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Udienza al Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede per la presentazione degli auguri per il nuovo anno, 07.01.2019


 

Discorso del Santo Padre

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Alle ore 10.30 di questa mattina, nella Sala Regia del Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Francesco ha ricevuto in Udienza i Membri del Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede per la presentazione degli auguri per il nuovo anno.

Dopo le parole introduttive del Decano del Corpo Diplomatico, S.E. il Signor George Poulides, Ambasciatore di Cipro presso la Santa Sede, il Papa ha pronunciato il discorso che riportiamo di seguito:

Discorso del Santo Padre

Eccellenze, Signore e Signori,

l’inizio di un nuovo anno ci consente di fermare per qualche istante il frenetico susseguirsi delle attività quotidiane per trarre alcune considerazioni sugli accadimenti passati e riflettere sulle sfide che ci attendono nel prossimo futuro. Vi ringrazio di essere presenti numerosi a questo nostro consueto incontro, che intende essere soprattutto l’occasione propizia per rivolgerci un pensiero cordiale e benaugurante. Attraverso di Voi, giunga la mia vicinanza ai popoli che rappresentate, unitamente all’augurio che l’anno appena iniziato porti pace e benessere a ciascun membro della famiglia umana.

Particolare gratitudine esprimo all’Ambasciatore di Cipro, S.E. il Signor George Poulides, per le cortesi parole che mi ha rivolto per la prima volta a nome di Voi tutti, in qualità di Decano del Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede. A ciascuno di Voi desidero indirizzare un particolare apprezzamento per l’opera che quotidianamente prestate nel consolidare le relazioni fra i Vostri rispettivi Paesi e Organizzazioni e la Santa Sede, ulteriormente rafforzate dalla sottoscrizione o ratifica di nuove intese.

Mi riferisco in particolare alla ratifica dell’Accordo Quadro tra la Santa Sede e la Repubblica del Benin sullo Statuto Giuridico della Chiesa Cattolica in Benin, nonché alla firma e alla ratifica dell’Accordo tra la Santa Sede e la Repubblica di San Marino per l’Insegnamento della Religione cattolica nelle scuole pubbliche.

Nell’ambito multilaterale la Santa Sede ha ratificato pure la Convenzione Regionale dell’UNESCO sul riconoscimento delle qualifiche dell’insegnamento superiore in Asia e nel Pacifico, e nel marzo scorso ha aderito all’ Accordo Parziale allargato sugli Itinerari Culturali del Consiglio d’Europa, un’iniziativa che si prefigge di mostrare come la cultura sia al servizio della pace e rappresenti un fattore unificante delle diverse società europee, in grado di accrescere la concordia tra i popoli. Si tratta di un segno di particolare attenzione verso un’Organizzazione, di cui quest’anno ricorre il 70° anniversario dalla fondazione, con la quale la Santa Sede collabora da molti decenni e di cui riconosce il ruolo specifico nella promozione dei diritti umani, della democrazia e dello Stato di diritto, in uno spazio che vuole abbracciare l’intero Continente europeo. Infine, il 30 novembre scorso, lo Stato della Città del Vaticano è stato ammesso all’Area Unica per i Pagamenti in Euro (SEPA).

L’obbedienza alla missione spirituale, che sgorga dall’imperativo che il Signore Gesù ha rivolto all’apostolo Pietro: «Pasci i miei agnelli» (Gv 21,15), spinge il Papa – e dunque la Santa Sede – a preoccuparsi dell’intera famiglia umana e delle sue necessità anche d’ordine materiale e sociale. Tuttavia, la Santa Sede non intende ingerire nella vita degli Stati, bensì ambisce ad essere un ascoltatore attento e sensibile alle problematiche che interessano l’umanità, con il sincero e umile desiderio di porsi al servizio del bene di ogni essere umano.

È questa premura che contraddistingue l’appuntamento odierno e che mi sostiene negli incontri con i molti pellegrini che giungono in Vaticano da ogni parte del mondo, come pure con i popoli e le comunità che ho avuto la gioia di raggiungere lo scorso anno attraverso i viaggi apostolici compiuti in Cile, Perù, Svizzera, Irlanda, Lituania, Lettonia ed Estonia.

È questa premura che spinge la Chiesa in ogni luogo ad adoperarsi per favorire l’edificazione di società pacifiche e riconciliate. In questa prospettiva penso particolarmente all’amato Nicaragua, la cui situazione seguo da vicino, con l’auspicio che le diverse istanze politiche e sociali trovino nel dialogo la strada maestra per confrontarsi per il bene dell’intera Nazione.

In tale orizzonte si colloca pure il consolidamento delle relazioni tra la Santa Sede e il Vietnam, in vista della nomina, nel prossimo futuro, di un Rappresentante Pontificio residente, la cui presenza vuole essere anzitutto una manifestazione della sollecitudine del Successore di Pietro per la Chiesa locale.

Analogamente si deve intendere la firma dell’Accordo Provvisorio tra la Santa Sede e la Repubblica Popolare Cinese sulla nomina dei Vescovi in Cina, avvenuta il 22 settembre scorso. Come è noto, quest’ultimo è frutto di un lungo e ponderato dialogo istituzionale, mediante il quale si è giunti a fissare alcuni elementi stabili di collaborazione tra la Sede Apostolica e le Autorità civili. Come ho avuto modo di menzionare nel Messaggio che ho indirizzato ai cattolici cinesi e alla Chiesa universale,[1] già in precedenza avevo riammesso nella piena comunione ecclesiale i restanti Vescovi ufficiali ordinati senza mandato pontificio, invitandoli a operare generosamente per la riconciliazione dei cattolici cinesi e per un rinnovato slancio di evangelizzazione. Ringrazio il Signore perchè, per la prima volta dopo tanti anni, tutti i Vescovi in Cina sono in piena comunione con il Successore di Pietro e con la Chiesa universale. E un segno visibile di ciò è stata anche la partecipazione di due Vescovi dalla Cina Continentale al recente Sinodo dedicato ai giovani. Si auspica che il prosieguo dei contatti sull’applicazione dell’Accordo Provvisorio siglato contribuisca a risolvere le questioni aperte e ad assicurare quegli spazi necessari per un effettivo godimento della libertà religiosa.

Cari Ambasciatori,

l’anno appena iniziato vede affacciarsi diversi significativi anniversari, oltre a quello del Consiglio d’Europa pocanzi ricordato. Tra questi vorrei menzionarne particolarmente uno: il centenario della Società delle Nazioni, istituita con il trattato di Versailles, firmato il 28 giugno 1919. Perché ricordare un’Organizzazione che oggi non esiste più? Perché essa rappresenta l’inizio della moderna diplomazia multilaterale, mediante la quale gli Stati tentano di sottrarre le relazioni reciproche alla logica della sopraffazione che conduce alla guerra. L’esperimento della Società delle Nazioni conobbe ben presto quelle difficoltà, a tutti note, che portarono esattamente vent’anni dopo la sua nascita a un nuovo e più lacerante conflitto, quale fu la Seconda Guerra Mondiale. Nondimeno essa ha aperto una strada, che verrà percorsa con maggiore decisione con l’istituzione nel 1945 dell’Organizzazione delle Nazioni Unite: una strada sicuramente irta di difficoltà e di contrasti; non sempre efficace, poiché i conflitti purtroppo permangono anche oggi; ma pur sempre un’innegabile opportunità per le Nazioni di incontrarsi e di ricercare soluzioni comuni.

Premessa indispensabile del successo della diplomazia multilaterale sono la buona volontà e la buona fede degli interlocutori, la disponibilità a un confronto leale e sincero e la volontà di accettare gli inevitabili compromessi che nascono dal confronto tra le Parti. Laddove anche uno solo di questi elementi viene a mancare, prevale la ricerca di soluzioni unilaterali e, in ultima istanza, la sopraffazione del più forte sul più debole. La Società delle Nazioni entrò in crisi proprio per questi motivi e, purtroppo, si nota che i medesimi atteggiamenti anche oggi stanno insidiando la tenuta delle principali Organizzazioni internazionali.

Ritengo dunque importante che anche nel tempo presente non venga meno la volontà di un confronto sereno e costruttivo fra gli Stati, pur essendo evidente come i rapporti in seno alla comunità internazionale, e il sistema multilaterale nel suo complesso, stiano attraversando momenti di difficoltà, con il riemergere di tendenze nazionalistiche, che minano la vocazione delle Organizzazioni internazionali ad essere spazio di dialogo e di incontro per tutti i Paesi. Ciò è in parte dovuto a una certa incapacità del sistema multilaterale di offrire soluzioni efficaci a diverse situazioni da tempo irrisolte, come alcuni conflitti “congelati”, e di affrontare le sfide attuali in modo soddisfacente per tutti. In parte, è il risultato dell’evoluzione delle politiche nazionali, sempre più frequentemente determinate dalla ricerca di un consenso immediato e settario, piuttosto che dal perseguimento paziente del bene comune con risposte di lungo periodo. In parte, è pure l’esito dell’accresciuta preponderanza nelle Organizzazioni internazionali di poteri e gruppi di interesse che impongono le proprie visioni e idee, innescando nuove forme di colonizzazione ideologica, non di rado irrispettose dell’identità, della dignità e della sensibilità dei popoli. In parte, è la conseguenza della reazione in alcune aree del mondo ad una globalizzazione sviluppatasi per certi versi troppo rapidamente e disordinatamente, così che tra la globalizzazione e la localizzazione si produce una tensione. Bisogna dunque prestare attenzione alla dimensione globale senza perdere di vista ciò che è locale. Dinanzi all’idea di una “globalizzazione sferica”, che livella le differenze e nella quale le particolarità sembrano scomparire, è facile che riemergano i nazionalismi, mentre la globalizzazione può essere anche un’opportunità nel momento in cui essa è “poliedrica”, ovvero favorisce una tensione positiva fra l’identità di ciascun popolo e Paese e la globalizzazione stessa, secondo il principio che il tutto è superiore alla parte.[2]

Alcuni di questi atteggiamenti rimandano al periodo tra le due guerre mondiali, durante il quale le propensioni populistiche e nazionalistiche prevalsero sull’azione della Società delle Nazioni. Il riapparire oggi di tali pulsioni sta progressivamente indebolendo il sistema multilaterale, con l’esito di una generale mancanza di fiducia, di una crisi di credibilità della politica internazionale e di una progressiva marginalizzazione dei membri più vulnerabili della famiglia delle nazioni.

Nel suo memorabile discorso all’Assemblea delle Nazioni Unite – il primo di un Pontefice dinanzi a quel consesso – san Paolo VI, che ho avuto la gioia di canonizzare lo scorso anno, tracciò le finalità della diplomazia multilaterale, le sue caratteristiche e responsabilità nel contesto contemporaneo, evidenziando anche gli elementi di contatto che esistono con la missione spirituale del Papa e dunque della Santa Sede.

Il primato della giustizia e del diritto

Il primo elemento di contatto che vorrei richiamare è il primato della giustizia e del diritto: «Voi – diceva Papa Montini – sancite il grande principio che i rapporti fra i popoli devono essere regolati dalla ragione, dalla giustizia, dal diritto, dalla trattativa, non dalla forza, non dalla violenza, non dalla guerra, e nemmeno dalla paura, né dall’inganno».[3]

Nella nostra epoca, preoccupa il riemergere delle tendenze a far prevalere e a perseguire i singoli interessi nazionali senza ricorrere a quegli strumenti che il diritto internazionale prevede per risolvere le controversie e assicurare il rispetto della giustizia, anche attraverso le Corti internazionali. Tale atteggiamento è talvolta frutto della reazione di quanti sono chiamati a responsabilità di governo dinanzi a un accentuato malessere che sempre più si sta sviluppando tra i cittadini di non pochi Paesi, i quali percepiscono le dinamiche e le regole che governano la comunità internazionale come lente, astratte e in ultima analisi lontane dalle loro effettive necessità. È opportuno che le personalità politiche ascoltino le voci dei propri popoli e che ricerchino soluzioni concrete per favorirne il maggior bene. Ciò esige tuttavia il rispetto del diritto e della giustizia tanto all’interno delle comunità nazionali che in seno a quella internazionale, perché soluzioni reattive, emotive e affrettate potranno sì accrescere un consenso di breve respiro, ma non contribuiranno di certo alla soluzione dei problemi più radicali, anzi li aumenteranno.

Proprio a partire da questa preoccupazione ho inteso dedicare il Messaggio per la LII Giornata Mondiale della Pace, celebratasi lo scorso 1° gennaio, al tema: “La buona politica è al servizio della pace”, poiché vi è un’intima relazione fra la buona politica e la pacifica convivenza fra i popoli e le nazioni. La pace non è mai un bene parziale, ma abbraccia tutto il genere umano. Un aspetto essenziale, dunque, della buona politica è quello di perseguire il bene comune di tutti, in quanto «bene di tutti gli uomini e di tutto l’uomo»[4] e condizione sociale che permette a ciascuna persona e all’intera comunità di raggiungere il proprio benessere materiale e spirituale.

Alla politica è richiesto di essere lungimirante e di non limitarsi a cercare soluzioni di corto respiro. Il buon politico non deve occupare spazi, ma avviare processi; egli è chiamato a far prevalere l’unità sul conflitto, alla cui base vi è «la solidarietà, intesa nel suo significato più profondo e di sfida». Essa «diventa così uno stile di costruzione della storia, un ambito vitale dove i conflitti, le tensioni e gli opposti possono raggiungere una pluriforme unità che genera nuova vita».[5]

Tale considerazione tiene conto dalla dimensione trascendente della persona umana, creata ad immagine e somiglianza di Dio. Il rispetto, dunque, della dignità di ogni essere umano è la premessa indispensabile per ogni convivenza realmente pacifica, e il diritto costituisce lo strumento essenziale per il conseguimento della giustizia sociale e per alimentare vincoli fraterni tra i popoli. In quest’ambito, un ruolo fondamentale è svolto dai diritti umani, enunciati nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, di cui abbiamo da poco celebrato il 70° anniversario, il cui carattere universale, oggettivo e razionale sarebbe opportuno riscoprire, affinché non prevalgano visioni parziali e soggettive dell’uomo, le quali rischiano di aprire la via a nuove disuguaglianze, ingiustizie, discriminazioni e, in estremo, anche a nuove violenze e soprusi.

La difesa dei più deboli

Il secondo elemento che vorrei ricordare è la difesa dei deboli. «Noi facciamo Nostra – affermava Papa Montini – la voce dei poveri, dei diseredati, dei sofferenti, degli anelanti alla giustizia, alla dignità della vita, alla libertà, al benessere e al progresso».[6]

La Chiesa è da sempre impegnata nel sovvenire chi è nel bisogno e la Santa Sede stessa si è fatta, nel corso di questi anni, promotrice di diversi progetti a sostegno dei più deboli, che hanno ricevuto appoggio anche da diversi soggetti a livello internazionale. Tra questi vorrei citare l’iniziativa umanitaria in Ucraina in favore della popolazione sofferente, soprattutto nelle regioni orientali del Paese, a causa del conflitto che perdura da quasi cinque anni e che ha avuto alcuni recenti preoccupanti sviluppi nel Mar Nero. Con un’attiva partecipazione delle Chiese cattoliche d’Europa e dei fedeli di altre parti del mondo che hanno raccolto il mio appello del maggio 2016, e con la collaborazione di altre Confessioni e delle Organizzazioni internazionali, si è cercato di venire incontro, in modo concreto, alle prime necessità degli abitanti dei territori colpiti, che sono le prime vittime della guerra. La Chiesa e le sue varie istituzioni proseguiranno questa loro missione, nell’intento di attirare una maggiore attenzione anche su altre questioni umanitarie, tra cui quella riguardante la sorte dei prigionieri, tuttora numerosi. Col proprio operato e la vicinanza alla popolazione, la Chiesa cerca di incoraggiare, direttamente e indirettamente, percorsi pacifici per la soluzione del conflitto, percorsi rispettosi della giustizia e della legalità, compresa quella internazionale, fondamento della sicurezza e della convivenza nell’intera regione. A tal fine, sono importanti gli strumenti che garantiscono il libero esercizio dei diritti religiosi.

Da parte sua, anche la comunità internazionale con le sue organizzazioni è chiamata a dare voce a chi non ha voce. E tra i senza voce del nostro tempo vorrei ricordare le vittime delle altre guerre in corso, specialmente di quella in Siria, con l’immenso numero di morti che ha causato. Ancora una volta faccio appello alla comunità internazionale perché si favorisca una soluzione politica ad un conflitto che alla fine vedrà solo sconfitti. Soprattutto è fondamentale che cessino le violazioni del diritto umanitario, che provocano indicibili sofferenze alla popolazione civile, specialmente donne e bambini, e colpiscono strutture essenziali come gli ospedali, le scuole e i campi-profughi, nonché gli edifici religiosi.

Non si possono poi dimenticare i numerosi profughi che il conflitto ha causato, mettendo anzitutto a dura prova i Paesi limitrofi. Ancora una volta voglio esprimere gratitudine alla Giordania e al Libano che hanno accolto con spirito fraterno e con non pochi sacrifici, numerose schiere di persone, esprimendo in pari tempo l’auspicio che i rifugiati possano fare rientro in patria, in condizioni di vita e di sicurezza adeguate. Il mio pensiero va pure ai diversi Paesi europei che hanno generosamente offerto ospitalità a chi si è trovato in difficoltà e pericolo.

Tra quanti sono stati toccati dall’instabilità che da anni coinvolge il Medio Oriente vi sono specialmente i cristiani, che abitano quelle terre dai tempi degli Apostoli e che nei secoli hanno contribuito a edificarle e forgiarle. È oltremodo importante che i cristiani abbiano un posto nel futuro della Regione, e dunque incoraggio quanti hanno cercato rifugio in altri luoghi di fare il possibile per ritornare alle loro case e comunque a mantenere e a rinsaldare i legami con le comunità d’origine. In pari tempo, auspico che le autorità politiche non manchino di garantire loro la necessaria sicurezza e tutti gli altri requisiti che permettano ad essi di continuare a vivere nei Paesi di cui sono cittadini a pieno titolo e contribuire alla loro costruzione.

Purtroppo, nel corso di questi anni, la Siria e in generale tutto il Medio Oriente si sono trovati ad essere teatro di scontro di molteplici interessi contrapposti. Oltre a quelli preminenti di natura politica e militare, non bisogna tralasciare pure il tentativo di frapporre inimicizia fra musulmani e cristiani. Anche se «nel corso dei secoli, non pochi dissensi e inimicizie sono sorte tra cristiani e musulmani»,[7] in diversi luoghi del Medio Oriente essi hanno potuto per lungo tempo convivere pacificamente. Prossimamente avrò l’occasione di recarmi in due Paesi a maggioranza musulmana, il Marocco e gli Emirati Arabi Uniti. Si tratterà di due importanti opportunità per sviluppare ulteriormente il dialogo interreligioso e la reciproca conoscenza fra i fedeli di entrambe le religioni, nell’ottavo centenario dello storico incontro tra san Francesco d’Assisi e il sultano al-Malik al-Kāmil.

Tra i deboli del nostro tempo che la comunità internazionale è chiamata a difendere ci sono, insieme ai rifugiati, anche i migranti. Ancora una volta desidero richiamare l’attenzione dei Governi affinché si presti aiuto a quanti sono dovuti emigrare a causa del flagello della povertà, di ogni genere di violenza e di persecuzione, come pure delle catastrofi naturali e degli sconvolgimenti climatici, e affinché si facilitino le misure che permettono la loro integrazione sociale nei Paesi di accoglienza. Occorre poi che ci si adoperi perché le persone non siano costrette ad abbandonare la propria famiglia e nazione, o possano farvi ritorno in sicurezza e nel pieno rispetto della loro dignità e dei loro diritti umani. Ogni essere umano anela a una vita migliore e più felice e non si può risolvere la sfida della migrazione con la logica della violenza e dello scarto, né con soluzioni parziali.

Non posso dunque che essere grato per gli sforzi di tanti governi e istituzioni che, mossi da generoso spirito di solidarietà e di carità cristiana, collaborano fraternamente in favore dei migranti. Tra questi desidero menzionare la Colombia, che, insieme con altri Paesi del continente, negli ultimi mesi ha accolto un ingente numero di persone provenienti dal Venezuela. In pari tempo, sono consapevole che le ondate migratorie di questi anni hanno causato diffidenza e preoccupazione tra la popolazione di molti Paesi, specialmente in Europa e nel Nord America, e ciò ha spinto diversi governi a limitare fortemente i flussi in entrata, anche se in transito. Tuttavia, ritengo che a una questione così universale non si possano dare soluzioni parziali. Le recenti emergenze hanno mostrato che è necessaria una risposta comune, concertata da tutti i Paesi, senza preclusioni e nel rispetto di ogni legittima istanza, sia degli Stati, sia dei migranti e dei rifugiati.

