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Christus vivit
«Cristo vive. Egli è la nostra speranza e la più bella giovinezza di questo mondo. Tutto ciò che Lui tocca diventa giovane, diventa nuovo, si riempie di vita. Perciò, le prime parole che voglio rivolgere a ciascun giovane cristiano sono: Lui vive e ti vuole vivo!».
Inizia così l’Esortazione Apostolica postsinodale “Christus vivit” di Francesco, firmata lunedì 25 marzo nella Santa Casa di Loreto e indirizzata «ai giovani e a tutto il popolo di Dio». Nel documento, composto di nove capitoli divisi in 299 paragrafi, il Papa spiega di essersi lasciato «ispirare dalla ricchezza delle riflessioni e dei dialoghi del Sinodo» dei giovani, celebrato in Vaticano nell’ottobre 2018.
Primo capitolo: «Che cosa dice la Parola di Dio sui giovani?»
Francesco ricorda che «in un’epoca in cui i giovani contavano poco, alcuni testi mostrano che Dio guarda con altri occhi» (6) e presenta brevemente figure di giovani dell’Antico Testamento: Giuseppe, Gedeone (7), Samuele (8), il re David (9), Salomone e Geremia (10), la giovanissima serva ebrea di Naaman e la giovane Rut (11). Quindi si passa al Nuovo Testamento. Il Papa ricorda che «Gesù, l’eternamente giovane, vuole donarci un cuore sempre giovane» (13) e aggiunge: «Notiamo che a Gesù non piaceva il fatto che gli adulti guardassero con disprezzo i più giovani o li tenessero al loro servizio in modo dispotico. Al contrario, chiedeva: “Chi tra voi è più grande diventi come il più giovane” (Lc 22,26). Per Lui, l’età non stabiliva privilegi, e che qualcuno avesse meno anni non significava che valesse di meno». Francesco afferma: «Non bisogna pentirsi di spendere la propria gioventù essendo buoni, aprendo il cuore al Signore, vivendo in un modo diverso» (17).
Secondo capitolo: «Gesù Cristo sempre giovane»
Il Papa affronta il tema degli anni giovanili di Gesù e si ricorda il racconto evangelico che descrive il Nazareno «in piena adolescenza, quando ritornò con i suoi genitori a Nazaret, dopo che lo avevano perso e ritrovato nel Tempio» (26). Non dobbiamo pensare, scrive Francesco, che «Gesù fosse un adolescente solitario o un giovane che pensava a sé stesso. Il suo rapporto con la gente era quello di un giovane che condivideva tutta la vita di una famiglia ben integrata nel villaggio», «nessuno lo considerava un giovane strano o separato dagli altri» (28). Il Papa fa notare che Gesù adolescente, «grazie alla fiducia dei suoi genitori… si muove con libertà e impara a camminare con tutti gli altri» (29). Questi aspetti della vita di Gesù non dovrebbero essere ignorati nella pastorale giovanile, «per non creare progetti che isolino i giovani dalla famiglia e dal mondo, o che li trasformino in una minoranza selezionata e preservata da ogni contagio». Servono invece «progetti che li rafforzino, li accompagnino e li proiettino verso l’incontro con gli altri, il servizio generoso, la missione» (30).
Gesù «non illumina voi, giovani, da lontano o dall’esterno, ma partendo dalla sua stessa giovinezza, che egli condivide con voi» e in Lui si possono riconoscere molti aspetti tipici dei cuori giovani (31). Vicino «a Lui possiamo bere dalla vera sorgente, che mantiene vivi i nostri sogni, i nostri progetti, i nostri grandi ideali, e che ci lancia nell’annuncio della vita che vale la pena vivere» (32); «Il Signore ci chiama ad accendere stelle nella notte di altri giovani» (33).
Francesco parla quindi della giovinezza della Chiesa e scrive: «Chiediamo al Signore che liberi la Chiesa da coloro che vogliono invecchiarla, fissarla sul passato, frenarla, renderla immobile. Chiediamo anche che la liberi da un’altra tentazione: credere che è giovane perché cede a tutto ciò che il mondo le offre, credere che si rinnova perché nasconde il suo messaggio e si mimetizza con gli altri. No. È giovane quando è sé stessa, quando riceve la forza sempre nuova della Parola di Dio, dell’Eucaristia, della presenza di Cristo e della forza del suo Spirito ogni giorno» (35).
È vero che «noi membri della Chiesa non dobbiamo essere tipi strani», ma al contempo «dobbiamo avere il coraggio di essere diversi, di mostrare altri sogni che questo mondo non offre, di testimoniare la bellezza della generosità, del servizio, della purezza, della fortezza, del perdono, della fedeltà alla propria vocazione, della preghiera, della lotta per la giustizia e il bene comune, dell’amore per i poveri, dell’amicizia sociale» (36). La Chiesa può essere tentata di perdere l’entusiasmo e cercare «false sicurezze mondane. Sono proprio i giovani che possono aiutarla a rimanere giovane» (37).
Il Papa torna poi su uno degli insegnamenti a lui più cari e spiegando che bisogna presentare la figura di Gesù «in modo attraente ed efficace» dice: «Per questo bisogna che la Chiesa non sia troppo concentrata su sé stessa, ma che rifletta soprattutto Gesù Cristo. Questo comporta che riconosca con umiltà che alcune cose concrete devono cambiare» (39).
Nell’esortazione si riconosce che ci sono giovani i quali sentono la presenza della Chiesa «come fastidiosa e perfino irritante». Un atteggiamento che affonda le radici «anche in ragioni serie e rispettabili: gli scandali sessuali ed economici; l’impreparazione dei ministri ordinati che non sanno intercettare adeguatamente la sensibilità dei giovani; il ruolo passivo assegnato ai giovani all’interno della comunità cristiana; la fatica della Chiesa di rendere ragione delle proprie posizioni dottrinali ed etiche di fronte alla società» (40).
Ci sono giovani che «chiedono una Chiesa che ascolti di più, che non stia continuamente a condannare il mondo. Non vogliono vedere una Chiesa silenziosa e timida, ma nemmeno sempre in guerra per due o tre temi che la ossessionano. Per essere credibile agli occhi dei giovani, a volte ha bisogno di recuperare l’umiltà e semplicemente ascoltare, riconoscere in ciò che altri dicono una luce che la può aiutare a scoprire meglio il Vangelo» (41). Ad esempio, una Chiesa troppo timorosa può essere costantemente critica «nei confronti di tutti i discorsi sulla difesa dei diritti delle donne ed evidenziare costantemente i rischi e i possibili errori di tali rivendicazioni», mentre una Chiesa «viva può reagire prestando attenzione alle legittime rivendicazioni delle donne», pur «non essendo d’accordo con tutto ciò che propongono alcuni gruppi femministi» (42).
Francesco presenta quindi «Maria, la ragazza di Nazaret», e il suo sì come quello «di chi vuole coinvolgersi e rischiare, di chi vuole scommettere tutto, senza altra garanzia che la certezza di sapere di essere portatrice di una promessa. E domando a ognuno di voi: vi sentite portatori di una promessa?» (44). Per Maria «le difficoltà non erano un motivo per dire “no”» e così mettendosi in gioco è diventata «l’influencer di Dio». Il cuore della Chiesa è anche pieno di giovani santi. Il Papa ricorda san Sebastiano, san Francesco d’Assisi, santa Giovanna d’Arco, il beato martire Andrew Phû Yên, santa Kateri Tekakwitha, san Domenico Savio, santa Teresa del Gesù Bambino, il beato Ceferino Namuncurá, il beato Isidoro Bakanja, il beato Pier Giorgio Frassati, il beato Marcel Callo, la giovane beata Chiara Badano.
Terzo capitolo: «Voi siete l’adesso di Dio»
Non possiamo limitarci a dire, afferma Francesco, che «i giovani sono il futuro del mondo: sono il presente, lo stanno arricchendo con il loro contributo» (64). Per questo bisogna ascoltarli anche se «prevale talora la tendenza a fornire risposte preconfezionate e ricette pronte, senza lasciar emergere le domande giovanili nella loro novità e coglierne la provocazione» (65).
«Oggi noi adulti corriamo il rischio di fare una lista di disastri, di difetti della gioventù del nostro tempo… Quale sarebbe il risultato di questo atteggiamento? Una distanza sempre maggiore» (66). Chi è chiamato a essere padre, pastore e guida dei giovani dovrebbe avere la capacità «di individuare percorsi dove altri vedono solo muri, è il saper riconoscere possibilità dove altri vedono solo pericoli. Così è lo sguardo di Dio Padre, capace di valorizzare e alimentare i germi di bene seminati nel cuore dei giovani. Il cuore di ogni giovane deve pertanto essere considerato “terra sacra”» (67). Francesco invita inoltre a non generalizzare, perché «esiste una pluralità di mondi giovanili» (68).
Parlando di ciò che succede ai giovani, il Papa, ricorda i giovani che vivono in contesti di guerra, quelli sfruttati e vittime di rapimenti, criminalità organizzata, tratta di esseri umani, schiavitù e sfruttamento sessuale, stupri. E anche quelli che vivono perpetrando crimini e violenze (72). «Molti giovani sono ideologizzati, strumentalizzati e usati come carne da macello o come forza d’urto per distruggere, intimidire o ridicolizzare altri. E la cosa peggiore è che molti si trasformano in soggetti individualisti, nemici e diffidenti verso tutti, e diventano così facile preda di proposte disumanizzanti e dei piani distruttivi elaborati da gruppi politici o poteri economici» (73). Ancora più numerosi quelli che patiscono forme di emarginazione ed esclusione sociale per ragioni religiose, etniche o economiche. Francesco cita adolescenti e giovani che «restano incinte e la piaga dell’aborto, così come la diffusione dell’HIV, le diverse forme di dipendenza (droghe, azzardo, pornografia, ecc.) e la situazione dei bambini e ragazzi di strada» (74), situazioni rese doppiamente dolorose e difficili per le donne. «Non possiamo essere una Chiesa che non piange di fronte a questi drammi dei suoi figli giovani. Non dobbiamo mai farci l’abitudine… La cosa peggiore che possiamo fare è applicare la ricetta dello spirito mondano che consiste nell’anestetizzare i giovani con altre notizie, con altre distrazioni, con banalità» (75). Il Papa invita i giovani a imparare a piangere per i coetanei che stanno peggio di loro (76).
È vero, spiega Francesco, che «i potenti forniscono alcuni aiuti, ma spesso ad un costo elevato. In molti Paesi poveri, l’aiuto economico di alcuni Paesi più ricchi o di alcuni organismi internazionali è solitamente vincolato all’accettazione di proposte occidentali in materia di sessualità, matrimonio, vita o giustizia sociale. Questa colonizzazione ideologica danneggia in modo particolare i giovani» (78). Il Papa mette in guardia anche dalla cultura di oggi che presenta il modello giovanile di bellezza e usa i corpi giovani nella pubblicità: «non è un elogio rivolto ai giovani. Significa soltanto che gli adulti vogliono rubare la gioventù per sé stessi» (79).
Accennando a «desideri, ferite e ricerche», Francesco parla della sessualità: «in un mondo che enfatizza esclusivamente la sessualità, è difficile mantenere una buona relazione col proprio corpo e vivere serenamente le relazioni affettive». Anche per questo la morale sessuale è spesso causa di «incomprensione e di allontanamento dalla Chiesa» percepita «come uno spazio di giudizio e di condanna», nonostante vi siano giovani che si vogliono confrontare su questi temi (81). Il Papa, di fronte agli sviluppi della scienza, delle tecnologie biomediche e delle neuroscienze ricorda che «Possono farci dimenticare che la vita è un dono, che siamo esseri creati e limitati, che possiamo facilmente essere strumentalizzati da chi detiene il potere tecnologico» (82).
L’esortazione si sofferma poi sul tema dell’«ambiente digitale», che ha creato «un nuovo modo di comunicare» e che «può facilitare la circolazione di informazione indipendente». In molti Paesi, il web e i social network sono «ormai un luogo irrinunciabile per raggiungere e coinvolgere i giovani» (87). Ma «è anche un territorio di solitudine, manipolazione, sfruttamento e violenza, fino al caso estremo del dark web. I media digitali possono esporre al rischio di dipendenza, di isolamento e di progressiva perdita di contatto con la realtà concreta... Nuove forme di violenza si diffondono attraverso i social media, ad esempio il cyberbullismo; il web è anche un canale di diffusione della pornografia e di sfruttamento delle persone a scopo sessuale o tramite il gioco d’azzardo» (88). Non si deve dimenticare che nel mondo digitale «operano giganteschi interessi economici», capaci di creare «meccanismi di manipolazione delle coscienze e del processo democratico». Ci sono circuiti chiusi che «facilitano la diffusione di informazioni e notizie false, fomentando pregiudizi e odio... La reputazione delle persone è messa a repentaglio tramite processi sommari on line. Il fenomeno riguarda anche la Chiesa e i suoi pastori» (89). In un documento preparato da 300 giovani di tutto il mondo prima del Sinodo si afferma che «le relazioni online possono diventare disumane» e l’immersione nel mondo virtuale ha favorito «una sorta di “migrazione digitale”, vale a dire un distanziamento dalla famiglia, dai valori culturali e religiosi, che conduce molte persone verso un mondo di solitudine» (90).
Il Papa prosegue presentando «i migranti come paradigma del nostro tempo», e ricorda i tanti giovani coinvolti nelle migrazioni. «La preoccupazione della Chiesa riguarda in particolare coloro che fuggono dalla guerra, dalla violenza, dalla persecuzione politica o religiosa, dai disastri naturali dovuti anche ai cambiamenti climatici e dalla povertà estrema» (91): ono alla ricerca di un’opportunità, sognano un futuro migliore. Altri migranti sono «attirati dalla cultura occidentale, nutrendo talvolta aspettative irrealistiche che li espongono a pesanti delusioni. Trafficanti senza scrupolo, spesso legati ai cartelli della droga e delle armi, sfruttano la debolezza dei migranti... Va segnalata la particolare vulnerabilità dei migranti minori non accompagnati... In alcuni Paesi di arrivo, i fenomeni migratori suscitano allarme e paure, spesso fomentate e sfruttate a fini politici. Si diffonde così una mentalità xenofoba, di chiusura e di ripiegamento su se stessi, a cui occorre reagire con decisione» (92) I giovani migranti spesso sperimentano anche uno sradicamento culturale e religioso (93). Francesco chiede «in particolare ai giovani di non cadere nelle reti di coloro che vogliono metterli contro altri giovani che arrivano nei loro Paesi, descrivendoli come soggetti pericolosi» (94).
Il Papa parla anche degli abusi sui minori, fa proprio l’impegno del Sinodo per l’adozione di rigorose misure di prevenzione ed esprime gratitudine «verso coloro che hanno il coraggio di denunciare il male subìto» (99), ricordando che «grazie a Dio» i sacerdoti che si sono macchiati di questi «orribili crimini non sono la maggioranza, che invece è costituita da chi porta avanti un ministero fedele e generoso». Chiede ai giovani, se vedono un sacerdote a rischio perché ha imboccato la strada sbagliata, di avere il coraggio di ricordargli il suo impegno verso Dio e verso il suo popolo (100).
Gli abusi non sono però l’unico peccato nella Chiesa. «I nostri peccati sono davanti agli occhi di tutti; si riflettono senza pietà nelle rughe del volto millenario della nostra Madre», ma la Chiesa non ricorre ad alcuna chirurgia estetica, «non ha paura di mostrare i peccati dei suoi membri». «Ricordiamoci però che non si abbandona la Madre quando è ferita» (101). Questo momento oscuro, con l’aiuto dei giovani, «può essere davvero un’opportunità per una riforma di portata epocale, per aprirsi a una nuova Pentecoste» (102).
Francesco ricorda ai giovani che «c’è una via d’uscita» in tutte le situazioni buie e dolorose. Ricorda la buona notizia donata il mattino della Risurrezione. E spiega che anche se il mondo digitale può esporre a tanti rischi, ci sono giovani che sanno essere creativi e geniali in questi ambiti. Come il Venerabile Carlo Acutis, che «ha saputo usare le nuove tecniche di comunicazione per trasmettere il Vangelo» (105), non è caduto nella trappola e diceva: «Tutti nascono come originali, ma molti muoiono come fotocopie». «Non lasciare che ti succeda questo» (106), avverte il Papa. «Non lasciare che ti rubino la speranza e la gioia, che ti narcotizzino per usarti come schiavo dei loro interessi» (107), cerca la grande meta della santità. «Essere giovani non significa solo cercare piaceri passeggeri e successi superficiali. Affinché la giovinezza realizzi la sua finalità nel percorso della tua vita, dev’essere un tempo di donazione generosa, di offerta sincera» (108). «Se sei giovane di età, ma ti senti debole, stanco o deluso, chiedi a Gesù di rinnovarti» (109). Ma ricordando sempre che «è molto difficile lottare contro… le insidie e tentazioni del demonio e del mondo egoista se siamo isolati» (110), serve infatti una vita comunitaria.
Quarto capitolo: «Il grande annuncio per tutti i giovani»
A tutti i giovani il Papa annuncia tre grandi verità. Un «Dio che è amore» e dunque «Dio ti ama, non dubitarne mai» (112) e puoi «gettarti in tutta sicurezza nelle braccia di tuo Padre divino» (113). Francesco afferma che memoria del Padre «non è un “disco rigido” che registra e archivia tutti i nostri dati, la sua memoria è un cuore tenero di compassione, che gioisce nel cancellare definitivamente ogni nostra traccia di male... Perché ti ama. Cerca di rimanere un momento di silenzio lasciandoti amare da Lui» (115). E il suo è un amore che «sa più di risalite che di cadute, di riconciliazione che di proibizione, di dare nuova opportunità che di condannare, di futuro che di passato» (116).
La seconda verità è che «Cristo ti salva». «Non dimenticare mai che Egli perdona settanta volte sette. Torna a caricarci sulle sue spalle una volta dopo l’altra» (119). Gesù ci ama e ci salva perché «solo quello che si ama può essere salvato. Solo quello che si abbraccia può essere trasformato. L’amore del Signore è più grande di tutte le nostre contraddizioni, di tutte le nostre fragilità e di tutte le nostre meschinità» (120). E «il suo perdono e la sua salvezza non sono qualcosa che abbiamo comprato o che dovremmo acquisire con le nostre opere o i nostri sforzi. Egli ci perdona e ci libera gratuitamente» (121). La terza verità è che «Egli vive!». «Occorre ricordarlo… perché corriamo il rischio di prendere Gesù Cristo solo come un buon esempio del passato, come un ricordo, come qualcuno che ci ha salvato duemila anni fa. Questo non ci servirebbe a nulla, ci lascerebbe uguali a prima, non ci libererebbe» (124). Se «Egli vive, questo è una garanzia che il bene può farsi strada nella nostra vita…. Allora possiamo smettere di lamentarci e guardare avanti, perché con Lui si può sempre guardare avanti» (127).
In queste verità compare il Padre e compare Gesù. E dove ci sono loro, c’è anche lo Spirito Santo. «Invoca ogni giorno lo Spirito Santo… Non perdi nulla ed Egli può cambiare la tua vita, può illuminarla e darle una rotta migliore. Non ti mutila, non ti toglie niente, anzi, ti aiuta a trovare ciò di cui hai bisogno nel modo migliore» (131).
Quinto capitolo: «Percorsi di gioventù»
«L’amore di Dio e il nostro rapporto con Cristo vivo non ci impediscono di sognare, non ci chiedono di restringere i nostri orizzonti. Al contrario, questo amore ci sprona, ci stimola, ci proietta verso una vita migliore e più bella. La parola “inquietudine” riassume molte delle aspirazioni dei cuori dei giovani» (138). Pensando a un giovane il Papa vede colui che tiene i piedi sempre uno davanti all’altro, pronto per partire, per scattare, sempre lanciato in avanti (139). La giovinezza non può restare un «tempo sospeso», perché «è l’età delle scelte» in ambito professionale, sociale, politico e anche nella scelta del partner o nell’avere i primi figli. L’ansia «può diventare una grande nemica quando ci porta ad arrenderci perché scopriamo che i risultati non sono immediati. I sogni più belli si conquistano con speranza, pazienza e impegno, rinunciando alla fretta. Nello stesso tempo, non bisogna bloccarsi per insicurezza, non bisogna avere paura di rischiare e di commettere errori» (142). Francesco invita i giovani a non osservare la vita dal balcone, a non passare la vita davanti a uno schermo, a non ridursi a veicoli abbandonati e a non guardare il mondo da turisti: «Fatevi sentire! Scacciate le paure che vi paralizzano… vivete!» (143). Li invita a «vivere il presente» godendo con gratitudine di ogni piccolo dono della vita senza «essere insaziabili» e «ossessionati da piaceri senza fine» (146). Vivere il presente infatti «non significa lanciarsi in una dissolutezza irresponsabile che ci lascia vuoti e insoddisfatti» (147).
«Non conoscerai la vera pienezza dell’essere giovane, se… non vivi l’amicizia con Gesù» (150). L’amicizia con lui è indissolubile perché non ci abbandona (154) e così come con l’amico «parliamo, condividiamo anche le cose più segrete, con Gesù pure conversiamo»: pregando «facciamo il suo gioco, gli facciamo spazio perché Egli possa agire e possa entrare e possa vincere» (155). «Non privare la tua giovinezza di questa amicizia», «vivrai la bella esperienza di saperti sempre accompagnato» come i discepoli di Emmaus (156): san Oscar Romero diceva: «Il cristianesimo non è un insieme di verità in cui occorre credere, di leggi da osservare, di divieti. Così risulta ripugnante. Il cristianesimo è una Persona che mi ha amato così tanto da reclamare il mio amore. Il cristianesimo è Cristo».
Il Papa parlando della crescita e della maturazione, indica quindi l’importanza di cercare «uno sviluppo spirituale», di «cercare il Signore e custodire la sua Parola», di mantenere «la “connessione” con Gesù… perché non crescerai nella felicità e nella santità solo con le tue forze e la tua mente» (158). Anche l’adulto deve maturare senza perdere i valori della gioventù: «In ogni momento della vita potremo rinnovare e accrescere la nostra giovinezza. Quando ho iniziato il mio ministero come Papa, il Signore ha allargato i miei orizzonti e mi ha dato una rinnovata giovinezza. La stessa cosa può accadere a una coppia sposata da molti anni, o a un monaco nel suo monastero» (160). Crescere «vuol dire conservare e alimentare le cose più preziose che ti regala la giovinezza, ma nello stesso tempo significa essere aperti a purificare ciò che non è buono» (161). «Ti ricordo però che non sarai santo e realizzato copiando gli altri», tu «devi scoprire chi sei e sviluppare il tuo modo personale di essere santo» (162). Francesco propone «percorsi di fraternità» per vivere la fede, ricordando che «Lo Spirito Santo vuole spingerci ad uscire da noi stessi, ad abbracciare gli altri... Per questo è sempre meglio vivere la fede insieme ed esprimere il nostro amore in una vita comunitaria» (164), superando «la tentazione di chiuderci in noi stessi, nei nostri problemi, nei sentimenti feriti, nelle lamentele e nelle comodità» (166). Dio «ama la gioia dei giovani e li invita soprattutto a quell’allegria che si vive nella comunione fraterna» (167).
Il Papa parla poi dei «giovani impegnati», affermando che possono a volte correre «il rischio di chiudersi in piccoli gruppi... Sentono di vivere l’amore fraterno, ma forse il loro gruppo è diventato un semplice prolungamento del loro io. Questo si aggrava se la vocazione del laico è concepita solo come un servizio all’interno della Chiesa…, dimenticando che la vocazione laicale è prima di tutto la carità nella famiglia e la carità sociale o politica» (168). Francesco propone «ai giovani di andare oltre i gruppi di amici e costruire l’amicizia sociale, cercare il bene comune. L’inimicizia sociale distrugge. E una famiglia si distrugge per l’inimicizia. Un paese si distrugge per l’inimicizia. Il mondo si distrugge per l’inimicizia. E l’inimicizia più grande è la guerra. Oggigiorno vediamo che il mondo si sta distruggendo per la guerra. Perché sono incapaci di sedersi e parlare» (169).
«L’impegno sociale e il contatto diretto con i poveri restano una occasione fondamentale di scoperta o approfondimento della fede e di discernimento della propria vocazione» (170). Il Papa cita l’esempio positivo dei giovani di parrocchie, gruppi e movimenti che «hanno l’abitudine di andare a fare compagnia agli anziani e agli ammalati, o di visitare i quartieri poveri» (171). Mentre «altri giovani partecipano a programmi sociali finalizzati a costruire case per chi è senza un tetto, o a bonificare aree contaminate, o a raccogliere aiuti per i più bisognosi. Sarebbe bene che questa energia comunitaria fosse applicata non solo ad azioni sporadiche ma in modo stabile». Gli universitari «possono unirsi in modalità interdisciplinare per applicare le loro conoscenze alla risoluzione di problemi sociali, e in questo compito possono lavorare fianco a fianco con giovani di altre Chiese o di altre religioni» (172). Francesco incoraggia i giovani ad assumersi questo impegno: «Vedo che tanti giovani in tante parti del mondo sono usciti per le strade per esprimere il desiderio di una civiltà più giusta e fraterna... Sono giovani che vogliono essere protagonisti del cambiamento… Non lasciate che altri siano protagonisti del cambiamento!» (174).
I giovani sono chiamati ad essere «missionari coraggiosi», testimoniando ovunque il Vangelo con la propria vita, il che non significa «parlare della verità, ma viverla» (175). La parola, però, non deve essere messa a tacere: «Siate capaci di andare controcorrente e sappiate condividere Gesù, comunicate la fede che Lui vi ha donato» (176). Gesù dove invia? «Non ci sono confini, non ci sono limiti: ci invia a tutti. Il Vangelo è per tutti e non per alcuni. Non è solo per quelli che ci sembrano più vicini, più ricettivi, più accoglienti. È per tutti» (177). E non ci si può aspettare che «la missione sia facile e comoda» (178).
Sesto capitolo: «Giovani con radici»
Francesco dice che gli fa male «vedere che alcuni propongono ai giovani di costruire un futuro senza radici, come se il mondo iniziasse adesso» (179). Se qualcuno «vi fa una proposta e vi dice di ignorare la storia, di non fare tesoro dell’esperienza degli anziani, di disprezzare tutto ciò che è passato e guardare solo al futuro che lui vi offre, non è forse questo un modo facile di attirarvi con la sua proposta per farvi fare solo quello che lui vi dice? Quella persona ha bisogno che siate vuoti, sradicati, diffidenti di tutto, perché possiate fidarvi solo delle sue promesse e sottomettervi ai suoi piani. È così che funzionano le ideologie di diversi colori, che distruggono (o de-costruiscono) tutto ciò che è diverso e in questo modo possono dominare senza opposizioni» (181). I manipolatori usano anche l’adorazione della giovinezza: «Il corpo giovane diventa il simbolo di questo nuovo culto, quindi tutto ciò che ha a che fare con quel corpo è idolatrato e desiderato senza limiti, e ciò che non è giovane è guardato con disprezzo. Questa però è un’arma che finisce per degradare prima di tutto i giovani» (182). «Cari giovani, non permettete che usino la vostra giovinezza per favorire una vita superficiale, che confonde la bellezza con l’apparenza» (183) perché c’è una bellezza nel lavoratore che torna a casa sporco dal lavoro, nella moglie anziana che si prende cura del marito malato, nella fedeltà di coppie che si amano nell’autunno della vita.
