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Benedizione dei Palli e Celebrazione Eucaristica nella Solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, 29.06.2019


Omelia del Santo Padre

Traduzione in lingua francese

Traduzione in lingua inglese

Traduzione in lingua tedesca

Traduzione in lingua spagnola

Traduzione in lingua portoghese

Traduzione in lingua polacca

Nella Solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, alle ore 9.20, nella Basilica Vaticana, il Santo Padre Francesco ha benedetto i Palli, presi dalla Confessione dell’Apostolo Pietro e destinati agli Arcivescovi Metropoliti nominati nel corso dell’anno. Il Pallio verrà poi imposto a ciascun Arcivescovo Metropolita dal Rappresentante Pontificio nella rispettiva Sede Metropolitana.

Dopo il rito di benedizione dei Palli, il Papa ha presieduto la Celebrazione Eucaristica con i Cardinali, con gli Arcivescovi Metropoliti e con i Vescovi Sacerdoti.

Come di consueto in occasione della Festa dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, Patroni della Città di Roma, era presente alla Santa Messa una Delegazione del Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli, inviata da Sua Beatitudine Bartolomeo e guidata da Sua Eminenza Job, Arcivescovo di Telmessos, Rappresentante del Patriarcato ecumenico presso il Consiglio Ecumenico delle Chiese e Copresidente della Commissione mista internazionale per il Dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa. L’Arcivescovo Job era accompagnato da Sua Grazia Maximos, Vescovo di Melitini, e dal Rev.do Bodphorios Mangafas, Diacono Patriarcale.

Nel corso della Celebrazione Eucaristica, dopo la lettura del Vangelo, il Santo Padre ha pronunciato l’omelia che riportiamo di seguito:

Omelia del Santo Padre

Gli Apostoli Pietro e Paolo stanno davanti a noi come testimoni. Non si sono mai stancati di annunciare, di vivere in missione, in cammino, dalla terra di Gesù fino a Roma. Qui lo hanno testimoniato sino alla fine, dando la vita come martiri. Se andiamo alle radici della loro testimonianza, li scopriamo testimoni di vita, testimoni di perdono e testimoni di Gesù.

Testimoni di vita. Eppure le loro vite non sono state pulite e lineari. Entrambi erano di indole molto religiosa: Pietro discepolo della prima ora (cfr Gv 1,41), Paolo persino «accanito nel sostenere le tradizioni dei padri» (Gal 1,14). Ma fecero sbagli enormi: Pietro arrivò a rinnegare il Signore, Paolo a perseguitare la Chiesa di Dio. Tutti e due furono messi a nudo dalle domande di Gesù: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami?» (Gv 21,15); «Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?» (At 9,4). Pietro rimase addolorato dalle domande di Gesù, Paolo accecato dalle sue parole. Gesù li chiamò per nome e cambiò la loro vita. E dopo tutte queste avventure si fidò di loro, di due peccatori pentiti. Potremmo chiederci: perché il Signore non ci ha dato due testimoni integerrimi, dalla fedina pulita, dalla vita immacolata? Perché Pietro, quando c’era Giovanni? Perché Paolo e non Barnaba?

C’è un grande insegnamento in questo: il punto di partenza della vita cristiana non è l’essere degni; con quelli che si credevano bravi il Signore ha potuto fare ben poco. Quando ci riteniamo migliori degli altri è l’inizio della fine. Il Signore non compie prodigi con chi si crede giusto, ma con chi sa di essere bisognoso. Non è attratto dalla nostra bravura, non è per questo che ci ama. Egli ci ama così come siamo e cerca gente che non basta a sé stessa, ma è disposta ad aprirgli il cuore. Pietro e Paolo sono stati così, trasparenti davanti a Dio. Pietro lo disse subito a Gesù: «sono un peccatore» (Lc 5,8). Paolo scrisse di essere «il più piccolo tra gli apostoli, non degno di essere chiamato apostolo» (1 Cor 15,9). Nella vita hanno mantenuto questa umiltà, fino alla fine: Pietro crocifisso a testa in giù, perché non si credeva degno di imitare il suo Signore; Paolo sempre affezionato al suo nome, che significa “piccolo”, e dimentico di quello ricevuto alla nascita, Saulo, nome del primo re del suo popolo. Hanno compreso che la santità non sta nell’innalzarsi, ma nell’abbassarsi: non è una scalata in classifica, ma l’affidare ogni giorno la propria povertà al Signore, che compie grandi cose con gli umili. Qual è stato il segreto che li ha fatti andare avanti nelle debolezze? Il perdono del Signore.

Riscopriamoli dunque testimoni di perdono. Nelle loro cadute hanno scoperto la potenza della misericordia del Signore, che li ha rigenerati. Nel suo perdono hanno trovato una pace e una gioia insopprimibili. Con quello che avevano combinato avrebbero potuto vivere di sensi di colpa: quante volte Pietro avrà ripensato al suo rinnegamento! Quanti scrupoli per Paolo, che aveva fatto del male a tanti innocenti! Umanamente avevano fallito. Ma hanno incontrato un amore più grande dei loro fallimenti, un perdono così forte da guarire anche i loro sensi di colpa. Solo quando sperimentiamo il perdono di Dio rinasciamo davvero. Da lì si riparte, dal perdono; lì ritroviamo noi stessi: nella confessione dei nostri peccati.

Testimoni di vita, testimoni di perdono, Pietro e Paolo sono soprattutto testimoni di Gesù. Egli nel Vangelo di oggi domanda: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?». Le risposte evocano personaggi del passato: «Giovanni il Battista, Elia, Geremia o qualcuno dei profeti». Persone straordinarie, ma tutte morte. Pietro invece risponde: «Tu sei il Cristo» (cfr Mt 16,13.14.16). Cristo, cioè Messia. È una parola che non indica il passato, ma il futuro: il Messia è l’atteso, la novità, colui che porta nel mondo l’unzione di Dio. Gesù non è il passato, ma il presente e il futuro. Non è un personaggio lontano da ricordare, ma Colui al quale Pietro dà del tu: Tu sei il Cristo. Per il testimone, più che un personaggio della storia, Gesù è la persona della vita: è il nuovo, non il già visto; la novità del futuro, non un ricordo del passato. Dunque, testimone non è chi conosce la storia di Gesù, ma chi vive una storia di amore con Gesù. Perché il testimone, in fondo, questo solo annuncia: che Gesù è vivo ed è il segreto della vita. Vediamo infatti Pietro che, dopo aver detto: Tu sei il Cristo, aggiunge: «il Figlio del Dio vivente» (v. 16). La testimonianza nasce dall’incontro con Gesù vivo. Anche al centro della vita di Paolo troviamo la stessa parola che trabocca dal cuore di Pietro: Cristo. Paolo ripete questo nome in continuazione, quasi quattrocento volte nelle sue lettere! Per Lui Cristo non è solo il modello, l’esempio, il punto di riferimento: è la vita. Scrive: «Per me il vivere è Cristo» (Fil 1,21). Gesù è il suo presente e il suo futuro, al punto che giudica il passato spazzatura di fronte alla sublimità della conoscenza di Cristo (cfr Fil 3,7-8).