In tale prospettiva, la Santa Sede si è adoperata attivamente nei negoziati e per l’adozione dei due Global Compacts sui Rifugiati e sulla Migrazione sicura, ordinata e regolare. In particolare, il Patto sulle migrazioni costituisce un importante passo avanti per la comunità internazionale che, nell’ambito delle Nazioni Unite, affronta per la prima volta a livello multilaterale il tema in un documento di rilievo. Nonostante la non-obbligatorietà giuridica di questi documenti e l’assenza di vari Governi alla recente Conferenza delle Nazioni Unite a Marrakech, i due Compacts saranno importanti punti di riferimento per l’impegno politico e per l’azione concreta di organizzazioni internazionali, legislatori e politici, come pure per coloro che sono impegnati per una gestione più responsabile, coordinata e sicura delle situazioni che riguardano i rifugiati e i migranti a vario titolo. Di entrambi i Patti, la Santa Sede apprezza l’intento e il carattere che ne facilita la messa in pratica, pur avendo espresso riserve circa quei documenti, richiamati nel Patto riguardante le migrazioni, che contengono terminologie e linee guida non corrispondenti ai suoi principi circa la vita e i diritti delle persone.

Tra gli altri deboli, «sentiamo di fare Nostra – continuava Paolo VI – la voce […] dei giovani delle presenti generazioni, che sognano a buon diritto una migliore umanità».[8] Ai giovani, che tante volte si sentono smarriti e privi di certezze per l’avvenire, è stata dedicata la XV Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi. Essi saranno pure i protagonisti del viaggio apostolico che compirò a Panama tra qualche giorno in occasione della XXXIV Giornata Mondiale della Gioventù. I giovani sono il futuro, e compito della politica è aprire le strade del futuro. Per questo è quanto mai necessario investire in iniziative che permettano alle prossime generazioni di costruirsi un avvenire, avendo la possibilità di trovare lavoro, formare una famiglia e crescere dei figli.

Accanto ai giovani meritano particolare menzione i fanciulli, specialmente in quest’anno in cui ricorre il 30° anniversario dell’adozione della Convenzione sui Diritti del Fanciullo. Si tratta di un’occasione propizia per una seria riflessione sui passi compiuti per vigilare sul bene dei nostri piccoli e sul loro sviluppo sociale e intellettuale, come pure sulla loro crescita fisica, psichica e spirituale. In questa circostanza non posso tacere una delle piaghe del nostro tempo, che purtroppo ha visto protagonisti anche diversi membri del clero. Gli abusi contro i minori costituiscono uno dei crimini più vili e nefasti possibili. Essi spazzano via inesorabilmente il meglio di ciò che la vita umana riserva ad un innocente, arrecando danni irreparabili per il resto dell’esistenza. La Santa Sede e la Chiesa tutta intera si stanno impegnando per combattere e prevenire tali delitti e il loro occultamento, per accertare la verità dei fatti in cui sono coinvolti ecclesiastici e per rendere giustizia ai minori che hanno subìto violenze sessuali, aggravati da abusi di potere e di coscienza. L’incontro che avrò con gli episcopati di tutto il mondo nel prossimo febbraio intende essere un ulteriore passo nel cammino della Chiesa per fare piena luce sui fatti e lenire le ferite causate da tali delitti.

Duole constatare che nelle nostre società, tante volte caratterizzate da contesti familiari fragili, si sviluppano comportamenti violenti anche nei confronti delle donne, la cui dignità è stata al centro della Lettera Apostolica Mulieris dignitatem, pubblicata trent’anni or sono dal santo Pontefice Giovanni Paolo II. Davanti alla piaga degli abusi fisici e psicologici sulle donne, c’è l’urgenza di riscoprire forme di relazioni giuste ed equilibrate, basate sul rispetto e sul riconoscimento reciproci, nelle quali ciascuno possa esprimere in modo autentico la propria identità, mentre la promozione di talune forme di indifferenziazione rischia di snaturare lo stesso essere uomo o donna.

L’attenzione per i più deboli ci spinge a riflettere anche su un’altra piaga del nostro tempo, ovvero le condizioni dei lavoratori. Se non adeguatamente tutelato, il lavoro cessa di essere il mezzo attraverso il quale l’uomo si realizza e diventa una moderna forma di schiavitù. Cento anni fa nasceva l’Organizzazione Internazionale del Lavoro, che si è adoperata per favorire condizioni adeguate di lavoro e accrescere la dignità degli stessi lavoratori. Dinanzi alle sfide del nostro tempo, prime fra tutte il crescente sviluppo tecnologico che sottrae posti di lavoro e il venir meno di garanzie economiche e sociali per i lavoratori, esprimo l’auspicio che l’Organizzazione Internazionale del Lavoro continui ad essere, al di là degli interessi parziali, esempio di dialogo e concertazione per il raggiungimento dei suoi alti obiettivi. In questa sua missione essa è chiamata ad affrontare, con altre istanze della comunità internazionale, anche la piaga del lavoro minorile e delle nuove forme di schiavitù, così come una progressiva diminuzione del valore delle retribuzioni, specialmente nei Paesi sviluppati, e la persistente discriminazione delle donne negli ambiti lavorativi.

Essere ponte tra i popoli e costruttori della pace

Nel suo intervento alle Nazioni Unite, san Paolo VI indicò chiaramente l’obiettivo principale di quella Organizzazione internazionale. «Voi – disse – esistete ed operate per unire le Nazioni, per collegare gli Stati; […] per mettere insieme gli uni con gli altri. […] Siete un ponte fra i Popoli. […] Basta ricordare che il sangue di milioni di uomini e innumerevoli e inaudite sofferenze, inutili stragi e formidabili rovine sanciscono il patto che vi unisce, con un giuramento che deve cambiare la storia futura del mondo: non più la guerra, non più la guerra! La pace, la pace deve guidare le sorti dei Popoli e dell’intera umanità! […] E voi sapete che la pace non si costruisce soltanto con la politica e con l’equilibrio delle forze e degli interessi, ma con lo spirito, con le idee, con le opere della pace».[9]

Nel corso dell’ultimo anno vi sono stati alcuni significativi segnali di pace, a cominciare dallo storico Accordo tra Etiopia ed Eritrea, che pone fine a vent’anni di conflitto e ripristina le relazioni diplomatiche fra i due Paesi. Anche l’intesa sottoscritta dai leader del Sud Sudan, che consente di riprendere la convivenza civile e di riattivare il funzionamento delle istituzioni nazionali, è un segno di speranza per il Continente africano, dove tuttavia permangono gravi tensioni e diffusa povertà. Seguo con speciale attenzione l’evolversi della situazione nella Repubblica Democratica del Congo, esprimendo l’auspicio che il Paese possa ritrovare la riconciliazione che da tempo attende e intraprendere un deciso cammino verso lo sviluppo, ponendo fine al persistente stato di insicurezza che interessa milioni di persone, tra cui tanti bambini. A tal fine, il rispetto del risultato elettorale è fattore determinante per una pace sostenibile. Parimenti esprimo la mia vicinanza a quanti soffrono a causa della violenza fondamentalista, specialmente in Mali, Niger e Nigeria, o per le perduranti tensioni interne al Camerun che seminano non di rado morte anche tra la popolazione civile.

Nel complesso, occorre pure rilevare che l’Africa, al di là di diverse drammatiche vicende, rivela un potenziale dinamismo positivo, radicato nella sua antica cultura e tradizionale accoglienza. Un esempio di solidarietà effettiva tra le Nazioni è costituito dall’apertura delle frontiere in diversi Paesi per accogliere generosamente i rifugiati e gli sfollati. È da apprezzare il fatto che in molti Stati cresce la pacifica convivenza tra credenti di diverse religioni e si favoriscono iniziative solidali comuni. Inoltre, l’implementazione di politiche inclusive e i progressi dei processi democratici stanno dando, in molteplici regioni, risultati efficaci per combattere la povertà assoluta e promuovere la giustizia sociale. Il sostegno della comunità internazionale si rende, dunque, ancora più urgente per favorire lo sviluppo delle infrastrutture, la costruzione di prospettive per le giovani generazioni e l’emancipazione delle fasce più deboli.

Segnali positivi sono giunti dalla penisola coreana. La Santa Sede guarda con favore ai dialoghi e si augura che possano affrontare anche le questioni più complesse con atteggiamento costruttivo e condurre a soluzioni condivise e durature, così da assicurare un futuro di sviluppo e di cooperazione per l’intero popolo coreano e per tutta la Regione.

Analogo auspicio formulo per l’amato Venezuela, affinché si trovino vie istituzionali e pacifiche per dare soluzione alla crisi politica, sociale ed economica, vie che consentano innanzitutto di assistere quanti sono provati dalle tensioni di questi anni e offrire a tutto il popolo venezuelano un orizzonte di speranza e di pace.

La Santa Sede auspica pure che possa riprendere il dialogo fra Israeliani e Palestinesi, così che si riesca finalmente a raggiungere un’intesa e dare risposta alle legittime aspirazioni di entrambi i popoli, garantendo la convivenza di due Stati e il conseguimento di una pace lungamente attesa e desiderata. L’impegno concorde della comunità internazionale è quanto mai prezioso e necessario per conseguire tale obiettivo, come pure per favorire la pace nell’intera Regione, particolarmente dello Yemen e dell’Iraq, e permettere nel medesimo tempo di recare i necessari aiuti umanitari alle popolazioni bisognose.

Ripensare al nostro destino comune

Infine, vorrei richiamare un quarto tratto della diplomazia multilaterale: essa ci invita a ripensare il nostro destino comune. Paolo VI lo ebbe a dire in questi termini: «Dobbiamo abituarci a pensare […] in maniera nuova la convivenza dell’umanità, in maniera nuova le vie della storia e i destini del mondo. […] È l’ora in cui […] ripensare, cioè, alla nostra comune origine, alla nostra storia, al nostro destino comune. Mai come oggi, in un’epoca di tanto progresso umano, si è reso necessario l’appello alla coscienza morale dell’uomo! Il pericolo non viene né dal progresso né dalla scienza. […] Il pericolo vero sta nell’uomo, padrone di sempre più potenti strumenti, atti alla rovina ed alle più alte conquiste!».[10]

Nel contesto dell’epoca, il Pontefice si riferiva essenzialmente alla proliferazione delle armi nucleari. «Le armi – diceva –, quelle terribili specialmente, che la scienza moderna [ci] ha date, ancor prima che produrre vittime e rovine, generano cattivi sogni, alimentano sentimenti cattivi, creano incubi, diffidenze e propositi tristi, esigono enormi spese, arrestano progetti di solidarietà e di utile lavoro, falsano la psicologia dei popoli».[11]

Purtroppo, duole constatare che non solo il mercato delle armi non sembra subire battute d’arresto, ma anzi che vi è una sempre più diffusa tendenza ad armarsi, tanto da parte dei singoli che da parte degli Stati. Preoccupa specialmente che il disarmo nucleare, ampiamente auspicato e in parte perseguito nei decenni passati, stia ora lasciando il posto alla ricerca di nuove armi sempre più sofisticate e distruttive. In questa sede, intendo ribadire che «non possiamo non provare un vivo senso di inquietudine se consideriamo le catastrofiche conseguenze umanitarie e ambientali che derivano da qualsiasi utilizzo degli ordigni nucleari. Pertanto, anche considerando il rischio di una detonazione accidentale di tali armi per un errore di qualsiasi genere, è da condannare con fermezza la minaccia del loro uso – mi viene da dire l’immortalità del loro uso - nonché il loro stesso possesso, proprio perché la loro esistenza è funzionale a una logica di paura che non riguarda solo le parti in conflitto, ma l’intero genere umano. Le relazioni internazionali non possono essere dominate dalla forza militare, dalle intimidazioni reciproche, dall’ostentazione degli arsenali bellici. Le armi di distruzione di massa, in particolare quelle atomiche, altro non generano che un ingannevole senso di sicurezza e non possono costituire la base della pacifica convivenza fra i membri della famiglia umana, che deve invece ispirarsi ad un’etica di solidarietà».[12]

Ripensare il nostro destino comune nel contesto attuale significa anche ripensare il rapporto col nostro Pianeta. Anche quest’anno indicibili disagi e sofferenze provocate da alluvioni, inondazioni, incendi, terremoti e siccità hanno colpito duramente le popolazioni di varie regioni del continente americano e del sud-est asiatico. Tra le questioni su cui è particolarmente urgente trovare un accordo in seno alla comunità internazionale vi è dunque la cura dell’ambiente e il cambiamento climatico. Al riguardo, anche alla luce del consenso raggiunto alla recente Conferenza internazionale sul clima (COP-24) svoltasi a Katowice, auspico un impegno più deciso da parte degli Stati a rafforzare la collaborazione nel contrastare con urgenza il preoccupante fenomeno del riscaldamento globale. La Terra è di tutti e le conseguenze del suo sfruttamento ricadono su tutta la popolazione mondiale, con effetti più drammatici in alcune regioni. Tra queste vi è l’Amazzonia, che sarà al centro della prossima Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi prevista in Vaticano nel mese di ottobre, la quale, pur trattando principalmente dei cammini di evangelizzazione per il popolo di Dio, non mancherà anche di affrontare le problematiche ambientali in stretto rapporto con le ricadute sociali.

Eccellenze, Signore e Signori,

il 9 novembre 1989 cadeva il Muro di Berlino. Da lì a pochi mesi si sarebbe posto fine all’ultimo retaggio del secondo conflitto mondiale: la lacerante divisione dell’Europa decisa a Yalta e la guerra fredda. I Paesi a est della cortina di ferro ritrovarono la libertà dopo decenni di oppressione e molti di essi iniziarono a incamminarsi lungo la strada che li avrebbe portati ad aderire all’Unione Europea. Nel contesto attuale, in cui prevalgono nuove spinte centrifughe e la tentazione di erigere nuove cortine, non si perda in Europa la consapevolezza dei benefici – primo fra tutti la pace – apportati dal cammino di amicizia e avvicinamento tra i popoli intrapreso nel secondo dopoguerra.

Un ultimo anniversario vorrei, infine, menzionare quest’oggi. L’11 febbraio di novant’anni fa nasceva lo Stato della Città del Vaticano, in seguito alla firma dei Patti Lateranensi fra la Santa Sede e l’Italia. Si chiudeva così il lungo periodo della “questione romana” seguito alla presa di Roma e alla fine dello Stato Pontificio. Con il Trattato Lateranense la Santa Sede poteva disporre di «quel tanto di territorio materiale che è indispensabile per l’esercizio di un potere spirituale affidato ad uomini in beneficio di uomini»,[13] come ebbe ad affermare Pio XI, e con il Concordato la Chiesa poté nuovamente contribuire appieno alla crescita spirituale e materiale di Roma e di tutta l’Italia, una terra ricca di storia, di arte e di cultura, che il cristianesimo ha contribuito a forgiare. In questa ricorrenza, assicuro al popolo italiano una speciale preghiera affinché, nella fedeltà alle proprie tradizioni, mantenga vivo quello spirito di fraterna solidarietà che lo ha lungamente contraddistinto.

A tutti Voi, cari Ambasciatori e distinti Ospiti qui convenuti, e ai Vostri Paesi formulo il mio cordiale augurio che il nuovo anno consenta di rafforzare i vincoli di amicizia che ci legano e di adoperarci per edificare la pace a cui il mondo aspira.

Grazie!

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[1] Cfr Messaggio ai Cattolici cinesi e alla Chiesa universale, 26 settembre 2018, n. 3.
[2]
Cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 24 novembre 2013, 234.
[3]
Paolo VI, Discorso alle Nazioni Unite, New York, 4 ottobre 1965, 2.
[4]
Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, n. 165.
[5]
Esort. ap. Evangelii gaudium, 24 novembre 2013, 228.
[6]
Discorso alle Nazioni Unite, 1.
[7]
Conc. Ecum. Vat. II, Dich. Nostra ætate sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane, 28 ottobre 1965, 3.
[8]
Discorso alle Nazioni Unite, 1.
[9]
Ibid., 3; 5.
[10]
Ibid., 7.
[11]
Ibid., 5.
[12]
Discorso ai partecipanti al Simposio Internazionale sul Disarmo promosso dal Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, 10 novembre 2017.
[13]
Pio XI, Alloc. “Il nostro più cordiale” ai Parroci di Roma ed ai Predicatori del periodo quaresimale in occasione della firma del Trattato e del Concordato nel Palazzo Lateranense, 11 febbraio 1929.

[00023-IT.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua francese

Excellences, Mesdames et Messieurs,

le début d’une nouvelle année nous permet d’arrêter pour un instant la succession frénétique des activités quotidiennes pour tirer quelques considérations sur les évènements passés et réfléchir sur les défis qui nous attendent dans le proche avenir. Je vous remercie d’être présents nombreux à notre rencontre habituelle, qui entend être surtout l’occasion propice pour nous adresser des pensées cordiales et riches de bons vœux. A travers vous, que ma proximité rejoigne les peuples que vous représentez, unie au souhait que l’année qui vient de commencer apporte paix et bien-être à chaque membre de la famille humaine.

J’exprime ma gratitude particulière à l’Ambassadeur de Chypre, Son Excellence Monsieur Georges Poulides, pour les aimables paroles qu’il m’a adressées pour la première fois au nom de vous tous, en qualité de Doyen du Corps diplomatique accrédité près le Saint-Siège. A chacun de vous je désire dire combien j’apprécie l’œuvre que vous accomplissez au quotidien pour consolider les relations entre vos respectifs Pays et Organisations et le Saint-Siège, renforcées encore par la signature ou la ratification de nouveaux accords.

Je me réfère en particulier à la ratification de l’Accord Cadre entre le Saint-Siège et la République du Bénin sur le Statut juridique de l’Église catholique au Bénin, ainsi qu’à la signature et à la ratification de l’Accord entre le Saint-Siège et la République de San Marin pour l’Enseignement de la Religion catholique dans les écoles publiques.

Dans le cadre multilatéral, le Saint-Siège a ratifié aussi la Convention Régionale de l’UNESCO sur la reconnaissance des qualifications de l’enseignement supérieur en Asie et dans le Pacifique, et en mars dernier, a adhéré à l’Accord partiel élargi sur les Itinéraires culturels du Conseil de l’Europe, une initiative qui se propose de montrer comment la culture est au service de la paix et représente un facteur unifiant pour les différentes sociétés européennes, en mesure d’accroître la concorde entre les peuples. Il s’agit d’un signe d’attention particulière envers une Organisation, dont on célèbre cette année le 70ème anniversaire de la fondation, avec laquelle le Saint-Siège collabore depuis de nombreuses décennies et dont il reconnaît le rôle spécifique dans la promotion des droits humains, de la démocratie et de l’État de droit, dans un espace qui veut embrasser le continent européen tout entier. Enfin, le 30 novembre dernier, l’État de la Cité du Vatican a été admis dans l’Aire unique pour les paiements en Euro (SEPA).

L’obéissance à la mission spirituelle, qui jaillit de l’impératif que le Seigneur Jésus a adressé à l’apôtre Pierre: «Sois le berger de mes agneaux» (Jn 21, 15), pousse le Pape – et donc le Saint-Siège – à se préoccuper de la famille humaine tout entière et de ses nécessités également d’ordre matériel et social. Toutefois, le Saint-Siège n’entend pas s’ingérer dans la vie des États, mais il aspire à être un auditeur attentif et sensible aux problématiques qui concernent l’humanité, avec le désir humble et sincère de se placer au service du bien de tout être humain.

C’est cette attention prévenante qui caractérise le rendez-vous d’aujourd’hui et qui me soutient dans les rencontres avec les nombreux pèlerins qui viennent au Vatican de toutes les parties du monde, comme aussi avec les peuples et les communautés que j’ai eu la joie de rejoindre l’année dernière, à travers les voyages apostoliques accomplis au Chili, au Pérou, en Suisse, en Irlande, en Lituanie, en Lettonie et en Estonie.

C’est cette attention prévenante qui pousse l’Église en tout lieu à s’engager pour favoriser l’édification de sociétés pacifiques et réconciliées. Dans cette perspective, je pense particulièrement au Nicaragua bien-aimé, dont je suis la situation de près, avec le souhait que les différentes instances politiques et sociales trouvent dans le dialogue, la voie royale pour se rencontrer pour le bien de la Nation tout entière.

Dans cet horizon, se situe aussi la consolidation des relations entre le Saint-Siège et le Vietnam, en vue de la nomination, dans un proche avenir, d’un Représentant pontifical résident, dont la présence veut surtout être une manifestation de la sollicitude du Successeur de Pierre pour l’Église locale.

D’une façon analogue doit s’entendre la signature de l’Accord provisoire entre le Saint-Siège et la République populaire de Chine sur la nomination des Evêques en Chine, qui a eu lieu 22 septembre dernier. Comme vous le savez, il est le fruit d’un dialogue institutionnel long et réfléchi, au moyen duquel on est parvenu à fixer quelques éléments stables de collaboration entre le Siège Apostolique et les Autorités civiles. Comme j’ai eu l’occasion de le mentionner dans le Message que j’ai adressé aux Catholiques chinois et à l’Église universelle,[1] déjà auparavant j’avais réadmis dans la pleine communion ecclésiale les Evêques officiels restant ordonnés sans mandat pontifical, les invitant à œuvrer avec générosité pour la réconciliation des Catholiques chinois et pour un élan renouvelé d’évangélisation. Je remercie le Seigneur pourquoi, pour la première fois depuis tant d’années, tous les Evêques en Chine soient en pleine communion avec le Successeur de Pierre et avec l’Église universelle. Et un signe visible de cela a aussi été la participation de deux Évêques de la Chine continentale au récent Synode consacré aux Jeunes. On souhaite que la poursuite des contacts sur l’application de l’Accord provisoire paraphé contribue à résoudre les questions ouvertes et à assurer ces espaces nécessaires pour une jouissance effective de la liberté religieuse.