Oggi invece si promuove «una spiritualità senza Dio, un’affettività senza comunità e senza impegno verso chi soffre, una paura dei poveri visti come soggetti pericolosi, e una serie di offerte che pretendono di farvi credere in un futuro paradisiaco che sarà sempre rimandato più in là» (184): il Papa invita a giovani a non lasciarsi dominare da questa ideologia che porta ad «autentiche forme di colonizzazione culturale» (185) che sradica i giovani dalle appartenenze culturali e religiose da cui provengono e tende ad omogeneizzarli trasformandoli in soggetti «manipolabili fatti in serie» (186).
Fondamentale è il «tuo rapporto con gli anziani», che aiutano i giovani a scoprire la ricchezza viva del passato, facendone memoria. «La Parola di Dio raccomanda di non perdere il contatto con gli anziani, per poter raccogliere la loro esperienza» (188). Ciò «non significa che tu debba essere d’accordo con tutto quello che dicono, né che tu debba approvare tutte le loro azioni», si tratta «semplicemente di essere aperti a raccogliere una sapienza che viene comunicata di generazione in generazione» (190). «Al mondo non è mai servita né servirà mai la rottura tra generazioni… È la menzogna che vuol farti credere che solo ciò che è nuovo è buono e bello» (191).
Parlando di «sogni e visioni», Francesco osserva: «Se i giovani e gli anziani si aprono allo Spirito Santo, insieme producono una combinazione meravigliosa. Gli anziani sognano e i giovani hanno visioni» (192); se «i giovani si radicano nei sogni degli anziani riescono a vedere il futuro» (193). Bisogna dunque «rischiare insieme», camminando insieme giovani e anziani: le radici «non sono ancore che ci legano» ma «un punto di radicamento che ci consente di crescere e rispondere alle nuove sfide» (200).
Settimo capitolo: «La pastorale dei giovani»
Il Papa spiega che la pastorale giovanile ha subito l’assalto dei cambiamenti sociali e culturali e «i giovani, nelle strutture consuete, spesso non trovano risposte alle loro inquietudini, alle loro esigenze, alle loro problematiche e alle loro ferite» (202). I giovani stessi «sono attori della pastorale giovanile, accompagnati e guidati, ma liberi di trovare strade sempre nuove con creatività e audacia». Bisogna «fare ricorso all’astuzia, all’ingegno e alla conoscenza che i giovani stessi hanno della sensibilità, del linguaggio e delle problematiche degli altri giovani» (203). La pastorale giovanile ha bisogno di flessibilità, e bisogna «invitare i giovani ad avvenimenti che ogni tanto offrano loro un luogo dove non solo ricevano una formazione, ma che permetta loro anche di condividere la vita, festeggiare, cantare, ascoltare testimonianze concrete e sperimentare l’incontro comunitario con il Dio vivente» (204).
La pastorale giovanile non può che essere sinodale, cioè capace di dar forma a un «camminare insieme» e comporta due grandi linee di azione: la prima è la ricerca, la seconda è la crescita. Per la prima, Francesco confida nella capacità dei giovani stessi di «trovare vie attraenti per invitare»: «Dobbiamo soltanto stimolare i giovani e dare loro libertà di azione». Più importante è che «ogni giovane trovi il coraggio di seminare il primo annuncio in quella terra fertile che è il cuore di un altro giovane» (210). Va privilegiato «il linguaggio della vicinanza, il linguaggio dell’amore disinteressato, relazionale, esistenziale, che tocca il cuore», avvicinandosi ai giovani «con la grammatica dell’amore, non con il proselitismo» (211). Per quanto riguarda la crescita, Francesco mette in guardia dal proporre ai giovani toccati da un’intensa esperienza di Dio «incontri di “formazione” nei quali si affrontano solo questioni dottrinali e morali... Il risultato è che molti giovani si annoiano, perdono il fuoco dell’incontro con Cristo e la gioia di seguirlo» (212). Se qualsiasi progetto formativo «deve certamente includere una formazione dottrinale e morale» è altrettanto importante «che sia centrato» sul kerygma, cioè «l’esperienza fondante dell’incontro con Dio attraverso Cristo morto e risorto» e sulla crescita «nell’amore fraterno, nella vita comunitaria, nel servizio» (213). Pertanto «la pastorale giovanile dovrebbe sempre includere momenti che aiutino a rinnovare e ad approfondire l’esperienza personale dell’amore di Dio e di Gesù Cristo vivo» (214). E deve aiutare i giovani a «vivere come fratelli, ad aiutarsi a vicenda, a fare comunità, a servire gli altri, ad essere vicini ai poveri» (215).
Le istituzioni della Chiesa diventino dunque «ambienti adeguati», sviluppando «capacità di accoglienza»: «Nelle nostre istituzioni dobbiamo offrire ai giovani luoghi appropriati, che essi possano gestire a loro piacimento e dove possano entrare e uscire liberamente, luoghi che li accolgano e dove possano recarsi spontaneamente e con fiducia per incontrare altri giovani sia nei momenti di sofferenza o di noia, sia quando desiderano festeggiare le loro gioie» (218).
Francesco descrive quindi «la pastorale delle istituzioni educative», affermando che la scuola ha «urgente bisogno di autocritica». E ricorda che «ci sono alcune scuole cattoliche che sembrano essere organizzate solo per conservare l’esistente... La scuola trasformata in un “bunker” che protegge dagli errori “di fuori” è l’espressione caricaturale di questa tendenza». Quando i giovani escono, avvertono «un’insormontabile discrepanza tra ciò che hanno loro insegnato e il mondo in cui si trovano a vivere». Mentre «una delle gioie più grandi di un educatore consiste nel vedere un allievo che si costituisce come una persona forte, integrata, protagonista e capace di dare» (221). Non si può separare la formazione spirituale dalla formazione culturale: «Ecco il vostro grande compito: rispondere ai ritornelli paralizzanti delconsumismo culturalecon scelte dinamiche e forti, con la ricerca, la conoscenza e la condivisione» (223). Tra gli «ambiti di sviluppo pastorale», il Papa indica le «espressioni artistiche» (226), la «pratica sportiva» (227), e l’impegno per la salvaguardia del creato (228).
Serve «una pastorale giovanile popolare», «più ampia e flessibile, che stimoli, nei diversi luoghi in cui si muovono concretamente i giovani, quelle guide naturali e quei carismi che lo Spirito Santo ha già seminato tra loro. Si tratta prima di tutto di non porre tanti ostacoli, norme, controlli e inquadramenti obbligatori a quei giovani credenti che sono leader naturali nei quartieri e nei diversi ambienti. Dobbiamo limitarci ad accompagnarli e stimolarli» (230). Pretendendo «una pastorale giovanile asettica, pura, caratterizzata da idee astratte, lontana dal mondo e preservata da ogni macchia, riduciamo il Vangelo a una proposta insipida, incomprensibile, lontana, separata dalle culture giovanili e adatta solo ad un’élite giovanile cristiana che si sente diversa, ma che in realtà galleggia in un isolamento senza vita né fecondità» (232). Francesco invita a essere «una Chiesa con le porte aperte», e «non è nemmeno necessario che uno accetti completamente tutti gli insegnamenti della Chiesa per poter partecipare ad alcuni dei nostri spazi dedicati ai giovani» (234): «deve esserci spazio anche per tutti quelli che hanno altre visioni della vita, professano altre fedi o si dichiarano estranei all’orizzonte religioso» (235). L’icona per questo approccio ci viene offerta dall’episodio evangelico dei discepoli di Emmaus: Gesù li interroga, li ascolta con pazienza, li aiuta a riconoscere quanto stanno vivendo, a interpretare alla luce delle Scritture ciò che hanno vissuto, accetta di fermarsi con loro, entra nella loro notte. Sono loro stessi a scegliere di riprendere senza indugio il cammino nella direzione opposta (237).
«Sempre missionari». Perché i giovani diventino missionari non occorre fare «un lungo percorso»: «Un giovane che va in pellegrinaggio per chiedere aiuto alla Madonna e invita un amico o un compagno ad accompagnarlo, con questo semplice gesto sta compiendo una preziosa azione missionaria» (239). La pastorale giovanile «deve essere sempre una pastorale missionaria» (240). E i giovani hanno bisogno di essere rispettati nella loro libertà, «ma hanno bisogno anche di essere accompagnati» da parte degli adulti, a cominciare dalla famiglia (242) e quindi dalla comunità: «Ciò implica che i giovani siano guardati con comprensione, stima e affetto, e che non li si giudichi continuamente o si esiga da loro una perfezione che non corrisponde alla loro età» (243). Si avverte la carenza di persone esperte e dedicata all’accompagnamento (244) e «alcune giovani donne percepiscono una mancanza di figure di riferimento femminili all’interno della Chiesa» (245). I giovani stessi «ci hanno descritto» le caratteristiche che sperano di trovare in chi li accompagna: «essere un cristiano fedele impegnato nella Chiesa e nel mondo; una continua ricerca verso la santità; non giudicare, bensì prendersi cura; ascoltare attivamente i bisogni dei giovani; rispondere con gentilezza; avere consapevolezza di sé; saper riconoscere i propri limiti; conoscere le gioie e i dolori della vita spirituale. Una qualità di primaria importanza è il saper riconoscersi umani e capaci di compiere errori: non perfetti, ma peccatori perdonati» (246). Devono saper «camminare insieme» ai giovani rispettando la loro libertà.
Ottavo capitolo: «La vocazione»
«La cosa fondamentale è discernere e scoprire che ciò che vuole Gesù da ogni giovane è prima di tutto la sua amicizia» (250). La vocazione è una chiamata al servizio missionario verso gli altri, «Perché la nostra vita sulla terra raggiunge la sua pienezza quando si trasforma in offerta» (254). «Per realizzare la propria vocazione è necessario sviluppare, far germogliare e coltivare tutto ciò che si è. Non si tratta di inventarsi, di creare sé stessi dal nulla, ma di scoprirsi alla luce di Dio e far fiorire il proprio essere» (257). E «questo “essere per gli altri” nella vita di ogni giovane è normalmente collegato a due questioni fondamentali: la formazione di una nuova famiglia e il lavoro» (258).
Per quanto riguarda «l’amore e la famiglia», il Papa scrive che «i giovani sentono fortemente la chiamata all’amore e sognano di incontrare la persona giusta con cui formare una famiglia» (259), e il sacramento del matrimonio «avvolge questo amore con la grazia di Dio, lo radica in Dio stesso» (260). Dio ci ha creati sessuati, Egli stesso ha creato la sessualità, che è un suo dono, e dunque «niente tabù». È un dono che il Signore di dà e «ha due scopi: amarsi e generare vita. È una passione... Il vero amore è appassionato» (261). Francesco osserva che «l’aumento di separazioni, divorzi… può causare nei giovani grandi sofferenze e crisi d’identità. Talora devono farsi carico di responsabilità che non sono proporzionate alla loro età» (262). Nonostante tutte le difficoltà, «Voglio dirvi… che vale la pena scommettere sulla famiglia e che in essa troverete gli stimoli migliori per maturare e le gioie più belle da condividere. Non lasciate che vi rubino la possibilità di amare sul serio» (263). «Credere che nulla può essere definitivo è un inganno e una menzogna… vi chiedo di essere rivoluzionari, vi chiedo di andare controcorrente» (264).
Per quanto riguarda il lavoro, il Papa scrive: «Invito i giovani a non aspettarsi di vivere senza lavorare, dipendendo dall’aiuto degli altri. Questo non va bene, perché «il lavoro è una necessità, è parte del senso della vita su questa terra, via di maturazione, di sviluppo umano e di realizzazione personale. In questo senso, aiutare i poveri con il denaro dev’essere sempre un rimedio provvisorio per fare fronte a delle emergenze» (269). E dopo aver notato come nel mondo del lavoro i giovani sperimentino forme di esclusione e di emarginazione (270), afferma a proposito della disoccupazione giovanile: «È una questione… che la politica deve considerare come una problematica prioritaria, in particolare oggi che la velocità degli sviluppi tecnologici, insieme all’ossessione per la riduzione del costo del lavoro, può portare rapidamente a sostituire innumerevoli posti di lavoro con macchinari» (271). E ai giovani dice: «È vero che non puoi vivere senza lavorare e che a volte dovrai accettare quello che trovi, ma non rinunciare mai ai tuoi sogni, non seppellire mai definitivamente una vocazione, non darti mai per vinto» (272).
Francesco conclude questo capitolo parlando delle «vocazioni a una consacrazione speciale». «Nel discernimento di una vocazione non si deve escludere la possibilità di consacrarsi a Dio... Perché escluderlo? Abbi la certezza che, se riconosci una chiamata di Dio e la segui, ciò sarà la cosa che darà pienezza alla tua vita» (276).
Nono capitolo: «Il discernimento»
Il Papa ricorda che «senza la sapienza del discernimento possiamo trasformarci facilmente in burattini alla mercé delle tendenze del momento» (279). «Un’espressione del discernimento è l’impegno per riconoscere la propria vocazione. È un compito che richiede spazi di solitudine e di silenzio, perché si tratta di una decisione molto personale che nessun altro può prendere al nostro posto» (283). «Il regalo della vocazione sarà senza dubbio un regalo esigente. I regali di Dio sono interattivi e per goderli bisogna mettersi molto in gioco, bisogna rischiare» (289).
A chi aiuta i giovani nel discernimento sono richieste tre sensibilità. La prima è l’attenzione alla persona: «si tratta di ascoltare l’altro che ci sta dando sé stesso nelle sue parole» (292). La seconda consiste nel discernere, cioè «si tratta di cogliere il punto giusto in cui si discerne la grazia dalla tentazione» (293). La terza consiste «nell’ascoltare gli impulsi che l’altro sperimenta “in avanti”. È l’ascolto profondo di “dove vuole andare veramente l’altro”» (294). Quando uno ascolta l’altro in questo modo, «a un certo punto deve scomparire per lasciare che segua la strada che ha scoperto. Scomparire come scompare il Signore dalla vista dei suoi discepoli» (296). Dobbiamo «suscitare e accompagnare processi, non imporre percorsi. E si tratta di processi di persone che sono sempre uniche e libere. Per questo è difficile costruire ricettari» (297).
L’esortazione si conclude con «un desiderio» di Papa Francesco: «Cari giovani, sarò felice nel vedervi correre più velocemente di chi è lento e timoroso. Correte attratti da quel Volto tanto amato, che adoriamo nella santa Eucaristia e riconosciamo nella carne del fratello sofferente… La Chiesa ha bisogno del vostro slancio, delle vostre intuizioni, della vostra fede… E quando arriverete dove noi non siamo ancora giunti, abbiate la pazienza di aspettarci» (299).
[00557-IT.01] [Testo originale: Italiano]
Traduzione di lavoro in lingua francese
Christus vivit
« Il vit, le Christ, notre espérance et il est la plus belle jeunesse de ce monde. Tout ce qu’il touche devient jeune, devient nouveau, se remplit de vie. Les premières paroles que je voudrais adresser à chacun des jeunes chrétiens sont donc : Il vit et il te veut vivant !».
Ainsi commence l’Exhortation Apostolique post-synodale Christus vivit du Pape François, signée lundi 25 mars dans la Sainte Maison de Lorette et adressée «aux jeunes et à tout le peuple de Dieu». Dans le document, composé de neuf chapitres divisés en 299 paragraphes, le Pape explique s’être laissé «inspirer par la richesse des réflexions et des échanges du Synode» des jeunes, célébré au Vatican en octobre 2018.
Premier chapitre: «Que dit la Parole de Dieu sur les jeunes?»
François rappelle qu’«à une époque où les jeunes comptaient peu, certains textes montrent que Dieu a sur eux un autre regard» (6) et il présente brièvement des figures de jeunes de l’Ancien Testament: Joseph, Gédéon (7), Samuel (8), le roi David (9), Salomon et Jérémie (10), la fillette au service de la femme de Naaman et la jeune Ruth (11). Puis il passe au Nouveau Testament. Le Pape rappelle que «Jésus, l’éternel jeune, veut nous faire don d’un cœur toujours jeune» (13) et il ajoute: «Remarquons que Jésus n’appréciait pas que les personnes adultes regardent avec mépris les plus jeunes ou les maintiennent à leur service de manière despotique. Au contraire, il demandait: “Que le plus grand parmi vous se comporte comme le plus jeune, et celui qui gouverne comme celui qui sert” (Lc 22, 26). Pour lui, l’âge n’établissait pas de privilèges, et le fait que quelqu’un soit moins âgé ne signifiait pas qu’il valait moins». François affirme: «Il ne faut pas regretter de passer sa jeunesse en étant bon, en ouvrant son cœur au Seigneur, en vivant d’une autre manière» (17).
Second chapitre: «Jésus-Christ toujours jeune»
Le Pape évoque le thème des jeunes années de Jésus et il rappelle le récit évangélique qui décrit le Nazaréen «en pleine adolescence, lorsqu’il retourne avec ses parents à Nazareth, après qu’ils l’aient perdu et retrouvé au Temple» (26). Nous ne devons pas penser, écrit François, que «Jésus était un adolescent solitaire ou un jeune enfermé sur lui-même. Sa relation avec les gens était celle d’un jeune qui partageait toute la vie d’une famille bien intégrée dans le peuple», «personne ne le considérait comme un jeune étrange ou séparé des autres» (28). Le Pape fait remarquer que Jésus adolescent, «grâce à la confiance de ses parents, […] se déplace librement et apprend à marcher avec tous les autres» (29). Ces aspects de la vie de Jésus ne devraient pas être ignorés dans la pastorale des jeunes, «pour qu’on ne crée pas des projets qui isolent les jeunes de la famille et du monde, ou qui les transforment en une minorité sélectionnée et préservée de toute contagion». On a plutôt besoin «de projets qui les fortifient, les accompagnent et les lancent vers la rencontre avec les autres, vers le service généreux, vers la mission» (30).
Jésus «ne vous éclaire pas de loin ou du dehors, mais dans votre jeunesse même qu’il partage avec vous», et l’on peut reconnaître en Lui beaucoup de traits typiques des cœurs jeunes (31). Près de Lui «nous pouvons boire à la vraie source qui garde vivants nos rêves, nos projets, nos grands idéaux, et qui nous lance dans l’annonce de la vie qui vaut la peine» (32). «Le Seigneur nous appelle à allumer des étoiles dans la nuit d’autres jeunes» (33).
François parle ensuite de la jeunesse de l’Église, et il écrit: «Demandons au Seigneur de délivrer l’Eglise des personnes qui veulent la faire vieillir, la scléroser dans le passé, la figer, l’immobiliser. Demandons-lui également de la délivrer d’une autre tentation : croire qu’elle est jeune parce qu’elle cède à tout ce que le monde lui offre ; croire qu’elle se renouvelle parce qu’elle cache son message et qu’elle imite les autres. Non ! Elle est jeune quand elle est elle-même, quand elle reçoit la force toujours nouvelle de la Parole de Dieu, de l’Eucharistie, de la présence du Christ et de la force de son Esprit chaque jour» (35). Il est vrai que nous, «membres de l’Eglise», «nous ne devons pas être des personnes étranges», mais «nous devons oser être différents, afficher d’autres rêves que ce monde n’offre pas, témoigner de la beauté de la générosité, du service, de la pureté, du courage, du pardon, de la fidélité à sa vocation, de la prière, de la lutte pour la justice et le bien commun, de l’amour des pauvres, de l’amitié sociale» (36). L’Église peut être tentée de perdre l’enthousiasme et de «chercher de fausses sécurités mondaines. Ce sont précisément les jeunes qui peuvent l’aider à rester jeune» (37).
Le Pape revient ensuite sur l’un de ses enseignements les plus chers, et en expliquant qu’il faut présenter la figure de Jésus «de façon attrayante et efficace» il dit:«C’est pourquoi il est nécessaire que l’Église ne soit pas trop attentive à elle-même mais qu’elle reflète surtout Jésus-Christ. Cela implique qu’elle reconnaisse avec humilité que certaines choses concrètes doivent changer» (39).
Dans l’Exhortation, on reconnaît que certains jeunes ressentent la présence de l’Église «comme désagréable, sinon irritante». Une attitude qui s’enracine «dans des raisons sérieuses et respectables: les scandales sexuels et économiques, l’inadaptation des ministres ordonnés qui ne savent pas saisir de façon appropriée la sensibilité des jeunes, […] le rôle passif assigné aux jeunes à l’intérieur de la communauté chrétienne, les difficultés de l’Église à rendre raison de ses positions doctrinales et éthiques face à la société contemporaine» (40).
Il y a des jeunes qui «réclament une Église qui écoute davantage, qui ne soit pas toujours à condamner le monde. Ils ne veulent pas voir une Église silencieuse et timide, ni toujours en guerre sur deux ou trois thèmes qui l’obsèdent. Pour être crédible face aux jeunes, elle a parfois besoin de retrouver l’humilité et d’écouter simplement, de reconnaître dans ce que disent les autres la présence d’une lumière qui l’aide à mieux découvrir l’Evangile» (41). Par exemple, une Église trop craintive peut être continuellement critique «face aux discours sur la défense des droits des femmes, et signaler constamment les risques et les erreurs possibles de ces revendications», alors qu’une Église «vivante peut réagir en prêtant attention aux revendications légitimes des femmes», «bien qu’elle ne soit pas d’accord avec tout ce que proposent certains groupes féministes» (42).
François présente ensuite «Marie, la jeune femme de Nazareth», et son “oui” comme celui «de celle qui veut s’engager et risquer, de celle qui veut tout parier, sans autre sécurité que la certitude de savoir qu’elle était porteuse d’une promesse. Et je demande à chacun de vous : vous sentez-vous porteurs d’une promesse?» (44). Pour Marie «les difficultés n’étaient pas une raison pour dire “non”» et en se mettant ainsi en jeu elle est devenue «l’influencer de Dieu». Le cœur de l’Église est également rempli de jeunes saints. Le Pape mentionne saint Sébastien, saint François d’Assise, sainte Jeanne d’Arc, le bienheureux martyr Andrew Phû Yên, sainte Kateri Tekakwitha, saint Dominique Savio, sainte Thérèse de l’Enfant-Jésus, le bienheureux Ceferino Namuncurá, le bienheureux Isidore Bakanja, le bienheureux Pier Giorgio Frassati, le bienheureux Marcel Callo, la jeune bienheureuse Chiara Badano.
Troisième chapitre: «Vous êtes l’aujourd’hui de Dieu»
Nous ne pouvons pas nous contenter de dire, affirme François, que «les jeunes sont l’avenir du monde. Ils sont le présent, ils l’enrichissent par leur contribution» (64). C’est la raison pour laquelle il faut les écouter même si «la tendance prévaut d’apporter des réponses toutes faites et de proposer des recettes toutes prêtes, sans laisser émerger les questions des jeunes dans leur nouveauté, ni saisir ce qu’elles ont de provocant» (65). «Aujourd’hui, nous les adultes, nous courons le risque de dresser une liste de calamités, de défauts de la jeunesse actuelle… Mais quel serait le résultat de cette attitude? Toujours plus de distance» (66). Quiconque est appelé à être père, pasteur et guide des jeunes devrait avoir la capacité «de trouver des chemins là où d’autres ne voient que des murailles, c’est l’habileté à reconnaître des possibilités là où d’autres ne voient que des dangers. Le regard de Dieu le Père est ainsi, capable de valoriser et d’alimenter les semences de bien semées dans les cœurs des jeunes. Le cœur de chaque jeune doit donc être considéré comme une “terre sacrée”» (67). François invite en outre à ne pas faire de généralisations, parce qu’il «existe une pluralité de mondes jeunes» (68).
En parlant de ce qui arrive aux jeunes, le Pape se souvient des jeunes qui vivent dans un contexte de guerre, de ceux qui sont exploités et victimes d’enlèvements, du crime organisé, de la traite des êtres humains, de l’esclavage et de l’exploitation sexuelle, de viols. Et aussi ceux qui vivent en perpétrant des crimes et des violences (72). «De nombreux jeunes sont endoctrinés, instrumentalisés et utilisés comme chair à canon ou comme une force de choc pour détruire, intimider ou ridiculiser les autres. Et le pire, c’est que beaucoup deviennent individualistes, ennemis et méfiants envers tout le monde, si bien qu’ils deviennent la proie facile d’offres déshumanisantes et de plans destructeurs qu’élaborent des groupes politiques ou des pouvoirs économiques» (73). Plus nombreux encore sont ceux qui subissent des formes de marginalisation et d’exclusion sociale pour des raisons religieuses, ethniques ou économiques. François cite les adolescents et les jeunes qui «se trouvent enceintes, la plaie de l’avortement, de même que la diffusion du VIH, les diverses formes de dépendance (drogues, jeux de hasard, pornographie, etc.) et la situation des enfants et des jeunes de la rue» (74), des situations rendues doublement douloureuses et difficiles pour les femmes. «Ne soyons pas une Eglise insensible à ces drames de ses enfants jeunes. Ne nous y habituons jamais […]. Le pire que nous puissions faire, c’est d’appliquer la recette de l’esprit du monde qui consiste à anesthésier les jeunes avec d’autres nouvelles, d’autres distractions, d’autres banalités» (75). Le Pape invite les jeunes à apprendre à pleurer pour leurs contemporains qui sont dans une situation pire que la leur (76).
Il est vrai, explique François, que «les puissants offrent certaines aides, mais souvent à un coût élevé. Dans de nombreux pays pauvres, les aides économiques de pays plus riches ou d’organismes internationaux peuvent être liées à l’acceptation de propositions occidentales ayant rapport à la sexualité, au mariage, à la vie ou à la justice sociale. Cette colonisation idéologique nuit surtout aux jeunes» (78). Le Pape met aussi en garde contre la culture actuelle qui présente le modèle juvénile de beauté et utilise les corps jeunes dans la publicité: «cela n’est pas élogieux pour les jeunes. Cela signifie seulement que les adultes veulent voler la jeunesse pour eux-mêmes» (79).
