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Messaggio del Santo Padre Francesco per la 53ma Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, 24.01.2019


 

Messaggio del Santo Padre

Traduzione in lingua francese

Traduzione in lingua inglese

Traduzione in lingua tedesca

Traduzione in lingua spagnola

Traduzione in lingua portoghese

Traduzione in lingua polacca

Traduzione in lingua araba

Pubblichiamo di seguito il Messaggio del Santo Padre Francesco per la 53ma Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali che quest’anno si celebra, in molti Paesi, domenica 2 giugno, Solennità dell’Ascensione del Signore:

Messaggio del Santo Padre

«Siamo membra gli uni degli altri» (Ef 4,25).

Dalle social network communities alla comunità umana

Cari fratelli e sorelle,

da quando internet è stato disponibile, la Chiesa ha sempre cercato di promuoverne l’uso a servizio dell’incontro tra le persone e della solidarietà tra tutti. Con questo Messaggio vorrei invitarvi ancora una volta a riflettere sul fondamento e l’importanza del nostro essere-in-relazione e a riscoprire, nella vastità delle sfide dell’attuale contesto comunicativo, il desiderio dell’uomo che non vuole rimanere nella propria solitudine.

Le metafore della “rete” e della “comunità

L’ambiente mediale oggi è talmente pervasivo da essere ormai indistinguibile dalla sfera del vivere quotidiano. La rete è una risorsa del nostro tempo. È una fonte di conoscenze e di relazioni un tempo impensabili. Numerosi esperti però, a proposito delle profonde trasformazioni impresse dalla tecnologia alle logiche di produzione, circolazione e fruizione dei contenuti, evidenziano anche i rischi che minacciano la ricerca e la condivisione di una informazione autentica su scala globale. Se internet rappresenta una possibilità straordinaria di accesso al sapere, è vero anche che si è rivelato come uno dei luoghi più esposti alla disinformazione e alla distorsione consapevole e mirata dei fatti e delle relazioni interpersonali, che spesso assumono la forma del discredito.

Occorre riconoscere che le reti sociali, se per un verso servono a collegarci di più, a farci ritrovare e aiutare gli uni gli altri, per l’altro si prestano anche ad un uso manipolatorio dei dati personali, finalizzato a ottenere vantaggi sul piano politico o economico, senza il dovuto rispetto della persona e dei suoi diritti. Tra i più giovani le statistiche rivelano che un ragazzo su quattro è coinvolto in episodi di cyberbullismo. [1]

Nella complessità di questo scenario può essere utile tornare a riflettere sulla metafora della rete posta inizialmente a fondamento di internet, per riscoprirne le potenzialità positive. La figura della rete ci invita a riflettere sulla molteplicità dei percorsi e dei nodi che ne assicurano la tenuta, in assenza di un centro, di una struttura di tipo gerarchico, di un’organizzazione di tipo verticale. La rete funziona grazie alla compartecipazione di tutti gli elementi.

Ricondotta alla dimensione antropologica, la metafora della rete richiama un’altra figura densa di significati: quella della comunità. Una comunità è tanto più forte quanto più è coesa e solidale, animata da sentimenti di fiducia e persegue obiettivi condivisi. La comunità come rete solidale richiede l’ascolto reciproco e il dialogo, basato sull’uso responsabile del linguaggio.

È a tutti evidente come, nello scenario attuale, la social network community non sia automaticamente sinonimo di comunità. Nei casi migliori le community riescono a dare prova di coesione e solidarietà, ma spesso rimangono solo aggregati di individui che si riconoscono intorno a interessi o argomenti caratterizzati da legami deboli. Inoltre, nel social web troppe volte l’identità si fonda sulla contrapposizione nei confronti dell’altro, dell’estraneo al gruppo: ci si definisce a partire da ciò che divide piuttosto che da ciò che unisce, dando spazio al sospetto e allo sfogo di ogni tipo di pregiudizio (etnico, sessuale, religioso, e altri). Questa tendenza alimenta gruppi che escludono l’eterogeneità, che alimentano anche nell’ambiente digitale un individualismo sfrenato, finendo talvolta per fomentare spirali di odio. Quella che dovrebbe essere una finestra sul mondo diventa così una vetrina in cui esibire il proprio narcisismo.

La rete è un’occasione per promuovere l’incontro con gli altri, ma può anche potenziare il nostro autoisolamento, come una ragnatela capace di intrappolare. Sono i ragazzi ad essere più esposti all’illusione che il social web possa appagarli totalmente sul piano relazionale, fino al fenomeno pericoloso dei giovani “eremiti sociali” che rischiano di estraniarsi completamente dalla società. Questa dinamica drammatica manifesta un grave strappo nel tessuto relazionale della società, una lacerazione che non possiamo ignorare.

Questa realtà multiforme e insidiosa pone diverse questioni di carattere etico, sociale, giuridico, politico, economico, e interpella anche la Chiesa. Mentre i governi cercano le vie di regolamentazione legale per salvare la visione originaria di una rete libera, aperta e sicura, tutti abbiamo la possibilità e la responsabilità di favorirne un uso positivo.

È chiaro che non basta moltiplicare le connessioni perché aumenti anche la comprensione reciproca. Come ritrovare, dunque, la vera identità comunitaria nella consapevolezza della responsabilità che abbiamo gli uni verso gli altri anche nella rete online?

“Siamo membra gli uni degli altri”

Una possibile risposta può essere abbozzata a partire da una terza metafora, quella del corpo e delle membra, che San Paolo usa per parlare della relazione di reciprocità tra le persone, fondata in un organismo che le unisce. «Perciò, bando alla menzogna e dite ciascuno la verità al suo prossimo, perché siamo membra gli uni degli altri» (Ef 4,25). L’essere membra gli uni degli altri è la motivazione profonda, con la quale l’Apostolo esorta a deporre la menzogna e a dire la verità: l’obbligo a custodire la verità nasce dall’esigenza di non smentire la reciproca relazione di comunione. La verità infatti si rivela nella comunione. La menzogna invece è rifiuto egoistico di riconoscere la propria appartenenza al corpo; è rifiuto di donarsi agli altri, perdendo così l’unica via per trovare sé stessi.

La metafora del corpo e delle membra ci porta a riflettere sulla nostra identità, che è fondata sulla comunione e sull’alterità. Come cristiani ci riconosciamo tutti membra dell’unico corpo di cui Cristo è il capo. Questo ci aiuta a non vedere le persone come potenziali concorrenti, ma a considerare anche i nemici come persone. Non c’è più bisogno dell’avversario per auto-definirsi, perché lo sguardo di inclusione che impariamo da Cristo ci fa scoprire l’alterità in modo nuovo, come parte integrante e condizione della relazione e della prossimità.

Tale capacità di comprensione e di comunicazione tra le persone umane ha il suo fondamento nella comunione di amore tra le Persone divine. Dio non è Solitudine, ma Comunione; è Amore, e perciò comunicazione, perché l’amore sempre comunica, anzi comunica sé stesso per incontrare l’altro. Per comunicare con noi e per comunicarsi a noi Dio si adatta al nostro linguaggio, stabilendo nella storia un vero e proprio dialogo con l’umanità (cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Dei Verbum, 2).

In virtù del nostro essere creati ad immagine e somiglianza di Dio che è comunione e comunicazione-di-sé, noi portiamo sempre nel cuore la nostalgia di vivere in comunione, di appartenere a una comunità. «Nulla, infatti – afferma San Basilio –, è così specifico della nostra natura quanto l’entrare in rapporto gli uni con gli altri, l’aver bisogno gli uni degli altri».[2]

Il contesto attuale chiama tutti noi a investire sulle relazioni, ad affermare anche nella rete e attraverso la rete il carattere interpersonale della nostra umanità. A maggior ragione noi cristiani siamo chiamati a manifestare quella comunione che segna la nostra identità di credenti. La fede stessa, infatti, è una relazione, un incontro; e sotto la spinta dell’amore di Dio noi possiamo comunicare, accogliere e comprendere il dono dell’altro e corrispondervi.

È proprio la comunione a immagine della Trinità che distingue la persona dall’individuo. Dalla fede in un Dio che è Trinità consegue che per essere me stesso ho bisogno dell’altro. Sono veramente umano, veramente personale, solo se mi relaziono agli altri. Il termine persona denota infatti l’essere umano come “volto”, rivolto verso l’altro, coinvolto con gli altri. La nostra vita cresce in umanità col passare dal carattere individuale a quello personale; l’autentico cammino di umanizzazione va dall’individuo che percepisce l’altro come rivale, alla persona che lo riconosce come compagno di viaggio.

Dal “like” all’“amen

L’immagine del corpo e delle membra ci ricorda che l’uso del social web è complementare all’incontro in carne e ossa, che vive attraverso il corpo, il cuore, gli occhi, lo sguardo, il respiro dell’altro. Se la rete è usata come prolungamento o come attesa di tale incontro, allora non tradisce se stessa e rimane una risorsa per la comunione. Se una famiglia usa la rete per essere più collegata, per poi incontrarsi a tavola e guardarsi negli occhi, allora è una risorsa. Se una comunità ecclesiale coordina la propria attività attraverso la rete, per poi celebrare l’Eucaristia insieme, allora è una risorsa. Se la rete è occasione per avvicinarmi a storie ed esperienze di bellezza o di sofferenza fisicamente lontane da me, per pregare insieme e insieme cercare il bene nella riscoperta di ciò che ci unisce, allora è una risorsa.

Così possiamo passare dalla diagnosi alla terapia: aprendo la strada al dialogo, all’incontro, al sorriso, alla carezza… Questa è la rete che vogliamo. Una rete non fatta per intrappolare, ma per liberare, per custodire una comunione di persone libere. La Chiesa stessa è una rete tessuta dalla comunione eucaristica, dove l’unione non si fonda sui “like”, ma sulla verità, sull’“amen”, con cui ognuno aderisce al Corpo di Cristo, accogliendo gli altri.

Dal Vaticano, 24 gennaio 2019, Memoria di San Francesco di Sales

FRANCISCUS

_______________________

[1] Per arginare questo fenomeno sarà istituito un Osservatorio internazionale sul cyberbullismo con sede in Vaticano.

[2] Regole ampie, III, 1: PG 31, 917°; cfr Benedetto XVI, Messaggio per la 43° Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali (2009).

[00134-IT.01] [Testo originale: Italiano]

 

Traduzione in lingua francese

«Nous sommes membres les uns des autres» (Ép. 4,25).

