforts should be made to provide members of the faithful with the training needed to be genuine proclaimers of the word, as is already the practice in the case of acolytes or extraordinary ministers of Holy Communion. Pastors can also find ways of giving a Bible, or one of its books, to the entire assembly as a way of showing the importance of learning how to read, appreciate and pray daily with sacred Scripture, especially through the practice of lectio divina.
4. The return of the people of Israel to their homeland after the Babylonian exile was marked by the public reading of the book of the Law. In the book of Nehemiah, the Bible gives us a moving description of that moment. The people assembled in Jerusalem, in the square before the Water Gate, to listen to the Law. They had been scattered in exile, but now they found themselves gathered “as one” around the sacred Scripture (Neh 8:1). The people lent “attentive ears” (Neh 8:3) to the reading of the sacred book, realizing that in its words they would discover the meaning of their lived experience. The reaction to the proclamation of was one of great emotion and tears: “[The Levites] read from the book, from the law of God, clearly; and they gave the sense, so that the people understood the reading. And Nehemiah, who was the governor, and Ezra the priest and scribe, and the Levites who taught the people said to all the people, ‘This day is holy to the Lord your God; do not mourn or weep’. For all the people wept when they heard the words of the law. Then he said to them, ‘Go your way, eat the fat and drink sweet wine and send portions to him for whom nothing is prepared; for this day is holy to our Lord; and do not be grieved, for the joy of the Lord is your strength’” (Neh 8:8-10).
These words contain a great teaching. The Bible cannot be just the heritage of some, much less a collection of books for the benefit of a privileged few. It belongs above all to those called to hear its message and to recognize themselves in its words. At times, there can be a tendency to monopolize the sacred text by restricting it to certain circles or to select groups. It cannot be that way. The Bible is the book of the Lord’s people, who, in listening to it, move from dispersion and division towards unity. The word of God unites believers and makes them one people.
5. In this unity born of listening, pastors are primarily responsible for explaining sacred Scripture and helping everyone to understand it. Since it is the people’s book, those called to be ministers of the word must feel an urgent need to make it accessible to their community.
The homily, in particular, has a distinctive function, for it possesses “a quasi-sacramental character” (Evangelii Gaudium, 142). Helping people to enter more deeply into the word of God through simple and suitable language will allow priests themselves to discover the “beauty of the images used by the Lord to encourage the practice of the good” (ibid.). This is a pastoral opportunity that should not be wasted!
For many of our faithful, in fact, this is the only opportunity they have to grasp the beauty of God’s word and to see it applied to their daily lives. Consequently, sufficient time must be devoted to the preparation of the homily. A commentary on the sacred readings cannot be improvised. Those of us who are preachers should not give long, pedantic homilies or wander off into unrelated topics. When we take time to pray and meditate on the sacred text, we can speak from the heart and thus reach the hearts of those who hear us, conveying what is essential and capable of bearing fruit. May we never tire of devoting time and prayer to Scripture, so that it may be received “not as a human word but as what it really is, the word of God” (1 Thess 2:13).
Catechists, too, in their ministry of helping people to grow in their faith, ought to feel an urgent need for personal renewal through familiarity with, and study of, the sacred Scriptures. This will help them foster in their hearers a true dialogue with the word of God.
6. Before encountering his disciples, gathered behind closed doors, and opening their minds to the understanding of the Scriptures (cf. Lk 24:44-45), the risen Lord appeared to two of them on the road to Emmaus from Jerusalem (cf. Lk 24:13-35). Saint Luke’s account notes that this happened on the very day of his resurrection, a Sunday. The two disciples were discussing the recent events concerning Jesus’ passion and death. Their journey was marked by sorrow and disappointment at his tragic death. They had hoped that he would be the Messiah who would set them free, but they found themselves instead confronted with the scandal of the cross. The risen Lord himself gently draws near and walks with them, yet they do not recognize him (cf. v. 16). Along the way, he questions them, and, seeing that they have not grasped the meaning of his passion and death, he exclaims: “O foolish men, and slow of heart” (v. 25). Then, “beginning with Moses and all the prophets, he interpreted to them the things about himself in all the Scriptures” (v.27). Christ is the first exegete! Not only did the Old Testament foretell what he would accomplish, but he himself wished to be faithful to its words, in order to make manifest the one history of salvation whose fulfilment is found in Christ.
7. The Bible, as sacred Scripture, thus speaks of Christ and proclaims him as the one who had to endure suffering and then enter into his glory (cf. v. 26). Not simply a part, but the whole of Scripture speaks of Christ. Apart from the Scriptures, his death and resurrection cannot be rightly understood. That is why one of the most ancient confessions of faith stressed that “Christ died for our sins in accordance with the Scriptures, that he was buried, that he was raised on the third day in accordance with the Scriptures, and that he appeared to Cephas” (1Cor15:3-5). Since the Scriptures everywhere speak of Christ, they enable us to believe that his death and resurrection are not myth but history, and are central to the faith of his disciples.
A profound bond links sacred Scripture and the faith of believers. Since faith comes from hearing, and what is heard is based on the word of Christ (cf. Rom 10:17), believers are bound to listen attentively to the word of the Lord, both in the celebration of the liturgy and in their personal prayer and reflection.
8. The journey that the Risen Lord makes with the disciples of Emmaus ended with a meal. The mysterious wayfarer accepts their insistent request: “Stay with us, for it is almost evening and the day is now far spent” (Lk 24:29). They sit down at table, and Jesus takes the bread, blesses it, breaks it and offers it to them. At that moment, their eyes are opened, and they recognize him (cf. v. 31).
This scene clearly demonstrates the unbreakable bond between sacred Scripture and the Eucharist. As the Second Vatican Council teaches, “the Church has always venerated the divine Scriptures as she has venerated the Lord’s body, in that she never ceases, above all in the sacred liturgy, to partake of the bread of life and to offer it to the faithful from the one table of the word of God and the body of Christ” (Dei Verbum, 21).
Regular reading of sacred Scripture and the celebration of the Eucharist make it possible for us to see ourselves as part of one another. As Christians, we are a single people, making our pilgrim way through history, sustained by the Lord, present in our midst, who speaks to us and nourishes us. A day devoted to the Bible should not be seen as a yearly event but rather a year-long event, for we urgently need to grow in our knowledge and love of the Scriptures and of the risen Lord, who continues to speak his word and to break bread in the community of believers. For this reason, we need to develop a closer relationship with sacred Scripture; otherwise, our hearts will remain cold and our eyes shut, struck as we are by so many forms of blindness.
Sacred Scripture and the sacraments are thus inseparable. When the sacraments are introduced and illumined by God’s word, they become ever more clearly the goal of a process whereby Christ opens our minds and hearts to acknowledge his saving work. We should always keep in mind the teaching found in the Book of Revelation: the Lord is standing at the door and knocking. If anyone should hear his voice and open for him, he will come in and eat with them (cf. 3:20). Christ Jesus is knocking at our door in the words of sacred Scripture. If we hear his voice and open the doors of our minds and hearts, then he will enter our lives and remain ever with us.
9. In the Second Letter to Timothy, which is in some ways his spiritual testament, Saint Paul urges his faithful co-worker to have constant recourse to sacred Scripture. The Apostle is convinced that “all Scripture is inspired by God and profitable for teaching, for reproof, for correction, and for training in righteousness” (3:16). Paul’s exhortation to Timothy is fundamental to the teaching of the conciliar Constitution Dei Verbum on the great theme of biblical inspiration, which emphasizes the Scriptures’ saving purpose, spiritual dimension and inherent incarnational principle.
First, recalling Paul’s encouragement to Timothy, Dei Verbum stresses that “we must acknowledge that the books of Scripture firmly, faithfully and without error, teach that truth which God, for the sake of our salvation, wished to see confided to the sacred Scriptures” (No. 11). Since the Scriptures teach with a view to salvation through faith in Christ (cf. 2 Tim 3:15), the truths contained therein are profitable for our salvation. The Bible is not a collection of history books or a chronicle, but is aimed entirely at the integral salvation of the person. The evident historical setting of the books of the Bible should not make us overlook their primary goal, which is our salvation. Everything is directed to this purpose and essential to the very nature of the Bible, which takes shape as a history of salvation in which God speaks and acts in order to encounter all men and women and to save them from evil and death.
To achieve this saving purpose, sacred Scripture, by the working of the Holy Spirit, makes human words written in human fashion become the word of God (cf. Dei Verbum, 12). The role of the Holy Spirit in the Scriptures is primordial. Without the work of the Spirit, there would always be a risk of remaining limited to the written text alone. This would open the way to a fundamentalist reading, which needs to be avoided, lest we betray the inspired, dynamic and spiritual character of the sacred text. As the Apostle reminds us: “The letter kills, but the Spirit gives life” (2 Cor 3:6). The Holy Spirit, then, makes sacred Scripture the living word of God, experienced and handed down in the faith of his holy people.
10. The work of the Holy Spirit has to do not only with the formation of sacred Scripture; it is also operative in those who hear the word of God. The words of the Council Fathers are instructive: sacred Scripture is to be “read and interpreted in the light of the same Spirit through whom it was written” (Dei Verbum, 12). God’s revelation attains its completion and fullness in Jesus Christ; nonetheless, the Holy Spirit does not cease to act. It would be reductive indeed to restrict the working of the Spirit to the divine inspiration of sacred Scripture and its various human authors. We need to have confidence in the working of the Holy Spirit as he continues in his own way to provide “inspiration” whenever the Church teaches the sacred Scriptures, whenever the Magisterium authentically interprets them (cf. ibid., 10), and whenever each believer makes them the norm of his or her spiritual life. In this sense, we can understand the words spoken by Jesus to his disciples when they told him that they now understood the meaning of his parables: “Every scribe who has been trained for the kingdom of heaven is like a householder who brings out of his treasure what is new and what is old” (Mt 13:52).
11. Finally, Dei Verbum makes clear that “the words of God, expressed in human language, are in every way like human speech, just as the Word of the eternal Father, in taking upon himself the weak flesh of human beings, also took on their likeness” (No. 13). We can say that the incarnation of the eternal Word gives shape and meaning to the relationship between God’s word and our human language, in all its historical and cultural contingency. This event gives rise to Tradition, which is also God’s word (cf. ibid., 9). We frequently risk separating sacred Scripture and sacred Tradition, without understanding that together they are the one source of Revelation. The written character of the former takes nothing away from its being fully a living word; in the same way, the Church’s living Tradition, which continually hands that word down over the centuries from one generation to the next, possesses that sacred book as the “supreme rule of her faith” (ibid., 21). Moreover, before becoming a written text, sacred Scripture was handed down orally and kept alive by the faith of a people who, in the midst of many others, acknowledged it as their own history and the source of their identity. Biblical faith, then, is based on the living word, not on a book.
12. When sacred Scripture is read in the light of the same Spirit by whom it was written, it remains ever new. The Old Testament is never old once it is part of the New, since all has been transformed thanks to the one Spirit who inspired it. The sacred text as a whole serves a prophetic function regarding not the future but the present of whoever is nourished by this word. Jesus himself clearly stated this at the beginning of his ministry: “Today this Scripture has been fulfilled in your hearing” (Lk 4:21). Those who draw daily nourishment from God’s word become, like Jesus, a contemporary of all those whom they encounter: they are not tempted to fall into sterile nostalgia for the past, or to dream of ethereal utopias yet to come.
Sacred Scripture accomplishes its prophetic work above all in those who listen to it. It proves both sweet and bitter. We are reminded of the words of the prophet Ezekiel when, commanded by the Lord to eat the scroll of the book, he tells us: “It was in my mouth as sweet as honey” (3:3). John the Evangelist too, on the island of Patmos, echoes Ezekiel’s experience of eating the scroll, but goes on to add: “It was sweet as honey in my mouth, but when I had eaten it my stomach was made bitter” (Rev 10:10).
The sweetness of God’s word leads us to share it with all those whom we encounter in this life and to proclaim the sure hope that it contains (cf. 1 Pet 3:15-16). Its bitterness, in turn, often comes from our realization of how difficult it is to live that word consistently, or our personal experience of seeing it rejected as meaningless for life. We should never take God’s word for granted, but instead let ourselves be nourished by it, in order to acknowledge and live fully our relationship with him and with our brothers and sisters.
13. Yet another challenge raised by sacred Scripture has to do with love. God’s word constantly reminds us of the merciful love of the Father who calls his children to live in love. The life of Jesus is the full and perfect expression of this divine love, which holds nothing back but offers itself to all without reserve. In the parable of Lazarus, we find a valuable teaching. When both Lazarus and the rich man die, the latter, seeing the poor man Lazarus in Abraham’s bosom, asks that Lazarus be sent to his brothers to warn them to love their neighbour, lest they also experience his torment. Abraham’s answer is biting: “They have Moses and the prophets; let them hear them” (Lk 16:29). To listen to sacred Scripture and then to practise mercy: this is the great challenge before us in life. God’s word has the power to open our eyes and to enable us to renounce a stifling and barren individualism and instead to embark on a new path of sharing and solidarity.
14. One of the most significant moments in Jesus’ relationship with his disciples is found in the account of the Transfiguration. He goes up the mountain with Peter, James and John to pray. The evangelists tell us that as Jesus’ face and clothing became dazzlingly white, two men conversed with him: Moses and Elijah, representing respectively the Law and the Prophets; in other words, sacred Scripture. Peter’s reaction to this sight is one of amazement and joy: “Master, it is well that we are here; let us make three tents, one for you and one for Moses and one for Elijah” (Lk 9:33). At that moment a cloud overshadows them, and the disciples are struck with fear.
The Transfiguration reminds us of the Feast of Tabernacles, when Ezra and Nehemiah read the sacred text to the people after their return from exile. At the same time, it foreshadows Jesus’ glory, as a way of preparing the disciples for the scandal of the Passion: that divine glory is also evoked by the cloud enveloping the disciples as a symbol of God’s presence. A similar transfiguration takes place with sacred Scripture, which transcends itself whenever it nourishes the lives of believers. As the Apostolic Exhortation Verbum Domini reminds us: “In rediscovering the interplay between the different senses of Scripture it becomes essential to grasp thepassage from letter to spirit. This is not an automatic, spontaneous passage; rather, the letter needs to be transcended” (No. 38).
15. Along our path of welcoming God’s word into our hearts, the Mother of the Lord accompanies us. She is the one who was called blessed because she believed in the fulfilment of what the Lord had spoken to her (cf. Lk 1:45). Mary’s own beatitude is prior to all the beatitudes proclaimed by Jesus about the poor and those who mourn, the meek, the peacemakers and those who are persecuted, for it is the necessary condition for every other kind of beatitude. The poor are not blessed because they are poor; they become blessed if, like Mary, they believe in the fulfilment of God’s word. A great disciple and master of sacred Scripture, Saint Augustine, once wrote: “Someone in the midst of the crowd, seized with enthusiasm, cried out: ‘Blessed is the womb that bore you’ and Jesus replied, ‘Rather, blessed are they who hear the word of God and keep it’. As if to say: My mother, whom you call blessed, is indeed blessed, because she keeps the word of God. Not because in her the Word became flesh and dwelt among us, but because she keeps that same word of God by which she was made and which, in her womb, became flesh” (Tractates on the Gospel of John, 10, 3).
May the Sunday of the Word of God help his people to grow in religious and intimate familiarity with the sacred Scriptures. For as the sacred author taught of old: “This word is very near to you: it is in your mouth and in your heart for your observance” (Dt 30:14).
Given in Rome, at the Basilica of Saint John Lateran, on 30 September 2019, the liturgical Memorial of Saint Jerome, on the inauguration of the 1600th anniversary of his death.
FRANCIS
____________________
1 Cf. AAS 102 (2010), 692-787.
2 “The sacramentality of the word can thus be understood by analogy with the real presence of Christ under the appearances of the consecrated bread and wine. By approaching the altar and partaking in the Eucharistic banquet we truly share in the body and blood of Christ. The proclamation of God’s word at the celebration entails an acknowledgment that Christ himself is present, that he speaks to us, and that he wishes to be heard” (Verbum Domini, 56).
[01537-EN.01] [Original text: Italian]
Traduzione in lingua tedesca
Apostolisches Schreiben
in Form eines „Motu Proprio“
des Heiligen Vaters
Papst Franziskus
Aperuit illis
zur Einführung des
Sonntags des Wortes Gottes
1. »Darauf öffnete er ihren Sinn für das Verständnis der Schriften« (Lk 24,45). Dies ist eine der letzten Handlungen des auferstandenen Herrn vor seiner Himmelfahrt. Er erscheint den Jüngern, als sie versammelt sind, bricht das Brot mit ihnen und öffnet ihren Sinn für das Verständnis der Heiligen Schriften. Diesen verängstigten und enttäuschten Menschen offenbart er die Bedeutung des Ostergeheimnisses: dass nämlich Jesus nach dem ewigen Plan des Vaters leiden und von den Toten auferstehen musste, um die Umkehr und die Vergebung der Sünden anzubieten (vgl. Lk 24,26.46-47); und er verheißt ihnen den Heiligen Geist, der ihnen die Kraft geben wird, Zeugen dieses Geheimnisses der Erlösung zu sein (vgl. Lk 24,49).
Die Beziehung zwischen dem Auferstandenen, der Gemeinschaft der Gläubigen und der Heiligen Schrift ist für unsere Identität äußerst wichtig. Ohne den Herrn, der uns in die Heilige Schrift einführt, ist es unmöglich, sie in ihrer Tiefe zu verstehen. Das Gegenteil ist aber ebenso wahr: Ohne die Heilige Schrift sind die Ereignisse der Sendung Jesu und seiner Kirche in der Welt nicht zu verstehen. Zu Recht konnte der heilige Hieronymus schreiben: »Die Schrift nicht kennen heißt Christus nicht kennen« (Comm. in Is., Prolog).
2. Zum Abschluss des außerordentlichen Heiligen Jahres der Barmherzigkeit habe ich darum gebeten, einen »Sonntag« in Erwägung zu ziehen, »der ganz und gar dem Wort Gottes gewidmet ist, um den unerschöpflichen Reichtum zu verstehen, der aus diesem ständigen Dialog Gottes mit seinem Volk hervorgeht« (Apostolisches Schreiben Misericordia et misera, 7). Auf besondere Weise einen Sonntag des Kirchenjahres dem Wort Gottes zu widmen ermöglicht es vor allem, dass die Kirche die Handlung des Auferstandenen wieder erfährt, der auch uns den Schatz seines Wortes erschließt, damit wir in der Welt Verkünder dieses unerschöpflichen Reichtums sein können. In diesem Zusammenhang kommt einem in den Sinn, was der heilige Ephräm gelehrt hat: »Wer ist fähig, Herr, den ganzen Reichtum auch eines deiner Worte zu erfassen, da doch das, was wir nicht mit dem Verstand begreifen, größer ist als das, was wir wie Durstige von der Quelle aufnehmen? Es gibt ebenso viele Möglichkeiten, dein Wort zu deuten, wie Menschen, die es studieren. Gott hat sein Wort in so viele schöne Formen gekleidet, damit ein jeder von denen, die es untersuchen, das, das im gefällt, bedenke; und er hat in seinem Wort alle Schätze verborgen, auf dass ein jeder von uns, der über es nachdenkt, von ihm bereichert wird« (Kommentar zum Diatessaron, 1,18).
Mit diesem Schreiben möchte ich daher auf die vielen Bitten antworten, die vom Volk Gottes an mich herangetragen wurden, damit der Sonntag des Wortes Gottes in der ganzen Kirche übereinstimmend gefeiert werden kann. Es ist bereits zu einer weit verbreiteten Praxis geworden, dass sich die christliche Gemeinschaft zu bestimmten Gelegenheiten auf den großen Wert besinnt, den das Wort Gottes in ihrem alltäglichen Leben einnimmt. In den verschiedenen Ortskirchen gibt es eine Fülle von Initiativen, die den Gläubigen einen immer tieferen Zugang zur Heiligen Schrift eröffnen; so sind sie dankbar für ein solch großes Geschenk, bemühen sich darum, es im Alltag zu leben, und fühlen sich verantwortlich, es glaubwürdig zu bezeugen.
