Discorso del Santo Padre
Traduzione in lingua inglese
Alle ore 12.25 di questa mattina, nella Sala Regia del Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Francesco ha ricevuto in Udienza i Membri della Federazione Internazionale delle Associazioni Mediche Cattoliche (FIAMC), riuniti a Roma per celebrare la Consacrazione della Federazione al Sacro Cuore di Gesù (Pontificia Università Urbaniana, 21-22 giugno 2019).
Pubblichiamo di seguito il discorso che Papa Francesco ha rivolto ai presenti nel corso dell’incontro:
Discorso del Santo Padre
Signor Cardinale,
Signor Presidente,
Cari fratelli e sorelle!
Vi do il benvenuto e ringrazio il Cardinale Turkson per le sue cortesi parole. Ho apprezzato che, in questo vostro incontro, abbiate voluto compiere un particolare atto di Consacrazione al Sacro Cuore di Gesù, e assicuro la mia preghiera perché esso sia fruttuoso per ognuno di voi. Vorrei condividere con voi alcune semplici riflessioni.
Le prime comunità cristiane hanno spesso presentato il Signore Gesù come un “medico”, mettendo in risalto l’attenzione costante e piena di compassione che Egli aveva per quanti soffrivano di ogni genere di malattia. La sua missione consisteva prima di tutto nel farsi vicino alle persone malate o segnate da disabilità, specialmente a quelle che a causa di ciò erano disprezzate ed emarginate. In questo modo Gesù spezza il giudizio di condanna che spesso etichettava il malato come peccatore; con questa vicinanza compassionevole, Egli manifesta l’amore infinito di Dio Padre per i suoi figli più bisognosi.
La cura delle persone malate appare pertanto come una delle dimensioni costitutive della missione di Cristo; e per questo è rimasta tale anche in quella della Chiesa. Nei Vangeli è evidente il forte legame tra la predicazione di Cristo e i gesti di guarigione che Egli compie per quanti sono «tormentati da varie malattie e dolori, indemoniati, epilettici e paralitici» - così Matteo (4,24).
Importante è anche il modo in cui Gesù si prende cura dei malati e dei sofferenti. Egli spesso tocca queste persone e si lascia toccare da esse, anche nei casi in cui ciò sarebbe proibito. Così fa ad esempio con la donna che da anni soffriva di emorragie: Egli si sente toccare, percepisce la forza risanatrice che esce da sé, e quando quella persona confessa in ginocchio ciò che ha fatto, le dice: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace!» (Lc 8,48).
Per Gesù, curare vuol dire avvicinarsi alla persona, anche se a volte ci sono alcuni che vorrebbero impedirlo, come nel caso del cieco Bartimeo, a Gerico. Gesù lo fa chiamare e gli chiede: «Che cosa vuoi che io faccia per te?» (Mc 10,51). Può sorprendere che il “medico” chieda alla persona sofferente che cosa si aspetta da lui. Ma questo mette in luce il valore della parola e del dialogo nel rapporto di cura. Curare, per Gesù, significa entrare in dialogo per far emergere il desiderio dell’essere umano e la dolce potenza dell’Amore di Dio, operante nel suo Figlio. Perché curare vuol dire dare inizio a un cammino: un cammino di sollievo, di consolazione, di riconciliazione e di guarigione. Quando una certa cura viene data con amore sincero per l’altro, si allarga l’orizzonte della persona che viene curata, perché l’essere umano è uno: è unità di spirito, anima e corpo. E questo si vede bene nel ministero di Gesù: Egli non guarisce mai una parte, ma tutta la persona, integralmente. A volte partendo dal corpo, a volte dal cuore – cioè perdonando i suoi peccati (cfr Mc 2,5) –, ma sempre per risanare il tutto.
Infine, la cura di Gesù coincide con il rialzare la persona e inviare colui o colei che ha avvicinato e curato. Sono numerosi i malati che, dopo essere stati guariti da Cristo, diventano suoi discepoli e seguaci.
Dunque, Gesù si avvicina, si prende cura, guarisce, riconcilia, chiama e invia: come si vede, quella con le persone oppresse da malattie e infermità è per Lui una relazione personale, ricca, non meccanica, non a distanza.