Fratelli e sorelle, davanti a questi testimoni, chiediamoci: “Io rinnovo ogni giorno l’incontro con Gesù?”. Magari siamo dei curiosi di Gesù, ci interessiamo di cose di Chiesa o di notizie religiose. Apriamo siti e giornali e parliamo di cose sacre. Ma così si resta al che cosa dice la gente, ai sondaggi, al passato, alle statistiche. A Gesù interessa poco. Egli non vuole reporter dello spirito, tanto meno cristiani da copertina o da statistiche. Egli cerca testimoni, che ogni giorno Gli dicono: “Signore, tu sei la mia vita”.

Incontrato Gesù, sperimentato il suo perdono, gli Apostoli hanno testimoniato una vita nuova: non si sono più risparmiati, hanno donato sé stessi. Non si sono accontentati di mezze misure, ma hanno assunto l’unica misura possibile per chi segue Gesù: quella di un amore senza misura. Si sono “versati in offerta” (cfr 2 Tm 4,6). Chiediamo la grazia di non essere cristiani tiepidi, che vivono di mezze misure, che lasciano raffreddare l’amore. Ritroviamo nel rapporto quotidiano con Gesù e nella forza del suo perdono le nostre radici. Gesù, come a Pietro, chiede anche a noi: “Chi sono io per te?”; “mi ami tu?”. Lasciamo che queste parole ci entrino dentro e accendano il desiderio di non accontentarci del minimo, ma di puntare al massimo, per essere anche noi testimoni viventi di Gesù.

Oggi si benedicono i Palli per gli Arcivescovi Metropoliti nominati nell’ultimo anno. Il pallio ricorda la pecorella che il Pastore è chiamato a portare sulle spalle: è segno che i Pastori non vivono per sé stessi, ma per le pecore; è segno che, per possederla, la vita bisogna perderla, donarla. Condivide con noi la gioia di oggi, secondo una bella tradizione, una Delegazione del Patriarcato ecumenico, che saluto con affetto. La vostra presenza, cari fratelli, ci ricorda che non possiamo risparmiarci nemmeno nel cammino verso l’unità piena tra i credenti, nella comunione a tutti i livelli. Perché insieme, riconciliati da Dio e perdonatici a vicenda, siamo chiamati a essere testimoni di Gesù con la nostra vita.

[01161-IT.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua francese

Les Apôtres Pierre et Paul sont devant nous comme témoins. Ils ne se sont jamais fatigués d’annoncer, de vivre en mission, en chemin, de la terre de Jésus jusqu’à Rome. Ici, ils en ont témoigné jusqu’à la fin, en donnant leur vie comme martyrs. Si nous allons aux racines de leur témoignage, nous les découvrons témoins de vie, témoins du pardon et témoins de Jésus.

Témoins de vie. Et pourtant leurs vies n’ont pas été nettes et linéaires. Les deux étaient de nature très religieuse: Pierre, disciple de la première heure (cf. Jn 1, 41), Paul également «acharné à défendre les traditions des pères» (Ga 1, 14). Mais ils firent d’énormes erreurs: Pierre en vint à renier le Seigneur, Paul à persécuter l’Église de Dieu. Tous les deux furent mis à nu par les questions de Jésus: «Simon, fils de Jean, m’aimes-tu? » (Jn 21, 15); «Saul, Saul, pourquoi me persécutes-tu?» (Ac 9, 4). Pierre fut peiné par les questions de Jésus, Paul aveuglé par ses paroles. Jésus les appela par leurs noms et changea leur vie. Et après toutes ces aventures, il leur fit confiance, il fit confiance à deux pécheurs repentis. Nous pourrions nous demander: pourquoi le Seigneur ne nous a pas donné deux témoins d’une grande intégrité, au casier judiciaire vierge, à la vie sans tâches? Pourquoi Pierre, quand il y avait Jean? Pourquoi Paul, et non pas Barnabé?

Il y a un grand enseignement en cela: le point de départ de la vie chrétienne n’est pas le fait d’être digne; avec ceux qui se croyaient bons, le Seigneur n’a pas pu faire grand-chose. Quand nous nous considérons meilleurs que les autres, c’est le début de la fin. Le Seigneur n’accomplit pas des prodiges avec celui qui se croit juste, mais avec celui qui se sait être dans le besoin. Il n’est pas attiré par notre talent, ce n’est pas pour cela qu’il nous aime. Il nous aime comme nous sommes et il cherche des personnes qui ne se suffisent pas à elles-mêmes, mais qui sont disposées à lui ouvrir leur cœur. Pierre et Paul ont été ainsi, transparents devant Dieu. Pierre le dit tout de suite à Jésus: «je suis un homme pécheur» (Lc 5, 8). Paul a écrit être «le plus petit des Apôtres, pas digne d’être appelé Apôtre» (1Co 15, 9). Dans la vie, ils ont conservé cette humilité jusqu’à la fin: Pierre crucifié la tête en bas, parce qu’il ne se croyait pas digne d’imiter son Seigneur; Paul toujours attaché à son nom qui signifie “petit”, et qui oublie celui qu’il a reçu à la naissance, Saul, nom du premier roi de son peuple. Ils ont compris que la sainteté n’est pas dans l’élévation de soi, mais dans l’abaissement de soi: elle n’est pas une ascension dans le classement, mais le fait de confier chaque jour sa propre pauvreté au Seigneur qui accomplit de grandes choses avec les humbles. Quel a été le secret qui les a fait aller de l’avant dans les faiblesses? Le pardon du Seigneur.

Redécouvrons-les donc témoins du pardon. Dans leurs chutes, ils ont découvert la puissance de la miséricorde du Seigneur qui les a régénérés. Dans son pardon, ils ont trouvé une paix et une joie irrépressibles. Avec ce qu’ils avaient fait, ils auraient pu vivre dans la culpabilité: combien de fois Pierre aura repensé à son reniement! Combien de scrupules pour Paul qui avait fait du mal à tant d’innocents! Humainement ils avaient échoué. Mais ils ont rencontré un amour plus grand que leurs défaillances, un pardon si fort qu’il guérit même leurs sentiments de culpabilité. C’est seulement quand nous expérimentons le pardon de Dieu que nous renaissons vraiment. De là on repart, du pardon; là nous nous retrouvons nous-mêmes: dans la confession de nos péchés.

Témoins de vie, témoins de pardon, Pierre et Paul sont surtout témoins de Jésus. Dans l’Évangile d’aujourd’hui, Il demande: «Au dire des gens, qui est le Fils de l’homme ?». Les réponses évoquent des personnages du passé: «Jean le Baptiste, Élie, Jérémie ou l’un des prophètes». Des personnes extraordinaires, mais toutes mortes. Pierre, au contraire, répond: «Tu es le Christ» (cf. Mt 16, 13. 14. 14. 16). Le Christ, c’est-à-dire le Messie. C’est une parole qui ne désigne pas le passé, mais l’avenir: le Messie est celui qui est attendu, la nouveauté, celui qui apporte dans le monde l’onction de Dieu. Jésus n’est pas le passé, mais le présent et l’avenir. Il n’est pas un personnage éloigné dont on se souvient, mais il est Celui que Pierre tutoie: Tu es le Christ. Pour le témoin, plus qu’un personnage de l’histoire, Jésus est la personne de la vie: il est le nouveau, non pas le déjà vu; la nouveauté de l’avenir, non pas un souvenir du passé. Donc, le témoin n’est pas celui qui connaît l’histoire de Jésus, mais celui qui vit une histoire d’amour avec Jésus. Parce que le témoin, dans le fond, annonce seulement ceci: que Jésus est vivant et qu’il est le secret de la vie. Nous voyons en fait Pierre qui, après avoir dit: Tu es le Christ, ajoute: «le Fils du Dieu vivant !» (v. 16). Le témoignage naît de la rencontre avec Jésus vivant. Également, au centre de la vie de Paul, nous trouvons la même parole qui déborde du cœur de Pierre: le Christ. Paul répète ce nom continuellement, presque quatre cent fois dans ses lettres! Pour lui, le Christ n’est pas seulement le modèle, l’exemple, le point de référence: il est la vie. Il écrit: «pour moi, vivre c’est le Christ» (Ph 1, 21). Jésus est son présent et son avenir, au point qu’il juge le passé comme ordure devant la grandeur de la connaissance du Christ (cf. Ph 3, 7-8).