Mentionnant les «désirs, blessures et recherches», François parle de la sexualité: «dans un monde qui souligne à l’excès la sexualité, il est difficile de garder une bonne relation avec son corps et de vivre sereinement les relations affectives». Pour cette raison aussi la morale sexuelle est souvent cause «d’incompréhension et d’éloignement par rapport à l’Eglise», perçue «comme un espace de jugement et de condamnation», bien que les jeunes veuillent dialoguer sur ces thèmes (81). Le Pape, face aux développements de la science, des technologies biomédicales et des neurosciences, rappelle qu’ils «peuvent nous conduire à oublier que la vie est un don et que nous sommes des êtres créés et limités, que nous pouvons être facilement instrumentalisés par ceux qui ont le pouvoir technologique» (82).
L’Exhortation aborde ensuite le thème du «monde numérique», qui a créé «une nouvelle manière de communiquer» et qui «peut faciliter la circulation d’une information indépendante». Dans de nombreux pays, le web et les réseaux sociaux sont «désormais un lieu incontournable pour atteindre les jeunes et les faire participer» (87). Mais c’est «aussi un espace de solitude, de manipulation, d’exploitation et de violence, jusqu’au cas extrême du dark web. Les médias numériques peuvent exposer au risque de dépendance, d’isolement et de perte progressive de contact avec la réalité concrète, entravant ainsi le développement d’authentiques relations interpersonnelles. De nouvelles formes de violence se diffusent à travers les social media, comme le cyber bizutage ; le web est aussi un canal de diffusion de la pornographie et d’exploitation des personnes à des fins sexuelles ou par le biais des jeux de hasard» (88). On ne doit pas oublier que dans le monde numérique opèrent «de gigantesques intérêts économiques», capables de créer «des mécanismes de manipulation des consciences et des processus démocratiques». Il y a des circuits fermés qui «facilitent la diffusion de fausses informations et de fausses nouvelles, fomentant les préjugés et la haine. […] La réputation des personnes est mise en danger par des procès sommaires online. Le phénomène concerne aussi l’Église et ses pasteurs» (89). Dans un document préparé par 300 jeunes du monde entier avant le Synode, on affirme que «les relations online peuvent devenir inhumaines» et l’immersion dans le monde virtuel a favorisé «une sorte de “migration numérique”, c’est-à-dire un éloignement de la famille ainsi que des valeurs culturelles et religieuses, qui conduit beaucoup de personnes dans un monde de solitude» (90).
Le Pape poursuit en présentant «les migrants comme paradigme de notre temps», et il rappelle que de nombreux jeunes sont impliqués dans les migrations. «La préoccupation de l’Église concerne en particulier ceux qui fuient la guerre, la violence, la persécution politique ou religieuse, les désastres naturels dus aux changements climatiques et à la pauvreté extrême» (91): ils sont à la recherche d’une opportunité, rêvent d’un futur meilleur. D’autres migrants sont «attirés par la culture occidentale, nourrissant parfois des attentes irréalistes qui les exposent à de lourdes déceptions. Des trafiquants sans scrupules, souvent liés aux cartels de la drogue et des armes, exploitent la faiblesse des migrants […]. Il faut signaler la vulnérabilité particulière des migrants non accompagnés […]. Dans certains pays d’arrivée, les phénomènes migratoires suscitent des alarmes et des peurs, souvent fomentées et exploitées à des fins politiques. Une mentalité xénophobe, de fermeture et de repli sur soi se diffuse alors. Il faut réagir fermement à cela» (92). Les jeunes migrants expérimentent souvent aussi un déracinement culturel et religieux (93). François demande «en particulier aux jeunes de ne pas se laisser enrôler dans les réseaux de ceux qui veulent les opposer à d’autres jeunes qui arrivent dans leurs pays, en les présentant comme des êtres dangereux» (94).
Le Pape parle aussi des abus sur mineurs, faisant de l’adoption de mesures rigoureuses de préventions l’engagement du Synode, et il exprime sa gratitude «envers ceux qui ont le courage de dénoncer le mal subi» (99), rappelant que «grâce à Dieu» les prêtres qui sont entachés de ces «horribles crimes ne constituent pas la majorité qui exerce un ministère fidèle et généreux». Il demande aux jeunes, lorsqu’ils voient un prêtre en danger parce qu’il s’engage sur une mauvaise voie, d’avoir le courage de lui rappeler son engagement envers Dieu et avec son peuple (100).
Les abus ne sont cependant pas l’unique péché de l’Église. «Nos péchés sont à la vue de tous ; ils se reflètent sans pitié dans les rides du visage millénaire de notre Mère», mais l’Église ne recourt à aucune chirurgie esthétique, «elle ne craint pas de montrer les péchés de ses membres». «Mais souvenons-nous qu’on n’abandonne pas une Mère lorsqu’elle est blessée» (101). Ce moment obscur, avec l’aide des jeunes, «peut véritablement être l’occasion d’une réforme de portée historique, pour déboucher sur une nouvelle Pentecôte» (102).
François rappelle aux jeunes qu’«il y a une issue» dans toutes les situations difficiles et douloureuses. Il rappelle la bonne nouvelle donnée au matin de la Résurrection. Et il explique que même si le monde numérique peut exposer à de nombreux risques, il y a des jeunes qui savent être créatifs et géniaux dans ce domaine. Comme le vénérable Carlo Acutis, qui «a été capable d’utiliser les nouvelles techniques de communication pour transmettre l’Evangile» (105), il n’est pas tombé dans le piège et il disait: «tous les hommes naissent comme des originaux, mais beaucoup meurent comme des photocopies». «Ne permets pas que cela t’arrive» (106) prévient le Pape. «Ne permets pas qu’ils te volent l’espérance et la joie, qu’ils te rendent toxicodépendant pour t’utiliser comme esclave de leurs intérêts» (107), recherche le grand but de la sainteté. «La jeunesse, ce n’est pas seulement la recherche de plaisirs passagers et de succès superficiels. Pour que la jeunesse atteigne sa finalité dans le parcours de ta vie, elle doit être un temps de don généreux, d’offrande sincère» (108). «Si tu es jeune en âge, mais si tu te sens faible, fatigué ou désabusé, demande à Jésus de te renouveler» (109). Mais en se rappelant toujours qu’«il est très difficile de lutter contre notre propre concupiscence ainsi que contre les embûches et les tentations du démon et du monde égoïste, si nous sommes trop isolés» (110), une vie communautaire est en effet toujours utile.
Quatrième chapitre: « La grande annonce pour tous les jeunes »
À tous les jeunes, le Pape annonce trois grandes vérités. Un «Dieu qui est amour», par conséquent «Dieu t’aime. N’en doute jamais» (112) et «tu peux te jeter avec confiance dans les bras de ton Père divin» (113). François affirme que la mémoire du Père «n’est pas un “disque dur” qui enregistre et archive toutes nos données, sa mémoire est un cœur tendre de compassion, qui se plaît à effacer définitivement toutes nos traces de mal […]. Parce qu’il t’aime. Essaye de rester un moment en silence en te laissant aimer par lui» (115). L’amour du Seigneur «apprend plus à redresser qu’à faire chuter, à réconcilier qu’à interdire, à donner de nouvelles chances qu’à condamner, à regarder l’avenir plus que le passé» (116).
La seconde vérité est que «Le Christ te sauve». «N’oublie jamais qu’il pardonne soixante-dix fois sept fois. Il revient nous charger sur ses épaules une fois après l’autre» (119). Jésus nous aime et nous sauve parce que «seul celui qu’on aime peut être sauvé. Seul celui qu’on embrasse peut être transformé. L’amour du Seigneur est plus grand que toutes nos contradictions, que toutes nos fragilités et que toutes nos petitesses» (120). Et «son pardon et son salut ne sont pas une chose que nous avons achetée, ou que nous devons acquérir par nos œuvres et par nos efforts. Il nous pardonne et nous libère gratuitement» (121). La troisième vérité est qu’«Il vit!». «Il faut le rappeler souvent, parce que nous courons le risque de prendre Jésus-Christ seulement comme un bon exemple du passé, comme un souvenir, comme quelqu’un qui nous a sauvés il y a deux mille ans. Cela ne nous servirait à rien, cela nous laisserait identiques, cela ne nous libèrerait pas» (124). S’Il vit, «c’est une garantie que le bien peut se faire un chemin dans notre vie […]. Nous pouvons cesser de nous plaindre, et regarder en avant parce que, avec lui, on le peut toujours» (127).
Dans ces vérités apparaît le Père et apparaît Jésus. Et là où Ils sont, là est aussi l’Esprit Saint. «Invoque chaque jour l’Esprit Saint […]. Tu ne perds rien et il peut changer ta vie, il peut l’éclairer et lui donner une meilleure direction. Il ne te mutile pas, il ne t’enlève rien, mais il t’aide à trouver ce dont tu as besoin de la meilleure façon» (131).
Cinquième chapitre: « Chemins de jeunesse »
«L’amour de Dieu et notre relation avec le Christ vivant ne nous empêchent pas de rêver, et n’exigent pas de nous que nous rétrécissions nos horizons. Au contraire, cet amour nous pousse en avant, nous stimule, nous élance vers une vie meilleure et plus belle. Le mot “inquiétude” résume les nombreuses quêtes du cœur des jeunes» (138). Lorsqu’il pense à un jeune, le Pape voit celui qui garde toujours un pied devant l’autre, prêt à partir, à bondir, toujours lancé vers l’avant (139). La jeunesse ne peut pas rester un «temps suspendu», parce que «c’est l’âge des choix» dans le domaine professionnel, social, politique, et aussi dans le choix du partenaire et la possibilité d’avoir les premiers enfants (141). L’anxiété «peut être une grande ennemie lorsqu’il nous arrive de baisser les bras parce que nous découvrons que les résultats ne sont pas immédiats. Les rêves les plus beaux se conquièrent avec espérance, patience et effort, en renonçant à l’empressement. En même temps il ne faut pas s’arrêter par manque d’assurance, il ne faut pas avoir peur de parier et de faire des erreurs» (142). François invite les jeunes à ne pas observer la vie depuis un balcon, à ne pas passer leur vie seulement devant un écran, à ne pas se réduire à des véhicules abandonnés et à ne pas regarder le monde en touristes: «Faites du bruit ! Repoussez dehors les craintes qui vous paralysent […]. Vivez !» (143). Il les invite à «vivre le présent» en profitant avec gratitude de chaque petit don de la vie sans «être insatiable» et «obsédé par le fait d’avoir toujours plus de plaisirs» (146). En effet, vivre le présent ne signifie pas se «lancer dans une frénésie irresponsable qui nous laisserait vides et toujours insatisfaits» (147).
«Tu ne connaîtras pas la véritable plénitude d’être jeune […] si tu ne vis pas dans l’amitié de Jésus» (150). L’amitié avec Lui est indissoluble parce qu’Il ne nous abandonne pas (154) et comme «nous parlons avec l’ami, nous partageons les choses les plus secrètes. Avec Jésus aussi, nous parlons»: en priant, «nous lui «ouvrons le jeu» et nous lui faisons la place «pour qu’il puisse agir et puisse entrer et puisse triompher» (155). «Ne prive pas ta jeunesse de cette amitié», «tu vivras la belle expérience de te savoir toujours accompagné» comme les disciples d’Emmaüs (156): saint Oscar Romero disaitque «le christianisme n’est pas un ensemble de vérités à croire, de lois à suivre, d’interdictions. Il devient repoussant de cette manière. Le christianisme est une Personne qui m’a aimé tellement qu’il demande mon amour. Le christianisme, c’est le Christ».
Évoquant «la croissance et le mûrissement», le Pape indique ensuite l’importance de rechercher
«un développement spirituel», de «chercher le Seigneur, garder sa Parole», de maintenir «la connexion avec Jésus, être en ligne avec lui, puisque tu ne grandiras pas en bonheur et en sainteté par tes seules forces ni par ton esprit» (158). L’adulte lui aussi doit mûrir sans perdre les valeurs de la jeunesse: «À chaque moment de la vie, nous devrions pouvoir renouveler et renforcer la jeunesse. Quand j’ai commencé mon ministère de Pape, le Seigneur m’a élargi les horizons et m’a offert une nouvelle jeunesse. La même chose peut arriver pour un mariage célébré il y a de nombreuses années, ou pour un moine entré dans son monastère» (160). Grandir signifie «conserver et nourrir les choses les plus précieuses que la jeunesse te laisse, mais, en même temps, c’est être ouvert à purifier ce qui n’est pas bon» (161). «Mais je te rappelle que tu ne seras pas saint ni accompli, en copiant les autres», «tu dois découvrir qui tu es et développer ta manière propre d’être saint» (162). François propose des «sentiers de fraternité» pour vivre sa foi, en rappelant que «l’Esprit Saint veut nous stimuler pour que nous sortions de nous-mêmes, embrassions les autres par amour et recherchions leur bien. Par conséquent, il est toujours mieux de vivre la foi ensemble et d’exprimer notre amour dans une vie communautaire» (164), en surmontant «la tentation de nous enfermer en nous-mêmes, dans nos difficultés, dans la blessure de nos sentiments, dans nos plaintes et dans notre confort» (166). Dieu «aime la joie des jeunes et il les invite spécialement à cette joie qui se vit en communion fraternelle» (167).
Le Pape parle ensuite des «jeunes engagés», affirmant qu’ils peuvent parfois courir «le risque de s’enfermer dans de petits groupes […]. Ils sentent qu’ils vivent l’amour fraternel, mais peut-être leur groupe s’est-il changé en un simple prolongement de soi. Cela devient plus grave si la vocation de laïc se conçoit seulement comme un service à l’intérieur de l’Eglise (lecteurs, acolytes, catéchiste, etc.), oubliant que la vocation laïque consiste avant tout dans la charité en famille, la charité sociale et la charité politique»(168). François propose «aux jeunes d’aller au-delà des groupes d’amis et de construire l’amitié sociale, chercher le bien commun. L’inimitié sociale détruit. Et l’inimitié détruit une famille. L’inimitié détruit un pays. L’inimitié détruit le monde. Et l’inimitié la plus grande, c’est la guerre. Et aujourd’hui, nous voyons que le monde est en train d’être détruit par la guerre, parce qu’ils sont incapables de s’asseoir et de se parler».
«L’engagement social et le contact direct avec les pauvres demeurent une occasion fondamentale de découverte et d’approfondissement de la foi et de discernement de sa propre vocation» (170). Le Pape cite l’exemple positif des jeunes en paroisse, des groupes et des mouvements qui «sortent souvent pour accompagner les personnes âgées et malades, ou visiter les quartiers pauvres» (171). Tandis que «d’autres jeunes participent à des programmes sociaux pour construire des maisons pour ceux qui n’ont pas de toit, ou pour assainir des lieux pollués, ou pour collecter des aides pour les personnes les plus nécessiteuses. Il serait bon que cette énergie communautaire s’applique non seulement à des actions ponctuelles, mais de manière stable». Les étudiants «peuvent s’unir de manière interdisciplinaire pour appliquer leur savoir à la résolution de problèmes sociaux, et ils peuvent, dans cette tâche, travailler au coude à coude avec les jeunes d’autres Eglises ou d’autres religions» (172). François encourage les jeunes à assumer cet engagement: «je vois que de nombreux jeunes, en tant de parties du monde, sont sortis sur les routes pour exprimer le désir d’une civilisation plus juste et fraternelle. […] Ce sont des jeunes qui veulent être protagonistes du changement. S’il vous plaît, ne laissez pas les autres être protagonistes du changement !» (174).
Les jeunes sont appelés à être «des missionnaires courageux», témoignant partout de l’Évangile par leur propre vie, ce qui n’est «pas parler de la vérité mais la vivre» (175). La parole, en revanche, ne doit pas être tue: «Soyez capables d’aller à contre-courant et sachez partager Jésus, communiquez la foi qu’il vous a offerte» (176). Où Jésus nous envoie-t-il? «Il n’y a pas de frontières, il n’y a pas de limites : il nous envoie à tous. L’Evangile est pour tous et non pour quelques-uns. Il n’est pas seulement pour ceux qui semblent plus proches, plus réceptifs, plus accueillants. Il est pour tous» (177). Et l’on en doit pas s’attendre à ce que «la mission soit facile et confortable» (178).
Sixième chapitre: « Des jeunes avec des racines »
François explique qu’il souffre «de voir que certains proposent aux jeunes de construire un avenir sans racines, comme si le monde commençait maintenant» (179). Si quelqu’un «vous fait une proposition et vous dit d’ignorer l’histoire, de ne pas reconnaître l’expérience des aînés, de mépriser le passé et de regarder seulement vers l’avenir qu’il vous propose, n’est-ce pas une manière facile de vous piéger avec sa proposition afin que vous fassiez seulement ce qu’il vous dit ? Cette personne vous veut vides, déracinés, méfiants de tout, pour que vous ne fassiez confiance qu’à ses promesses et que vous vous soumettiez à ses projets. C’est ainsi que fonctionnent les idéologies de toutes les couleurs, qui détruisent (ou dé-construisent) tout ce qui est différent et qui, de cette manière, peuvent régner sans opposition» (181). Les manipulateurs recourent aussi à l’adoration de la jeunesse: «Le corps jeune devient le symbole de ce nouveau culte, et donc tout ce qui a rapport avec ce corps est idolâtré, désiré sans limites ; et ce qui n’est pas jeune est regardé avec mépris. Mais c’est une arme qui, surtout, finit par dégrader les jeunes eux-mêmes» (182). «Chers jeunes, n’acceptez pas qu’on utilise votre jeunesse pour favoriser une vie superficielle qui confond beauté et apparence» (183) parce qu’il y a de la beauté chez le travailleur qui rentre sale chez lui, chez la femme âgée qui prend soin de son mari malade, dans la fidélité des couples qui s’aiment à l’automne de leur vie. Aujourd’hui en revanche on promeut «une spiritualité sans Dieu, une affectivité sans communauté et sans engagement envers ceux qui souffrent, une crainte des pauvres vus comme des personnes dangereuses, et une série d’offres qui prétendent vous créer un avenir paradisiaque qui sera sans cesse reporté à plus tard» (184). Le Pape invite les jeunes à ne pas se laisser dominer par cette idéologie qui porte «d’authentiques formes de colonisation culturelle» (185) qui déracine les jeunes des appartenances culturelles et religieuses dont ils proviennent et tend à les homogénéiser en les transformant en «êtres manipulables, fabriqués en série» (186).
«Ta relation avec les personnes âgées» est fondamentale, puisqu’elles aident les jeunes à découvrir la richesse vivante du passé, en en faisant mémoire. «La Parole de Dieu recommande de ne pas perdre le contact avec les personnes âgées afin de pouvoir recourir à leur expérience» (188). Cela «ne signifie pas que tu doives être d’accord avec tout ce qu’ils disent, ni que tu doives approuver toutes leurs actions», il s’agit «simplement d’être ouvert pour recueillir une sagesse qui se communique de génération en génération» (190). «La rupture entre générations n’a jamais aidé le monde et ne l’aidera jamais. […] C’est le mensonge qui te fait croire que seul ce qui est nouveau est bon et beau» (191).
Parlant des «rêves et visions», François observe: «Si les jeunes et les anciens s’ouvrent à l’Esprit Saint, ils forment une association merveilleuse. Les anciens rêvent et les jeunes ont des visions» (192); si «les jeunes s’enracinent dans ces rêves des anciens, ils arrivent à voir l’avenir» (193). Il faut donc «risquer ensemble», en marchant ensemble, jeunes et vieux: les racines «ne sont pas des ancres qui nous enchaînent», mais «au contraire, un point d’ancrage qui nous permet de nous développer et de répondre à de nouveaux défis» (200).
Septième chapitre: « La pastorale des jeunes »
Le Pape explique que la pastorale des jeunes a subi l’assaut des changements sociaux et culturels et «les jeunes, dans les structures habituelles, ne trouvent souvent pas de réponses à leurs préoccupations, à leurs besoins, à leurs problèmes et à leurs blessures» (202). Les jeunes eux-mêmes «sont des agents de la pastorale de la jeunesse, accompagnés et guidés, mais libres de rechercher de nouveaux chemins avec créativité et audace». Il faut «mettre en jeu l’intelligence, l’ingéniosité et la connaissance que les jeunes eux-mêmes ont de la sensibilité, de la langue et des problématiques des autres jeunes» (203). La pastorale des jeunes a besoin de flexibilité, et il faut «réunir les jeunes pour des évènements, des manifestations qui leur offrent chaque fois un lieu où ils reçoivent non seulement une formation, mais qui leur permettent aussi de partager leur vie, de célébrer, de chanter, d’écouter de vrais témoignages et de faire l’expérience de la rencontre communautaire avec le Dieu vivant» (204).
Le pastorale des jeunes ne peut être que synodale, c’est-à-dire capable de donner forme à un «marcher ensemble», et elle comporte deux grandes lignes d’action: la première est la recherche, la seconde est la croissance. Concernant la première, François se dit confiant en la capacité des jeunes eux-mêmes à «trouver les chemins attrayants pour appeler»: «Il faut seulement stimuler les jeunes et leur donner une liberté» d’action. Le plus important est que «chaque jeune ose semer la première annonce dans cette terre fertile qu’est le cœur d’un autre jeune» (210). Il faut privilégier «le langage de la proximité, la langue de l’amour désintéressé, relationnel et existentiel qui touche le cœur», en s’approchant des jeunes «avec la grammaire de l’amour, non pas par prosélytisme» (211). En ce qui concerne la croissance, François met en garde contre le fait de proposer aux jeunes touchés par une intense expérience de Dieu «des réunions de “formation” où sont uniquement abordées des questions doctrinales et morales […]. Le résultat est que beaucoup de jeunes s’ennuient, perdent le feu de la rencontre avec le Christ et la joie de le suivre» (212). Si tout projet formateur «doit certainement inclure une formation doctrinale et morale», il est tout aussi important «d’être centré» sur le kérygme, c’est-à-dire «l’expérience fondatrice de la rencontre avec Dieu par le Christ mort et ressuscité» et sur «la croissance de l’amour fraternel, dans la vie communautaire, par le service» (213). Par conséquent «la pastorale des jeunes doit toujours inclure des temps qui aident à renouveler et à approfondir l’expérience personnelle de l’amour de Dieu et de Jésus-Christ vivant» (214). Et elle doit aider les jeunes «vivre en frères, à s’entraider mutuellement, à créer une communauté, à servir les autres, à être proches des pauvres» (215). »
Les institutions de l’Église doivent donc devenir «des milieux adaptés», en développant leur «capacité d’accueil»: «au sein de nos institutions, nous avons besoin d’offrir aux jeunes leurs propres lieux, qu’ils puissent aménager à leur goût, et où ils puissent entrer et sortir librement, des lieux qui les accueillent et où ils puissent se rendre spontanément et avec confiance à la rencontre d’autres jeunes, tant dans les moments de souffrance ou de lassitude, que dans les moments où ils désirent célébrer leurs joies» (218).
François décrit ensuite «la pastorale des institutions éducatives», en affirmant que l’école «a besoin d’une autocritique urgente». Et il rappelle que «certains collèges catholiques semblent être organisés seulement pour leur préservation […]. L’école transformée en “bunker” qui protège des erreurs “de l’extérieur”, est l’expression caricaturale de cette tendance». Quand les jeunes en sortent, ils ressentent «une inadéquation insurmontable entre ce qu’ils ont appris et le monde dans lequel ils doivent vivre». Alors qu’«une des plus grandes joies d’un éducateur est de voir un étudiant se constituer lui-même comme une personne forte, intégrée, protagoniste et capable de donner» (221). On ne peut pas séparer la formation spirituelle de la formation culturelle: «Voilà votre grand devoir: répondre aux refrains paralysants du consumérisme culturel par des choix dynamiques et forts, avec la recherche, la connaissance et le partage» (223). Parmi les «différents domaines pour le développement pastoral», le Pape indique les «expressions artistiques» (226), la «pratique sportive» (227), et l’engagement pour la sauvegarde de la Création (228).
«Une pastorale “populaire” des jeunes» est utile, «plus ample et plus flexible qui stimule, dans les différents lieux où les jeunes se déplacent, ces leaderships naturels et ces charismes que l’Esprit Saint a déjà semés en eux. Il s’agit avant tout de ne pas mettre autant d’obstacles, de normes, de contrôles et de cadres obligatoires à ces jeunes croyants qui sont des leaders naturels dans les quartiers et dans différents milieux. Il faut seulement les accompagner et les stimuler» (230). En visant «une pastorale des jeunes aseptisée, pure, marquée par des idées abstraites, éloignée du monde et préservée de toute souillure, nous transformons l’Évangile en une offre fade, incompréhensible, lointaine, coupée des cultures des jeunes, et adaptée seulement à une élite de jeunes chrétiens qui se sentent différents mais qui en réalité flottent dans un isolement sans vie ni fécondité» (232). François invite à être «une Église aux portes ouvertes», et il «n’est même pas nécessaire d’assumer complètement tous les enseignements de l’Église pour prendre part à certains de nos espaces pour les jeunes» (234): il doit également y avoir de la place pour «tous ceux qui ont d’autres conceptions de la vie, professent une foi différente ou se déclarent étrangers à l’horizon religieux» (235). L’icône représentative de cette approche nous est offerte par l’épisode évangélique des disciples d’Emmaüs: Jésus les interroge, les écoute avec patience, les aide à reconnaître ce qu’ils sont en train de vivre, à interpréter à la lumière des Écritures ce qu’ils ont vécu, il accepte de s’arrêter avec eux, «il entre dans leur nuit». «Ce sont eux qui choisissent de reprendre sans tarder le chemin dans la direction opposée»(237).
«Toujours missionnaires». Pour que les jeunes deviennent missionnaires, il n’est pas nécessaire de faire «un long parcours»: «Un jeune qui se rend en pèlerinage pour demander de l’aide à la Vierge et qui invite un ami ou un camarade à l’accompagner, accomplit avec ce geste simple une action missionnaire précieuse» (239). La pastorale des jeunes «doit toujours être une pastorale missionnaire» (240). Et les jeunes ont besoin d’être respectés dans leur liberté, «mais ils doivent être aussi accompagnés» par les adultes, à commencer par la famille (242) puis par la communauté: «Cela implique que l’on regarde les jeunes avec compréhension, valorisation et affection, et qu’on ne les juge pas en permanence ni qu’on exige d’eux une perfection qui ne correspond pas à leur âge» (243). Est mentionné le manque de personnes expertes et qui se consacrent à l’accompagnement (244) et «certaines jeunes femmes estiment qu’elles ont besoin de plus d’exemples de leadership féminin au sein de l’Église» (245). «Les mêmes jeunes nous ont décrit» les caractéristiques qu’ils espèrent trouver chez leur accompagnateur: «qu’il soit un chrétien fidèle et engagé dans l’Église et le monde, qui cherche constamment la sainteté, quelqu’un en qui l’on peut avoir confiance, qui ne juge pas, qui écoute activement les besoins des jeunes et y répond avec bienveillance, quelqu’un qui aime profondément avec conscience, qui reconnaît ses limites et comprend les joies et les peines d’un chemin de vie spirituelle. À leurs yeux, la reconnaissance de leur humanité et de leur vulnérabilité revêt une particulière importance» (246). Les accompagnateurs doivent savoir «marcher avec eux» [les jeunes], en respectant leur liberté.