Mit der Dogmatischen Konstitution Dei Verbum gab das Zweite Vatikanische Konzil einen bedeutenden Impuls für die Wiederentdeckung des Wortes Gottes. Ihr Text ist es immer wert, dass man ihn meditiert und ins Leben umsetzt; er stellt die Natur der Heiligen Schrift und ihre Weitergabe von Generation zu Generation (Kapitel II), ihre göttliche Inspiration (Kapitel III), die das Alte und Neue Testament umfasst (Kapitel IV und V), und ihre Bedeutung für das Leben der Kirche (Kapitel VI) klar heraus. Um diese Lehre zu vertiefen, hat Benedikt XVI. im Jahr 2008 eine Bischofssynode zum Thema „Das Wort Gottes im Leben und in der Sendung der Kirche“ einberufen. Im Anschluss daran veröffentlichte er das Nachsynodale Apostolische Schreiben Verbum Domini, das für unsere Gemeinschaften eine unverzichtbare Lehre darstellt.1 In diesem Dokument wird insbesondere der performative Charakter des Wortes Gottes eingehend untersucht, dessen eigentlich sakramentaler Charakter vor allem im liturgischen Handeln deutlich wird.2
Im Leben unseres Volkes möge daher diese entscheidende Beziehung zum lebendigen Wort Gottes nie fehlen, durch das der Herr unaufhörlich zu seiner Braut spricht, damit sie in der Liebe und im Zeugnis des Glaubens wachsen kann.
3. Deshalb lege ich fest, dass der dritte Sonntag im Jahreskreis der Feier, der Betrachtung und der Verbreitung des Wortes Gottes gewidmet sein soll. Dieser Sonntag des Wortes Gottes fällt so ganz passend in den Zeitabschnitt des Jahres, in dem wir unsere Beziehungen zu den Juden zu festigen und für die Einheit der Christen zu beten eingeladen sind. Es handelt sich dabei nicht um ein bloß zeitliches Zusammentreffen: Die Feier des Sonntags des Wortes Gottes ist von ökumenischer Bedeutung, denn die Heilige Schrift zeigt denen, die auf sie hören, den Weg, der beschritten werden muss, um zu einer authentischen und soliden Einheit zu gelangen.
Die Gemeinschaften werden einen Weg finden, diesen Sonntag feierlich zu begehen. Wichtig ist jedenfalls, dass die Heilige Schrift während der Eucharistiefeier inthronisiert werden kann, um der Versammlung der Gläubigen den normativen Wert des Wortes Gottes zu verdeutlichen. An diesem Sonntag ist es besonders nützlich, die Verkündigung des Wortes Gottes hervorzuheben und die Homilie so zu gestalten, dass der Dienst am Wort des Herrn herausgestellt wird. Die Bischöfe können an diesem Sonntag die Beauftragung zum Lektorat oder einem ähnlichen Dienst erteilen, um an die Bedeutung der Verkündigung des Wortes Gottes in der Liturgie zu erinnern. Es ist in der Tat wesentlich, alles dafür zu tun, dass einige Gläubige darauf vorbereitet werden, authentische Verkünder des Wortes zu sein. Hierfür braucht es eine angemessene Ausbildung, so wie es für die Akolythen oder außerordentlichen Kommunionspender bereits üblich ist. Desgleichen werden die Pfarrer Wege finden, die Bibel – oder eines ihrer Bücher – der ganzen Gottesdienstgemeinde zu übergeben, um hervorzuheben, wie wichtig es ist, im Alltag das Lesen und die Vertiefung der Heiligen Schrift wie auch das Beten mit ihr fortzusetzen, besonders im Hinblick auf die lectio divina.
4. Die Rückkehr des Volkes Israel in seine Heimat nach dem babylonischen Exil war maßgeblich durch das Lesen des Buches der Weisung geprägt. Die Bibel gibt uns eine bewegende Beschreibung dieses Moments im Buch Nehemia. Das Volk versammelt sich in Jerusalem auf dem Platz vor dem Wassertor, um auf die Weisung zu hören. Dieses Volk war durch die Deportation verstreut worden, aber jetzt ist es »geschlossen« (Neh 8,1) um die Heilige Schrift versammelt. Während aus dem heiligen Buch vorgelesen wurde, »lauschte« (Neh 8,3) das Volk, weil es wusste, dass es in diesem Wort den Sinn der Ereignisse finden würde, die es erlebt hatte. Die Verkündigung dieser Worte bewegte die Leute und sie weinten: »Man las aus dem Buch, der Weisung Gottes, in Abschnitten vor und gab dazu Erklärungen, sodass die Leute das Vorgelesene verstehen konnten. Nehemia, das ist Hattirschata, der Priester und Schriftgelehrte Esra und die Leviten, die das Volk unterwiesen, sagten dann zum ganzen Volk: Heute ist ein heiliger Tag zu Ehren des Herrn, eures Gottes. Seid nicht traurig und weint nicht! Alle Leute weinten nämlich, als sie die Worte der Weisung hörten. […] Macht euch keine Sorgen; denn die Freude am Herrn ist eure Stärke« (Neh 8,8-10).
Diese Worte enthalten eine wichtige Lehre. Die Bibel kann nicht nur einigen wenigen gehören, geschweige denn eine Sammlung von Büchern für wenige Auserwählte sein. Sie gehört vor allem dem Volk, das versammelt ist, um sie zu hören und sich in diesem Wort selbst zu erkennen. Oft gibt es Tendenzen, welche die Heilige Schrift zu monopolisieren versuchen, indem man sie bestimmten Kreisen oder ausgewählten Gruppen vorbehält. Das darf nicht so sein. Die Bibel ist das Buch des Gottesvolkes, das im Hören auf die Schrift aus der Zerstreuung und Spaltung zur Einheit gelangt. Das Wort Gottes vereint die Gläubigen und macht sie zu einem Volk.
5. Innerhalb dieser Einheit, die das Hören bewirkt, haben in erster Linie die Hirten die große Verantwortung, die Heilige Schrift zu erklären und jedem zu ermöglichen, sie zu verstehen. Da sie das Buch des Volkes ist, müssen alle, die zum Dienst am Wort Gottes berufen sind, die dringende Notwendigkeit spüren, ihrer Gemeinschaft einen Zugang zur Heiligen Schrift zu eröffnen.
Vor allem die Homilie hat eine ganz besondere Funktion, denn sie hat »einen geradezu sakramentalen Charakter« (Apostolisches Schreiben Evangelii Gaudium, 142). Wenn er mit einer einfachen, für die Zuhörer geeigneten Sprache tief in das Wort Gottes einführt, ist es dem Priester möglich, auch die »Schönheit der Bilder [zu erschließen], die der Herr gebrauchte, um anzuregen, das Gute zu tun« (ebd.). Dies ist eine pastorale Gelegenheit, die man nicht verpassen darf!
Für viele unserer Gläubigen ist dies in der Tat die einzige Gelegenheit, die Schönheit des Wortes Gottes zu erfassen und seinen Bezug zu ihrem täglichen Leben zu erkennen. Der Vorbereitung der Homilie muss deshalb entsprechende Zeit gewidmet werden. Die Auslegung der Schriftlesungen kann man unmöglich improvisieren. Wir Prediger sind hingegen verpflichtet, uns nicht zu lange mit besserwisserischen Homilien oder nicht dazugehörenden Themen aufzuhalten. Wenn man innehält, um den Bibeltext zu meditieren und im Gebet zu betrachten, dann wird man fähig, mit dem Herzen zu sprechen, um die Herzen der Zuhörer zu erreichen, sodass das Wesentliche zum Ausdruck kommt, das erfasst wird und Frucht bringt. Lasst uns nie müde werden, der Heiligen Schrift Zeit und Gebet zu widmen, damit sie »nicht als Menschenwort, sondern – was es in Wahrheit ist – als Gotteswort angenommen« wird (1Thess 2,13).
Es ist gut, dass auch die Katechisten spüren, dass für ihren Dienst am Wachstum im Glauben eine Erneuerung durch die Vertrautheit mit der Heiligen Schrift und durch ihr Studium dringlich ist. Dies macht es ihnen möglich, einen echten Dialog zwischen ihren Zuhörern und dem Wort Gottes zu fördern.
6. Bevor der Auferstandene zu den Jüngern kommt, die sich im Haus eingeschlossen haben, und ihren Sinn für das Verständnis der Heiligen Schrift öffnet (vgl. Lk 24,44-45), erscheint er zweien von ihnen auf dem Weg von Jerusalem nach Emmaus (vgl. Lk 24,13-35). Der Bericht des Evangelisten Lukas merkt an, dass es der gleiche Tag der Auferstehung ist, also der Sonntag. Diese beiden Jünger sprechen über die jüngsten Ereignisse, über das Leiden und den Tod Jesu. Ihr Weg ist von der Traurigkeit und Enttäuschung über das tragische Ende Jesu geprägt. Sie hatten auf ihn als Messias und Befreier gehofft, und nun sind sie mit der schockierenden Erfahrung des Gekreuzigten konfrontiert. Der Auferstandene selbst nähert sich unaufdringlich den Jüngern und geht mit ihnen, sie aber erkennen ihn nicht (vgl. V. 16). Unterwegs befragt sie der Herr und erkennt, dass sie den Sinn seines Leidens und seines Todes nicht verstanden haben; er nennt sie »unverständig und träge im Herzen« (vgl. V. 25), und »er legte ihnen dar, ausgehend von Mose und allen Propheten, was in der gesamten Schrift über ihn geschrieben steht« (V. 27). Christus ist der erste Exeget! Schon die alten Schriften haben vorweggenommen, was er vollbringen sollte, doch er selbst wollte diesem Wort treu sein, um die eine Heilsgeschichte, die in Christus ihre Erfüllung findet, zu offenbaren.
7. Als Heilige Schrift spricht die Bibel daher von Christus und verkündet ihn als denjenigen, der durch das Leiden gehen muss, um in seine Herrlichkeit zu gelangen (vgl. V. 26). Nicht nur ein Teil, sondern alle Schriften sprechen von ihm. Sein Tod und seine Auferstehung sind ohne sie nicht zu verstehen. Aus diesem Grund betont eines der ältesten Glaubensbekenntnisse: »Christus ist für unsere Sünden gestorben, gemäß der Schrift, und ist begraben worden. Er ist am dritten Tag auferweckt worden, gemäß der Schrift, und er erschien dem Kephas« (1Kor 15,3-5). Da die Schriften von Christus sprechen, können wir glauben, dass sein Tod und seine Auferstehung nicht der Mythologie angehören, sondern geschichtliches Ereignis sind und im Zentrum des Glaubens seiner Jünger stehen.
Die Verbindung zwischen der Heiligen Schrift und dem Glauben der Getauften ist tief. Da der Glaube vom Hören kommt und das Hören auf das Wort Christi ausgerichtet ist (vgl. Röm 10,17), ergibt sich daraus die Einladung an die Gläubigen, die Dringlichkeit und Wichtigkeit des Hörens auf das Wort des Herrn sowohl in der Liturgie als auch im persönlichen Beten und Betrachten ernst zu nehmen.
8. „Die Reise“ des Auferstandenen mit den Jüngern von Emmaus endet mit dem Abendessen. Der geheimnisvolle Wanderer kommt der beharrlichen Bitte der beiden nach: »Bleibe bei uns; denn es wird Abend, der Tag hat sich schon geneigt« (Lk 24,29). Sie setzen sich zu Tisch, Jesus nimmt das Brot, spricht den Lobpreis, bricht es und reicht es ihnen. Da tun sich ihre Augen auf und sie erkennen ihn (vgl. V. 31).
Wir verstehen durch diese Szene, wie untrennbar die Beziehung zwischen Heiliger Schrift und Eucharistie ist. Das Zweite Vatikanische Konzil lehrt: »Die Kirche hat die Heiligen Schriften immer verehrt wie den Herrenleib selbst, weil sie, vor allem in der heiligen Liturgie, vom Tisch des Wortes Gottes wie des Leibes Christi ohne Unterlass das Brot des Lebens nimmt und den Gläubigen reicht« (Dei Verbum, 21).
Das beständige regelmäßige Lesen der Heiligen Schrift und die Feier der Eucharistie ermöglichen es den Menschen zu erkennen, dass sie zueinander gehören. Als Christen sind wir ein Volk, das in der Geschichte unterwegs ist, gestärkt durch die Gegenwart des Herrn in unserer Mitte, der zu uns spricht und uns nährt. Der der Bibel gewidmete Tag soll nicht „einmal im Jahr“, sondern einmal für das ganze Jahr stattfinden. Wir verspüren nämlich die dringende Notwendigkeit, uns mit der Heiligen Schrift und dem Auferstandenen eng vertraut zu machen, der nie aufhört, das Wort und das Brot in der Gemeinschaft der Gläubigen zu brechen. Aus diesem Grund müssen wir zu einer ständigen Vertrautheit mit der Heiligen Schrift gelangen, sonst bleibt das Herz kalt und die Augen verschlossen, da wir, wie wir nun einmal sind, von unzähligen Formen der Blindheit betroffen sind.
Die Heilige Schrift und die Sakramente sind untrennbar miteinander verbunden. Wenn das Wort Gottes in die Sakramente einführt und sie erhellt, zeigen sich diese deutlicher als das Ziel eines Weges, auf dem Christus selbst den Geist und das Herz öffnet, damit wir sein Heilswirken erkennen. In diesem Zusammenhang dürfen wir die Lehre aus dem Buch der Offenbarung nicht vergessen. Hier wird gelehrt, dass der Herr vor der Tür steht und anklopft. Wenn einer seine Stimme hört und ihm öffnet, tritt er ein und hält Mahl mit ihm (vgl. 3,20). Jesus Christus klopft durch die Heilige Schrift an unsere Tür; wenn wir zuhören und die Tür des Geistes und des Herzens öffnen, dann tritt er in unser Leben ein und bleibt bei uns.
9. Im Zweiten Brief an Timotheus, der in gewisser Weise sein geistliches Testament darstellt, empfiehlt der heilige Paulus seinem treuen Mitarbeiter, beständig die Heilige Schrift zu lesen. Der Apostel ist überzeugt: »Jede Schrift ist, als von Gott eingegeben, auch nützlich zur Belehrung, zur Widerlegung, zur Besserung, zur Erziehung« (3,16). Diese Empfehlung des Paulus an Timotheus stellt eine Grundlage dar, auf der die Konzilskonstitution Dei Verbum das wichtige Thema der Inspiration der Heiligen Schrift behandelt; aus dieser Grundlage ergibt sich insbesondere die Heilsfinalität, die geistliche Dimension und das Inkarnationsprinzip für die Heilige Schrift.
Unter Hinweis vor allem auf die Empfehlung des Paulus an Timotheus betont Dei Verbum, dass die Bücher der Heiligen Schrift »sicher, getreu und ohne Irrtum die Wahrheit lehren, die Gott um unseres Heiles willen in heiligen Schriften aufgezeichnet haben wollte« (Nr. 11). Da diese uns weise machen können zum Heil durch den Glauben an Jesus Christus (vgl. 2Tim 3,15), dienen die in ihnen enthaltenen Wahrheiten unserer Erlösung. Die Bibel stellt weder eine Sammlung von Geschichtsbüchern noch von Chroniken dar, sondern ist völlig auf das ganzheitliche Heil des Menschen ausgerichtet. Die unbestreitbaren historischen Wurzeln der in der Heiligen Schrift enthaltenen Bücher dürfen uns dieses ursprüngliche Ziel nicht vergessen lassen, nämlich unsere Erlösung. Alles ist auf dieses Ziel hin ausgerichtet, das tief in die Natur der Bibel eingeschrieben ist. Sie ist als Heilsgeschichte verfasst, in der Gott spricht und handelt, um allen Menschen zu begegnen und sie vor dem Bösen und dem Tod zu retten.
Um dieses Heilsziel zu erreichen, verwandelt die Heilige Schrift unter dem Wirken des Heiligen Geistes das nach Menschenart verfasste Menschenwort in Gotteswort (vgl. Dei Verbum, 12). Die Rolle des Heiligen Geistes in der Heiligen Schrift ist von grundlegender Bedeutung. Ohne sein Wirken gäbe es immer die Gefahr, im bloß geschriebenen Text eingeschlossen zu bleiben. Das führt leicht zu einer fundamentalistischen Auslegung, von der man sich fernhalten muss, um den inspirierten, dynamischen und spirituellen Charakter des biblischen Textes nicht zu verraten. Der Apostel erinnert dementsprechend: »Der Buchstabe tötet, der Geist aber macht lebendig« (2Kor 3,6). Der Heilige Geist verwandelt also die Heilige Schrift in lebendiges Wort Gottes, das im Glauben seines heiligen Volkes gelebt und weitergegeben wird.
10. Das Wirken des Heiligen Geistes betrifft nicht nur die Herausbildung der Heiligen Schrift, sondern ist auch in denen am Werk, die auf das Wort Gottes hören. Die Feststellung der Konzilsväter, dass die Heilige Schrift »in dem Geist gelesen und ausgelegt werden muss, in dem sie geschrieben wurde« (Dei Verbum, 12), ist dabei wichtig. Mit Jesus Christus erreicht die Offenbarung Gottes ihren Höhepunkt und ihre Vollendung; und doch wirkt der Heilige Geist weiter. Es wäre in der Tat eine Verkürzung, wollte man das Wirken des Heiligen Geistes nur auf die göttlich inspirierte Natur der Heiligen Schrift und ihrer verschiedenen Autoren beschränken. Es ist daher notwendig, Vertrauen in das Wirken des Heiligen Geistes zu haben, der weiterhin eine besondere Form der Inspiration ausübt, wenn die Kirche die Heilige Schrift verkündet, das Lehramt sie verbindlich auslegt (vgl. ebd., 10) und jeder Gläubige sie zu seinem eigenen geistlichen Maßstab macht. In diesem Sinne können wir die Worte Jesu verstehen, wenn er zu den Jüngern, die bestätigen, die Bedeutung seiner Gleichnisse verstanden zu haben, sagt: »Deswegen gleicht jeder Schriftgelehrte, der ein Jünger des Himmelreichs geworden ist, einem Hausherrn, der aus seinem Schatz Neues und Altes hervorholt« (Mt 13,52).
11. Schließlich präzisiert Dei Verbum: »Gottes Worte, durch Menschenzunge formuliert, sind menschlicher Rede ähnlich geworden, wie einst des ewigen Vaters Wort durch die Annahme menschlich-schwachen Fleisches den Menschen ähnlich geworden ist« (Nr. 13). So könnte man sagen, dass die Inkarnation des Wortes Gottes dem Verhältnis zwischen Gottes Wort und menschlicher Sprache mit ihrer geschichtlichen und kulturellen Bedingtheit Form und Sinn verleiht. In eben diesem Ereignis nimmt die Überlieferung Gestalt an, die selbst auch Wort Gottes ist (vgl. ebd., 9). Oft läuft man Gefahr, Heilige Schrift und Überlieferung voneinander zu trennen, ohne zu verstehen, dass sie gemeinsam die alleinige Quelle der Offenbarung sind. Der schriftliche Charakter der ersten lässt sie nicht weniger vollwertiges lebendiges Wort sein; so wie auch die lebendige Überlieferung der Kirche, die sie im Laufe der Jahrhunderte von Generation zu Generation unaufhörlich weitergibt, dieses heilige Buch als »höchste Richtschnur ihres Glaubens« besitzt (ebd., 21). Die Heilige Schrift wurde ja, bevor sie zu einem schriftlichen Text wurde, mündlich überliefert und durch den Glauben eines Volkes lebendig bewahrt, das sie als seine Geschichte und sein Identitätsprinzip inmitten vieler anderer Völkern anerkannte. Der biblische Glaube gründet also auf dem lebendigen Wort, nicht auf einem Buch.
12. Wenn die Heilige Schrift im gleichen Geist gelesen wird, mit dem sie geschrieben wurde, bleibt sie immer neu. Das Alte Testament ist nie alt, wenn es einmal Teil des Neuen ist, denn alles wird durch den einen Geist verwandelt, der es inspiriert. Die gesamte Heilige Schrift hat eine prophetische Funktion: diese betrifft nicht die Zukunft, sondern das Heute derer, die sich von diesem Wort nähren. Jesus selbst sagt dies zu Beginn seines Wirkens deutlich: »Heute hat sich das Schriftwort, das ihr eben gehört habt, erfüllt« (Lk 4,21). Wer sich jeden Tag vom Wort Gottes nährt, wird wie Jesus zu einem Zeitgenossen der Menschen, denen er begegnet; er ist nicht versucht, einer fruchtlosen Vergangenheitsnostalgie zu verfallen oder vagen Zukunftsutopien nachzujagen.