Frères et sœurs, devant ces témoins, demandons-nous: “Est-ce que je renouvelle tous les jours la rencontre avec Jésus?”. Peut-être sommes-nous des curieux de Jésus, nous nous intéressons aux choses de l’Église ou aux nouvelles religieuses. Nous ouvrons des sites et des journaux et nous parlons des choses sacrées. Mais de cette façon, on en reste aux que disent les gens, aux sondages, au passé, aux statistiques. Ça n’a pas d’importance pour Jésus. Il ne veut pas de reporter de l’esprit, encore moins de chrétiens de couverture ou de statistiques. Il cherche des témoins qui chaque jour disent: “Seigneur, tu es ma vie”.

En rencontrant Jésus, en expérimentant son pardon, les Apôtres ont témoigné d’une vie nouvelle: ils n’ont pas épargné leurs efforts, ils se sont donnés eux-mêmes. Ils ne se sont pas contentés de demi mesures, mais ils ont assumé l’unique mesure possible pour celui qui suit Jésus: celle d’un amour sans mesure. Ils se sont “offerts en sacrifice” (cf. 2Tm 4, 6). Demandons la grâce de ne pas être des chrétiens tièdes, qui vivent de demi mesures, qui laissent refroidir l’amour. Retrouvons dans le rapport quotidien avec Jésus et dans la force de son pardon nos racines. Jésus, comme à Pierre, nous demande aussi: “Qui suis-je pour toi?”; “m’aimes-tu?”. Laissons ces paroles entrer en nous et allumer le désir de ne pas nous contenter du minimum, mais de viser plus haut, pour être nous aussi témoins vivants de Jésus.

Aujourd’hui, on bénit les Palliums pour les Archevêques Métropolitains nommés l’année dernière. Le Pallium rappelle la brebis que le Pasteur est appelé à porter sur les épaules: c’est le signe que les Pasteurs ne vivent pas pour eux-mêmes, mais pour les brebis; c’est le signe que, pour la posséder, la vie, il faut la perdre, la donner. Selon une belle tradition, une Délégation du Patriarcat œcuménique, que je salue avec affection, partage avec nous la joie de ce jour. Votre présence, chers frères, nous rappelle que nous ne pouvons nous épargner, pas même sur le chemin vers la pleine unité entre les croyants, dans la communion à tous les niveaux. Parce qu’ensemble, réconciliés par Dieu et nous étant pardonnés mutuellement, nous sommes appelés à être témoins de Jésus par notre vie.

[01161-FR.02] [Texte original: Italien]

Traduzione in lingua inglese

The Apostles Peter and Paul stand before us as witnesses. They never tired of preaching and journeying as missionaries from the land of Jesus to Rome itself. Here they gave their ultimate witness, offering their lives as martyrs. If we go to the heart of that testimony, we can see them as witnesses to life, witnesses to forgiveness and witnesses to Jesus.

Witnesses to life. Their lives, though, were not neat and linear. Both were deeply religious: Peter was one of the very first disciples (cf. Jn 1:41), and Paul was “zealous for the traditions of [his] ancestors” (Gal 1:14). Yet they also made great mistakes: Peter denied the Lord, while Paul persecuted the Church of God. Both were cut to the core by questions asked by Jesus: “Simon son of John, do you love me?” (Jn 21:15); “Saul, Saul, why do you persecute me?” (Acts 9:4). Peter was grieved by Jesus’ questions, while Paul was blinded by his words. Jesus called them by name and changed their lives. After all that happened, he put his trust in them, in one who denied him and one who persecuted his followers, in two repentant sinners. We may wonder why the Lord chosen not to give us two witnesses of utter integrity, with clean records and impeccable lives? Why Peter, when there was John? Why Paul, and not Barnabas?

There is a great teaching here: the starting point of the Christian life is not our worthiness; in fact, the Lord was able to accomplish little with those who thought they were good and decent. Whenever we consider ourselves smarter or better than others, that is the beginning of the end. The Lord does not work miracles with those who consider themselves righteous, but with those who know themselves needy. He is not attracted by our goodness; that is not why he loves us. He loves us just as we are; he is looking for people who are not self-sufficient, but ready to open their hearts to him. People who, like Peter and Paul, are transparent before God. Peter immediately told Jesus: “I am a sinful man” (Lk 5:8). Paul wrote that he was “least of the apostles, unfit to be called an apostle” (1 Cor 15:9). Throughout life, they preserved this humility, to the very end. Peter died crucified upside down, since he did not consider himself worthy to imitate his Lord. Paul was always fond of his name, which means “little”, and left behind his birth name, Saul, the name of the first king of his people. Both understood that holiness does not consist in exalting but rather in humbling oneself. Holiness is not a contest, but a question of entrusting our own poverty each day to the Lord, who does great things for those who are lowly. What was the secret that made them persevere amid weakness? It was the Lord’s forgiveness.

Let us think about them too as witnesses to forgiveness. In their failings, they encountered the powerful mercy of the Lord, who gave them rebirth. In his forgiveness, they encountered irrepressible peace and joy. Thinking back to their failures, they might have experienced feelings of guilt. How many times might Peter have thought back to his denial! How many scruples might Paul have felt at having hurt so many innocent people! Humanly, they had failed. Yet they encountered a love greater than their failures, a forgiveness strong enough to heal even their feelings of guilt. Only when we experience God’s forgiveness do we truly experience rebirth. From there we start over, from forgiveness; there we rediscover who we really are: in the confession of our sins.

Witnesses to life and witnesses to forgiveness, Peter and Paul are ultimately witnesses to Jesus. In today’s Gospel, the Lord asks: “Who do people say that the Son of Man is?” The answers evoke figures of the past: “John the Baptist, Elijah, Jeremiah or one of the prophets”. Remarkable people, but all of them dead. Peter instead replies: “You are the Christ” (Mt 16:13-14.16). The Christ, that is, the Messiah. A word that points not to the past, but to the future: the Messiah is the one who is awaited, he is newness, the one who brings God’s anointing to the world. Jesus is not the past, but the present and the future. He is not a distant personage to be remembered, but the one to whom Peter can speak intimately: You are the Christ. For those who are his witnesses, Jesus is more than a historical personage; he is a living person: he is newness, not things we have already seen, the newness of the future and not a memory from the past. The witness, then, is not someone who knows the story of Jesus, but someone who has experienced a love story with Jesus. The witness, in the end, proclaims only this: that Jesus is alive and that he is the secret of life. Indeed, Peter, after saying: “You are the Christ”, then goes on to say: “the Son of the living God” (v. 16). Witness arises from an encounter with the living Jesus. At the centre of Paul’s life too, we find that same word that rises up from Peter’s heart: Christ. Paul repeats this name constantly, almost four hundred times in his letters! For him, Christ is not only a model, an example, a point of reference: he is life itself. Paul writes: “For me to live is Christ” (Phil 1:21). Jesus is Paul’s present and his future, so much so that he considers the past as refuse in comparison to the surpassing knowledge of Christ (cf. Phil 3:7-8).