Huitième chapitre: « La vocation »
«Ce que Jésus désire de chaque jeune, c’est avant tout son amitié. Il est essentiel de discerner et de découvrir cela. C’est le discernement fondamental» (250). La vocation est un appel au service missionnaire envers les autres, «parce que notre vie sur la terre atteint sa plénitude quand elle se transforme en offrande» (254). «Pour accomplir sa propre vocation, il est nécessaire de développer, de faire pousser et grandir tout ce que l’on est. Il ne s’agit pas de s’inventer, de se créer spontanément à partir de rien, mais de se découvrir soi-même à la lumière de Dieu et de faire fleurir son propre être» (257). Et le fait d’«“Être pour les autres” dans la vie de chaque jeune est généralement lié à deux questions fondamentales : la formation d’une nouvelle famille et le travail» (258).
Concernant «l’amour et la famille», le Pape écrit que les jeunes «ressentent avec force l’appel à l’amour, et ils rêvent de trouver la bonne personne avec laquelle former une famille et construire une vie ensemble» (259), et le sacrement du mariage «enveloppe cet amour avec la grâce de Dieu, il l’enracine en Dieu même» (260). Dieu nous a créé sexués, Lui-même a créé la sexualité, qui est l’un de ses dons, et donc «rien de tabou». C’est un don que le Seigneur nous donne et il a «deux buts: s’aimer et engendrer la vie. C’est une passion, un amour passionné. Le véritable amour est passionné» (261). François observe que «l’augmentation des séparations, des divorces, […] peut causer de grandes souffrances et une crise d’identité. Parfois, ils doivent porter des responsabilités qui ne sont pas proportionnées à leur âge» (262). Malgré toutes les difficultés, «je veux leur dire que oui, ça vaut la peine de parier sur la famille et qu’en elle, ils trouveront les meilleures stimulations pour grandir et les plus belles joies à partager. Ne vous laissez pas voler l’amour pour de vrai» (263). «Croire que rien ne peut être définitif est une tromperie et un mensonge […],je vous demande d’être révolutionnaires, je vous demande d’aller à contre-courant» (264).
Concernant le travail, le Pape écrit: «Je demande aux jeunes de ne pas espérer vivre sans travailler, en dépendant de l’aide des autres. Cela ne fait pas de bien, parce que le travail est une nécessité, il fait partie du sens de la vie sur cette terre, chemin de maturation, de développement humain et de réalisation personnelle. Dans ce sens, aider les pauvres avec de l’argent doit toujours être une solution provisoire pour affronter des urgences» (269). Et après avoir noté comment, dans le monde du travail, les jeunes expérimentent des formes d’exclusion et de marginalisation (270), il affirme à propos du chômage des jeunes: «C’est une question très délicate que la politique doit considérer comme un sujet de premier ordre, particulièrement aujourd’hui où la rapidité des développements technologiques, jointe à l’obsession de réduire les coûts de la main d’œuvre, peut conduire rapidement à remplacer de nombreux postes de travail par des machines»(271). Et s’adressant aux jeunes: «Il est vrai que tu ne peux pas vivre sans travailler et que parfois tu dois accepter ce que tu trouves, mais ne renonce jamais à tes rêves, n’enterre jamais définitivement une vocation, ne te donne jamais pour vaincu» (272).
François conclut ce chapitre en parlant des «vocations à une consécration particulière». «Dans le discernement d’une vocation, il ne faut pas exclure la possibilité de se consacrer à Dieu […]. Pourquoi l’exclure? Sois certain que, si tu reconnais un appel de Dieu et que tu le suis, ce sera ce qui te comblera» (276).
Neuvième chapitre: « Le discernement »
Le Pape rappelle que «sans la sagesse du discernement, nous pouvons devenir facilement des marionnettes à la merci des tendances du moment» (279). «Une expression du discernement est l’engagement pour reconnaître sa propre vocation. C’est une tâche qui requiert des espaces de solitude et de silence, parce qu’il s’agit d’une décision très personnelle que d’autres ne peuvent pas prendre pour quelqu’un» (283). «Le don de la vocation sera sans aucun doute un don exigeant. Les dons de Dieu sont interactifs et pour en profiter tu dois mettre beaucoup en jeu, tu dois risquer» (289).
À celui qui aide les jeunes au discernement sont demandées trois sensibilités. La première est l’attention à la personne: «il s’agit d’écouter l’autre qui se donne lui-même à nous dans ses paroles» (292). La seconde consiste à discerner, autrement dit «il s’agit d’épingler le moment précis où l’on discerne la grâce ou la tentation» (293). La troisième consiste à «écouter les impulsions que l’autre expérimente “en avant”. C’est l’écoute profonde de “ce vers quoi l’autre veut vraiment aller”» (294). Lorsqu’on écoute l’autre de cette manière, «à un moment donné, on doit disparaître pour le laisser poursuivre ce chemin qu’il a découvert. C’est disparaître comme le Seigneur disparaît à la vue de ses disciples» (296). Il faut «susciter et accompagner des processus, et non pas imposer des parcours. Et ce sont des processus de personnes qui sont toujours uniques et libres. C’est pourquoi il est difficile d’établir des règles» (297).
L’exhortation se conclut par «un désir» du Pape François: «Chers jeunes, je serai heureux en vous voyant courir plus vite qu’en vous voyant lents et peureux. Courez, attirés par ce Visage tant aimé, que nous adorons dans la sainte Eucharistie et que nous reconnaissons dans la chair de notre frère qui souffre. […] L’Église a besoin de votre élan, de vos intuitions, de votre foi. Nous en avons besoin! Et quand vous arriverez là où nous ne sommes pas encore arrivés, ayez la patience de nous attendre» (299).
[00557-FR.01] [Texte original: Italien - version de travail]
Traduzione di lavoro in lingua inglese
Christ is alive
“Christ is alive! He is our hope, and in a wonderful way he brings youth to our world. The very first words, then, that I would like to say to every young Christian are these: Christ is alive and he wants you to be alive!”.
Thus begins the post-synodal Apostolic Exhortation, “Christus vivit”, by Pope Francis, signed on Monday 25 March in the Holy House of Loreto and addressed to young people , and to “the entire People of God”. In the document, composed of nine chapters divided into 299 paragraphs, the Pope explains that he allowed himself to be “inspired by the wealth of reflections and conversations of the Synod” on Young People, celebrated in the Vatican in October 2018.
Chapter one: “What does the Word of God have to say about young people?”
Francis recalls that “in an age when young people were not highly regarded, some texts show that God sees them differently” (6). He briefly presents figures of young people from the Old Testament: Joseph, Gideon (7), Samuel (8), King David (9), Solomon and Jeremiah (10), the very young Jewish servant of Naaman, and the young Ruth (11). Then he moves on to the New Testament. The Pope recalls that “Jesus, who is eternally young, wants to give us hearts that are ever young” (13) and adds: “Let us also keep in mind that Jesus had no use for adults who looked down on the young or lorded it over them. On the contrary, he insisted that “the greatest among you must become like the youngest” (Lk 22:26). For him age did not establish privileges, and being young did not imply lesser worth or dignity”. Francis affirms: “We should never repent of spending our youth being good, opening our heart to the Lord, and living differently” (17).
Chapter two: “Jesus, ever young”
The Pope addresses the theme of Jesus’ youthful years and remembers the Gospel story that describes Jesus “as an adolescent, when he had returned with his parents to Nazareth, after being lost and found in the Temple” (26). We should not think, Francis writes, that “Jesus was a withdrawn adolescent or a self-absorbed youth. His relationships were those of a young person who shared fully in the life of his family and his people”, “no one regarded him as unusual or set apart from others” (28). The Pope points out that, “thanks to the trust of his parents”, the adolescent Jesus, “can move freely and learn to journey with others” (29). These aspects of Jesus’ life should not be ignored in youth ministry, “lest we create projects that isolate young people from their family and the larger community, or turn them into a select few, protected from all contamination”. Rather, we need “projects that can strengthen them, accompany them and impel them to encounter others, to engage in generous service, in mission” (30).
Jesus “does not teach you, young people, from afar or from without, but from within your very youth, a youth he shares with you” and in him many aspects typical of young hearts can be recognized (31). With “him at our side, we can drink from the true wellspring that keeps alive all our dreams, our projects, our great ideals, while impelling us to proclaim what makes life truly worthwhile” (32); “The Lord is calling us to enkindle stars in the night of other young people” (33).
Francis then speaks of the youth of the Church and writes: “Let us ask the Lord to free the Church from those who would make her grow old, encase her in the past, hold her back or keep her at a standstill. But let us also ask him to free her from another temptation: that of thinking she is young because she accepts everything the world offers her, thinking that she is renewed because she sets her message aside and acts like everybody else. No! The Church is young when she is herself, when she receives ever anew the strength born of God’s word, the Eucharist, and the daily presence of Christ and the power of his Spirit in our lives” (35).
It is true that “as members of the Church, we should not stand apart from others”, yet at the same time, “we must dare to be different, to point to ideals other than those of this world, testifying to the beauty of generosity, service, purity, perseverance, forgiveness, fidelity to our personal vocation, prayer, the pursuit of justice and the common good, love for the poor, and social friendship” (36). The Church can be tempted to lose her enthusiasm and revert “to seeking a false, worldly form of security. Young people can help keep her young” (37).
The Pope then goes back to one of the teachings most dear to him and, explaining that the figure of Jesus must be presented “in an attractive and effective way”, says: “the Church should not be excessively caught up in herself but instead, and above all, reflect Jesus Christ. This means humbly acknowledging that some things concretely need to change” (39).
The Exhortation recognizes that there are young people who feel the presence of the Church “a nuisance, even an irritant”. This attitude that has its roots “in serious and understandable reasons: sexual and financial scandals; a clergy ill-prepared to engage effectively with the sensitivities of the young;… the passive role assigned to the young within the Christian community; the Church’s difficulty in explaining her doctrine and ethical positions to contemporary society” (40).
There are young people who “want a Church that listens more, that does more than simply condemn the world. They do not want to see a Church that is silent and afraid to speak, but neither one that is always battling obsessively over two or three issues. To be credible to young people, there are times when she needs to regain her humility and simply listen, recognizing that what others have to say can provide some light to help her better understand the Gospel” (41). For example, a Church that is too fearful can be constantly critical of “efforts to defend the rights of women, and constantly point out the risks and the potential errors of those demands”, while a Church that is “a living Church, can react by being attentive to the legitimate claims of women”, while “not agreeing with everything some feminist groups propose” (42).
Francis then presents “Mary, the young woman from Nazareth”, and her Yes as that of “someone willing to take a risk, ready to stake everything she had, with no more security than the certainty of knowing that she was the bearer of a promise. So I ask each one of you: do you see yourselves as the bearers of a promise?” (44) For Mary, “challenges were no reason to say “no”“, and thus putting herself at stake, she became “the influencer of God”. The heart of the Church is also full of young saints. The Pope remembers Saint Sebastian, Saint Francis of Assisi, Saint Joan of Arc, Blessed Martyr Andrew Phû Yên, Saint Kateri Tekakwitha, Saint Dominic Savio, Saint Teresa of the Child Jesus, Blessed Ceferino Namuncurá, Blessed Isidoro Bakanja, Blessed Pier Giorgio Frassati, Blessed Marcel Callo, the young Blessed Chiara Badano.
Chapter three: “You are the ‘now’ of God”
We cannot just say that “young people are the future of our world”, says Pope Francis. “They are its present; even now, they are helping to enrich it” (64). For this reason it is necessary to listen to them even if “there is a tendency to provide prepackaged answers and ready-made solutions, without allowing their real questions to emerge and facing the challenges they pose” (65).
“Today, we adults can often be tempted to list all the problems and failings of today’s young people… But what would be the result of such an attitude? Greater distance, less closeness, less mutual assistance” (66). Whoever is called to be a father, pastor and youth guide should have the ability “to discern pathways where others only see walls, to recognize potential where others see only peril. That is how God the Father sees things; He knows how to cherish and nurture the seeds of goodness sown in the hearts of the young. Each young person’s heart should thus be considered “holy ground”“ (67). Francis also invites us not to generalize, because “the worlds of today’s ‘youth’ are so many” (68).
Speaking of what happens to young people, the Pope recalls those who live in contexts of war, those who are exploited, the victims of kidnappings, organized crime, human trafficking, slavery and sexual exploitation, rape. And also those who live by committing crimes and acts of violence (72). “Many young people are taken in by ideologies, used and exploited as cannon fodder or a strike force to destroy, terrify or ridicule others. Worse yet, many of them end up as individualists, hostile and distrustful of others; in this way, they become an easy target for the brutal and destructive strategies of political groups or economic powers” (73). Even more numerous are those who suffer forms of marginalization and social exclusion for religious, ethnic or economic reasons. Pope Francis cites adolescents and young people who “become pregnant, the scourge of abortion, the spread of HIV, various forms of addiction (drugs, gambling, pornography and so forth), and the plight of street children without homes, families or economic resources” (74), situations that are made doubly painful and difficult for women. “As a Church, may we never fail to weep before these tragedies of our young. May we never become inured to them… The worst thing we can do is adopt that worldly spirit whose solution is simply to anesthetize young people with other messages, with other distractions, with trivial pursuits” (75). The Pope invites young people to learn to weep for their peers who are worse off than they are (76).
It is true, Pope Francis explains, “that people in power offer some assistance, but often it comes at a high price. In many poor countries, economic aid provided by some richer countries or international agencies is usually tied to the acceptance of Western views of sexuality, marriage, life or social justice. This ideological colonization is especially harmful to the young” (78). The Pope also warns against today’s culture that presents the youthful model of beauty and uses young bodies in advertising: “it has very little to do with young people. It only means that adults want to snatch youth for themselves” (79).
Referring to “desires, hurts, and longings”, Pope Francis speaks about sexuality and its “essential importance” for young peoples’ lives and for their “process of growth in identity”. The Pope writes that: “in a world that constantly exalts sexuality, maintaining a healthy relationship with one’s body and a serene affective life is not easy”. For this and other reasons, sexual morality often tends to be a source of “incomprehension and alienation from the Church, inasmuch as she is viewed as a place of judgment and condemnation”, despite the fact there are young people who want to discuss these issues (81). Faced with developments in science, biomedical technologies and neuroscience, the Pope recalls how these can “make us forget that life is a gift, and that we are creatures with innate limits, open to exploitation by those who wield technological power” (82).
The Exhortation then turns to the theme of the “digital world” which has created “a new way to communicate”, and which can “facilitate the circulation of independent information”. In many countries, the web and social networks “already represent a firmly established forum for reaching and involving young people” (87). But they can also be a place of “loneliness, manipulation, exploitation and violence, up to the extreme case of the ‘dark web’. Digital media can expose people to the risk of addiction, isolation and gradual loss of contact with concrete reality… New forms of violence are spreading through social media, for example cyber-bullying. The internet is also a channel for spreading pornography and the exploitation of persons for sexual purposes or through gambling” (88). It should not be forgotten that in the digital world “there are huge economic interests”, capable of creating “mechanisms for the manipulation of consciences and of the democratic process”. There are closed circuits that “facilitate the spread of fake news and false information, fomenting prejudice and hate… The reputation of individuals is put in jeopardy through summary trials conducted online. The Church and her pastors are not exempt from this phenomenon” (89). In a document prepared by 300 young people from all over the world before the Synod it is stated that “online relationships can become inhuman”, and immersion in the virtual world has favored “a kind of “digital migration”, involving withdrawal from their families and their cultural and religious values, and entrance into a world of loneliness” (90).
The Pope goes on to present “migrants as an epitome of our time”, and recalls the many young people involved in migration. “The Church’s concern is focused especially on those fleeing from war, violence, political or religious persecution, from natural disasters including those caused by climate change, and from extreme poverty” (91): they search for an opportunity, a dream of a better future. Other migrants are “attracted by Western culture, sometimes with unrealistic expectations that expose them to grave disappointments. Unscrupulous traffickers, frequently linked to drug cartels or arms cartels, exploit the weakness of migrants... The particular vulnerability of migrants who are unaccompanied minors is worth noting… In some host countries, migration causes fear and alarm, often fomented and exploited for political ends. This can lead to a xenophobic mentality, as people close in on themselves, and this needs to be addressed decisively” (92). Young migrants often also experience a cultural and religious uprooting (93). Francis asks young people “not to play into the hands of those who would set them against other young people, newly arrived in their countries, and who would encourage them to view the latter as a threat” (94).
The Pope also speaks of child abuse, makes the Synod’s commitment to the adoption of rigorous measures of prevention his own, and expresses gratitude “to those who had the courage to report the evil they experienced” (99). He recalls that, “thank God”, those who committed these horrible crimes are not the majority of priests, who carry out their ministry with fidelity and generosity”. He asks young people, if they see a priest at risk because he has taken the wrong path, to have the courage to remind him of his commitment to God and to his people (100).
Abuse, however, is not the only sin in the Church. “Our sins are before the eyes of everyone; they appear all too clearly in the lines on the age-old face of the Church, our Mother and Teacher”, but the Church does not resort to any cosmetic surgery, “she is not afraid to reveal the sins of her members”. “Let us never forget that we must not abandon our Mother when she is wounded” (101). but stand beside her, so that she can summon up all her strength and all her ability to begin ever anew. This dark moment, with the help of the young people, “can truly be an opportunity for a reform of epoch-making significance”, opening us to a new Pentecost (102).
Pope Francis reminds young people that “there is a way out” in all dark and painful situations. He recalls the Good News given on the morning of the Resurrection. He explains that even though the digital world can expose us to many risks, there are young people who know how to be creative and brilliant in these areas. Like the Venerable Carlo Acutis, who “knew how to use the new communication technologies to transmit the Gospel” (105), he did not fall into the trap and said: “Everyone is born as an original, but many people end up die as photocopies”. “Don’t let that happen to you” (106), warns the Pope. “Don’t let them rob you of hope and joy, or drug you into becoming a slave to their interests” (107), seek the great goal of holiness. “Being young is not only about pursuing fleeting pleasures and superficial achievements. If the years of your youth are to serve their purpose in life, they must be a time of generous commitment, whole-hearted dedication” (108). “If you are young in years, but feel weak, weary or disillusioned, ask Jesus to renew you” (109). But always remember that “it is very difficult to fight against…the snares and temptations of the devil, and the selfishness of the world…if we grow too isolated” (110). That’s when we need a life of community.
Chapter four: “A great message for all young people”
To all young people the Pope announces three great truths. A “God who is love”. “God loves you, never doubt this” (112). You can “find security in the embrace of your heavenly Father” (113). Pope Francis affirms that the memory of the Father “is not a ‘hard disk’ that ‘saves’ and ‘archives’ all our data. His memory is a heart filled with tender compassion, one that finds joy in ‘deleting’ from us every trace of evil… Because he loves you. Try to keep still for a moment and let yourself feel his love” (115). His love is one that “has to do more with raising up than knocking down, with reconciling than forbidding, with offering new changes than condemning, with the future than the past” (116).
The second truth is that “Christ saves you”. Never forget that “He forgives us seventy times seven. Time and time again, He bears us on his shoulders” (119). Jesus loves us and saves us because “only what is loved can be saved. Only what is embraced can be transformed. The Lord’s love is greater than all our problems, frailties and flaws” (120). And “His forgiveness and salvation are not something we can buy, or that we have to acquire by our own works or efforts. He forgives us and sets us free without cost” (121).
The third truth is that “He is alive!”. “We need to keep reminding ourselves of this…because we can risk seeing Jesus Christ simply as a fine model from the distant past, as a memory, as someone who saved us two thousand years ago. But that would be of no use to us: it would leave us unchanged, it would not set us free” (124). If He lives, “there can be no doubt that goodness will have the upper hand in your life… then we can stop complaining and look to the future, for with him this is always possible” (127).
In these truths, the Father appears and Jesus appears. And where they are, there is also the Holy Spirit. “Invoke the Holy Spirit each day… You have nothing to lose, and He can change your life, fill it with light and lead it along a better path. He takes nothing away from you, but instead helps you to find all that you need, and in the best possible way” (131).
Chapter five: Paths of Youth
“The love of God and our relationship with the living Christ do not hold us back from dreaming; they do not require us to narrow our horizons. On the contrary, that love elevates us, encourages us and inspires us to a better and more beautiful life. Much of the longing present in the hearts of young people can be summed up in the word ‘restlessness’” (138). Thinking of a young person, the Pope sees him or her as someone “who wants to fly on their two feet, always with one foot forward, ready to set out, to spring ahead. Always racing onward” (139). Youth cannot remain “on hold”, because it is the “age of choice” in the professional, social, political spheres, and also in the choice of the partner or in having one’s first children. “Anxiety can work against us by making us give up whenever we do not see instant results. Our best dreams are only attained through hope, patience and commitment, and not in haste. At the same time, we should not be hesitant, afraid to take chances or make mistakes” (142). Pope Francis invites young people not to observe life from the balcony, not to spend their lives in front of a screen, not to be reduced to abandoned vehicles and not to look at the world as tourists: “Make a ruckus! Cast out the fears that paralyze you…live!” (143) He invites them to “live the present” enjoying with gratitude every little gift of life without “being insatiable” and “obsessively seeking new pleasures” (146). In fact, living the present “is not the same as embarking irresponsibly on a life of dissipation that can only leave us empty and perpetually dissatisfied” (147).
“No matter how much you live the experience of these years of your youth, you will never know their deepest and fullest meaning unless you encounter each day your best friend, the friend who is Jesus” (150) Friendship with Him is indissoluble because He does not abandon us (154). “With a friend, we can speak and share our deepest secrets. With Jesus too, we can always have a conversation”. When we pray, “we open everything we do” to him, and we give him room “so that He can act, enter and claim victory” (155). “Do not deprive your youth of this friendship. You will be able to feel him at your side”. That is what the disciples of Emmaus experienced (156). Saint Oscar Romero said: “Christianity is not a collection of truths to be believed, rules to be followed, or prohibitions. Seen that way, it puts us off. Christianity is a person who loved me immensely, who demands and asks for my love. Christianity is Christ”.
The Pope, speaking of growth and maturity, indicates the importance of seeking “a spiritual development”, of “seeking the Lord and keeping his Word”, of maintaining the “connection” with Jesus... since you will not grow happy and holy by your own efforts and intelligence alone” (158).
Adults too must mature without losing the values of youth: “In every moment of life we can renew and increase our youth. When I began my ministry as Pope, the Lord broadened my horizons and granted me renewed youth. The same can happen to a couple married for many years, or to a monk in his monastery” (160). Growing older means “preserving and cherishing the most precious things about our youth, but it also involves having to purify those things that are not good” (161). “But I would also remind you that you won’t become holy and find fulfilment by copying others… You have to discover who you are and develop your own way of being holy” (162). Pope Francis proposes “paths of fraternity” to live the faith, remembering that “the Holy Spirit wants to make us come out of ourselves, to embrace others… That is why it is always better to live the faith together and to show our love by living in community” (164), overcoming the temptation “to dwell on ourselves and our problems, our hurt feelings and our grievances” (166). “God loves the joy of young people. He wants them especially to share in the joy of fraternal communion” (167).
The Pope then speaks of being “young and committed”, stating that young people can sometimes be “tempted to withdraw into small groups… They may feel that they are experiencing fraternity and love, but their small group may in fact become nothing other than an extension of their own ego. This is even more serious if they think of the lay vocation simply as a form of service inside the Church… They forget that the lay vocation is directed above all to charity within the family and to social and political charity” (168).
Pope Francis proposes that young people “go beyond their small groups and to build social friendship, where everyone works for the common good. Social enmity, on the other hand, is destructive. Families are destroyed by enmity. Countries are destroyed by enmity. The world is destroyed by enmity. And the greatest enmity of all is war. Today we see that the world is destroying itself by war” because we are unable to sit down and speak” (169).
“Social engagement and direct contact with the poor remain fundamental ways of finding or deepening one’s faith and the discernment of one’s vocation” (170). The Pope cites the positive example of young people from parishes, schools and movements who “often go out to spend time with the elderly and the infirm, or to visit poor neighbourhoods” (171).
“Other young people take part in social programs that build houses for the homeless, or reclaim contaminated areas or offer various kinds of assistance to the needy. It would be helpful if this shared energy could be channeled and organized in a more stable way”. University students “can apply their knowledge in an interdisciplinary way, together with young people of other churches or religions” (172). Pope Francis encourages young people to make this commitment: “I have been following news reports of the many young people throughout the world who have taken to the streets to express the desire for a more just and fraternal society... The young want to be protagonists of change. Please, do not leave it to others to be protagonists of change!” (174).
Young people are called to be “courageous missionaries”, witnessing everywhere to the Gospel with their own lives, which does not mean “speaking about the truth, but living it” (175). The word, however, must not be silenced: “Learn to swim against the tide, learn how to share Jesus and the faith he has given you” (176). Where does Jesus send us? “There are no borders, no limits: he sends us everywhere. The Gospel is for everyone, not just for some. It is not only for those who seem closer to us, more receptive, more welcoming. It is for everyone” (177). And one cannot expect “the mission to be soft and easy” (178).
Chapter six: “Young people with roots”
Pope Francis says that it hurts him to see “young people sometimes being encouraged to build a future without roots, as if the world were just starting now” (179). “If someone tells young people to ignore their history, to reject the experiences of their elders, to look down on the past and to look forward to a future that he holds out, doesn’t it then become easy to draw them along so that they only do what he tells them? He needs the young to be shallow, uprooted and distrustful, so that they can trust only in his promises and act according to his plans. That is how various ideologies operate: they destroy (or deconstruct) all differences so that they can reign unopposed” (181).
The manipulators also use the cult of youth: “The youthful body becomes the symbol of this new cult; everything associated with that body is idolized and lusted after, while whatever is not young is despised. But this cult of youth is simply an expedient that ultimately proves degrading to the young” (182). “Dear young friends, do not let them exploit your youth to promote a shallow life that confuses beauty with appearances” (183). Because there is beauty in the labourer who returns home grimy and unkempt, in the elderly wife who takes care of her sick husband, in the fidelity of couples who love each other in the autumn of life.
Today instead we promote “a spirituality without God, an affectivity without community or concern for those who suffer, a fear of the poor, viewed as dangerous and a variety of claims to offer a future paradise that nonetheless seems increasingly distant” (184). The Pope invites young people not to allow themselves to be dominated by this ideology which leads to “cultural colonization” (185) which eradicates young people from the cultural and religious affiliations from which they come and tends to homogenize them by transforming them into “a new line of malleable goods” (186).
