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Udienza ai partecipanti alla Conferenza Internazionale “Religions and the Sustainable Development Goals (SDGs): Listening to the cry of the earth and of the poor”, 08.03.2019


Discorso del Santo Padre

Traduzione in lingua inglese

Alle ore 12.10 di questa mattina, nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Francesco ha ricevuto in Udienza i partecipanti alla Conferenza Internazionale “Religions and the Sustainable Development Goals (SDGs): Listening to the cry of the earth and of the poor”, promossa dal Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale e dal Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, in corso in Vaticano, nell’Aula nuova del Sinodo, dal 7 al 9 marzo.

Riportiamo di seguito il discorso che il Papa ha rivolto ai presenti:

Discorso del Santo Padre

Eminenze, Eccellenze,
Cari responsabili delle tradizioni religiose mondiali,
Rappresentanti delle Organizzazioni Internazionali,
Illustri Signori e Signore,

Porgo il mio benvenuto a tutti voi, qui convenuti per questa Conferenza internazionale sulle Religioni e gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile.

Sostenibilità e inclusione
Quando parliamo di sostenibilità, non possiamo trascurare l’importanza dell’inclusione e dell’ascolto di tutte le voci, specialmente di quelle normalmente emarginate da questo tipo di discussioni, come quelle dei poveri, dei migranti, degli indigeni, dei giovani. Sono lieto di vedere una varietà di partecipanti a questa Conferenza, portatori di una molteplicità di voci, di opinioni e proposte, che possono contribuire a nuovi percorsi di sviluppo costruttivo. È importante che l’attuazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile segua la loro effettiva natura originaria che si vuole inclusiva e partecipativa.

L’Agenda 2030 e gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, approvati da oltre 190 nazioni nel settembre 2015, sono stati un grande passo avanti per il dialogo globale, nel segno di una necessaria «nuova solidarietà universale» (Enc. Laudato si’, 14). Diverse tradizioni religiose, compresa quella cattolica, hanno accolto gli obiettivi di sviluppo sostenibile perché sono il risultato di processi partecipativi globali che, da un lato, riflettono i valori delle persone e, dall’altro, sono sostenuti da una visione integrale dello sviluppo.

Sviluppo integrale
Tuttavia, proporre un dialogo su uno sviluppo inclusivo e sostenibile richiede anche di riconoscere che “sviluppo” è un concetto complesso, spesso strumentalizzato. Quando parliamo di sviluppo dobbiamo sempre chiarire: sviluppo di cosa? Sviluppo per chi? Per troppo tempo l’idea convenzionale di sviluppo è stata quasi interamente limitata alla crescita economica. Gli indicatori di sviluppo nazionale si sono basati sugli indici del prodotto interno lordo (PIL). Ciò ha guidato il sistema economico moderno su un sentiero pericoloso, che ha valutato il progresso solo in termini di crescita materiale, per il quale siamo quasi obbligati a sfruttare irrazionalmente sia la natura sia gli esseri umani.

In realtà, come ha messo in risalto il mio predecessore San Paolo VI, parlare di sviluppo umano significa riferirsi a tutte le persone – non solo a pochi – e all’intera persona umana – non alla sola dimensione materiale – (cfr Enc. Populorum progressio, 14). Pertanto, una fruttuosa discussione sullo sviluppo dovrebbe offrire modelli praticabili di integrazione sociale e di conversione ecologica, perché non possiamo svilupparci come esseri umani fomentando crescenti disuguaglianze e il degrado dell’ambiente.[1]

Le denunce di modelli negativi e le proposte di percorsi alternativi non valgono solo per gli altri, ma anche per noi. In effetti, dovremmo tutti impegnarci a promuovere e attuare gli obiettivi di sviluppo che sono sostenuti dai nostri valori religiosi ed etici più profondi. Lo sviluppo umano non è solo una questione economica o che riguarda solo gli esperti, ma è prima di tutto una vocazione, una chiamata che richiede una risposta libera e responsabile (cfr Benedetto XVI, Enc. Caritas in veritate, 16-17).