Die Heilige Schrift vollzieht ihr prophetisches Wirken vor allem an dem, der auf sie hört. Sie ruft Süße und Bitterkeit hervor. Hier kommen einem die Worte des Propheten Ezechiel in den Sinn. Als er, vom Herrn aufgefordert, die Schriftrolle isst, bekennt er: »Sie wurde in meinem Mund süß wie Honig« (3,3). Auch der Evangelist Johannes macht auf der Insel Patmos diese Erfahrung Ezechiels mit dem Essen des Buches, fügt aber noch eine Konkretisierung an: »In meinem Mund war es süß wie Honig. Als ich es aber gegessen hatte, wurde mein Magen bitter« (Offb 10,10).
Die Süße des Wortes Gottes drängt uns, es mit denen zu teilen, denen wir in unserem Leben begegnen, um der in ihm enthaltenen Gewissheit der Hoffnung Ausdruck zu verleihen, (vgl. 1Petr 3,15-16). Bitterkeit hingegen stellt sich oft ein, wenn wir feststellen müssen, wie schwierig es für uns ist, das Wort Gottes konsequent zu leben, oder wenn wir konkret erfahren müssen, dass es auf Ablehnung stößt, weil man ihm nicht zutraut, dem Leben Sinn zu verleihen. Wir dürfen uns daher nie an das Wort Gottes gewöhnen, sondern müssen uns von ihm nähren, um unsere Beziehung zu Gott und zu unseren Brüdern und Schwestern zu entdecken und intensiv zu leben.
13. Eine weitere Herausforderung aus der Heiligen Schrift betrifft die Nächstenliebe. Ständig ruft das Wort Gottes zur barmherzigen Liebe des Vaters auf, der von seinen Kinder verlangt, in der Liebe zu leben. Das Leben Jesu ist der vollkommene Ausdruck dieser göttlichen Liebe, die nichts für sich selbst behält, sondern sich uneingeschränkt an alle verschenkt. Im Gleichnis vom armen Lazarus finden wir einen wertvollen Hinweis. Als Lazarus und der Reiche sterben, bittet letzterer, als er den Armen im Schoß Abrahams sieht, diesen zu seinen Brüdern zu schicken, um sie zu ermahnen, die Nächstenliebe zu leben, damit sie nicht auch seine Qualen erleiden. Abrahams Antwort ist hart: »Sie haben Mose und die Propheten, auf die sollen sie hören« (Lk 16,29). Auf die Heilige Schrift hören, um Barmherzigkeit zu üben: das ist eine große Herausforderung für unser Leben. Das Wort Gottes ist in der Lage, unsere Augen zu öffnen, damit wir aus dem Individualismus herauskommen, der zu Erstickung und Sterilität führt. Dazu tut es uns den Weg des Miteinanders und der Solidarität auf.
14. Eines der bedeutendsten Ereignisse in der Beziehung zwischen Jesus und seinen Jüngern ist die Verklärung. Jesus steigt mit Petrus, Jakobus und Johannes auf einen Berg, um zu beten. Die Evangelisten erwähnen, dass, während sein Gesicht und sein Gewand hell erstrahlten, zwei Männer mit Jesus sprachen: Mose und Elija, die das Gesetz bzw. die Propheten, also die Heiligen Schriften darstellen. Petrus reagiert auf diesen Anblick voll freudiger Verwunderung: »Meister, es ist gut, dass wir hier sind. Wir wollen drei Hütten bauen, eine für dich, eine für Mose und eine für Elija« (Lk 9,33). Da überschattet sie eine Wolke und die Jünger werden von Furcht ergriffen.
Die Verklärung erinnert an das Laubhüttenfest, als Esra und Nehemia nach der Rückkehr aus dem Exil dem Volk die Heilige Schrift vorlasen. Gleichzeitig antizipiert sie die Herrlichkeit Jesu, um auf das schockierende Ereignis der Passion vorzubereiten. Auf diese göttliche Herrlichkeit verweist auch die Wolke, welche die Jünger umhüllt und ein Symbol für die Gegenwart des Herrn ist. Der Verklärung Jesu ist die „Verklärung“ der Heiligen Schrift ähnlich, die sich selbst transzendiert, wenn sie das Leben der Gläubigen nährt. Verbum Domini erinnert daran: »Wenn die Gliederung zwischen den verschiedenen Sinngehalten der Schrift festgestellt wird, ist es also entscheidend, den Übergang vom Buchstaben zum Geist zu erfassen. Dieser Übergang findet nicht automatisch und nicht von sich aus statt; vielmehr bedarf es einer Überschreitung des Buchstabens« (Nr. 38).
15. Auf dem Weg der Annahme des Wortes Gottes begleitet uns die Mutter des Herrn. Sie wird selig genannt, weil sie geglaubt hat, dass sich erfüllt, was der Herr ihr sagen ließ (vgl. Lk 1,45). Die Seligpreisung Mariens geht allen Seligpreisungen voraus, die Jesus für die Armen, die Trauernden, die Sanftmütigen, die Friedensstifter und die Verfolgten ausgesprochen hat, denn sie ist die notwendige Voraussetzung für jede andere Seligpreisung. Kein armer Mensch ist selig, weil er arm ist; er wird es, wenn er wie Maria an die Erfüllung des Wortes Gottes glaubt. Daran erinnert der heilige Augustinus, ein großer Jünger und Meister der Heiligen Schrift: »Jemand aus der Menge sprach voll Bewunderung: „Selig der Leib, der dich getragen.“ Und er [Jesus]: „Vielmehr selig diejenigen, welche das Wort Gottes hören und beobachten.“ Das heißt so viel als: Auch meine Mutter, die ihr selig genannt habt, ist deshalb selig, weil sie das Wort Gottes bewahrt; nicht weil in ihr das Wort Fleisch geworden ist und unter uns gewohnt hat, sondern weil sie eben dieses Wort Gottes bewahrt, durch welches sie geworden ist, und welches in ihr Fleisch geworden ist« (Tract. in Io. Ev., 10,3).
Der dem Wort Gottes gewidmete Sonntag möge im Volk Gottes die andächtige und beständige Vertrautheit mit der Heiligen Schrift wachsen lassen, so wie es der heilige Verfasser bereits in alter Zeit gelehrt hat: »Das Wort ist ganz nah bei dir, es ist in deinem Mund und in deinem Herzen, du kannst es halten« (Deut 30,14).
Gegeben zu Rom, bei St. Johannes im Lateran, am 30. September 2019
Gedenktag des heiligen Hieronymus zu Beginn des Jubiläumsjahres anlässlich seines 1600. Todestages
FRANZISKUS
_______________________
1 Vgl. AAS 102 (2010), 692-787.
2 »Die Sakramentalität des Wortes lässt sich so in Analogie zur Realpräsenz Christi unter den Gestalten des konsekrierten Brotes und Weines verstehen. Wenn wir zum Altar gehen und am eucharistischen Mahl teilnehmen, empfangen wir wirklich den Leib und das Blut Christi. Die Verkündigung des Wortes Gottes in der liturgischen Feier geschieht in der Einsicht, dass Christus selbst in ihr gegenwärtig ist und sich uns zuwendet, um aufgenommen zu werden« (Verbum Domini, 56).
[01537-DE.01] [Originalsprache: Italienisch]
Traduzione in lingua spagnola
Carta Apostólica
en forma de Motu Proprio
del Santo Padre
Francisco
Aperuit illis
con la que se instituye el
Domingo de la Palabra de Dios
1. «Les abrió el entendimiento para comprender las Escrituras» (Lc 24,45). Es uno de los últimos gestos realizados por el Señor resucitado, antes de su Ascensión. Se les aparece a los discípulos mientras están reunidos, parte el pan con ellos y abre sus mentes para comprender la Sagrada Escritura. A aquellos hombres asustados y decepcionados les revela el sentido del misterio pascual: que según el plan eterno del Padre, Jesús tenía que sufrir y resucitar de entre los muertos para conceder la conversión y el perdón de los pecados (cf. Lc 24,26.46-47); y promete el Espíritu Santo que les dará la fuerza para ser testigos de este misterio de salvación (cf. Lc 24,49).
La relación entre el Resucitado, la comunidad de creyentes y la Sagrada Escritura es intensamente vital para nuestra identidad. Si el Señor no nos introduce es imposible comprender en profundidad la Sagrada Escritura, pero lo contrario también es cierto: sin la Sagrada Escritura, los acontecimientos de la misión de Jesús y de su Iglesia en el mundo permanecen indescifrables. San Jerónimo escribió con verdad: «La ignorancia de las Escrituras es ignorancia de Cristo» (In Is., Prólogo: PL 24,17).
2. Tras la conclusión del Jubileo extraordinario de la misericordia, pedí que se pensara en «un domingo completamente dedicado a la Palabra de Dios, para comprender la riqueza inagotable que proviene de ese diálogo constante de Dios con su pueblo» (Carta ap. Misericordia et misera, 7). Dedicar concretamente un domingo del Año litúrgico a la Palabra de Dios nos permite, sobre todo, hacer que la Iglesia reviva el gesto del Resucitado que abre también para nosotros el tesoro de su Palabra para que podamos anunciar por todo el mundo esta riqueza inagotable. En este sentido, me vienen a la memoria las enseñanzas de san Efrén: «¿Quién es capaz, Señor, de penetrar con su mente una sola de tus frases? Como el sediento que bebe de la fuente, mucho más es lo que dejamos que lo que tomamos. Porque la palabra del Señor presenta muy diversos aspectos, según la diversa capacidad de los que la estudian. El Señor pintó con multiplicidad de colores su palabra, para que todo el que la estudie pueda ver en ella lo que más le plazca. Escondió en su palabra variedad de tesoros, para que cada uno de nosotros pudiera enriquecerse en cualquiera de los puntos en que concentrar su reflexión» (Comentarios sobre el Diatésaron, 1,18).
Por tanto, con esta Carta tengo la intención de responder a las numerosas peticiones que me han llegado del pueblo de Dios, para que en toda la Iglesia se pueda celebrar con un mismo propósito el Domingo de la Palabra de Dios. Ahora se ha convertido en una práctica común vivir momentos en los que la comunidad cristiana se centra en el gran valor que la Palabra de Dios ocupa en su existencia cotidiana. En las diferentes Iglesias locales hay una gran cantidad de iniciativas que hacen cada vez más accesible la Sagrada Escritura a los creyentes, para que se sientan agradecidos por un don tan grande, con el compromiso de vivirlo cada día y la responsabilidad de testimoniarlo con coherencia.
El Concilio Ecuménico Vaticano II dio un gran impulso al redescubrimiento de la Palabra de Dios con la Constitución dogmática Dei Verbum. En aquellas páginas, que siempre merecen ser meditadas y vividas, emerge claramente la naturaleza de la Sagrada Escritura, su transmisión de generación en generación (cap. II), su inspiración divina (cap. III) que abarca el Antiguo y el Nuevo Testamento (capítulos IV y V) y su importancia para la vida de la Iglesia (cap. VI). Para aumentar esa enseñanza, Benedicto XVI convocó en el año 2008 una Asamblea del Sínodo de los Obispos sobre el tema “La Palabra de Dios en la vida y misión de la Iglesia”, publicando a continuación la Exhortación apostólica Verbum Domini, que constituye una enseñanza fundamental para nuestras comunidades.[1] En este Documento en particular se profundiza el carácter performativo de la Palabra de Dios, especialmente cuando su carácter específicamente sacramental emerge en la acción litúrgica.[2]
Por tanto, es bueno que nunca falte en la vida de nuestro pueblo esta relación decisiva con la Palabra viva que el Señor nunca se cansa de dirigir a su Esposa, para que pueda crecer en el amor y en el testimonio de fe.
3. Así pues, establezco que el III Domingo del Tiempo Ordinario esté dedicado a la celebración, reflexión y divulgación de la Palabra de Dios. Este Domingo de la Palabra de Dios se colocará en un momento oportuno de ese periodo del año, en el que estamos invitados a fortalecer los lazos con los judíos y a rezar por la unidad de los cristianos. No se trata de una mera coincidencia temporal: celebrar el Domingo de la Palabra de Dios expresa un valor ecuménico, porque la Sagrada Escritura indica a los que se ponen en actitud de escucha el camino a seguir para llegar a una auténtica y sólida unidad.
Las comunidades encontrarán el modo de vivir este Domingo como un día solemne. En cualquier caso, será importante que en la celebración eucarística se entronice el texto sagrado, a fin de hacer evidente a la asamblea el valor normativo que tiene la Palabra de Dios. En este domingo, de manera especial, será útil destacar su proclamación y adaptar la homilía para poner de relieve el servicio que se hace a la Palabra del Señor. En este domingo, los obispos podrán celebrar el rito del Lectorado o confiar un ministerio similar para recordar la importancia de la proclamación de la Palabra de Dios en la liturgia. En efecto, es fundamental que no falte ningún esfuerzo para que algunos fieles se preparen con una formación adecuada a ser verdaderos anunciadores de la Palabra, como sucede de manera ya habitual para los acólitos o los ministros extraordinarios de la Comunión. Asimismo, los párrocos podrán encontrar el modo de entregar la Biblia, o uno de sus libros, a toda la asamblea, para resaltar la importancia de seguir en la vida diaria la lectura, la profundización y la oración con la Sagrada Escritura, con una particular consideración a la lectio divina.
4. El regreso del pueblo de Israel a su patria, después del exilio en Babilonia, estuvo marcado de manera significativa por la lectura del libro de la Ley. La Biblia nos ofrece una descripción conmovedora de ese momento en el libro de Nehemías. El pueblo estaba reunido en Jerusalén en la plaza de la Puerta del Agua, escuchando la Ley. Aquel pueblo había sido dispersado con la deportación, pero ahora se encuentra reunido alrededor de la Sagrada Escritura como si fuera «un solo hombre» (Ne 8,1). Cuando se leía el libro sagrado, el pueblo «escuchaba con atención» (Ne 8,3), sabiendo que podían encontrar en aquellas palabras el significado de los acontecimientos vividos. La reacción al anuncio de aquellas palabras fue la emoción y las lágrimas: «[Los levitas] leyeron el libro de la ley de Dios con claridad y explicando su sentido, de modo que entendieran la lectura. Entonces el gobernador Nehemías, el sacerdote y escriba Esdras, y los levitas que instruían al pueblo dijeron a toda la asamblea: “Este día está consagrado al Señor, vuestro Dios. No estéis tristes ni lloréis” (y es que todo el pueblo lloraba al escuchar las palabras de la ley). […] “¡No os pongáis tristes; el gozo del Señor es vuestra fuerza!”» (Ne 8,8-10).
Estas palabras contienen una gran enseñanza. La Biblia no puede ser sólo patrimonio de algunos, y mucho menos una colección de libros para unos pocos privilegiados. Pertenece, en primer lugar, al pueblo convocado para escucharla y reconocerse en esa Palabra. A menudo se dan tendencias que intentan monopolizar el texto sagrado relegándolo a ciertos círculos o grupos escogidos. No puede ser así. La Biblia es el libro del pueblo del Señor que al escucharlo pasa de la dispersión y la división a la unidad. La Palabra de Dios une a los creyentes y los convierte en un solo pueblo.
5. En esta unidad, generada con la escucha, los Pastores son los primeros que tienen la gran responsabilidad de explicar y permitir que todos entiendan la Sagrada Escritura. Puesto que es el libro del pueblo, los que tienen la vocación de ser ministros de la Palabra deben sentir con fuerza la necesidad de hacerla accesible a su comunidad.
La homilía, en particular, tiene una función muy peculiar, porque posee «un carácter cuasi sacramental» (Exhort. ap. Evangelii gaudium, 142). Ayudar a profundizar en la Palabra de Dios, con un lenguaje sencillo y adecuado para el que escucha, le permite al sacerdote mostrar también la «belleza de las imágenes que el Señor utilizaba para estimular a la práctica del bien» (ibíd.). Esta es una oportunidad pastoral que hay que aprovechar.
De hecho, para muchos de nuestros fieles esta es la única oportunidad que tienen para captar la belleza de la Palabra de Dios y verla relacionada con su vida cotidiana. Por lo tanto, es necesario dedicar el tiempo apropiado para la preparación de la homilía. No se puede improvisar el comentario de las lecturas sagradas. A los predicadores se nos pide más bien el esfuerzo de no alargarnos desmedidamente con homilías pedantes o temas extraños. Cuando uno se detiene a meditar y rezar sobre el texto sagrado, entonces se puede hablar con el corazón para alcanzar los corazones de las personas que escuchan, expresando lo esencial con vistas a que se comprenda y dé fruto. Que nunca nos cansemos de dedicar tiempo y oración a la Sagrada Escritura, para que sea acogida «no como palabra humana, sino, cual es en verdad, como Palabra de Dios» (1 Ts 2,13).
Es bueno que también los catequistas, por el ministerio que realizan de ayudar a crecer en la fe, sientan la urgencia de renovarse a través de la familiaridad y el estudio de la Sagrada Escritura, para favorecer un verdadero diálogo entre quienes los escuchan y la Palabra de Dios.
6. Antes de reunirse con los discípulos, que estaban encerrados en casa, y de abrirles el entendimiento para comprender las Escrituras (cf. Lc 24,44-45), el Resucitado se aparece a dos de ellos en el camino que lleva de Jerusalén a Emaús (cf. Lc 24,13-35). La narración del evangelista Lucas indica que es el mismo día de la Resurrección, es decir el domingo. Aquellos dos discípulos discuten sobre los últimos acontecimientos de la pasión y muerte de Jesús. Su camino está marcado por la tristeza y la desilusión a causa del trágico final de Jesús. Esperaban que Él fuera el Mesías libertador, y se encuentran ante el escándalo del Crucificado. Con discreción, el mismo Resucitado se acerca y camina con los discípulos, pero ellos no lo reconocen (cf. v. 16). A lo largo del camino, el Señor los interroga, dándose cuenta de que no han comprendido el sentido de su pasión y su muerte; los llama «necios y torpes» (v. 25) y «comenzando por Moisés y siguiendo por todos los profetas, les explicó lo que se refería a Él en todas las Escrituras» (v. 27). Cristo es el primer exegeta. No sólo las Escrituras antiguas anticiparon lo que Él iba a realizar, sino que Él mismo quiso ser fiel a esa Palabra para evidenciar la única historia de salvación que alcanza su plenitud en Cristo.
7. La Biblia, por tanto, en cuanto Sagrada Escritura, habla de Cristo y lo anuncia como el que debe soportar los sufrimientos para entrar en la gloria (cf. v. 26). No sólo una parte, sino toda la Escritura habla de Él. Su muerte y resurrección son indescifrables sin ella. Por esto una de las confesiones de fe más antiguas pone de relieve que Cristo «murió por nuestros pecados según las Escrituras; y que fue sepultado y que resucitó al tercer día, según las Escrituras; y que se apareció a Cefas» (1 Co 15,3-5). Puesto que las Escrituras hablan de Cristo, nos ayudan a creer que su muerte y resurrección no pertenecen a la mitología, sino a la historia y se encuentran en el centro de la fe de sus discípulos.
Es profundo el vínculo entre la Sagrada Escritura y la fe de los creyentes. Porque la fe proviene de la escucha y la escucha está centrada en la palabra de Cristo (cf. Rm 10,17), la invitación que surge es la urgencia y la importancia que los creyentes tienen que dar a la escucha de la Palabra del Señor tanto en la acción litúrgica como en la oración y la reflexión personal.
8. El “viaje” del Resucitado con los discípulos de Emaús concluye con la cena. El misterioso Viandante acepta la insistente petición que le dirigen aquellos dos: «Quédate con nosotros, porque atardece y el día va de caída» (Lc 24,29). Se sientan a la mesa, Jesús toma el pan, pronuncia la bendición, lo parte y se lo ofrece a ellos. En ese momento sus ojos se abren y lo reconocen (cf. v. 31).
Esta escena nos hace comprender el inseparable vínculo entre la Sagrada Escritura y la Eucaristía. El Concilio Vaticano II nos enseña: «la Iglesia ha venerado siempre la Sagrada Escritura, como lo ha hecho con el Cuerpo de Cristo, pues, sobre todo en la sagrada liturgia, nunca ha cesado de tomar y repartir a sus fieles el pan de vida que ofrece la mesa de la Palabra de Dios y del Cuerpo de Cristo» (Const. dogm. Dei Verbum, 21).