Fundamental is “your relationship with the elderly”, says the Pope, which helps young people to discover the living richness of the past. “The Word of God encourages us to remain close to the elderly, so that we can benefit from their experience” (188). “This does not mean having to agree with everything adults say or approving all their actions”. “It is really a matter of being open to receiving a wisdom passed down from generation to generation” (190). “The world has never benefitted, nor will it ever benefit, from a rupture between generations… It is the lie that would have you believe that only what is new is good and beautiful” (191).
Speaking of “dreams and visions”, Pope Francis observes: “When young and old alike are open to the Holy Spirit, they make a wonderful combination. The old dream dreams, and the young see visions” (192). “If young people sink roots in those dreams, they can peer into the future” (193). That is why we need “to take risks together”, walking together, young and old. “Roots are not anchors chaining us” but “a fixed point from which we can grow and meet new challenges” (200).
Chapter seven: “Youth ministry”
The Pope explains that youth ministry has been affected by social and cultural changes and “young people frequently fail to find in our usual programmes a response to their concerns, their needs, their problems and issues” (202). The young people themselves “are agents of youth ministry. Certainly they need to he helped and guided, but at the same time left free to develop new approaches, with creativity and a certain audacity”. We need to help young people to “use their insight, ingenuity and knowledge to address the issues and concerns of other young people in their own language” (203).
Youth ministry needs to be flexible, and it is necessary to invite “young people to events or occasions that provide an opportunity not only for learning, but also for conversing, celebrating, singing, listening to real stories and experiencing a shared encounter with the living God” (204).
Youth ministry has to be synodal, that is, capable of shaping a “journey together” and this involves two broad lines of action: the first is outreach, the second is growth. For the first, Pope Francis trusts in the ability of young people themselves to “find appealing ways to come together”. “They only have to be encouraged and given the freedom to be enthused”. What is most important, though, “is that each young person can be daring enough to sow the seed of the message on that fertile terrain that is the heart of another young person” (210). Priority should be given to “the language of closeness, the language of generous, relational and existential love that touches the heart”. Young people need to be approached “with the grammar of love, not by being preached at” (211).
As far as growth is concerned, Pope Francis warns against proposing to young people touched by an intense experience of God “meetings of ‘formation’ in which only doctrinal and moral questions are dealt with... The result is that many young people get bored, they lose the fire of their encounter with Christ and the joy of following Him” (212).
Any educational project or path of growth for young people “must certainly include formation in Christian doctrine and morality”, that must be centred on the kerygma, “the foundational experience of encounter with God through Jesus’ death and resurrection”, and on “growth in fraternal love, community life and service” (213).
Therefore, “youth ministry should always include occasions for renewing and deepening our personal experience of the love of God and the living Christ” (214). It should help young people “to live as brothers and sisters, to help one another, to build community, to be of service to others, to be close to the poor” (215).
Church institutions should therefore provide “suitable environments”, “places young people can make their own, where they can come and go freely, feel welcome and readily meet other young people, whether at times of difficulty and frustration, or of joy and celebration” (218).
Pope Francis then describes “Youth Ministry in educational institutions”, affirming that schools are in “urgent need of self-criticism”. He recalls that “some Catholic schools seem to be structured only for the sake of self-preservation… A school that becomes a ‘bunker’, protecting its students from errors ‘from without’ is a caricature of this tendency”. When young people leave, they feel “an insurmountable disconnect between what they were taught and the world in which they live”, while “one of the greatest joys that any educator can have is to see a student turn into a strong, well-integrated person” (221).
We cannot separate spiritual from cultural formation… “This, then, is your great challenge: to respond to the crippling refrains of cultural consumerism with thoughtful and firm decisions, with research, knowledge and sharing” (223). Among the areas of “pastoral development”, the Pope indicates the “importance of the arts” (226), the “potential of sports” (227), and “care for the environment” (228).
There is a need for “popular youth ministry”, “broader and more flexible, which stimulates those natural guides and charisms which the Holy Spirit has already sown among young people, in the different places in which young people concretely move. It tries to avoid imposing obstacles, rules, controls and obligatory structures on these young believers who are natural leaders in their neighbourhoods and in other settings. We need only to accompany and encourage them” (230).
By focusing on a “pure and perfect youth ministry, marked by abstract ideas, protected from the world and free of every flaw, we can turn the Gospel into a dull, meaningless and unattractive proposition. Such a youth ministry ends up completely removed from the world of young people and suited only to an elite Christian youth that sees itself as different, while living in an empty and unproductive isolation” (232).
Pope Francis invites us to be a “Church with open doors. Nor does one have to accept fully all the teachings of the Church to take part in certain of our activities for young people (234). Room should also be made for “all those who have other visions of life, who belong to other religions or who distance themselves from religion altogether” (235). The icon for this approach is offered to us by the Gospel episode of the disciples at Emmaus: Jesus questions them, listens to them patiently, helps them to recognize what they are living, to interpret in the light of Scripture what they have lived, accepts to stay with them, enters their night. It is they themselves who choose to resume without delay the journey in the opposite direction (237).
“Always missionaries”. For young people to become missionaries there is no need to make “a long journey”. “A young person who makes a pilgrimage to ask Our Lady for help, and invites a friend or companion along, by that single gesture is being a good missionary” (239). “Youth ministry is always missionary” (240). Young people need to have their freedom respected, “yet they also need to be accompanied”. The family should be the first place of accompaniment (242), and then the community. “All should regard young people with understanding, appreciation and affection, and avoid constantly judging them or demanding of them a perfection beyond their years” (243). There is a lack of experienced people dedicated to accompaniment (244) and “some young women feel that there is a lack of leading female role models within the Church” (245). The same young people “described to us” the qualities they hope to find in a mentor: “being a faithful Christian who engages with the Church and the world; someone who constantly seeks holiness; someone who is a confidant without judgement. Similarly, someone who actively listens to the needs of young people and responds in kind; someone deeply loving and self-aware; someone who recognizes his or her limits and knows the joys and sorrows of the spiritual journey. An especially important quality in mentors is the acknowledgement of their own humanity – the fact that they are human beings who make mistakes: not perfect people but forgiven sinners” (246). They should know how to “walk alongside them”, respecting their freedom.
Chapter eight: “Vocation”
“The first thing we need to discern and discover is this: Jesus wants to be a friend to every young person” (250). Vocation is a call to missionary service to others, “for our life on earth reaches full stature when it becomes an offering” (254). “To respond to our vocation, we need to foster and develop all that we are. This has nothing to do with inventing ourselves or creating ourselves out of nothing. It has to do with finding our true selves in the light of God and letting our lives flourish and bear fruit” (257). “This ‘being there for others’ normally has to do with two basic issues: forming a new family and working” (258).
As for “love and family”, the Pope writes that: “Young people intensely feel the call to love; they dream of meeting the right person with whom they can form a family” (259). The Sacrament of Holy Matrimony “envelops this love in the grace of God; it roots it in God Himself” (260). God created us as sexual beings. He himself created sexuality, which is a marvellous gift. “It is not taboo”. It is a gift the Lord gives us. It has “two purposes: to love and to generate life. It is passion… True love is passionate” (262).
Pope Francis observes that the “increase of separations, divorces… can cause great suffering and a crisis of identity in young people. Sometimes they must take on responsibilities that are not proportioned to their age” (262). Despite all the difficulties, “it is worth your every effort to invest in the family; there you will find the best incentives to mature and the greatest joys to experience and share. Don’t let yourselves be robbed of a great love” (263).
“To think that nothing can be definitive is a deceptive lie… I ask you, instead, to be revolutionaries, I ask you to swim against the tide” (264).
As for work, the Pope writes: “I ask young people not to expect to live without working, depending on others for help. This is not good, because work is a necessity, part of the meaning of life on this earth, a path to growth, human development and personal fulfilment. In this sense, helping the poor financially must always be a provisional solution in the face of pressing needs” (269).
After noting how young people in the world of work experience forms of exclusion and marginalization (270), the Pope affirms with regard to youth unemployment: “This is a highly complex and sensitive issue that politics must make a priority, especially at present, when the speed of technological advances and the concern to reduce labour costs can lead quickly to the replacement of many jobs by machines” (271). To young people he says: “It is true that you cannot live without working, and that sometimes you have to accept whatever is available, but I ask you never to give up on your dreams, never completely bury a calling, and never accept defeat” (272).
Pope Francis concludes this chapter by talking about “the vocation to special consecration”. “In discerning your vocation, do not dismiss the possibility of devoting yourself to God… Why not? You can be sure that, if you do recognize and follow a call from God, there you will find complete fulfilment” (276).
Chapter nine: “Discernment”
The Pope recalls that: “Without the wisdom of discernment, we can easily become prey to every passing trend” (279). “A particular form of discernment involves the effort to discover our own vocation. Since this is a very personal decision that others cannot make for us, it requires a certain degree of solitude and silence” (283).
“A vocation, while a gift, will undoubtedly also be demanding. God’s gifts are interactive; to enjoy them we have to be ready to take risks” (289).
Three sensitivities are required of those who help young people in their discernment. “The first kind of sensitivity is directed to the individual. It is a matter of listening to someone who is sharing his very self in what he says” (292). “The second kind of sensitivity is marked by discernment. It tries to grasp exactly where grace or temptation is present” (293). “The third kind of sensitivity is the ability to perceive what is driving the other person”, discerning “the direction in which that person truly wants to move” (294). “When we listen to others in this way, at a certain moment we ourselves have to disappear in order to let the other person follow the path he or she has discovered. We have to vanish as the Lord did from the sight of his disciples in Emmaus” (296). We need “to encourage and accompany processes, without imposing our own roadmaps. For those processes have to do with persons who remain always unique and free. There are no easy recipes” (297).
The exhortation concludes with “a wish” from Pope Francis: “Dear young people, my joyful hope is to see you keep running the race before you, outstripping all those who are slow or fearful. Keep running, “attracted by the face of Christ, whom we love so much, whom we adore in the Holy Eucharist and acknowledge in the flesh of our suffering brothers and sisters. The Church needs your momentum, your intuitions, your faith… And when you arrive where we have not yet reached, have the patience to wait for us”.
[00557-EN.01] [Original text: Italian - working translation]
Traduzione di lavoro in lingua tedesca
Christus vivit
„Christus lebt. Er ist unsere Hoffnung, und er ist die schönste Jugend dieser Welt. Alles, was er berührt, verjüngt sich, wird neu, füllt sich mit Leben. Die ersten Worte, die ich also an jeden einzelnen von euch jungen Christen richten möchte, lauten: Er lebt und er will, dass du lebendig bist!”.
So beginnt das Nachsynodale Apostolische Schreiben „Christus vivit” „an die jungen Menschen und an das ganze Volk Gottes”, das Papst Franziskus am Montag, den 25. März, im Heiligen Haus von Loreto unterzeichnet hat. In dem aus neun Kapiteln und 299 Absätzen bestehenden Dokument erklärt der Papst auch, dass er sich dabei von „den reichhaltigen Überlegungen und Gesprächen der Jugendsynode anregen” ließ, die im Oktober 2018 im Vatikan stattfand.
Erstes Kapitel: „Was sagt das Wort Gottes über die jungen Menschen?”
Franziskus erinnert daran, dass „in einer Epoche, in der die Jugendlichen wenig bedeuteten, einige Texte zeigen, dass Gott mit anderen Augen sieht” (6), und stellt kurz einige Beispiele junger Menschen aus dem Alten Testament vor: Josef, Gideon (7), Samuel (8), den König David (9), Salomon und Jeremias (10), die junge jüdische Dienerin des Naaman und die junge Rut (11). Danach geht er zum Neuen Testament über. Der Papst erinnert daran, dass Jesus „als der ewig Junge uns ein immer junges Herz schenken möchte” (13), und fügt an: „Wir sehen, dass es Jesus nicht gefiel, wenn Erwachsene herablassend auf die Jüngsten blickten oder sie in despotischer Weise in Dienst nahmen. Im Gegenteil mahnte er: „Der Größte unter euch soll werden wie der Jüngste” (Lk 22,26). Für Jesus war das Alter nicht an Privilegien geknüpft, und wenn jemand jünger war, bedeutete das nicht, dass er weniger wert war”. Franziskus bekräftigt: „Man braucht es nicht zu bereuen, die eigene Jugend damit zu verbringen, gut zu sein, dem Herrn das Herz zu öffnen und anders zu leben” (17).
Zweites Kapitel: „Jesus Christus ist immer jung”
Hier spricht der Papst das Thema der Jugendzeit Jesu an. Eine Erzählung im Evangelium zeige den Nazarener „im zentralen Jugendalter”: „Das ist die Episode, wo er mit seinen Eltern nach Nazaret zurückkehrt, nachdem sie ihn verloren und im Tempel wiedergefunden hatten” (26). Doch wir dürften „uns Jesus nicht als jugendlichen Einzelgänger oder als jungen Menschen vorstellen, der nur an sich selbst denkt”, schreibt Franziskus: „Sein Verhältnis zu den Menschen war das eines Jugendlichen, der ganz am Leben der im Dorf gut integrierten Familie teilnahm” (28). Papst Franziskus macht darauf aufmerksam, dass sich der junge Jesus, „dank des Vertrauens seiner Eltern … frei bewegen kann und lernt, mit allen anderen gemeinsam zu gehen” (29). Diese Aspekte des Lebens Jesu dürften von der Jugendpastoral nicht außer Acht gelassen werden, „um nicht Projekte zu schaffen, die die Jugendlichen von der Familie und von der Welt abschotten oder sie in eine elitäre Minderheit verwandeln, von jeder Ansteckungsgefahr geschützt.” Was wir bräuchten, seien „vielmehr Projekte, die sie stärken, sie begleiten und sie auf die Begegnung mit den anderen, auf den großherzigen Dienst und die Mission ausrichten” (30).
Jesus „schenkt euch jungen Menschen nicht von ferne oder von außen her Licht. Sein Licht geht von seiner eigenen Jugend aus, die er mit euch teilt “, und in ihm könnten sich die jungen Menschen in vielen Aspekten wiederfinden, so der Papst (31). „In seiner Nähe können wir aus der wahren Quelle trinken, die unsere Träume, unsere Pläne, unsere großen Ideale am Leben hält, und uns drängt zu verkünden, was das Leben lebenswert macht” (32); „Der Herr ruft uns, Sterne in der Nacht anderer junger Menschen anzuzünden” (33).
Danach geht Franziskus auf die Jugend der Kirche ein: „Bitten wir den Herrn, er möge die Kirche von denen befreien, die die Kirche alt machen, sie auf die Vergangenheit festnageln, bremsen und unbeweglich machen wollen,” schreibt er. „Bitten wir auch, dass er sie von einer anderen Versuchung befreie: zu glauben, dass sie jung ist, wenn sie auf alles eingeht, was die Welt ihr anbietet; zu glauben, dass sie sich erneuert, wenn sie ihre Botschaft verbirgt und sich den anderen anpasst. Nein. Sie ist jung, wenn sie sie selbst ist und wenn sie die immer neue Kraft des Wortes Gottes, der Eucharistie, der Gegenwart Christi und der Kraft seines Geistes jeden Tag empfängt” (35). Es stimme, dass „wir Mitglieder der Kirche keine seltsamen Gestalten sein dürfen”, aber zugleich „müssen wir den Mut haben, anders zu sein, andere Träume zu zeigen, die die Welt nicht geben kann, und Zeugnis zu geben für die Schönheit der Großherzigkeit, des Dienstes, der Reinheit, der Stärke, der Vergebung, der Treue zur eigenen Berufung, des Gebets, des Kampfes für die Gerechtigkeit und für das Gemeinwohl, der Liebe für die Armen und der sozialen Freundschaft” (36). Die Kirche Christi könne immer in Versuchung geraten, den Enthusiasmus zu verlieren und „falsche weltliche Absicherungen zu suchen. Da sind es gerade die jungen Menschen, die ihr helfen können, jung zu bleiben” (37).
Eine ihm besonders teure Lehre wieder aufgreifend, erklärt Papst Franziskus, dass die Gestalt Jesu „anziehend und wirkungsvoll präsentiert werden muss”. „Daher darf die Kirche nicht zu sehr auf sich selbst bezogen sein, sondern vor allem Jesus Christus widerspiegeln. Folglich muss sie demütig zugeben, dass sich einige Dinge ändern müssen” (39).
In dem Schreiben wird auch festgehalten, dass es junge Menschen gibt, die die Präsenz der Kirche „als lästig und sogar irritierend empfinden.” Eine Haltung , die oft „unter anderem auf ernsthafte, respektable Gründe zurückzuführen ist wie sexuelle und finanzielle Skandale, nicht richtig vorbereitete Priester, die junge Menschen mit ihren Befindlichkeiten nicht entsprechend abholen können;… die passive Rolle, die den Jugendlichen innerhalb der christlichen Gemeinschaft zugewiesen wird und die Mühe der Kirche, ihre Positionen in Lehre und Ethik gegenüber der heutigen Gesellschaft zu vermitteln” (40).
Es gebe auch junge Menschen, die „eine Kirche wünschen, die mehr zuhört und nicht ständig die Welt verdammt. Sie wollen keine schweigende und schüchterne Kirche sehen, aber auch keine, die immer mit zwei oder drei Themen, auf die sie fixiert ist, auf Kriegsfuß steht. Um in den Augen der jungen Menschen glaubwürdig zu sein, muss sie zuweilen die Demut wieder zurückgewinnen und einfach zuhören; und in dem, was andere sagen, ein Licht erkennen, das ihr helfen kann, das Evangelium tiefer zu verstehen” (41). Beispielsweise könne eine übertrieben ängstliche und starr strukturierte Kirche „ständig kritisch gegenüber allen Äußerungen zur Verteidigung der Frauenrechte eingestellt sein und dauernd die Risiken und möglichen Irrtümer solcher Forderungen aufzeigen”, wogegen eine „lebendige Kirche so reagieren kann, dass sie den berechtigten Ansprüchen von Frauen Aufmerksamkeit schenkt”, auch wenn sie „nicht mit allem einverstanden ist, was einige feministische Gruppen vorschlagen” (42).
Danach stellt Franziskus „Maria, das Mädchen von Nazaret” vor, und führt aus, dass ihr „Ja”das ja eines Menschen war, „der sich einbringen und Risiken eingehen will und alles auf eine Karte setzen will, mit keiner anderen Garantie als der Gewissheit, Trägerin einer Verheißung zu sein. Und ich frage einen jeden von euch: Fühlt ihr euch als Träger einer Verheißung?” (44). Für Maria waren „die Schwierigkeiten kein Grund, „Nein” zu sagen”, und indem sie sich so mit eingebracht habe, sei sie „die Influencerin Gottes” geworden. Das Herz der Kirche sei auch voll von jungen Heiligen, so Franziskus. Er erinnert an den heiligen Sebastian, den heiligen Franz von Assisi, die heilige Jeanne d`Arc, den seligen Märtyrer Andrew Phû Yên, die heilige Kateri Tekakwitha, den heiligen Domenico Savio, die heilige Theresia vom Kinde Jesus, den selige Ceferino Namuncurá, den seligen Isidor Bakanja, den seligen Pier Giorgio Frassati, den seligen Marcel Callo und die junge Selige Chiara Badano.
Drittes Kapitel: „Ihr seid das Jetzt Gottes”
Wir könnten nicht nur sagen, dass„ die jungen Menschen die Zukunft der Welt sind. Sie sind die Gegenwart und bereichern sie mit ihrem Beitrag”, betont Franziskus (64). Daher müsse man ihnen zuhören, auch wenn man manchmal „lieber mit vorgefertigten Antworten und Patentrezepten zur Stelle ist, ohne die Fragen der Jugendlichen in all ihrer Neuheit zuzulassen und die in ihnen liegende Provokation zu begreifen” (65).
„Wir Erwachsene stehen heutzutage in der Gefahr, die Schwierigkeiten und Fehler der heutigen Jugend aufzulisten … Aber was wäre das Ergebnis einer solchen Haltung? Mehr und mehr Distanz” (66). Wer gerufen ist, Vater, Hirte oder Führer junger Menschen zu sein, müsse die Fähigkeit haben, „Wege zu entdecken, wo andere nur Mauern sehen, und Möglichkeiten zu erkennen, wo andere nur Gefahr wittern. Solcherart ist der Blick Gottes des Vaters, der in der Lage ist, die Samen des Guten, die in die Herzen der jungen Menschen gesät wurden, zur Geltung zu bringen und zu nähren. Das Herz eines jeden jungen Menschen muss daher als ein „heiliger Boden” betrachtet werden” (67). Franziskus warnt hier auch vor Verallgemeinerungen, weil es „eine Vielzahl von Jugend-Milieus gibt” (68).
Die Lebenswelt der Jugendlichen beschreibend, erinnert der Papst an Jugendliche, die in Kriegsgebieten leben und zahllose Formen der Gewalt wie Entführung, Erpressung, organisiertes Verbrechen, Menschenhandel, Sklaverei und sexuelle Ausbeutung, Kriegsvergewaltigung usw. erleiden. Viele lebten in einer Umgebung von Verbrechen und Gewalt leben, so Franziskus (72). „Viele junge Menschen werden indoktriniert und instrumentalisiert und als Kanonenfutter oder Stoßtrupp eingesetzt, um andere zu zerstören, einzuschüchtern oder zu verspotten. Und das Schlimmste ist, dass viele zu Individualisten werden, die allen gegenüber feindlich und misstrauisch sind und so zur leichten Beute entmenschlichender Angebote und destruktiver Pläne werden, welche von politischen Gruppierungen oder Kräften der Wirtschaft entwickelt wurden” (73). Es gebe jedoch noch wesentlich mehr junge Menschen in der Welt, die unter sozialer Ausgrenzung in unterschiedlichster Form und Marginalisierung aus religiösen, ethnischen oder wirtschaftlichen Gründen litten. Hier führt Franziskus schwangere Mädchen und junge Frauen an sowie „die Geißel der Abtreibung und die Ausbreitung von HIV, unterschiedlichste Formen von Sucht (Drogen, Glücksspiel, Pornografie usw.) und die Situation von Kindern und Jugendlichen, die ohne ein Dach über dem Kopf, ohne Familie und finanzielle Mittel auf der Straße leben” (74). Situationen, die, wenn es sich dabei um Frauen handelt, doppelt schmerzhaft und schwierig seien. „Wir dürfen keine Kirche sein, die angesichts dieser Tragödien ihrer jungen Söhne und Töchter keinen Schmerz empfindet. Wir dürfen uns nie daran gewöhnen… Das Schlimmste, was wir tun können, ist, das Rezept einer verweltlichten Gesinnung anzuwenden, das darin besteht, junge Menschen mit anderen Nachrichten, mit anderen Ablenkungen, mit Banalitäten zu betäuben” (75). Die jungen Menschen müssten lernen, um ihre Altersgenossen zu weinen, denen es schlechter geht als ihnen, schreibt Franziskus (76).
Es sei wahr, unterstreicht der Papst, dass „dass die Mächtigen einiges an Hilfe leisten, oft aber zu einem hohen Preis. In vielen armen Ländern ist die wirtschaftliche Unterstützung einiger reicherer Länder oder internationaler Organisationen mit der Annahme westlicher Vorstellungen bezüglich Sexualität, Ehe, Leben oder sozialer Gerechtigkeit verbunden. Diese ideologische Kolonisation schadet vor allem jungen Menschen” (78). Der Papst warnt auch vor der heutigen Kultur, die ein Menschenbild präsentiert, das sich stark am Idealbild der Jugendlichkeit orientiere, junge Körper in der Werbung gewinnorientiert einsetze: „ Das ist kein Lob für junge Menschen. Es bedeutet nur, dass Erwachsene diese Jugendlichkeit für sich selbst wollen” (79).
Auf „Wünsche, Wunden und Versuche” eingehend, äußert sich Franziskus zum Thema Sexualität: „In einer Welt, die die Sexualität übermäßig betont, ist es schwierig, eine positive Beziehung zum eigenen Körper zu wahren und die affektiven Beziehungen ausgeglichen zu leben.” Wegen dieser und anderer Ursachen sei die Sexualität oft „Grund für Unverständnis und Entfernung von der Kirche, da sie als Raum des Urteils und der Strafe empfunden wird”, obwohl junge Menschen den Wunsch äußerten, sich mit diesen Themen auseinanderzusetzen (81). Zu den jüngsten Entwicklungen in biomedizinischen Wissenschaften und Neurowissenschaften gibt Franziskus zu bedenken: „Sie lassen manchmal in Vergessenheit geraten, dass das Leben ein Geschenk ist, dass wir geschaffene und begrenzte Wesen sind, dass wir leicht von denen instrumentalisiert werden können, die über technologische Macht verfügen” (82).
Das Apostolische Schreiben geht dann auf das Thema der „digitalen Umwelt” ein, die „eine neue Art der Kommunikation geschaffen hat” durch die „unabhängige Informationen leichter in Umlauf gebracht werden können.” In vielen Ländern seien das Internet und soziale Netzwerke heute „als Medium unverzichtbar, um junge Menschen zu erreichen” (87). Aber „es ist auch ein Ort der Einsamkeit, Manipulation, Ausbeutung und Gewalt, die sich im Extremfall im Dark Web manifestieren. Durch digitale Medien besteht die Gefahr, dass Nutzer abhängig werden, sich isolieren und immer stärker den Kontakt zur konkreten Wirklichkeit verlieren... Neue Formen der Gewalt breiten sich über die Social Media aus, wie z. B. Cybermobbing; das Internet dient auch als Kanal zur Verbreitung von Pornografie und der Ausbeutung von Menschen für sexuelle Zwecke oder durch Glücksspiel” (88). Es solle auch nicht vergessen werden, dass in der digitalen Welt „gigantische wirtschaftliche Interessen am Werke sind”, die „Mechanismen schaffen, mit denen das Gewissen und demokratische Prozesse manipuliert werden.” Diese geschlossenen Kreise „erleichtern die Verbreitung von falschen Informationen und Nachrichten und schüren Vorurteile und Hass... Der Ruf von Menschen wird durch oberflächliche Online-Verfahren gefährdet. Ein Phänomen, das auch die Kirche und ihre Hirten betrifft” (89). In einem Dokument, das von 300 jungen Menschen aus aller Welt vor der Synode erstellt wurde, werde darauf hingewiesen, dass „Online-Beziehungen unmenschlich werden können” und das Eintauchen in die virtuelle Welt „eine Art „digitaler Migration”, d.h. eine Distanzierung von der Familie, von kulturellen und religiösen Werten begünstigt, was viele Menschen in eine Welt der Einsamkeit und Selbsterfindung führt” (90).