Brothers and sisters, in the presence of these witnesses, let us ask: “Do I renew daily my own encounter with Jesus?” We may be curious about Jesus, or interested in Church matters or religious news. We may open computer sites and the papers, and talk about holy things. But this is to remain at the level of what are people saying? Jesus does not care about polls, past history or statistics. He is not looking for religion editors, much less “front page” or “statistical” Christians. He is looking for witnesses who say to him each day: “Lord, you are my life”.

Having met Jesus and experienced his forgiveness, the Apostles bore witness to him by living a new life: they no longer held back, but gave themselves over completely. They were no longer content with half-measures, but embraced the only measure possible for those who follow Jesus: that of boundless love. They were “poured out as a libation” (cf. 2 Tim 4:6). Let us ask for the grace not to be lukewarm Christians living by half measures, allowing our love to grow cold. Let us rediscover who we truly are through a daily relationship with Jesus and through the power of his forgiveness. Just as he asked Peter, Jesus is now asking us: “Who do you say that I am?”, “Do you love me?” Let us allow these words to penetrate our hearts and inspire us not to remain content with a minimum, but to aim for the heights, so that we too can become living witnesses to Jesus.

Today we bless the pallia for the Metropolitan Archbishops named in the past year. The pallium recalls the sheep that the shepherd is called to bear on his shoulders. It is a sign that the shepherds do not live for themselves but for the sheep. It is a sign that, in order to possess life, we have to lose it, give it away. Today our joy is shared, in accordance with a fine tradition, by a Delegation from the Ecumenical Patriarchate, whose members I greet with affection. Your presence, dear brothers, reminds us that we can spare no effort also in the journey towards full unity among believers, in communion at every level. For together, reconciled to God and having forgiven one another, we are called to bear witness to Jesus by our lives.

[01161-EN.02] [Original text: Italian]

Traduzione in lingua tedesca

Die Apostel Petrus und Paulus stehen als Zeugen vor uns. Unermüdlich waren sie in der Verkündigung, in ihrem missionarischen Leben und auf ihrem Weg vom Land Jesu nach Rom. Hier haben sie ihn bis zum Ende bezeugt und ihr Leben als Märtyrer hingegeben. Wenn wir ihrem Zeugnis auf den Grund gehen, entdecken wir sie als Zeugen des Lebens, als Zeugen der Vergebung und als Zeugen Jesu.

Sie sind Zeugen des Lebens, auch wenn ihr Leben nicht sauber und geradlinig verlief. Beide waren sehr religiös veranlagt: Petrus war ein Jünger der ersten Stunde (vgl. Joh 1,41), Paulus setzte sich gar mit dem größten Eifer für die Überlieferungen der Väter ein (vgl. Gal 1,14). Aber sie begingen riesige Fehler: bei Petrus ging das bis zur Verleugnung des Herrn, bei Paulus bis zur Verfolgung der Kirche Christi. Alle beide wurden von Jesu Fragen aufgedeckt: »Simon, Sohn des Johannes, liebst du mich?« (Joh 21,15); »Saul, Saul, warum verfolgst du mich?« (Apg 9,4). Petrus war betrübt angesichts der Fragen Jesu, und Paulus erblindete durch seine Worte. Jesus rief sie beim Namen und verwandelte ihr Leben. Und nach all diesem Auf und Ab schenkte er ihnen, zwei reuigen Sündern, sein Vertrauen. Wir könnten uns fragen: Warum hat uns der Herr nicht zwei ganz unbescholtene Zeugen gegeben, mit einer weißen Weste, mit einem makellosen Leben? Warum Petrus, wenn es da auch Johannes gab? Warum Paulus und nicht Barnabas?

Hierin ist eine großartige Lehre enthalten: Der Ausgangspunkt für ein christliches Leben besteht nicht darin, würdig zu sein; mit denen, die sich für gut hielten, konnte der Herr nur sehr wenig anfangen. Wenn wir uns für besser halten als die anderen, ist das der Anfang vom Ende. Der Herr vollbringt keine Wunder mit denen, die glauben, dass sie gerecht sind, sondern mit denen, die wissen, dass ihnen etwas fehlt. Er wird nicht von unseren Fähigkeiten angezogen, sie sind auch nicht der Grund dafür, dass er uns liebt. Er liebt uns so, wie wir sind, und er sucht Menschen, die sich nicht selbst genügen, sondern die bereit sind, ihm ihre Herzen zu öffnen. Petrus und Paulus waren so, sie waren Gott gegenüber offen. Petrus sagte Jesus sofort: »Ich bin ein sündiger Mensch« (Lk 5,8). Paulus schrieb, er sei »der Geringste von den Aposteln, […] nicht wert, Apostel genannt zu werden« (1Kor 15,9). In ihrem Leben bewahrten sie sich diese Demut bis zum Ende: Petrus wurde mit dem Kopf nach unten gekreuzigt, weil er sich nicht für würdig hielt, seinen Herrn nachzuahmen; Paulus hing immer an seinen Namen, der „klein“ bedeutet, ungeachtet seines Geburtsnamens Saulus, des Namens des ersten Königs seines Volkes. Sie verstanden, dass die Heiligkeit nicht Aufstieg, sondern Selbsterniedrigung bedeutet: Es geht nicht darum, auf einer Rangliste höher zu steigen, sondern die eigene Armut täglich dem Herrn anzuvertrauen, der mit den Demütigen große Dinge tut. Was war das Geheimnis, das sie in ihrer Schwäche vorankommen ließ? Die Vergebung des Herrn.

Lasst sie uns daher als Zeugen der Vergebung entdecken. In ihrer Hinfälligkeit durften sie die Macht der Barmherzigkeit des Herrn erleben, die ihnen wieder neue Kraft gab. In seiner Vergebung fanden sie ununterdrückbaren Frieden und unbändige Freude. Bei dem, was sie angerichtet hatten, hätten auch Schuldgefühle ihr Leben bestimmen können: Wie oft wird Petrus an seine Verleugnung gedacht haben! Wie viele Skrupel hatte wohl Paulus, der so vielen unschuldigen Menschen Böses angetan hatte! Menschlich hatten sie versagt. Aber sie waren einer Liebe begegnet, die größer war als ihr Versagen, einer Vergebung, die so stark war, dass sie auch ihre Schuldgefühle heilen konnte. Nur wenn wir Gottes Vergebung erfahren, werden wir wirklich neu geboren. Von dort, von der Vergebung her, fängt man neu an; dort entdecken wir uns selbst wieder: in der Beichte unserer Sünden.