Ed è a questa scuola di Gesù medico e fratello dei sofferenti che siete chiamati voi medici credenti in Lui, membri della sua Chiesa. Chiamati a farvi vicini a coloro che attraversano momenti di prova a causa della malattia.
Siete chiamati a dare le cure con delicatezza e rispetto della dignità e dell’integrità fisica e psichica delle persone.
Siete chiamati ad ascoltare con attenzione, per rispondere con parole adeguate, che accompagnino i gesti di cura rendendoli più umani e quindi anche più efficaci.
Siete chiamati a incoraggiare, a consolare, a rialzare, a dare speranza. Non si può curare ed essere curati senza speranza; in questo siamo tutti bisognosi e riconoscenti a Dio, che ci dona la speranza. Ma anche riconoscenti verso quanti lavorano nella ricerca medica.
Negli ultimi cent’anni, i progressi sono stati grandissimi. Vi sono nuove terapie e numerosi trattamenti in stato di sperimentazione. Tutte queste cure erano impensabili nelle generazioni passate. Possiamo e dobbiamo alleviare la sofferenza ed educare ciascuno a diventare più responsabile della propria salute e della salute di vicini e parenti. Dobbiamo anche ricordarci che curare vuol dire rispettare il dono della vita dall’inizio fino alla fine. Non siamo noi i proprietari: la vita ci viene affidata, e i medici ne sono i servitori.
La vostra missione è nello stesso tempo una testimonianza di umanità, un modo privilegiato di far vedere, di far sentire che Dio, nostro Padre, si prende cura di ogni singola persona, senza distinzione. Egli vuole servirsi per questo anche delle nostre conoscenze, delle nostre mani e del nostro cuore, per curare e guarire ogni essere umano, perché ad ognuno egli vuole dare vita e amore.
Questo esige da voi competenza, pazienza, forza spirituale e solidarietà fraterna. Lo stile di un medico cattolico unisce la professionalità alla capacità di collaborazione e al rigore etico. E tutto ciò va a beneficio sia dei malati sia dell’ambiente in cui operate. Molto spesso – lo sappiamo – la qualità di un reparto è data non tanto dalla ricchezza delle strumentazioni di cui è dotato, ma dal livello di professionalità e di umanità del primario e della squadra dei medici. Questo lo vediamo tutti i giorni, tanta gente semplice che va in ospedale: “Io vorrei andare da quel dottore, da quella dottoressa – Perché? – Perché sentono la vicinanza, sentono la dedizione”.
Rinnovandovi continuamente, attingendo alle fonti della Parola di Dio e dei Sacramenti, potrete svolgere bene la vostra missione, e lo Spirito vi darà il dono del discernimento per affrontare le situazioni delicate e complesse, e per dire le parole giuste nel modo giusto e il silenzio giusto, nel momento giusto.
Cari fratelli e sorelle, so che già lo fate, ma vi esorto a pregare per coloro che curate e per i colleghi che lavorano insieme a voi. E non dimenticatevi di pregare anche per me. Grazie!
[01114-IT.02] [Testo originale: Italiano]
Traduzione in lingua inglese
Your Eminence,
Dear President,
Dear brothers and sisters,
I offer you a cordial welcome and I thank Cardinal Turkson for his kind words. I am impressed that at this meeting you wanted to make a special act of consecration to the Sacred Heart of Jesus. Please know of my prayers that this will prove spiritually fruitful for each of you. I would now like to share with you a few simple thoughts.
The earliest Christian communities often spoke of the Lord Jesus as a “physician”, highlighting in this way his constant, compassionate concern for those suffering from every kind of illness. His mission consisted above all in drawing near to the sick and the disabled, especially to those who for that reason were looked down upon and marginalized. Jesus thus overturned the sentence of condemnation that so often labelled the sick person as a sinner. By his compassionate closeness, Jesus showed the infinite love of God our Father for his children most in need.
Care for the sick emerges, then, as an essential aspect of Christ’s mission and, consequently, of the Church’s mission as well. The Gospels show a clear link between Jesus’ preaching and the acts of healing that he performed for all those who were, in Matthew’s words, “afflicted with various diseases and pains, demoniacs, epileptics and paralytics” (4:24).