Des communautés de réseaux sociaux à la communauté humaine

Chers frères et sœurs,

depuis l’avènement de l'Internet, l'Église a toujours cherché à en promouvoir l’utilisation au service de la rencontre entre les personnes et de la solidarité entre tous. Avec ce Message, je voudrais vous inviter une fois de plus à réfléchir sur le fondement et l'importance de notre être-en-relation et à redécouvrir, dans l'immensité des défis du contexte actuel de la communication, le désir de l'homme qui ne veut pas rester dans sa solitude.

Les métaphores du “réseau” et de la “communauté

L’environnement des médias est aujourd'hui tellement envahissant qu'on ne peut le distinguer de la sphère de la vie quotidienne. Le réseau est un atout de notre temps. C'est une source de connaissances et de relations naguère impensables. De nombreux experts, cependant, à propos des transformations profondes imprimées par la technologie aux logiques de production, de circulation et d’utilisation des contenus, soulignent également les risques qui menacent la recherche et le partage d'une information authentique à l’échelle globale. Si l'Internet représente une possibilité extraordinaire d'accès au savoir, il est également vrai qu'il s'est avéré l'un des lieux les plus exposés à la désinformation et à la distorsion consciente et ciblée des faits et des relations interpersonnelles, qui souvent prennent la forme de discrédit.

Il faut reconnaître que les réseaux sociaux, s’ils servent d’une part à nous relier davantage, à nous permettre de nous retrouver et de nous entraider, de l'autre ils se prêtent aussi à une manipulation de données personnelles, visant à obtenir des avantages politiques ou économiques, sans le respect dû à la personne et à ses droits. Parmi les plus jeunes, les statistiques révèlent qu'un sur quatre est mêlé à des épisodes de cyber-harcèlement. [1]

Dans la complexité de ce contexte, il peut être utile de réfléchir à nouveau sur la métaphore du réseau mis initialement à la base de l'Internet, pour en redécouvrir le potentiel positif. L’image du réseau nous invite à réfléchir sur la multiplicité des parcours et des nœuds qui en assurent la solidité, en l'absence d'un centre, d'une structure hiérarchique, d'une organisation de type vertical. Le réseau fonctionne grâce à la coparticipation de tous les éléments.

Ramenée à la dimension anthropologique, la métaphore du réseau rappelle une autre figure riche de significations: celle de la communauté. Une communauté est d'autant plus forte qu'elle est cohésive et solidaire, animée par des sentiments de confiance et poursuivant des objectifs partagés. La communauté comme réseau solidaire requiert l'écoute mutuelle et le dialogue, basé sur l'utilisation responsable du langage.

Il est évident pour tous que, dans le contexte actuel, la communauté des réseaux sociaux n'est pas automatiquement synonyme de communauté. Dans le meilleur des cas, les communautés réussissent à montrer cohésion et solidarité, mais elles ne restent souvent que des agrégats d’individus qui se reconnaissent autour d'intérêts ou d'arguments caractérisés par des liens faibles. En outre, dans le Web social trop souvent l'identité est basée sur l'opposition à l'autre, à l'étranger au groupe: on se définit à partir de ce qui divise plutôt que de ce qui unit, laissant cours à la suspicion et à l'explosion de toute sorte de préjugés (ethniques, sexuels, religieux et autres). Cette tendance alimente des groupes qui excluent l'hétérogénéité, qui nourrissent, également dans l'environnement numérique, un individualisme effréné qui finit parfois par fomenter des spirales de haine. Ce qui devrait être une fenêtre sur le monde devient ainsi une vitrine dans laquelle exhiber le propre narcissisme.

Le réseau est une occasion pour promouvoir la rencontre avec les autres, mais il peut également renforcer notre auto-isolement, telle une toile d’araignée susceptible de piéger. Les enfants se trouvent les plus exposés à l'illusion que le Web social puisse pleinement les satisfaire au plan relationnel, jusqu'au phénomène dangereux des jeunes « ermites sociaux » qui courent le risque de se rendre complètement étranger à la société. Cette dynamique dramatique révèle une faille sérieuse dans le tissu relationnel de la société, une lacération que nous ne pouvons ignorer.

Cette réalité multidimensionnelle et insidieuse pose diverses questions de caractère éthique, sociale, juridique, politique, économique, et interpelle aussi l'Église. Tandis que les gouvernements cherchent des voies de réglementation légale pour sauver la vision originelle d'un réseau libre, ouvert et sécurisé, nous avons tous la possibilité et la responsabilité d’en favoriser une utilisation positive.

Il est clair qu'il ne suffit pas de multiplier les connexions pour faire augmenter également la compréhension mutuelle. Comment retrouver, par conséquent, la vraie identité communautaire en ayant conscience de la responsabilité que nous avons les uns envers les autres aussi sur le réseau en ligne ?

“Nous sommes membres les uns des autres”

Une réponse possible peut être esquissée à partir d'une troisième métaphore, celle du corps et des membres, que Saint Paul utilise pour parler de la relation de réciprocité entre les personnes, fondée dans un organisme qui les unit. « Débarrassez-vous donc du mensonge, et dites la vérité, chacun à son prochain, parce que nous sommes membres les uns des autres. » (Ep 4,25). Être membres les uns des autres est la motivation profonde avec laquelle l'Apôtre exhorte à se débarrasser du mensonge et à dire la vérité: l'obligation de garder la vérité découle de la nécessité de ne pas nier la relation réciproque de la communion. La vérité, en fait, se révèle dans la communion. Le mensonge au contraire est un refus égoïste de reconnaître la propre appartenance au corps; c'est le refus de se donner aux autres, perdant ainsi la seule voie de se retrouver soi-même.

La métaphore du corps et des membres nous amène à réfléchir sur notre identité, qui est basée sur la communion et sur l'altérité. Comme chrétiens, nous nous reconnaissons tous membres de l’unique corps dont le Christ est la tête. Cela nous aide à ne pas voir les personnes comme des concurrents potentiels, mais à considérer même les ennemis comme des personnes. Il n’y a plus besoin de l'adversaire pour se définir soi-même, parce que le regard d'inclusion que nous apprenons du Christ nous fait découvrir l'altérité d'une nouvelle manière, comme partie intégrante et condition de la relation et de la proximité.

Une telle capacité de compréhension et de communication entre les personnes humaines a son fondement dans la communion de l'amour entre les Personnes divines. Dieu n'est pas Solitude, mais Communion; Dieu est Amour, et donc communication, parce que l'amour communique toujours, et bien plus se communique soi-même pour rencontrer l'autre. Pour communiquer avec nous et pour se communiquer à nous Dieu s'adapte à notre langage, établissant dans l’histoire un véritable dialogue avec l'humanité (cf. Conc. Vat. II, Const. dogm. Dei Verbum, 2).

En vertu de notre être créé à l'image et à la ressemblance de Dieu qui est communion et communication-de-soi, nous portons toujours dans le cœur la nostalgie de vivre en communion, d'appartenir à une communauté. «Rien, en fait – affirme Saint Basile –, n’est plus conforme à notre nature que de nous fréquenter mutuellement, d’avoir besoin les uns des autres ».[2]

Le contexte actuel nous appelle tous à investir dans les relations, à affirmer aussi sur le réseau et à travers le réseau le caractère interpersonnel de notre humanité. À plus forte raison nous, chrétiens, sommes appelés à manifester cette communion qui est la marque de notre identité de croyants. La foi elle-même, en fait, est une relation, une rencontre; et sous la poussée de l'amour de Dieu, nous pouvons communiquer, accueillir et comprendre le don de l'autre et y correspondre.

C'est la communion à l'image de la Trinité qui distingue la personne de l'individu. De la foi en un Dieu qui est Trinité, il découle que, pour être moi-même, j'ai besoin de l'autre. Je suis vraiment humain, vraiment personnel, seulement si je me mets en relation avec les autres. Le terme de personne désigne en fait l'être humain comme « visage », face à l'autre, engagé avec les autres. Notre vie grandit en humanité avec le passage du caractère individuel à celui personnel; l’authentique chemin d'humanisation va de l'individu qui perçoit l'autre comme un rival, à la personne qui le reconnaît comme un compagnon de voyage.

Du “j’aime” à l’“Amen

L'image du corps et des membres nous rappelle que l'utilisation du Web social est complémentaire de la rencontre en chair et en os, qui vit à travers le corps, le cœur, les yeux, le regard, le souffle de l'autre. Si le réseau est utilisé comme une extension ou comme une attente d'une telle rencontre, alors il ne se trahit pas et demeure une ressource pour la communion. Si une famille utilise le réseau pour être plus connectée, pour ensuite se réunir à table et se regarder dans les yeux, alors c'est une ressource. Si une communauté ecclésiale coordonne sa propre activité à travers le réseau, pour ensuite célébrer l'Eucharistie ensemble, alors c'est une ressource. Si le réseau est une occasion pour se rapprocher des histoires et des expériences de beauté ou de souffrance physiquement loin de moi, pour prier ensemble et ensemble chercher le bien dans la redécouverte de ce qui nous unit, alors c'est une ressource.

Ainsi, nous pouvons passer du diagnostic à la thérapie: en ouvrant le chemin au dialogue, à la rencontre, au sourire, à la caresse... Ceci est le réseau que nous voulons. Un réseau qui n’est pas fait pour piéger, mais pour libérer, pour prendre soin de la communion entre des personnes libres. L'Église elle-même est un réseau tissé par la communion eucharistique, où l'union n'est pas fondée sur "j’aime", mais sur la vérité, sur l’“Amen”, avec lequel chacun adhère au Corps du Christ en accueillant les autres.

Du Vatican, le 24 janvier 2019, Mémoire de Saint François de Sales

FRANCISCUS

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[1] Pour endiguer ce phénomène un Observatoire international sur le cyber-harcèlement sera créé, avec son siège au Vatican.

[2] Les Grandes Règles, III, 1: PG 31, 917; cf. Benoit XVI, Message pour la 43ème Journée mondiale des Communications Sociales (2009).

[00134-FR.01] [Texte original: Italien]

Traduzione in lingua inglese

«We are members one of another» (Eph 4:25).

From social network communities to the human community

Dear Brothers and Sisters,

Ever since the internet first became available, the Church has always sought to promote its use in the service of the encounter between persons, and of solidarity among all. With this Message, I would like to invite you once again to reflect on the foundation and importance of our being-in-relation and to rediscover, in the vast array of challenges of the current communications context, the desire of the human person who does not want to be left isolated and alone.