El contacto frecuente con la Sagrada Escritura y la celebración de la Eucaristía hace posible el reconocimiento entre las personas que se pertenecen. Como cristianos somos un solo pueblo que camina en la historia, fortalecido por la presencia del Señor en medio de nosotros que nos habla y nos nutre. El día dedicado a la Biblia no ha de ser “una vez al año”, sino una vez para todo el año, porque nos urge la necesidad de tener familiaridad e intimidad con la Sagrada Escritura y con el Resucitado, que no cesa de partir la Palabra y el Pan en la comunidad de los creyentes. Para esto necesitamos entablar un constante trato de familiaridad con la Sagrada Escritura, si no el corazón queda frío y los ojos permanecen cerrados, afectados como estamos por innumerables formas de ceguera.
La Sagrada Escritura y los Sacramentos no se pueden separar. Cuando los Sacramentos son introducidos e iluminados por la Palabra, se manifiestan más claramente como la meta de un camino en el que Cristo mismo abre la mente y el corazón al reconocimiento de su acción salvadora. Es necesario, en este contexto, no olvidar la enseñanza del libro del Apocalipsis, cuando dice que el Señor está a la puerta y llama. Si alguno escucha su voz y le abre, Él entra para cenar juntos (cf. 3,20). Jesucristo llama a nuestra puerta a través de la Sagrada Escritura; si escuchamos y abrimos la puerta de la mente y del corazón, entonces entra en nuestra vida y se queda con nosotros.
9. En la Segunda Carta a Timoteo, que constituye de algún modo su testamento espiritual, san Pablo recomienda a su fiel colaborador que lea constantemente la Sagrada Escritura. El Apóstol está convencido de que «toda Escritura es inspirada por Dios es también útil para enseñar, para argüir, para corregir, para educar» (3,16). Esta recomendación de Pablo a Timoteo constituye una base sobre la que la Constitución conciliar Dei Verbum trata el gran tema de la inspiración de la Sagrada Escritura, un fundamento del que emergen en particular la finalidad salvífica, la dimensión espiritual y el principio de la encarnación de la Sagrada Escritura.
Al evocar sobre todo la recomendación de Pablo a Timoteo, la Dei Verbum subraya que «los libros de la Escritura enseñan firmemente, con fidelidad y sin error, la verdad que Dios quiso consignar en las sagradas letras para nuestra salvación» (n. 11). Puesto que las mismas instruyen en vista a la salvación por la fe en Cristo (cf. 2 Tm 3,15), las verdades contenidas en ellas sirven para nuestra salvación. La Biblia no es una colección de libros de historia, ni de crónicas, sino que está totalmente dirigida a la salvación integral de la persona. El innegable fundamento histórico de los libros contenidos en el texto sagrado no debe hacernos olvidar esta finalidad primordial: nuestra salvación. Todo está dirigido a esta finalidad inscrita en la naturaleza misma de la Biblia, que está compuesta como historia de salvación en la que Dios habla y actúa para ir al encuentro de todos los hombres y salvarlos del mal y de la muerte.
Para alcanzar esa finalidad salvífica, la Sagrada Escritura bajo la acción del Espíritu Santo transforma en Palabra de Dios la palabra de los hombres escrita de manera humana (cf. Const. dogm. Dei Verbum, 12). El papel del Espíritu Santo en la Sagrada Escritura es fundamental. Sin su acción, el riesgo de permanecer encerrados en el mero texto escrito estaría siempre presente, facilitando una interpretación fundamentalista, de la que es necesario alejarse para no traicionar el carácter inspirado, dinámico y espiritual que el texto sagrado posee. Como recuerda el Apóstol: «La letra mata, mientras que el Espíritu da vida» (2 Co 3,6). El Espíritu Santo, por tanto, transforma la Sagrada Escritura en Palabra viva de Dios, vivida y transmitida en la fe de su pueblo santo.
10. La acción del Espíritu Santo no se refiere sólo a la formación de la Sagrada Escritura, sino que actúa también en aquellos que se ponen a la escucha de la Palabra de Dios. Es importante la afirmación de los Padres conciliares, según la cual la Sagrada Escritura «se ha de leer e interpretar con el mismo Espíritu con que fue escrita» (Const. dogm. Dei Verbum, 12). Con Jesucristo la revelación de Dios alcanza su culminación y su plenitud; aun así, el Espíritu Santo continúa su acción. De hecho, sería reductivo limitar la acción del Espíritu Santo sólo a la naturaleza divinamente inspirada de la Sagrada Escritura y a sus distintos autores. Por tanto, es necesario tener fe en la acción del Espíritu Santo que sigue realizando una peculiar forma de inspiración cuando la Iglesia enseña la Sagrada Escritura, cuando el Magisterio la interpreta auténticamente (cf. ibíd., 10) y cuando cada creyente hace de ella su propia norma espiritual. En este sentido podemos comprender las palabras de Jesús cuando, a los discípulos que le confirman haber entendido el significado de sus parábolas, les dice: «Pues bien, un escriba que se ha hecho discípulo del reino de los cielos es como un padre de familia que va sacando de su tesoro lo nuevo y lo antiguo» (Mt 13,52).
11. La Dei Verbum afirma, además, que «la Palabra de Dios, expresada en lenguas humanas, se hace semejante al lenguaje humano, como la Palabra del eterno Padre, asumiendo nuestra débil condición humana, se hizo semejante a los hombres» (n. 13). Es como decir que la Encarnación del Verbo de Dios da forma y sentido a la relación entre la Palabra de Dios y el lenguaje humano, con sus condiciones históricas y culturales. En este acontecimiento toma forma la Tradición, que también es Palabra de Dios (cf. ibíd., 9). A menudo se corre el riesgo de separar la Sagrada Escritura de la Tradición, sin comprender que juntas forman la única fuente de la Revelación. El carácter escrito de la primera no le quita nada a su ser plenamente palabra viva; así como la Tradición viva de la Iglesia, que la transmite constantemente de generación en generación a lo largo de los siglos, tiene el libro sagrado como «regla suprema de la fe» (ibíd., 21). Por otra parte, antes de convertirse en texto escrito, la Sagrada Escritura se transmitió oralmente y se mantuvo viva por la fe de un pueblo que la reconocía como su historia y su principio de identidad en medio de muchos otros pueblos. Por consiguiente, la fe bíblica se basa en la Palabra viva, no en un libro.
12. Cuando la Sagrada Escritura se lee con el mismo Espíritu que fue escrita, permanece siempre nueva. El Antiguo Testamento no es nunca viejo en cuanto que es parte del Nuevo, porque todo es transformado por el único Espíritu que lo inspira. Todo el texto sagrado tiene una función profética: no se refiere al futuro, sino al presente de aquellos que se nutren de esta Palabra. Jesús mismo lo afirma claramente al comienzo de su ministerio: «Hoy se ha cumplido esta Escritura que acabáis de oír» (Lc 4,21). Quien se alimenta de la Palabra de Dios todos los días se convierte, como Jesús, en contemporáneo de las personas que encuentra; no tiene tentación de caer en nostalgias estériles por el pasado, ni en utopías desencarnadas hacia el futuro.
La Sagrada Escritura realiza su acción profética sobre todo en quien la escucha. Causa dulzura y amargura. Vienen a la mente las palabras del profeta Ezequiel cuando, invitado por el Señor a comerse el libro, manifiesta: «Me supo en la boca dulce como la miel» (3,3). También el evangelista Juan en la isla de Patmos evoca la misma experiencia de Ezequiel de comer el libro, pero agrega algo más específico: «En mi boca sabía dulce como la miel, pero, cuando lo comí, mi vientre se llenó de amargor» (Ap 10,10).
La dulzura de la Palabra de Dios nos impulsa a compartirla con quienes encontramos en nuestra vida para manifestar la certeza de la esperanza que contiene (cf. 1 P 3,15-16). Por su parte, la amargura se percibe frecuentemente cuando comprobamos cuán difícil es para nosotros vivirla de manera coherente, o cuando experimentamos su rechazo porque no se considera válida para dar sentido a la vida. Por tanto, es necesario no acostumbrarse nunca a la Palabra de Dios, sino nutrirse de ella para descubrir y vivir en profundidad nuestra relación con Dios y con nuestros hermanos.
13. Otra interpelación que procede de la Sagrada Escritura se refiere a la caridad. La Palabra de Dios nos señala constantemente el amor misericordioso del Padre que pide a sus hijos que vivan en la caridad. La vida de Jesús es la expresión plena y perfecta de este amor divino que no se queda con nada para sí mismo, sino que se ofrece a todos incondicionalmente. En la parábola del pobre Lázaro encontramos una indicación valiosa. Cuando Lázaro y el rico mueren, este último, al ver al pobre en el seno de Abrahán, pide ser enviado a sus hermanos para aconsejarles que vivan el amor al prójimo, para evitar que ellos también sufran sus propios tormentos. La respuesta de Abrahán es aguda: «Tienen a Moisés y a los profetas: que los escuchen» (Lc 16,29). Escuchar la Sagrada Escritura para practicar la misericordia: este es un gran desafío para nuestras vidas. La Palabra de Dios es capaz de abrir nuestros ojos para permitirnos salir del individualismo que conduce a la asfixia y la esterilidad, a la vez que nos manifiesta el camino del compartir y de la solidaridad.
14. Uno de los episodios más significativos de la relación entre Jesús y los discípulos es el relato de la Transfiguración. Jesús sube a la montaña para rezar con Pedro, Santiago y Juan. Los evangelistas recuerdan que, mientras el rostro y la ropa de Jesús resplandecían, dos hombres conversaban con Él: Moisés y Elías, que encarnan la Ley y los Profetas, es decir, la Sagrada Escritura. La reacción de Pedro ante esa visión está llena de un asombro gozoso: «Maestro, ¡qué bueno es que estemos aquí! Haremos tres tiendas: una para ti, otra para Moisés y otra para Elías» (Lc 9,33). En aquel momento una nube los cubrió con su sombra y los discípulos se llenaron de temor.
La Transfiguración hace referencia a la fiesta de las Tiendas, cuando Esdras y Nehemías leían el texto sagrado al pueblo, después de su regreso del exilio. Al mismo tiempo, anticipa la gloria de Jesús en preparación para el escándalo de la pasión, gloria divina que es aludida por la nube que envuelve a los discípulos, símbolo de la presencia del Señor. Esta Transfiguración es similar a la de la Sagrada Escritura, que se trasciende a sí misma cuando alimenta la vida de los creyentes. Como recuerda la Verbum Domini: «Para restablecer la articulación entre los diferentes sentidos escriturísticos es decisivo comprender el paso de la letra al espíritu. No se trata de un paso automático y espontáneo; se necesita más bien trascender la letra» (n. 38).
15. En el camino de escucha de la Palabra de Dios, nos acompaña la Madre del Señor, reconocida como bienaventurada porque creyó en el cumplimiento de lo que el Señor le había dicho (cf. Lc 1,45). La bienaventuranza de María precede a todas las bienaventuranzas pronunciadas por Jesús para los pobres, los afligidos, los mansos, los pacificadores y los perseguidos, porque es la condición necesaria para cualquier otra bienaventuranza. Ningún pobre es bienaventurado porque es pobre; lo será si, como María, cree en el cumplimiento de la Palabra de Dios. Lo recuerda un gran discípulo y maestro de la Sagrada Escritura, san Agustín: «Entre la multitud ciertas personas dijeron admiradas: “Feliz el vientre que te llevó”; y Él: “Más bien, felices quienes oyen y custodian la Palabra de Dios”. Esto equivale a decir: también mi madre, a quien habéis calificado de feliz, es feliz precisamente porque custodia la Palabra de Dios; no porque en ella la Palabra se hizo carne y habitó entre nosotros, sino porque custodia la Palabra misma de Dios mediante la que ha sido hecha y que en ella se hizo carne» (Tratados sobre el evangelio de Juan, 10,3).
Que el domingo dedicado a la Palabra haga crecer en el pueblo de Dios la familiaridad religiosa y asidua con la Sagrada Escritura, como el autor sagrado lo enseñaba ya en tiempos antiguos: esta Palabra «está muy cerca de ti: en tu corazón y en tu boca, para que la cumplas» (Dt 30,14).
Dado en Roma, en San Juan de Letrán, el 30 de septiembre de 2019.
Memoria litúrgica de San Jerónimo en el inicio del 1600 aniversario de la muerte.
FRANCISCO
__________________
[1] Cf. AAS 102 (2010), 692-787.
[2] «La sacramentalidad de la Palabra se puede entender en analogía con la presencia real de Cristo bajo las especies del pan y del vino consagrados. Al acercarnos al altar y participar en el banquete eucarístico, realmente comulgamos el cuerpo y la sangre de Cristo. La proclamación de la Palabra de Dios en la celebración comporta reconocer que es Cristo mismo quien está presente y se dirige a nosotros para ser recibido» (Exhort. ap. Verbum Domini, 56).
[01537-ES.01] [Texto original: Italiano]
Traduzione in lingua portoghese
Carta Apostólica
sob forma de Motu Proprio
Aperuit illis
do Santo Padre
Francisco
pela qual se institui o
Domingo da Palavra de Deus
1. «Abriu-lhes o entendimento para compreenderem as Escrituras» (Lc 24, 45). Trata-se de um dos últimos gestos realizados pelo Senhor ressuscitado, antes da sua Ascensão. Encontrando-se os discípulos reunidos, Jesus aparece-lhes, parte o pão com eles e abre-lhes o entendimento à compreensão das sagradas Escrituras. Revela àqueles homens, temerosos e desiludidos, o sentido do mistério pascal, ou seja, que Ele, segundo os desígnios eternos do Pai, devia sofrer a paixão e ressuscitar dos mortos para oferecer a conversão e o perdão dos pecados (cf. Lc 24, 26.46-47); e promete o Espírito Santo que lhes dará a força para serem testemunhas deste mistério de salvação (cf. Lc 24, 49).
A relação entre o Ressuscitado, a comunidade dos crentes e a Sagrada Escritura é extremamente vital para a nossa identidade. Sem o Senhor que nos introduz na Sagrada Escritura, é impossível compreendê-la em profundidade; mas é verdade também o contrário, ou seja, que, sem a Sagrada Escritura, permanecem indecifráveis os acontecimentos da missão de Jesus e da sua Igreja no mundo. Como justamente escreve S. Jerónimo, «a ignorância das Escrituras é ignorância de Cristo» (Commentarii in Isaiam, Prologus: PL 24, 17).
2. No termo do Jubileu Extraordinário da Misericórdia, pedi que se pensasse num «domingo dedicado inteiramente à Palavra de Deus, para compreender a riqueza inesgotável que provém daquele diálogo constante de Deus com o seu povo» (Carta ap. Misericordia et misera, 7). A dedicação dum domingo do Ano Litúrgico particularmente à Palavra de Deus permite, antes de mais nada, fazer a Igreja reviver o gesto do Ressuscitado que abre, também para nós, o tesouro da sua Palavra, para podermos ser no mundo arautos desta riqueza inexaurível. A propósito, voltam à mente os ensinamentos de Santo Efrém: «Quem poderá compreender, Senhor, toda a riqueza duma só das tuas palavras? Como o sedento que bebe da fonte, muito mais é o que perdemos do que o que tomamos. A tua palavra apresenta muitos aspetos diversos, como diversas são as perspetivas daqueles que a estudam. O Senhor pintou a sua palavra com muitas belezas, para que aqueles que a perscrutam possam contemplar aquilo que preferirem. Escondeu na sua palavra todos os tesouros, para que cada um de nós se enriqueça em qualquer dos pontos que medita» (Comentários sobre o Diatessaron, 1, 18).
Assim, com esta Carta, pretendo dar resposta a muitos pedidos que me chegaram da parte do povo de Deus no sentido de se poder celebrar o Domingo da Palavra de Deus em toda a Igreja e com unidade de intenções. Já se tornou uma prática comum viver certos momentos em que a comunidade cristã se concentra sobre o grande valor que a Palavra de Deus ocupa na sua vida diária. Nas diversas Igrejas locais, há uma riqueza de iniciativas que torna a Sagrada Escritura cada vez mais acessível aos crentes para os fazerem sentir-se agradecidos por tão grande dom, comprometidos a vivê-lo no dia a dia e responsáveis por testemunhá-lo com coerência.
O Concílio Ecuménico Vaticano II deu um grande impulso à redescoberta da Palavra de Deus, com a constituição dogmática Dei Verbum. Das suas páginas que merecem ser sempre meditadas e vividas, emergem de forma clara a natureza da Sagrada Escritura, a sua transmissão de geração em geração (cap. II), a sua inspiração divina (cap. III) que abraça o Antigo e o Novo Testamento (caps. IV e V) e a sua importância para a vida da Igreja (cap. VI). Para incrementar esta doutrina, Bento XVI convocou em 2008 uma Assembleia do Sínodo dos Bispos sobre o tema «A Palavra de Deus na vida e na missão da Igreja» e, depois dela, publicou a exortação apostólica Verbum Domini, que constitui um ensinamento imprescindível para as nossas comunidades.[1] Neste Documento, aprofunda-se de modo particular o caráter performativo da Palavra de Deus, sobretudo quando, na ação litúrgica, emerge o seu caráter propriamente sacramental.[2]
Por isso, é bom que não venha jamais a faltar na vida do nosso povo esta relação decisiva com a Palavra viva, que o Senhor nunca Se cansa de dirigir à sua Esposa, para que esta possa crescer no amor e no testemunho da fé.
3. Portanto estabeleço que o III Domingo do Tempo Comum seja dedicado à celebração, reflexão e divulgação da Palavra de Deus. Este Domingo da Palavra de Deus colocar-se-á, assim, num momento propício daquele período do ano em que somos convidados a reforçar os laços com os judeus e a rezar pela unidade dos cristãos. Não se trata de mera coincidência temporal: a celebração do Domingo da Palavra de Deus expressa uma valência ecuménica, porque a Sagrada Escritura indica, a quantos se colocam à sua escuta, o caminho a seguir para se chegar a uma unidade autêntica e sólida.
As comunidades encontrarão a forma de viver este Domingo como um dia solene. Entretanto será importante que, na celebração eucarística, se possa entronizar o texto sagrado, de modo a tornar evidente aos olhos da assembleia o valor normativo que possui a Palavra de Deus. Neste Domingo, em particular, será útil colocar em evidência a sua proclamação e adaptar a homilia para se pôr em destaque o serviço que se presta à Palavra do Senhor. Neste Domingo, os Bispos poderão celebrar o rito do Leitorado ou confiar um ministério semelhante, a fim de chamar a atenção para a importância da proclamação da Palavra de Deus na liturgia. De facto, é fundamental que se faça todo o esforço possível no sentido de preparar alguns fiéis para serem verdadeiros anunciadores da Palavra com uma preparação adequada, tal como já acontece habitualmente com os acólitos ou os ministros extraordinários da comunhão. Da mesma maneira, os párocos poderão encontrar formas de entregar a Bíblia, ou um dos seus livros, a toda a assembleia, de modo a fazer emergir a importância de continuar na vida diária a leitura, o aprofundamento e a oração com a Sagrada Escritura, com particular referência à lectio divina.
4. O regresso do povo de Israel à pátria, depois do exílio de Babilónia, foi assinalado de modo significativo pela leitura do livro da Lei. A Bíblia dá-nos uma comovente descrição daquele momento, no livro de Neemias. O povo está reunido em Jerusalém, na praça da Porta das Águas, a escutar a Lei. Aquele povo dispersara-se com a deportação, mas agora encontra-se reunido à volta da Sagrada Escritura «como um só homem» (Ne 8, 1). Durante a leitura do Livro sagrado, o povo «escutava com atenção» (Ne 8, 3), ciente de encontrar naquela palavra o sentido para os acontecimentos vividos. Em reação à proclamação daquelas palavras, brotou a comoção e o pranto. Os levitas «liam, clara e distintamente, o livro da Lei de Deus e explicavam o seu sentido, de modo que se pudesse compreender a leitura. O governador Neemias, Esdras, sacerdote e escriba, e os levitas que instruíam o povo disseram a toda a multidão: “Este é um dia consagrado ao Senhor, vosso Deus; não vos entristeçais nem choreis”. Pois todo o povo chorava ao ouvir as palavras da Lei. (…) “Não vos entristeçais, porque a alegria do Senhor é a vossa força”» (Ne 8, 8-9.10).
Estas palavras encerram uma grande lição. A Bíblia não pode ser património só de alguns e, menos ainda, uma coletânea de livros para poucos privilegiados. Pertence, antes de mais nada, ao povo convocado para a escutar e se reconhecer nesta Palavra. Muitas vezes, surgem tendências que procuram monopolizar o texto sagrado, desterrando-o para alguns círculos ou grupos escolhidos. Não pode ser assim. A Bíblia é o livro do povo do Senhor que, escutando-a, passa da dispersão e divisão à unidade. A Palavra de Deus une os crentes e faz deles um só povo.