Obiettivi (dialogo e impegni)
E le risposte sono ciò che auspico possa emergere in questa Conferenza: risposte concrete al grido della terra e al grido dei poveri. Impegni concreti per promuovere uno sviluppo reale in modo sostenibile attraverso processi aperti alla partecipazione delle persone. Proposte concrete per facilitare lo sviluppo di chi è nel bisogno, avvalendosi di quella che il Papa Benedetto XVI ha ravvisato come «la possibilità di una grande ridistribuzione della ricchezza a livello planetario come in precedenza non era mai avvenuto» (ibid., 42). Politiche economiche concrete che siano incentrate sulla persona e che possano promuovere un mercato ed una società più umani (cfr ibid., 45.47). Misure economiche concrete che prendano seriamente in considerazione la nostra casa comune. Impegni etici, civili e politici concreti per svilupparsi al fianco della nostra sorella terra, e non malgrado essa.

Tutto è connesso
Mi rallegra anche sapere che i partecipanti a questa Conferenza sono disposti ad ascoltare le voci religiose quando discutono sull’attuazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile. In effetti, tutti gli interlocutori di tale dialogo su questa complessa questione sono chiamati in qualche modo ad uscire dalla propria specializzazione per trovare risposte comuni al grido della terra e a quello dei poveri. Nel caso delle persone religiose, abbiamo bisogno di aprire i tesori delle nostre migliori tradizioni in ordine ad un dialogo vero e rispettoso sul modo in cui costruire il futuro del nostro pianeta. I racconti religiosi, sebbene antichi, sono normalmente densi di simbolismo e contengono «una convinzione oggi sentita: che tutto è in relazione, e che la cura autentica della nostra stessa vita e delle nostre relazioni con la natura è inseparabile dalla fraternità, dalla giustizia e dalla fedeltà nei confronti degli altri» (Enc. Laudato si’, 70).

In questo senso, l’Agenda 2030 delle Nazioni Unite propone di integrare tutti gli obiettivi attraverso le cinque P : persone, pianeta, prosperità, pace e partnership.[2] So che questa conferenza è anch’essa articolata attorno a queste cinque P.

Accolgo con favore questa impostazione integrata degli obiettivi; essa può servire anche a preservare da una concezione della prosperità basata sul mito della crescita e del consumo illimitati (cfr Enc. Laudato si’, 106), per la cui sostenibilità dipenderemmo solo dal progresso tecnologico. Possiamo ancora trovare alcuni che sostengono ostinatamente questo mito, e dicono che i problemi sociali ed ecologici si risolvono semplicemente con l’applicazione di nuove tecnologie e senza considerazioni etiche né cambiamenti di fondo (cfr ibid., 60).

Un approccio integrale ci insegna che questo non è vero. Se è certamente necessario puntare a una serie di obiettivi di sviluppo, questo non è però sufficiente per un ordine mondiale equo e sostenibile. Gli obiettivi economici e politici devono essere sostenuti da obiettivi etici, che presuppongono un cambiamento di atteggiamento, la Bibbia direbbe un cambiamento di cuore (cfr ibid., 2). Già San Giovanni Paolo II parlò della necessità di «incoraggiare e sostenere una conversione ecologica» (Catechesi, 17 gennaio 2001). Questa parola è forte: conversione ecologica. Qui le religioni hanno un ruolo chiave da svolgere. Per una corretta transizione verso un futuro sostenibile, occorre riconoscere «i propri errori, peccati, vizi o negligenze», occorre «pentirsi di cuore, cambiare dal di dentro», per essere riconciliati con gli altri, con la creazione e con il Creatore (cfr Enc. Laudato si’, 218).

Se vogliamo dare basi solide al lavoro dell’Agenda 2030, dobbiamo respingere la tentazione di cercare una risposta semplicemente tecnocratica alle sfide – questo non va -; essere disposti ad affrontare le cause profonde e le conseguenze a lungo termine.