Chers Ambassadeurs,

l’année qui vient de commencer voit pointer à l’horizon divers anniversaires significatifs, outre celui du Conseil de l’Europe rappelé tout à l’heure. Parmi ceux-ci, je voudrais en mentionner particulièrement un: le centenaire de la Société des Nations, instituée avec le Traité de Versailles signé le 28 juin 1919. Pourquoi se souvenir d’une Organisation qui aujourd’hui n’existe plus? Parce qu’elle représente le début de la diplomatie moderne multilatérale, par laquelle les États tentent de soustraire les relations réciproques à la logique de l’oppressionqui conduit à la guerre. L’expérience de la Société des Nations a rencontré bien vite ces difficultés, connues de tous, qui amenèrent exactement vingt années après sa naissance à un nouveau et plus déchirant conflit, celui de la Seconde Guerre mondiale. Néanmoins, elle a ouvert une route, qui sera prise avec la plus grande détermination par l’institution en 1945 de l’Organisation des Nations Unies: une route certainement hérissée de difficultés et d’oppositions; pas toujours efficace puisque les conflits malheureusement perdurent aussi aujourd’hui; mais qui cependant est toujours une opportunité incontestable pour les nations de se rencontrer et de rechercher des solutions communes.

Les prémisses indispensables du succès de la diplomatie multilatérale sont la bonne volonté et la bonne foi des interlocuteurs, la disponibilité à une confrontation loyale et sincère et la volonté d’accepter les inévitables compromis qui naissent de la confrontation entre les parties. Là où même un seul de ces éléments vient à manquer, domine la recherche de solutions unilatérales et, en dernière instance, l’oppression du plus fort sur le plus faible. La Société des Nations est entrée en crise justement pour ces motifs et, malheureusement, on note que les mêmes attitudes aussi aujourd’hui sont en train de saper la capacité des principales Organisations internationales.

Je retiens donc qu’il est important qu’également dans le temps présent, ne diminue pas la volonté d’une confrontation sereine et constructive entre les États, alors qu’il est bien évident que les relations au sein de la communauté internationale et le système multilatéral dans sa complexité traversent des moments difficiles, avec la réémergence des tendances nationalistes, qui minent la vocation des Organisations internationales à être un espace de dialogue et de rencontre pour tous les pays. Cela est en partie dû à une certaine incapacité du système multilatéral à offrir des solutions efficaces à diverses situations irrésolues depuis longtemps, comme certains conflits “gelés”, et à affronter les défis actuels de manière satisfaisante pour tous. C’est en partie le résultat de l’évolution des politiques nationales, toujours plus fréquemment déterminées par la recherche d’un consensus immédiat et intransigeant, plutôt que par la poursuite patiente du bien commun avec des réponses à long terme. C’est aussi en partie le résultat de la prépondérance accrue dans les Organisations internationales de pouvoirs et de groupes d’intérêts qui imposent leurs visions et leurs idées, amorçant de nouvelles formes de colonisation idéologique, souvent irrespectueuses de l’identité, de la dignité et de la sensibilité des peuples. C’est en partie la conséquence de la réaction dans certaines parties du monde d’une globalisation qui s’est développée trop rapidement dans certains aspects et de façon désordonnée, si bien que se produit une tension entre la globalisation et la localisation. Il faut donc prêter attention à la dimension globale sans perdre de vue ce qui est local. Devant l’idée d’une globalisation sphérique, qui nivelle les différences et dans laquelle les particularités semblent disparaître, il est facile que reémergent les nationalismes, tandis que la globalisation peut être aussi une opportunité, dès lors qu’elle est “polyédrique”, c’est-à-dire qu’elle favorise une tension positive entre l’identité de chacun des peuples et pays et la globalisation même, selon le principe que le tout est supérieur à la partie.[2]

Certaines de ces attitudes renvoient à la période entre les deux guerres mondiales, durant laquelle les propensions populistes et nationalistes ont prévalu sur l’action de la Société des Nations. La réapparition aujourd’hui de telles pulsions affaiblit progressivement le système multilatéral, avec le résultat d’un manque de confiance général, d’une crise de crédibilité de la politique internationale et d’une marginalisation progressive des membres les plus vulnérables de la famille des nations.

Dans son discours mémorable à l’Assemblée des Nations Unies – le premier d’un Pontife devant cette Assemblée – saint Paul VI, que j’ai eu la joie de canoniser l’année dernière, a tracé la finalité de la diplomatie multilatérale, ses caractéristiques et ses responsabilités dans le contexte contemporain, mettant en évidence aussi les éléments de contact qui existent avec la mission spirituelle du Pape et donc du Saint-Siège.

Le primat de la justice et du droit

Le premier élément de contact que je voudrais rappeler est le primat de la justice et du droit: «Vous sanctionnez –a dit le Pape Montini- le grand principe que les rapports entre les peuples doivent être réglés par la raison, par la justice, le droit, et la négociation, et non par la force, ni par la violence, ni par la guerre, non plus que par la peur et par la tromperie».[3]

A notre époque, est préoccupante la réémergence de la tendance à faire prévaloir et à poursuivre les intérêts particuliers nationaux sans recourir à ces instruments que le droit international prévoit pour résoudre les controverses et assurer le respect de la justice, notamment grâce aux tribunaux internationaux. Cette attitude est parfois le fruit de la réaction de ceux qui sont appelés à la responsabilité de gouverner devant un mal-être accentué qui se développe toujours plus parmi les citoyens de nombreux pays, qui perçoivent les dynamiques et les règles qui gouvernent la communauté internationale comme lentes, abstraites et en dernière analyse éloignées de leurs besoins effectifs. Il est opportun que les personnalités politiques écoutent les voix de leurs peuples et qu’elles recherchent des solutions concrètes pour en favoriser le plus grand bien. Cela exige toutefois le respect du droit et de la justice, aussi bien à l’intérieur des communautés nationales qu’au sein de la communauté internationale, parce que des solutions réactives, émotives et hâtives peuvent amplifier un consensus à court terme, mais ne contribueront certainement pas à la solution des problèmes plus radicaux, au contraire elles les augmenteront.

C’est justement à partir de cette préoccupation que j’ai souhaité consacrer le Message pour la LII (52)ème Journée Mondiale de la Paix, célébrée le 1er janvier dernier, au thème:“La bonne politique est au service de la Paix”, puisqu’il y a une étroite relation entre la bonne politique et la coexistence pacifique entre les peuples et les nations. La paix n’est jamais un bien partiel, mais elle embrasse tout le genre humain. Un aspect essentiel, donc, de la bonne politique est celui de poursuivre le bien commun de tous, en tant que «bien de tous les hommes et de tout l’homme»[4]et condition sociale qui permet à chaque personne et à la communauté tout entière d’atteindre son bien-être matériel et spirituel.

Il est demandé à la politique d’être prévoyante et de ne pas se limiter à chercher des solutions à court terme. Le bon politicien ne doit pas occuper des espaces, mais engager des processus; il est appelé à faire prévaloir l’unité sur le conflit, unité à la base de laquelle il y a «la solidarité, entendue en son sens le plus profond et comme défi ». Elle «devient ainsi une manière de faire l’histoire, un domaine vital où les conflits, les tensions, et les oppositions peuvent atteindre une unité multiforme, unité qui engendre une nouvelle vie».[5]

Cette considération tient compte de la dimension transcendante de la personne humaine, créée à l’image et à la ressemblance de Dieu. Le respect, donc, de la dignité de tout être humain est la condition indispensable à toute coexistence réellement pacifique, et le droit constitue l’instrument essentiel pour l’obtention de la justice sociale et pour nourrir des liens fraternels entre les peuples. Dans ce domaine, un rôle fondamental est joué par les droits humains, énoncés dans la Déclaration Universelle des Droits de l’Homme, dont nous avons célébré il y a peu le 70ème anniversaire, dont il serait opportun de redécouvrir le caractère universel, objectif et rationnel, afin que ne dominent pas des visions partielles et subjectives de l’homme, qui risquent d’ouvrir la voie à de nouvelles inégalités, injustices, discriminations et, à l’extrême, aussi à de nouvelles violences et de nouveaux abus.

La défense des plus faibles

Le second élément que je voudrais rappeler est la défense des plus faibles. «Nous faisons nôtre aussi – a affirmé le Pape Montini- la voix des pauvres, des déshérités, des malheureux, de ceux qui aspirent à la justice, à la dignité de vivre, à la liberté, au bien-être et au progrès».[6]

L’Église est depuis toujours engagée dans l’aide à celui qui est dans le besoin et le Saint-Siège lui-même s’est fait, au cours de ces années, le promoteur de différents projets en vue du soutien des plus faibles, qui ont reçu aussi un appui de la part de divers sujets au niveau international. Parmi ceux-ci, je voudrais citer l’initiative humanitaire en Ukraine en faveur de la population qui souffre, surtout dans les régions orientales du pays, en raison d’un conflit qui dure depuis presque cinq années et qui a eu récemment des développements préoccupants dans la région de la Mer Noire. Grâce à une participation active des Eglises catholiques d’Europe et des fidèles des autres parties du monde qui ont répondu à mon appel de mai 2016, et avec la collaboration d’autres Confessions et des Organisations internationales, on a cherché à répondre, de manière concrète, aux premières nécessités des habitants des territoires touchés, qui sont les premières victimes de la guerre. L’Eglise et ses différentes institutions poursuivront cette mission qui est la leur, dans l’intention d’attirer une plus grande attention aussi sur les autres questions humanitaires, parmi lesquelles celle concernant le sort des prisonniers, toujours nombreux. Avec ce qui s’est fait et la proximité à la population, l’Eglise cherche à encourager, directement et indirectement, des parcours pacifiques pour la solution du conflit, parcours respectueux de la justice et de la légalité, y compris internationale, fondement de la sécurité et du vivre ensemble pour la région tout entière. Dans ce but, les instruments qui garantissent le libre exercice des droits religieux sont importants.

De son côté, la communauté internationale aussi avec ses organisations est appelée à donner voix à qui n’a pas de voix. Et parmi les sans voix de notre temps, je voudrais rappeler les victimes des autres guerres en cours, spécialement de celle en Syrie, avec le nombre considérable de morts qu’elle a causé. Encore une fois, je fais appel à la communauté internationale afin qu’elle favorise une solution politique à un conflit qui verra à la fin seulement des vaincus. Il est surtout fondamental que cessent les violations du droit humanitaire, qui provoquent d’indicibles souffrances à la population civile, spécialement aux femmes et aux enfants, et frappent des structures essentielles comme les hôpitaux, les écoles et les camps de réfugiés, ainsi que des édifices religieux.

On ne peut ensuite oublier les nombreux réfugiés que le conflit a causés, mettant surtout à rude épreuve les pays limitrophes. Encore une fois, je veux exprimer ma gratitude à la Jordanie et au Liban qui ont accueilli avec un esprit fraternel et au prix de sacrifices non négligeables un grand nombre de personnes, en souhaitant en même temps que les réfugiés puissent rentrer chez eux, dans des conditions de vie et de sécurité adéquates. Ma pensée va aussi aux différents pays européens qui ont généreusement offert l’hospitalité à qui se trouvait en difficulté et en danger.

Parmi ceux qui ont été touchés par l’instabilité qui, depuis des années marque le Moyen Orient, il y a particulièrement les chrétiens, qui habitent ces terres depuis le temps des Apôtres et qui au cours des siècles ont contribué à les édifier et à les façonner. Il est extrêmement important que les chrétiens aient une place dans l’avenir de la Région, et j’encourage donc ceux qui ont cherché refuge dans d’autres lieux à tout mettre en œuvre pour rentrer chez eux et, en tout cas, à maintenir et à renforcer les liens avec les communautés d’origine. En même temps, je souhaite que les autorités politiques ne manquent pas de garantir leur nécessaire sécurité et toutes les autres conditions qui leur permettent de continuer à vivre dans les pays dont ils sont citoyens à part entière, et de contribuer à leur construction.

Malheureusement, au cours de ces années, la Syrie et en général tout le Moyen Orient se sont trouvés être le théâtre de conflits de multiples intérêts opposés. Outre les intérêts prééminents de nature politique et militaire, il ne faut pas négliger aussi la tentative d’interposer l’inimitié entre musulmans et chrétiens. Même si «au cours des siècles, de nombreuses dissensions et inimitiés se sont manifestées entre les chrétiens et les musulmans»[7], en différents lieux du Moyen Orient, ils ont pu pendant longtemps vivre ensemble pacifiquement. Prochainement, j’aurai l’occasion de me rendre dans deux pays à majorité musulmane, le Maroc et les Emirats Arabes Unis; Il s’agira de deux opportunités importantes pour développer davantage le dialogue interreligieux et la connaissance réciproque entre les fidèles des deux religions, lors du 8ème centenaire de la rencontre historique entre saint François d’Assise et le sultan al-Malik al-Kãmil.

Parmi les personnes vulnérables de notre temps que la communauté internationale est appelée à défendre, il y a également, avec les réfugiés, les migrants. Encore une fois je désire attirer l’attention des gouvernements, afin qu’ils viennent en aide à ceux qui ont dû émigrer en raison du fléau de la pauvreté, de toute sorte de violence et de persécutions, comme aussi des catastrophes naturelles et des bouleversements climatiques, et afin que soient facilitées les mesures qui permettent leur intégration sociale dans les pays d’accueil. Il faut ensuite qu’on s’emploie à ce que les personnes ne soient pas contraintes d’abandonner leur propre famille et nation, ou puissent y retourner en sécurité et dans le plein respect de leur dignité et de leurs droits humains. Chaque être humain aspire à une vie meilleure et plus heureuse et ne peut se résoudre au défi de la migration avec la logique de la violence et du rejet, ni avec des solutions partielles.

Je ne peux donc qu’être reconnaissant pour les efforts de nombreux gouvernements et institutions qui, poussés par un généreux esprit de solidarité et de charité chrétienne collaborent fraternellement en faveur des migrants. Parmi eux, je désire mentionner la Colombie qui, avec d’autres pays du continent, dans les derniers mois, a accueilli un nombre considérable de personnes provenant du Venezuela. En même temps, je suis conscient que les flux migratoires de ces années ont causé méfiance et préoccupation dans la population de nombreux pays, spécialement en Europe et dans l’Amérique du Nord, et cela a poussé différents gouvernements à limiter fortement les flux d’entrée, même s’il s’agit de transit. Je retiens toutefois, qu’à une question aussi universelle on ne peut donner des solutions partielles. Les urgences récentes ont montré qu’une réponse commune est nécessaire, réponse concertée par tous les pays, sans barrages et dans le respect de chaque instance légitime, aussi bien des États que des migrants et des réfugiés.

Dans cette perspective, le Saint-Siège s’emploiera activement dans les négociations pour l’adoption des deux Pactes globaux sur les réfugiés et sur la Migration sûre, ordonnée et régulière. En particulier, le Pacte sur les migrations constitue un important pas en avant pour la communauté internationale qui, dans le cadre des Nations Unies, affronte pour la première fois, au niveau multilatéral, le thème dans un document d’importance. Malgré la non-obligation juridique de ces documents et l’absence de différents gouvernements à la récente Conférence des Nations Unies à Marrakech, les deux Pactes seront d’importants points de référence pour l’engagement politique et pour l’action concrète d’organisations internationales, législatives et politiques, comme aussi pour ceux qui sont engagés pour une gestion plus responsable, coordonnée et sûre des situations qui concernent les réfugiés et les migrants à différents titres. De ces deux Pactes, le Saint-Siège apprécie l’intention et le caractère qui en facilitent la mise en pratique, tout en ayant exprimé des réserves sur ces documents, réclamés dans le Pacte concernant les migrations, qui contiennent des terminologies et des lignes guides qui ne correspondent pas à ses principes sur la vie et les droits des personnes.

Parmi les autres personnes vulnérables, «nous avons conscience de faire nôtre – a continué Paul VI - la voix […] des jeunes générations d'aujourd'hui, attendant à bon droit une humanité meilleure».[8] Aux jeunes, qui tant de fois se sentent perdus et privés de certitudes pour l’avenir, a été consacrée la XVème Assemblée Générale Ordinaire du Synode des Évêques. Ils seront aussi les protagonistes du voyage apostolique que j’accomplirai à Panama d’ici quelques jours à l’occasion des XXXIVème Journées mondiales de la Jeunesse. Les jeunes sont l’avenir, et une tâche de la politique est d’ouvrir les routes de l’avenir. Pour cela, il est plus que jamais nécessaire d’investir dans des initiatives qui permettent aux prochaines générations de se construire un avenir, en ayant la possibilité de trouver du travail, de former une famille et de faire grandir des enfants.

A côté des jeunes, les enfants méritent une mention particulière, spécialement en cette année qui célèbre le 30ème anniversaire de l’adoption de la Convention sur les droits de l’enfant. Il s’agit d’une occasion propice pour une réflexion sérieuse sur les pas accomplis pour veiller sur le bien de nos petits et sur leur développement social et intellectuel, comme aussi sur leur croissance physique, psychique et spirituelle. Dans cette circonstance, je ne peux pas taire une des plaies de notre temps, qui malheureusement a vu comme protagonistes aussi divers membres du clergé. Les abus contre les mineurs constituent un des crimes les plus vils et les plus néfastes possible. Ils balaient inexorablement le meilleur de ce que la vie humaine réserve à un innocent, en causant des dégâts irréparables pour le reste de l’existence. Le Saint-Siège et l’Église tout entière s’engagent à combattre et à prévenir de tels délits et leur dissimulation, pour établir la vérité des faits dans lesquels sont impliqués des ecclésiastiques et pour rendre justice aux mineurs qui ont subi des violences sexuelles, aggravées par des abus de pouvoir et de conscience. La rencontre que j’aurai avec les épiscopats du monde entier en février prochain entend être un pas supplémentaire sur le chemin de l’Église, pour faire une pleine lumière sur des faits et adoucir les blessures causées par de tels délits.

Il est regrettable de constater que dans nos sociétés, tant de fois caractérisées par des contextes familiaux fragiles, se développent des comportements violents même dans les relations envers les femmes, dont la dignité a été au centre de la Lettre apostolique Mulieris dignitatem, publiée il y a 30 ans par le saint Pape Jean-Paul II. Devant la plaie des abus physiques et psychologiques sur les femmes, il y a urgence à redécouvrir des formes de relations justes et équilibrées, basées sur le respect et sur la reconnaissance réciproque, dans lesquels chacun puisse exprimer de manière authentique sa propre identité, tandis que la promotion de certaines formes d’indifférenciation risque de dénaturer l’être humain lui-même, homme ou femme.

L’attention pour les plus vulnérables nous pousse à réfléchir aussi sur une autre plaie de notre temps, à savoir les conditions des travailleurs. S’il n’est pas suffisamment protégé, le travail cesse d’être le moyen par lequel l’homme se réalise et devient une forme moderne d’esclavage. Il y a cent ans, naissait l’Organisation Internationale du Travail, qui s’est employée à favoriser des conditions adéquates de travail et à accroître la dignité des travailleurs eux-mêmes. Devant les défis de notre temps, et en premier lieu, le croissant développement technologique qui soustrait des postes de travail et la diminution des garanties économiques et sociales pour les travailleurs, j’exprime le souhait que l’Organisation Internationale du Travail continue d’être, au-delà des intérêts partiels, un exemple de dialogue et de concertation pour la réalisation de ses objectifs élevés. Dans cette mission qui est la sienne, elle est appelée à affronter également, avec d’autres instances de la communauté internationale, la plaie du travail des mineurs et des nouvelles formes d’esclavage, de même qu’une diminution progressive de la valeur des rétributions, spécialement dans les pays développés, et la discrimination persistante des femmes dans le milieu du travail.

Etre pont entre les peuples et constructeurs de la paix.

Dans son intervention aux Nations Unies, saint Paul VI a montré clairement l’objectif principal de cette Organisation internationale. «Vous existez et vous travaillez pour unir les nations, pour associer les États, […] pour mettre ensemble les uns avec les autres. Vous êtes un pont entre les peuples. […] Il suffit de rappeler que le sang de millions d'hommes, que des souffrances inouïes et innombrables, que d'inutiles massacres et d'épouvantables ruines sanctionnent le pacte qui vous unit, en un serment qui doit changer l'histoire future du monde : jamais plus la guerre, jamais plus la guerre! C'est la paix, la paix, qui doit guider le destin des peuples et de toute l'humanité![…] La paix, vous le savez, ne se construit pas seulement au moyen de la politique et de l'équilibre des forces et des intérêts. Elle se construit avec l'esprit, les idées, les œuvres de la paix».[9]

Au cours de l’année dernière, quelques signes de paix significatifs se sont produits, à commencer par l’Accord historique entre l’Ethiopie et l’Erythrée qui met fin à vingt ans de conflit, et qui rétablit les relations diplomatiques entre les deux pays. De même, l’entente signée par les leaders du Sud Soudan, qui permet de reprendre la cohabitation civile et de réactiver le fonctionnement des institutions nationales, est un signe d’espérance pour le continent africain où, cependant, demeurent de graves tensions et où la pauvreté est répandue. Je suis avec une attention particulière l’évolution de la situation en République Démocratique du Congo, exprimant le souhait que le pays puisse retrouver la réconciliation qui tarde depuis longtemps et entreprendre un chemin décidé vers le développement, mettant fin à l’état persistant d’insécurité qui touche des millions de personnes, parmi lesquelles, de nombreux enfants. Dans ce sens, le respect du résultat électoral est un facteur déterminant pour une paix durable. De même, j’exprime ma proximité à ceux qui souffrent à cause de la violence fondamentaliste, spécialement au Mali, au Niger et au Nigeria, ou en raison des tensions internes persistantes au Cameroun, qui sèment souvent la mort, y compris parmi la population civile.