5. Nesta unidade gerada pela escuta, primariamente os Pastores têm a grande responsabilidade de explicar e fazer compreender a todos a Sagrada Escritura. Uma vez que é o livro do povo, todos os que têm a vocação de ser ministros da Palavra devem sentir fortemente a exigência de a tornar acessível à sua comunidade.
De modo particular, a homilia desempenha uma função totalmente peculiar, porque possui «um caráter quase sacramental» (Francisco, Exort. ap. Evangelii gaudium, 142). Introduzir profundamente na Palavra de Deus, com uma linguagem simples e adaptada a quem escuta, requer do sacerdote que faça descobrir também «a beleza das imagens que o Senhor utilizava para incentivar a prática do bem» (Ibid., 142). Trata-se duma oportunidade pastoral a não perder!
Com efeito, para muitos dos nossos fiéis, esta é a única ocasião que têm para captar a beleza da Palavra de Deus e a ver referida à sua vida diária. Por isso, é preciso dedicar tempo conveniente à preparação da homilia. Não se pode improvisar o comentário às leituras sagradas. Sobretudo a nós, pregadores, pede-se o esforço de não nos alongarmos desmesuradamente com homilias enfatuadas ou sobre assuntos não atinentes. Se nos detivermos a meditar e rezar sobre o texto sagrado, então seremos capazes de falar com o coração para chegar ao coração das pessoas que escutam, de modo a expressar o essencial que é recebido e produz fruto. Nunca nos cansemos de dedicar tempo e oração à Sagrada Escritura, para que seja acolhida, «não como palavra de homens, mas como ela é realmente, palavra de Deus» (1 Ts 2, 13).
É bom também que os catequistas, atendendo ao ministério que desempenham de ajudar a crescer na fé, sintam a urgência de se renovar através da familiaridade e estudo das sagradas Escrituras, que lhes consintam promover um verdadeiro diálogo entre aqueles que os escutam e a Palavra de Deus.
6. Antes de ir ter com os discípulos, que estavam fechados em casa, e de lhes abrir a mente ao entendimento da Sagrada Escritura (cf. Lc 24, 44-45), o Ressuscitado aparece a dois deles no caminho que vai de Jerusalém a Emaús (cf. Lc 24, 13-35). Na sua narração, o evangelista Lucas faz notar que se verificou no próprio dia da Ressurreição, ou seja, no domingo. Aqueles dois discípulos conversavam sobre os recentes acontecimentos da paixão e morte de Jesus. O seu caminho é marcado pela tristeza e a desilusão, devido ao trágico fim de Jesus. Esperaram n’Ele como Messias libertador, e agora embatem no escândalo do Crucificado. Discretamente, o Ressuscitado em pessoa aproxima-Se e caminha com os discípulos, mas eles não O reconhecem (cf. Lc 24, 16). Ao longo do caminho, o Senhor interpela-os, dando-Se conta de que não compreenderam o sentido da sua paixão e morte; chama-lhes «homens sem inteligência e lentos de espírito» (Lc 24, 25) e, «começando por Moisés e seguindo por todos os Profetas, explicou-lhes, em todas as Escrituras, tudo o que Lhe dizia respeito» (Lc 24, 27). Cristo é o primeiro exegeta! Não só as Escrituras antigas tinham predito aquilo que Jesus havia de realizar, mas Ele próprio quis ser fiel àquela Palavra para tornar evidente a única história da salvação, que n’Ele encontra a sua realização.
7. Por isso a Bíblia, enquanto Escritura Sagrada, fala de Cristo e anuncia-O como Aquele que deve passar pelo sofrimento para entrar na glória (cf. Lc 24, 26). E d’Ele falam não só uma parte, mas todas as Escrituras. Sem estas, são indecifráveis a sua morte e ressurreição. Por isso, uma das mais antigas confissões de fé sublinha que Cristo «morreu pelos nossos pecados, segundo as Escrituras; foi sepultado e ressuscitou ao terceiro dia, segundo as Escrituras, e apareceu a Cefas» (1 Cor 15, 3-5). Uma vez que as Escrituras falam de Cristo, consentem acreditar que a sua morte e ressurreição não pertencem à mitologia mas à história, e encontram-se no centro da fé dos seus discípulos.
É profundo o vínculo entre a Sagrada Escritura e a fé dos crentes. Sabendo que a fé vem da escuta, e a escuta centra-se na Palavra de Cristo (cf. Rm 10, 17), daí se vê a urgência e a importância que os crentes devem dar à escuta da Palavra do Senhor, tanto na ação litúrgica, como na oração e reflexão pessoais.
8. A «viagem» do Ressuscitado com os discípulos de Emaús conclui com a ceia. O misterioso Viandante acede ao pedido insistente que os dois Lhe dirigem: «Fica connosco, pois a noite vai caindo e o dia já está no ocaso» (Lc 24, 29). Sentam-se à mesa; Jesus toma o pão, pronuncia a bênção, parte-o e dá-o a eles. Naquele momento, abrem-se-lhes os olhos e reconhecem-No (cf. Lc 24, 31).
A partir desta cena, compreendemos como seja indivisível a relação entre a Sagrada Escritura e a Eucaristia. O Concílio Vaticano II ensina: «A Igreja venerou sempre as divinas Escrituras como venera o próprio Corpo do Senhor, não deixando jamais, sobretudo na sagrada Liturgia, de tomar e distribuir aos fiéis o pão da vida, quer da mesa da palavra de Deus quer da do Corpo de Cristo» (Dei Verbum, 21).
A frequência assídua da Sagrada Escritura e a celebração da Eucaristia tornam possível o reconhecimento entre pessoas que são parte umas das outras. Como cristãos, somos um só povo que caminha na história, fortalecido pela presença no meio de nós do Senhor que nos fala e alimenta. O dia dedicado à Bíblia pretende ser, não «uma vez no ano», mas uma vez por todo o ano, porque temos urgente necessidade de nos tornar familiares e íntimos da Sagrada Escritura e do Ressuscitado, que não cessa de partir a Palavra e o Pão na comunidade dos crentes. Para tal, precisamos de entrar em confidência assídua com a Sagrada Escritura; caso contrário, o coração fica frio e os olhos permanecem fechados, atingidos, como somos, por inumeráveis formas de cegueira.
Sagrada Escritura e Sacramentos são inseparáveis entre si. Quando os Sacramentos são introduzidos e iluminados pela Palavra, manifestam-se mais claramente como a meta dum caminho onde o próprio Cristo abre a mente e o coração ao reconhecimento da sua ação salvífica. Neste contexto, é preciso não esquecer um ensinamento que vem do livro do Apocalipse; lá se ensina que o Senhor está à porta e bate. Se uma pessoa ouvir a sua voz e Lhe abrir a porta, Ele entra para cear junto com ela (cf. 3, 20). Cristo Jesus bate à nossa porta através da Sagrada Escritura; se ouvirmos e abrirmos a porta da mente e do coração, então Ele entra na nossa vida e permanece connosco.
9. Na II Carta a Timóteo, que de certa forma constitui o testamento espiritual de Paulo, este recomenda ao seu fiel colaborador que frequente assiduamente a Sagrada Escritura. O Apóstolo está convencido de que «toda a Escritura é inspirada por Deus e adequada para ensinar, refutar, corrigir e educar na justiça» (3, 16). Esta recomendação de Paulo a Timóteo constitui uma base sobre a qual a constituição conciliar Dei Verbum aborda o grande tema da inspiração da Sagrada Escritura, base essa donde emergem particularmente a finalidade salvífica, a dimensão espiritual e o princípio da encarnação para a Sagrada Escritura.
Apelando-se, antes de mais nada, à recomendação de Paulo a Timóteo, a Dei Verbum sublinha que «os livros da Escritura ensinam com certeza, fielmente e sem erro a verdade que Deus, para nossa salvação, quis que fosse consignada nas sagradas Escrituras» (n. 11). Porque estas instruem tendo em vista a salvação pela fé em Cristo (cf. 2 Tm 3, 15), as verdades nelas contidas servem para a nossa salvação. A Bíblia não é uma coletânea de livros de história nem de crónicas, mas está orientada completamente para a salvação integral da pessoa. A inegável radicação histórica dos livros contidos no texto sagrado não deve fazer esquecer esta finalidade primordial: a nossa salvação. Tudo está orientado para esta finalidade inscrita na própria natureza da Bíblia, composta como história de salvação na qual Deus fala e age para ir ao encontro de todos os homens e salvá-los do mal e da morte.
Para alcançar esta finalidade salvífica, a Sagrada Escritura, sob a ação do Espírito Santo, transforma em Palavra de Deus a palavra dos homens escrita à maneira humana (cf. Dei Verbum, 12). O papel do Espírito Santo na Sagrada Escritura é fundamental. Sem a sua ação, estaria sempre iminente o risco de ficarmos fechados apenas no texto escrito, facilitando uma interpretação fundamentalista, da qual é necessário manter-se longe para não trair o caráter inspirado, dinâmico e espiritual que o texto possui. Como recorda o Apóstolo, «a letra mata, enquanto o Espírito dá a vida» (2 Cor 3, 6). Por conseguinte, o Espírito Santo transforma a Sagrada Escritura em Palavra viva de Deus, vivida e transmitida na fé do seu povo santo.
10. A ação do Espírito Santo não diz respeito apenas à formação da Sagrada Escritura, mas atua também naqueles que se colocam à escuta da Palavra de Deus. É importante a afirmação dos padres conciliares, segundo a qual a Sagrada Escritura deve ser «lida e interpretada com o mesmo Espírito com que foi escrita» (Dei Verbum, 12). Com Jesus Cristo, a revelação de Deus alcança a sua realização e plenitude; e, todavia, o Espírito Santo continua a sua ação. De facto, seria redutivo limitar a ação do Espírito Santo apenas à natureza divinamente inspirada da Sagrada Escritura e aos seus diversos autores. Por isso, é necessário ter confiança na ação do Espírito Santo que continua a realizar uma sua peculiar forma de inspiração, quando a Igreja ensina a Sagrada Escritura, quando o Magistério a interpreta de forma autêntica (cf. ibid., 10) e quando cada crente faz dela a sua norma espiritual. Neste sentido, podemos compreender as palavras ditas por Jesus aos discípulos, depois que estes Lhe asseveraram ter compreendido o significado das suas parábolas: «Todo o doutor da lei instruído acerca do Reino do Céu é semelhante a um pai de família, que tira coisas novas e velhas do seu tesouro» (Mt 13, 52).
11. Por fim, a Dei Verbum especifica que «as palavras de Deus, expressas por línguas humanas, tornaram-se intimamente semelhantes à linguagem humana, como outrora o Verbo do eterno Pai Se assemelhou aos homens, tomando a carne da fraqueza humana» (n. 13). Isto equivale a dizer que a encarnação do Verbo de Deus dá forma e sentido à relação entre a Palavra de Deus e a linguagem humana, com as suas condições históricas e culturais. É neste evento que ganha forma a Tradição, também ela Palavra de Deus (cf. ibid., 9). Muitas vezes corre-se o risco de separar Sagrada Escritura e Tradição, sem compreender que elas, juntas, constituem a única fonte da Revelação. O caráter escrito da primeira, nada tira ao facto de ela ser plenamente palavra viva; assim como a Tradição viva da Igreja, que no decurso dos séculos a transmite incessantemente de geração em geração, possui aquele livro sagrado como a «regra suprema da fé» (Ibid., 21). Além disso, antes de se tornar um texto escrito, a Sagrada Escritura foi transmitida oralmente e mantida viva pela fé dum povo que a reconhecia como sua história e princípio de identidade no meio de tantos outros povos. Por isso, a fé bíblica funda-se sobre a Palavra viva, não sobre um livro.
12. Quando a Sagrada Escritura é lida com o mesmo Espírito com que foi escrita, permanece sempre nova. O Antigo Testamento nunca é velho, uma vez que é parte do Novo, pois tudo é transformado pelo único Espírito que o inspira. O texto sagrado inteiro possui uma função profética: esta não diz respeito ao futuro, mas ao hoje de quem se alimenta desta Palavra. Afirma-o claramente o próprio Jesus, no início do seu ministério: «Cumpriu-se hoje esta passagem da Escritura, que acabais de ouvir» (Lc 4, 21). Quem se alimenta dia a dia da Palavra de Deus torna-se, como Jesus, contemporâneo das pessoas que encontra; não se sente tentado a cair em nostalgias estéreis do passado, nem em utopias desencarnadas relativas ao futuro.
A Sagrada Escritura desempenha a sua ação profética, antes de mais nada, em relação a quem a escuta, provocando-lhe doçura e amargura. Vêm à mente as palavras do profeta Ezequiel, quando, convidado pelo Senhor a comer o rolo do livro, confessa: «Ele foi, na minha boca, doce como o mel» (3, 3). Também o evangelista João revive, na ilha de Patmos, a mesma experiência de Ezequiel de comer o livro, mas acrescenta algo de mais específico: «Na minha boca era doce como o mel; mas, depois de o comer, as minhas entranhas encheram-se de amargura» (Ap 10, 10).
A doçura da Palavra de Deus impele-nos a comunicá-la a quantos encontramos na nossa vida, expressando a certeza da esperança que ela contém (cf. 1 Ped 3, 15-16). Entretanto a amargura apresenta-se, muitas vezes, no facto de verificar como se torna difícil para nós termos de a viver com coerência, ou de constatar sensivelmente que é rejeitada, porque não se considera válida para dar sentido à vida. Por isso, é necessário que nunca nos abeiremos da Palavra de Deus por mero hábito, mas nos alimentemos dela para descobrir e viver em profundidade a nossa relação com Deus e com os irmãos.
13. Outra provocação que nos vem da Sagrada Escritura tem a ver com a caridade. A Palavra de Deus apela constantemente para o amor misericordioso do Pai, que pede a seus filhos para viverem na caridade. A vida de Jesus é a expressão plena e perfeita deste amor divino, que nada guarda para si, mas a todos se oferece sem reservas. Na parábola do pobre Lázaro, encontramos uma indicação preciosa. Depois da morte de Lázaro e do rico, este vê o pobre no seio de Abraão e pede para Lázaro ser enviado a casa dos seus irmãos a fim de os advertir sobre a vivência do amor do próximo para evitar que venham sofrer os mesmos tormentos dele. A resposta de Abraão é incisiva: «Têm Moisés e os Profetas; que os oiçam!» (Lc 16, 29). Escutar as sagradas Escrituras para praticar a misericórdia: este é um grande desafio lançado à nossa vida. A Palavra de Deus é capaz de abrir os nossos olhos, permitindo-nos sair do individualismo que leva à asfixia e à esterilidade enquanto abre a estrada da partilha e da solidariedade.
14. Um dos episódios mais significativos desta relação entre Jesus e os discípulos é a Transfiguração. Acompanhado por Pedro, Tiago e João, Jesus sobe ao monte para rezar. Os evangelistas lembram como se tornaram resplandecentes o rosto e as vestes de Jesus, enquanto dois homens conversavam com Ele: Moisés e Elias, que personificam respetivamente a Lei e os Profetas, isto é, as sagradas Escrituras. A reação de Pedro a tal visão transborda de jubilosa maravilha: «Mestre, é bom estarmos aqui. Façamos três tendas: uma para Ti, uma para Moisés e outra para Elias» (Lc 9, 33). Naquele momento, uma nuvem cobre-os com a sua sombra, e o medo apodera-se dos discípulos.
A Transfiguração faz pensar na Festa dos Tabernáculos, quando Esdras e Neemias liam o texto sagrado ao povo, depois do regresso do exílio. Ao mesmo tempo, antecipa a glória de Jesus como preparação para o escândalo da paixão; glória divina que é evocada também pela nuvem que envolve os discípulos, símbolo da presença do Senhor. Esta Transfiguração é semelhante à da Sagrada Escritura, que se transcende a si mesma, quando alimenta a vida dos crentes. Como nos recorda a Verbum Domini, «para se recuperar a articulação entre os diversos sentidos da Escritura, torna-se decisivo identificar a passagem entre letra e espírito. Não se trata duma passagem automática e espontânea; antes, é preciso transcender a letra» (n. 38).
15. No caminho da receção da Palavra de Deus, acompanha-nos a Mãe do Senhor, reconhecida como bem-aventurada por ter acreditado no cumprimento daquilo que Lhe dissera o Senhor (cf. Lc 1, 45). A bem-aventurança de Maria antecede todas as bem-aventuranças pronunciadas por Jesus para os pobres, os aflitos, os mansos, os pacificadores e os que são perseguidos, porque é condição necessária para qualquer outra bem-aventurança. Nenhum pobre é bem-aventurado por ser pobre; mas passa a sê-lo, se, como Maria, acreditar no cumprimento da Palavra de Deus. Lembra-o um grande discípulo e mestre da Sagrada Escritura, Santo Agostinho: «Uma pessoa do meio da multidão, cheia de entusiasmo, exclamou: “Bem-aventurado o ventre que Te trouxe”. E Ele: “Mais felizes são os que ouvem a palavra de Deus e a guardam”. Como que a dizer: também a minha mãe, a quem tu chamas bem-aventurada, é bem-aventurada justamente porque guarda a palavra de Deus, não porque n’Ela o Verbo Se fez carne e habitou entre nós, mas porque guarda o próprio Verbo de Deus por meio do Qual foi feita, e que n’Ela Se fez carne» (Sobre o Evangelho de São João, 10, 3).
Possa o domingo dedicado à Palavra fazer crescer no povo de Deus uma religiosa e assídua familiaridade com as sagradas Escrituras, tal como ensinava o autor sagrado já nos tempos antigos: esta palavra «está muito perto de ti, na tua boca e no teu coração, para a praticares» (Dt 30, 14).
Roma, em São João de Latrão, no dia 30 de setembro de 2019,
Memória litúrgica de São Jerónimo e início do 1600º aniversário da sua morte.
FRANCISCO
________________________
[1] Cf. AAS 102 (2010), 692-787.
[2] «Assim é possível compreender a sacramentalidade da Palavra através da analogia com a presença real de Cristo sob as espécies do pão e do vinho consagrados. Aproximando-nos do altar e participando no banquete eucarístico, comungamos realmente o corpo e o sangue de Cristo. A proclamação da Palavra de Deus na celebração comporta reconhecer que é o próprio Cristo que Se faz presente e Se dirige a nós para ser acolhido» (Verbum Domini, 56).
[01537-PO.01] [Texto original: Italiano]
Traduzione in lingua polacca
w formie Motu Proprio
Ojca Świętego
Franciszka
Aperuit illis
w którym ustanawia
Niedzielę Słowa Bożego
1. «Wtedy oświecił ich umysły, aby rozumieli Pisma» (Łk 24, 45). To jeden z ostatnich gestów, jakie uczynił Zmartwychwstały Pan, zanim wstąpił do nieba. Objawia się Uczniom, gdy są zgromadzeni, łamie z nimi chleb i otwiera ich umysły, aby pojęli Pismo Święte. Tym ludziom, wystraszonym i rozczarowanym, objawia sens tajemnicy paschalnej: a mianowicie, że to według odwiecznego planu Ojca, Jezus musiał cierpieć i powstać z martwych, aby ogłosić nawrócenie i przebaczenie grzechów (por. Łk 24, 26.46-47). Obiecuje On również uczniom Ducha Świętego, który da im siłę do bycia świadkami tej Tajemnicy zbawienia (por. Łk 24, 49).
Relacja pomiędzy Zmartwychwstałym, wspólnotą wierzących oraz Pismem Świętym jest ekstremalnie życiodajna dla naszej tożsamości. Bez Pana, który nas wprowadza, niemożliwe jest zrozumienie głębokości Pisma Świętego. To działa również w drugą stronę: bez Pisma Świętego, wydarzenia z Misji Jezusa oraz Jego Kościoła w świecie są niemożliwe do odczytania. Słusznie św. Hieronim mógł napisać: «Nieznajomość Pisma Świętego jest nieznajomością Chrystusa» (In Is., Prolog: PL 24, 17).