The metaphors of the net and community

Today’s media environment is so pervasive as to be indistinguishable from the sphere of everyday life. The Net is a resource of our time. It is a source of knowledge and relationships that were once unthinkable. However, in terms of the profound transformations technology has brought to bear on the process of production, distribution and use of content, many experts also highlight the risks that threaten the search for, and sharing of, authentic information on a global scale. If the Internet represents an extraordinary possibility of access to knowledge, it is also true that it has proven to be one of the areas most exposed to disinformation and to the conscious and targeted distortion of facts and interpersonal relationships, which are often used to discredit.

We need to recognize how social networks, on the one hand, help us to better connect, rediscover, and assist one another, but on the other, lend themselves to the manipulation of personal data, aimed at obtaining political or economic advantages, without due respect for the person and his or her rights. Statistics show that among young people one in four is involved in episodes of cyberbullying. [1]

In this complex scenario, it may be useful to reflect again on the metaphor of the net, which was the basis of the Internet to begin with, to rediscover its positive potential. The image of the net invites us to reflect on the multiplicity of lines and intersections that ensure its stability in the absence of a centre, a hierarchical structure, a form of vertical organization. The networks because all its elements share responsibility.

From an anthropological point of view, the metaphor of the net recalls another meaningful image: the community. A community is that much stronger if it is cohesive and supportive, if it is animated by feelings of trust, and pursues common objectives. The community as a network of solidarity requires mutual listening and dialogue, based on the responsible use of language.

Everyone can see how, in the present scenario, social network communities are not automatically synonymous with community. In the best cases, these virtual communities are able to demonstrate cohesion and solidarity, but often they remain simply groups of individuals who recognize one another through common interests or concerns characterized by weak bonds. Moreover, in the social web identity is too often based on opposition to the other, the person outside the group: we define ourselves starting with what divides us rather than with what unites us, giving rise to suspicion and to the venting of every kind of prejudice (ethnic, sexual, religious and other). This tendency encourages groups that exclude diversity, that even in the digital environment nourish unbridled individualism which sometimes ends up fomenting spirals of hatred. In this way, what ought to be a window on the world becomes a showcase for exhibiting personal narcissism.

The Net is an opportunity to promote encounter with others, but it can also increase our self-isolation, like a web that can entrap us. Young people are the ones most exposed to the illusion that the social web can completely satisfy them on a relational level. There is the dangerous phenomenon of young people becoming “social hermits” who risk alienating themselves completely from society. This dramatic situation reveals a serious rupture in the relational fabric of society, one we cannot ignore.

This multiform and dangerous reality raises various questions of an ethical, social, juridical, political and economic nature, and challenges the Church as well. While governments seek legal ways to regulate the web and to protect the original vision of a free, open and secure network, we all have the possibility and the responsibility to promote its positive use.

Clearly, it is not enough to multiply connections in order to increase mutual understanding. How, then, can we find our true communitarian identity, aware of the responsibility we have towards one another in the online network as well?

“We are members one of another”

A possible answer can be drawn from a third metaphor: that of the body and the members, which Saint Paul uses to describe the reciprocal relationship among people, based on the organism that unites them. “Therefore, putting away falsehood, speak the truth, each to his neighbour, for we are members one of another” (Eph 4:25). Being members one of another is the profound motivation with which the Apostle invites us to put away falsehood and speak the truth: the duty to guard the truth springs from the need not to belie the mutual relationship of communion. Truth is revealed in communion. Lies, on the other hand, are a selfish refusal to recognize that we are members of one body; they are a refusal to give ourselves to others, thus losing the only way to find ourselves.

The metaphor of the body and the members leads us to reflect on our identity, which is based on communion and on “otherness”. As Christians, we all recognize ourselves as members of the one body whose head is Christ. This helps us not to see people as potential competitors, but to consider even our enemies as persons. We no longer need an adversary in order to define ourselves, because the all-encompassing gaze we learn from Christ leads us to discover otherness in a new way, as an integral part and condition of relationship and closeness.

Such a capacity for understanding and communication among human persons is based on the communion of love among the divine Persons. God is not Solitude, but Communion; he is Love, and therefore communication, because love always communicates; indeed, it communicates itself in order to encounter the other. In order to communicate with us and to communicate himself to us, God adapts himself to our language, establishing a real dialogue with humanity throughout history (cf. Second Vatican Ecumenical Council, Dogmatic Constitution Dei Verbum, 2).

By virtue of our being created in the image and likeness of God who is communion and communication-of-Self, we carry forever in our hearts the longing for living in communion, for belonging to a community. “Nothing, in fact, is as specific to our nature as entering into a relationship one with another, having need of one another,” says Saint Basil.[2]

The present context calls on all of us to invest in relationships, and to affirm the interpersonal nature of our humanity, including in and through the network. All the more so, we Christians are called to manifest that communion which marks our identity as believers. Faith itself, in fact, is a relationship, an encounter; and under the impetus of God’s love, we can communicate, welcome and understand the gift of the other and respond to it.

Communion in the image of the Trinity is precisely what distinguishes the person from the individual. From faith in God who is Trinity, it follows that in order to be myself I need others. I am truly human, truly personal, only if I relate to others. In fact, the word “person” signifies the human being as a “face”, whose face is turned towards the other, who is engaged with others. Our life becomes more human insofar as its nature becomes less individual and more personal; we see this authentic path of becoming more human in one who moves from being an individual who perceives the other as a rival, to a person who recognizes others as travelling companions.

From a “like” to an “amen

The image of the body and the members reminds us that the use of the social web is complementary to an encounter in the flesh that comes alive through the body, heart, eyes, gaze, breath of the other. If the Net is used as an extension or expectation of such an encounter, then the network concept is not betrayed and remains a resource for communion. If a family uses the Net to be more connected, to then meet at table and look into each other’s eyes, then it is a resource. If a Church community coordinates its activity through the network, and then celebrates the Eucharist together, then it is a resource. If the Net becomes an opportunity to share stories and experiences of beauty or suffering that are physically distant from us, in order to pray together and together seek out the good to rediscover what unites us, then it is a resource.

We can, in this way, move from diagnosis to treatment: opening the way for dialogue, for encounter, for “smiles” and expressions of tenderness... This is the network we want, a network created not to entrap, but to liberate, to protect a communion of people who are free. The Church herself is a network woven together by Eucharistic communion, where unity is based not on “likes”, but on the truth, on the “Amen”, by which each one clings to the Body of Christ, and welcomes others.

From the Vatican, 24 January 2019, the Memorial of Saint Francis de Sales

FRANCISCUS

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[1] To stem this phenomenon, an International Observatory for Cyberbullying Prevention will be established with its headquarters in the Vatican.

[2] Detailed Rule for Monks, III, 1: PG 31, 917; cf. Benedict XVI, Message for the 43rd World Communications Day (2009).

[00134-EN.01] [Original text: Italian]

 

Traduzione in lingua tedesca

«Denn wir sind als Glieder miteinander verbunden» (Eph 4,25).

Von den Social Network Communities zur menschlichen Gemeinschaft

Liebe Brüder und Schwestern,

seit es das Internet gibt, hat sich die Kirche immer dafür eingesetzt, es in den Dienst der zwischenmenschlichen Begegnung und allumfassender Solidarität zu stellen. Mit dieser Botschaft möchte ich Sie nochmals einladen, über das Fundament und die Bedeutung unseres In-Beziehung-Seins nachzudenken und bei all den Herausforderungen des gegenwärtigen kommunikativen Kontextes den Wunsch des Menschen, der nicht in seiner Einsamkeit bleiben will, neu zu entdecken.

Die Metaphern „Netz“ und „Gemeinschaft“

Die Medienwelt ist heute so allgegenwärtig, dass sie sich nicht mehr von der Alltagswelt trennen lässt. Das Internet ist eine Ressource unserer Zeit. Es ist eine Quelle von Wissen und Beziehungen, die einst unvorstellbar waren. Viele Experten jedoch weisen angesichts der tiefgreifenden Veränderungen, die die Technologie für die Logik der Produktion, Verbreitung und Nutzung von Inhalten mit sich bringt, auch auf die Risiken hin, die die Suche nach und den Austausch von authentischen Informationen auf globaler Ebene bedrohen. Wenn das Internet auch eine außerordentliche Möglichkeit des Zugangs zu Wissen darstellt, so ist es zugleich ein Ort, der in besonderer Weise anfällig ist für Desinformation und eine bewusste und gezielte Deformierung von Fakten und zwischenmenschlichen Beziehungen, die oft diskreditierende Züge annehmen.

Es muss anerkannt werden, dass die sozialen Netzwerke, obwohl sie einerseits dazu dienen, uns mehr zu verbinden, uns zueinander zu bringen und einander zu helfen, andererseits aber auch eine manipulative Nutzung personenbezogener Daten ermöglichen, um politische oder wirtschaftliche Vorteile zu erlangen, wobei der gebührende Respekt vor dem Menschen und seinen Rechten oft außen vor bleibt. Verschiedene Statistiken machen deutlich, dass jeder vierte Heranwachsende mit Cybermobbing zu tun hat.1

In der Komplexität dieses Szenarios mag es nützlich sein, nochmals über die dem Internet ursprünglich zugrundeliegende Metapher des Netzes nachzudenken, um sein positives Potenzial wieder neu zu entdecken. Die Gestalt des Netzes lädt uns ein, über die Vielzahl von Verbindungslinien und Knoten nachzudenken, die seine Stabilität ohne Zentrum und ohne hierarchische oder vertikale Organisationsstruktur sicherstellen. Das Netz funktioniert dank der gleichmäßigen Beteiligung aller Elemente.

Bezogen auf ihre anthropologische Dimension, erinnert die Metapher des Netzes an ein weiteres bedeutungsvolles Gebilde, nämlich das der Gemeinschaft. Die Stärke einer Gemeinschaft hängt davon ab, wie kohäsiv und solidarisch sie ist, und davon, wie sehr in ihr ein Gefühl des Vertrauens herrscht und wie sehr sie gemeinsame Ziele verfolgt. Die Gemeinschaft als Netz der Solidarität erfordert gegenseitiges Zuhören und einen Dialog, der auf einem verantwortungsvollen Umgang mit der Sprache basiert.