Danach geht der Papst auf das Thema „Migranten als Paradigma unserer Zeit” ein, und erinnert an die vielen jungen Menschen, die von Migration betroffen sind. „Die Sorge der Kirche betrifft insbesondere Menschen, die vor Krieg, Gewalt, politischer oder religiöser Verfolgung, vor Naturkatastrophen, die auch durch den Klimawandel bedingt sind, und vor extremer Armut fliehen” (91): Sie suchten in der Regel nach Chancen und träumten von einer besseren Zukunft. Andere Migranten „fühlen sich von der Kultur des Westens angezogen und brechen mit teils unrealistischen Erwartungen auf, die schwer enttäuscht werden können. Skrupellose Menschenhändler, die oft mit Drogen- und Waffenkartellen in Verbindung stehen, nutzen die Schwäche von Migranten aus... Hervorzuheben sind hier die besondere Schutzlosigkeit unbegleiteter minderjähriger Migranten... In einigen Ankunftsländern lösen Migrationsphänomene Alarm und Ängste aus, die oft für politische Zwecke angeheizt und missbraucht werden. Auf diese Weise verbreitet sich eine fremdenfeindliche Mentalität, man verschließt sich und zieht sich in sich selbst zurück. Darauf müssen wir entschlossen reagieren” (92) Junge Migranten erlebten oft auch eine kulturelle und religiöse Entwurzelung (93). Franziskus bittet „vor allem die Jugendlichen, nicht auf diejenigen hereinzufallen, die versuchen, gegen junge Migranten zu hetzen, indem sie so beschrieben werden, als seien sie gefährlich” (94).
Zum Thema Missbrauch von Minderjährigen betont der Papst, dass die Synode bekräftigt habe, dass sie sich entschlossen für die Umsetzung rigoroser Präventionsmaßnahmen einsetzt, die verhindern, dass sich dies wiederholt. Der Papst dankt allen, die „den Mut haben, das Schlimme, das sie erlitten haben, öffentlich anzuklagen” (99), und erinnert daran, dass die Priester, die „in diese schrecklichen Verbrechen verstrickt sind, Gott sei Dank nicht die Mehrheit sind. Die meisten leisten einen treuen und großherzigen Dienst”. Er fordert die jungen Menschen auf, immer dann, wenn sie einen Priester sähen, der gefährdet ist, weil er vom Kurs abgekommen ist, den Mut zu haben, ihn an seine Verpflichtung gegenüber Gott und seinem Volk zu erinnern (100).
Die Missbräuche seien jedoch nicht die einzig Sünde in der Kirche. „Unsere Sünden sind für alle sichtbar; sie spiegeln sich gnadenlos in den Falten des tausendjährigen Gesichts unserer Mutter und Lehrerin wider”, aber die Kirche unterziehe sich keiner Schönheitsoperation, „sie hat keine Angst, die Sünden ihrer Glieder zu zeigen.” „Aber denken wir daran, dass man die Mutter nicht im Stich lässt, wenn sie verwundet ist” (101). Dieser dunkle Moment könne mit Hilfe der jungen Menschen „tatsächlich eine Chance für eine Reform von epochaler Tragweite sein” (102).
Franziskus erinnert die jungen Menschen daran, dass „es einen Ausweg gibt” in all den dunklen oder schmerzhaften Situationen. Er erinnert an die gute Nachricht, die uns am Morgen der Auferstehung zuteilwurde. Und betont, dass auch wenn man in der digitalen Welt der Gefahr der Selbstverschlossenheit, Isolation oder des leeren Vergnügens ausgesetzt sein könne, es doch junge Menschen gebe, die auch in diesen Bereichen kreativ und manchmal brillant sind. Wie der junge ehrwürdige Diener Gottes Carlos, der „es verstand, die neuen Kommunikationstechniken zu nutzen, um das Evangelium zu verbreiten” (105), und sich nicht täuschen ließ. „Alle werden als Originale geboren , aber viele sterben als Fotokopien”, hat er gesagt. „Lass nicht zu, dass das dir geschieht”, (106) warnt der Papst. „Lass nicht zu, dass sie dir die Hoffnung und Freude rauben, lass dich von ihnen nicht betäuben, um dich zum Sklaven ihrer Interessen zu machen” (107), suche das große Ziel der Heiligkeit. „Jung zu sein erschöpft sich nicht einfach in der Suche nach flüchtigen Freuden und oberflächlichen Erfolgen. Damit das Jugendalter den Sinn erfüllt, den es für deinen Lebenslauf hat, muss es eine Zeit großzügigen Geben, aufrichtiger Hingabe und der Opfer sein” (108). „Wenn du jung bist, dich jedoch schwach, müde oder enttäuscht fühlst, bitte Jesus, dich zu erneuern” (109). Und dabei darf man nie vergessen, dass es „sehr schwierig ist, gegen die ...Versuchungen des Bösen und der egoistischen Welt zu kämpfen, wenn wir uns absondern” (110): was wir brauchen, ist nämlich ein gemeinschaftliches Leben.
Viertes Kapitel: „Die große Botschaft für alle jungen Menschen”
Allen jungen Menschen verkündet der Papst drei große Wahrheiten. Einen „Gott, der Liebe ist”: „Gott liebt dich. Zweifle nie daran” (112). Du kannst dich deinem göttlichen Vater ganz unbeschwert überlassen” (113). Franziskus bekräftigt, dass das Gedenken Gottes „keine “Festplatte” ist, die alle unsere Daten registriert, sein Gedächtnis ist ein Herz, das weich ist vor Mitgefühl, das Freude daran hat, jede Spur des Bösen in uns auszulöschen ... Weil er dich liebt. Versuche, einen Moment in Stille zu bleiben und dich von ihm lieben zu lassen” (115). Seine Liebe „kennt sich eher mit dem Wiederaufstieg als mit dem Fall aus, mehr mit der Versöhnung als mit Verboten, mehr mit dem Gewähren neuer Möglichkeiten als mit der Verdammnis, mehr mit der Zukunft als mit der Vergangenheit” (116).
Die zweite Wahrheit ist, dass „Christus dich rettet”. „Vergiss nie: er vergibt siebenundsiebzigmal. Ein ums andere Mal lädt er uns wieder auf seine Schultern” (119). Jesus liebt uns und rettet uns, denn „nur was man liebt, kann gerettet werden. Nur was man annimmt, kann verwandelt werden. Die Liebe des Herrn ist größer als all unsere Widersprüche, als all unsere Schwächen und als all unsere Begrenztheiten” (120). Und „seine Vergebung und Erlösung sind nicht etwas, das wir gekauft haben, oder was wir durch unsere Werke oder unsere Bemühungen erwerben müssen. Er vergibt und befreit uns unentgeltlich” (121). Die dritte Wahrheit ist, dass „Er lebt!”. „Man sollte sich oft daran erinnern, denn wir laufen Gefahr, Jesus Christus nur als gutes Beispiel aus der Vergangenheit, als eine Erinnerung zu sehen, als jemanden, der uns vor zweitausend Jahren gerettet hat. Das würde uns nichts nützen, das würde uns nicht befreien” (124). Denn „wenn er lebt, so ist dies eine Garantie dafür, dass das Gute sich seinen Weg in unserem Leben bahnt …. Dann können wir aufhören zu klagen und nach vorne schauen, denn mit ihm kann man immer nach vorne schauen” (127).
In diesen Wahrheiten erscheint der Vater und erscheint Jesus. Und dort wo sie sind, da ist auch der Heilige Geist. „Ruf jeden Tag den Heiligen Geist an… Du verpasst nichts, und er kann dein Leben verändern, es erleuchten und ihm eine bessere Ausrichtung geben. Es verstümmelt dich nicht, es nimmt dir nichts weg, im Gegenteil, er hilft dir, alles zu finden, so wie du es nötig hast” (131).
Viertes Kapitel: „Wege der Jugend”
„Die Liebe Gottes und unsere Beziehung zum lebendigen Christus hindern uns nicht am Träumen, sie erfordern nicht, dass wir unseren Horizont einschränken. Ganz im Gegenteil: diese Liebe spornt uns an, regt uns an, treibt uns zu einem besseren und schöneren Leben an. Das Wort „Unruhe” fasst viele Sehnsüchte der Herzen Jugendlicher zusammen” (138). Wenn der Papst an junge Menschen denkt, stellt er sich jemanden vor, der stets einen Fuß vor den anderen setzt, bereit aufzubrechen, loszusprinten. Immer in Startposition (139). Die Jugend kann „als Zeit nicht stillstehen”: „sie ist das Alter der Entscheidungen” im beruflichen, gesellschaftlichen und politischen Bereich weitere, und der noch radikaleren Entscheidungen, die ihrer Existenz eine endgültige Gestalt verleihen auch Entscheidungen bezüglich der Liebe, der Partnerwahl oder des Wunsches, die ersten Kinder zu bekommen. Die Angst „kann zu einem großen Feind werden, wenn sie uns dazu bringt, aufzugeben, wenn wir erleben, dass die Ergebnisse nicht sofort erreicht werden. Die schönsten Träume erkämpft man mit Hoffnung, Geduld, Einsatz und Verzicht auf Eile. Zugleich darf man sich nicht von der Unsicherheit blockieren lassen; man sollte keine Furcht haben, etwas aufs Spiel zu setzen und Fehler zu machen” (142). Franziskus fordert die jungen Menschen auf, das Leben nicht von einem Balkon aus zu beobachten, das Leben nicht vor dem Bildschirm zu verbringen, nicht das traurige Spektakel eines verlassenen Fahrzeugs zu geben und die Welt nicht anzuschauen, als ob sie Touristen wären: „Lasst von euch hören! Werft die Ängste, die euch lähmen, über Bord! … Lebt!” (143). Er lädt sie ein, „den gegenwärtigen Moment zu leben”; jedes kleine Geschenk des Lebens zu verkosten ohne „unersättlich” und „genusssüchtig” zu sein (146). „Das bedeutet aber nicht, sich einer verantwortungslosen Zügellosigkeit hinzugeben” (147).
„Du wirst nicht die wirkliche Fülle des Jungseins erkennen, … wenn du nicht in Freundschaft mit Jesus lebst» (150). Die Freundschaft mit Jesus sei unverbrüchlich, weil er uns nie verlasse, schreibt Franziskus (154). Mit einem Freund „reden wir, teilen wir die geheimsten Dinge. Auch mit Jesus sprechen wir”: „Wenn wir beten, bringen wir Gott „ins Spiel”, damit er wirken und dabei sein und siegen kann” (155). „Nimm deiner Jugend nicht diese Freundschaft”, „du wirst die schöne Erfahrung machen, dich immer begleitet zu wissen” wie die Jünger von Emmaus (156): der heilige Oscar Romero habe gesagt: „Das Christentum ist nicht eine Ansammlung von Wahrheiten, die zu glauben sind, und von Geboten und Verboten, die zu beachten sind. Auf diese Weise erscheint es sehr abstoßend. Das Christentum ist eine Person, die mich so sehr geliebt hat, dass sie meine Liebe verlangt. Das Christentum ist Christus”.
Zum Thema Wachstum und Reifung verweist Papst Franziskus auf die Bedeutung der Suche nach „geistlichem Wachstum”. Wichtig sei es, „den Herrn zu suchen, sein Wort zu hüten”, und „die Verbindung mit Jesus aufrechterhalten… da du mit deinen Kräften und deinem Geist allein nicht im Glück und in der Heiligkeit wachsen wirst” (158). Auch ein Erwachsener müsse reifen, ohne dabei die Werte der Jugend aufzugeben: „In jedem Augenblick des Lebens werden wir unsere Jugend erneuern und vermehren können. Als ich meinen Dienst als Papst begann, hat der Herr mir die Horizonte geweitet und mir eine erneuerte Jugend geschenkt. Dasselbe kann einer langjährigen Ehe passieren oder einem Mönch in seinem Kloster” (160). Wachsen „bedeutet die wertvollsten Dinge, die dir die Jugend schenkt, zu bewahren und zu nähren, aber zugleich offen dafür zu sein, das zu reinigen, was nicht gut ist” (161). „Ich erinnere dich aber daran, dass du nicht heilig und erfüllt sein wirst, wenn du andere kopierst”. Du „musst entdecken, wer du bist und deine eigene Weise des Heiligseins entfalten” (162). Franziskus schlägt „Wege der Brüderlichkeit” vor, „um den Glauben gemeinsam zu leben”, und erinnert daran, dass „der Heilige Geist uns dazu bewegen will, aus uns selbst herauszugehen, die anderen liebevoll zu umarmen... Daher ist es immer besser, den Glauben gemeinsam zu leben und unsere Liebe in einem gemeinschaftlichen Leben zum Ausdruck zu bringen” (164). Und dazu müssten wir der Versuchung widerstehen, „uns in uns selbst zu verschließen, in unsere Probleme, unsere verletzten Gefühle, Klagen und Bequemlichkeiten” (166). Gott „liebt die Fröhlichkeit der jungen Menschen und lädt sie besonders zu dieser Fröhlichkeit ein, die man in brüderlicher Gemeinschaft lebt” (167).
Danach geht der Papst auf das Thema „engagierte junge Menschen” ein und betont, dass junge Menschen manchmal „Gefahr laufen, sich in kleinen Gruppen abzuschotten… Sie meinen, dass sie die geschwisterliche Liebe leben, aber vielleicht hat sich ihre Gruppe in eine bloße Verlängerung ihres eigenen Egos verwandelt. Dies ist umso schlimmer, wenn die Berufung des Laien nur als Dienst innerhalb der Kirche begriffen wird …, und vergessen wird, dass die laikale Berufung vor allem die der Liebe in der Familie, der sozialen und politisch wirksamen Nächstenliebe ist” (168). Franziskus schlägt „den jungen Menschen vor, weit über die Freundesgruppen hinauszugehen und die soziale Freundschaft, das Gemeinwohl zu suchen. Die soziale Feindschaft zerstört. Und durch die Feindschaft wird eine Familie zerstört. Durch die Feindschaft wird ein Land zerstört. Durch die Feindschaft wird die Welt zerstört. Und die größte Feindschaft ist der Krieg. Und heute sehen wir, dass die Welt dabei ist, sich durch den Krieg zu zerstören. Denn sie sind unfähig, sich an einen Tisch zu setzen und miteinander zu sprechen” (169).
„Soziales Engagement und der direkte Kontakt zu den Armen sind weiterhin eine maßgebliche Gelegenheit zur Entdeckung oder Vertiefung des Glaubens und Erkennung der eigenen Berufung” (170). Als positives Beispiel führt der Papst junge Menschen an, die in Pfarreien, Gruppen und Bewegungen aktiv sind, die „die gute Angewohnheit haben, … zu älteren Menschen und Kranken zu gehen, um ihnen beizustehen oder die Armenviertel besuchen” (171). Weitere Jugendliche „nehmen an sozialen Projekten teil, wie dem Bau von Häusern für Obdachlose, Umweltschutzaktionen oder Hilfssammlungen für Notleidende. Es wäre gut, wenn sich dieses gemeinschaftliche Engagement nicht nur auf einige sporadische Aktionen beschränken würde, sondern stabil… zugunsten einer effizienteren Arbeit”. Die Studenten „können sich interdisziplinäre zusammentun, um ihr Wissen auf die Lösung sozialer Probleme anzuwenden, und dabei können sie Seite an Seite mit den jungen Menschen anderer Kirchen oder anderer Religionen arbeiten” (172). Franziskus ermutigt die jungen Menschen zu diesem Engagement: „Ich sehe, dass viele Jugendlichen in vielen Teilen der Welt auf die Straßen hinausgegangen sind, um ihrem Wunsch nach einer gerechteren und brüderlicheren Gesellschaft Ausdruck zu verleihen... Es sind junge Menschen, welche die Protagonisten, die Hauptdarsteller der Veränderung sein wollen. … Lasst nicht zu, dass andere die Hauptdarsteller der Veränderung sind! Ihr seid die, denen die Zukunft gehört!” (174).
Die jungen Menschen seien gerufen, „mutige Missionare” zu sein, die das Evangelium überall mit dem eigenen Leben zu bezeugen. Und das bedeute nicht „über die Wahrheit zu sprechen, sondern sie zu leben” (175). Das Wort dürfe nie zum Schweigen gebracht werden: „Seid fähig, gegen den Strom zu schwimmen und teilt Jesus, teilt den Glauben mit, den er euch geschenkt hat” (176). Wohin sendet Jesus uns? „Da gibt es keine Grenzen, keine Beschränkungen: Er sendet uns zu allen. Das Evangelium ist für alle und nicht für einige. Es ist nicht nur für die, die uns näher, aufnahmefähiger, empfänglicher erscheinen. Es ist für alle” (177). Und man könne nicht erwarten, „dass die Mission einfach und bequem ist” (178).
Sechstes Kapitel: „Junge Menschen mit Wurzeln”
Franziskus schreibt, dass es ihm weh tue zu sehen, „dass einige den jungen Menschen vorschlagen, eine Zukunft ohne Wurzeln aufzubauen, als ob die Welt jetzt anfangen würde” (179). Wenn jemand „euch ein Angebot macht und euch sagt, die Geschichte nicht zu beachten, den Erfahrungsschatz der Alten nicht zu beherzigen und all das zu verachten, was Vergangenheit ist, und nur auf die Zukunft zu schauen, die er euch anbietet, ist dies nicht vielleicht eine einfache Art, euch mit seinem Angebot anzuziehen, um euch nur das tun zu lassen, was er euch sagt? Dieser Jemand benötigt euch leer, entwurzelt, gegenüber allem misstrauisch, damit ihr nur seinen Versprechen vertraut und euch seinen Plänen unterwerft. So funktionieren die Ideologien verschiedener Couleur, die all das zerstören (oder ab-bauen), was anders ist; auf diese Weise können sie ohne Widerstände herrschen” (181). Und diese Manipulanten würden auch die Anbetung der Jugend für ihre Zwecke nutzen, warnt Franziskus: „ Der junge Körper wird zum Symbol eines neuen Kultes und so wird alles, was mit diesem Körper zu tun hat, vergöttert und grenzenlos begehrt, und das, was nicht jung ist, wird mit Verachtung angeschaut. Dies ist aber eine Waffe, die dazu führt, zuallererst die jungen Menschen herabzusetzen” (182). „Liebe junge Menschen, lasst nicht zu, dass man eure Jugend benutzt, um ein oberflächliches Leben zu fördern, das die Schönheit mit dem Schein verwechselt” (183). Vielmehr müsse man die Schönheit entdecken, die sich im Arbeiter findet, der schmutzig nach Hause zurückkehrt; in der älteren Ehefrau, die sich um ihren kranken Mann kümmert; in der Treue der Ehepaare, die sich im Herbst des Lebens lieben.
Heute dagegen werde „eine Spiritualität ohne Gott vorangetrieben, eine Affektivität ohne Gemeinschaft und ohne Einsatz für die Leidenden, eine Angst vor den Armen, die als gefährliche Individuen betrachtet werden, eine Reihe von Angeboten, die vorgeben, euch an eine paradiesische Zukunft glauben zu lassen, die immer hinausgeschoben wird”(184): der Papst lädt die jungen Menschen ein, sich nicht von dieser Ideologie beherrschen zu lassen, die „ zu einer regelrechten Form der kulturellen Kolonisierung führt” (185), die junge Menschen entwurzle, aus dem kulturellen und religiösen Umfeld herausreiße, dem sie angehören, und in „manipulierbare serienmäßig hergestellte Individuen” verwandeln wolle (186).
Von grundlegender Bedeutung sei die „Beziehung zu den älteren Menschen”, die den jungen Menschen helfen würden, den lebendigen Reichtum der Vergangenheit zu entdecken. „Das Wort Gottes legt uns ans Herz, den Kontakt zu den älteren Menschen nicht zu verlieren, um ihre Erfahrung aufnehmen zu können” (188). Dies „bedeutet nicht, dass du mit all dem, was sie sagen, einverstanden sein musst, und auch nicht, dass du alle ihre Handlungen gutheißen musst”, es ginge „einfach darum, offen dafür zu sein, eine Weisheit aufzunehmen, die von Generation zu Generation mitgeteilt wird” (190). „Der Welt hat der Bruch zwischen den Generationen niemals gedient und er wird ihr niemals dienen … Es ist die Lüge, die dich glauben machen will, dass nur das, was neu ist, gut und schön ist” (191).
Zum Thema „Träume und Visionen” hält Franziskus fest: „Wenn die jungen Menschen und die älteren sich dem Heiligen Geist öffnen, so bringen sie gemeinsam eine wunderbare Verbindung hervor. Die älteren Menschen träumen und die jungen haben Visionen” (192); wenn „die jungen Menschen sich in den Träumen der älteren festmachen, wird es ihnen gelingen, die Zukunft zu sehen” (193). Man müsse also „gemeinsam wagen”, gemeinsam gehen, junge und ältere Menschen: die Wurzeln „sind nicht Anker, die uns an andere Epochen binden”, sondern „ein Bezugspunkt, der uns erlaubt, zu wachsen und auf die neuen Herausforderungen zu antworten” (200).
Siebtes Kapitel: „Die Pastoral der jungen Menschen”
Der Papst erläutert, dass die Jugendpastoral die Welle der gesellschaftlichen und kulturellen Änderungen erlebt hat und dass „junge Menschen in den üblichen Strukturen oft keine Antworten auf das finden, was sie bewegt, auf ihre Bedürfnisse, Probleme und Verwundungen” (202). Die jungen Menschen selbst „sind die in der Jugendpastoral Tätigen, begleitet und angeleitet, doch frei, um voll Kreativität und Kühnheit immer neue Wege zu suchen.”. Es ginge also darum, „dass die jungen Menschen die Pfiffigkeit, den Einfallsreichtum und die Kenntnis einbringen, die sie im Hinblick auf die Sensibilität, die Sprache und die Fragen der anderen Jugendlichen haben” (203).
Die Jugendpastoral müsse flexibler sein und „die jungen Menschen zu Events und Veranstaltungen einladen, wo sie dann nicht nur eine Unterweisung erhalten, sondern ihnen ebenso die Gelegenheit geben wird, sich über das Leben auszutauschen, zu feiern, zu singen, konkrete Zeugnisse zu hören und als Gemeinschaft die Begegnung mit dem lebendigen Gott zu erfahren” (204).
Die Jugendpastoral kann nur synodal sein, das heißt, einem „gemeinsamen Vorangehen” Gestalt geben. Das erfordert zwei große Handlungslinien: die erste ist die die Suche, die zweite das Wachstum. Was das erste betrifft, die Suche, vertraut der Papst auf die Fähigkeit der jungen Menschen selbst, „attraktive Wege zu finden, um einzuladen”: „Man muss die jungen Menschen nur ermutigen und ihnen die Freiheit geben, zu handeln.” Doch am wichtigsten ist es, dass „jeder junge Mensch sich traut, den Samen der ersten Verkündigung in die fruchtbare Erde des Herzen eines anderen Jugendlichen zu säen» (210). Man muss „der Sprache der Nähe den Vorzug geben, der Sprache der uneigennützigen, personalen und lebensnotwendigen Liebe, die das Herz berührt”, indem man sich den jungen Menschen „mit der Grammatik der Liebe nähert, nicht durch Proselytenmacherei” (211). Hinsichtlich des Wachstums warnt Franziskus davor, jungen Menschen, in denen eine intensive Gotteserfahrung ausgelöst wurde, „ dann lediglich Treffen zur „Unterweisung” anzubieten, bei denen nur Fragen der Lehre und Moral angesprochen werden... Das Ergebnis ist, dass viele junge Menschen sich langweilen, das Feuer der Begegnung mit Christus und die Freude an der Nachfolge verlieren” (212). Jedes Bildungsprojekt, jedes Entwicklungsprogramm für junge Menschen „muss sicherlich eine Ausbildung in Lehre und Moral miteinschließen”. Ebenso wichtig sei dabei „die Vertiefung” des Kerygmas, also „die grundlegende Erfahrung der Gottesbegegnung im gekreuzigten und auferstandenen Christus” und das Wachstum „in der geschwisterlichen Liebe, im gemeinschaftlichen Leben, im Dienst” (213). Daher „muss die Jugendpastoral immer Momente einschließen, die helfen, die persönliche Erfahrung der Liebe Gottes und des lebendigen Jesus Christus zu erneuern und zu vertiefen” (214). Und sie muss den jungen Menschen helfen, „in der Solidarität zu wachsen, als Brüder und Schwestern zu leben, sich gegenseitig zu helfen, eine Gemeinschaft zu bilden, den anderen zu dienen und den Armen nahe zu sein.” (215).
Die Einrichtungen der Kirche müssten daher „angemessene Bereiche” sein, die „unsere Fähigkeit zu herzlicher Aufnahme fördern”: „In diesem Rahmen müssen wir in unseren Einrichtungen den jungen Menschen geeignete Orte zur Verfügung stellen, die sie nach Belieben gestalten können und wo sie frei ein- und ausgehen können; es sollen Orte sein, wo sie sich willkommen fühlen und wo sie spontan hingehen können in der Zuversicht, andere Jugendliche anzutreffen – sowohl in Momenten des Leids oder der Langeweile, als auch wenn sie Freude haben und feiern wollen” (218).
Danach beschreibt Franziskus „die Pastoral der Bildungseinrichtungen” und unterstreicht, dass die Schule „eine dringende Selbstkritik nötig hat.” Er erinnert daran, dass „es manche katholische Schulen gibt, die scheinbar nur daraufhin organisiert sind, den Bestand zu wahren... Die Schule, die zu einem „Bunker” geworden ist und vor den Irrtümern „von außen” schützt, ist karikaturesker Ausdruck dieser Tendenz”. Beim Austritt aus den Bildungseinrichtungen würden die jungen Menschen „eine unüberwindliche Diskrepanz zwischen dem, was ihnen beigebracht wurde, und der Welt erleben, in der sie leben werden”. Wo doch in Wirklichkeit „eine der größten Freuden für einen Erzieher darin besteht, wenn er sehen kann, wie ein Schüler sich zu einer starken, ganzheitlichen Persönlichkeit entwickelt, die ihr Leben selbst gestaltet und fähig ist zu geben” (221). Man dürfe die spirituelle Bildung nicht von der kulturellen trennen: „Das also ist eure große Aufgabe: auf die lähmenden Kehrreime des kulturellen Konsumdenkens mit dynamischen und starken Entscheidungen zu antworten, mit der Forschung, der Erkenntnis und dem gemeinsamen Teilen” (223). Zu den „Ebenen pastoraler Aktivität” zählt der Papst die „künstlerischen Ausdrucksformen” (226), das „Treiben von Sport” (227), und den Einsatz für die Bewahrung der Schöpfung (228).