2. Na zakończenie Nadzwyczajnego Jubileuszu Miłosierdzia poprosiłem, aby «jedna niedziela [w ciągu roku została] w całości poświęcona słowu Bożemu, aby zrozumieć niewyczerpalne bogactwo pochodzące z tego nieustannego dialogu między Bogiem a Jego ludem» (List Apost. Misericordia er misera, 7). Przeznaczenie w sposób szczególny jednej niedzieli w ciągu Roku Liturgicznego Słowu Bożemu pozwoli przede wszystkim na odnowienie w Kościele gestu dokonanego przez Zmartwychwstałego, który otwiera również dla nas skarbiec swojego Słowa, abyśmy mogli być w świecie głosicielami tego niewyczerpanego bogactwa. Przychodzi na myśl nauczanie św. Efrema: «Któż jest zdolny, aby pojąć, o Panie, wszystkie bogactwa jednego tylko z Twoich słów? Jest o wiele więcej tego, co nam umyka, od tego, co udaje nam się pojąć. Jesteśmy jak spragnieni, którzy piją ze źródła. Twoje słowo ma wiele różnych aspektów, tak jak liczne są perspektywy tych, którzy je badają. Pan pokolorował swoje słowo rozmaitym pięknem, aby ci, którzy je zgłębiają, mogli kontemplować to, co im opowiada. Ukrył w swoim słowie wszystkie skarby, aby każdy z nas znalazł bogactwo w tym, co kontempluje» (Komentarz do Diatessaronu, 1, 18).
Stąd też w niniejszym Liście zamierzam odpowiedzieć na wiele próśb, które do mnie skierował Lud Boży, aby w całym Kościele można było celebrować w jedności zamiarów Niedzielę Słowa Bożego. Życie chwilami, w których wspólnota chrześcijańska koncentruje się na wielkiej wartości Słowa Bożego, stało się już powszechną praktyką stosowaną codziennie. W Kościołach lokalnych istnieje bogactwo inicjatyw, które pozwalają wierzącym na coraz większy dostęp do Pisma Świętego, tak że czują oni wdzięczność za ten wielki dar, są zaangażowani, by żyć nim w codzienności i odpowiedzialni, aby świadczyć o nim harmonijnym oraz spójnym życiem.
Sobór Watykański II w Konstytucji Dogmatycznej Dei Verbum dał początek ponownemu odkryciu Słowa Bożego. Ze stron tejże Konstytucji, która zawsze zasługuje na to, by była rozważana i przeżyta, przebija w jasny sposób natura Pisma Świętego, jego przechodzenie z pokolenia na pokolenie (Rozdział II), jego Boskie natchnienie (Rozdział III), które obejmuje Stary i Nowy Testament (Rozdział IV i V) oraz jego ważność dla całego Kościoła (Rozdział VI). Aby pogłębić to nauczanie, Benedykt XVI zwołał w 2008 roku Synod Biskupów na temat „Słowo Boże w życiu i misji Kościoła”, w następstwie którego powstała Adhortacja Apostolska Verbum Domini, która stanowi nieodzowne nauczanie dla naszych wspólnot1. W tymże Dokumencie w sposób szczególny jest pogłębiony charakter performatywny Słowa Bożego, przede wszystkim wtedy, gdy w akcji liturgicznej wychodzi na jaw jego charakter realnie sakramentalny2. Stąd też konieczne jest, aby nie zabrakło w życiu naszego ludu tej decydującej relacji ze Słowem żywym, które Pan niestrudzenie kieruje do swojej Oblubienicy, aby mogła wzrastać w miłości i w świadectwie w wiary.
3. Ustanawiam zatem III Niedzielę Zwykłą w ciągu roku jako poświęconą celebracji, refleksji oraz krzewieniu Słowa Bożego. Ta Niedziela Słowa Bożego staje się odpowiednim momentem tego okresu roku, w którym jesteśmy wezwani do wzmocnienia więzi z wyznawcami judaizmu oraz do modlitwy o jedność chrześcijan. Nie jest to przypadek: celebrowanie Niedzieli Słowa Bożego wyraża charakter ekumeniczny, ponieważ Pismo Święte wskazuje tym, którzy się w nie wsłuchują, drogę do przebycia, aby dojść do trwalej i autentycznej jedności.
Wspólnoty znajdą sposób, by przeżywać tę Niedzielę jako dzień uroczysty. Jest ważne, aby w celebracji Eucharystii można było intronizować Świętą Księgę tak, aby dla zgromadzenia jasnym stał się charakter normatywny, jaki posiada Słowo Boże. W Niedzielę Słowa Bożego w sposób szczególny należy uwydatnić głoszenie słowa oraz przystosować homilie tak, by podkreślić cześć, jaką się oddaje Słowu Pana. Biskupi będą mogli w tę Niedzielę udzielać urzędu Lektoratu lub też powierzać podobną mu posługę, aby przywołać ważność głoszenia Słowa Bożego w Liturgii. Istotne jest, aby nie zabrakło każdego wysiłku, ażeby przygotować wybranych wiernych, poprzez odpowiednią formację, do bycia prawdziwymi głosicielami Słowa, tak jak to się już dokonuje w przypadku akolitów lub nadzwyczajnych szafarzy Eucharystii. W ten sam sposób proboszczowie będą mogli znaleźć odpowiednią formę ku temu, by wręczyć Biblię lub jedną z jej ksiąg całemu zgromadzeniu, aby ukazać ważność codziennej lektury oraz modlitwy Pismem Świętym, ze szczególnym odniesieniem do jej formy zwanej lectio divina.
4. Powrót Ludu izraelskiego do swojej ojczyzny po wygnaniu babilońskim był naznaczony w sposób szczególny lekturą Księgi Prawa. Biblia daje nam wzruszający opis tej chwili w Księdze Nehemiasza. Lud jest zebrany w Jerozolimie, na placu przed Bramą Wodną, by słuchać Prawa. Ten Lud, który został rozproszony podczas wygnania, teraz na nowo gromadzi się wokół Pisma Świętego «jak jeden mąż» (Ne 8, 1). Podczas czytania Lud miał «uszy zwrócone» (Ne 8, 3) ku Księdze Świętej, wiedząc, że znajduje w jej słowach sens wydarzeń, które go spotkały. Reakcją na głoszenie słowa było wzruszenie i płacz: «[Lewici czytali z] księgi Prawa Bożego, dobitnie, z dodaniem objaśnienia, tak że lud rozumiał czytanie. Wtedy Nehemiasz, to jest namiestnik, oraz kapłan-pisarz Ezdrasz, jak i lewici, którzy pouczali lud, rzekli do całego ludu: „Ten dzień jest poświęcony Panu, Bogu waszemu. Nie bądźcie smutni i nie płaczcie! Cały lud bowiem płakał, gdy słyszał te słowa Prawa. […] Nie bądźcie przygnębieni, gdyż radość w Panu jest waszą ostoją”» (Ne 8, 8-10).
Słowa te zawierają wielką naukę. Biblia nie może być dziedzictwem tylko nielicznych, ani nie może stać się zbiorem ksiąg dla kilku osób uprzywilejowanych. Biblia należy przede wszystkim do ludu zebranego, aby jej słuchał i odnalazł się w jej Słowie. Często pojawiają się tendencje, które starają się monopolizować święte teksty, przypisując je do pewnych kręgów i wybranych grup. Tak nie może być. Biblia jest Księgą Ludu Pana, który w słuchaniu Jego głosu przechodzi od rozproszenia i podziału do jedności. Słowo Boga jednoczy wiernych i sprawia, że stają się jednym ludem.
5. W tej jedności zrodzonej ze słuchania, Pasterze mają przede wszystkim wielką odpowiedzialność za wyjaśnianie i pomoc wszystkim w zrozumieniu Pisma Świętego. Ponieważ Pismo to jest księgą ludu, zatem ci, którzy mają powołanie do posługiwania Słowu, muszą czuć silną potrzebę tego, by wspólnota miała dostęp do tegoż Słowa.
Homilia w szczególności nabiera szczególnego znaczenia, ponieważ posiada «charakter niemal sakramentalny» (Evangelii gaudium, 142). Wprowadzanie w głębokości Bożego Słowa, używając jeżyka prostego i odpowiedniego dla tego, kto go słucha, pozwala kapłanowi odkryć również «piękno obrazów, jakimi posługiwał się Pan, by pobudzać do praktykowania dobra» (Evangelii gaudium, 142). To jest duszpasterska okazja, której nie można stracić!
Dla wielu naszych wiernych jest to jedyna okazja, aby zrozumieć piękno Słowa Bożego i dojrzeć Jego powiązania z ich codziennym życiem. Konieczne jest, aby poświęcono odpowiednio dużo czasu na przygotowanie homilii. Nie można improwizować komentarza do czytań świętych. Od nas, kaznodziejów, oczekuje się raczej, że będziemy się starać nie rozciągać ponad miarę przemądrzałych homilii lub poruszać nieodpowiednich argumentów. Kiedy zatrzymujemy się na medytacji oraz modlitwie tekstem świętym, wtedy stajemy się zdolni do mówienia sercem, aby dotrzeć do serc osób, które słuchają, wyrażając istotę tego, co jest przyjmowane i co przynosi owoc. Nie ustawajmy nigdy w poświęcaniu Pismu Świętemu czasu i modlitwy, aby zostało przyjęte «nie jako słowo ludzkie, ale - jak jest naprawdę - jako słowo Boga» (1 Tes 2, 13).
Byłoby dobrze, aby również katecheci, ze względu na posługę, jaką pełnią, pomagając we wzroście wiary, czuli pilną potrzebę odnawiania się poprzez bliskość i studiowanie Pisma Świętego, które ułatwia im prowadzenie prawdziwego dialogu pomiędzy tymi, którzy ich słuchają, a Słowem Bożym.
6. Zanim Zmartwychwstały objawi się uczniom zamkniętym w domu, otwierając ich na poznanie Pisma Świętego (por. Łk 24, 44-45), spotyka się On najpierw z dwoma z nich na drodze, która prowadzi do Emaus (por. Łk 24, 13-35). Ewangelista Łukasz odnotowuje, że jest to sam dzień zmartwychwstania, czyli niedziela. Ci dwaj uczniowie dyskutują o ostatnich wydarzeniach męki i śmierci Jezusa. Ich droga naznaczona jest smutkiem i rozczarowaniem po tragicznym końcu życia Jezusa. Pokładali w Nim nadzieję, jako Mesjaszu-wyzwolicielu, a znaleźli się w obliczu skandalu Ukrzyżowanego. Zmartwychwstały, zbliżając się dyskretnie, dołącza się i idzie z uczniami, ale oni Go nie rozpoznają (por. w. 16). Po drodze Pan wypytuje ich, zdając sobie sprawę, że nie zrozumieli znaczenia Jego męki i śmierci; nazywa ich „nierozumnymi” oraz „ludźmi o nieskorym do wierzenia sercu” (por. w. 25) «i zaczynając od Mojżesza poprzez wszystkich proroków wykładał im, co we wszystkich Pismach odnosiło się do Niego» (w. 27). Chrystus jest pierwszym egzegetą! Pismo Święte nie tylko przewidziało, co miało się dokonać, ale także sam Zbawiciel chciał być wierny temu Słowu, aby wyjaśnić tę jedyną historię zbawienia, która w Chrystusie znajduje swe wypełnienie.
7. Biblia zatem, będąc Pismem Świętym, mówi o Chrystusie i ogłasza Go jako tego, który musi przejść przez cierpienie, aby wejść do chwały (por. w. 26). Nie jakaś pojedyncza część Biblii, ale wszystkie jej Księgi mówią o Nim. Bez nich Jego śmierć i zmartwychwstanie są nie do odczytania. Oto dlaczego jedno z najstarszych wyznań wiary podkreśla, «że Chrystus umarł - zgodnie z Pismem - za nasze grzechy, że został pogrzebany, że zmartwychwstał trzeciego dnia, zgodnie z Pismem: i że ukazał się Kefasowi» (1 Kor 15,3-5). Tak też Pismo Święte mówi o Chrystusie, pozwalając nam wierzyć, że Jego śmierć i zmartwychwstanie nie należą do mitologii, ale do historii i są w centrum wiary Jego uczniów.
Więź między Pismem Świętym a wiarą ludzi jest głęboka. Ponieważ wiara rodzi się ze słuchania, a słuchanie jest skoncentrowane na słowie Chrystusa (por. Rz 10, 17), zaproszenie, które rodzi się w tej relacji, staje się pilne i ważne, tak że wierzący muszą przeznaczyć czas na słuchanie Słowa Pana zarówno w działaniu liturgicznym, jak i modlitwie oraz refleksji osobistej.
8. „Podróż” Zmartwychwstałego z uczniami do Emaus kończy się posiłkiem. Tajemniczy Wędrowiec przyjmuje natarczywą prośbę, którą obydwaj uczniowie wypowiedzieli do niego: «Zostań z nami, gdyż ma się ku wieczorowi i dzień się już nachylił» (Łk 24, 29). Siadają przy stole, Jezus bierze chleb, odmawia błogosławieństwo, łamie go i ofiarowuje uczniom. W tym momencie ich oczy otwierają się i rozpoznają go (por. w. 31).
Dzięki temu opisowi rozumiemy, jak nierozerwalny jest związek między Pismem Świętym a Eucharystią. Sobór Watykański II naucza: «Kościół miał zawsze we czci Pisma Boże, podobnie jak samo Ciało Pańskie, skoro zwłaszcza w Liturgii św. nie przestaje brać i podawać wiernym chleb żywota tak ze stołu słowa Bożego, jak i Ciała Chrystusowego» (Dei Verbum, 21).
Ciągłe czytanie Pisma Świętego i uczestnictwo w Eucharystii pozwalają rozpoznać osoby należące do siebie nawzajem. Jako chrześcijanie jesteśmy jednym ludem kroczącym w historii, jesteśmy silni obecnością Pana pośród nas, który do nas przemawia i nas karmi. Dzień poświęcony Biblii nie powinien być „raz w roku”, ale w każdym dniu roku, ponieważ musimy pilnie stać się bliscy Pismu Świętemu oraz Zmartwychwstałemu, który nigdy nie przestaje dzielić się Słowem i Chlebem we wspólnocie wierzących. W tym celu musimy wejść w bliską relację z Pismem Świętym, w przeciwnym razie nasze serce pozostanie zimne, a oczy zamknięte, dotknięte niezliczonymi formami ślepoty.
Pismo Święte i sakramenty są nierozłączne. Kiedy Sakramenty są wprowadzane i oświecane przez Słowo, ukazują się one wyraźnie jako cel podróży, w której sam Chrystus otwiera umysł i serce na rozpoznanie swego zbawczego działania. W tym kontekście nie należy zapominać o nauce płynącej z Księgi Apokalipsy. Oto Pan stoi u drzwi i kołacze. Jeśli ktoś usłyszy Jego głos i drzwi otworzy, wejdzie On do środka, aby spożyć wspólny posiłek (por. Ap 3, 20). Jezus Chrystus puka do naszych drzwi przez Pismo Święte; jeśli słuchamy i otwieramy drzwi umysłu i serca, wchodzi On w nasze życie i z nami zostaje.
9. W Drugim Liście do Tymoteusza, który w pewien sposób stanowi duchowy testament św. Pawła, zaleca on swojemu wiernemu współpracownikowi, aby stale korzystał z Pisma Świętego. Apostoł jest przekonany, że «wszelkie Pismo od Boga natchnione [jest] i pożyteczne do nauczania, do przekonywania, do poprawiania, do kształcenia w sprawiedliwości» (3, 16). To zalecenie Apostoła Pawła dla Tymoteusza stanowi podstawę, na której soborowa Konstytucja Dei Verbum zajmuje się doniosłym tematem natchnienia Pisma Świętego, podstawę, z której w szczególności wyłania się cel zbawczy, wymiar duchowy i zasada wcielenia przez Pismo Święte.
Przypominając przede wszystkim zalecenie skierowane przez św. Pawła do Tymoteusza, Dei Verbum podkreśla, że «Księgi biblijne w sposób pewny, wiernie i bez błędu uczą prawdy, jaka z woli Bożej miała być przez Pismo św. utrwalona dla naszego zbawienia» (Dei Verbum, 11). Ponieważ pouczają one o zbawieniu przez wiarę w Chrystusa (por. 2 Tm 3, 15), zawarte w nich prawdy służą naszemu zbawieniu. Biblia nie jest zbiorem przekazów czy też kronik historycznych, ale jest całkowicie poświęcona integralnemu zbawieniu człowieka. Niezaprzeczalne historyczne zakorzenienie ksiąg wchodzących w skład Pisma Świętego nie może przysłaniać pierwotnego celu ich powstania, a mianowicie: naszego zbawienia. Wszystko zmierza ku temu celowi wpisanemu w samą naturę Biblii, która jest ułożona jako historia zbawienia, w której Bóg mówi i działa, aby spotkać wszystkich ludzi i ocalić ich przed złem i śmiercią.
Aby osiągnąć ten zbawczy cel, Pismo Święte pod działaniem Ducha Świętego przekształca słowo człowieka, zapisane na sposób ludzki, w Słowo Boże (por. Dei Verbum, 12). Rola Ducha Świętego w Piśmie Świętym jest fundamentalna. Bez Jego działania ryzyko zamknięcia się w obrębie samego tekstu pisanego byłoby zawsze wysokie, ułatwiając w ten sposób jego interpretację fundamentalistyczną, od której musimy się trzymać z dala, aby nie zdradzić natchnionego, dynamicznego i duchowego charakteru, jaki posiada Święty Tekst. Jak mówi Apostoł: «litera bowiem zabija, Duch zaś ożywia» (2 Kor 3, 6). Dlatego Duch Święty przekształca Pismo Święte w żywe Słowo Boże, przeżywane i przekazywane w wierze swego świętego ludu.
10. Działanie Ducha Świętego dotyczy nie tylko procesu formowania się Pisma Świętego, ale także wpływa na tych, którzy słuchają Bożego Słowa. Ważne jest stwierdzenie Ojców Soboru, według których Pismo Święte musi być «czytane i interpretowane w tym samym Duchu, w jakim zostało napisane» (Dei Verbum, 12). Wraz z Jezusem Chrystusem Objawienie Boga osiąga swoja pełnię; jednak Duch Święty kontynuuje swoje działanie. W rzeczywistości byłoby ograniczeniem działania Ducha Świętego przypisanie Jego akcji tylko do natchnionej przez Boga natury Pisma Świętego i jego różnych autorów. Konieczne jest zatem zaufanie działaniu Ducha Świętego, który nadal realizuje swoją szczególną formę natchnienia, gdy Kościół naucza Pisma Świętego, a Magisterium wyjaśnia je w sposób autentyczny (por. Dei Verbum, 10), jak również wtedy, gdy każdy wierzący czyni z niego własną normę duchową. W tym sensie możemy zrozumieć słowa Jezusa, gdy do uczniów, którzy potwierdzają, że zrozumieli znaczenie jego przypowieści, mówi: «dlatego każdy uczony w Piśmie, który stał się uczniem królestwa niebieskiego, podobny jest do ojca rodziny, który ze swego skarbca wydobywa rzeczy nowe i stare» (Mt 13, 52).
11. Konstytucja Dei Verbum precyzuje, że «słowa Boże, językami ludzkimi wyrażone, upodobniły się do mowy ludzkiej, jak niegdyś Słowo Ojca Przedwiecznego, przyjąwszy słabe ciało ludzkie, upodobniło się do ludzi» (Dei Verbum, 13). To tak, jakby powiedzieć, że Wcielenie Słowa Bożego nadaje formę i znaczenie relacji między Słowem Bożym a ludzkim językiem, z jego uwarunkowaniami historycznymi i kulturowymi. W tym wydarzeniu kształtuje się Tradycja, która jest również Słowem Bożym (por. Dei Verbum, 9). Często ryzykujemy oddzielenie od siebie Pisma Świętego i Tradycji, nie rozumiejąc, że razem są one jednym źródłem Objawienia. Pisemny charakter pierwszego nie odbiera mu tego, że jest w pełni żywym słowem; podobnie jak żywa Tradycja Kościoła, która nieustannie jest przekazywana na przestrzeni wieków z pokolenia na pokolenie, posiada tę Świętą Księgę jako „najwyższe prawidło swej wiary” (por. Dei Verbum, 21). Co więcej, zanim Pismo Święte stało się tekstem pisanym, było przekazywane ustnie i utrzymywane przy życiu przez wiarę ludu, który uznał go za swoją historię i podstawę tożsamości pośród wielu innych narodów. Dlatego wiara biblijna opiera się na żywym Słowie, a nie na jakiejś książce.