So, wie es sich momentan darstellt, ist jedem klar, dass Social Network Community nicht automatisch dasselbe bedeutet wie Gemeinschaft. Im besten Fall können solche Communities Zusammenhalt und Solidarität vorweisen, oft aber sind sie nur Ansammlungen von Individuen, die sich um Interessen oder Themen herum bilden und für die eine schwache Bindung der Einzelnen charakteristisch ist. Außerdem basiert die Identität in den sozialen Netzwerken zu oft auf Abgrenzung gegenüber anderen, gegenüber denen, die nicht zur Gruppe gehören. Man definiert sich über das, was trennt, und nicht über das, was eint. Damit schafft man eine Plattform für Verdächtigungen und die Äußerung aller Arten von Vorurteilen (ethnische, sexuelle, religiöse und andere). Dieser Trend ist ein Nährboden für Gruppierungen, die Heterogenität ausschließen und auch im digitalen Bereich einen ungezügelten Individualismus nähren, ja manchmal sogar regelrechte Lawinen des Hasses lostreten. Das, was ein Fenster zur Welt sein sollte, wird so zu einem Schaufenster, in dem man den eigenen Narzissmus zur Schau stellt.

Das Internet ist eine Gelegenheit, die Begegnung mit anderen zu fördern, es kann uns aber auch immer tiefer in die Selbstisolation führen und wie das Netz einer Spinne zur Falle werden. Besonders junge Menschen sind anfällig für die Illusion, dass die Sozialen Netzwerke ihnen in Sachen Beziehungen alles geben könnten, was sie brauchen. Dass kann schließlich sogar zum gefährlichen Phänomen jugendlicher „Sozialeremiten“ führen, die Gefahr laufen, sich völlig von der Gesellschaft zu entfremden. Diese dramatische Dynamik offenbart einen schweren Riss im Beziehungsgefüge der Gesellschaft, einen Riss, den wir nicht ignorieren können.

 Diese vielgestaltige und tückische Realität wirft verschiedene Fragen ethischer, sozialer, rechtlicher, politischer und wirtschaftlicher Natur auf und ist auch eine Anfrage an die Kirche. Während die Regierungen nach rechtlichen Regulierungsmaßnahmen suchen, um die ursprüngliche Vision eines freien, offenen und sicheren Netzes zu bewahren, haben wir alle die Möglichkeit und die Verantwortung, eine positive Nutzung des Internets zu fördern.

 Es ist klar, dass die Multiplikation von Verbindungen nicht ausreicht, um ein gegenseitiges Verständnis zu fördern. Wie aber können wir, im Bewusstsein, dass wir auch im Internet eine Verantwortung füreinander haben, unsere wahre gemeinschaftliche Identität finden?

„Wir sind als Glieder miteinander verbunden“

Eine mögliche Antwort kann ausgehend von einer dritten Metapher skizziert werden, von der Metapher des Leibes und seiner Glieder, mit deren Hilfe der heilige Paulus das Verhältnis der Gegenseitigkeit zwischen den Menschen beschreibt, das in einem Organismus begründet liegt, der sie vereint. »Legt deshalb die Lüge ab und redet die Wahrheit, jeder mit seinem Nächsten; denn wir sind als Glieder miteinander verbunden« (Eph 4,25). Das Als-Glieder-miteinander-verbunden-sein ist die tiefe Motivation, mit der der Apostel uns auffordert, die Lüge abzulegen und die Wahrheit zu sagen: Die Verpflichtung zur Bewahrung der Wahrheit ergibt sich aus der Notwendigkeit, das gegenseitige Gemeinschaftsverhältnis nicht zu leugnen. Tatsächlich offenbart sich die Wahrheit in der Gemeinschaft. Die Lüge hingegen besteht in der egoistischen Weigerung, die eigene Zugehörigkeit zum Leib anzuerkennen und in der Weigerung, sich anderen hinzugeben, womit man jedoch auch den einzigen Weg der Selbstfindung verliert.

Die Metapher des Leibes und seiner Glieder lässt uns über unsere Identität nachdenken, die auf Gemeinschaft und Verschiedenheit basiert. Als Christen verstehen wir uns alle als Glieder des einen Leibes, dessen Haupt Christus ist. Das hilft uns, andere Menschen nicht als potenzielle Konkurrenten zu sehen, sondern auch unsere Feinde als Mitmenschen zu betrachten. Dann müssen wir uns nicht länger über einen Gegner definieren, denn aus der Perspektive der Inklusion, die wir von Christus lernen, können wir das Anderssein neu entdecken, nämlich als integralen Bestandteil und Bedingung für Beziehung und Nähe.

Diese Fähigkeit zum Verständnis und zur zwischenmenschlichen Kommunikation hat ihre Grundlage in der Liebesgemeinschaft der göttlichen Personen. Gott ist nicht Einsamkeit, sondern Gemeinschaft; er ist Liebe und damit Kommunikation, denn die Liebe kommuniziert immer, ja sie kommuniziert sich selbst, um dem anderen zu begegnen. Um mit uns zu kommunizieren und sich uns mitzuteilen, passt Gott sich unserer Sprache an und begründet in der Geschichte einen echten Dialog mit der Menschheit (vgl. Zweites Vatikanisches Konzil, Dogmatische Konstitution Dei Verbum, 2).

Weil wir als Ebenbilder Gottes geschaffen sind, der Gemeinschaft und Mitteilung seiner selbst ist, tragen wir immer ein gewisses Heimweh nach einem Leben in Gemeinschaft und nach Zugehörigkeit zu einer Gemeinschaft im Herzen. »Denn Nichts ist unserer Natur so eigentümlich wie dieses, dass wir gesellig miteinander leben und einander bedürfen«, sagt der heilige Basilius.2

Der aktuelle Kontext fordert uns alle auf, in Beziehungen zu investieren und auch im Internet und durch das Internet den zwischenmenschlichen Charakter unseres Menschseins zu bekräftigen. Noch mehr sind wir Christen aufgerufen, jene Gemeinschaft sichtbar werden zu lassen, die unsere Identität als Gläubige kennzeichnet. Der Glaube ist schließlich selbst Beziehung und Begegnung. Unter dem Einfluss der Liebe Gottes können wir das Geschenk, das der Andere ist, mitteilen, annehmen, verstehen und darauf reagieren.

Gerade die Gemeinschaft nach dem Bild der Dreifaltigkeit unterscheidet die Person vom Individuum. Aus dem Glauben an einen Gott, der dreifaltig ist, folgt, dass ich den anderen brauche, um ich selbst sein zu können. Ich bin nur dann wirklich Mensch, wirklich Person, wenn ich mit anderen in Beziehung trete. Der Begriff Person bezeichnet den Menschen als „Gesicht“, das dem anderen zugewandt ist und mit den anderen interagiert. Mit dem Übergang von der Individualität zur Personalität gewinnt unser Leben an Menschlichkeit. Der wahre Weg der Menschwerdung führt vom Individuum, das den anderen als Rivalen wahrnimmt, zur Person, der ihn als Weggefährten anerkennt.

Vom „Like“ zum „Amen“

            Das Bild des Leibes und seiner Glieder erinnert uns daran, dass die Nutzung der sozialen Netzwerke eine Ergänzung zur leibhaftigen Begegnung ist, die sich durch den Körper, das Herz, die Augen, den Blick, und den Atem des anderen verwirklicht. Wenn das Netz zur Erweiterung oder in Erwartung einer solchen Begegnung genutzt wird, entspricht es seinem eigentlichen Wesen und bleibt eine Ressource für die Gemeinschaft. Wenn eine Familie das Internet nutzt, um besser verbunden zu sein, und sich dann an einen Tisch setzt und sich gegenseitig in die Augen schaut, dann ist es eine Ressource. Wenn eine kirchliche Gemeinschaft ihre Aktivitäten durch das Internet koordiniert und dann gemeinsam Eucharistie feiert, dann ist es eine Ressource. Wenn das Netz einem die schönen oder leidvollen Ereignisse und Erfahrungen anderer nahebringt, wenn es uns hilft gemeinsam zu beten und das Gute wiederzuentdecken in dem, was uns verbindet, dann ist es eine Ressource.

            So können wir von der Diagnose zur Therapie übergehen, indem wir den Weg öffnen zum Dialog, zur Begegnung, zum Lächeln, zu liebevollen Gesten... Das ist das Netz, das wir wollen. Ein Netz, das nicht als Falle genutzt wird, sondern der Freiheit und dem Schutz einer Gemeinschaft freier Menschen dient. Die Kirche selbst ist ein von der eucharistischen Gemeinschaft geknüpftes Netz, wo die Einheit nicht auf „Likes“, sondern auf der Wahrheit, auf dem „Amen“ beruht, mit dem jeder seine Zugehörigkeit zum Leib Christi zum Ausdruck bringt und die anderen annimmt.

            Aus dem Vatikan, am 24. Januar 2019, dem Gedenktag des hl. Franz von Sales

FRANCISCUS

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1 Um dieses Phänomen einzudämmen wird eine Internationale Beobachtungsstelle für Cybermobbing mit Sitz im Vatikan eingerichtet.

2 Vgl. Ausführliche Regeln (Regulae fusius tractatae), III, 1; vgl. Benedikt XVI., Botschaft zum 43. Welttag der sozialen Kommunikationsmittel (2009).

[00134-DE.01] [Originalsprache: Italienisch]

 

Traduzione in lingua spagnola

«Somos miembros unos de otros» (Ef 4,25).

De las comunidades en las redes sociales a la comunidad humana

Queridos hermanos y hermanas:

Desde que internet ha estado disponible, la Iglesia siempre ha intentado promover su uso al servicio del encuentro entre las personas y de la solidaridad entre todos. Con este Mensaje, quisiera invitarles una vez más a reflexionar sobre el fundamento y la importancia de nuestro estar-en-relación; y a redescubrir, en la vastedad de los desafíos del contexto comunicativo actual, el deseo del hombre que no quiere permanecer en su propia soledad.

Las metáforas de la “red” y de la “comunidad

El ambiente mediático es hoy tan omnipresente que resulta muy difícil distinguirlo de la esfera de la vida cotidiana. La red es un recurso de nuestro tiempo. Constituye una fuente de conocimientos y de relaciones hasta hace poco inimaginable. Sin embargo, a causa de las profundas transformaciones que la tecnología ha impreso en las lógicas de producción, circulación y disfrute de los contenidos, numerosos expertos han subrayado los riesgos que amenazan la búsqueda y la posibilidad de compartir una información auténtica a escala global. Internet representa una posibilidad extraordinaria de acceso al saber; pero también es cierto que se ha manifestado como uno de los lugares más expuestos a la desinformación y a la distorsión consciente y planificada de los hechos y de las relaciones interpersonales, que a menudo asumen la forma del descrédito.