Dans l’ensemble, il convient aussi de remarquer que l’Afrique, au-delà de plusieurs événements dramatiques, montre un dynamisme potentiel positif, enraciné dans sa culture ancienne et dans son accueil traditionnel. Un exemple de solidarité effective entre les nations se rencontre en plusieurs pays dans l’ouverture des frontières pour accueillir généreusement les réfugiés et les personnes déplacées. Il faut apprécier le fait qu’en de nombreux États, la coexistence pacifique entre les croyants de diverses religions grandit, et que les initiatives communes de solidarité sont favorisées. De plus, la mise en œuvre de politiques inclusives et les progrès des processus démocratiques sont en train de donner, en de nombreuses régions, des résultats efficaces pour combattre la pauvreté absolue et promouvoir la justice sociale. Le soutien de la communauté internationale devient donc encore plus urgent pour favoriser le développement des infrastructures, la construction de perspectives pour les jeunes générations et l’émancipation des catégories les plus faibles.

Des signes positifs sont parvenus de la péninsule coréenne. Le Saint Siège regarde favorablement les dialogues et souhaite qu’ils puissent affronter les questions les plus complexes dans une attitude constructive, et conduire à des solutions partagées et durables, en sorte d’assurer un avenir de développement et de coopération pour tout le peuple coréen et pour toute la région.

Je formule des souhaits comparables pour le Venezuela bien-aimé, afin que soient trouvés des moyens institutionnels et pacifiques pour résoudre la crise politique, sociale et économique des moyens qui permettent avant tout d’assister ceux qui sont éprouvés et d’offrir à tout le peuple vénézuélien un horizon d’espérance et de paix.

Le Saint Siège souhaite aussi que le dialogue entre Israéliens et Palestiniens puisse reprendre, afin qu’il soit possible enfin de parvenir à une entente et de donner une réponse aux légitimes aspirations des deux peuples, garantissant la coexistence de deux États et l’instauration d’une paix longuement attendue et désirée. L’engagement unanime de la Communauté internationale est plus que jamais précieux et nécessaire pour atteindre cet objectif, comme aussi pour favoriser la paix dans toute la région, en particulier au Yémen et en Irak, et pour permettre, en même temps, d’apporter les aides humanitaires nécessaires aux populations qui sont dans le besoin.

Repenser notre destin commun

Enfin, je voudrais rappeler un quatrième trait de la diplomatie multilatérale: il nous invite à repenser notre destin commun. Paul VI l’a dit en ces termes: «Nous devons nous habituer à penser d'une manière nouvelle […] la vie en commun des hommes, d'une manière nouvelle les chemins de l'histoire et les destins du monde. […] Voici arrivée l’heure […] de repenser à notre commune origine, à notre histoire, à notre destin commun. Jamais comme aujourd'hui, dans une époque marquée par un tel progrès humain, n'a été aussi nécessaire l'appel à la conscience morale de l'homme. Car le péril ne vient, ni du progrès, ni de la science. […] Le vrai péril se tient dans l'homme, qui dispose d'instruments toujours plus puissants, aptes aussi bien à la ruine qu'aux plus hautes conquêtes».[10]

Dans le contexte de l’époque, le Pontife faisait référence essentiellement à la prolifération des armes nucléaires. «Les armes – disait-il - surtout les terribles armes que la science moderne [nous] a données, avant même de causer des victimes et des ruines, engendrent de mauvais rêves, alimentent de mauvais sentiments, créent des cauchemars, des défiances, de sombres résolutions; elles exigent d'énormes dépenses; elles arrêtent les projets de solidarité et d'utile travail; elles faussent la psychologie des peuples».[11]

Malheureusement, il est douloureux de constater que, non seulement le marché des armes ne semble pas sur le point de s’arrêter, mais qu’il y a, au contraire, une tendance toujours plus répandue à s’armer, tant de la part des individus que de la part des États. Il est préoccupant, en particulier, que le désarmement nucléaire, largement souhaité et en partie obtenu au cours des décennies passées, laisse maintenant place à la recherche de nouvelles armes toujours plus sophistiquées et destructrices. Devant cette assemblée, je veux répéter que «nous ne pouvons pas non plus manquer d’éprouver un vif sentiment d’inquiétude si nous considérons les conséquences humanitaires et environnementales catastrophiques qui découlent de tout recours aux armes nucléaires. C’est pourquoi, en tenant compte notamment du risque d’une explosion accidentelle de telles armes due à n’importe quel type d’erreur, il faut condamner fermement la menace de leur usage - je serais tenté de dire le caractère immoral de leur usage - ainsi que leur possession, précisément parce que leur existence est liée à une logique de peur qui ne concerne pas seulement les parties en conflit, mais tout le genre humain. Les relations internationales ne peuvent être dominées par la force militaire, par les intimidations réciproques, par l’ostentation des arsenaux de guerre. Les armes de destruction de masse, en particulier les armes atomiques, n’engendrent qu’un sentiment trompeur de sécurité et ne peuvent constituer la base d’une coexistence pacifique entre les membres de la famille humaine qui doit en revanche s’inspirer d’une éthique de solidarité».[12]

Repenser notre destin commun dans le contexte actuel signifie aussi repenser le rapport avec notre planète. Cette année encore, le désarroi et des souffrances indicibles, provoqués par les déluges, les inondations, les incendies, les tremblements de terre et les sécheresses, ont frappé durablement les populations de diverses régions du continent américain et du Sud-Est asiatique. Parmi les questions sur lesquelles il est particulièrement urgent de trouver un accord au sein de la communauté internationale, il y a donc la protection de l’environnement et le changement climatique. A cet égard, à la lumière du consensus atteint à la récente Conférence internationale sur le climat (COP-24) qui s’est tenue à Katowice, je souhaite un engagement plus décidé de la part des États à renforcer la collaboration pour combattre avec urgence le phénomène préoccupant du réchauffement global. La terre est à tous, et les conséquences de son exploitation retombent sur toute la population mondiale, avec des effets plus dramatiques en certaines régions. Parmi elles, il y a l’Amazonie qui sera au centre de la prochaine Assemblée Spéciale du Synode des Évêques, prévue au Vatican au mois d’octobre, laquelle, bien que traitant principalement des chemins d’évangélisation pour le peuple de Dieu, ne manquera pas non plus d’affronter les problématiques environnementales en relation étroite avec les retombées sociales.

Excellences, Mesdames et Messieurs,

Le 9 novembre 1989, le mur de Berlin tombait. A partir de là, disparaissait en peu de mois le dernier reliquat du second conflit mondial: la déchirante division de l’Europe décidée à Yalta et la guerre froide. Les pays à l’est du rideau de fer ont retrouvé leur liberté après des décennies d’oppression, et beaucoup d’entre eux ont commencé à s’acheminer sur la voie qui devait les conduire à adhérer à l’Union Européenne. Dans le contexte actuel, où prévalent de nouvelles poussées centrifuges ainsi que la tentation de construire de nouveaux rideaux, que ne se perde pas en Europe la conscience des bienfaits – en premier lieu la paix – apportés par le chemin d’amitié et de rapprochement entre les peuples entrepris depuis l’après-guerre.

Je voudrais enfin faire mention aujourd’hui d’un dernier anniversaire. Le 11 février, il y a quatre-vingt-dix ans, naissait l’État de la Cité du Vatican, à la suite de la signature des Accords du Latran entre le Saint Siège et l’Italie. S’achevait ainsi la longue période de la “question romaine” faisant suite à la prise de Rome et à la fin des États pontificaux. Avec les Accords du Latran, le Saint-Siège pouvait disposer de « ce territoire matériel suffisant qui est indispensable à l’exercice d’un pouvoir spirituel confié aux hommes aux bénéfice des hommes »,[13] comme l’affirma Pie XI, et, avec le Concordat, l’Eglise a pu de nouveau contribuer pleinement à la croissance spirituelle et matérielle de Rome et de toute l’Italie, une terre riche d’histoire, d’art et de culture, que le christianisme a contribué à forger. A cette occasion, j’assure le peuple italien d’une prière spéciale pour que, dans la fidélité à ses traditions, il maintienne vivant cet esprit de fraternelle solidarité qui l’a longtemps distingué.

A vous tous, chers Ambassadeurs et Hôtes distingués venus ici, et à vos pays, je présente mes vœux cordiaux pour que l’année nouvelle permette de renforcer les liens d’amitié qui nous unissent et d’œuvrer pour construire la paix à laquelle le monde aspire.

Merci!

_________________________

[1] Cf. Message aux Catholiques chinois et à l’Église universelle, 26 septembre 2018, n.3.
[2]
Cf. Exhort. apost. Evangelii gaudium, 24 novembre 2013, n. 234.
[3]
Paul VI, Discours aux Nations Unies, New York, 4 octobre 1965, n. 2.
[4]
Compendium de la Doctrine Sociale de l’Église, n. 165.
[5]
Exhort. Apost. Evangelii gaudium, 24 novembre 2013, n. 228.
[6]
Discours aux Nations Unies, n. 1.
[7]
Conc. Œcum. Vat. II Décl. Nostra aetate sur les relations de l’Église avec les religions non chrétiennes, 28 octobre 1965, n. 3.
[8]
Discours aux Nations Unies, n. 1.
[9]
Ibid., nn. 3; 5.
[10]
Ibid., n.7.
[11]
Ibid., n.5.
[12]
Discours aux participants au Symposium International sur le Désarmement organisé par le Dicastère pour le Service du Développement Humain Intégral, 10 novembre 2017.
[13]
Pie XI, Alloc. “il nostro più cordiale” aux Curés de Rome et aux Prédicateurs du Carême à l’occasion de la signature des Accords et du Concordat au Palais du Latran, 11 février 1929.

[00023-FR.02] [Texte original: Italien]

Traduzione in lingua inglese

Your Excellencies, Ladies and Gentlemen,

The beginning of a new year allows us to interrupt for a few moments the frenetic pace of our daily activities in order to review the events of past months and to reflect on the challenges facing us in the near future. I thank you for your numerous presence at this annual gathering, which provides a welcome opportunity for us to exchange cordial greetings and good wishes with one another. Through you, I would like to convey to the peoples whom you represent my closeness and my prayerful hope that the year just begun will bring peace and well-being to each member of the human family.

I am most grateful to the Ambassador of Cyprus, His Excellency Mr George Poulides, for the gracious words of greeting he addressed to me in your name for the first time as Dean of the Diplomatic Corps accredited to the Holy See. To each of you I would like to express my especial appreciation for your daily efforts to consolidate relations between your respective Countries and Organizations and the Holy See, all the more so through the signing or ratification of new accords.

I think in particular of the ratification of the Framework Agreement between the Holy See and the Republic of Benin relating to the Legal Status of the Catholic Church in Benin, and the signing and ratification of the Agreement between the Holy See and the Republic of San Marino regarding the Teaching of Catholic Religion in Public Schools.

In the multilateral sphere, the Holy See has also ratified the UNESCO Asia-Pacific Regional Convention on the Recognition of Qualifications in Higher Education. Last March it adhered to the Enlarged Partial Agreement on Cultural Routes of the Council of Europe, an initiative aimed at showing how culture can be at the service of peace and a means of unification between different European societies, thus fostering concord among peoples. This is a token of particular esteem for an Organization that this year celebrates the seventieth anniversary of its foundation. The Holy See has cooperated with the Council of Europe for many decades and recognizes its specific role in the promotion of human rights, democracy and legality in an area that would embrace Europe as a whole. Finally, on 30 November last, the Vatican City State was admitted to the Single Euro Payments Area (SEPA).

Fidelity to the spiritual mission based on the command that the Lord Jesus gave to the Apostle Peter, “Feed my lambs” (Jn 21:15), impels the Pope – and consequently the Holy See – to show concern for the whole human family and its needs, including those of the material and social order. Nonetheless, the Holy See has no intention of interfering in the life of States; it seeks instead to be an attentive listener, sensitive to issues involving humanity, out of a sincere and humble desire to be at the service of every man and woman.

That concern is evident in our gathering today and inspires my encounters with the many pilgrims who visit the Vatican from throughout the world, as well as with the peoples and communities that I had the pleasure of visiting this past year during my Apostolic Journeys to Chile, Peru, Switzerland, Ireland, Lithuania, Latvia and Estonia.

That same concern leads the Church everywhere to work for the growth of peaceful and reconciled societies. Here I think in particular of beloved Nicaragua, whose situation I follow closely in prayerful hope that the various political and social groups may find in dialogue the royal road to an exchange beneficial to the entire nation.

This has also been the context for the consolidation of relations between the Holy See and Vietnam, with a view to the appointment, in the near future, of a resident Papal Representative, whose presence would serve above all as a sign of the solicitude of the Successor of Peter for that local Church.

So too with the signing of the Provisional Agreement between the Holy See and the People’s Republic of China on the Appointment of Bishops in China, which took place on 22 September last. As you know, that Agreement is the result of a lengthy and thoughtful institutional dialogue that led to the determination of certain stable elements of cooperation between the Apostolic See and the civil authorities. As I noted in my Message to the Catholics of China and to the universal Church,[1] I had already readmitted to full ecclesial communion the remaining official bishops ordained without pontifical mandate, and urged them to work generously for the reconciliation of Chinese Catholics and for a renewed effort of evangelization. I thank the Lord because, for the first time after so many years, all the bishops in China are in full communion with the Successor of Peter and with the universal Church. And a visible sign of this was the participation of two bishops from Continental China in the recent Synod on young people. It is to be hoped that further contacts regarding the application of the signed Provisional Agreement will help resolve questions that remain open and make needed room for an effective enjoyment of religious freedom.

Dear Ambassadors,

The year just begun contains a number of significant anniversaries, in addition to that of the Council of Europe, which I mentioned above. Among these, I would like to bring up one in particular: the hundredth anniversary of the League of Nations, established by the Treaty of Versailles, signed on 28 June 1919. Why do I mention an organization that today no longer exists? Because it represents the beginning of modern multilateral diplomacy, whereby states attempt to distance their reciprocal relations from the mentality of domination that leads to war. The experiment of the League of Nations quickly met with those well-known difficulties that exactly twenty years after its birth led to a new and more devastating conflict, the Second World War. Nevertheless, that experiment paved the way for the establishment in 1945 of the United Nations Organization. Certainly, that way remains full of difficulties and obstacles, nor is it always effective, since conflicts persist even today, yet it cannot be denied that it provides an opportunity for nations to meet and seek common solutions.

An indispensable condition for the success of multilateral diplomacy is the good will and good faith of the parties, their readiness to deal with one another fairly and honestly, and their openness to accepting the inevitable compromises arising from disputes. Whenever even one of these elements is missing, the result is a search for unilateral solutions and, in the end, the domination of the powerful over the weak. The League of Nations failed for these very reasons, and one notes with regret that the same attitudes are presently threatening the stability of the major international organizations.

To my mind, it is important that today too there should be no lessening of the desire for serene and constructive discussions between states. It is clear, though, that relationships within the international community, and the multilateral system as a whole, are experiencing a period of difficulty, with the resurgence of nationalistic tendencies at odds with the vocation of the international Organizations to be a setting for dialogue and encounter for all countries. This is partly due to a certain inability of the multilateral system to offer effective solutions to a number of long unresolved situations, like certain protracted conflicts, or to confront present challenges in a way satisfactory to all. It is also in part the result of the development of national policies determined more by the search for a quick partisan consensus than by the patient pursuit of the common good by providing long-term answers. It is likewise partially the outcome of the growing influence within the international Organizations of powers and interest groups that impose their own visions and ideas, sparking new forms of ideological colonization, often in disregard for the identity, dignity and sensitivities of peoples. In part too, it is a consequence of the reaction in some parts of the world to a globalization that has in some respects developed in too rapid and disorderly a manner, resulting in a tension between globalization and local realities. The global dimension has to be considered without ever losing sight of the local. As a reaction to a “spherical” notion of globalization, one that levels differences and smooths out particularities, it is easy for forms of nationalism to reemerge. Yet globalization can prove promising to the extent that it can be “polyhedric”, favouring a positive interplay between the identity of individual peoples and countries and globalization itself, in accordance with the principle that the whole is greater than the part.[2]

Some of these attitudes go back to the period between the two World Wars, when populist and nationalist demands proved more forceful than the activity of the League of Nations. The reappearance of these impulses today is progressively weakening the multilateral system, resulting in a general lack of trust, a crisis of credibility in international political life, and a gradual marginalization of the most vulnerable members of the family of nations.

In his memorable Address to the United Nations – the first time a Pope addressed that Assembly – Saint Paul VI, whom I had the joy of canonizing this past year, spoke of the purpose of multilateral diplomacy, its characteristics and its responsibilities in the contemporary context, but also of its points of contact with the spiritual mission of the Pope and thus of the Holy See.

The primacy of justice and law

The first point of contact that I would mention is the primacy of justice and law. As Pope Paul told the Assembly: “You sanction the great principle that relationships between nations must be regulated by reason, justice, law, by negotiation, not by force, nor by violence, force, war, nor indeed by fear and deceit”.[3]

At present it is troubling to see the reemergence of tendencies to impose and pursue individual national interests without having recourse to the instruments provided by international law for resolving controversies and ensuring that justice is respected, also through international Courts. Such an attitude is at times the result of a reaction on the part of government leaders to growing unease among the citizens of not a few countries, who perceive the procedures and rules governing the international community as slow, abstract and ultimately far removed from their own real needs. It is fitting that political leaders listen to the voices of their constituencies and seek concrete solutions to promote their greater good. Yet this demands respect for law and justice both within their national communities and within the international community, since reactive, emotional and hasty solutions may well be able to garner short-term consensus, but they will certainly not help the solution of deeper problems; indeed, they will aggravate them.

In light of this concern, I chose to devote my Message for this year’s World Day of Peace, celebrated on 1 January, to the theme: Good Politics at the Service of Peace. There is a close relationship between good politics and the peaceful coexistence of peoples and nations. Peace is never a partial good, but one that embraces the entire human race. Hence an essential aspect of good politics is the pursuit of the common good of all, insofar as it is “the good of all people and of the whole person”[4] and a condition of society that enables all individuals and the community as a whole to achieve their proper material and spiritual well-being.

Politics must be farsighted and not limited to seeking short-term solutions. A good politician should not occupy spaces but initiate processes; he or she is called to make unity prevail over conflict, based on “solidarity in its deepest and most challenging sense”. Politics thus becomes “a way of making history in a life setting where conflicts, divisions and oppositions can achieve a diversified and life-giving unity”.[5]

Such an approach takes account of the transcendent dimension of the human person, created in the image and likeness of God. Respect for the dignity of each human being is thus the indispensable premise for all truly peaceful coexistence, and law becomes the essential instrument for achieving social justice and nurturing fraternal bonds between peoples. In this context, a fundamental role is played by the human rights set forth in the Universal Declaration of Human Rights, whose seventieth anniversary we recently celebrated. The universal objective and rational nature of those rights ought rightly to be reaffirmed, lest there prevail partial and subjective visions of humanity that risk leading to new forms of inequality, injustice, discrimination and, in extreme cases, also new forms of violence and oppression.

The defense of those most vulnerable

The second point of contact that I would mention is the defense of those who are vulnerable. In the words of Pope Paul: “We want to speak… for the poor, the disinherited, the unfortunate, and those who long for justice, a dignified life, liberty, prosperity and progress”.[6]

The Church has always been committed to helping those in need, while the Holy See itself has in recent years promoted various projects aimed at assisting the most vulnerable, projects that have also been supported by different actors on the international level. Among these, I would mention the humanitarian initiative in Ukraine on behalf of those suffering, particularly in the eastern areas of the country, from the conflict that has now lasted for almost five years and has recently seen troubling developments in the Black Sea. Thanks to the active response of the Catholic Churches of Europe and of members of the faithful elsewhere to my appeal of May 2016, an effort has been made, in collaboration with other religious confessions and international Organizations, to respond concretely to the immediate needs of those living in the territories affected. They are in fact the first victims of the war. The Church and her various institutions will pursue this mission, also in the hope of drawing greater attention to other humanitarian questions, including that of the treatment of the numerous prisoners. Through her activities and her closeness to the people involved, the Church strives to encourage, directly and indirectly, peaceful paths to the solution of the conflict, paths that are respectful of justice and law, including international law, which is the basis of security and coexistence in the entire region. To this end, the instruments that guarantee the free exercise of religious rights remain important.