Man müsse einer „volksnahen Jugendpastoral” Raum geben, „einer breiter und flexibler angelegten Pastoral, mit einem anderen Stil, anderen Zeiten, einem anderen Rhythmus, die an den verschiedenen Orten, wo junge Menschen konkret anzutreffen sind, jene natürlichen Führungsqualitäten und Charismen fördert, die der Heilige Geist unter ihnen schon hervorgerufen hat. Es geht vor allem darum, den gläubigen jungen Menschen, die in ihren Vierteln und verschiedenen Umfeldern natürliche Führungsgestalten sind, nicht viele Hindernisse, Vorschriften, Kontrollen und verpflichtende Rahmenvorgaben aufzustellen. Wir müssen uns darauf beschränken, sie zu begleiten und ihnen Anregungen zu geben” (230). Im Verlangen nach „ einer reinen, vollkommenen Jugendpastoral, die von abstrakten Ideen gekennzeichnet, weltfern und makellos ist, reduzieren wir manchmal das Evangelium auf ein schales, unverständliches, uninteressantes Angebot; dieses ist von den Jugendkulturen losgelöst und nur für eine Elite einer christlichen Jugend geeignet, die sich als etwas anderes fühlt, aber in Wirklichkeit in einer leblosen und unfruchtbaren Isolierung dahintreibt” (232). Franziskus lädt dazu ein, „dass wir eine Kirche mit offenen Türen sind”, und verweist darauf, dass „es auch nicht notwendig ist, dass jemand alle Lehren der Kirche vollständig annimmt, um an einigen unserer Räume für junge Menschen teilnehmen zu dürfen” (234): Ebenso müsse es auch Raum geben für „all jene, die andere Lebensvisionen haben, sich zu anderen Konfessionen bekennen oder die erklären, Religion sei ihnen fremd” (235). Ein Beispiel für diesen Ansatz seien die Emmausjünger: Jesus befragt sie und hört sich geduldig ihre Sicht der Dinge an, um ihnen dabei zu helfen wahrzunehmen, was sie gerade erleben. Er leitet sie an, die erlebten Ereignisse im Lichte der Heiligen Schrift zu interpretieren. Er nimmt ihre Einladung, bei Einbruch der Dunkelheit bei ihnen zu bleiben, an. Sie selbst wählen, noch in derselben Stunde auf dem Weg umzukehren. (237).
„Stets Missionare sein”. Damit junge Menschen Missionare werden, sei es nicht notwendig, dass sie „einen langen Weg zurücklegen”: „Ein Jugendlicher, der auf Wallfahrt geht, um die Mutter Gottes um Hilfe zu bitten, und einen Freund oder Gefährten einlädt, ihn zu begleiten, vollbringt mit dieser einfachen Handlung eine wertvolle missionarische Tat” (239). Die Jugendpastoral „muss immer eine missionarische Pastoral sein” (240). Die jungen Menschen müssten in ihrer Freiheit respektiert werden, „es ist aber auch notwendig, dass sie begleitet werden” von Erwachsenen, angefangen bei der Familie (242), und dann von der Gemeinschaft: „Dazu gehört, den jungen Menschen mit Verständnis, Wertschätzung und Zuneigung zu begegnen, und nicht, sie ständig zu beurteilen oder von ihnen zu verlangen, auf eine Weise perfekt zu sein, die ihrem Alter nicht entspricht” (243). Es sei darauf hingewiesen worden, dass es an erfahrenen Menschen fehlt, die sich um Begleitung kümmern (244) und „einige junge Frauen spüren, dass es in der Kirche keine weiblichen Bezugspersonen in Leitungspositionen” (245). Die jungen Menschen selbst „haben uns die Eigenschaften beschrieben”, die sie in ihren Begleitern anzutreffen hofften, schreibt Franziskus: „ein gläubiger Christ zu sein, der sich der Kirche und der Welt widmet; jemand, der beständig die Heiligkeit sucht; ein Vertrauter, der einen nicht verurteilt; einer, der den Bedürfnissen von jungen Menschen zuhört und mit Liebenswürdigkeit antwortet; einer, der Selbstbewusstsein hat, doch eigene Grenzen anerkennt sowie die Freuden und Sorgen des geistlichen Lebens kennt. Eine für die Begleiter besonders wichtige Eigenschaft ist die Anerkennung ihrer Menschlichkeit – dass auch sie Menschen sind, die Fehler machen, die nicht perfekt sind, sondern Sünder, denen vergeben wird” (246). Sie sollten „neben ihnen hergehen” und die Freiheit der jungen Menschen respektieren.
Achtes Kapitel: „Die Berufung”
„Ganz wesentlich ist es, zu erkennen und zu entdecken, dass Jesus von jedem jungen Menschen vor allem seine Freundschaft möchte” (250). Die Berufung ist ein Ruf zum missionarischen Dienst an den anderen, „denn unser Leben auf Erden erreicht seine Fülle, wenn es zu einer Gabe wird” (254). „Um die eigene Berufung zu erfüllen, muss man alles, was man ist, entwickeln, wachsen lassen und fördern. Es geht nicht darum, sich selbst zu erfinden oder sich selbst aus dem Nichts zu erschaffen, sondern sich selbst im Lichte Gottes zu erkennen und das eigene Sein zum Blühen zu bringen” (257). Und im Leben eines jungen Menschen ist „dieses „Für-die-anderen-da-Sein” normalerweise mit zwei Grundfragen verbunden: die Gründung einer neuen Familie und die Arbeit” (258).
Was nun „Liebe und Familie” betrifft, schreibt der Papst, dass „die jungen Menschen sehr den Ruf zur Liebe verspüren und davon träumen, die passende Person zu treffen, um mit ihr eine Familie zu gründen” (259) – und dass das Sakramente der Ehe „diese Liebe mit der Gnade Gottes umhüllt, sie in Gott selbst verankert” (260). Gott hat uns als geschlechtliche Wesen erschaffen. Er selbst hat die Geschlechtlichkeit erschaffen, die ein wunderbares Geschenk für seine Geschöpfe ist, also „kein Tabu”. Es ist ein Geschenk Gottes, ein Geschenk, das der Herr uns gibt und das „zwei Zwecke hat: einander lieben und Leben zeugen. Es ist eine Leidenschaft… Die wahre Liebe ist leidenschaftlich” (261). Franziskus stellt fest, dass „die Zunahme von Trennungen, Scheidungen… bei jungen Menschen zweifellos großes Leid und Identitätskrisen verursachen kann. Manchmal müssen sie Verantwortung übernehmen, die nicht altersgerecht ist” (262). Trotz aller Schwierigkeiten, „möchte ich euch sagen, dass es sich sicher lohnt, auf die Familie zu setzen. In ihr werdet ihr die besten Anreize finden, um zu reifen, und die schönsten Freuden, um sie zu teilen. Lasst nicht zu, dass euch die große Liebe geraubt wird” (263). „Zu meinen, dass nichts endgültig sein kann, ist ein Betrug und eine Lüge.… Ich hingegen bitte euch, Revolutionäre zu sein; ich bitte euch, gegen den Strom zu schwimmen” (264).
Zum Thema Arbeit schreibt der: „ Ich bitte die jungen Menschen, sich nicht zu erwarten, leben zu können, ohne zu arbeiten, während sie von der Hilfe anderer abhängig sind. Dies tut nicht gut, denn die Arbeit ist eine Notwendigkeit, sie ist Teil des Sinns des Lebens auf dieser Erde, Weg der Reifung, der menschlichen Entwicklung und der persönlichen Verwirklichung. Den Armen mit Geld zu helfen muss in diesem Sinn immer eine provisorische Lösung sein, um den Dringlichkeiten abzuhelfen” (269). Und nachdem der herausgestellt hat, dass junge Menschen in der Arbeitswelt Formen der Ausgrenzung erleben (270), stellt er zur Jugendarbeitslosigkeit fest: „ Dies ist eine … Frage, welche die Politik als eine vordringliche Problematik ansehen muss, vor allem heute, da die rasante technologische Entwicklung zusammen mit einer obsessiven Arbeitskostenreduzierung schnell dazu führen kann, unzählige Arbeitsplätze durch Maschinen zu ersetzen” (271). Und den jungen Menschen sagt er: „Es stimmt, dass du nicht leben kannst, ohne zu arbeiten, und dass du manchmal das annehmen musst, was du findest. Doch darfst du nie deine Träume aufgeben, nie eine Berufung endgültig begraben, dich nie geschlagen geben.” (272).
Franziskus schließt dieses Kapitel mit einer Reflexion über die „Berufungen zu einer besonderen Weihe” ab. „Wenn man sich für eine Berufung entscheiden muss, dann darf man nicht die Möglichkeit ausschließen, sich Gott … zu weihen... Warum es ausschließen? Sei gewiss, wenn du einen Ruf Gottes erkennst und ihm folgst, dann wird es das sein, was dein Leben erfüllt macht” (276).
Neuntes Kapitel: „Die geistliche Unterscheidung”
Der Papst erinnert daran, dass „ohne die Weisheit der Unterscheidung können wir leicht zu Marionetten werden, die den augenblicklichen Trends ausgeliefert sind » (279). „Ein Ausdruck der geistlichen Unterscheidung (discernimento) ist der Einsatz, um die eigene Berufung zu erkennen. Dies ist eine Aufgabe, die Räume des Alleinseins und der Stille erfordert, weil es sich um eine sehr persönliche Entscheidung handelt, die niemand anders an unserer Stelle treffen kann” (283). „Das Geschenk der Berufung wird ohne Zweifel ein forderndes Geschenk sein. Die Geschenke Gottes sind interaktiv und, um sie zu nutzen, muss man sich einbringen, ein Risiko eingehen” (289).
Junge Menschen bei ihrer Berufungsfindung zu begleiten, setze ein dreifaches Einfühlungsvermögen voraus. Die erste Aufmerksamkeit gelte der Person: „Es geht darum, dem anderen zuzuhören, der sich uns selbst in seinen Worten schenkt” (292). Die zweite Aufmerksamkeit bestehe im Unterscheiden, es ginge also darum, „die richtige Stelle zu finden, an der man die Gnade von der Versuchung unterscheidet” (293). Die dritte bestehe „im Hören auf die Anregungen, die der andere im Voraus verspürt. Es ist das tiefe Zuhören, wohin der andere wirklich gehen möchte”. (294). Wenn daher der eine dem anderen in dieser Weise zuhöre, „muss er ab einem gewissen Punkt verschwinden, um den anderen den Weg gehen zu lassen, den er entdeckt hat. Entschwinden, wie der Herr den Blicken seiner Jünger entschwand” (296). Wir müssten „Prozesse in Gang bringen und begleiten, nicht Wege vorschreiben. Und es geht um Prozesse in Personen, die immer einzigartig und frei sind. Daher ist es schwierig, Rezeptsammlungen zu erstellen” (297).
Das Apostolische Schreiben endet mit „einem Wunsch” von Papa Franziskus: „Liebe junge Menschen, ich werde glücklich sein, wenn ich euch schneller laufen sehe, als jene, die langsamer und ängstlich sind. Lauft »angezogen von jenem so sehr geliebten Antlitz, das wir in der heiligsten Eucharistie anbeten und im Fleisch der leidenden Geschwister erkennen.… Die Kirche bedarf eures Schwungs, eurer Intuitionen, eures Glaubens. Wir brauchen das! Und wenn ihr dort ankommt, wo wir noch nicht angekommen sind, habt bitte die Geduld, auf uns zu warten» (299).
[00557-DE.01] [Originalsprache: Italienisch - Arbeitsübersetzung]
Traduzione di lavoro in lingua spagnola
Christus vivit
“Cristo vive. Él es nuestra esperanza y la juventud más hermosa de este mundo. Todo lo que toca se hace joven, se hace nuevo, se llena de vida. Por lo tanto, las primeras palabras que quiero dirigir a cada joven cristiano son: ¡Él vive y te quiere vivo!”.
Así comienza la Exhortación Apostólica post-sinodal “Christus vivit” de Francisco, firmada el lunes 25 de marzo en la Santa Casa de Loreto y dirigida “a los jóvenes y a todo el pueblo de Dios”. En el documento, compuesto por nueve capítulos divididos en 299 párrafos, el Papa explica que se dejó “inspirar por la riqueza de las reflexiones y diálogos del Sínodo” de los jóvenes, celebrado en el Vaticano en octubre de 2018.
Capítulo primero: “¿Qué dice la Palabra de Dios sobre los jóvenes?”
Francisco recuerda que “en una época en que los jóvenes contaban poco, algunos textos muestran que Dios mira con otros ojos” (6) y presenta brevemente figuras de jóvenes del Antiguo Testamento: José, Gedeón (7), Samuel (8), el rey David (9), Salomón y Jeremías (10), la joven sierva hebrea de Naamán y la joven Rut (11). Luego pasamos al Nuevo Testamento.
El Papa recuerda que “Jesús, el eternamente joven, quiere darnos un corazón siempre joven” (13) y añade: “Notamos que a Jesús no le gustaba que los adultos miraran con desprecio a los más jóvenes o los mantuvieran a su servicio de manera despótica. Al contrario, preguntaba: “El que es mayor entre vosotros, se hace como el más joven” (Lc 22,26). Para él, la edad no establecía privilegios, y que alguien fuera más joven no significaba que valiera menos. Francisco afirma: “No hay que arrepentirse de gastar la propia juventud en ser buenos, en abrir el corazón al Señor, en vivir de otra manera” (17).
Capítulo segundo: “Jesucristo siempre joven”.
El Papa aborda el tema de los años de juventud de Jesús y recuerda la historia evangélica que describe al Nazareno “en su adolescencia, cuando regresó con sus padres a Nazaret, después de que lo perdieron y lo encontraron en el Templo”. (26). No debemos pensar, escribe Francisco, que “Jesús era un adolescente solitario o un joven que pensaba en sí mismo. Su relación con la gente era la de un joven que compartía la vida de una familia bien integrada en el pueblo”, “nadie lo consideraba extraño o separado de los demás” (28). El Papa señala que el adolescente Jesús, “gracias a la confianza de sus padres... se mueve libremente y aprende a caminar con todos los demás” (29). Estos aspectos de la vida de Jesús, no deben ser ignorados en la pastoral juvenil, “para no crear proyectos que aíslen a los jóvenes de la familia y del mundo, o que los conviertan en una minoría seleccionada y preservada de todo contagio”. En cambio, se necesitan “proyectos que los fortalezcan, los acompañen y los proyecten hacia el encuentro con los demás, el servicio generoso y la misión” (30).
Jesús “no les ilumina a ustedes jóvenes, desde lejos o desde fuera, sino desde su propia juventud, que comparte con ustedes” y en él se reconocen muchos aspectos típicos de los corazones jóvenes (31). Cerca de Él “podemos beber de la verdadera fuente, que mantiene vivos nuestros sueños, nuestros planes, nuestros grandes ideales, y que nos lanza al anuncio de una vida digna de ser vivida” (32); “El Señor nos llama a encender estrellas en la noche de otros jóvenes” (33).
Francisco habla entonces de la juventud de la Iglesia y escribe: “Pidamos al Señor que libere a la Iglesia de los que quieren envejecerla, que la quieren anclada en el pasado, que la quieren lenta e inmóvil. También le pedimos que la libere de otra tentación: creer que es joven porque se rinde a todo lo que el mundo le ofrece, creer que se renueva porque esconde su mensaje y se mezcla con los demás. No. Ella es joven cuando es ella misma, cuando recibe cada día la fuerza siempre nueva de la Palabra de Dios, de la Eucaristía, de la presencia de Cristo y de la fuerza de su Espíritu” (35).
Es verdad que “los miembros de la Iglesia no tenemos que ser ‘bichos raros’”, pero al mismo tiempo, “tenemos que atrevernos a ser distintos, a mostrar otros sueños que este mundo no ofrece, a testimoniar la belleza, de la generosidad, del servicio, de la pureza, de la fortaleza, del perdón, de la fidelidad a la propia vocación, de la oración, de la lucha por la justicia y el bien común, del amor a los pobres, de la amistad social” (36). La Iglesia puede ser tentada a perder su entusiasmo y buscar “una falsa seguridad mundana”. Son precisamente los jóvenes los que pueden ayudarla a permanecer joven” (37).
El Papa volvió entonces a una de sus enseñanzas más queridas y explicó que la figura de Jesús debe ser presentada “de una manera atractiva y eficaz”, dijo: “Por eso, la Iglesia no debe estar demasiado concentrada en sí misma, sino que debe reflejar sobre todo a Jesucristo. Esto significa que debe reconocer humildemente que algunas cosas concretas deben cambiar” (39).
La exhortación reconoce que hay jóvenes que sienten la presencia de la Iglesia “como molesta e incluso irritante”. Una actitud que tiene sus raíces “en razones serias y respetables: escándalos sexuales y económicos; la falta de preparación de los ministros ordenados que no saben interceptar adecuadamente la sensibilidad de los jóvenes;... el papel pasivo asignado a los jóvenes dentro de la comunidad cristiana; el esfuerzo de la Iglesia por dar cuenta de sus posiciones doctrinales y éticas frente a la sociedad” (40).
Hay jóvenes que “piden una Iglesia que escuche más, que no condene continuamente al mundo. No quieren ver una Iglesia silenciosa y tímida, pero tampoco quieren verla siempre en guerra por dos o tres temas que la obsesionan. Para ser creíble a los ojos de los jóvenes, a veces la Iglesia necesita recuperar la humildad y simplemente escuchar, reconocer en lo que otros dicen una luz que pueda ayudarla a descubrir mejor el Evangelio” (41). Por ejemplo, una Iglesia demasiado temerosa puede criticar constantemente “todos los discursos sobre la defensa de los derechos de la mujer, y señalar constantemente los riesgos y los posibles errores de esos reclamos”, mientras que una Iglesia “viva puede reaccionar prestando atención a las legítimas reivindicaciones de las mujeres”, mientras que “no esté de acuerdo con todo lo que propongan algunos grupos feministas”. (42).
Francisco presenta entonces a “María, la chica de Nazaret”, y su sí como el de “los que quieren comprometerse y arriesgarse, los que quieren apostarlo todo, sin otra garantía que la certeza de saber que son portadores de una promesa”. Y les pregunto a cada uno de ustedes: ¿sienten que están llevando una promesa?” (44). Para María, “las dificultades no eran motivo para decir “no”, y al ponerse en juego, se convirtió en “la influencer de Dios”. El corazón de la Iglesia también está lleno de jóvenes santos. El Papa recuerda a San Sebastián, a San Francisco de Asís, a Santa Juana de Arco, al Beato mártir Andrew Phû Yên, a Santa Kateri Tekakwitha, a Santo Domingo Salvador, a Santa Teresa del Niño Jesús, al Beato Ceferino Namuncurá, al Beato Isidoro Bakanja, al Beato Pier Giorgio Frassati, al Beato Marcel Callo y a la joven Beata Chiara Badano.
Capítulo tercero: “Tú eres la hora de Dios”.
No podemos limitarnos a decir, dice Francisco, que “los jóvenes son el futuro del mundo: son el presente, lo enriquecen con su aportación” (64). Por eso es necesario escucharlos, aunque “a veces prevalece la tendencia a dar respuestas preenvasadas y recetas preparadas, sin dejar que las preguntas de los jóvenes surjan en su novedad y capten su provocación” (65).
“Hoy los adultos corremos el riesgo de hacer una lista de desastres, de defectos en la juventud de nuestro tiempo... ¿Cuál sería el resultado de esta actitud? Una distancia cada vez mayor” (66). Quien está llamado a ser padre, pastor y guía juvenil debe tener la capacidad de “identificar caminos donde otros sólo ven muros, es saber reconocer posibilidades donde otros sólo ven peligros”. Esta es la mirada de Dios Padre, capaz de valorar y alimentar las semillas del bien sembradas en los corazones de los jóvenes. Por lo tanto, el corazón de cada joven debe ser considerado “tierra sagrada”““. (67). Francisco también nos invita a no generalizar, porque “hay una pluralidad de mundos juveniles” (68).
Hablando de lo que les sucede a los jóvenes, el Papa recuerda a los jóvenes que muchos de ellos viven en contextos de guerra, explotados y víctimas de secuestros, del crimen organizado, de la trata de seres humanos, de la esclavitud y la explotación sexual, de la violación. Y también están los que viven de la delincuencia y la violencia (72). “Muchos jóvenes son ideologizados, instrumentalizados y utilizados como carne de matadero o como fuerza de choque para destruir, intimidar o ridiculizar a otros. Y lo peor es que muchos se convierten en sujetos individualistas, enemigos y desconfiados de todos, presa fácil de propuestas deshumanizadoras y planes destructivos elaborados por grupos políticos o poderes económicos” (73). Aún más numerosos son los que sufren formas de marginación y exclusión social por razones religiosas, étnicas o económicas. Francis cita a las adolescentes y las jóvenes que “se embarazan y el flagelo del aborto, así como la propagación del VIH, las diferentes formas de adicción (drogas, juegos de azar, pornografía, etc.) y la situación de los niños y jóvenes de la calle” (74). Todas estas situaciones hacen doblemente dolorosas y difíciles la vida de las mujeres. “No podemos ser una Iglesia que no llora ante estos dramas de sus hijos e hijas jóvenes. Nunca debemos acostumbrarnos a ello.... Lo peor que podemos hacer es aplicar la receta del espíritu mundano que consiste en anestesiar a los jóvenes con otras noticias, con otras distracciones, con banalidad” (75). El Papa invita a los jóvenes a aprender a llorar por sus compañeros que están peor que ellos (76).
Es verdad, explica Francisco, que “los poderosos proporcionan alguna ayuda, pero a menudo a un alto costo. En muchos países pobres, la ayuda económica de algunos países más ricos u organismos internacionales suele estar vinculada a la aceptación de propuestas occidentales en materia de sexualidad, matrimonio, vida o justicia social. Esta colonización ideológica es particularmente perjudicial para los jóvenes”. (78). El Papa también advierte contra la cultura actual que presenta el modelo juvenil de belleza y utiliza cuerpos jóvenes en la publicidad. Él afirma: “no es un elogio para los jóvenes. Sólo significa que los adultos quieren robar a los jóvenes para sí mismos” (79).
Refiriéndose a “los deseos, las heridas y las investigaciones”, Francisco habla de la sexualidad: “En un mundo que sólo hace hincapié en la sexualidad, es difícil mantener una buena relación con el propio cuerpo y vivir en paz las relaciones afectivas. También por esta razón la moralidad sexual es a menudo la causa de “incomprensión y alejamiento de la Iglesia” percibida “como un espacio para el juicio y la condena”, a pesar de que hay jóvenes que quieren discutir estos temas (81). Ante el desarrollo de la ciencia, de las tecnologías biomédicas y de las neurociencias, el Papa recuerda que “pueden hacernos olvidar que la vida es un don, que somos seres creados y limitados, que podemos ser fácilmente explotados por los que tienen el poder tecnológico” (82).
La exhortación se centra entonces en el tema del “entorno digital”, que ha creado “una nueva forma de comunicación” y que “puede facilitar la circulación de información independiente”. En muchos países, la web y las redes sociales son “ya un lugar indispensable para llegar e implicar a los jóvenes”. (87). Pero “es también un territorio de soledad, manipulación, explotación y violencia, hasta el caso extremo de la red oscura. Los medios digitales pueden exponerlos al riesgo de adicción, aislamiento y pérdida progresiva de contacto con la realidad concreta....
Se están extendiendo nuevas formas de violencia a través de los medios sociales, como el ciberacoso. La web es también un canal para difundir la pornografía y explotar a las personas con fines sexuales o a través de los juegos de azar” (88).
No hay que olvidar que en el mundo digital “existen intereses económicos gigantescos”, capaces de crear “mecanismos de manipulación de las conciencias y del proceso democrático”. Existen circuitos cerrados que “facilitan la difusión de información y noticias falsas, fomentando el prejuicio y el odio....”. La reputación de las personas se ve amenazada por juicios sumarios en línea. El fenómeno concierne también a la Iglesia y a sus pastores” (89).
En un documento preparado por 300 jóvenes de todo el mundo antes del Sínodo se afirma que “las relaciones en línea pueden llegar a ser inhumanas” y que la inmersión en el mundo virtual ha favorecido “una especie de “migración digital”, es decir, una distancia de la familia, de los valores culturales y religiosos, que lleva a muchas personas a un mundo de soledad” (90).
El Papa presenta a continuación “los migrantes como paradigma de nuestro tiempo”, y recuerda a los muchos jóvenes que participan en la migración. “La preocupación de la Iglesia concierne en particular a quienes huyen de la guerra, de la violencia, de la persecución política o religiosa, de las catástrofes naturales debidas también al cambio climático y a la extrema pobreza” (91): los jóvenes están en busca de una oportunidad, sueño de un futuro mejor. Otros, migrantes, son “atraídos por la cultura occidental, a veces con expectativas poco realistas que los exponen a grandes desilusiones. Traficantes sin escrúpulos, a menudo vinculados a los carteles de la droga y de las armas, explotan la situación de debilidad de los migrantes.... Cabe señalar la especial vulnerabilidad de los immigrantes menores no acompañados.... En algunos países de llegada, los fenómenos migratorios suscitan alarma y miedo, a menudo fomentados y explotados con fines políticos. Se difunde así una mentalidad xenófoba, de gente cerrada y replegada sobre sí misma, ante la que hay que reaccionar con decisión” (92). Los jóvenes migrantes también experimentan a menudo un desarraigo cultural y religioso (93). Francisco pide, “en particular a los jóvenes, que no caigan en las redes de los que quieren ponerlos en contra de otros jóvenes que vienen a sus países, describiéndolos como sujetos peligrosos” (94).
El Papa habló también de los abusos contra los niños e hizo suyo el compromiso del Sínodo de adoptar medidas rigurosas de prevención y expresó su gratitud “a quienes tienen el valor de denunciar el mal que han sufrido” (99). El Papa recuerda que, “gracias a Dios,” los sacerdotes que han sido culpables de estos “horribles crímenes no son la mayoría, sino que ésta, está formada por aquellos que ejercen un ministerio fiel y generoso”. Pide a los jóvenes, si ven a un sacerdote en peligro porque ha tomado el camino equivocado, que tengan el valor de recordarle su compromiso con Dios y con su pueblo (100).
Sin embargo, el abuso no es el único pecado en la Iglesia. “Nuestros pecados están ante los ojos de todos, se reflejan sin piedad en las arrugas del rostro milenario de nuestra Madre”, pero la Iglesia no recurre a ninguna cirugía estética, “no tiene miedo de mostrar los pecados de sus miembros”. “Recordemos, sin embargo, que no abandonamos a la Madre cuando está herida” (101). Este momento oscuro, con la ayuda de los jóvenes, “puede ser realmente una oportunidad para una reforma de carácter histórico, para abrirse a un nuevo Pentecostés” (102).