Petrus und Paulus, die Zeugen des Lebens und der Vergebung, sind vor allem Zeugen Jesu. Im heutigen Evangelium fragt er: »Für wen halten die Menschen den Menschensohn?« Die Antworten bemühen Persönlichkeiten der Vergangenheit: Johannes den Täufer, Elija, Jeremia oder sonst einen Propheten. Außergewöhnliche Menschen, aber alle tot. Petrus hingegen antwortet: »Du bist der Christus« (vgl. Mt 16,13.14.16). Christus bedeutet Messias. Es ist ein Wort, das nicht auf die Vergangenheit, sondern auf die Zukunft verweist: Der Messias ist der Erwartete, der Neue, derjenige, der die Salbung Gottes in die Welt bringt. Jesus ist nicht Vergangenheit, sondern Gegenwart und Zukunft. Er ist nicht eine ferne Gestalt, derer man sich erinnert, sondern derjenige, den Petrus mit Du anspricht: Du bist der Christus. Für den Zeugen ist Jesus mehr als eine geschichtliche Persönlichkeit, er ist die Gestalt des Lebens schlechthin: er ist der Neue, nicht der bereits Bekannte; die Neuheit der Zukunft, nicht eine Erinnerung an die Vergangenheit. Ein Zeuge ist deshalb nicht einer, der die Geschichte Jesu kennt, sondern jemand, der mit Jesus eine Geschichte der Liebe lebt. Denn der Zeuge verkündet letztlich nur dies: dass Jesus lebt und dass er das Geheimnis des Lebens ist. Das sehen wir an Petrus, der, nachdem er gesagt hat: »Du bist der Christus«, hinzufügt: »der Sohn des lebendigen Gottes« (V. 16). Das Zeugnis kommt aus der Begegnung mit dem lebendigen Jesus. Auch im Leben des Paulus nimmt dieses gleiche Wort, das das Herz des Petrus überfließen lässt, eine zentrale Stellung ein: Christus. Paulus wiederholt diesen Namen ständig, fast vierhundert Mal in seinen Briefen! Für ihn ist Christus nicht nur das Modell, das Beispiel, der Bezugspunkt: Er ist das Leben. Paulus schreibt: »Für mich ist Christus das Leben« (Phil 1,21). Jesus ist seine Gegenwart und seine Zukunft, so sehr, dass er angesichts der Erhabenheit der Erkenntnis Christi die Vergangenheit als Unrat ansieht (vgl. Phil 3,7-8).

Brüder und Schwestern, fragen wir uns angesichts dieser Zeugen: „Erneuere ich meine Begegnung mit Jesus jeden Tag?“ Vielleicht sind wir neugierig auf Jesus, wir interessieren uns für kirchliche Dinge oder religiöse Nachrichten. Wir lesen Websites und Zeitungen und sprechen über heilige Dinge. Aber so bleiben wir bei dem stehen, was die Menschen sagen, bei den Umfragen, bei der Vergangenheit, bei den Statistiken. Jesus interessiert das kaum. Er will keine Reporter des Spirituellen, geschweige denn „Titelseiten- oder Statistikchristen“. Er sucht Zeugen, die jeden Tag zu ihm sagen: „Herr, du bist mein Leben.“

Nachdem sie Jesus begegnet waren und seine Vergebung erfahren hatten, gaben die Apostel Zeugnis von einem neuen Leben: Sie scheuten keine Mühe mehr, sie gaben sich selbst hin. Sie begnügten sich nicht mit dem Mittelmaß. Sie lebten nach dem einzigen Maßstab, der in der Nachfolge Christi möglich ist: den, der maßlosen Liebe. Sie ließen sich „hinopfern“ (vgl. 2Tim 4,6). Bitten wir um die Gnade, keine lauen Christen zu sein, die mittelmäßig leben, die die Liebe erkalten lassen. Wir finden unsere Wurzeln in unserer täglichen Beziehung zu Jesus und in der Kraft seiner Vergebung. Wie er Petrus gefragt hat, so fragt Jesus auch uns: „Wer bin ich für dich?“; „Liebst du mich?“ Lassen wir zu, dass diese Worte in uns eindringen und den Wunsch entfachen, uns nicht mit dem Minimum zufrieden zu geben, sondern nach dem Maximum zu streben, damit auch wir lebendige Zeugen Jesu sein können.

Heute werden die Pallien für die im letzten Jahr ernannten Metropolitanerzbischöfe gesegnet. Das Pallium erinnert an das Schaf, das auf seinen Schultern zu tragen der Hirte gerufen ist: Es ist ein Zeichen dafür, dass die Hirten nicht für sich selbst, sondern für die Schafe leben; es ist ein Zeichen dafür, dass man das Leben verlieren, hingeben muss, um es zu besitzen. Nach einer schönen Tradition teilt eine Delegation des Ökumenischen Patriarchats, die ich herzlich grüße, die Freude des heutigen Festes mit uns. Eure Anwesenheit, liebe Brüder, erinnert uns daran, dass wir uns auch auf dem Weg zur vollen Einheit unter den Gläubigen und in der Gemeinschaft auf allen Ebenen nicht schonen dürfen. Denn gemeinsam – wenn wir mit Gott versöhnt sind und einander vergeben haben – sind wir berufen, mit unserem Leben Zeugen Jesu zu sein.

[01161-DE.02] [Originalsprache: Italienisch]

Traduzione in lingua spagnola

Los apóstoles Pedro y Pablo están ante nosotros como testigos. No se cansaron nunca de anunciar, de vivir en misión, en camino, desde la tierra de Jesús hasta Roma. Aquí dieron testimonio de Él, hasta el final, entregando su vida como mártires. Si vamos a las raíces de su testimonio, los descubrimos como testigos de vida, testigos de perdón y testigos de Jesús.

Testigos de vida. Aun cuando sus vidas no fueron cristalinas y lineales, ambos eran de ánimo muy religioso: Pedro, discípulo de la primera hora (cf. Jn 1,41), Pablo incluso «defensor muy celoso de las tradiciones de los antepasados» (Ga 1,14). Pero cometieron grandes equivocaciones: Pedro llegó a negar al Señor, Pablo persiguió a la Iglesia de Dios. Ambos fueron puestos al descubierto por las preguntas de Jesús: «Simón, hijo de Juan, ¿me amas?» (Jn 21,15); «Saúl, Saúl, ¿por qué me persigues?» (Hch 9,4). Pedro se entristeció por las preguntas de Jesús, Pablo quedó ciego por sus palabras. Jesús los llamó por su nombre y cambió sus vidas. Y después de todos estos sucesos confió en ellos, en dos pecadores arrepentidos. Podríamos preguntarnos: ¿Por qué el Señor no nos dio como testigos a dos personas irreprochables, con un pasado limpio y una vida inmaculada? ¿Por qué Pedro, si estaba en cambio Juan? ¿Por qué Pablo y no Bernabé?

Hay una gran enseñanza en todo esto: el punto de partida de la vida cristiana no está en el ser dignos; con aquellos que se creían buenos, el Señor no pudo hacer mucho. Cuando nos consideramos mejores que los demás, es el principio del fin. Porque el Señor no hace milagros con quien se cree justo, sino con quien se reconoce necesitado. Él no se siente atraído por nuestra capacidad, no es por esto que nos ama. Él nos ama como somos y busca personas que no sean autosuficientes, sino que estén dispuestas a abrirle sus corazones. Pedro y Pablo eran así, transparentes ante Dios. Pedro se lo dijo a Jesús de inmediato: «Soy un pecador» (Lc 5,8). Pablo escribió que él era «el menor de los apóstoles, no digno de ser llamado apóstol» (1 Co 15,9). Mantuvieron durante su vida esta humildad, hasta el final: Pedro crucificado boca abajo, porque no se consideraba digno de imitar a su Señor; Pablo, encariñado con su nombre, que significa “pequeño”, y desapegado del que recibió cuando nació, Saúl, nombre del primer rey de su pueblo. Comprendieron que la santidad no consiste en enaltecerse, sino en abajarse, no se trata de un ascenso en la clasificación, sino de confiar cada día la propia pobreza al Señor, que hace grandes cosas con los humildes. ¿Cuál fue el secreto que los sostuvo en sus debilidades? El perdón del Señor.