For its part, the international community and its agencies are called to give a voice to those who have none. Among the latter in our own time, I would mention the victims of other ongoing wars, especially that in Syria with its high death toll. Once more, I appeal to the international community to promote a political solution to a conflict that will ultimately see only a series of defeats. It is vital to put an end to violations of humanitarian law, which cause untold suffering to the civil population, especially women and children, and strike at essential structures such as hospitals, schools and refugee camps, as well as religious edifices.

Nor can we forget the many displaced persons resulting from the conflict; this has created great hardship for neighbouring countries. Once more, I express my gratitude to Jordan and Lebanon for receiving in a spirit of fraternity, and not without considerable sacrifice, great numbers of people. At the same time, I express my hope that the refugees will be able to return to their homelands in safe and dignified living conditions. My thoughts also go to the various European countries that have generously offered hospitality to those in difficulty and danger.

Among those affected by the instability that for years has marked the Middle East are especially the Christian communities that have dwelt in those lands from apostolic times, and down the centuries have contributed to their growth and development. It is extremely important that Christians have a place in the future of the region, and so I encourage all those who have sought refuge in other places to do everything possible to return to their homes and in any event to maintain and strengthen their ties to their communities of origin. At the same time, I express my hope that political authorities will not fail to ensure their security and all else needed for them to continue to dwell in the countries of which they are full citizens, and to contribute to their growth.

Sadly, in these years Syria and more generally the whole Middle East have become a battleground for many conflicting interests. In addition to those of a chiefly political and military nature, we should not overlook attempts to foment hostility between Muslims and Christians. Even though “over the centuries many quarrels and dissensions have arisen between Christians and Muslims”,[7] in different areas of the Middle East they have long lived together in peace. In the near future, I will have occasion to visit two predominantly Muslim countries, Morocco and the United Arab Emirates. These represent two important opportunities to advance interreligious dialogue and mutual understanding between the followers of both religions, in this year that marks the eight-hundredth anniversary of the historic meeting between Saint Francis of Assisi and Sultan al-Malik al-Kāmil.

Among the vulnerable of our time that the international community is called to defend are not only refugees but also migrants. Once again, I appeal to governments to provide assistance to all those forced to emigrate on account of the scourge of poverty and various forms of violence and persecution, as well as natural catastrophes and climatic disturbances, and to facilitate measures aimed at permitting their social integration in the receiving countries. Efforts also need to be made to prevent individuals from being constrained to abandon their families and countries, and to allow them to return safely and with full respect for their dignity and human rights. All human beings long for a better and more prosperous life, and the challenge of migration cannot be met with a mindset of violence and indifference, nor by offering merely partial solutions.

Consequently, I cannot fail to express my appreciation for the efforts of all those governments and institutions that, moved by a generous sense of solidarity and Christian charity, cooperate in a spirit of fraternity for the benefit of migrants. Among these, I would like to mention Colombia which, together with other countries of the continent, has welcomed in recent months a vast influx of people coming from Venezuela. At the same time, I realize that the waves of migration in recent years have caused diffidence and concern among people in many countries, particularly in Europe and North America, and this has led various governments to severely restrict the number of new entries, even of those in transit. Nonetheless, I do not believe that partial solutions can exist for so universal an issue. Recent events have shown the need for a common, concerted response by all countries, without exception and with respect for every legitimate aspiration, whether of states or of migrants and refugees themselves.

In this regard, the Holy See has actively participated in the negotiations and supported the adoption of the two Global Compacts on Refugees and on Safe, Orderly and Regular Migration. In particular, the migration Compact represents an important step forward for the international community, which now, in the context of the United Nations is for the first time dealing on a multilateral level with this theme in a document of such importance. Despite the fact that they are not legally binding, and that some governments were absent from the recent United Nations Conference in Marrakesh, these two Compacts will serve as important points of reference for political commitment and concrete action on the part of international organizations, legislators and politicians, as well as all those working for a more responsible, coordinated and safe management of situations involving refugees and migrants of various kinds. In the case of both Compacts, the Holy See appreciates their intention and their character, which facilitates their implementation; at the same time, it has expressed reservations regarding the documents appealed to by the Compact on migration that contain terminology and guidelines inconsistent with its own principles on life and on the rights of persons.

Among others who are vulnerable, Paul VI went on to say that: “We speak for… the younger generation of today, who are moving ahead trustfully, with every right to expect a better mankind”.[8] Young people, who often feel bewildered and uncertain about the future, were the subject of the fifteenth Ordinary General Assembly of the Synod of Bishops. They will also be at the forefront of the Apostolic Journey that I will make to Panama in a few days for the thirty-fourth World Youth Day. Young people are our future, and the task of politics is to pave the way for the future. For this reason, it is urgently necessary to invest in initiatives that can enable coming generations to shape their future, with the possibility of finding employment, forming a family and raising children.

Together with young people, particular attention needs to be paid to children, especially in this year that marks the thirtieth anniversary of the adoption of the Convention on the Rights of the Child. This is a good occasion for serious reflection on the steps taken to protect the welfare of our little ones and their social and intellectual development, as well as their physical, psychological and spiritual growth. Here I cannot refrain from speaking of one of the plagues of our time, which sadly has also involved some members of the clergy. The abuse of minors is one of the vilest and most heinous crimes conceivable. Such abuse inexorably sweeps away the best of what human life holds out for innocent children, and causes irreparable and lifelong damage. The Holy See and the Church as a whole are working to combat and prevent these crimes and their concealment, in order to ascertain the truth of the facts involving ecclesiastics and to render justice to minors who have suffered sexual violence aggravated by the abuse of power and conscience. My meeting with the episcopates of the entire world next February is meant to be a further step in the Church’s efforts to shed full light on the facts and to alleviate the wounds caused by such crimes.

It is painful to note that in our societies, so often marked by fragile family situations, we see an increase of violence also with regard to women, whose dignity was emphasized by the Apostolic Letter Mulieris Dignitatem, published thirty years ago by Pope Saint John Paul II. Faced with the bane of physical and psychological abuse of women, there is an urgent need to recover correct and balanced forms of relationship, based on respect and mutual recognition, wherein each person can express in an authentic way his or her own identity. At the same time, the promotion of certain forms of non-differentiation between the genders risks distorting the very essence of manhood and womanhood.

Concern for those who are most vulnerable impels us also to reflect on another serious problem of our time, namely the condition of workers. Unless adequately protected, work ceases to be a means of human self-realization and becomes a modern form of slavery. A hundred years ago saw the establishment of the International Labour Organization, which has sought to promote suitable working conditions and to increase the dignity of workers themselves. Faced with the challenges of our own time, first of all increased technological growth, which eliminates jobs, and the weakening of economic and social guarantees for workers, I express my hope that the International Labour Organization will continue to be, beyond partisan interests, an example of dialogue and concerted effort to achieve its lofty objectives. In this mission, it too is called, together with other agencies of the international community, to confront the evil of child labour and new forms of slavery, as well as a progressive decrease in the value of wages, especially in developed countries, and continued discrimination against women in the workplace.

To be a bridge between peoples and builders of peace

In his address before the United Nations, Saint Paul VI clearly indicated the primary goal of that international Organization. In his words: “You are working to unite nations, to associate states… to bring them together. You are a bridge between peoples... It is enough to recall that the blood of millions, countless unheard-of sufferings, useless massacres and frightening ruins have sanctioned the agreement that unites you with an oath that ought to change the future history of the world: never again war! Never again war! It is peace, peace, that has to guide the destiny of the nations of all mankind! [And] as you well know, peace is not built merely by means of politics and a balance of power and interests. It is built with the mind, with ideas, with works of peace”.[9]

In the course of the past year, there have been some significant signs of peace, starting with the historic agreement between Ethiopia and Eritrea, which puts an end to twenty years of conflict and restores diplomatic relations between the two countries. Also, the agreement signed by the leaders of South Sudan, enabling the resumption of civil coexistence and the renewed functioning of national institutions, represents a sign of hope for the African continent, where grave tensions and widespread poverty persist. I follow with special concern the developing situation in the Democratic Republic of Congo, and I express my hope that the country can regain the reconciliation it has long awaited and undertake a decisive journey towards development, thus ending the ongoing state of insecurity affecting millions of people, including so many children. To that end, respect for the result of the electoral process is a determining factor for a sustainable peace. I likewise express my closeness to all those suffering from fundamentalist violence, especially in Mali, Niger and Nigeria, and from continued internal tensions in Cameroon, which not rarely sow death even among civilians.

Overall, we should note that Africa, beyond such dramatic situations, also shows great positive potential, grounded in its ancient culture and its traditional spirit of hospitality. An example of practical solidarity between nations is seen in the opening of their frontiers by different countries, in order generously to receive refugees and displaced persons. Appreciation should be shown for the fact that in many states we see the growth of peaceful coexistence between the followers of different religions and the promotion of joint initiatives of solidarity. In addition, the implementation of inclusive policies and the progress of democratic processes are proving effective in many regions for combating absolute poverty and promoting social justice. As a result, the support of the international community becomes all the more urgent for favouring the development of infrastructures, the growth of prospects for future generations, and the emancipation of the most vulnerable sectors of society.

Positive signs are arriving from the Korean Peninsula. The Holy See regards favourably the dialogues in course and expresses the hope that they can also deal with the more complex issues in a constructive attitude and thus lead to shared and lasting solutions capable of ensuring a future of development and cooperation for the whole Korean people and for the entire region.

I express a similar hope for beloved Venezuela, that peaceful institutional means can be found to provide solutions to the political, social and economic crisis, means that can make it possible to help all those suffering from the tensions of recent years, and to offer all the Venezuelan people a horizon of hope and peace.

The Holy See expresses the hope too that dialogue between Israelis and Palestinians will resume, so that an agreement at last can be reached and a response given to the legitimate aspirations of both peoples by ensuring the coexistence of two states and the attainment of a long awaited and desired peace. A united commitment on the part of the international community is extremely important and necessary for attaining this goal, as also for promoting peace in the entire region, particularly in Yemen and Iraq, while at the same time ensuring that necessary humanitarian assistance is provided to all those in need.

Rethinking our common destiny

Finally, I would mention a fourth feature of multilateral diplomacy: it invites us to rethink our common destiny. Paul VI put it in these terms: “We have to get used to a new way of thinking… about man’s community life and about the pathways of history and the destinies of the world… The hour has come… to think back over our common origin, our history, our common destiny. The appeal to the moral conscience of man has never been as necessary as it is today, in an age marked by such great human progress. For the danger comes neither from progress nor from science… The real danger comes from man, who has at his disposal ever more powerful instruments that are as well fitted to bring about ruin as they are to achieve lofty conquests”.[10]

In the context of that time, the Pope was referring essentially to the proliferation of nuclear weapons. “Arms, especially the terrible arms that modern science has provided you, engender bad dreams, feed evil sentiments, create nightmares, hostilities and dark resolutions, even before they cause any victims and ruins. They call for enormous expenses. They interrupt projects of solidarity and of useful labour. They warp the outlook of nations”.[11]

It is painful to note that not only does the arms trade seem unstoppable, but that there is in fact a widespread and growing resort to arms, on the part both of individuals and states. Of particular concern is the fact that nuclear disarmament, generally called for and partially pursued in recent decades is now yielding to the search for new and increasingly sophisticated and destructive weapons. Here I want to reiterate firmly that “we cannot fail to be genuinely concerned by the catastrophic humanitarian and environmental effects of any employment of nuclear devices. If we also take into account the risk of an accidental detonation as a result of error of any kind, the threat of their use – I would say the immorality of their use – as well as their very possession, is to be firmly condemned. For they exist in the service of a mentality of fear that affects not only the parties in conflict but the entire human race. International relations cannot be held captive to military force, mutual intimidation, and the parading of stockpiles of arms. Weapons of mass destruction, particularly nuclear weapons, create nothing but a false sense of security. They cannot constitute the basis for peaceful coexistence between members of the human family, which must rather be inspired by an ethics of solidarity”.[12]

Rethinking our common destiny in the present context also involves rethinking our relationship with our planet. This year too, immense distress and suffering caused by heavy rains, flooding, fires, earthquakes and drought have struck the inhabitants of different regions of the Americas and Southeast Asia. Hence, among the issues urgently calling for an agreement within the international community are care for the environment and climate change. In this regard, also in the light of the consensus reached at the recent international Conference on Climate Change (COP24) held in Katowice, I express my hope for a more decisive commitment on the part of states to strengthening cooperation for urgently combating the worrisome phenomenon of global warming. The earth belongs to everyone, and the consequences of its exploitation affect all the peoples of the world, even if certain regions feel those consequences more dramatically. Among the latter is the Amazon region, which will be at the centre of the forthcoming Special Assembly of the Synod of Bishops to be held in the Vatican next October. While chiefly discussing paths of evangelization for the people of God, it will certainly deal with environmental issues in the context of their social repercussions.

Your Excellencies, Ladies and Gentlemen,

On 9 November 1989 the Berlin Wall fell. Within a few months, an end would come to the last legacy of the Second World War: the painful division of Europe decided at Yalta and the Cold War. The countries east of the Iron Curtain recovered freedom after decades of oppression, and many of them set out on the path that would lead to membership in the European Union. In the present climate, marked by new centrifugal tendencies and the temptation to erect new curtains, may Europe not lose its awareness of the benefits – the first of which is peace – ushered in by the journey of friendship and rapprochement between peoples begun in the postwar period.

Finally, I would like to mention yet another anniversary. On 11 February ninety years ago, the Vatican City State came into being as a result of the signing of the Lateran Pacts between the Holy See and Italy. This concluded the lengthy period of the “Roman Question” that followed the taking of Rome and the end of the Papal States. With the Lateran Treaty, the Holy See was able to have at its use “that small portion of material territory indispensable for the exercise of the spiritual power entrusted to men for the sake of mankind”,[13] as Pius XI stated. With the Concordat, the Church was once more able to contribute fully to the spiritual and material growth of Rome and Italy as a whole, a country rich in history, art and culture, which Christianity had contributed to building. On this anniversary, I assure the Italian people of a special prayer, so that, in fidelity to their proper traditions, they may keep alive the spirit of fraternal solidarity that has long distinguished them.

To you, dear Ambassadors and distinguished guests here present, and to your countries, I offer cordial good wishes that the New Year will see a strengthening of the bonds of friendship uniting us and renewed efforts to promote that peace to which our world aspires.

Thank you!

_______________________

[1] Cf. Message to the Catholics of China and to the Universal Church, 26 September 2018, No. 3.
[2]
Cf. Apostolic Exhortation Evangelii Gaudium (24 November 2013), 234.
[3]
PAUL VI, Address to the United Nations (4 October 1965), 2.
[4]
Compendium of the Social Doctrine of the Church, No. 165.
[5]
Apostolic Exhortation Evangelii Gaudium (24 November 2013), 228.
[6]
Address to the United Nations, 1.
[7]
SECOND VATICAN ECUMENICAL COUNCIL, Decree on the Relation of the Church to Non-Christian Religions Nostra Aetate (28 October 1965), 3.
[8]
Address to the United Nations, 1.
[9]
Ibid., 3; 5.
[10]
Ibid., 7.
[11]
Ibid., 5.
[12]
Address to Participants in the International Symposium on Disarmament sponsored by the Dicastery for Promoting Integral Human Development, 10 November 2017.
[13]
PIUS XI, Address “Il nostro più cordiale” to the Parish Priests of Rome and the Lenten Preachers on the occasion of the signing of the Treaty and Concordat in the Lateran Palace, 1 February 1929.

[00023-EN.02] [Original text: Italian]

Traduzione in lingua tedesca

Exzellenzen,  meine Damen und Herren,

der Anfang eines neuen Jahrs erlaubt uns, die hektische Aufeinanderfolge der täglichen Aktivitäten für einige Augenblicke zu unterbrechen, um einige Überlegungen über die vergangenen Ereignisse anzustellen und über die Herausforderungen nachzudenken, die uns in naher Zukunft erwarten. Ich danke Ihnen für Ihre zahlreiche Anwesenheit bei dieser traditionellen Begegnung, die uns vor allem eine gute Gelegenheit bietet, einander unsere herzlichen Glückwünsche auszutauschen. Sie mögen den Völkern, die Sie vertreten, meine Nähe übermitteln verbunden mit dem Wunsch, dass das eben erst begonnene Jahr jedem Glied der Menschheitsfamilie Frieden und Wohlergehen bringe.

Mein besonderer Dank gilt dem Botschafter Zyperns, S.E. Herrn George Poulides, für die freundlichen Worte, die er in seiner Eigenschaft als Doyen des beim Heiligen Stuhl akkreditierten Diplomatischen Korps zum ersten Mal in Ihrer aller Namen an mich gerichtet hat. Jedem von Ihnen möchte ich meine besondere Wertschätzung für die Arbeit zum Ausdruck bringen, die Sie täglich zur Festigung der Beziehungen zwischen Ihren jeweiligen Ländern oder Organisationen und dem Heiligen Stuhl leisten. Diese wurden auch durch die Unterzeichnung oder Ratifizierung neuer Übereinkommen weiter gestärkt.

Ich beziehe mich insbesondere auf die Ratifizierung des Rahmenvertrags zwischen dem Heiligen Stuhl und der Republik Benin über den Rechtsstatus der Katholischen Kirche in Benin wie auch auf die Unterzeichnung und Ratifizierung des Abkommens zwischen dem Heiligen Stuhl und der Republik San Marino über den katholischen Religionsunterricht an den öffentlichen Schulen.

Im multilateralen Bereich hat der Heilige Stuhl auch das Regionale Übereinkommen der UNESCO über die Anerkennung von Studien, Diplomen und Graden im Hochschulbereich in den Staaten Asiens und des Pazifiks ratifiziert und ist im vergangenen März dem Erweiterten Teilabkommen über die Kulturwege des Europarates beigetreten. Diese Initiative möchte aufzeigen, wie die Kultur im Dienst des Friedens steht und einen einigenden Faktor der verschiedenen europäischen Gesellschaften darstellt und so die Eintracht unter den Völkern mehren kann. Es handelt sich um ein Zeichen besonderer Aufmerksamkeit gegenüber einer Organisation, die dieses Jahr ihr 70-jähriges Gründungsjubiläum begeht. Der Heilige Stuhl arbeitet seit vielen Jahrzehnten mit ihr zusammen und anerkennt ihre spezifische Rolle in der Förderung der Menschenrechte, der Demokratie und des Rechtsstaates in einem Raum, der den ganzen europäischen Kontinent umfassen möchte. Am vergangenen 30. November schließlich ist der Staat der Vatikanstadt in den Europäischen Zahlungsraum (SEPA) aufgenommen worden.

Der Gehorsam gegenüber der geistlichen Sendung, die dem Auftrag des Herrn Jesus Christus an den Apostel Petrus »Weide meine Lämmer« (Joh 21,15) entspringt, treibt den Papst – und somit den Heiligen Stuhl – an, sich um die ganze Menschheitsfamilie und um ihre Bedürfnisse auch materieller und sozialer Natur zu sorgen. Der Heilige Stuhl beabsichtigt jedoch nicht, sich in das Leben der Staaten einzumischen, wohl aber strebt er danach, ein aufmerksamer und feinfühliger Zuhörer für die Problemstellungen zu sein, die die ganze Menschheit betreffen. Hierbei hegt er den aufrichtigen und demütigen Wunsch, dem Wohl jedes Menschen zu dienen.

Diese Sorge kennzeichnet das heutige Treffen und stützt mich bei den Begegnungen mit den vielen Pilgern aus allen Teilen der Welt hier im Vatikan wie auch mit den Völkern und Gemeinschaften, die ich im vergangenen Jahr auf den Apostolischen Reisen nach Chile, Peru, in die Schweiz, nach Irland, Litauen, Lettland und Estland voll Freude besuchen konnte.

Diese Sorge treibt die Kirche an jedem Ort an, sich zugunsten des Aufbaus von friedlichen und versöhnten Gesellschaften einzusetzen. In dieser Hinsicht denke ich insbesondere an das geschätzte Nicaragua, dessen Lage ich aus der Nähe verfolge, in der Hoffnung, dass die verschiedenen politischen und gesellschaftlichen Instanzen im Dialog den Königsweg finden, um sich miteinander über Wohl des gesamten Landes auseinanderzusetzen.

Vor diesem Hintergrund erfolgt auch die Festigung der Beziehungen zwischen dem Heiligen Stuhl und Vietnam, um in naher Zukunft einen residierenden Päpstlichen Vertreter zu ernennen. Seine Anwesenheit möchte vor allem ein Ausdruck der Fürsorge des Nachfolgers Petri für die Ortskirche sein.