Popolazioni indigene
Il principio cardine di tutte le religioni è l’amore per i nostri simili e la cura per il creato. Vorrei evidenziare un gruppo speciale di persone religiose, quello delle popolazioni indigene. Sebbene rappresentino solo il 5% della popolazione mondiale, esse si prendono cura di quasi il 22% della superficie terrestre. Vivendo in aree quali l’Amazzonia e l’Artico, aiutano a proteggere circa l’80% della biodiversità del pianeta. Secondo l’UNESCO: «Le popolazioni indigene sono custodi e specialisti di culture e relazioni uniche con l’ambiente naturale. Rappresentano una vasta gamma di diversità linguistiche e culturali nel cuore della nostra comune umanità».[3] Aggiungerei che, in un mondo fortemente secolarizzato, tali popolazioni ricordano a tutti la sacralità della nostra terra. Per questi motivi, la loro voce e le loro preoccupazioni dovrebbero essere al centro dell’attuazione dell’Agenda 2030 e al centro della ricerca di nuove strade per un futuro sostenibile. Ne discuterò anche con i miei fratelli Vescovi al Sinodo della Regione Panamazzonica, alla fine di ottobre di quest'anno.

Conclusioni
Cari fratelli e sorelle, oggi, dopo tre anni e mezzo dall’adozione degli obiettivi di sviluppo sostenibile, dobbiamo renderci conto ancora più chiaramente dell’importanza di accelerare e adattare le nostre azioni per rispondere adeguatamente sia al grido della terra sia al grido dei poveri (cfr Enc. Laudato si’, 49): sono collegati.

Le sfide sono complesse e hanno molteplici cause; la risposta pertanto non può che essere a sua volta complessa e articolata, rispettosa delle diverse ricchezze culturali dei popoli. Se siamo veramente preoccupati di sviluppare un’ecologia capace di rimediare al danno che abbiamo fatto, nessuna branca delle scienze e nessuna forma di saggezza dovrebbero essere tralasciate, e ciò include le religioni e i linguaggi ad esse peculiari (cfr ibid., 63). Le religioni possono aiutarci a camminare sulla via di un reale sviluppo integrale, che è il nuovo nome della pace (cfr Paolo VI, Enc. Populorum progressio, 76-77).

Esprimo il mio sentito apprezzamento per i vostri sforzi nella cura per la nostra casa comune, al servizio della promozione di un futuro sostenibile inclusivo. So che a volte potrebbe sembrare un compito troppo arduo. Eppure gli «esseri umani, capaci di degradarsi fino all’estremo, possono anche superarsi, ritornare a scegliere il bene e rigenerarsi» (Enc. Laudato si’, 205). Questo è il cambiamento che le circostanze attuali richiedono, perché l’ingiustizia che fa piangere la terra e i poveri non è invincibile. Grazie.

____________________

[1] Quando, ad esempio, a causa delle disuguaglianze nella distribuzione del potere, il peso di debiti immensi viene scaricato sulle spalle dei poveri e dei Paesi poveri, quando la disoccupazione è diffusa nonostante l’espansione dei commerci o quando le persone vengono semplicemente trattate come un mezzo per la crescita di altri, abbiamo bisogno di mettere completamente in discussione il modello di sviluppo di riferimento. Allo stesso modo, quando in nome del progresso distruggiamo la fonte dello sviluppo, la nostra casa comune, allora il modello dominante deve essere chiamato in causa. Mettendo in discussione tale modello e rivisitando l’economia mondiale, gli interlocutori di un dialogo sullo sviluppo dovrebbero essere in grado di trovare un sistema globale economico e politico alternativo. Tuttavia, affinché ciò accada, dobbiamo affrontare le cause della distorsione dello sviluppo, ossia ciò che nella dottrina sociale cattolica recente va sotto il nome di “peccati strutturali”. Denunciare tali peccati è già un buon contributo che le religioni danno alla discussione sullo sviluppo del mondo. Nondimeno, accanto alla denuncia, dobbiamo anche proporre alle persone e alle comunità delle vie praticabili di conversione.
[2]
Cfr United Nations, Transforming our world: the 2030 Agenda for Sustainable Development, 2015.
[3]
UNESCO, Message from Ms Irina Bokova, Director-General of UNESCO, on the occasion of the International Day of the World's Indigenous Peoples, 9 August 2017.