Redescubrámoslos, por tanto, como testigos de perdón. En sus caídas descubrieron el poder de la misericordia del Señor, que los regeneró. En su perdón encontraron una paz y una alegría irreprimibles. Con todo el desastre que habían realizado, habrían podido vivir con sentimientos de culpa: ¡Cuántas veces habrá pensado Pedro en su negación! ¡Cuántos escrúpulos tendría Pablo, por el daño que había hecho a tantas personas inocentes! Humanamente habían fallado; pero sin embargo se encontraron con un amor más grande que sus fracasos, con un perdón tan fuerte como para curar sus sentimientos de culpa. Sólo cuando experimentamos el perdón de Dios renacemos de verdad. Es el perdón el que nos permite comenzar de nuevo; allí nos encontramos con nosotros mismos: en la confesión de nuestros pecados.

Testigos de vida, testigos de perdón, Pedro y Pablo son ante todo testigos de Jesús. En el Evangelio de hoy Él hace esta pregunta: «¿Quién dice la gente que es el Hijo del hombre?». Las respuestas evocan personajes del pasado: «Juan el Bautista, Elías, Jeremías o algunos de los profetas». Personas extraordinarias, pero todas muertas. Pedro, en cambio, responde: «Tú eres el Cristo» (cf. Mt 16,13.14.16). Cristo, es decir el Mesías. Es una palabra que no se refiere al pasado, sino al futuro: El Mesías es el esperado, la novedad, el que trae al mundo la unción de Dios. Jesús no es el pasado, sino el presente y el futuro. No es un personaje lejano para recordar, sino Aquel a quien Pedro tutea: Tú eres el Cristo. Para el testigo, Jesús es más que un personaje histórico, es la persona de la vida: es lo nuevo, no lo ya visto; es la novedad del futuro, no un recuerdo del pasado. Por consiguiente, un testigo no es quien conoce la historia de Jesús, sino el que vive una historia de amor con Jesús. Porque el testigo, después de todo, lo único que anuncia es que Jesús está vivo y es el secreto de la vida. En efecto, vemos que Pedro, después de haber dicho Tú eres el Cristo, agrega: «el Hijo de Dios vivo» (v. 16). El testimonio nace del encuentro con Jesús vivo. También en el centro de la vida de Pablo encontramos la misma palabra que rebosa del corazón de Pedro: Cristo. Pablo repite este nombre una y otra vez, casi cuatrocientas veces en sus cartas. Para él, Cristo no es sólo el modelo, el ejemplo, el punto de referencia, sino la vida. Escribe: «Para mí la vida es Cristo» (Flp 1,21). Jesús es su presente y su futuro, hasta el punto de que juzga el pasado como basura ante la sublimidad del conocimiento de Cristo (cf. Flp 3,7-8).

Hermanos y hermanas, ante estos testigos, preguntémonos: “¿Renuevo mi encuentro con Jesús todos los días?”. Es posible que seamos personas que tienen curiosidad por Jesús, que nos interesemos por las cosas de la Iglesia o por las noticias religiosas; que abramos páginas de internet y periódicos, y hablemos de cuestiones sagradas. Pero de esta forma, nos quedamos sólo al nivel de lo que la gente dice, de las encuestas, del pasado, de las estadísticas. A Jesús esto le interesa poco. Él no quiere “reporteros” del espíritu, mucho menos cristianos de fachada o de estadística. Él busca testigos, que le digan cada día: “Señor, tú eres mi vida”.

Encontrando a Jesús, experimentando su perdón, los apóstoles fueron testigos de una nueva vida. No pensaron más en sí mismos, sino que se entregaron completamente. No se quedaron satisfechos con medias tintas, sino que se decidieron por la única medida posible para aquellos que siguen a Jesús: la de un amor sin límites. Se «derramaron en libación» (cf. 2 Tm 4,6). Pidamos la gracia de no ser cristianos tibios, que viven a medias, que dejan enfriar el amor. Encontremos nuestras raíces en la relación diaria con Jesús y en la fuerza de su perdón. Jesús  nos pregunta también a nosotros como hizo con Pedro: “¿Quién soy yo para ti?”, “¿Me amas?”. Dejemos que estas palabras entren en nosotros y enciendan el deseo de no sentirnos nunca satisfechos con lo mínimo, sino de apuntar al máximo, para ser también nosotros testigos vivos de Jesús.

Hoy se bendicen los palios para los arzobispos metropolitanos nombrados durante el último año. El palio recuerda a la oveja que el pastor está llamado a llevar sobre sus hombros; es signo de que los pastores no viven para sí mismos, sino para las ovejas; es signo de que, para poseer la vida, es necesario perderla, entregarla. Según una hermosa tradición, comparte también con nosotros la alegría de hoy una Delegación del Patriarcado Ecuménico, a la que saludo con afecto. Vuestra presencia, queridos hermanos, nos recuerda que tampoco podemos ahorrar esfuerzos en el camino hacia la unidad plena entre los creyentes, en una comunión a todos los niveles. Porque juntos, reconciliados por Dios y perdonados mutuamente, estamos llamados a ser testigos de Jesús con nuestra vida.

[01161-ES.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua portoghese

Os apóstolos Pedro e Paulo aparecem aos nossos olhos como testemunhas. Nunca se cansaram de anunciar, viver em missão, a caminho, desde a terra de Jesus até Roma. E aqui levaram o seu testemunho até ao fim, dando a vida como mártires. Se formos às raízes do seu testemunho, descobrimo-los testemunhas de vida, testemunhas de perdão e testemunhas de Jesus.

Testemunhas de vida… e, todavia, as suas vidas não foram límpidas nem lineares. Eram ambos de índole muito religiosa: Pedro, discípulo da primeira hora (cf. Jo 1, 41); Paulo, acérrimo defensor das tradições dos pais (cf. Gal 1, 14). Mas cometeram erros enormes: Pedro chegou a negar o Senhor; Paulo, a perseguir a Igreja de Deus. Ambos reentram em si por uma pergunta de Jesus: «Simão, filho de João, tu amas-Me?» (Jo 21, 15); «Saulo, Saulo, porque Me persegues?» (At 9, 4). Pedro fica pesaroso com as perguntas de Jesus; Paulo, encandeado pelas suas palavras. Jesus chamou-os pelo seu nome e mudou a sua vida. E, depois de todas estas aventuras, fiou-Se deles, dois pecadores arrependidos. Poderíamos perguntar-nos: Porque é que o Senhor não nos deu duas testemunhas integérrimas, com a ficha limpa, com a vida ilibada? Porquê Pedro, quando havia João? Porquê Paulo e não Barnabé?