Analog dazu ist die Unterzeichnung der Vorläufigen Vereinbarung zwischen dem Heiligen Stuhl und der Volksrepublik China über die Ernennung der Bischöfe in China am vergangenen 22. September zu verstehen. Diese ist, wie bekannt, das Ergebnis eines langen und überlegten institutionellen Dialogs, durch den es gelungen ist, einige stabile Elemente der Zusammenarbeit zwischen dem Apostolischen Stuhl und den zivilen Behörden festzulegen. Wie ich schon in der Botschaft an die chinesischen Katholiken und an die universale Kirche[1] erwähnen konnte, hatte ich bereits im Vorfeld die restlichen ohne päpstliches Mandat geweihten offiziellen Bischöfe in die volle kirchliche Gemeinschaft wiederaufgenommen und sie eingeladen, großzügig für die Versöhnung der chinesischen Katholiken und für einen neuen Schwung in der Evangelisierung zu arbeiten. Ich danke dem Herrn, dass zum ersten Mal nach vielen Jahren alle Bischöfe in China in voller Gemeinschaft mit dem Nachfolger Petri und der universalen Kirche stehen. Ein sichtbares Zeichen dafür war auch die Teilnahme zweier Bischöfe Kontinentalchinas an der vor kurzem abgehaltenen Jugendsynode. Es ist zu hoffen, dass die Fortsetzung der Kontakte im Hinblick auf die Umsetzung der geschlossenen Vorläufigen Vereinbarung dazu beitrage, die offenen Fragen zu lösen und jene Räume zu gewährleisten, die für den tatsächlichen Genuss der Religionsfreiheit notwendig sind.

Liebe Botschafter,

das eben begonnene Jahr bringt uns neben dem zuvor in Erinnerung gerufenen Jubiläum des Europarats verschiedene bedeutende Jahrestage. Unter diesen möchte ich besonders einen erwähnen: den hundertsten Jahrestag des Völkerbundes, der durch den am 28. Juni 1919 unterzeichneten Versailler Vertrages eingerichtet wurde. Warum einer Organisation gedenken, die heute nicht mehr existiert? Weil sie den Anfang der modernen multilateralen Diplomatie darstellt, mittels der die Staaten versuchen, die gegenseitigen Beziehungen der Logik der Vorherrschaft entziehen, die zum Krieg führt. Das Experiment des Völkerbundes erfuhr sehr bald jene allen bekannten Schwierigkeiten, die genau zwanzig Jahre nach seinem Entstehen zu einem neuen und noch grausameren Konflikt führten, zum Zweiten Weltkrieg. Nichtsdestotrotz hat der Völkerbund einen Weg eröffnet, der dann mit der Einrichtung der Organisation der Vereinten Nationen im Jahr 1945 mit größerer Entschiedenheit verfolgt werden sollte: ein Weg gewiss besät mit Schwierigkeiten und Gegensätzlichkeiten; nicht immer wirksam, da auch heute die Konflikte leider fortbestehen; aber doch immer eine unbestreitbare Gelegenheit für die Nationen, einander zu begegnen und nach gemeinsamen Lösungen zu suchen.

Unverzichtbare Voraussetzung für den Erfolg der multilateralen Diplomatie sind der gute Wille sowie Treu und Glauben der Gesprächspartner, die Bereitschaft zu einer ehrlichen und aufrichtigen Auseinandersetzung und der Wille, die unvermeidlichen Kompromisse anzunehmen, die sich aus dem Vergleich der Parteien ergeben. Wo auch nur eines dieser Elemente fehlt, überwiegt die Suche nach unilateralen Lösungen und letztlich die Unterdrückung des Stärkeren über den Schwächeren. Der Völkerbund geriet eben wegen dieser Gründe in die Krise und leider ist zu bemerken, dass dieselben Haltungen auch heute die Leitung der wichtigsten internationalen Organisationen gefährden.

Ich halte es daher für wichtig, dass auch in der gegenwärtigen Zeit der Wille zu einer sachlichen und konstruktiven Auseinandersetzung unter den Staaten nicht schwinde, auch wenn es offenkundig ist, dass die Beziehungen innerhalb der internationalen Gemeinschaft und das multilaterale System in seiner Gesamtheit durch das erneute Aufkommen nationalistischer Tendenzen schwierige Augenblicke erleben. Diese bedrohen die Aufgabe der internationalen Organisationen, allen Ländern Raum für Dialog und Begegnung zu bieten. Dies ist zum Teil einer gewissen Unfähigkeit des multilateralen Systems geschuldet, für verschiedene seit geraumer Zeit unbewältigte Situationen – wie für einige schwelende Konflikte – wirksame Lösungen anzubieten und die gegenwärtigen Herausforderungen auf für alle zufriedenstellende Weise anzugehen. Teils ist dies das Resultat der Entwicklung der nationalen Politik der Staaten, die immer häufiger davon bestimmt ist, einen unmittelbaren einseitigen Konsens zu suchen, anstatt geduldig das Gemeinwohl mit länger herangereiften Antworten zu verfolgen. Teils ist es auch das Ergebnis des vermehrten Übergewichts von Mächten und Interessensgruppen in den internationalen Organisationen, die ihre eigenen Vorstellungen und Ideen durchsetzen. So setzen sie dabei neue Formen der ideologischen Kolonialisierung in Gang, die oft die Identität, Würde und Sensibilität der Völker missachten. Teils ist es die Folge der Reaktion in einigen Regionen der Welt auf die Globalisierung, die in gewisser Hinsicht zu schnell und ungeordnet vorangeschritten ist, so dass sich zwischen Globalisierung und Lokalisierung eine Spannung bildet. Man muss daher die globale Dimension berücksichtigen, ohne die lokalen Gegebenheiten aus dem Blick zu verlieren. Angesichts der Idee einer „sphärischen Globalisierung“, welche die Unterschiede nivelliert und bei der die Besonderheiten zu verschwinden scheinen, kann es leicht geschehen, dass Nationalismen wieder aufkommen. Indessen kann die Globalisierung auch eine Chance sein, wenn sie „polyedrisch“ ist, das heißt, wenn sie eine positive Spannung zwischen der Identität jedes Volkes und Landes und der Globalisierung selbst begünstigt, entsprechend dem Grundsatz, dass das Ganze dem Teil übergeordnet ist.[2]

Einige dieser Haltungen weisen zurück auf die Zwischenkriegszeit, als die populistischen und nationalistischen Tendenzen sich gegenüber der Tätigkeit des Völkerbundes durchsetzten. Das erneute Auftreten solcher Strömungen heute schwächt allmählich das multilaterale System und führt zu einem allgemeinen Vertrauensmangel, zu einer Glaubwürdigkeitskrise der internationalen Politik und einer fortschreitenden Marginalisierung der schwächsten Mitglieder der Völkerfamilie.

In seiner denkwürdigen Ansprache an die Vollversammlung der Vereinten Nationen – die erste eines Papstes vor dieser Versammlung – umriss der heilige Paul VI., den heiligzusprechen ich letztes Jahr die Freude hatte, die Zielsetzungen der multilateralen Diplomatie, ihre Eigenschaften und Verantwortung im gegenwärtigen Kontext und hob auch die Berührungspunkte hervor, die mit der geistlichen Sendung des Papstes und somit des Heiligen Stuhls bestehen.

Der Primat der Gerechtigkeit und des Rechts

Der erste Berührungspunkt, den ich in Erinnerung rufen möchte, ist der Primat der Gerechtigkeit und des Rechts. So sagte Paul VI.: »Sie bestätigen das große Prinzip, dass die Beziehungen zwischen den Völkern nach der Vernunft, der Gerechtigkeit, dem Recht und durch Verhandlungen geregelt werden müssen und nicht durch die Stärke, nicht durch Gewalt, nicht durch Krieg und auch nicht durch Angst und Betrug.«[3]

In unserer Epoche ruft das Wiederaufkommen von Tendenzen Sorge hervor, welche die nationalen Einzelinteressen durchsetzen und verfolgen, ohne auf die Instrumente zurückzugreifen, die das Völkerrecht zur Lösung von Kontroversen und zur Sicherstellung der Einhaltung des Rechts – auch durch die internationalen Gerichtshöfe – vorsieht. Diese Haltung ist zuweilen Frucht der Reaktion derer, die zu Regierungsverantwortung gerufen werden und vor einem deutlichen Missbehagen stehen, das sich unter den Bürgern nicht weniger Länder immer mehr ausbreitet. Denn die Bürger nehmen die Dynamiken und Regeln, welche die internationale Gemeinschaft lenken, als langsam, abstrakt und letztendlich als von ihren tatsächlichen Bedürfnissen fern wahr. Es ist angebracht, dass die politischen Persönlichkeiten die Stimmen ihrer Völker anhören und nach konkreten Lösungen suchen, um deren Wohl zu steigern und zu fördern. Dies verlangt jedoch die Einhaltung des Rechts und der Gerechtigkeit sowohl innerhalb der nationalen Gemeinschaften wie auch auf internationaler Ebene, weil reaktive, emotionelle und übereilte Lösungen wohl einen kurzlebigen Konsens erreichen können, aber gewiss nicht zur Lösung der grundsätzlichen Probleme beitragen werden, sondern sie vielmehr verstärken.

Von ebendieser Sorge her wollte ich die Botschaft zum 52. Weltfriedenstag am vergangenen 1. Januar dem Thema „Gute Politik steht im Dienst des Friedens“ widmen, weil eine enge Beziehung zwischen guter Politik und dem friedlichen Zusammenleben unter den Völkern und Nationen besteht. Der Frieden ist niemals ein Teilgut, sondern er umfasst das ganze Menschengeschlecht. Ein wesentlicher Aspekt der guten Politik besteht also darin, das Gemeinwohl aller zu verfolgen, insofern es das »Wohl aller Menschen und des ganzen Menschen«[4] und die soziale Voraussetzung ist, die jeder Person und der gesamten Gemeinschaft erlaubt, ihr materielles und geistliches Wohlergehen zu erreichen.

Von der Politik wird verlangt, Weitblick zu haben und sich nicht darauf zu beschränken, nach kurzfristigen Lösungen zu suchen. Der gute Politiker soll keine Räume besetzen, sondern Prozesse in Gang bringen; er soll dafür sorgen, dass die Einheit mehr wiegt als der Konflikt, die auf der »Solidarität, verstanden in ihrem tiefsten und am meisten herausfordernden Sinn«, gründet. Diese »wird zu einer Weise, Geschichte in einem lebendigen Umfeld zu schreiben, wo die Konflikte, die Spannungen und die Gegensätze zu einer vielgestaltigen Einheit führen können, die neues Leben hervorbringt.«[5]

Diese Überlegung berücksichtigt die transzendente Dimension der menschlichen Person, die nach dem Bild und Gleichnis Gottes geschaffen ist. Die Achtung der Würde jedes Menschen also ist die unverzichtbare Voraussetzung für jedes wahrhaft friedliche Zusammenleben, und das Recht stellt das wesentliche Instrument zur Erreichung der sozialen Gerechtigkeit und zur Stärkung brüderlicher Bande zwischen den Völkern dar. Auf diesem Gebiet nehmen die Menschenrechte eine fundamentale Rolle ein, die in der Allgemeinen Erklärung der Menschenrechte formuliert wurden, deren 70. Jahrestag wir vor kurzem begangen haben. Es wäre angebracht, ihren universalen, objektiven und vernünftigen Charakter wieder neu zu entdecken, damit nicht subjektive Teilsichten des Menschen überhandnehmen, welche das Risiko mit sich bringen, neuen Unterschieden, Ungerechtigkeiten, Diskriminierungen und im Äußersten sogar neuer Gewalt und Übergriffen die Tür zu öffnen.

Die Verteidigung der Schwächsten

Das zweite Element, an das ich erinnern möchte, ist die Verteidigung der Schwachen. »Wir machen uns«, so sagte Paul VI., »auch zum Sprecher der Armen, Enterbten, der Leidenden, derer, die auf Gerechtigkeit hoffen, auf ein menschenwürdiges Leben, auf Freiheit, Wohlstand und Fortschritt.«[6]

Die Kirche engagiert sich immer schon in der Hilfe für die Notleidenden, und der Heilige Stuhl selbst hat sich im Laufe dieser Jahre zum Förderer verschiedener Projekte zugunsten der Schwächsten gemacht, die auch Unterstützung von verschiedenen Seiten auf internationaler Ebene erfahren haben. Unter diesen möchte ich die humanitäre Initiative in der Ukraine erwähnen, die der Bevölkerung gilt, die vor allem in den östlichen Regionen des Landes aufgrund des Konflikts leidet, der seit fast fünf Jahren andauert und einige neue besorgniserregende Wendungen im Schwarzen Meer genommen hat. Unter aktiver Teilnahme der katholischen Kirche in Europa und der Gläubigen aus anderen Teilen der Welt, die meinem Aufruf vom Mai 2016 gefolgt sind, wie auch in Zusammenarbeit mit anderen Konfessionen und internationalen Organisationen hat man versucht, auf konkrete Weise den Grundbedürfnissen der Einwohner in den betroffenen Gebieten entgegenzukommen, die die ersten Opfer des Krieges sind. Die Kirche und ihre verschiedenen Einrichtungen werden weiterhin diese ihre Sendung fortsetzen in der Absicht, die Aufmerksamkeit vermehrt auch auf weitere humanitäre Fragen zu lenken. Dazu zählt auch das Schicksal der immer noch zahlreichen Gefangenen. Durch ihr Wirken und die Nähe zur Bevölkerung versucht die Kirche, direkt und indirekt zu friedlichen Wegen der Konfliktlösung zu ermutigen, zu Wegen, die das Recht und die Legalität, einschließlich auf internationaler Ebene, achten; darin besteht die Grundlage der Sicherheit und des Zusammenlebens in der ganzen Region. Zu diesem Zweck sind die Instrumente wichtig, die die freie Ausübung der religiösen Rechte gewährleisten.

Ihrerseits ist auch die internationale Gemeinschaft mit ihren Organisationen aufgerufen, denen eine Stimme zu verleihen, die keine haben. Und unter denen ohne Stimme in unserer Zeit möchte ich an die Opfer der anderen derzeitigen Kriege erinnern, besonders des Kriegs in Syrien mit einer immensen Anzahl von Toten, die er gefordert hat. Noch einmal appelliere ich an die internationale Gemeinschaft, auf dass eine politische Lösung eines Konflikts unterstützt werde, der am Ende nur Besiegte kennen wird. Wesentlich ist vor allem, dass die Verletzungen des humanitären Rechts aufhören, die der Zivilbevölkerung unsägliche Leiden bereiten, insbesondere Frauen und Kindern, und notwendige Einrichtungen wie Krankenhäuser, Schulen und Flüchtlingslager sowie religiöse Gebäude treffen.

Sodann dürfen die zahlreichen Flüchtlinge nicht vergessen werden, die der Konflikt hervorgebracht hat und vor allem die benachbarten Länder auf eine harte Probe stellt. Noch einmal will ich Jordanien und dem Libanon meinen Dank aussprechen, die in brüderlichem Geist und unter nicht wenigen Opfern große Scharen von Menschen aufgenommen haben. Gleichzeitig möchte ich der Hoffnung Ausdruck verleihen, dass die Flüchtlinge in ihre Heimat zurückkehren können und dort entsprechende Lebens- und Sicherheitsbedingungen vorfinden. Ebenso denke ich an die verschiedenen Länder Europas, die denen großzügig Gastfreundschaft gewährt haben, die sich in Schwierigkeiten und Gefahr befanden.

Unter denen, die von der Instabilität betroffen sind, die seit Jahren den Nahen Osten in Mitleidenschaft zieht, sind vor allem die Christen, die seit den Zeiten der Apostel in diesen Ländern wohnen und über die Jahrhunderte zu ihrem Aufbau und ihrer Prägung beigetragen haben. Es ist äußerst wichtig, dass die Christen einen Platz in der Zukunft der Region haben. So ermutige ich alle, die an anderen Orten Zuflucht gesucht haben, das Mögliche dafür zu tun, um nach Hause zurückzukehren, und auf jeden Fall die Bindungen zu ihren Herkunftsgemeinschaften aufrechtzuerhalten und zu festigen. Zugleich hoffe ich, dass die politischen Verantwortungsträger es nicht versäumen, ihnen die notwendige Sicherheit und alle anderen Voraussetzungen zu gewährleisten, die es ihnen erlauben, weiterhin in den Ländern, deren vollberechtigte Bürger sie sind, zu leben und zu ihrem Aufbau beizutragen.

Leider waren im Laufe dieser Jahre Syrien und der ganze Nahe Osten im Allgemeinen Schauplatz des Zusammenpralls vielfacher gegensätzlicher Interessen. Neben den größten Interessen politischer und militärischer Natur darf man nicht beiseitelassen, dass auch versucht wird, zwischen Moslems und Christen Feindschaft zu setzen. Wenn es auch »im Lauf der Jahrhunderte zu manchen Zwistigkeiten und Feindschaften zwischen Christen und Muslimen kam«[7], lebten sie an verschiedenen Orten im Nahen Osten lange Zeit friedlich zusammen. Demnächst werde ich die Möglichkeit haben, in zwei Länder mit muslimischer Mehrheit zu reisen, nach Marokko und in die Vereinigten Arabischen Emirate. Es wird sich um zwei bedeutende Gelegenheiten handeln, den interreligiösen Dialog und die gegenseitige Kenntnis zwischen den Gläubigen beider Religionen anlässlich des achthundertsten Jahrestages der historischen Begegnung zwischen dem heiligen Franz von Assisi und Sultan al-Malik al-Kāmil weiter zu fördern.

Unter den Schwachen unserer Zeit, welche die internationale Gemeinschaft zu verteidigen hat, gibt es zusammen mit den Flüchtlingen auch die Migranten. Noch einmal möchte ich das Augenmerk der Regierungen darauf lenken, damit allen geholfen wird, die aufgrund der Geißel der Armut, jeder Art von Gewalt und Verfolgung wie auch aufgrund von Naturkatastrophen und Klimaschäden auswandern mussten, und damit die Maßnahmen erleichtert werden, die ihre soziale Integration in den Aufnahmeländern ermöglichen. Sodann ist ein entsprechender Einsatz notwendig, damit die Menschen nicht gezwungen sind, die eigene Familie und Nation zu verlassen, oder in Sicherheit und unter der vollen Achtung ihrer Würde und ihrer Menschenrechte dorthin zurückkehren können. Jeder Mensch sehnt sich nach einem besseren und glücklicheren Leben, und die Herausforderung der Migration kann weder durch die Logik der Gewalt und der Aussonderung gelöst werden noch durch Teillösungen.

Ich kann folglich nur dankbar sein für die Anstrengungen vieler Regierungen und Einrichtungen, die aus einem großherzigen Geist der Solidarität und christlichen Nächstenliebe heraus zugunsten der Migranten eng zusammenarbeiten. Unter ihnen möchte ich Kolumbien erwähnen, das zusammen mit anderen Ländern Lateinamerikas in den vergangenen Monaten eine beachtliche Zahl von Menschen aus Venezuela aufgenommen hat. Ich bin mir zugleich bewusst, dass die Migrationswellen dieser Jahre unter der Bevölkerung vieler Länder, vor allem in Europa und Nordamerika, Misstrauen und Sorge hervorgerufen hat. Dies hat verschiedene Regierungen dazu geführt, die ankommenden Ströme, selbst wenn sie nur durchgereist sind, stark zu begrenzen. Dennoch meine ich, dass auf eine so universale Frage keine Teillösungen gegeben werden können. Die jüngsten Notfälle haben gezeigt, dass eine gemeinsame konzertierte Antwort aller Länder notwendig ist, bei der es keine Präklusionen gibt und alle legitimen Ansprüche respektiert werden, sowohl der Staaten als auch der Migranten und Flüchtlinge.

In dieser Hinsicht hat sich der Heilige Stuhl aktiv bei den Verhandlungen und für die Annahme der zwei Globalen Pakte für Flüchtlinge und für eine sichere, geordnete und geregelte Migration eingebracht. Insbesondere der Migrationspakt stellt für die internationale Gemeinschaft einen wichtigen Schritt nach vorne dar, denn er geht im Rahmen der Vereinten Nationen zum ersten Mal auf multilateraler Ebene dieses Thema in einem Dokument von gewichtiger Bedeutung an. Obwohl diese Dokumente rechtlich nicht bindend sind und verschiedene Regierungen an der jüngsten UN-Konferenz in Marrakesch nicht teilgenommen haben, werden die beiden Pakte ein wichtiger Bezugspunkt sein für den politischen Einsatz und für das konkrete Handeln von internationalen Organisationen, Gesetzgebern und Politikern wie auch für alle, die sich für eine verantwortungsvollere, besser koordinierte und sichere Verwaltung der Situationen der Flüchtlinge und verschiedenen Migranten einsetzen. Bei beiden Pakten schätzt der Heilige Stuhl ihre Absicht und Natur, welche ihre Umsetzung erleichtert, auch wenn er seine Vorbehalte hinsichtlich der im Migrationspakt angeführten Dokumente bekundet hat. Diese beinhalten nämlich Terminologien und Leitlinien, die den Prinzipien des Heiligen Stuhls bezüglich des Lebens und der Rechte der Personen nicht entsprechen.