12. Kiedy Pismo Święte czytane jest w tym samym Duchu, w którym zostało napisane, pozostaje ono zawsze nowe. Stary Testament nigdy nie jest stary, gdyż jest częścią Nowego, ponieważ wszystko jest przekształcane przez jednego Ducha, który daje natchnienie. Cały święty tekst pełni funkcję proroczą: nie dotyczy przyszłości, ale teraźniejszości tych, którzy są karmieni tym Słowem. Sam Jezus wyraźnie stwierdza to na początku swojej posługi: «Dziś spełniły się te słowa Pisma, któreście słyszeli» (Łk 4, 21). Ten, kto codziennie żywi się Słowem Bożym, staje się, podobnie jak Jezus, współczesny ludziom, których spotyka. Człowiek żywiący się Słowem nie ma pokusy, by popadać w bezpłodną tęsknotę za przeszłością, ani w bezcielesne utopie przyszłości.
Pismo Święte spełnia swoje prorocze działanie przede wszystkim w stosunku do tych, którzy go słuchają. Sprawia, iż odczuwają jednocześnie słodycz i gorycz. Na myśl przychodzą słowa proroka Ezechiela, gdy zaproszony przez Pana do spożycia zwoju księgi zwierza się: «w ustach moich był słodki jak miód» (Ez 3, 3). Również Ewangelista Jan na wyspie Patmos przeżywa to samo, czego doświadczył Ezechiel, ale dodaje coś bardziej szczegółowego: «w ustach moich [księga] stała się słodka jak miód, a gdy ją spożyłem, goryczą napełniły się moje wnętrzności» (Ap 10, 10).
Słodycz Słowa Bożego zachęca nas do dzielenia się Nim z tymi, których spotykamy w naszym życiu, aby wyrazić pewność zawartej w Nim nadziei (por. 1 P 3, 15-16). Z kolei gorycz jest często oferowana, aby sprawdzić, jak trudno jest nam żyć w sposób spójny ze Słowem lub doświadczyć Jego odrzucenia, gdy uważa się, iż nie nadaje Ono już sensu życiu. Dlatego konieczne jest, aby nigdy nie przyzwyczajać się do Słowa Bożego, ale karmić się Nim, by coraz głębiej odkrywać i przeżywać naszą relację z Bogiem i braćmi.
13. Kolejną prowokacją pochodzącą z Pisma Świętego jest ta, która dotyczy miłości. Słowo Boże nieustannie przypomina nam o miłosiernej miłości Ojca, który prosi swoje dzieci, aby żyły w miłości. Życie Jezusa jest pełnym i doskonałym wyrazem tej Boskiej miłości, która niczego nie zatrzymuje dla siebie, ale ofiarowuje się każdemu bezgranicznie. W przypowieści o ubogim Łazarzu znajdujemy cenną wskazówkę. Kiedy Łazarz i bogacz umierają, ten ostatni, widząc ubogiego na łonie Abrahama, prosi, aby został wysłany do jego braci, aby ich napomnieć, by żyli oni miłością bliźniego i uniknęli jego własnych udręk. Odpowiedź Abrahama jest precyzyjna: «Mają Mojżesza i Proroków, niechże ich słuchają!» (Łk 16, 29). Słuchanie Pisma Świętego, aby czynić miłosierdzie: to jest wielkie wyzwanie, przed którym stoi nasze życie. Słowo Boże jest w stanie otworzyć nam oczy, otwierając jednocześnie drogę dzielenia się i solidarności, abyśmy mogli wydostać się z indywidualizmu, który zabiera nam oddech i prowadzi do bezpłodności.
14. Jednym z najbardziej znaczących wydarzeń w relacji Jezusa z uczniami jest historia Przemienienia. Jezus idzie na górę, aby modlić się z Piotrem, Jakubem i Janem. Ewangeliści opisują, że gdy twarz i szata Jezusa rozjaśniły się blaskiem, dwóch mężczyzn rozmawiało z Nim: Mojżesz i Eliasz, którzy uosabiają Prawo i Proroków, to znaczy Pismo Święte. Reakcja Piotra na to objawienie jest pełna radosnego podziwu: «Mistrzu, dobrze, że tu jesteśmy. Postawimy trzy namioty: jeden dla Ciebie, jeden dla Mojżesza i jeden dla Eliasza» (Łk 9, 33). W tym momencie obłok okrył ich cieniem, a uczniów ogarnął strach.
Przemienienie przypomina żydowskie Święto Namiotów, gdy Ezdrasz i Nehemiasz czytają ludziom święty tekst po powrocie z wygnania. Jednocześnie wydarzenie to ukazuje chwałę Jezusa, przygotowując Uczniów na skandal męki. Boska chwała jest także reprezentowana przez obłok otaczający uczniów, symbol obecności Pana. To Przemienienie jest podobne do tego, które wydarza się w momencie lektury Pisma Świętego, które przekracza siebie, gdy karmi życie wierzących. Jak nam przypomina List Verbum Domini: «w odtwarzaniu związków między różnymi sensami Pisma decydujące znaczenie ma uchwycenie przejścia od litery do ducha. Nie jest to przejście automatyczne i spontaniczne; konieczne jest raczej wzniesienie się ponad literę» (Verbum Domini, 38).
15. Na drodze przyjmowania Słowa Bożego towarzyszy nam Matka Pana, uznana za błogosławioną, ponieważ uwierzyła w spełnienie tego, co Pan Jej powiedział (por. Łk 1, 45). Błogosławieństwo Maryi poprzedza wszystkie błogosławieństwa ogłoszone przez Jezusa ubogim, cierpiącym, cichym, czyniącym pokój i prześladowanym, ponieważ jest to warunek konieczny dla każdego innego błogosławieństwa. Żaden biedny człowiek nie jest błogosławiony, ponieważ jest biedny. Staje się nim, jeśli, podobnie jak Maryja, wierzy w wypełnienie się Słowa Bożego. Przypomina nam o tym wielki uczeń i mistrz Pisma Świętego, święty Augustyn: «ktoś pośród tłumu, będąc szczególnie rozentuzjazmowanym, zakrzyknął: „Błogosławione łono, które Cię nosiło”. A On: „Raczej ci są błogosławieni, którzy słuchają słowa Bożego i strzegą go”. To jakby powiedzieć: również moja matka, którą ty nazywasz błogosławioną, jest błogosławiona właśnie z tego powodu, że strzeże Słowa Boga, a nie dlatego, że w niej Słowo stało się ciałem i zamieszkało miedzy nami, ale właśnie dlatego, że strzeże Słowa samego Boga, przez które została stworzona, a które w niej stało się ciałem» (Komentarz do Ewangelii św. Jana, 10, 3).
Niech Niedziela poświęcona Słowu sprawi, aby w Ludzie Bożym wzrosła religijna i bliska znajomość Pisma Świętego, jak święty autor nauczał już w dawnych czasach: «Słowo to bowiem jest bardzo blisko ciebie: w twych ustach i w twoim sercu, byś je mógł wypełnić» (Pwt 30, 14)
W Rzymie, u Świętego Jana na Lateranie, dnia 30 września 2019 roku,
we wspomnienie Świętego Hieronima, w 1600. rocznicę jego śmierci.
FRANCISZEK
______________________
1 Por. AAS 102 (2010), 692-787
2 «Sakramentalność słowa staje się zatem zrozumiała przez analogię do rzeczywistej obecności Chrystusa pod konsekrowanymi postaciami chleba i wina. Przystępując do ołtarza i uczestnicząc w Uczcie Eucharystycznej, rzeczywiście przyjmujemy w Komunii ciało i krew Chrystusa. Głoszenie słowa Bożego podczas celebracji pociąga za sobą uznanie, że sam Chrystus jest obecny i mówi do nas, abyśmy Go przyjęli» (Verbum Domini, 56).
[01537-PL.01] [Testo originale: Italiano]
Traduzione in lingua araba
رسالة بابوية
للحبر الأعظم فرنسيس
في شكل براءة بابوية
فَتحَ أَذْهانَهم
ينشأ بموجبها
أحد كلمة الله
1. "فَتحَ أَذْهانَهم لِيَفهَموا الكُتُب" (لو 24، 45): هذا مِن آخر الأعمال التي قام بها الربّ القائم من الموت قبل صعوده. ظهر للتلاميذ فيما كانوا مجتمعين، وكسر الخبز معهم وفتح أذهانهم ليفهموا الكتب. فكشف لهؤلاء الرجال الخائفين والمحبطين، عن معنى السرّ الفصحيّ: أي أنّه، وفقًا لتدبير الآب الأزلي، كان على يسوع أن يتألّم ويقوم من بين الأموات، كي يمنح التوبة وغفران الخطايا (را. لو 24، 26. 46- 47)؛ ثمّ وعدهم بالروح القدس الذي سوف يمنحهم القوّة ليكونوا شهودًا لسرّ الخلاص هذا (را. لو 24، 49).
إن العلاقة بين القائم من الموت، وجماعة المؤمنين والكتاب المقدّس هي أساسيّة للغاية بالنسبة لهويّتنا. بدون مساعدة الربّ لنا، من المستحيل أن نفهم الكتاب المقدّس بعمق، ولكن العكس صحيح أيضًا: بدون الكتاب المقدّس، تظلّ أحداث رسالة يسوع وكنيسته في العالم غير مفهومة. وقد كتب القدّيس جيروم بحقّ: "أن نجهل الكتاب المقدّس هو أن نجهل المسيح" (حول أشعيا، المقدّمة: الآباء اللاتين 24، 17).
2. طلبتُ في ختام اليوبيل الاستثنائي للرحمة، التعمّقَ في فكرة "تخصيص يوم أحد كامل لكلمة الله، كي نفهم الغنى الذي لا ينضب، والنابع من هذا الحوار المتواصل الذي يقيمه الله مع شعبه" (الرسالة الرسولية رحمة وبائسة، 7). إن تخصيص يوم أحد على وجه الخصوص من السنة الليتورجية لكلمة الله يسمح لنا، قبل كلّ شيء، أن نسمح للكنيسة بأن تعيش مجدّدًا عمل القائم من الموت الذي يفتح لنا أيضًا كنز كلمته حتى نتمكّن من أن نبشّر في العالم بهذا الغنى الذي لا ينضب. وتعود إلى الذهن، في هذا الصدد، تعاليم القدّيس افرام: "من يستطيع أن يفهم، يا ربّ، كلّ غنى كلماتك؟ فما يفوق فهمنا هو أكثر بكثير مما يمكننا فهمه. إننا مثل العِطاش الذين يرتوون من النبع. لكلمتك جوانب عديدة مختلفة، وعديدة هي وجهات نظر الذين يدرسونها. فقد لوّن الربّ كلمتَه بجمالٍ متنوّع، حتى يستطيع الذين يتفحّصونها التأمّل بما يفضّلونه. وقد أخفى في كلمته كلّ الكنوز، حتى يجد كلّ واحد منّا كنزًا في ما يتأمّله" (تعليقات حول الإنجيل الرباعي، 1، 18).
اعتزم، عبر هذه الرسالة، الاستجابة لطلباتٍ عديدةٍ ورَدَت إليّ من شعب الله، حتى نتمكّن في الكنيسة بأسرها من الاحتفال بيوم أحد كلمة الله وهدفُنا واحد. لقد أصبح من الشائع الآن أن نعيش لحظاتٍ تركّز فيها الجماعةُ المسيحيّة على القيمة الكبيرة التي تحتلّها كلمةُ الله في حياتها اليوميّة. هناك مجموعة كبيرة من المبادرات، في العديد من الكنائس المحلّية، التي تجعل الكتاب المقدّس في متناول المؤمنين أكثر فأكثر، ممّا يجعلهم يشعرون بالامتنان لمثل هذه الهبة العظيمة، ملتزمون بعيشها بشكل يوميّ ومسؤولون عن الشهادة لها بتناسق.
لقد أعطى المجمع المسكوني الفاتيكاني الثاني دفعًا كبيرًا لإعادة اكتشاف كلمة الله من خلال الدستور العقائدي كلمة الله. وتظهر بوضوح من خلال تلك الصفحات، التي تستحقّ دائمًا التأمّل والعيش، طبيعةُ الكتاب المقدّس، وكيف انتقلَ من جيل إلى جيل (الفصل الثاني)، ومصدر إلهامه الإلهيّ (الفصل الثالث)، الذي يعانق العهدين القديم والجديد (الفصلان الرابع والخامس)، وأهمّيته بالنسبة لحياة الكنيسة (الفصل السادس). وبهدف توسيع هذا التعليم، عقد بندكتس السادس عشر في عام 2008 اجتماعًا لسينودس الأساقفة حول موضوع "كلمة الله في حياة الكنيسة ورسالتها"، ونشر بعد ذلك الإرشاد الرسولي كلمة الربّ، الذي يشكّل تعليمًا لا بدّ منه لجماعاتنا[1]. وقد تمّ التعمّق في هذه الوثيقة، على وجه الخصوص، بالطابع الأدائي لكلمة الله، ولا سيّما عندما يظهر أثناء الليتورجيا طابعها الأسراري[2].
من الجيّد، بالتالي، ألّا تفتقر حياة شعبنا أبدًا إلى هذه العلاقة الحاسمة مع الكلمة الحيّة التي لا يكلّ الربّ أبدًا من توجيهها إلى عروسه، حتى يتسنّى لها أن تنمو في المحبّة والشهادة للإيمان.
3. لذا أقرّر أن يُخَصّص يوم الأحد الثالث من الزمن العادي للاحتفال بكلمة الله، والتأمّل بها، ونشرها. فيأتي يوم أحد كلمة الله هذا في وقت مناسب من تلك المرحلة من السنة، حيث نُدعى لتقوية العلاقات مع اليهود ونصلّي من أجل وحدة المسيحيّين. إنها ليست مجرّد صدفة زمنيّة: فالاحتفال بيوم أحد كلمة الله يعبّر عن قيمة مسكونيّة، لأن الكتاب المقدّس يقود الذين يصغون إليه نحو الطريق الذي يجب اتّباعه من أجل بلوغ وحدة حقيقية ومتينة.
سوف تجد الجماعات طرقًا لعيش هذا الأحد كيوم احتفاليّ. من المهمّ أيضًا أن يُكَرَّم الكتاب المقدّس أثناء الاحتفال بالقدّاس الإلهي، ممّا يُظهِر للجماعة القيمة المعياريّة التي تملكها كلمة الله. من المفيد أيضًا خلال هذا الأحد، بشكل خاص، أن يُعلَن بطريقة مميّزة وأن تُكيَّف العظة لإلقاء الضوء على الخدمة التي تُقدَّم لكلمة الربّ. باستطاعة الأساقفة في هذا الأحد، أن يحتفلوا برسامة قارئين أو أن يوكلوا خدمة مماثلة، كيما يذكّروا بأهمية إعلان كلمة الله أثناء الليتورجيا. من الضروري، في الواقع، ألّا نبخل بأيّ جهد في تحضير بعض المؤمنين ليكونوا مبشّرين حقيقيين لكلمة الله مع إعداد مناسب، كما هي العادة اليوم مع خدمة المذبح والعلمانيّين الموكلين بتوزيع القربان المقدّس. وبنفس الطريقة، سيجد كهنة الرعية طرقًا لمنح الكتاب المقدّس بكامله، أو لمنح كتاب من مجموعة كتبه، إلى الجمع بأكمله من أجل إبراز أهمّية مواصلة قراءة الكتاب المقدّس والتعمّق به والصلاة في الحياة اليوميّة، مع إشارة خاصّة إلى القراءة الإلهيّة (lectio divina).
4. لقد تميّزت عودة شعب إسرائيل إلى وطنه، بعد المنفى البابلي، بقراءة سفر الشريعة. ويقدّم لنا الكتاب المقدّس وصفًا مؤثرًا لتلك اللحظة في سفر نحميا. فقد اجتمع الشعب في أورشليم، في ساحة باب المياه، يصغون إلى سفر الشريعة. كان ذاك الشعب قد تشتّت عند النفي، لكنه الآن مجتمعٌ حول الكتاب المقدّس كما لو كان كلّه "رجلًا واحدًا" (نح 8، 1). كانت "آذانُ كُلِّ الشَّعبِ مُصغِيَةٌ" (نح 8، 3) عند قراءة الكتاب المقدّس، وكان الشعب يدرك أنه يجد في تلك الكلمة، معنى الأحداث التي عاشها. أمّا ردّة الفعل على إعلان هذه الكلمة فكان التأثّر والدموع: "[اللاويين] قَرَأُوا في سِفرِ شَريعَةِ اللهِ مُتَرجمينَ وشارِحينَ المَعْنى، حتَّى فَهِموا القِراءَة. ثُمَّ إِنَّ نَحَمْيا الذي هو التَّرْشاتا، وعَزْرا الكاهِنَ الكاتِبَ، واللَّاوِيِّينَ الَّذينَ كانوا يُعَلِّمونَ الشَّعْب، قالوا لِكُلِّ الشَّعْب: «هذا يَومٌ مُقَدَّسٌ لِلرَّبِّ إِلهِكم، فلا تَنوحوا ولا تَبْكوا». وكانَ الشَّعبُ كُلُّه يَبْكي عِندَ سَماعِه كَلِماتِ الشَّريعَة [...] لا تَحزَنوا، لأِنَّ فرَحَ الرَّبِّ حِصنُكم" (8، 8- 10).
تحتوي هذه الكلمات على تعليم عظيم. ولا يمكن أن يكون الكتاب المقدّس مجرّد تراث للبعض، أم مجموعة من الكتب تخصّ قلّة متميّزة. إنه ينتمي في المقام الأوّل إلى الشعب الذي دُعي للإصغاء إليه وليجد ذاته في تلك الكلمة. غالبًا ما نجد الميل إلى احتكار النصّ المقدّس ومحاولة إحالته إلى دوائر معيّنة أو إلى مجموعات محدّدة. لا يمكن أن يكون الأمر كذلك. فالكتاب المقدّس هو كتاب شعب الربّ الذي ينتقل، عبر الإصغاء، من التشتّت والانقسام إلى الوحدة. فكلمة الله توحّد المؤمنين وتجعلهم شعبًا واحدًا.
5. أمّا الكهنة، في هذه الوحدة التي تولد عبر الإصغاء، يتحمّلون أوّلًا المسؤولية الكبيرة لشرح الكتاب المقدّس والسماح للجميع بفهمه. ولأنه كتاب الشعب، يجب أن يشعر خدّامُ الكلمة بضرورة جعله في متناول جماعتهم.
وللعظة، على وجه الخصوص، قيمة خاصّة للغاية، لأنها تتّسم "بطابع شبه أسراريّ" (الإرشاد الرسولي فرح الإنجيل، 142). إن حَمل المؤمنين على الدخول بعمق في كلمة الله، عبر لغة بسيطة مناسبة للمستمعين، يسمح للكاهن باكتشاف "جمال الصور التي يستخدمها الربّ كي يستحثّ على ممارسة الخير" (المرجع نفسه). إنها فرصة رعويّة لا ينبغي تفويتها!
وهذه الفرصة هي الوحيدة في الواقع، لدى الكثيرين من المؤمنين كي يفهموا جمال كلمة الله ويربطوها بحياتهم اليوميّة. لذا فمن الضروري تكريس الوقت اللازم لإعداد العظة. لا يمكن ارتجال التعليق على القراءات المقدّسة. يُطلب منّا نحن الوعّاظ، الالتزام بعدم الإسهاب المبالغ بعظات متحذلقة أو مواضيع غريبة. فعندما نأخذ وقفة للتأمّل بكلمة الله وللصلاة، نستطيع التكلّم من القلب كي نَبلُغ قلوب الأشخاص الذين يصغون إلينا، ونعبّر هكذا عمّا هو أساسيّ كيما يُفهَم ويعطي ثمرًا. دعونا ألا نَكِل من تكريس الوقت للكتاب المقدّس والصلاة، كيما يُقبَلَ لا "لِكَلِمَةِ بَشَر، بل لِكَلِمَةِ اللهِ" (1 تس 2، 13).
من الجيّد أن يشعر معلّمي التعليم المسيحيّ أيضًا، بالنسبة للخدمة التي يساعدون بها على النموّ في الإيمان، بالحاجة الملحّة لتجديد أنفسهم من خلال معرفتهم للكتاب المقدّس ودراسته، والتي تمكّنهم من تعزيز حوار حقيقي بين الذين يصغون إليهم وكلمة الله.