Nisto, encerra-se uma grande lição: o ponto de partida da vida cristã não está no facto de ser dignos; com aqueles que se julgavam bons, bem pouco pôde fazer o Senhor. Quando nos consideramos melhores que os outros, é o princípio do fim. O Senhor não realiza prodígios com quem se crê justo, mas com quem sabe que é indigente. Não é atraído pela nossa habilidade, não é por isso que nos ama. Ele ama-nos como somos, e procura pessoas que não se bastam a si mesmas, mas estão prontas a abrir-Lhe o coração. Pedro e Paulo apresentaram-se assim transparentes diante de Deus. Pedro disse-o imediatamente a Jesus: «Sou um homem pecador» (Lc 5, 8). Paulo escreve que era «o menor dos apóstolos, nem [era] digno de ser chamado Apóstolo» (1 Cor 15, 9). E, na vida, mantiveram-se nesta humildade até ao fim: Pedro crucificado de cabeça para baixo, porque se julgava indigno de morrer como o seu Senhor; Paulo sempre afeiçoado ao seu nome, que significa «pequeno», esquecendo-se do que recebeu no nascimento, Saulo, nome do primeiro rei do seu povo. Compreenderam que a santidade não está no elevar-se mas em humilhar-se: não é uma subida na classificação, mas confiar dia a dia a própria pobreza ao Senhor, que realiza grandes coisas com os humildes. Qual foi o segredo que, no meio das fraquezas, os fez continuar para diante? O perdão do Senhor.

Descubramo-los, pois, como testemunhas de perdão. Nas suas quedas, descobriram a força da misericórdia do Senhor, que os regenerou. No seu perdão, encontraram uma paz e alegria irreprimíveis. Com o mal que fizeram, poderiam viver com sentimentos de culpa: quantas vezes terá Pedro pensado na sua negação! Quantos escrúpulos para Paulo, que fizera mal a tantas pessoas inocentes! Humanamente, faliram; mas encontraram um amor maior do que os seus fracassos, um perdão tão forte que curava até os seus sentimentos de culpa. Só quando experimentamos o perdão de Deus é que renascemos verdadeiramente. Recomeça-se daqui: do perdão. Reencontramo-nos a nós mesmos aqui: na confissão dos nossos pecados.

Testemunhas de vida, testemunhas de perdão, Pedro e Paulo são sobretudo testemunhas de Jesus. No Evangelho de hoje, Jesus pergunta: «Quem dizem os homens que é o Filho do homem?» As respostas evocam personagens do passado: João Batista, Elias, Jeremias ou alguns dos profetas. Pessoas extraordinárias, mas todas mortas. Diversamente, Pedro responde: «Tu és o Cristo» (cf. Mt 16, 13.14.16), isto é, o Messias. Uma palavra que não indica o passado, mas o futuro: o Messias é o esperado, a novidade, aquele que traz ao mundo a unção de Deus. Jesus não é o passado, mas o presente e o futuro. Não é um personagem distante para lembrar, mas alguém a quem Pedro trata por «tu»: Tu és o Cristo. Para a testemunha, mais do que um personagem da história, Jesus é a pessoa da vida: é o novo, não o já visto; a novidade do futuro, não uma lembrança do passado. Por isso, não é testemunha quem conhece a história de Jesus, mas quem vive uma história de amor com Jesus. Porque, no fundo, o que a testemunha anuncia é apenas isto: Jesus está vivo e é o segredo da vida. De facto, vemos que, depois de ter dito «Tu és o Cristo», Pedro acrescenta: «o Filho de Deus vivo» (16, 16). O testemunho nasce do encontro com Jesus vivo. E, no centro da vida de Paulo, encontramos a mesma palavra que transborda do coração de Pedro: Cristo. Paulo repete esse nome continuamente: quase quatrocentas vezes nas suas cartas! Para ele, Cristo não é apenas o modelo, o exemplo, o ponto de referência: é a vida. Escreve: «Para mim, viver é Cristo» (Flp 1, 21). Jesus é o seu presente e o seu futuro, a ponto de, à vista da sublimidade do conhecimento de Cristo, considerar o passado como lixo (cf. Flp 3, 7-8).

Irmãos e irmãs, diante destas testemunhas, interroguemo-nos: Renovo eu cada dia o encontro com Jesus? Talvez sejamos curiosos sobre Jesus, talvez nos interessemos por coisas de Igreja ou notícias religiosas. Abrimos sites e jornais, e conversamos sobre coisas sagradas. Mas, assim, ficamos no que dizem os homens, nas sondagens, no passado, nas estatísticas. Mas isto, a Jesus, interessa-Lhe pouco. Não quer repórteres do espírito, e muito menos cristãos de capa de revista ou de estatísticas. Ele procura testemunhas, que Lhe digam dia a dia: «Senhor, Tu és a minha vida».

Os Apóstolos, tendo encontrado Jesus e experimentado o seu perdão, testemunharam uma vida nova: não mais se pouparam, deram-se a si mesmos. Não se contentaram com meias medidas, mas adotaram a única medida possível para quem segue Jesus: a dum amor sem medida. «Ofereceram-se em sacrifício» (cf. 2 Tm 4, 6). Peçamos a graça de não ser cristãos tíbios, que vivem de meias medidas, que deixam resfriar o amor. Encontremos as nossas raízes na relação diária com Jesus e na força do seu perdão. Como a Pedro, Jesus pergunta também a nós: Quem sou Eu, para ti? Amas-me tu? Deixemos que estas palavras penetrem dentro de nós e acendam o desejo de não nos contentarmos com o mínimo, mas de apontar para o máximo: sermos, também nós, testemunhas vivas de Jesus.

Hoje são benzidos os pálios para os Arcebispos Metropolitas nomeados no ano transcorrido. O pálio recorda a ovelha que o Pastor é chamado a carregar aos ombros: é sinal de que os Pastores não vivem para si mesmos, mas para as ovelhas; é sinal de que, para possuir a vida, é preciso perdê-la, dá-la. Segundo uma bela tradição, partilha connosco a alegria de hoje, uma Delegação do Patriarcado Ecuménico, que saúdo com afeto. A vossa presença, queridos irmãos, lembra-nos que não podemos poupar-nos sequer no caminho rumo à plena unidade entre os crentes, na comunhão a todos os níveis. Porque é juntos, reconciliados por Deus e perdoando-nos mutuamente que somos chamados a ser testemunhas de Jesus com a nossa vida.

[01161-PO.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua polacca

Apostołowie Piotr i Paweł stoją przed nami jako świadkowie. Niestrudzenie głosili, żyli na misji, pielgrzymując z ziemi Jezusa do Rzymu. Tutaj o Nim zaświadczyli aż do końca, oddając swoje życie jako męczennicy. Jeśli udamy się do korzeni ich świadectwa, to odkryjemy, że są świadkami życia, świadkami przebaczenia i świadkami Jezusa.

Świadkowie życia. A jednak ich życie nie było czyste i proste. Obydwaj mieli usposobienie bardzo religijne: Piotr, uczeń pierwszej godziny (por. J 1, 41), Paweł „szczególnie wielki zapaleniec w zachowywaniu tradycji swoich przodków” (Ga 1,14). Ale popełnili ogromne błędy: Piotr doszedł do zaparcia się Pana, aPaweł do prześladowania Kościoła Bożego. Obydwaj zostali ujawnieni pytaniami Jezusa: „Szymonie, synu Jana, czy miłujesz Mnie?” (J 21, 15); „Szawle, Szawle, dlaczego Mnie prześladujesz?” (Dz 9, 4). Piotr był zasmucony pytaniami Jezusa, Paweł zaślepiony Jego słowami. Jezus powołał ich po imieniu i zmienił ich życie. Apo tych wszystkich wydarzeniach ufał im, dwom skruszonym grzesznikom. Moglibyśmy postawić sobie pytanie: dlaczego Pan nie dał nam dwóch nieposzlakowanych świadków, o czystej wierze, z nieskazitelnym życiem? Dlaczego Piotr, skoro był Jan? Dlaczego Paweł, a nie Barnaba?