Important too is the way that Jesus cared for the sick and suffering. He often touched those persons and let them touch him, even in cases where it was forbidden. This was the case, for example, with the woman who had suffered for years from haemorrhages. Jesus sensed that he had been touched and that healing power had gone forth from him, and when the woman fell to her knees and confessed what she had done, he said to her: “Daughter, your faith has made you well; go in peace” (Lk 8:48).
For Jesus, then, healing involves drawing near to the person, even if at times there were some who would prevent him from doing so, as in the case of the blind Bartimaeus in Jericho. Jesus had the man brought before him and asked: “What do you want me to do for you?” (Mk 10:51). It might surprise us that the “physician” should ask the patient what he expects from him! Yet this highlights the importance of words and dialogue in a relationship of care. For Jesus, care entails entering into dialogue, in order to bring out the individual’s own desire and the soothing power of God’s love working through his Son. Caregiving means starting a process: a process of relief, consolation, reconciliation and healing. When care is given with genuine love for the other, it expands the horizons of the recipient, for human beings are a unity: a unity of spirit, soul and body. We can see this clearly in the ministry of Jesus. He never heals just one part, but rather the whole person, integrally. At times, he starts with the body, at other times with the heart – by forgiving sins (cf. Mt 2:5), but always for the sake of restoring the whole.
Finally, Jesus’ care involves raising up and then sending forth those whom he has drawn near to and healed. Many of the sick who were cured by Christ then became his disciples and followers.
In a word, Jesus draws near, shows concern, heals, reconciles, calls and sends forth. It is obvious that, for him, a relationship with persons afflicted by illness and infirmity is one both personal and profound. Not a mechanical relationship, not a distant one.
It is to this school of Jesus, physician and brother to the suffering, that you, as physicians, believers and members of the Church, have been called. You are called to draw near to those experiencing the suffering brought on by illness.
You are called to provide care with sensitivity and with respect for the dignity and for the physical and psychological integrity of each person.
You are called to listen attentively and to respond appropriately, in addition to the physical care you provide. This will make the latter all the more humane and, consequently, all the more effective.
You are called to offer encouragement and comfort, to raise up and to give hope. Care cannot really be given or received in the absence of hope. In this sense, all of us need hope. We are grateful to God who grants us that hope. But also grateful to all those who are engaged in medical research.
The last hundred years have seen immense progress in this area. New therapies and numerous experimental treatments have developed, forms of care that would have been unimaginable in earlier generations. We can and should alleviate suffering, while at the same time teaching people to become more responsible for their own health and the health of their relatives and friends. And we must remember too, that the work of caring for others also entails respect for the gift of life from beginning to end. For we are not the masters of life; it is given to us in trust, and physicians stand at its service.
Your mission is a witness of humanity, a privileged means of helping others to see and feel that God our Father cares for every individual, without distinction. To do this, he wishes to employ our knowledge, our hands and our hearts, in order to care for and bring healing to every human being. To each of us he wants to grant life and love.
All this requires of you competence, patience, spiritual strength and fraternal solidarity. The way you fulfil your mission as Catholic physicians should unite professionalism with the capacity for teamwork and ethical integrity. This will benefit both the patient and the environment in which you carry out your work. Very often – as we know – the quality of a hospital ward depends not merely on the sophistication of its technology, but on the level of professionalism and humanity shown by the head physician and the medical team. We see this every day, many ordinary people who go to hospital: “I want to see this doctor, or that one” – why? Because they sense their closeness, their dedication.
By constant spiritual renewal and by drawing from the wellspring of God’s word and the sacraments, you will accomplish your mission well. The Holy Spirit will grant you the gift of discernment needed to confront sensitive and complex situations, and to say the right things in the right way, and with the right silence, at the right time.
Dear brothers and sisters, I know that you are already doing it, but I urge you also to pray for your patients and for all your colleagues and assistants. And please, do not forget to pray for me. Thank you!
[01114-EN.02] [Original text: Italian]
[B0536-XX.02]