Unter den anderen Schwachen machen wir uns »auch die Stimme« – so fuhr Paul VI. fort – »der jungen Generationen von heute« zu eigen, die »mit gutem Recht eine bessere Menschheit erwarten«[8]. Den jungen Menschen, die sich oft verloren vorkommen und keine Gewissheit hinsichtlich ihrer Zukunft haben, war die XV. Ordentliche Generalversammlung der Bischofssynode gewidmet. Sie werden auch die Hauptpersonen der Apostolischen Reise sein, die ich anlässlich des 34. Weltjugendtages in wenigen Tagen nach Panama machen werde. Die Jugendlichen sind die Zukunft, und Aufgabe der Politik ist es, Wege der Zukunft zu erschließen. Deswegen ist es notwendiger denn je, in Initiativen zu investieren, die es den kommenden Generationen ermöglichen, sich eine Zukunft aufzubauen, Arbeit zu finden, eine Familie zu gründen und Kinder großzuziehen.

Neben den jungen Menschen verdienen die Kinder besondere Erwähnung, vor allem in diesem Jahr, in dem der 30. Jahrestag der Annahme der Kinderrechtskonvention begangen wird. Es handelt sich um eine gute Gelegenheit, ernsthaft über die Schritte nachzudenken, die gesetzt wurden, um über das Wohl unserer Kleinen zu wachen, über ihre soziale und intellektuelle Entwicklung wie auch über ihr körperliches, seelisches und geistiges Wachstum. Hier darf ich eine der Plagen unserer Zeit nicht verschweigen, die leider auch einige Angehörige des Klerus als Hauptverantwortliche kennt. Der Missbrauch von Minderjährigen stellt eines der größten möglichen niederträchtigen und unheilvollen Verbrechen dar. Er fegt unerbittlich das Beste von dem hinweg, was das menschliche Leben für ein unschuldiges Wesen bereithält, und fügt für das restliche Leben irreparable Schäden zu. Der Heilige Stuhl und die ganze Kirche bemühen sich, solche Vergehen und deren Verschleierung zu bekämpfen und ihnen vorzubeugen, die Wahrheit der Fakten im Hinblick auf die Beteiligung von Geistlichen zu ermitteln und den Minderjährigen Gerechtigkeit zuteilwerden zu lassen, die sexuelle Gewalt erlitten haben, verschärft durch den Missbrauch von Macht und Gewissen. Das Treffen mit dem Episkopat aller Welt im kommenden Februar möchte ein weiterer Schritt sein auf dem Weg der Kirche, eine volle Aufklärung der Fakten durchzuführen und die Wunden zu lindern, die von diesen Vergehen hervorgerufen wurden.

Es schmerzt festzustellen, dass in unsere Gesellschaft, die oft von brüchigen familiären Umfeldern gekennzeichnet ist, ein gewaltbereites Verhalten auch gegenüber den Frauen zunimmt. Die Würde der Frau stand im Mittelpunkt der Apostolischen Schreibens Mulieris dignitatem, das der heilige Papst Johannes Paul II. vor dreißig Jahren herausgegeben hat. Angesichts der Plage des physischen und psychologischen Missbrauchs von Frauen ist es dringend erforderlich, Formen rechter und ausgewogener Beziehungen wieder neu zu entdecken, die sich auf der gegenseitigen Achtung und Anerkennung gründen und in denen jeder seine Identität authentisch ausdrücken kann. Die Förderung mancher Formen der Verwischung der Verschiedenheit droht hingegen, die Natur des Mann- bzw. Frauseins selbst zu entstellen.

Die Aufmerksamkeit für die Schwächsten drängt uns auch dazu, über eine andere Wunde unserer Zeit nachzudenken, nämlich über die Lage der Arbeiter. Wenn die Arbeit nicht entsprechend geschützt wird, bildet sie nicht mehr den Weg, durch den der Mensch sich verwirklicht, sondern wird zu einer modernen Form der Sklaverei. Vor hundert Jahren wurde die Internationale Arbeitsorganisation gegründet, die sich dafür einsetzte, angemessene Arbeitsbedingungen zu fördern und die Würde der Arbeiter selbst zu mehren. Vor den Herausforderungen unserer Zeit – an erster Stelle stehen hier die zunehmende technische Entwicklung, die Arbeitsplätze abschafft, und die Abnahme der finanziellen und sozialen Sicherheiten für die Arbeiter – verleihe ich dem Wunsch Ausdruck, dass die Internationale Arbeitsorganisation über die jeweiligen Interessen hinaus weiter ein Beispiel des Dialogs und des Miteinanders zur Erreichung ihrer hohen Ziele sei. Zu ihrem Auftrag gehört ebenso, dass sie zusammen mit anderen Einrichtungen der internationalen Gemeinschaft auch die Wunde der Kinderarbeit und der neuen Formen von Sklaverei angeht sowie die allmähliche Abnahme der Löhne, vor allem in den entwickelten Ländern, und die anhaltende Diskriminierung von Frauen in der Arbeitswelt.

Brücke zwischen den Völker und Erbauer des Friedens sein

In seiner Ansprache an die Vereinten Nationen wies der heilige Paul VI. klar auf das Hauptziel dieser internationalen Organisation hin: »Sie bestehen und Sie arbeiten, um die Nationen zu vereinen und um die Staaten zu verbinden […] die einen mit den anderen zu vereinen. […] Sie sind eine Brücke zwischen den Völkern. […] Es genügt, daran zu erinnern, dass das Blut von Millionen Menschen, dass die unerhörten und zahllosen Leiden, unnötige Massaker und entsetzliche Ruinen den Pakt rechtfertigen, der Sie in einem Schwur vereint, der die künftige Geschichte der Welt verändern soll: niemals mehr Krieg, nie mehr Krieg! Es ist der Friede, der Friede, der das Schicksal der Völker und der ganzen Menschheit bestimmen muss! […] Der Friede, das wissen Sie, wird nicht nur mit Hilfe der Politik, des Gleichgewichts der Kräfte und der Interessen geschaffen, sondern er wird durch den Geist, die Ideen und die Werke des Friedens gestaltet.«[9]

Im Laufe des letzten Jahres gab es einige bedeutsame Zeichen des Friedens, angefangen von dem historischen Abkommen zwischen Äthiopien und Eritrea, das einen zwanzigjährigen Konflikt beendet und die diplomatischen Beziehungen zwischen den beiden Ländern wiederherstellt. Auch die von den Verantwortungsträgern des Südsudans unterzeichnete Vereinbarung, welche es erlaubt, das Leben der zivilen Gemeinschaft wiederaufzunehmen und die Tätigkeit der staatlichen Einrichtungen zu reaktivieren, ist ein Hoffnungszeichen für den afrikanischen Kontinent. Auf ihm dauern jedoch schwere Spannungen und weitverbreitete Armut an. Ich verfolge mit besonderer Aufmerksamkeit den Fortgang der Situation in der Demokratischen Republik Kongo. So bringe ich die Hoffnung zum Ausdruck, dass das Land die Versöhnung wiederfinden möge, auf die es seit geraumer Zeit wartet, und einen entschiedenen Weg hin zur Entwicklung einschlage, um den anhaltenden Zustand der Unsicherheit zu beenden, der Millionen von Personen, unter ihnen auch viele Kinder, betrifft. Das Wahlergebnis zu respektieren stellt dazu einen maßgeblichen Faktor für einen dauerhaften Frieden dar. Desgleichen bekunde ich all denen meine Nähe, die wegen fundamentalistischer Gewalt leiden, insbesondere in Mali, Niger und Nigeria, oder aufgrund der fortdauernden internen Spannungen in Kamerun, die nicht selten auch unter der Zivilbevölkerung Tod säen.

Insgesamt ist zudem festzustellen, dass Afrika über die verschiedenen dramatischen Geschehnisse hinaus eine potentielle positive Dynamik aufweist, die in seiner alten Kultur und traditionellen Aufnahmebereitschaft wurzelt. Ein Beispiel an wirksamer Solidarität unter den Nationen bildet die Öffnung der Grenzen in verschiedenen Ländern, um die Flüchtlinge und Evakuierten großzügig aufzunehmen. Die Tatsache, dass in vielen Staaten das friedliche Zusammenleben zwischen den Glaubenden verschiedener Religionen zunimmt und gemeinsame solidarische Initiativen gefördert werden, ist zu würdigen. Ferner bringen die Umsetzung einer inklusiven Politik und die Fortschritte der demokratischen Prozesse in zahlreichen Regionen wirksame Ergebnisse, um die absolute Armut zu bekämpfen und die soziale Gerechtigkeit voranzubringen. Die Unterstützung durch die internationale Gemeinschaft wird so noch dringlicher, um die Entwicklung der Infrastruktur, die Schaffung von Perspektiven für die jungen Generationen und die Emanzipation der schwächeren Schichten zu fördern.

Positive Signale haben uns von der koreanischen Halbinsel erreicht. Der Heilige Stuhl schaut mit Gefallen auf die Gespräche und hofft, dass sie auch die schwierigeren Fragen mit einer konstruktiven Haltung angehen können und zu gemeinsamen und dauerhaften Lösungen führen, um eine Zukunft der Entwicklung und der Zusammenarbeit für das gesamte koreanische Volk und die ganze Region zu sichern.

Einen ähnlichen Wunsch äußere ich im Hinblick auf das werte Venezuela, auf dass man institutionelle und friedliche Wege finden möge, um die anhaltende politische, soziale und wirtschaftliche Krise zu lösen; Wege, die es vor allem erlauben, denen zu helfen, die von den Spannungen dieser Jahre geprüft sind, und dem ganzen venezolanischen Volk einen Horizont der Hoffnung und des Friedens zu bieten.

Der Heilige Stuhl hofft ferner, dass der Dialog zwischen Israelis und Palästinensern wiederaufgenommen werden kann, so dass es endlich gelingen möge, zu einer Einigung zu gelangen und den legitimen Bestrebungen beider Völker Antwort zu geben, indem die Koexistenz zweier Staaten und das Erreichen eines lang erwarteten und ersehnten Friedens sichergestellt wird. Der gemeinsame Einsatz der internationalen Gemeinschaft ist mehr denn je wertvoll und notwendig, um dieses Ziel zu erreichen. Dies gilt auch im Hinblick darauf, den Frieden in der gesamten Region zu fördern, insbesondere im Jemen und im Irak, und es gleichzeitig möglich zu machen, dass die notwendigen humanitären Hilfen zu den bedürftigen Bevölkerungen gebracht werden können.

Unser gemeinsames Schicksal neu bedenken

Schließlich möchte ich auf ein viertes Merkmal der multilateralen Diplomatie hinweisen: Sie lädt uns ein, unser gemeinsames Schicksal neu zu bedenken. Papst Paul VI. drückte dies in folgenden Worten aus: »Wir müssen uns daran gewöhnen, […] auf eine neue Art auch über das Gemeinschaftsleben der Menschen [zu denken], auf eine neue Art schließlich über die Wege der Geschichte und die Bestimmungen der Welt […] Die Stunde ist gekommen […] Wir müssen uns an unsere gemeinsame Herkunft erinnern, an unsere gemeinsame Geschichte und an unser gemeinsames Schicksal. Noch nie war der Appell an das moralische Gewissen der Menschen notwendiger als heute, in einem Zeitalter, das von einem solchen Fortschritt gekennzeichnet ist. Die Gefahr kommt weder vom Fortschritt noch von der Wissenschaft […] Die wirkliche Gefahr verbirgt sich im Menschen, der über immer mächtigere Mittel verfügt, die sowohl zur Vernichtung wie auch zu den höchsten Errungenschaften dienen können!«[10]

In der damaligen historischen Situation bezog sich der Papst hauptsächlich auf die Verbreitung der Nuklearwaffen. »Die Waffen« – so sagte er – »vor allem die schrecklichen Waffen, die die moderne Wissenschaft [uns] gegeben hat, verursachen – bevor sie noch Opfer und Ruinen schaffen – böse Träume, bringen schlimme Gedanken hervor, erzeugen Alpträume, Misstrauen und finstere Entschlüsse, sie führen zu gewaltigen Ausgaben, verhindern die Pläne der Solidarität und der nützlichen Arbeit, sie verfälschen schließlich die Psychologie der Völker.«[11]

Leider muss man schmerzlich feststellen, dass nicht nur der Waffenhandel nicht ins Stocken zu geraten scheint, sondern dass es sogar eine immer verbreitetere Tendenz gibt, sich zu bewaffnen, sowohl seitens von Einzelpersonen als auch seitens der Staaten. Es beunruhigt besonders, dass die weithin gewünschte und in den vergangenen Jahrzehnten zum Teil betriebene nukleare Abrüstung nun von der Suche nach immer ausgeklügelteren und zerstörerischeren Waffen verdrängt wird. Hier möchte ich noch einmal bekräftigen, was ich früher gesagt habe: »Denken wir an die katastrophalen humanitären Folgen und die Konsequenzen für die Umwelt, die jeder Einsatz von Kernwaffen mit sich bringt, dann können wir nicht anders als große Sorge zu empfinden. Daher ist auch unter Berücksichtigung der Gefahr einer unbeabsichtigten Explosion solcher Waffen – aus welchem Irrtum auch immer dies geschehen mag – die Androhung ihres Einsatzes sowie ihr Besitz entschieden zu verurteilen, gerade weil deren Vorhandensein in Funktion einer Logik der Angst steht, die nicht nur die Konfliktparteien betrifft, sondern das gesamte Menschengeschlecht. Die internationalen Beziehungen dürfen nicht von militärischer Macht, von gegenseitigen Einschüchterungen, von der Zurschaustellung des Waffenarsenals beherrscht werden. Vor allem atomare Massenvernichtungswaffen vermitteln lediglich ein trügerisches Gefühl von Sicherheit und können nicht die Grundlage für ein friedliches Zusammenleben der Glieder der Menschheitsfamilie sein, das dagegen inspiriert sein muss von einer Ethik der Solidarität.«[12]

Unser gemeinsames Schicksal neu bedenken heißt in der gegenwärtigen Situation auch das Verhältnis zu unserem Planeten erneut ins Auge zu fassen. Auch im letzten Jahr haben unsägliche durch Hochwasser und Überschwemmung, Brände, Erbeben und Trockenheit verursachte Unbilden und Leiden die Bevölkerungen verschiedener Regionen des amerikanischen Kontinents und Südostasiens getroffen. Zu den Fragen, die besonders dringend eine Vereinbarung seitens der internationalen Gemeinschaft erfordern, sind daher die Sorge um die Umwelt und der Klimawandel zu zählen. Diesbezüglich und auch im Licht des auf der jüngsten internationalen Klima-Konferenz (COP-24) in Kattowitz erreichten Konsenses hoffe ich auf einen entschiedeneren Einsatz auf Seiten der Staaten zugunsten eines dringlichen gemeinsamen Einschreitens gegen das besorgniserregende Phänomen der globalen Erwärmung. Die Erde gehört allen, und die Folgen ihrer Ausbeutung fallen auf die gesamte Weltbevölkerung zurück, mit äußerst dramatischen Auswirkungen in einigen Regionen. Zu diesen gehört das Amazonas-Gebiet, das Thema der kommenden Sonderversammlung der Bischofssynode im Oktober im Vatikan sein wird. Obwohl sie in erster Linie die Wege der Evangelisierung für das Volk Gottes behandeln wird, wird sie nicht versäumen, auch die Umweltproblematik in enger Verbindung mit den sozialen Auswirkungen anzugehen.

Exzellenzen, meine Damen und Herren,

Am 9. November 1989 fiel die Berliner Mauer. Wenige Monate später wurde dem letzten Vermächtnis des Zweiten Weltkriegs ein Ende gesetzt: der zerreißenden Spaltung Europas, wie sie auf Jalta beschlossen worden war, und dem Kalten Krieg. Die Länder östlich des Eisernen Vorhangs haben nach Jahren der Unterdrückung die Freiheit wiedererlangt. Viele von ihnen haben einen Weg eingeschlagen, der sie zum Beitritt in die Europäische Union führen sollte. In der heutigen Situation, in der neue Zentrifugalkräfte und die Versuchung, neue Zäune zu errichten, Platz greifen, möge man in Europa nicht das Bewusstsein für die Güter verlieren – als erstes von allen der Friede –, die vom Weg der Freundschaft und Annäherung der Völker in der Nachkriegszeit ausgegangen sind.

Einen letzten Jahrestag möchte ich heute am Schluss noch erwähnen. Am 11. Februar vor neunzig Jahren entstand der Staat der Vatikanstadt, in der Folge der Unterzeichnung der Lateranverträge zwischen dem Heiligen Stuhl und Italien. Auf diese Weise wurde der lange Zeitraum der „Römischen Frage“ nach der Einnahme Roms und dem Ende des Kirchenstaates abgeschlossen. Durch den Lateranvertrag konnte der Heilige Stuhl über »ein gewisses materielles Territorium« verfügen, »das unabdinglich war für die Ausübung einer geistlichen Gewalt, die Menschen aufgetragen war, um Menschen von Nutzen zu sein«[13], wie Papst Pius XI. erklärt hatte. Und mit dem Konkordat konnte die Kirche wieder vollumfänglich zum geistlichen und kulturellen Wachstum Roms und ganz Italiens beitragen, eines an Geschichte, Kunst und Kultur reichen Landes, welches das Christentum mit seinem Beitrag geprägt hat. Aus diesem Anlass versichere ich dem italienischen Volk mein besonderes Gebet, damit es in Treue zu seinen Traditionen jenen Geist brüderlicher Solidarität bewahre, der sie lange schon ausgezeichnet hat.

Ihnen allen, liebe Botschafter und werte Gäste, die Sie hier zusammengekommen sind, sowie Ihren Ländern entbiete ich meinen herzlichen Wunsch, dass dieses neue Jahr dazu beitrage, die Bande der Freundschaft, die uns verbinden, zu festigen und unsere Bemühungen zu fördern, den Frieden aufzubauen, nach dem sich die Welt sehnt.

Danke!

_________________________

[1] Vgl. Botschaft an die chinesischen Katholiken und an die universale Kirche (26. September 2018), Nr. 3.
[2]
Vgl. Apostolisches Schreiben Evangelii gaudium (24. November 2013), 234.
[3]
Paul VI., Ansprache vor der Vollversammlung der Vereinten Nationen (New York, 4. Oktober 1965), 2.
[4]
Kompendium der Soziallehre der Kirche, Nr. 165
[5]
Apostolisches Schreiben Evangelii gaudium (24. November 2013), 228.
[6]
Ansprache vor der Vollversammlung der Vereinten Nationen, 1.
[7]
Zweites Vatikanisches Konzil, Erklärung über das Verhältnis der Kirche zu den nichtchristlichen Religionen Nostra aetate (28. Oktober 1965), 3.
[8]
Ansprache an die Vollversammlung der Vereinten Nationen, 1.
[9]
Ebd., 3; 5.
[10]
Ebd., 7.
[11]
Ebd., 5.
[12]
Ansprache an die Teilnehmer am Internationalen Symposium zum Thema Abrüstung, veranstaltet vom Dikasterium für den Dienst zugunsten der ganzheitlichen Entwicklung des Menschen (10. November 2017).
[13]
Pius XI., Ansprache „Il nostro più cordiale“ an die Pfarrer Roms und die Fastenprediger aus Anlass der Unterzeichnung des Vertrags und des Konkordats im Lateranpalast (11. Februar 1929).

[00023-DE.02] [Originalsprache: Italienisch]

Traduzione in lingua spagnola

Excelencias, señoras y señores:

El comienzo de un nuevo año nos permite detener por un instante el frenético ritmo de las actividades cotidianas para realizar algunas consideraciones sobre los acontecimientos pasados y reflexionar sobre los desafíos que nos esperan en el futuro próximo. Doy las gracias por la presencia numerosa a nuestro encuentro habitual, que quiere ser sobre todo una ocasión propicia para intercambiarnos un pensamiento cordial y halagüeño. A través de ustedes, quiero hacer llegar mi cercanía a los pueblos que representan, junto a mi deseo de que el año que comienza traiga paz y bienestar a todos los miembros de la familia humana.

Agradezco de forma particular al Embajador de Chipre, el excelentísimo señor George Poulides, las amables palabras que por primera vez me ha dirigido en nombre de todos ustedes, en calidad de Decano del Cuerpo Diplomático acreditado ante la Santa Sede. A cada uno de ustedes deseo manifestar la estima particular por el trabajo que cotidianamente realizan para consolidar las relaciones entre sus respectivos países y organizaciones con la Santa Sede, ulteriormente reforzadas por la firma o ratificación de nuevos acuerdos.

Me refiero en particular a la ratificación del Acuerdo marco entre la Santa Sede y la República de Benín sobre el Estatuto Jurídico de la Iglesia Católica en Benín, así como a la firma y a la ratificación del Acuerdo entre la Santa Sede y la República de San Marino para la enseñanza de la religión católica en las escuelas públicas.

En el ámbito multilateral, la Santa Sede ha ratificado también el Convenio Regional de la UNESCO sobre la convalidación de los títulos relativos a la Educación Superior en Asia y el Pacífico, y en el pasado mes de marzo se ha adherido al Acuerdo Parcial ampliado del Consejo de Europa sobre Itinerarios Culturales, una iniciativa que tiene el objetivo de mostrar cómo la cultura está al servicio de la paz y representa un factor unificador de las distintas sociedades europeas, capaz de acrecentar la concordia entre los pueblos. Se trata de un signo de particular atención hacia una Organización que en este año celebra su 70 aniversario de fundación, con la que la Santa Sede colabora desde hace muchos decenios reconociéndole su papel específico en la promoción de los derechos humanos, de la democracia y del Estado de derecho, en un espacio que quiere abrazar a todo el continente europeo. Por último, el pasado 30 de noviembre, el Estado de la Ciudad del Vaticano fue admitido en la Zona única de Pagos en Euros (SEPA).