[00407-IT.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua inglese

Your Eminences, Your Excellencies,
Dear Leaders of world religious traditions,
Representatives of International Organizations,
Distinguished Ladies and Gentlemen,

I greet all of you gathered for this International Conference on Religions and the Sustainable Development Goals.

Sustainability and Inclusion
When we speak of sustainability, we cannot overlook how important it is to include and to listen to all voices, especially those usually excluded from this type of discussion, such as the voices of the poor, migrants, indigenous people. the young. I am pleased to see a variety of participants at this conference bringing a wide range of voices, of opinions and proposals, which can contribute to new paths of constructive development. It is important that the implementation of the sustainable development goals truly respect their original nature, which is inclusive and participatory.

The 2030 Agenda and the Sustainable Development Goals, approved by more than 190 nations in September 2015, were a great step forward for global dialogue, marking a vitally “new and universal solidarity” (Laudato Si’, 14). Different religious traditions, including the Catholic tradition, have embraced the objectives of sustainable development because they are the result of global participatory processes that, on the one hand, reflect the values of people and, on the other, are sustained by an integral vision of development.

Integral Development
Nevertheless, proposing a dialogue on inclusive and sustainable development also requires acknowledging that “development” is a complex concept, which is often manipulated. When we speak of development we must always ask: Development of what? Development for whom? For too long the conventional idea of development has been almost entirely limited to economic growth. Indicators of national development have been based on Gross Domestic Product (GDP) indices. This has led the modern economic system down a dangerous path where progress is assessed only in terms of material growth, on account of which we are almost obliged to irrationally exploit the environment and our fellow human beings.

As my predecessor Saint Paul VI rightly highlighted, to speak about human development means referring to all people – not just a few – and to the whole person – not just the material dimension (cf. Populorum Progressio, 14). Any fruitful discussion of development, therefore, should offer viable models of social integration and ecological conversion, because we cannot develop ourselves as human beings by fomenting increased inequality and degradation of the environment.[1]

Rejecting negative models, and proposing alternative ways forward, applies not only to others, but also to us. We should all commit ourselves to promoting and implementing the development goals that are supported by our deepest religious and ethical values. Human development is not only an economic issue or one that concerns experts alone; it is ultimately a vocation, a call that requires a free and responsible answer (cf. Benedict XVI, Caritas in Veritate, 16-17).

Goals (Dialogue and Commitments)
Solutions are what I hope will emerge from this Conference: concrete responses to the cry of the earth and the cry of the poor. Concrete commitments to promoting real development in a sustainable way through processes open to people’s participation. Concrete proposals to facilitate the development of those in need, making use of what Pope Benedict XVI recognized as “the unprecedented possibility of large-scale redistribution of wealth on a world-wide scale” (ibid. 42). Concrete economic policies that are focused on the person and that can promote a more humane market and society (cf. ibid. 45, 47). Concrete economic measures that seriously take into consideration our common home. Concrete ethical, civil and political commitments that develop alongside our sister earth, and never against her.

Everything is Connected
I am also pleased to know that the participants in this conference are willing to listen to religious voices when they discuss the implementation of the sustainable development goals. All those involved in dialogue on this complex issue are invited in some way to go beyond their areas of specialization to find a shared response to the cry of the earth and of the poor. Those of us who are religious need to open up the treasures of our best traditions in order to engage in a true and respectful dialogue on how to build the future of our planet. Religious narratives, though ancient, are usually full of symbolism and contain “a conviction which we today share, that everything is interconnected, and that genuine care for our own lives and our relationships with nature is inseparable from fraternity, justice and faithfulness to others” (Laudato Si’, 70).

In this respect, the United Nations 2030 Agenda proposes integrating all the goals through the ‘five Ps’: people, planet, prosperity, peace and partnership.[2] I know that this conference is also focusing on these ‘five Ps’.

I welcome this unified approach to these goals, which can also help to save us from an understanding of prosperity that is based on the myth of unlimited growth and consumption (cf. Laudato Si’, 106), where we depend only on technological progress for sustainability. There are still people who stubbornly uphold this myth, and who tell us that social and ecological problems will solve themselves simply by the application of new technologies, without any need for ethical considerations or profound change (cf. ibid. 60).