Hay que reconocer que, por un lado, las redes sociales sirven para que estemos más en contacto, nos encontremos y ayudemos los unos a los otros; pero por otro, se prestan también a un uso manipulador de los datos personales con la finalidad de obtener ventajas políticas y económicas, sin el respeto debido a la persona y a sus derechos. Entre los más jóvenes, las estadísticas revelan que uno de cada cuatro chicos se ha visto envuelto en episodios de acoso cibernético. [1]

Ante la complejidad de este escenario, puede ser útil volver a reflexionar sobre la metáfora de la red que fue propuesta al principio como fundamento de internet, para redescubrir sus potencialidades positivas. La figura de la red nos invita a reflexionar sobre la multiplicidad de recorridos y nudos que aseguran su resistencia sin que haya un centro, una estructura de tipo jerárquico, una organización de tipo vertical. La red funciona gracias a la coparticipación de todos los elementos.

La metáfora de la red, trasladada a la dimensión antropológica, nos recuerda otra figura llena de significados: la comunidad. Cuanto más cohesionada y solidaria es una comunidad, cuanto más está animada por sentimientos de confianza y persigue objetivos compartidos, mayor es su fuerza. La comunidad como red solidaria precisa de la escucha recíproca y del diálogo basado en el uso responsable del lenguaje.

Es evidente que, en el escenario actual, la social network community no es automáticamente sinónimo de comunidad. En el mejor de los casos, las comunidades de las redes sociales consiguen dar prueba de cohesión y solidaridad; pero a menudo se quedan solamente en agregaciones de individuos que se agrupan en torno a intereses o temas caracterizados por vínculos débiles. Además, la identidad en las redes sociales se basa demasiadas veces en la contraposición frente al otro, frente al que no pertenece al grupo: este se define a partir de lo que divide en lugar de lo que une, dejando espacio a la sospecha y a la explosión de todo tipo de prejuicios (étnicos, sexuales, religiosos y otros). Esta tendencia alimenta grupos que excluyen la heterogeneidad, que favorecen, también en el ambiente digital, un individualismo desenfrenado, terminando a veces por fomentar espirales de odio. Lo que debería ser una ventana abierta al mundo se convierte así en un escaparate en el que exhibir el propio narcisismo.

La red constituye una ocasión para favorecer el encuentro con los demás, pero puede también potenciar nuestro autoaislamiento, como una telaraña que atrapa. Los jóvenes son los más expuestos a la ilusión de pensar que las redes sociales satisfacen completamente en el plano relacional; se llega así al peligroso fenómeno de los jóvenes que se convierten en “ermitaños sociales”, con el consiguiente riesgo de apartarse completamente de la sociedad. Esta dramática dinámica pone de manifiesto un grave desgarro en el tejido relacional de la sociedad, una laceración que no podemos ignorar.

Esta realidad multiforme e insidiosa plantea diversas cuestiones de carácter ético, social, jurídico, político y económico; e interpela también a la Iglesia. Mientras los gobiernos buscan vías de reglamentación legal para salvar la visión original de una red libre, abierta y segura, todos tenemos la posibilidad y la responsabilidad de favorecer su uso positivo.

Está claro que no basta con multiplicar las conexiones para que aumente la comprensión recíproca. ¿Cómo reencontrar la verdadera identidad comunitaria siendo conscientes de la responsabilidad que tenemos unos con otros también en la red?

“Somos miembros unos de otros”

Se puede esbozar una posible respuesta a partir de una tercera metáfora, la del cuerpo y los miembros, que san Pablo usa para hablar de la relación de reciprocidad entre las personas, fundada en un organismo que las une. «Por lo tanto, dejaos de mentiras, y hable cada uno con verdad a su prójimo, que somos miembros unos de otros» (Ef 4,25). El ser miembros unos de otros es la motivación profunda con la que el Apóstol exhorta a abandonar la mentira y a decir la verdad: la obligación de custodiar la verdad nace de la exigencia de no desmentir la recíproca relación de comunión. De hecho, la verdad se revela en la comunión. En cambio, la mentira es el rechazo egoísta del reconocimiento de la propia pertenencia al cuerpo; es el no querer donarse a los demás, perdiendo así la única vía para encontrarse a uno mismo.

La metáfora del cuerpo y los miembros nos lleva a reflexionar sobre nuestra identidad, que está fundada en la comunión y la alteridad. Como cristianos, todos nos reconocemos miembros del único cuerpo del que Cristo es la cabeza. Esto nos ayuda a ver a las personas no como competidores potenciales, sino a considerar incluso a los enemigos como personas. Ya no hay necesidad del adversario para autodefinirse, porque la mirada de inclusión que aprendemos de Cristo nos hace descubrir la alteridad de un modo nuevo, como parte integrante y condición de la relación y de la proximidad.

Esta capacidad de comprensión y de comunicación entre las personas humanas tiene su fundamento en la comunión de amor entre las Personas divinas. Dios no es soledad, sino comunión; es amor, y, por ello, comunicación, porque el amor siempre comunica, es más, se comunica a sí mismo para encontrar al otro. Para comunicar con nosotros y para comunicarse a nosotros, Dios se adapta a nuestro lenguaje, estableciendo en la historia un verdadero diálogo con la humanidad (cf. Conc. Ecum. Vat. II, Const. dogm. Dei Verbum, 2).

En virtud de nuestro ser creados a imagen y semejanza de Dios, que es comunión y comunicación-de-sí, llevamos siempre en el corazón la nostalgia de vivir en comunión, de pertenecer a una comunidad. «Nada es tan específico de nuestra naturaleza –afirma san Basilio– como el entrar en relación unos con otros, el tener necesidad unos de otros».[2]

El contexto actual nos llama a todos a invertir en las relaciones, a afirmar también en la red y mediante la red el carácter interpersonal de nuestra humanidad. Los cristianos estamos llamados con mayor razón, a manifestar esa comunión que define nuestra identidad de creyentes. Efectivamente, la fe misma es una relación, un encuentro; y mediante el impulso del amor de Dios podemos comunicar, acoger, comprender y corresponder al don del otro.

La comunión a imagen de la Trinidad es lo que distingue precisamente la persona del individuo. De la fe en un Dios que es Trinidad se sigue que para ser yo mismo necesito al otro. Soy verdaderamente humano, verdaderamente personal, solamente si me relaciono con los demás. El término persona, de hecho, denota al ser humano como ‘rostro’ dirigido hacia el otro, que interactúa con los demás. Nuestra vida crece en humanidad al pasar del carácter individual al personal. El auténtico camino de humanización va desde el individuo que percibe al otro como rival, hasta la persona que lo reconoce como compañero de viaje.

Del “like” al “amén”

La imagen del cuerpo y de los miembros nos recuerda que el uso de las redes sociales es complementario al encuentro en carne y hueso, que se da a través del cuerpo, el corazón, los ojos, la mirada, la respiración del otro. Si se usa la red como prolongación o como espera de ese encuentro, entonces no se traiciona a sí misma y sigue siendo un recurso para la comunión. Si una familia usa la red para estar más conectada y luego se encuentra en la mesa y se mira a los ojos, entonces es un recurso. Si una comunidad eclesial coordina sus actividades a través de la red, para luego celebrar la Eucaristía juntos, entonces es un recurso. Si la red me proporciona la ocasión para acercarme a historias y experiencias de belleza o de sufrimiento físicamente lejanas de mí, para rezar juntos y buscar juntos el bien en el redescubrimiento de lo que nos une, entonces es un recurso.

Podemos pasar así del diagnóstico al tratamiento: abriendo el camino al diálogo, al encuentro, a la sonrisa, a la caricia... Esta es la red que queremos. Una red hecha no para atrapar, sino para liberar, para custodiar una comunión de personas libres. La Iglesia misma es una red tejida por la comunión eucarística, en la que la unión no se funda sobre los like sino sobre la verdad, sobre el amén con el que cada uno se adhiere al Cuerpo de Cristo acogiendo a los demás.

Vaticano, 24 de enero de 2019, Fiesta de San Francisco de Sales

FRANCISCUS

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[1] Para reaccionar ante este fenómeno, se instituirá un Observador internacional sobre el acoso cibernético con sede en el Vaticano.

[2] Regole ampie, III, 1: PG 31, 917; cf. Benedicto XVI, Mensaje para la 43 Jornada Mundial de las Comunicaciones Sociales (2009).

[00134-ES.01] [Texto original: Italiano]

 

Traduzione in lingua portoghese

«Somos membros uns dos outros» (Ef 4, 25).

Das comunidades de redes sociais à comunidade humana

Queridos irmãos e irmãs!

Desde quando se tornou possível dispor da internet, a Igreja tem sempre procurado que o seu uso sirva o encontro das pessoas e a solidariedade entre todos. Com esta Mensagem, gostaria de vos convidar uma vez mais a refletir sobre o fundamento e a importância do nosso ser-em-relação e descobrir, nos vastos desafios do atual panorama comunicativo, o desejo que o homem tem de não ficar encerrado na própria solidão.

As metáforas da “rede” e da “comunidade”

Hoje, o ambiente dos mass-media é tão invasivo que já não se consegue separar do círculo da vida quotidiana. A rede é um recurso do nosso tempo: uma fonte de conhecimentos e relações outrora impensáveis. Mas numerosos especialistas, a propósito das profundas transformações impressas pela tecnologia às lógicas da produção, circulação e fruição dos conteúdos, destacam também os riscos que ameaçam a busca e a partilha duma informação autêntica à escala global. Se é verdade que a internet constitui uma possibilidade extraordinária de acesso ao saber, verdade é também que se revelou como um dos locais mais expostos à desinformação e à distorção consciente e pilotada dos factos e relações interpessoais, a ponto de muitas vezes cair no descrédito.

É necessário reconhecer que se, por um lado, as redes sociais servem para nos conectarmos melhor, fazendo-nos encontrar e ajudar uns aos outros, por outro, prestam-se também a um uso manipulador dos dados pessoais, visando obter vantagens no plano político ou económico, sem o devido respeito pela pessoa e seus direitos. As estatísticas relativas aos mais jovens revelam que um em cada quatro adolescentes está envolvido em episódios de cyberbullying. [1]

Na complexidade deste cenário, pode ser útil voltar a refletir sobre a metáfora da rede, colocada inicialmente como fundamento da internet para ajudar a descobrir as suas potencialidades positivas. A figura da rede convida-nos a refletir sobre a multiplicidade de percursos e nós que, na falta de um centro, uma estrutura de tipo hierárquico, uma organização de tipo vertical, asseguram a sua consistência. A rede funciona graças à comparticipação de todos os elementos.