Francisco recuerda a los jóvenes que, al igual que en la mañana de la resurrección, ante todas las situaciones oscuras y dolorosas, hay una salida. Y afirma: aunque el mundo digital puede exponernos a muchos riesgos, hay jóvenes que saben ser creativos y brillantes en estas áreas. Como el Venerable Carlo Acutis, que “supo utilizar las nuevas técnicas de comunicación para transmitir el Evangelio” (105), no cayó en la trampa y dijo: “Todos nacen como originales, pero muchos mueren como fotocopias”. “No dejes que esto te suceda” (106), advierte el Papa. “No dejen que la esperanza y la alegría les roben, no dejen que les narcoticen y les usen como esclavos de sus intereses” (107), busquen el gran objetivo de la santidad. “Ser joven no sólo significa buscar placeres pasajeros y éxito superficial. Para que los jóvenes alcancen su meta en el camino de la vida, la juventud debe ser un tiempo de donación generosa, de ofrenda sincera” (108). “Si eres joven, pero te sientes débil, cansado o decepcionado, pide a Jesús que te renueve” (109). Pero recordando siempre que “es muy difícil luchar contra... las trampas y tentaciones del diablo y del mundo egoísta si estamos aislados” (110). Por ello se necesita una vida comunitaria.
Capítulo cuarto: “El gran anuncio para todos los jóvenes” (110).
El Papa anuncia a todos los jóvenes tres grandes verdades. La primera: “Dios que es amor” y por tanto “Dios te ama, no lo dudes nunca”. (112) y puedes “arrojarte con seguridad en los brazos de tu Padre divino” (113). Francisco afirma que la memoria del Padre “no es un “disco duro” que registra y archiva todos nuestros datos, su memoria es un tierno corazón de compasión, que se alegra de borrar definitivamente todo rastro de nuestro mal....”. Porque él te ama. Trata de permanecer un momento de silencio dejándote querer por Él” (115). Y su amor es el que “sabe más de ascensos que de caídas, de reconciliación que, de prohibición, de dar nuevas oportunidades que, de condenar, del futuro que del pasado” (116).
La segunda verdad es que “Cristo te salva”. “Nunca olvides que Él perdona setenta veces siete. Vuelve a llevarnos sobre sus hombros una y otra vez” (119). Jesús nos ama y nos salva porque “sólo lo que amamos puede salvarse”. Sólo lo que abrazamos puede ser transformado.
El amor del Señor es mayor que todas nuestras contradicciones, todas nuestras debilidades y todas nuestras mezquindades” (120). Y “su perdón y salvación no son algo que hayamos comprado o debamos adquirir a través de nuestras obras o esfuerzos. Él nos perdona y nos libera libremente” (121). La tercera verdad es que “¡Él vive! “Debemos recordar esto.... porque corremos el riesgo de tomar a Jesucristo sólo como un buen ejemplo del pasado, como un recuerdo, como alguien que nos salvó hace dos mil años. Esto no nos haría ningún bien, nos dejaría como antes, no nos liberaría” (124). Si “Él vive, esto es una garantía de que el bien puede entrar en nuestras vidas…”. Entonces podemos dejar de quejarnos y mirar hacia adelante, porque con Él siempre podemos mirar hacia adelante” (127).
En estas verdades aparece el Padre y aparece Jesús. Y donde están, también está el Espíritu Santo. “Cada día invocas al Espíritu Santo... No pierdes nada y Él puede cambiar tu vida, iluminarla y darle una mejor dirección. No te mutila, no te quita nada, al contrario, te ayuda a encontrar lo que necesitas de la mejor manera” (131).
Capítulo quinto: “Los caminos de la juventud”.
“El amor de Dios y nuestra relación con el Cristo vivo no nos impiden soñar, no nos piden que estrechemos nuestros horizontes. Al contrario, este amor nos estimula, nos estimula, nos proyecta hacia una vida mejor y más bella”.
La palabra “inquietud” resume muchas de las aspiraciones del corazón de los jóvenes”. (138). Pensando en un joven, el Papa ve a aquel que tiene los pies siempre enfrente del otro, dispuesto a salir, a disparar, siempre lanzado hacia delante (139). La juventud no puede seguir siendo un “tiempo suspendido”, porque es la “edad de elección” en el ámbito profesional, social, político y también en la elección de la pareja o en la de tener los primeros hijos. La ansiedad “puede convertirse en un gran enemigo cuando nos lleva a rendirnos porque descubrimos que los resultados no son inmediatos. Los mejores sueños se ganan con esperanza, paciencia y compromiso, renunciando a la prisa. Al mismo tiempo, no debemos bloquearnos ante la inseguridad, no debemos tener miedo de correr riesgos y cometer errores” (142).
Francisco invita a los jóvenes a no observar la vida desde el balcón, a no pasar la vida frente a una pantalla, a no ser reducidos a vehículos abandonados y a no mirar al mundo como turistas: “¡Deja que te escuchen! Aleja los miedos que te paralizan... ¡vive!” (143). Los invita a “vivir el presente” disfrutando con gratitud de cada pequeño don de la vida sin “ser insaciables” y “obsesionados con los placeres sin límite”. (146). En efecto, vivir el presente “no significa lanzarse a una disolución irresponsable que nos deja vacíos e insatisfechos” (147).
“No conocerás la verdadera plenitud de ser joven si... no vives la amistad con Jesús” (150). La amistad con él es indisoluble porque no nos abandona (154). y al igual que con nuestro amigo “hablamos, compartimos las cosas más secretas, con Jesús, también conversamos”. Al orar, “jugamos su juego, dejamos espacio para que él pueda actuar, entrar y ganar”. (155). “No priven a su juventud de esta amistad”, “vivirán la hermosa experiencia de saberse siempre acompañados”, como decían los discípulos de Emaús (156). San Óscar Romero decía: “El cristianismo no es un conjunto de verdades en las que hay que creer, de leyes que hay que observar, de prohibiciones. Esto resulta repugnante. El cristianismo es una persona que me amó tanto como para reclamar mi amor. El cristianismo es Cristo”.
El Papa, hablando de crecimiento y maduración, indica la importancia de buscar “un desarrollo espiritual”, de “buscar al Señor y guardar su Palabra”, de mantener “la “conexión” con Jesús... porque no crecerás en felicidad y santidad sólo con tu fuerza y tu mente” (158). Incluso el adulto debe madurar sin perder los valores de la juventud: “En cada momento de la vida podemos renovar y aumentar nuestra juventud. Cuando comencé mi ministerio como Papa, el Señor amplió mis horizontes y me dio una juventud renovada. Lo mismo le puede suceder a un matrimonio que lleva muchos años casado, o a un monje en su monasterio” (160). Crecer “significa conservar y alimentar las cosas más preciosas que la juventud te da, pero al mismo tiempo significa estar abierto a purificar lo que no es bueno” (161).
“Pero os recuerdo que no serán santos y no se sentirán realizados copiando a los demás”. “deben descubrir quiénes son y desarrollar su manera personal de ser santos” (162). Francisco propone “caminos de fraternidad” para vivir la fe, recordando que “el Espíritu Santo quiere empujarnos a salir de nosotros mismos, a abrazar a los demás. Por eso, es mejor vivir juntos nuestra fe y expresar nuestro amor en una vida comunitaria” (164) que ayude a superar “la tentación de encerrarnos en nosotros mismos, en nuestros problemas, en nuestros sentimientos heridos, en nuestras quejas y en nuestra comodidad” (166). Dios “ama la alegría de los jóvenes y los invita sobre todo a la alegría que se vive en la comunión fraterna” (167).
El Papa habló entonces de los “jóvenes comprometidos”, afirmando que a veces pueden correr “el riesgo de encerrarse en pequeños grupos...”. Sienten que están viviendo en amor fraterno, pero quizás su grupo se ha convertido en una simple extensión de su ego. Esto se agrava si la vocación del laico se concibe sólo como un servicio dentro de la Iglesia..., olvidando que la vocación del laico es ante todo caridad en la familia y caridad social o política” (168).
Francisco propone “que los jóvenes vayan más allá de los grupos de amigos y construyan la amistad social, buscando el bien común. La enemistad social destruye. Y una familia es destruida por la enemistad. Una aldea es destruida por la enemistad. El mundo es destruido por la enemistad. Y la mayor enemistad es la guerra. Hoy vemos que el mundo está siendo destruido por la guerra. Porque somos incapaces de sentarnos y hablar” (169).
“El compromiso social y el contacto directo con los pobres siguen siendo una ocasión fundamental para el descubrimiento o la profundización de la fe y el discernimiento de la propia vocación” (170). El Papa cita el ejemplo positivo de los jóvenes de las parroquias, grupos y movimientos que “tienen la costumbre de ir a acompañar a los ancianos y a los enfermos, o a visitar las zonas pobres” (171).
Mientras que “otros jóvenes participan en programas sociales destinados a la construcción de viviendas para personas sin hogar, o a la recuperación de áreas contaminadas, o a la recolección de ayuda para los más necesitados”. Sería bueno que esta energía comunitaria se aplicara no sólo a acciones esporádicas sino de manera estable”.
Los estudiantes universitarios “pueden unirse de manera interdisciplinaria para aplicar sus conocimientos a la resolución de problemas sociales, y en esta tarea pueden trabajar codo con codo con jóvenes de otras Iglesias o de otras religiones” (172). Francisco anima a los jóvenes a comprometerse: “Quiero alentarte a este compromiso, porque sé que «tu corazón, corazón joven, quiere construir un mundo mejor. Sigo las noticias del mundo y veo que tantos jóvenes, en muchas partes del mundo, han salido por las calles para expresar el deseo de una civilización más justa y fraterna. Los jóvenes en la calle. Son jóvenes que quieren ser protagonistas del cambio. Por favor, no dejen que otros sean los protagonistas del cambio. Ustedes son los que tienen el futuro. Por ustedes entra el futuro en el mundo. A ustedes les pido que también sean protagonistas de este cambio”. Y añade: “sean luchadores por el bien común, sean servidores de los pobres, sean protagonistas de la revolución de la caridad y del servicio, capaces de resistir las patologías del individualismo consumista y superficial”. (174).
Los jóvenes están llamados a ser “misioneros valientes”, testimoniando en todas partes el Evangelio con su propia vida, lo que no significa “hablar de la verdad, sino vivirla” (175). La palabra, sin embargo, no debe ser silenciada: Hay que “Ser capaz de ir contra corriente y saber compartir a Jesús, comunicar la fe que Él te ha dado” (176). ¿A dónde envía Jesús? “No hay límites: nos envía a todos. El Evangelio es para todos y no para algunos. No es sólo para los que nos parecen más cercanos, más receptivos, más acogedores. Es para todos”. Y añade: “Y a ustedes, jóvenes, los quiere como sus instrumentos para derramar luz y esperanza, porque quiere contar con vuestra valentía, frescura y entusiasmo”. (177). Y no se puede esperar que “la misión sea fácil y cómoda” (178).
Capítulo sexto: “Jóvenes con raíces”.
Francisco dice que le duele “ver que algunos proponen a los jóvenes construir un futuro sin raíces, como si el mundo empezara ahora” (179). Si alguien “te hace una propuesta y te dice que ignores la historia, que no atesores la experiencia de los ancianos, que desprecies todo lo que ha pasado y que mires sólo hacia el futuro que te ofrece, ¿no es ésta una forma fácil de atraerte con su propuesta de hacerte hacer solo lo que él te dice? Esa persona necesita que estés vacío, desarraigado, desconfiado de todo, para que puedas confiar sólo en sus promesas y someterte a sus planes. Así funcionan las ideologías de colores diferentes, que destruyen (o de-construyen) todo lo que es diferente y de esta manera pueden dominar sin oposición” (181).
Los manipuladores utilizan también la adoración de la juventud: “El cuerpo joven se convierte en el símbolo de este nuevo culto, por lo que todo lo que tiene que ver con ese cuerpo es idolatrado y deseado sin límites, y lo que no es joven se mira con desprecio. Pero esta es un arma que acaba degradando en primer lugar a los jóvenes”. (182). “Queridos jóvenes, no dejen que usen su juventud para fomentar una vida superficial, que confunde la belleza con la apariencia” (183), porque hay una belleza en el trabajador que vuelve a casa, sucio del trabajo, en la esposa anciana que cuida de su marido enfermo, en la fidelidad de las parejas que se aman en el otoño de la vida.
“Hoy se promueve una espiritualidad sin Dios, una afectividad sin comunidad y sin compromiso con los que sufren, un miedo a los pobres vistos como seres peligrosos, y una serie de ofertas que pretenden hacerles creer en un futuro paradisíaco que siempre se postergará para más adelante” (184).
El Papa invita a los jóvenes a no dejarse dominar por esta ideología que conduce a “auténticas formas de colonización cultural” (185) que erradica a los jóvenes de las afiliaciones culturales y religiosas de las que proceden y tiende a homogeneizarlos transformándolos en “sujetos manipulables en serie” (186).
Lo fundamental es “tu relación con los ancianos”, que ayuda a los jóvenes a descubrir la riqueza viva del pasado, en su memoria. “La Palabra de Dios recomienda que no perdamos el contacto con los ancianos, para que podamos recoger su experiencia” (188). Esto “no significa que debas estar de acuerdo con todo lo que dicen, ni que debas aprobar todas sus acciones”, es “simplemente una cuestión de estar abierto a recoger la sabiduría que se comunica de generación en generación” (190). “Al mundo nunca le ha servido y nunca le servirá la ruptura entre generaciones... Es la mentira que te hace creer que sólo lo nuevo es bueno y bello”. La relación entre generaciones “constituye marcos de referencia para cimentar sólidamente una sociedad nueva. Como dice el refrán: “Si el joven supiese y el viejo pudiese, no habría cosa que no se hiciese”. (191).
Hablando de “sueños y visiones”, Francisco observa: “Si jóvenes y viejos se abren al Espíritu Santo, juntos producen una maravillosa combinación. Los ancianos sueñan y los jóvenes tienen visiones” (192); si “los jóvenes están arraigados en los sueños de los ancianos, logran ver el futuro” (1). (193). Por lo tanto, es necesario “arriesgarse juntos”, caminar juntos jóvenes y viejos: las raíces “no son anclajes que nos atan”, sino “un punto de arraigo que nos permite crecer y responder a nuevos desafíos”. (200).
Capítulo séptimo: “La pastoral juvenil”.
El Papa explica que la pastoral juvenil ha sido asaltada por los cambios sociales y culturales y que “los jóvenes, en sus estructuras habituales, a menudo no encuentran respuestas a sus preocupaciones, a sus necesidades, a sus problemas y a sus heridas” (202). Los mismos jóvenes “son actores de la pastoral juvenil, acompañados y guiados, pero libres para encontrar nuevos caminos con creatividad y audacia”. Necesitamos “hacer uso de la astucia, el ingenio y el conocimiento que los propios jóvenes tienen de la sensibilidad, el lenguaje y los problemas de otros jóvenes”. (203). La pastoral juvenil debe ser flexible, y es necesario “invitar a los jóvenes a acontecimientos que de vez en cuando les ofrezcan un lugar donde no sólo reciban formación, sino que también les permitan compartir sus vidas, celebrar, cantar, escuchar testimonios concretos y experimentar el encuentro comunitario con el Dios vivo” (204).
La pastoral juvenil sólo puede ser sinodal, es decir, capaz de configurar un “camino común”, e implica dos grandes líneas de acción: la primera es la investigación y la segunda el crecimiento.
Para la primera, Francisco confía en la capacidad de los propios jóvenes para “encontrar formas atractivas de invitar”: “Sólo tenemos que estimular a los jóvenes y darles libertad de acción”. Más importante aún es que “cada joven encuentre el valor de sembrar el primer anuncio en esa tierra fértil que es el corazón de otro joven” (210).
Se debe dar prioridad al “lenguaje de la cercanía, el lenguaje del amor desinteresado, relacional, existencial, que toca el corazón”, acercándose a los jóvenes “con la gramática del amor, no con el proselitismo” (211).
En cuanto al crecimiento, Francisco advierte contra proponer a los jóvenes afectados por una intensa experiencia de Dios “encuentros de “formación” en los que sólo se abordan cuestiones doctrinales y morales....”. El resultado es que muchos jóvenes se aburren, pierden el fuego del encuentro con Cristo y la alegría de seguirlo”. (212). Si todo proyecto de formación “debe incluir ciertamente una formación doctrinal y moral”, es igualmente importante “que se centre” en el kerigma, es decir, “la experiencia fundadora del encuentro con Dios a través de Cristo muerto y resucitado” y en el crecimiento “en el amor fraterno, en la vida comunitaria, en el servicio” (213).
Por eso, “la pastoral juvenil debe incluir siempre momentos que ayuden a renovar y profundizar la experiencia personal del amor de Dios y de Jesucristo vivo” (214). Y debe ayudar a los jóvenes “a vivir como hermanos, a ayudarse unos a otros, a hacer comunidades, a servir a los demás, a estar cerca de los pobres” (215).
Las instituciones de la Iglesia deben, por tanto, convertirse en “ambientes adecuados”, desarrollando “la capacidad de acogida”: “En nuestras instituciones debemos ofrecer a los jóvenes lugares apropiados, que puedan manejar a su antojo y donde puedan entrar y salir libremente, lugares que los acojan y a los que puedan acudir espontánea y confiadamente para encontrarse con otros jóvenes tanto en momentos de sufrimiento o de aburrimiento, como cuando deseen celebrar sus alegrías” (218).
Francisco describe entonces “la pastoral de las instituciones educativas”, afirmando: “La escuela es sin duda una plataforma para acercarse a los niños y a los jóvenes”, pero la escuela tiene “una urgente necesidad de autocrítica”. Y recuerda que “hay algunas escuelas católicas que parecen estar organizadas sólo para preservación. La escuela transformada en un “búnker” que protege de los errores “fuera” es la expresión caricaturesca de esta tendencia”.
Cuando los jóvenes salen, sienten “una discrepancia insuperable entre lo que han enseñado y el mundo en el que se encuentran viviendo”. Mientras que “una de las mayores alegrías de un educador consiste en ver a un alumno que se constituye como una persona fuerte, integrada, protagonista y capaz de dar” (221). La formación espiritual no puede separarse de la formación cultural: “Ésta es vuestra gran tarea: responder a los coros paralizantes del consumismo cultural con opciones dinámicas y fuertes, con la investigación, el conocimiento y el compartir” (223). Entre las “áreas de desarrollo pastoral”, el Papa indica las “expresiones artísticas” (226), la “práctica del deporte” (227) y el compromiso con la protección de la creación (228).
Necesitamos “una pastoral juvenil popular”, “más amplia y flexible, que estimule, en los distintos lugares en los que se mueven concretamente los jóvenes, a aquellos guías naturales y a aquellos carismas que el Espíritu Santo ya ha sembrado entre ellos.
En primer lugar, se trata de no poner tantos obstáculos, normas, controles y marcos obligatorios en el camino de los jóvenes creyentes que son líderes naturales en los barrios y en los diferentes entornos. Debemos limitarnos a acompañarlos y estimularlos” (230).
Al exigir “una pastoral juvenil aséptica, pura, caracterizada por ideas abstractas, alejada del mundo y preservada de toda mancha, reducimos el Evangelio a una propuesta insípida, incomprensible, distante, separada de las culturas juveniles y apta sólo para una élite juvenil cristiana que se siente diferente, pero que en realidad flota aislada, sin vida ni fecundidad” (232).
Francisco nos invita a ser “una Iglesia con las puertas abiertas”, y “ni siquiera es necesario aceptar completamente todas las enseñanzas de la Iglesia para participar en algunos de nuestros espacios dedicados a los jóvenes”. (234)
“También debe haber lugar para todos aquellos que tienen otras visiones de la vida, profesan otras creencias o se declaran extraños al horizonte religioso” (235). El icono de este enfoque nos lo ofrece el episodio evangélico de los discípulos de Emaús: Jesús los interroga, los escucha pacientemente, los ayuda a reconocer lo que viven, a interpretar a la luz de la Escritura lo que han vivido, acepta quedarse con ellos, entra en su noche. Son ellos mismos los que deciden reanudar sin demora el viaje en la dirección opuesta (237).
“Siempre misioneros”. Para que los jóvenes se conviertan en misioneros no es necesario hacer “un largo camino”: “Un joven que peregrina para pedir ayuda a la Virgen e invita a un amigo o a un compañero a acompañarlo, con este sencillo gesto está llevando a cabo una preciosa acción misionera” (239).
La pastoral juvenil “debe ser siempre una pastoral misionera” (240). Y los jóvenes necesitan ser respetados en su libertad, “pero también necesitan ser acompañados” por adultos, empezando por la familia (242) y luego por la comunidad. “Esto implica que los jóvenes sean mirados con comprensión, estima y afecto, y no que sean continuamente juzgados o que se les exija una perfección que no corresponde a su edad” (243).
Faltan personas experimentadas, dedicadas al acompañamiento (244) y “algunas jóvenes perciben una falta de referentes femeninos en la Iglesia” (245).
Lo que esperan de un tutor de pastoral juvenil es que “sea un auténtico cristiano comprometido con la Iglesia y con el mundo; que busque constantemente la santidad; que comprenda sin juzgar; que sepa escuchar activamente las necesidades de los jóvenes y pueda responderles con gentileza; que sea muy bondadoso, y consciente de sí mismo; que reconozca sus límites y que conozca la alegría y el sufrimiento que todo camino espiritual conlleva. Una característica especialmente importante en un mentor, es el reconocimiento de su propia humanidad. Que son seres humanos que cometen errores: personas imperfectas, que se reconocen pecadores perdonados”. (246). Deben saber cómo “caminar juntos” con los jóvenes respetando su libertad.
Capítulo octavo: “Vocación”.
“Lo fundamental es discernir y descubrir que lo que Jesús quiere de cada joven es sobre todo su amistad” (250). La vocación es una llamada al servicio misionero de los demás, “porque nuestra vida en la tierra alcanza su plenitud cuando se convierte en ofrenda” (254).
“Para realizar nuestra vocación es necesario desarrollarnos, hacer crecer y cultivar todo lo que somos. No se trata de inventarse, de crearse de la nada, sino de descubrirse a la luz de Dios y de hacer florecer el propio ser” (257). Y “este “ser para los demás” en la vida de cada joven está normalmente ligado a dos cuestiones fundamentales: la formación de una nueva familia y el trabajo” (258).
En cuanto al “amor y la familia”, el Papa escribe que “los jóvenes sienten fuertemente la llamada al amor y sueñan con encontrar a la persona adecuada con la que formar una familia” (259), y el sacramento del matrimonio “envuelve este amor con la gracia de Dios, enraizándolo en Dios mismo” (260). Dios nos creó sexualmente, él mismo creó la sexualidad, que es su don, y por lo tanto “no hay tabúes”. Es un don que el Señor da y “tiene dos objetivos: amarse unos a otros y generar vida”. Es una pasión.... El verdadero amor es apasionado” (261).
Francisco observa que “el aumento de las separaciones, de los divorcios... puede causar grandes sufrimientos y crisis de identidad en los jóvenes. A veces tienen que asumir responsabilidades que no son proporcionales a su edad” (262). A pesar de todas las dificultades, “quiero decirles.... que vale la pena apostar por la familia y que en ella encontrarán los mejores incentivos para madurar y las mejores alegrías para compartir. No dejes que te roben la oportunidad de amar seriamente” (263). “Creer que nada puede ser definitivo es un engaño y una mentira... Les pido que sean revolucionarios, les pido que vayan contra corriente” (264).
En cuanto al trabajo, el Papa escribe: “Invito a los jóvenes a no esperar vivir sin trabajo, dependiendo de la ayuda de los demás. Esto no es bueno, porque “el trabajo es una necesidad, es parte del sentido de la vida en esta tierra, del camino hacia la madurez, el desarrollo humano y la realización personal. En este sentido, ayudar a los pobres con dinero debe ser siempre un remedio temporal para las emergencias” (269).
Después de observar cómo los jóvenes experimentan, en el mundo del trabajo, formas de exclusión y de marginación (270), afirma con respecto al desempleo juvenil: “Es una cuestión... que la política debe considerar prioritaria, sobre todo hoy en día, cuando la velocidad del desarrollo tecnológico, junto con la obsesión por reducir los costes laborales, puede llevar rápidamente a la sustitución de innumerables puestos de trabajo por maquinaria” (271). Y a los jóvenes les dice: “Es verdad que no puedes vivir sin trabajo y que a veces tendrás que aceptar lo que encuentras, pero nunca renunciar a tus sueños, nunca enterrar definitivamente una vocación, nunca renunciar” (272).
Francisco concluye este capítulo hablando de “vocaciones a una consagración especial”. En el discernimiento de una vocación no se debe excluir la posibilidad de consagrarse a Dios....”. ¿Por qué excluirlo? Ten la certeza de que si reconoces una llamada de Dios y la sigues, será lo que dé plenitud a tu vida” (276).
Capítulo noveno: “El discernimiento”.
El Papa recuerda que “sin la sabiduría del discernimiento podemos convertirnos fácilmente en títeres a merced de las tendencias del momento” (279). “Una expresión de discernimiento es el compromiso de reconocer la propia vocación. Es una tarea que requiere espacios de soledad y silencio, porque es una decisión muy personal que nadie más puede tomar en nuestro lugar” (283). “El don de la vocación será, sin duda, un don exigente. Los dones de Dios son interactivos, y para disfrutarlos hay que ponerse en juego, hay que arriesgarse” (289).
Se requieren tres sensibilidades de quienes ayudan a los jóvenes en su discernimiento. La primera es la atención a la persona: “se trata de escuchar al otro que se nos da a sí mismo con sus propias palabras” (292).
La segunda consiste en discernir, es decir, “se trata de captar el punto correcto en el que se discierne la gracia de la tentación” (293). La tercera consiste “en escuchar los impulsos que el otro experimenta “adelante”.
Es la escucha profunda de “donde el otro realmente quiere ir”““. (294). Cuando uno escucha al otro de esta manera, “en algún momento debe desaparecer para dejar que siga el camino que ha descubierto. Desaparecer como el Señor desaparece de la vista de sus discípulos” (296). Debemos “despertar y acompañar los procesos, no imponer caminos”. Y estos son procesos de personas que siempre son únicas y libres. Por eso es difícil crear libros de cocina” (297).
La exhortación concluye con “un deseo” del Papa Francisco: “Queridos jóvenes, me alegrará verles correr más rápido que los que son lentos y temerosos. Corran y sean atraídos por ese rostro tan amado, que adoramos en la Sagrada Eucaristía y reconocemos en la carne de nuestro hermano que sufre.... La Iglesia necesita de su impulso, de sus intuiciones, de su fe... Y cuando lleguen a donde todavía no hemos llegado, tengan la paciencia de esperar por nosotros”. (299).
[00557-ES.02] [Texto original: Italiano - Traducción no oficial]
[B0277-XX.02]