An integral approach teaches us that this is not true. While it is certainly necessary to aim for a set of development goals, this is not sufficient for a fair and sustainable world order. Economic and political objectives must be sustained by ethical objectives, which presuppose a change of attitude: what the Bible would call a change of heart. Already Saint John Paul II spoke about the need to “encourage and support the ‘ecological conversion’” (Catechesis, January 17, 2001). This word is powerful: ecological conversion. Religions have a key role to play in this. For a correct shift towards a sustainable future, we must recognize “our errors, sins, faults and failures” which leads to a “heartfelt repentance and desire to change”; in this way, we will be reconciled with others, with creation and with the Creator (cf. Laudato Si’, 218).

If we want to provide a solid foundation for the work of the 2030 Agenda, we must reject the temptation to look for a merely technocratic response to the challenges – this is not good – and be prepared to address the root causes and the long-term consequences.

Indigenous Peoples
The key principle of all religions is the love of neighbour and the care of creation. I wish to draw attention to a special group of religious persons, namely indigenous peoples. Although they represent only five per cent of the world’s population, they look after about twenty-two per cent of the earth’s landmass. Living in areas such as the Amazon and the Arctic, they help protect approximately eighty per cent of the planet’s biodiversity. According to UNESCO, “Indigenous peoples are custodians and practitioners of unique cultures and relationships with the natural environment. They embody a wide range of linguistic and cultural diversity at the heart of our shared humanity”.[3] I would also add that, in a strongly secularized world, such peoples remind us all of the sacredness of our earth. This means that their voice and their concerns should be at the centre of the implementation of the 2030 Agenda and at the heart of the search for new paths for a sustainable future. I will also be discussing this with my brother bishops at the Synod for the Pan-Amazon Region, at the end of October this year.

Conclusions
Dear brothers and sisters, today, after three and a half years since the adoption of the sustainable development goals, we must be even more acutely aware of the importance of accelerating and adapting our actions in responding adequately to both the cry of the earth and the cry of the poor (cf. Laudato Si’, 49) – they are connected.

The challenges are complex and have multiple causes; the response, therefore, must necessarily be complex and well-structured, respectful of the diverse cultural riches of peoples. If we are truly concerned about developing an ecology capable of repairing the damage we have done, no branch of science or form of wisdom should be overlooked, and this includes religions and the languages particular to them (cf. ibid. 63). Religions can help us along the path of authentic integral development, which is the new name of peace (cf. Paul VI, Populorum Progressio, 26 March 1967, 76-77).

I express my heartfelt appreciation for your efforts in caring for our common home at the service of promoting an inclusive sustainable future. I know that, at times, it can seem far too difficult a task. And yet, “Human beings, while capable of the worst, are also capable of rising above themselves, choosing again what is good, and making a new start” (Laudato Si’, 205). This is the change which present circumstances demand, because the injustice that brings tears to our world and to its poor is not invincible. Thank you.

_____________

[1] When, for example, due to inequalities in the distribution of power, the burden of immense debt is placed on the shoulders of the poor and poor countries, when unemployment is widespread despite the expansion of trade or when people are simply treated as a means for the growth of others, we need to question fully our key development model. In the same way, when in the name of progress we destroy the source of development – our common home – then the dominant model must be called into question. By questioning this model and re-examining the world economy, participants in the dialogue on development will be able to find an alternative global economic and political system. However, in order for this to happen, we must address the causes of the distortion of development, which is what in recent Catholic social teaching goes by the name of “structural sins”. Denouncing such sins is already a good contribution that religions make to the discussion on the world’s development. Nonetheless, alongside this denunciation, we must also put forward feasible ways of conversion to people and communities.
[2]
Cf. United Nations, Transforming our world: the 2030 Agenda for Sustainable Development, 2015.
[3]
UNESCO, Message from Ms Irina Bokova, Director-General of UNESCO on the occasion of the International Day of the World’s Indigenous Peoples, 9 August 2017.

[00407-EN.02] [Original text: Italian]

[B0201-XX.02]