Reconduzida à dimensão antropológica, a metáfora da rede lembra outra figura densa de significados: a comunidade. Uma comunidade é tanto mais forte quando mais for coesa e solidária, animada por sentimentos de confiança e empenhada em objetivos compartilháveis. Como rede solidária, a comunidade requer a escuta recíproca e o diálogo, baseado no uso responsável da linguagem.

No cenário atual, salta aos olhos de todos como a comunidade de redes sociais não seja, automaticamente, sinónimo de comunidade. No melhor dos casos, tais comunidades conseguem dar provas de coesão e solidariedade, mas frequentemente permanecem agregados apenas indivíduos que se reconhecem em torno de interesses ou argumentos caraterizados por vínculos frágeis. Além disso, na social web, muitas vezes a identidade funda-se na contraposição ao outro, à pessoa estranha ao grupo: define-se mais a partir daquilo que divide do que daquilo que une, dando espaço à suspeita e à explosão de todo o tipo de preconceito (étnico, sexual, religioso, e outros). Esta tendência alimenta grupos que excluem a heterogeneidade, alimentam no próprio ambiente digital um individualismo desenfreado, acabando às vezes por fomentar espirais de ódio. E, assim, aquela que deveria ser uma janela aberta para o mundo, torna-se uma vitrine onde se exibe o próprio narcisismo.

A rede é uma oportunidade para promover o encontro com os outros, mas pode também agravar o nosso autoisolamento, como uma teia de aranha capaz de capturar. Os adolescentes é que estão mais expostos à ilusão de que a social web possa satisfazê-los completamente a nível relacional, até se chegar ao perigoso fenómeno dos jovens «eremitas sociais», que correm o risco de se alhear totalmente da sociedade. Esta dinâmica dramática manifesta uma grave rutura no tecido relacional da sociedade, uma laceração que não podemos ignorar.

Esta realidade multiforme e insidiosa coloca várias questões de caráter ético, social, jurídico, político, económico, e interpela também a Igreja. Enquanto cabe aos governos buscar as vias de regulamentação legal para salvar a visão originária duma rede livre, aberta e segura, é responsabilidade ao alcance de todos nós promover um uso positivo da mesma.

Naturalmente não basta multiplicar as conexões, para ver crescer também a compreensão recíproca. Então, como reencontrar a verdadeira identidade comunitária na consciência da responsabilidade que temos uns para com os outros inclusive na rede on-line?

“Somos membros uns dos outros”

Pode-se esboçar uma resposta a partir duma terceira metáfora – o corpo e os membros – usada por São Paulo para falar da relação de reciprocidade entre as pessoas, fundada num organismo que as une. «Por isso, despi-vos da mentira e diga cada um a verdade ao seu próximo, pois somos membros uns dos outros» (Ef 4, 25). O facto de sermos membros uns dos outros é a motivação profunda a que recorre o Apóstolo para exortar a despir-se da mentira e dizer a verdade: a obrigação de preservar a verdade nasce da exigência de não negar a mútua relação de comunhão. Com efeito, a verdade revela-se na comunhão; ao contrário, a mentira é recusa egoísta de reconhecer a própria pertença ao corpo; é recusa de se dar aos outros, perdendo assim o único caminho para se reencontrar a si mesmo.

A metáfora do corpo e dos membros leva-nos a refletir sobre a nossa identidade, que se funda sobre a comunhão e a alteridade. Como cristãos, todos nos reconhecemos como membros do único corpo cuja cabeça é Cristo. Isto ajuda-nos a não ver as pessoas como potenciais concorrentes, considerando os próprios inimigos como pessoas. Já não tenho necessidade do adversário para me autodefinir, porque o olhar de inclusão, que aprendemos de Cristo, faz-nos descobrir a alteridade de modo novo, ou seja, como parte integrante e condição da relação e da proximidade.

Uma tal capacidade de compreensão e comunicação entre as pessoas humanas tem o seu fundamento na comunhão de amor entre as Pessoas divinas. Deus não é Solidão, mas Comunhão; é Amor e, consequentemente, comunicação, porque o amor sempre comunica; antes, comunica-se a si mesmo para encontrar o outro. Para comunicar connosco e Se comunicar a nós, Deus adapta-Se à nossa linguagem, estabelecendo na história um verdadeiro e próprio diálogo com a humanidade (cf. Conc. Ecum. Vat. II, Const. dogm. Dei Verbum, 2).

Em virtude de termos sido criados à imagem e semelhança de Deus, que é comunhão e comunicação-de-Si, trazemos sempre no coração a nostalgia de viver em comunhão, de pertencer a uma comunidade. Como afirma São Basílio, «nada é tão específico da nossa natureza como entrar em relação uns com os outros, ter necessidade uns dos outros».[2]

O panorama atual convida-nos, a todos nós, a investir nas relações, a afirmar – também na rede e através da rede – o caráter interpessoal da nossa humanidade. Por maior força de razão nós, cristãos, somos chamados a manifestar aquela comunhão que marca a nossa identidade de crentes. De facto, a própria fé é uma relação, um encontro; e nós, sob o impulso do amor de Deus, podemos comunicar, acolher e compreender o dom do outro e corresponder-lhe.

É precisamente a comunhão à imagem da Trindade que distingue a pessoa do indivíduo. Da fé num Deus que é Trindade, segue-se que, para ser eu mesmo, preciso do outro. Só sou verdadeiramente humano, verdadeiramente pessoal, se me relacionar com os outros. Com efeito, o termo pessoa conota o ser humano como «rosto», voltado para o outro, comprometido com os outros. A nossa vida cresce em humanidade passando do caráter individual ao caráter pessoal; o caminho autêntico de humanização vai do indivíduo que sente o outro como rival para a pessoa que nele reconhece um companheiro de viagem.

Do “like” ao “amen

A imagem do corpo e dos membros recorda-nos que o uso da social web é complementar do encontro em carne e osso, vivido através do corpo, do coração, dos olhos, da contemplação, da respiração do outro. Se a rede for usada como prolongamento ou expetação de tal encontro, então não se atraiçoa a si mesma e permanece um recurso para a comunhão. Se uma família utiliza a rede para estar mais conectada, para depois se encontrar à mesa e olhar-se olhos nos olhos, então é um recurso. Se uma comunidade eclesial coordena a sua atividade através da rede, para depois celebrar juntos a Eucaristia, então é um recurso. Se a rede é uma oportunidade para me aproximar de casos e experiências de bondade ou de sofrimento distantes fisicamente de mim, para rezar juntos e, juntos, buscar o bem na descoberta daquilo que nos une, então é um recurso.

Assim, podemos passar do diagnóstico à terapia: abrir o caminho ao diálogo, ao encontro, ao sorriso, ao carinho... Esta é a rede que queremos: uma rede feita, não para capturar, mas para libertar, para preservar uma comunhão de pessoas livres. A própria Igreja é uma rede tecida pela Comunhão Eucarística, onde a união não se baseia nos gostos [«like»], mas na verdade, no «amen» com que cada um adere ao Corpo de Cristo, acolhendo os outros.

Vaticano, na Memória de São Francisco de Sales, 24 de janeiro de 2019.

FRANCISCUS

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[1] Para circunscrever o fenómeno, será instituído um Observatório internacional sobre cyberbullying, com sede no Vaticano.

[2] Grandes Regras, III, 1: PG 31, 917. Cf. Bento XVI, Mensagem para o XLIII Dia Mundial das Comunicações Sociais (2009).

[00134-PO.01] [Texto original: Italiano]

 

Traduzione in lingua polacca

„Wszyscy tworzymy jedno” (Ef 4,25).

Od wirtualnych wspólnot społecznościowych do wspólnot ludzkich

Drodzy bracia i siostry,

Odkąd dostępny był internet, Kościół zawsze starał się promować jego użycie w służbie spotkania między osobami i solidarności między wszystkimi. Poprzez to Orędzie chciałbym po raz kolejny zachęcić was do zastanowienia się nad podstawami i znaczeniem naszego bycia-w-relacji i do ponownego odkrycia, w bezmiarze wyzwań obecnej sytuacji komunikacyjnej, pragnienia człowieka, który nie chce trwać w swojej samotności.

Metafory „sieci” i „społeczności”

Dzisiaj środowisko medialne jest tak wszechobecne, że nie sposób je niemal odróżnić od sfery życia codziennego. Sieć jest bogactwem naszych czasów. Jest źródłem wiedzy i relacji niegdyś niewyobrażalnych. Jednak wielu ekspertów w odniesieniu do głębokich przekształceń, odciśniętych przez technologię w logice wytwarzania, obiegu i wykorzystania treści, podkreśla również niebezpieczeństwa zagrażające poszukiwaniu i udostępnianiu autentycznych informacji w skali globalnej. O ile internet stanowi niezwykłą możliwość dostępu do wiedzy, to jest również prawdą, że okazał się jednym z miejsc najbardziej narażonych na dezinformację oraz świadome i celowe zniekształcenie faktów i relacji międzyosobowych, które często przybierają formę kompromitowania.

Trzeba przyznać, że sieci społecznościowe, o ile z jednej strony służą nam do większego powiązania, odnalezienia się i pomagania sobie nawzajem, to z drugiej strony nadają się również do manipulacyjnego wykorzystywania danych osobowych, mającego na celu uzyskanie korzyści politycznych lub ekonomicznych, bez należytego poszanowania osoby i jej praw. Statystyki ukazują, że wśród najmłodszych, co czwarty młody człowiek brał udział w epizodach cyberprzemocy.1

W złożoności tej sytuacji użyteczny może być powrót do refleksji na temat metafory sieci, leżącej początkowo u podstaw internetu, aby ponownie odkryć jej potencjał pozytywny. Obraz sieci zachęca nas do zastanowienia się nad mnogością dróg i węzłów, które zapewniają jej utrzymanie, w sytuacji braku centrum, struktury typu hierarchicznego, organizacji o charakterze wertykalnym. Sieć działa dzięki partnerstwu wszystkich elementów.

Metafora sieci, sprowadzona do wymiaru antropologicznego przypomina inną postać pełną znaczeń: wspólnoty. Wspólnota jest o tyle silniejsza, o ile jest bardziej spójna i solidarna, ożywiana uczuciami zaufania i dążąca do wspólnych celów. Wspólnota jako sieć solidarna wymaga wzajemnego słuchania i dialogu opartego na odpowiedzialnym używaniu języka.