Jest w tym wspaniała nauka: punktem wyjścia życia chrześcijańskiego nie jest bycie godnymi. Z tymi, którzy uważali siebie za wspaniałych Pan mógł uczynić bardzo niewiele. Kiedy uważamy się za lepszych od innych, to jest początek końca. Pan nie czyni cudów z ludźmi uważającymi siebie za sprawiedliwych, ale z tymi, którzy wiedzą, że są potrzebującymi. Nie pociągają Go nasze umiejętności i nie dlatego nas kocha. Miłuje nas takimi, jakimi jesteśmy i szuka ludzi, którzy samym sobie nie wystarczają, ale są gotowi otworzyć przed Nim swoje serca. Takimi byli Piotr i Paweł, przejrzystymi wobec Boga. Piotr powiedział to natychmiast Jezusowi: „Jestem człowiek grzeszny” (Łk 5, 8). Paweł napisał, że jest „najmniejszy ze wszystkich apostołów i niegodzien zwać się apostołem” (1 Kor 15,9). W życiu zachowali tę pokorę do końca: Piotr ukrzyżowany głową w dół, ponieważ uważał, że nie jest godzien naśladować swego Pana; Paweł zawsze lubiący swoje imię, które oznacza „mały” i zapomniawszy o tym, które otrzymał gdy się urodził – Szaweł – Saul, imię pierwszego króla swego narodu. Zrozumieli, że świętość nie polega na wynoszeniu się, ale na uniżeniu się: nie jest to wspinaczka wrankingach, ale każdego dnia powierzanie swego ubóstwa Panu, który czyni wielkie rzeczy z pokornymi. Co było tajemnicą, która sprawiała, że szli naprzód w słabościach? - Przebaczenie Pana.

Odkryjmy ich zatem jako świadków przebaczenia. W swoich upadkach odkryli moc miłosierdzia Pana, które ich odrodziło. WJego przebaczeniu znaleźli nieodparty pokój i radość. Z tym, czego się dopuścili, mogli przeżywać poczucie winy: ileż razy Piotr przemyśliwał o swoim zaparciu się! Ileż skrupułów miał Paweł, który wyrządził zło tak wielu niewinnym! Po ludzku zawiedli. Ale napotkali miłość większą od swoich porażek, przebaczenie tak silne, że leczące nawet ich poczucie winy. Tylko wtedy, gdy doświadczamy Bożego przebaczenia, naprawdę rodzimy się na nowo. Stamtąd się zaczyna, od przebaczenia; tam odnajdziemy siebie: w spowiedzi z naszych grzechów.

Świadkowie życia, świadkowie przebaczenia, Piotr i Paweł są przede wszystkim świadkami Jezusa. W dzisiejszej Ewangelii pyta On: „Za kogo ludzie uważają Syna Człowieczego?”. Odpowiedzi przywołują postacie z przeszłości: „za Jana Chrzciciela, inni za Eliasza, jeszcze inni za Jeremiasza albo za jednego z proroków”. Ludzi nadzwyczajnych, ale wszyscy oni są martwi. Piotr odpowiada: „Ty jesteś Mesjasz” (por. Mt 16, 13.14.16). Chrystus, to Mesjasz. Jest to słowo, które nie wskazuje na przeszłość, ale na przyszłość: Mesjasz jest oczekiwany, jest nowością, tym, który wnosi w świat namaszczenie Boga. Jezus nie jest przeszłością, ale teraźniejszością i przyszłością. Nie jest to osobistość odległa, którą trzeba przypominać, ale ten, któremu Piotr mówi przez „ty”: „Ty jesteś Mesjasz”. Dla świadka, Jezus jest nie tyle postacią historyczną ile osobą życia: jest nowym, a nie już widzianym; nowością przyszłości, a nie pamięcią o przeszłości. Zatem świadkiem nie jest ten, kto zna historię Jezusa, ale ten, kto żyje historią miłości z Jezusem. Świadek bowiem w istocie ogłasza jedynie to: że Jezus żyje i jest On tajemnicą życia. Rzeczywiście widzimy Piotra, który po tym, jak powiedział: Ty jesteś Mesjasz, dodaje: „Syn Boga żywego” (w. 16). Świadectwo rodzi się ze spotkania z żywym Jezusem. Również w centrum życia Pawła znajdujemy to samo słowo, które przepełnia serca Piotra: Chrystus. Paweł powtarza to imię nieustannie, prawie czterysta razy w swoich listach! Dla niego Chrystus jest nie tylko wzorem, przykładem, punktem odniesienia: jest życiem. Pisze on: „Dla mnie żyć - to Chrystus” (Flp 1,21). Jezus jest jego teraźniejszością i przyszłością, do tego stopnia, że osądza przeszłość jako stratę wobec najwyższej wartości poznania Chrystusa (por. Flp 3, 7-8).

Bracia i siostry, w obliczu tych świadków zadajmy sobie pytanie: „Czy codziennie odnawiam moje spotkanie z Jezusem?” Być może jesteśmy ciekawi Jezusa, interesujemy się sprawami Kościoła lub wiadomościami religijnymi. Otwieramy witryny i gazety i rozmawiamy o rzeczach świętych. Ale w ten sposób pozostajemy na poziomie tego, co mówią ludzie, na poziomie sondaży, przeszłości statystyk. Jezusa to mało interesuje. Nie chce On reporterów ducha, a tym bardziej chrześcijan z okładki. Szuka świadków, którzy codziennie Mu mówią: „Panie, ty jesteś moim życiem”.

Spotkawszy Jezusa, doświadczywszy Jego przebaczenia, apostołowie byli świadkami nowego życia: już się nie oszczędzali, dali siebie samych. Nie zadowalali się półśrodkami, ale podjęli jedyną decyzję możliwą dla tych, którzy podążają za Jezusem: miłość bez miary. Oni „wylali siebie na ofiarę” (por. 2 Tm 4, 6). Prośmy o łaskę, abyśmy nie byli chrześcijanami letnimi, którzy żyją półśrodkami, którzy pozwalają, aby miłość ostygła. Odnajdujmy nasze korzenie w codziennej relacji z Jezusem i wmocy Jego przebaczenia. Jezus pyta także nas, podobnie jak Piotra: „Kim dla ciebie jestem?” „Czy ty mnie kochasz?”. Pozwólmy, aby te słowa weszły do naszych serc i rozpaliły pragnienie nie zadowalania się minimum, abyśmy i my byli żyjącymi świadkami Jezusa.

Dzisiaj są poświęcane paliusze dla arcybiskupów metropolitów mianowanych w ubiegłym roku. Paliusz przypomina owcę, a pasterz jest powołany do niesienia jej na ramionach: jest to znak, że pasterze nie żyją dla samych siebie, ale dla owiec. Jest to znak, że aby je posiąść, trzeba utracić, oddać swe życie. Zgodnie zpiękną tradycją radość tę dzieli dzisiaj z nami delegacją Patriarchatu Ekumenicznego, którą serdecznie pozdrawiam. Wasza obecność, drodzy bracia, przypomina nam, że nie możemy też oszczędzać się w drodze ku pełnej jedności między wierzącymi, w komunii na wszystkich poziomach. Bowiem razem, pojednani przez Boga i przebaczający sobie nawzajem, jesteśmy powołani, aby naszym życiem być świadkami Jezusa.

[01161-PL.02] [Testo originale: Italiano]

[B0560-XX.02]