6. قبل أن يجتمع القائم من بين الأموات بالتلاميذ، المنغلقين في المنزل، وقبل أن يفتح أذهانهم ليفهموا الكتاب المقدّس (را. لو 24، 44- 45)، ظهر لاثنين منهم كانا في طريقهما من أورشليم إلى عمّاوس (را. لو 24، 13- 35). تشير رواية لوقا الإنجيلي إلى أن هذا قد حدث يوم القيامة نفسه، أي يوم الأحد. كان هذان التلميذان يناقشان آخر أحداث آلام وموت يسوع. وكان طريقهما مطبوعًا بالحزن وخيبة الأمل بفعل النهاية المأساويّة التي عرفها يسوع. كان رجاؤهما أن يكون المسيح هو المحرّر، وها إنهما يواجهان خزي الصليب. فاقترب، بكلّ هدوء، "القائمُ من الموت" بذاته ومشى مع التلميذين، لكن أعينهما حُجِبت عن معرفتِه (را. آية 16). وطرح الربّ عليهما الأسئلة طوال الطريق، مدركًا أنهما لم يفهما معنى آلامه وموته؛ دعاهما "قَليلَيِ الفَهمِ وبطيئَيِ القَلْبِ عن الإِيمانِ" (آية 25) و "بَدأَ مِن مُوسى وجَميعِ الأَنبِياء يُفَسِّرُ لَهما ما يَختَصُّ بِه في جميع الكُتُبِ" (آية 27). المسيح هو المفسّر الأوّل! لم يتنبّأ العهد القديم بما كان سينجزه وحسب، بل أراد هو نفسه أن يكون مخلصًا لتلك الكلمة، كي يُظهِر بوضوح قصّة الخلاص الوحيدة التي تجد كمالها بالمسيح.
7. يتحدّث الكتاب المقدّس، بالتالي، عن المسيح ويعلنه باعتباره الشخص الذي يجب أن "يُعانِيَ تِلكَ الآلام فيَدخُلَ في مَجدِه" (را. آية 26). لا يتحدّث عنه جزء واحد وحسب، وإنّما كلّ الكتاب المقدّس. فلا يمكن فهم موته وقيامته بدون الكتاب المقدس. لذا فإن أحد أقدم قانون للإيمان يؤكّد أن المسيح "ماتَ مِن أَجْلِ خَطايانا كما وَرَدَ في الكُتُب، وأَنَّه قُبِرَ وقامَ في اليَومِ الثَّالِثِ كما وَرَدَ في الكُتُب، وأَنَّه تَراءَى لِصَخْرٍ" (1 قور 15، 3- 5). وبما أن الكتاب المقدّس يتحدّث عن المسيح، فإنه يسمح لنا أن نؤمن بأن موته وقيامته ليست أساطير بل تاريخ، وأنّهما محور إيمان تلاميذه.
إن الرباط بين الكتاب المقدّس وإيمان المؤمنين هو عميق. وبما أن الإيمان يأتي من السماع، والسماع يقوم على كلمة المسيح (را. روم 10، 17)، فإن الدعوة التي تنبثق عنه إنما هي الضرورة والأهميّة التي على المؤمنين أن يخصّوا بها الإصغاء لكلمة الربّ سواء كان في الليتورجيا أم في الصلاة والتأمّل الشخصي.
8. تنتهي "رحلة" القائم من بين الأموات مع تلميذي عمّاوس بعشاء. يقبل "المسافر" الغامض الطلب الملحّ الذي يوجّهانه إليه الاثنان: "أُمكُثْ مَعَنا، فقد حانَ المَساءُ ومالَ النَّهار" (لو 24، 29). جلسوا على الطاولة، فأخذ يسوع الخبز، وبارك، ثمّ كسره وناولهما. في تلك اللحظة، انفتحت أعينهما وعرفاه (را. آية 31).
نحن نفهم من هذا المشهد كيف أن العلاقة بين الكتاب المقدّس والفخارستيا هي وثيقة للغاية. يعلّم المجمع الفاتيكاني الثاني: "لقد كرّمت الكنيسة على الدوام الكتبَ الإلهيّة كما كرّمت جَسَدَ الربّ نفسه. فإنها لم تتوقّف يومًا، ولا سيما في الليتورجيّا المقدّسة، عن استمداد غذائها من خبز الحياة، سواءً عن مائدة كلمة الله أو عن مائدة جسدِ المسيحِ، لتقدّمه للمؤمنين"(كلمة الله، 21).
عبر الحضور الدائم للكتاب المقدّس والاحتفال بالقدّاس الإلهيّ، ينشأ بين المؤمنين انتماء يجعلهم يعترفون بعضهم ببعض. إننا كمسيحيين شعب واحد يسير في التاريخ، ويستمدّ قوّته من حضور الربّ الذي يتحدّث إلينا ويغذّينا. واليوم المخصّص للكتاب المقدّس لا يريد أن يكون "مرّة واحدة في السنة"، ولكن مرّة واحدة تحضيرًا للسنة بأكملها، لأننا نحتاج بشكل عاجل لأن نتآلف مع الكتاب المقدّس ومع القائم من بين الأموات، الذي لا يتوقّف عن كسر الكلمة وكسر الخبز في جماعة المؤمنين. لذا نحن بحاجة إلى التعمّق المستمرّ بالكتاب المقدّس، لأن القلب دون ذلك يبقى باردًا والعينين مغلقتين، ونُصاب بأشكال لا تحصى من أشكال العمى.
إن الرباط بين الكتاب المقدّس والأسرار المقدّسة هو وثيق للغاية. عندما تُقدِّمُ كلمةُ الله الأسرارَ وتنيرها، تظهر بوضوح على أنها هدف لمسيرة يفتح فيها المسيح الذهنَ والقلبَ لإدراك عملها الخلاصي. من الضروري، في هذا السياق، ألّا ننسى التعليم الذي يأتي من سفر الرؤيا. يُقال فيه إن الربّ واقف عند الباب ويقرع. إذا سمع أحد صوته وفتح له، يدخل لتناول العشاء معه (را. 3، 20). إن يسوع المسيح يقرع بابنا من خلال الكتب المقدّسة؛ إذا سمعنا وفتحنا باب الذهن والقلب، يدخل حياتنا ويبقى معنا.
9. في الرسالة الثانية إلى طيموتاوس، والتي تشكّل نوعًا ما شهادته الروحية، يوصي القدّيس بولس معاونَه المخلص بالمواظبة على التعمّق بالكتاب المقدّس. فالرسول مقتنع بأن "كُلّ ما كُتِبَ هو مِن وَحيِ الله، يُفيدُ في التَّعْليمِ والتَّفنْيدِ والتَّقْويمِ والتَّأديبِ في البِرّ" (3، 16). وتشكّل وصيّة بولس هذه إلى طيموتاوس، أساسًا يواجه من خلاله الدستورُ المجمعي كلمة الله موضوعَ إلهام الكتاب المقدّس، وأساسًا ينبثق منه لا سيما الهدف الخلاصي، والبعد الروحي ومبدأ التجسّد للكتاب المقدّس.
يشير الدستور المجمعي كلمة الله، مذكّرًا أوّلًا وقبل كلّ شيء بوصيّة بولس إلى طيموتاوس، إلى أن " الكتبَ المقدسةَ تُعلِّمُ الحقيقة التي أراد الله أن تُدرَجَ في تلك الأسفارِ المقدّسة" (عدد 11). ولأنها تعلّم من أجل الخلاص عبر الإيمان بالمسيح (را. 2 طيم 3، 15)، فإن الحقائق الواردة فيها هي من أجل خلاصنا. فالكتاب المقدّس ليس مجموعة من كتب التاريخ، ولا من الأخبار، ولكنه مخصّص بالكامل لخلاصنا الشامل. ولا يجب أن تجعلنا الجذورُ التاريخية للكتاب، الواردة في النصّ المقدّس والتي لا يمكن إنكارها، ننسى هذا الهدف الأساسي: خلاصنا. فكلّ شيء يهدف إلى هذا الخلاص المُدرَج في طبيعة الكتاب المقدّس الذي وُضِعَ كتاريخ خلاصٍ يتحدّث فيه الله ويعمل، كي يذهب للقاء جميع البشر ويخلّصهم من الشرّ والموت.
ولتحقيق هذا الهدف الخلاصيّ، يحوّل الكتابُ المقدّس بفعل الروح القدس، كلمةَ الإنسان المكتوبة بطريقة بشريّة إلى كلمة الله (را. كلمة الله، 12). فدور الروح القدس في الكتاب المقدّس هو أساسيّ. وبدون عمله، فإن خطر الانغلاق على النصّ المكتوب وحسب يبقى حاضرًا، ويسهّل التفسير الأصوليّ، الذي يجب أن نبتعد عنه باستمرار حتى لا نخون البعد الإلهاميّ، والديناميكيّ، والروحيّ، الذي يملكه النصّ المقدّس. كما يذكّر به الرسول، "الحَرْفَ يُميتُ والرُّوحَ يُحْيي" (2 قور 3، 6). إن الروح القدس، بالتالي، يحوّل الكتاب المقدّس إلى كلمة الله الحيّة، كلمة يعيشها شعبه المقدّس وينقلها بإيمان.
10. لا يقتصر عمل الروح القدس على تكوين الكتاب المقدّس، ولكنه يعمل أيضًا في الذين يصغون إلى كلمة الله. ومهمٌّ هو تأكيد آباء المجمع أنه "يَجبُ قراءةُ الكتابِ المقدّس وتفسيرُه بذاتِ الروح الذي فيهِ كُتِبَ" (كلمة الله، 12). ومع يسوع المسيح، يصل كشفُ الله عن ذاته إلى قمّته وكماله؛ وبعد فالروح القدس يواصل عمله. ويكون من الاختزال في الواقع، اقتصار عمل الروح القدس على الطبيعة الإلهيّة للكتاب المقدّس وعلى مختلف كتّابه. لذلك، من الضروريّ أن نكون على يقين من عمل الروح القدس الذي ما زال يُلهِم بطريقته الخاصّة عندما تُعلِّم الكنيسة الكتاب المقدّس، وعندما تفسّره الكنيسة بشكل أصيل (را. نفس المرجع، 10) وعندما يتّخذه كلّ مؤمن شخصيًّا كقاعدة روحيّة. وبهذا المعنى، يمكننا أن نفهم كلمات يسوع عندما يقول للتلاميذ الذين يؤكّدون أنهم قد فهموا معنى أمثاله: "كُلُّ كاتِبٍ تَتَلمَذَ لِمَلكوتِ السَّمَوات يُشبِهُ رَبَّ بَيتٍ يُخرِجُ مِن كَنزِه كُلَّ جَديدٍ وقَديم" (متى 13، 52).
11. أخيرًا، يذكّر الدستور كلمة الله أن "كلامَ الله الذي عُبِّرَ عنه بلغةِ البشرِ صارَ شبيهًا بالكلامِ البشريّ كما فيما مضى من الأزمنة صارَ كلمةُ الله الأزلي شبيهًا بالبشرِ بعد أن أَخَذَ جَسَدَ ضعفنا البشري" (عدد 13). وكأنه يقول إن تجسّد كلمة الله يعطي شكلًا ومعنى للعلاقة بين كلمة الله واللغة البشريّة، بظروفها التاريخيّة والثقافية. وبهذا الحدث بالتحديد، ينشأ التقليدُ المقدّس، الذي هو أيضًا كلمة الله (را. نفس المرجع، 9). غالبًا ما نكاد نفصل الكتاب المقدّس عن التقليد المقدّس، دون أن نفهم أنّهما يشكّلان معًا المصدر الوحيد للوحي الإلهيّ. أمّا كون الكتاب المقدّس قد وُضِعَ كتابيًّا فلا يؤثّر على كونه كلمة حيّة بالملء؛ كما وأن التقليد الحيّ للكنيسة، الذي ينقل هذه الكلمة باستمرار على مرّ القرون من جيل إلى جيل، قد اتّخذ لذاته الكتاب المقدّس "قاعدةً مُطلقةً لإيمانها" (نفس المرجع، 21). علاوة على ذلك، فالكتاب المقدّس، قبل أن يصبح نصًّا مكتوبًا، نُقِل شفهيًّا وبقي حيًّا بفضل إيمان شعب كان يقرّ به تاريخًا له ومبدأ لهويّته وسط العديد من الشعوب الأخرى. لذا فإن إيماننا يقوم على الكلمة الحيّة، وليس على الكتاب.
12. عندما يُقرأ الكتاب المقدّس بذات الروح الذي به كُتب، يبقى جديدًا على الدوام. فالعهد القديم ليس قديمًا أبدًا بمجرّد أنه جزء من العهد الجديد، لأن الروح القدس الأوحد الذي يُلهم كلّ شيء هو الذي يحوّل كلّ شيء. وللنصّ المقدّس بأكمله وظيفة نبويّة: وهذه الوظيفة لا تتعلّق بالمستقبل، إنما بحاضر الذين يتغذّون من هذه الكلمة. ويؤكّد يسوع نفسه هذا بوضوح في بداية خدمته: "اليوم تَمَّت هذه الآيةُ بِمَسمَعٍ مِنكُم" (لو 4، 21). كلّ من يتغذّى من كلمة الله يوميًّا يصبح، مثل يسوع، معاصرًا للأشخاص الذين يقابلهم؛ لا يعرف خطر الوقوع في حنين عقيم للماضي، ولا في يوتوبيا مستقبليّة، لا قوام لها في الواقع.
يتمّم الكتابُ المقدّس عمله النبويّ أوّلًا مع الذين يصغون إليه؛ فيسبّب الحلاوة والمرارة. تعود إلى الذهن كلمات النبيّ حزقيال عندما سأله الربّ أن يأكل السفر، وقال: "صارَ في فَمي كالعَسَلِ حَلاوة" (3، 3). وقد عاش الإنجيليّ يوحنا في جزيرة بطمس نفس تجربة أكل حزقيال للكتاب، لكنّه يضيف شيئًا أكثر تحديدًا: "كانَ في فَمي حُلوًا كالعَسَل ولَمَّا أَكَلتُه مَلأَ جَوفي مَرارةً" (رؤيا 10، 10).
إن حلاوة كلمة الله تحثّنا على مشاركتها مع الذين نلتقي بهم في حياتنا، كي نعبّر عن يقين الرجاء الذي تحتويه (را. 1 بط 3، 15- 16). أمّا المرارة، فغالبًا ما تسبّبها صعوبة عيش الكلمة بشكل متناسق، أو رفضها لأنها تُعتبر غير صالحة لإعطاء معنى للحياة. لذا فمن الضروريّ ألّا نعتاد أبدًا على كلمة الله، إنما أن نتغذّى منها كي نكتشف ونعيش بعمق علاقتنا مع الله ومع إخوتنا.
13. هناك تحدّ آخر يأتي من الكتاب المقدّس ويتعلّق بالمحبّة. تذكّرنا كلمة الله باستمرار بمحبّة الآب الرحيم الذي يطلب من أبنائه أن يعيشوا بالمحبّة. وحياة يسوع هي التعبير الكامل عن هذه المحبّة الإلهيّة التي لا تحتفظ بشيء لنفسها، إنما تقدّم ذاتها للجميع دون تحفّظ. ونجد في رواية لعازار الفقير مؤشّرًا مهمًّا. عند موت لعازار والغني، طلب الأخير، عندما رأى الفقير في أحضان إبراهيم، أن يُرسَل إلى إخوته كي يحثّهم على عيش محبّة القريب، حتى يتجنّبوا عيش العذابات ذاتها بدورهم. فجاء جوابُ إبراهيم لاذعًا: "عندَهُم موسى والأَنبِياء، فَلْيَستَمِعوا إِلَيهم" (لو 16، 29). يجب الاصغاء إلى الكتاب المقدّس لعيش المحبّة: هذا تحدّ كبير وُضِع أمام حياتنا. فكلمة الله قادرة على فتح أعيننا كي تساعدنا على الخروج من الفرديّة التي تؤدّي إلى الاختناق والعقم، فيما تفتح الطريق للمشاركة والتضامن.
14. إن أحد أهم الأحداث حول علاقة يسوع بالتلاميذ هو رواية التجلّي. صعد يسوع الجبلَ ليصلّي مع بطرس ويعقوب ويوحنا. ويذكر الإنجيليّون أنه، بينما صار وجه يسوع وملابسه بيضاء تتلألأ، كان هناك رجلان يكلّمانه: موسى وإيليا، اللذان يجسّدان الناموس والأنبياء، أي الكتاب المقدّس. وقد كانت ردّة فعل بطرس على هذه الرؤيا مليئة بالاندهاش الفَرِح: "يا مُعَلِّم حَسَنٌ أَن نَكونَ ههُنا. فلَو نَصَبنا ثَلاثَ خِيَم، واحِدَةً لَكَ وواحدةً لِموسى وواحِدةً لإِيليَّا" (لو 9، 33). وفي تلك اللحظة، ظهَرَ غَمامٌ ظَلَّلهُم، فخافَ التلاميذ.
يذكّر عيدُ التجلي بعيد الأكواخ، عندما قرأ عزرا ونحميا النصّ المقدّس على الشعب، عند عودتهم من المنفى؛ ويستبق في الوقت نفسه، مجدَ يسوع استعدادًا لفضيحة الآلام، مجدًا إلهيًّا يُشارُ إليه أيضًا من الغمام الذي يحيط بالتلاميذ، رمزًا لحضور الربّ. هذا التجلّي يشبه تجلّي الكتاب المقدّس، الذي يتخطّى ذاته عندما يغذّي حياة المؤمنين. كما يذكّر الدستور العقائدي كلمة الله: "عندما ندرك الترابط بين مختلف معاني الكتاب المقدّس، يصبح أمرًا محتمًا فهم العبور من الحرف إلى الروح. ليس المقصود عبورًا آليًّا وعفويًّا. يجب بالأحرى أن يكون تخطّيًا للحرف" (عدد 38).
15. إن والدة الربّ ترافقنا في مسيرة قبول كلمة الله، وهي الكليّة الغبطة لأنها آمنت بأن ما قيل لها مِن عِند الربّ سوف يتمّ (را لو 1، 45). وغبطة مريم تسبق كلّ التطويبات التي أعلنها يسوع للفقراء والحزانى والودعاء وصانعي السلام والمضطهدين، لأنها الشرط الضروريّ لأيّ غبطة أخرى. فما من طوبى لفقيرٍ لأنه فقير؛ بل ينال الطوبى إذا، على غرار مريم، مَنْ آمن بأن كلمة الله سوف تتمّ. ويذكّر بهذا الأمر تلميذٌ ومعلّم عظيمٌ للكتاب المقدّس، القدّيس أوغسطينوس: "إِذا شخص مِنَ الجَمعِ، متحمّس للغاية، رَفَعَ صَوتَه: "طوبى لِلبَطنِ الَّذي حَمَلَكَ"، فقال: "بل طوبى لِمَن يَسمَعُ كَلِمَةَ اللهِ ويَحفَظُها". بمعنى آخر: حتى والدتي، التي وصَفتَها بالطوباويّة، هي طوباويّة لأنها تحفظ كلمة الله، وليس لأن "الكلمة" تجسّد منها وعاش بيننا، إنما لأنها تحفظ كلمة الله ذاته الذي به خُلِقَت، وأصبح فيها جسدًا" (حول إنجيل يوحنا، 10، 3).
عسى أن ينمّي الأحد المكرّس لكلمة الله عند شعب الله المعرفةَ الدينيّة والدؤوبة للكتاب المقدّس، كما علّم الكاتب المقدّس في العصور القديمة: "بلِ الكَلِمَةُ قَريبَةٌ مِنكَ جِدًّا، في فَمِكَ وفي قَلبِكَ لتعمَلَ بِها" (تث 30، 14).
أُعطِي في روما، قرب القدّيس يوحنا اللاتيراني، 30 سبتمبر/أيلول 2019
يوم ذكرى القدّيس جيروم، في بداية المئويّة السادسة عشر لموته
فرنسيس
[1] را. أعمال الكرسي الرسولي 102 (2010)، 692- 787.
[2] "هكذا تفهم أسرارية كلمة الله على مثال الحضور الحقيقي للمسيح تحت شكليّ الخبز وعصير الكرمة المكرّسين. حين نقترب من المذبح ونشارك في الوليمة الإفخارستية، نتناول فعلّا جسد المسيح ودمه؛ وإعلان كلمة الله في الاحتفال يتضمّن الاعتراف بأن المسيح ذاته حاضر، وهو يخاطبنا لكي نقبله" (كلمة الربّ، عدد 56).
[01537-AR.01] [Testo originale: Italiano]
[B0752-XX.02]