Jest oczywiste dla wszystkich, że w obecnym rozwoju sytuacji wirtualna wspólnota społecznościowa nie jest automatycznie synonimem wspólnoty. W najlepszych przypadkach wspólnoty są w stanie wykazać spójność i solidarność, ale często pozostają jedynie skupiskami osób, które rozpoznają się wokół interesów lub kwestii charakteryzujących się słabymi więzami. Ponadto w serwisach społecznościowych zbyt często tożsamość opiera się na przeciwieństwie wobec innego, nienależącego do grupy: określa się wychodząc od tego, co dzieli, a nie od tego, co łączy, eksponując podejrzliwość i dając upust wszelkiego rodzaju uprzedzeniom (etnicznym, seksualnym, religijnym i innym). Tendencja ta podtrzymuje grupy, które wykluczają heterogeniczność, podsycając również niepohamowany indywidualizm w środowisku cyfrowym, doprowadzając czasami do podżegania spirali nienawiści. To, co powinno być oknem na świat, staje się zatem witryną, w której eksponuje się własny narcyzm.

Sieć jest okazją do promowania spotkania z innymi, ale może również zwiększyć naszą samoizolację, jak sieć pajęcza zdolna do usidlenia. To młodzież jest najbardziej narażona na złudzenie, że sieć społecznościowa może ich całkowicie zaspokoić na poziomie relacji, aż po niebezpieczne zjawisko młodych „pustelników społecznościowych”, którym grozi całkowite odcięcie się od społeczeństwa. Ta dramatyczna dynamika ukazuje poważny rozłam w strukturze relacyjnej społeczeństwa, rozdarcie, którego nie możemy lekceważyć.

Ta wielopostaciowa i zdradliwa rzeczywistość stawia różne pytania natury etycznej, społecznej, prawnej, politycznej i ekonomicznej, a także rzuca wyzwanie Kościołowi. Podczas, gdy rządy poszukują sposobów regulacji prawnych, aby zachować oryginalną wizję sieci wolnej, otwartej i bezpiecznej, wszyscy mamy możliwość i odpowiedzialność, aby wspierać jej użytek pozytywny.

Oczywiste jest, że nie wystarczy mnożenie połączeń, aby zwiększało się także wzajemne zrozumienie. Jak zatem odnaleźć prawdziwą tożsamość wspólnotową, będąc świadomym odpowiedzialności, jaką mamy wobec siebie nawzajem, także w sieci online?

„Wszyscy tworzymy jedno”

Można naszkicować ewentualną odpowiedź, poczynając od trzeciej metafory: ciała i członków, której używa św. Paweł, by mówić o relacji wzajemności między ludźmi, opartej na jednoczącym je organizmie. „Dlatego odrzuciwszy kłamstwo: niech każdy z was mówi prawdę do bliźniego, bo jesteście nawzajem dla siebie członkami” (Ef 4, 25). Bycie członkiem jedni drugich jest głęboką motywacja, przez którą Apostoł zachęca do odrzucenia kłamstwa i mówienia prawdy: obowiązek strzeżenia prawdy wynika z potrzeby nie zaprzeczania wzajemnej relacji komunii. Prawda objawia się w komunii. Natomiast kłamstwo jest samolubną odmową uznania własnej przynależności do ciała. Jest odmową dania siebie innym, tracąc w ten sposób jedyną drogę do odnalezienia siebie.

Metafora ciała i członków prowadzi nas do refleksji nad naszą tożsamością, która opiera się na komunii i odmienności. Jako chrześcijanie wszyscy uznajemy się za członków jedynego ciała, którego Głową jest Chrystus. Pomaga to nam, by nie postrzegać osób jako potencjalnych konkurentów, ale traktować także nieprzyjaciół jako osoby. Nie potrzebujemy już przeciwnika, aby określić samego siebie, ponieważ spojrzenie integrujące, którego uczymy się od Chrystusa, pozwala nam odkryć inność w nowy sposób, jako część integralną i warunek relacji i bliskości.

Ta zdolność do życzliwości i komunikacji między ludźmi ma swoją podstawę w komunii miłości pomiędzy Osobami Boskimi. Bóg nie jest samotnością, lecz komunią; jest Miłością, a zatem przekazem, ponieważ miłość zawsze się przekazuje, wręcz udziela się, by spotkać drugiego. Aby komunikować się z nami i przekazywać nam siebie, Bóg dostosowuje się do naszego języka, nawiązując w historii prawdziwy i właściwy dialog z ludzkością (SOBÓR WATYKAŃSKI II, Konst. dogmat. Dei Verbum, 2).

Na mocy tego, że jesteśmy stworzeni na obraz i podobieństwo Boga, który jest komunią i przekazem samego siebie, zawsze nosimy w sercu tęsknotę za życiem w komunii, przynależności do wspólnoty. „Nic bowiem - mówi św. Bazyli - nie jest tak znamienne dla naszej natury, jak wchodzenie jednych w relacje z drugimi, jak wzajemna pomoc”.2

Obecny kontekst wzywa nas wszystkich do inwestowania w relacje, aby potwierdzić również w sieci i poprzez sieć interpersonalny charakter naszego człowieczeństwa. W jeszcze większym stopniu, my chrześcijanie jesteśmy powołani do ukazywania tej komunii, która naznacza naszą tożsamość jako wierzących. Sama wiara jest w istocie relacją, spotkaniem; i pod wpływem Bożej miłości możemy komunikować się, przyjmować i rozumieć dar drugiego oraz nań odpowiadać.

To właśnie komunia na wzór Trójcy Świętej odróżnia osobę od jednostki. Z wiary w Boga, który jest Trójcą wynika, że aby być sobą, potrzebuję drugiego. Jestem prawdziwie człowiekiem, prawdziwie osobą, tylko jeśli utrzymuję relacje z innymi. W istocie termin osoba oznacza człowieka jako „oblicze”, skierowane ku drugiej osobie, powiązane z innymi. Nasze życie wzrasta w człowieczeństwie wraz z przechodzeniem od charakteru indywidualnego do osobistego; autentyczna droga humanizacji prowadzi od jednostki, która postrzega drugiego jako rywala, do osoby, która uznaje go za towarzysza podróży.

Od „polubień” do „amen”

Obraz ciała i członków przypomina nam, że korzystanie z sieci społecznościowej dopełnia spotkania osobowego, które przeżywa się poprzez ciało, serce, oczy, spojrzenie, oddech drugiego. Jeśli sieć jest używana jako przedłużenie lub jako oczekiwanie na to spotkanie, to wówczas nie zdradza siebie i pozostaje bogactwem dla komunii. Jeśli rodzina korzysta z sieci, aby być bardziej powiązana ze sobą, aby następnie spotkać się przy stole i spojrzeć sobie w oczy, to jest to bogactwo. Jeśli wspólnota kościelna koordynuje swoją działalność poprzez sieć, a następnie wspólnie sprawuje Eucharystię, to jest ona bogactwem. Jeśli sieć jest szansą, by przybliżyć mnie do dziejów i doświadczeń piękna lub cierpienia fizycznie dalekich ode mnie, do wspólnej modlitwy i szukania dobra w ponownym odkryciu tego, co nas łączy, to jest to bogactwo.

W ten sposób możemy przejść od diagnozy do terapii: otwierając drogę do dialogu, spotkania, uśmiechu, wyrazów czułości... To jest sieć, której chcemy. Sieć, która nie jest stworzona, by pochwycić w pułapkę, ale aby wyzwalać, aby strzec wspólnoty wolnych osób. Sam Kościół jest siecią utkaną przez komunię eucharystyczną, w której jedność nie opiera się na „polubieniach”, lecz na prawdzie, na „amen”, z którym każdy przylgnął do Ciała Chrystusa, przyjmując innych.

Watykan, 24 stycznia 2019 r., wspomnienie św. Franciszka Salezego.

FRANCISCUS

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[1] Aby ograniczyć to zjawisko zostanie ustanowione międzynarodowe Obserwatorium cyberprzemocy z siedzibą w Watykanie.

[2] Reguły dłuższe, III, 1; PG 31, 917°, Tyniec 1995, s. 65; por. BENEYKT XVI, Orędzie na 43 Światowy Dzień Środków Społecznego Przekazu (2009).

[00134-PL.01] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua araba

 

"فإِنَّنا أَعضاءٌ بَعضُنا لِبَعْض" (أف ٤، ٢٥)

من جماعات شبكات التواصل الاجتماعي إلى الجماعة البشريّة

 

أيها الإخوة والأخوات الأعزاء،

  منذ أن أصبح الانترنت متوفِّرًا، حاولت الكنيسة على الدوام تعزيز استعماله لخدمة اللقاء بين الأشخاص والتضامن بين الجميع. بهذه الرسالة أريد أن أدعوكم مرّة أخرى لنتأمّل حول أساس وأهميّة كوننا في علاقة ولنكتشف مجدّدًا، في اتساع تحديات الإطار التواصلي الحالي، رغبة الإنسان الذي لا يريد أن يبقى في عزلته.

 

الصورة المستعارة للـ "شبكة" وللـ "جماعة"

  إن البيئة الإعلاميّة هي اليوم مسيطرة لدرجة أنّه لا يمكن تمييزها عن إطار العيش اليومي. الشبكة هي مورد لزمننا. إنها مصدر معرفة وعلاقات كانت متعذِّرة فيما مضى. وفيما يتعلّق بالتحولات العميقة المطبوعة من التكنولوجيا إلى منطق الإنتاج، والانتشار، والاستفادة من المحتويات، يسلّط العديد من الخبراء الضوء أيضًا على المخاطر التي تهدّد البحث عن معلومات حقيقية على صعيد عالمي ومقاسمتها. إن كان الإنترنت يمثل إمكانية مميّزة للحصول على المعرفة، لكنّه صحيح أيضًا أنّه ظهر كأحد الأماكن الأكثر عرضة للتضليل والتشويه الواعي والمتعمِّد للوقائع والعلاقات الشخصيّة التي غالبًا ما تأخذ شكلاً من أشكال النيل من المصداقيّة.  

علينا أن نعترف أنَّ شبكات التواصل الاجتماعي، إن كانت تساعد من جهة على خلق مزيد من التواصل بيننا وعلى التلاقي ومساعدة بعضنا البعض، فهي تسمح من جهة أخرى بالتلاعب بالمعلومات الشخصيّة بهدف الحصول على مكاسب على الصعيد السياسي أو الاقتصادي، دون الاحترام الواجب للإنسان ولحقوقه. وتُظهِر الإحصاءات أنّ شابًّا من بين أربعة يتورّط في حالات من تنمُّر إلكتروني[1].

قد يفيدنا، في هذا المشهد المعقّد، أن نتأمّل حول الصورة المستعارة للشبكة التي وُضِعَت في البداية كأساسٍ للإنترنت، كي نعيد اكتشاف قواها الإيجابية. تدعونا صورة الشبكة للتفكير حول تعدّد المسارات والعقد التي تضمن ثباتها في غياب مركز وهيكليّة تراتبيّة وتنظيم عمودي. إنّ الشبكة تعمل بفضل مشاركة جميع العناصر.

وإذ نضعها في البعد الأنتروبولوجي، تذكّر الصورة المستعارة للشبكة بصورة أخرى غنيّة بالمعاني وهي صورة الجماعة. جماعة تكون أقوى عندما تكون مُتّحدة ومتضامنة، تحرّكها مشاعر الثقة وتعمل من أجل أهداف مشتركة. إنّ الجماعة كشبكة متضامنة تتطلّب الإصغاء المتبادل والحوار القائم على الاستعمال المسؤول للكلام.

من الواضح للجميع كيف أنَّ جماعة شبكة التواصل الاجتماعي، في المشهد الحالي، ليست تلقائيًّا مرادفًا للجماعة. في أفضل الحالات يمكن لجماعات شبكة التواصل الاجتماعي أن تبيّن عن وحدة وتضامن ولكنّها غالبًا ما تبقى مجموعات أفراد يلتقون حول مصالح أو مواضيع تتميّز بالروابط الضعيفة. أضف إلى ذلك أنَّ كثيرًا ما تقوم الهوّية، في الشبكة الاجتماعيّة، على المواجهة مع الآخر ومع الغريب عن المجموعة: فيحدّد المرء ذاته انطلاقًا مما يقسم بدلاً مما يوحِّد، معطيًا المجال للشكّ ولتدفّق جميع أنواع التحيزات (الاثنيّة، الجنسيّة، الدينيّة وغيرها). تغذّي هذه النزعة مجموعات تستثني التباين وتغذّي في الإطار الرقمي، فردانيّة مفرطة تنتهي أحيانًا بإثارة دوّامات من الحقد. وبالتالي تصبح، ما ينبغي عليها أن تكون نافذة على العالم، مجرّد واجهة لعرض نرجسيتهم.

تشكل الشبكة فرصة لتعزيز اللقاء مع الآخرين ولكن يمكنها أيضًا أن تقوّي انعزالنا، كشبكة عنكبوت قادرة على أسر الأشخاص. إن الشبيبة هم الأكثر تعرُّضًا لوهم أنّه بإمكان الشبكة الاجتماعية أن تشبعهم بالكامل على الصعيد العلائقي، وصولاً إلى الظاهرة الخطيرة: ظاهرة شبيبة "نسّاك اجتماعيّين" قد يصبحون غرباء بالكامل عن المجتمع. وتُظهِر هذه الديناميكية المأساويّة شقًّا خطيرًا في نسيج المجتمع العلائقي، جرحًا لا يمكننا تجاهله.

هذا الواقع المتعدّد الأشكال والمضلّل يطرح أسئلة مختلفة ذات طابع أخلاقي واجتماعي وقانوني وسياسي واقتصادي، ويشكّل تحديا للكنيسة أيضًا. وفيما تبحث الحكومات عن سبل تنظيم قانوني لإنقاذ الرؤية الأصليّة لشبكة حرّة منفتحة وآمنة، لدينا جميعا الفرصة والمسؤولية لتعزيز استعمال إيجابيّ لها.

من الواضح أنّه لا يكفي أن نضاعف الاتصالات لكي يزداد أيضًا الفهم المتبادل. كيف يمكننا إذًا أن نجد الهوية الجماعية الحقيقيّة مدركين مسؤوليّتنا تجاه بعضنا البعض حتى في شبكة الانترنت؟  

 "إنَّنا أَعضاءٌ بَعضُنا لِبَعْض"

من الممكن صياغة إجابة محتملة انطلاقًا من صورة مستعارة ثالثة، صورة الجسد والأعضاء الذي يستخدمها القدّيس بولس للحديث عن علاقة التبادلية بين الأشخاص التي تقوم على العضويّة التي تجمعهم. "ولِذلِك كُفُّوا عنِ الكَذِب ولْيَصدُقْ كُلٌّ مِنكُم قَريبَه، فإِنَّنا أَعضاءٌ بَعضُنا لِبَعْض" (أف 4، 25). إن كوننا أعضاء بعضنا لبعض هو الدافع العميق الذي يحثّ من خلاله بولس الرسول على الكفّ عن الكذب وقول الصدق: فواجب حماية الحقيقة ينبع من الحاجة إلى عدم إنكار علاقة الشركة المتبادَلة. والحقيقة في الواقع تتجلّى في الشركة، أمّا الكذب فهو رفض أنانيّ للاعتراف بالانتماء إلى الجسد؛ هو رفض هِبَة الذات للآخرين، وفقدان السبيل الأوحد بالتالي لأن يجد المرء نفسه.

إن صورة الجسد والأعضاء تقودنا إلى التأمل حول هويّتنا القائمة على الشركة والـغيرية. إننا كمسيحين نعتبر أنفسنا جميعًا أعضاء في الجسد الواحد الذي رأسه هو المسيح. وهذا يساعدنا على عدم رؤية الأشخاص كمنافسين محتملين، بل على رؤية الأعداء أيضًا كأشخاص. ليس هناك بالتالي من حاجة إلى خصمٍ لتحديد الذات، لأن نظرة الدمج التي نتعلمها من المسيح تجعلنا نكتشف الغيرية بشكل جديد، كجزء لا يتجزأ وشرط للعلاقة وللقرب.

إن هذه القدرة على الفهم والتواصل بين الأشخاص تقوم على شركة المحبّة بين الأقانيم الإلهية. فالله ليس وِحدة بل هو شركة؛ هو محبّة، وبالتالي تواصُل، لأن المحبّة تتواصل دائما، لا بل تهب ذاتها من أجل لقاء الآخر. وكي يتواصل الله معنا ويهب ذاته لنا، يتكيّف مع لغتنا، منشئا في التاريخ حوارًا حقيقيًّا مع البشرية. (را. المجمع الفاتيكاني الثاني، الدستور العقائدي في الوحي الإلهي كلمة الله، 2).

إننا نحمل دومًا في القلب، بحكم كوننا مخلوقين على صورة ومثال الله الذي هو شركة وهبة للذات، حنين العيش في شركة، والانتماء إلى جماعة. "إن لا شيء في الواقع –يقول القدّيس باسيليوس– يميّز طبيعتنا، كالدخول في علاقة مع بعضنا البعض واحتياجنا بعضنا لبعض"[2].

إن السياق الحالي يدعونا جميعاً إلى الاستثمار في العلاقات، والتأكيد أيضًا –في شبكة الإنترنت ومن خلالها– على الطابع العلائقي الذي يميّز بشريّتنا. وبالأحرى، نحن المسيحيون، إننا مدعوّون للتعبير عن هذه الشركة التي تطبع هويتنا كمؤمنين. فالإيمان نفسه هو في الواقع علاقة ولقاء؛ وبفعل دفْع محبّة الله يمكننا أن ننقل، ونقبل ونفهم عطيّة الآخر ونتجاوب معها.

  إن الشركة على صورة الثالوث هي التي تميّز الشخص عن الفرد. ومن الإيمان بالله الذي هو ثالوث، ينتج أني، كي أكون ذاتي، أحتاج إلى الآخر. وأنا بشر حقًّا، وشخصيّ حقًّا، فقط إذا تواصلت مع الآخرين. إن عبارة شخص، تصوّر الكائن البشري على أنه "وجهٌ"، موجّه نحو الآخر، ويشارك الآخرين. وحياتنا تنمو في الإنسانية عبر الانتقال من الطابع الفرديّ إلى الطابع الشخصيّ؛ وتنتقل المسيرة الأصيلة للأنسنة، من الفرد الذي ينظر إلى الآخر كخصم، إلى الشخص الذي يرى فيه رفيق الدرب.

من الـ "إعجاب" إلى الـ "آمين"

تذكّرنا صورة الجسد والأعضاء بأنّ استخدام الشبكة الاجتماعية هو مكمّل للقاء الشخصي الذي يحيا من خلال جسد الآخَر وقلبه وعينَيه، ونظرته ونَفَسه. وإذا استُخدِمت الشبكة كامتداد أو انتظار لهذا اللقاء، فهي لا تخون نفسها وتبقى مصدرًا للشركة. وإذا استخدَمت عائلةٌ الشبكة لتكون أكثر ترابطًا، لتلتقي من ثم حول المائدة وتنظر في عيون بعضها البعض، فهي مورد. وإذا نسّقت جماعة كنسيّة نشاطها من خلال الشبكة، لتحتفل من ثم بالافخارستيا معا، فهي مورد. وإذا كانت الشبكة فرصة لأتقرّب من قصص وخبرات جميلة أو مؤلمة، بعيدة عني جسديًا، للصلاة معًا، وللبحث معًا عن الخير، عبر إعادة اكتشاف ما يجمعنا، فهي مورد.

ونستطيع بهذه الطريقة أن ننتقل من التشخيص إلى العلاج: فنفتح الطريق للحوار واللقاء والابتسامة والملاطفة... هذه هي الشبكة التي نريدها. شبكة لا تهدف إلى أسْرِ الأشخاص، إنما إلى تحرير وحماية شركة أشخاص أحرار. إن الكنيسة نفسها هي شبكة تنسجها الشركة الافخارستية، حيث الاتّحاد لا يقوم على الـ "like" (الإعجاب)، بل على الحقيقة، على الـ "آمين" التي بها يتّحد كلّ واحد بجسد المسيح، مستقبلاً الآخَرين.

                                                         الفاتيكان، ٢٤ كانون الثاني يناير ٢٠١۹

FRANCISCUS

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[1]  للحدّ من هذه الظاهرة، سيتم إنشاء مرصد دولي ضدّ التنمر عبر الإنترنت، مقره الأساسيّ في الفاتيكان.

[2] قواعد واسعة، III،1: الآباء اليونان 31، 917؛ را. بندكتس السادس عشر، رسالة اليوم العالمي الثالث والأربعين للتواصل الاجتماعي (2009).  

[00134-IT.01] [Testo originale: Italiano]

[B0057-XX.02]