La obediencia a la misión espiritual, que brota del imperativo que el Señor Jesús ha dirigido al apóstol Pedro: «Apacienta mis corderos» (Jn 21,15), impulsa al Papa —y por tanto a la Santa Sede— a preocuparse por toda la familia humana y sus necesidades, incluso en el ámbito material y social. Con todo, la Santa Sede no busca interferir en la vida de los estados, sino que su pretensión no es otra que la de ser un observador atento y sensible de las problemáticas que afectan a la humanidad, con el sincero y humilde deseo de ponerse al servicio del bien de todo ser humano.

Esta solicitud es la que caracteriza la cita de hoy y que me sostiene en los encuentros con la multitud de peregrinos que llegan al Vaticano desde todas las partes de mundo, así como con los pueblos y las comunidades que he tenido la alegría de encontrar el año pasado durante los viajes apostólicos realizados a Chile, Perú, Suiza, Irlanda, Lituania, Letonia y Estonia.

Esta solicitud es la que impulsa a la Iglesia en cada lugar a trabajar por favorecer la edificación de sociedades pacíficas y reconciliadas. En este sentido, pienso particularmente en la amada Nicaragua, cuya situación sigo de cerca, con el deseo de que las distintas instancias políticas y sociales encuentren en el diálogo el camino principal para empeñarse por el bien de toda la nación.

En ese horizonte se coloca también la consolidación de las relaciones entre la Santa Sede y Vietnam, con vistas al nombramiento, en un futuro próximo, de un Representante Pontificio residente, cuya presencia quiere ser ante todo una manifestación de la solicitud del Sucesor de Pedro por la Iglesia local.

En este sentido hay que entender la firma del Acuerdo Provisional entre la Santa Sede y la República Popular de China sobre el nombramiento de los Obispos en China, realizada el pasado 22 de septiembre. Como se sabe, este último es fruto de un largo y ponderado diálogo institucional, mediante el cual se han llegado a fijar algunos elementos estables de colaboración entre la Sede Apostólica y las Autoridades civiles. Como he podido mencionar en el Mensaje que he dirigido a los católicos chinos y a la Iglesia universal,[1] había readmitido ya precedentemente a la plena comunión eclesial a los restantes obispos oficiales ordenados sin mandato pontificio, invitándolos a trabajar generosamente por la reconciliación de los católicos chinos y por un renovado impulso en la evangelización. Agradezco al Señor porque, por primera vez después de tantos años, todos los obispos en China estén en plena comunión con el Sucesor de Pedro y con la Iglesia universal. Y un signo visible de esto ha sido también la participación de dos obispos de China continental en el reciente Sínodo dedicado a los jóvenes. Esperemos que la prosecución de los contactos para la aplicación del Acuerdo Provisional firmado contribuya a resolver las cuestiones abiertas y asegure los espacios necesarios para un desarrollo efectivo de la libertad religiosa.

Queridos Embajadores:

El año que ahora comienza observa la llegada de diversos y significativos aniversarios, además del ya recordado del Consejo de Europa. Entre ellos quisiera destacar particularmente uno: el centenario del nacimiento de la Sociedad de Naciones, instituida con el tratado de Versalles y firmado el 28 de junio de 1919. ¿Por qué recordar a una Organización que ya no existe? Porque representa el inicio de la diplomacia moderna multilateral, mediante el cual los estados intentan evitar que las relaciones recíprocas sean dominadas por la lógica del dominio que conduce a la guerra. El experimento de la Sociedad de Naciones sufrió enseguida esas dificultades, por todos conocidas, que llevaron exactamente 20 años después de su nacimiento a un nuevo y más doloroso conflicto, como fue la Segunda Guerra Mundial. Sin embargo, abrió un camino, que fue recorrido con mayor decisión con la institución en 1945 de la Organización de las Naciones Unidas: un camino ciertamente cargado de dificultades y de contrastes; no siempre eficaz, puesto que los conflictos por desgracia permanecen todavía hoy, pero es una innegable oportunidad para que las naciones se encuentren y busquen soluciones comunes.

La premisa indispensable para el éxito de la diplomacia multilateral es la buena voluntad y la buena fe de los interlocutores, la disponibilidad a una discusión leal y sincera, y la voluntad de aceptar las inevitables concesiones que nacen del diálogo entre las partes. Allí donde falta incluso uno solo de estos elementos, prevalece la búsqueda de soluciones unilaterales y, en definitiva, el dominio del más fuerte sobre el más débil. La Sociedad de las Naciones entró en crisis precisamente por estos motivos y, por desgracia, también hoy se nota cómo la resiliencia de las principales organizaciones internacionales se ve amenazada por las mismas actitudes.

Así pues, considero importante que en la actualidad no falte tampoco la voluntad de un diálogo sereno y constructivo entre los estados, por más que sea evidente que las relaciones en el seno de la comunidad internacional y el sistema multilateral en su conjunto, estén atravesando momentos de dificultad, con el resurgir de tendencias nacionalistas que minan la vocación de las organizaciones internacionales de ser un espacio de diálogo y encuentro para todos los países. Esto es en parte debido a cierta incapacidad del sistema multilateral para ofrecer soluciones eficaces a las distintas situaciones que desde hace tiempo están pendientes de resolución, como algunos conflictos “congelados”, y para afrontar los desafíos actuales en modo satisfactorio para todos. En parte, es el resultado de la evolución de las políticas nacionales, condicionadas cada vez con mayor frecuencia por la búsqueda de un consenso inmediato y sectario, en lugar de buscar pacientemente el bien común con respuestas a largo plazo. En particular, es también el resultado de la creciente preponderancia de poderes y grupos de interés en los organismos internacionales que imponen la propia visión e ideas, desencadenando nuevas formas de colonización ideológica, que a menudo no respetan la identidad, la dignidad y la sensibilidad de los pueblos. Concretamente, es la consecuencia de la reacción en algunas zonas del mundo contra una globalización que se ha desarrollado en ciertos aspectos demasiado rápido y de forma desordenada, de modo que entre globalización y localismo se produce siempre una tensión. Es necesario, por tanto, poner atención a la dimensión global sin perder de vista lo que es local. Ante la idea de una “globalización esférica”, que nivela las diferencias y en la que las particularidades desaparecen, es fácil que resurjan los nacionalismos, mientras que la globalización puede ser también una fuente de oportunidades, puesto que es “poliédrica”; es decir, favorece una tensión positiva entre la identidad de cada pueblo y nación, y la globalización misma, según el principio de que el todo es superior a la parte. [2]

Algunas de estas actitudes evocan el periodo de entreguerras, en el que las tendencias populistas y nacionalistas prevalecieron sobre la acción de la Sociedad de Naciones. La reaparición de corrientes semejantes está debilitando progresivamente el sistema multilateral, con el fruto de una falta general de la confianza, una crisis de credibilidad de la política internacional y una creciente marginación de los miembros más vulnerables de la familia de las naciones.

San Pablo VI, que he tenido la alegría de canonizar el año pasado, en su memorable discurso a la Asamblea de las Naciones Unidas —el primero de un Pontífice ante esa asamblea—, trazó los objetivos de la diplomacia multilateral, sus características y responsabilidades en el contexto contemporáneo, evidenciando también los elementos de contacto que existen con la misión espiritual del Papa y, por tanto, de la Santa Sede.

El primado de la justicia y del derecho

El primer elemento de contacto que quisiera evocar es el primado de la justicia y del derecho: «Vosotros —decía el Papa Montini— habéis consagrado el gran principio de que las relaciones entre los pueblos deben regularse por el derecho, la justicia, la razón, los tratados, y no por la fuerza, la arrogancia, la violencia, la guerra y ni siquiera, por el miedo o el engaño».[3]

En nuestra época, suscita preocupación el resurgir de la tendencia a hacer prevalecer y a perseguir los intereses de cada nación sin recurrir a los instrumentos que el derecho internacional prevé para resolver tales controversias y asegurar el respeto de la justicia, también a través de los Tribunales internacionales. Dicha actitud es a veces fruto de la reacción de los que han sido llamados a la responsabilidad de gobernar ante el acentuado malestar que está creciendo cada vez más entre los ciudadanos de muchos países, los cuales perciben las dinámicas y las reglas que gobiernan la comunidad internacional como lentas, abstractas y, también, lejanas a sus necesidades reales. Es oportuno que los políticos escuchen la voz de sus pueblos y busquen soluciones concretas para favorecer el bien mayor. Eso exige, sin embargo, el respeto del derecho y de la justicia, tanto dentro de la comunidad nacional como internacional, porque soluciones relativas, emotivas y apresuradas pueden que consigan acrecentar un consenso efímero, pero no contribuirán nunca a la solución de los problemas más profundos, al contrario, los aumentarán.

Precisamente a partir de esta preocupación propuse dedicar el Mensaje para la LII Jornada Mundial de la Paz, que se celebró el pasado uno de enero, al tema: La buena política está al servicio de la paz, porque hay una íntima relación entre la buena política y la pacífica convivencia entre pueblos y naciones. La paz no es nunca un bien parcial, sino que abraza a todo el género humano. Un aspecto esencial, por tanto, de la buena política es perseguir el bien común de todos, en cuanto «bien de todos los hombres y de todo el hombre»[4] y condición social que permite a cada persona y a toda la comunidad alcanzar el bienestar material y espiritual.

A la política se le pide tener altura de miras y no limitarse a buscar soluciones de poco calado. El buen político no debe ocupar espacios, sino que debe poner en marcha procesos; está llamado a hacer prevalecer la unidad sobre el conflicto, que tiene como base «la solidaridad, entendida en su sentido más hondo y desafiante». Esta «se convierte así en un modo de hacer la historia, en un ámbito viviente donde los conflictos, las tensiones y los opuestos pueden alcanzar una unidad multiforme que engendra nueva vida».[5]

Esa consideración tiene en cuenta la dimensión trascendente de la persona humana, creada a imagen y semejanza de Dios. El respeto, por tanto, de la dignidad de cada ser humano es la premisa indispensable para toda convivencia realmente pacífica, y el derecho constituye el instrumento esencial para la consecución de la justicia social y para alimentar los vínculos fraternos entre los pueblos. En este ámbito, tienen un papel fundamental los derechos humanos, enunciados en la Declaración Universal de los Derechos Humanos, de la que hemos celebrado hace poco el 70 aniversario, cuyo carácter universal, objetivo y racional sería oportuno redescubrir, de modo que no prevalezcan visiones parciales y subjetivas del hombre, que corren el peligro de abrir el camino a nuevas desigualdades, injusticias, discriminaciones y, llevadas al límite, también nuevas violencias y atropellos.

La defensa de los más débiles

El segundo elemento que me gustaría mencionar es la defensa de los débiles. «Hacemos nuestra también —afirmaba el Papa Montini— la voz de los pobres, de los desheredados, de los desventurados, de quienes aspiran a la justicia, a la dignidad de vivir, a la libertad, al bienestar y al progreso».[6]

La Iglesia siempre se ha comprometido a ayudar a los necesitados y la misma Santa Sede se ha convertido, durante estos años, en promotora de varios proyectos de ayuda para los más débiles, que también han recibido el apoyo de diversas entidades a nivel internacional. Me gustaría mencionar la iniciativa humanitaria en Ucrania a favor de la población que está sufriendo, especialmente en las regiones orientales del país, debido al conflicto que dura desde hace casi cinco años y que ha tenido recientemente algunos episodios preocupantes en el Mar Negro. Con la participación activa de las Iglesias católicas de Europa y de fieles de otros lugares del mundo, que escucharon mi llamamiento de mayo de 2016, y con la colaboración de otras Confesiones y Organizaciones Internacionales, se ha tratado de socorrer, de manera concreta, las necesidades básicas de los habitantes de los territorios afectados, que son las primeras víctimas de la guerra. La Iglesia y sus diversas instituciones continuarán su misión, con el objetivo de atraer una mayor atención sobre otras cuestiones humanitarias, como la que concierne a la suerte de los prisioneros, todavía numerosos. Con su acción y su cercanía con la población, la Iglesia busca fomentar, directa e indirectamente, la apertura de caminos pacíficos para la solución del conflicto, caminos que respeten la justicia y la legalidad, incluida la internacional, que es la base de la seguridad y la convivencia en toda la región. Para ello son importantes los instrumentos que garantizan el libre ejercicio de los derechos religiosos.

Por su parte, también la comunidad internacional con sus organizaciones está llamada a dar voz a quienes no tienen voz. Y entre los que no tienen voz en nuestros días, me gustaría recordar a las víctimas de las otras guerras en curso, especialmente la de Siria, con el gran número de muertos que ha causado. Una vez más, hago un llamamiento a la comunidad internacional para que promueva una solución política a un conflicto que al final no tendrá más que vencidos. Sobre todo, es fundamental que cesen las violaciones de los derechos humanos, que causan sufrimientos inenarrables a la población civil, especialmente a mujeres y niños, y afectan a estructuras esenciales como hospitales, escuelas y campos de refugiados, así como a edificios religiosos.

No podemos olvidar a los numerosos refugiados que ha provocado el conflicto, sometiendo a los países vecinos a una dura prueba. Una vez más, quiero expresar mi gratitud a Jordania y al Líbano, que con espíritu fraterno y con mucho sacrificio, han acogido a numerosos grupos de personas, manifestando al mismo tiempo el deseo de que los refugiados puedan regresar a la patria, con condiciones de vida y de seguridad adecuadas. Pienso también en los diferentes países europeos que generosamente han ofrecido hospitalidad a aquellos que se encuentran en dificultades y en peligro.

Entre los que se han visto afectados por la inestabilidad en la que desde hace años está inmerso Oriente Medio están especialmente los cristianos, que viven en esas tierras desde el tiempo de los apóstoles y que han ayudado a edificarlas y forjarlas a lo largo de los siglos. Es muy importante que los cristianos tengan un lugar en el futuro de la región y, por lo tanto, aliento a los que han buscado refugio en otras partes a hacer lo posible para regresar a sus casas y mantener y fortalecer los lazos con sus comunidades de origen. Al mismo tiempo, espero que las autoridades políticas no dejen de garantizarles la seguridad necesaria y todos aquellos requisitos que les permitan seguir viviendo en los países de los que son plenamente ciudadanos y contribuir a su construcción.

A lo largo de estos años, Siria, y en general todo Oriente Medio, han sido desafortunadamente escenario de choque de múltiples intereses opuestos. Además de los de carácter preeminentemente político y militar, tampoco se debe descuidar el intento de crear enemistad entre musulmanes y cristianos. Aunque «en el transcurso de los siglos surgieron no pocas desavenencias y enemistades entre cristianos y musulmanes»,[7] en diferentes partes de Oriente Medio han podido vivir en paz durante mucho tiempo. Dentro de poco tendré la oportunidad de ir a dos países de mayoría musulmana, Marruecos y los Emiratos Árabes Unidos. Serán dos importantes ocasiones para acrecentar aún más el diálogo interreligioso y el entendimiento mutuo entre los fieles de ambas religiones, en el octavo centenario del histórico encuentro entre san Francisco de Asís y el sultán al-Malik al-Kāmil.

Entre los débiles de nuestro tiempo que la comunidad internacional está llamada a defender están también los migrantes y los refugiados. Una vez más, deseo llamar la atención de los gobiernos para que se ayude a quienes han emigrado a causa del flagelo de la pobreza, de todo tipo de violencia y persecución, así como de los desastres naturales y el cambio climático, y para que se tomen las medidas que permitan su integración social en los países de acogida. Es necesario asegurar que las personas no se vean obligadas a dejar sus familias y naciones, o que puedan regresar de manera segura, siendo respetada su dignidad y derechos humanos. Todo ser humano anhela una vida mejor y más feliz, y no se puede resolver el desafío de la migración con la lógica de la violencia y del descarte, ni con soluciones parciales.

No puedo dejar de agradecer los esfuerzos de muchos gobiernos e instituciones que, impulsados por un espíritu generoso de solidaridad y caridad cristiana, colaboran fraternamente en favor de los migrantes. Entre estos, me gustaría mencionar a Colombia, que, junto a otros países del continente, en los últimos meses ha recibido a un gran número de personas de Venezuela. Al mismo tiempo, soy consciente de que las olas migratorias de estos años han causado desconfianza y preocupación entre la población de muchos países, especialmente en Europa y América del Norte, y esto ha llevado a varios gobiernos a limitar en gran medida los flujos entrantes, incluso los de tránsito. Sin embargo, creo que no es posible dar soluciones parciales a una cuestión tan universal. Las emergencias recientes han demostrado que se necesita una respuesta común, coordinada por todos los países, sin prevenciones y respetando todas las instancias legítimas, tanto de los Estados como de los migrantes y refugiados.

Teniendo esto en cuenta, la Santa Sede ha participado activamente en las negociaciones y en la adopción de los dos Pactos Mundiales sobre los Refugiados y sobre una Migración segura, ordenada y regular. En particular, el Pacto sobre migración representa un importante paso adelante para la comunidad internacional que, por primera vez a nivel multilateral y en el ámbito de las Naciones Unidas, aborda el tema en un documento relevante. A pesar de la naturaleza no vinculante de estos documentos y la ausencia de varios gobiernos en la reciente Conferencia de las Naciones Unidas en Marrakech, los dos Pactos serán importantes puntos de referencia para el compromiso político y para la acción concreta de organizaciones internacionales, legisladores y políticos, así como para los que están comprometidos a favor de una gestión más responsable, coordinada y segura de las diferentes situaciones que afectan a los refugiados y migrantes. De ambos Pactos, la Santa Sede aprecia la intención y el carácter que facilita su puesta en práctica, a pesar de haber expresado sus reservas sobre los documentos, mencionados en el Pacto relativo a la Migración, que contienen terminologías y directrices que no corresponden a sus principios sobre la vida y los derechos de las personas.

Entre otros débiles, «tenemos conciencia de hacer nuestra —continuaba Pablo VI— la voz […] de las generaciones jóvenes de nuestros días que avanzan confiadas, esperando con justo derecho una humanidad mejor».[8] La XV Asamblea General Ordinaria del Sínodo de los Obispos estuvo dedicada a los jóvenes, que a menudo se sienten perdidos y sin certezas para el futuro. También serán los protagonistas del viaje apostólico que haré a Panamá dentro de unos pocos días, con motivo de la XXXIV Jornada Mundial de la Juventud. Los jóvenes son el futuro, y la tarea de la política es abrir los caminos del futuro. Por esto es absolutamente necesario invertir en iniciativas que permitan a las nuevas generaciones construir su futuro, tener la oportunidad de encontrar trabajo, formar una familia y criar a sus hijos.

Además de los jóvenes, los niños merecen una mención especial, especialmente en este año en que se celebra el 30 aniversario de la proclamación de la Convención sobre los Derechos del Niño. Esta es una oportunidad favorable para reflexionar seriamente sobre los pasos que se han dado para tutelar el bien de nuestros niños y su desarrollo social e intelectual, así como su crecimiento físico, psíquico y espiritual. En esta circunstancia, no puedo callar ante una de las plagas de nuestro tiempo, que por desgracia ha visto implicados también a varios miembros del clero. El abuso contra los menores de edad es uno de los peores y más viles crímenes posibles. Destruye inexorablemente lo mejor que la vida humana reserva para un inocente, causando daños irreparables para el resto de su existencia. La Santa Sede y toda la Iglesia están trabajando para combatir y prevenir tales crímenes y su ocultamiento, para averiguar la verdad de los hechos que implican a eclesiásticos y para hacer justicia a los niños que han sufrido violencia sexual, agravada por el abuso de poder y de conciencia. La reunión que tendré con los episcopados de todo el mundo, en el próximo mes de febrero, pretende cumplir un paso más en el camino de la Iglesia para arrojar luz sobre los hechos y aliviar las heridas causadas por esos delitos.

Es difícil ver que, en nuestra sociedad, tan a menudo caracterizada por contextos familiares frágiles, se manifiestan también comportamientos violentos contra las mujeres, cuya dignidad fue puesta de relieve por la Carta apostólica Mulieris dignitatem, publicada hace treinta años por el santo Pontífice Juan Pablo II. Ante el flagelo del abuso físico y psicológico causado a las mujeres, es urgente volver a encontrar formas de relaciones justas y equilibradas, basadas en el respeto y el reconocimiento mutuos, en las que cada uno pueda expresar su identidad de manera auténtica, mientras que la promoción de algunas formas de indiferenciación corre el riesgo de desnaturalizar el mismo ser hombre o mujer.

El cuidado de los más débiles nos impulsa a reflexionar sobre otra plaga de nuestro tiempo, es decir, las condiciones de los trabajadores. El trabajo, si no se protege adecuadamente, deja de ser el medio por el que el hombre se realiza y se convierte en una forma moderna de esclavitud. Hace cien años nació la Organización Internacional del Trabajo, que se ha esforzado en promover unas condiciones de trabajo adecuadas y en fomentar la dignidad de los propios trabajadores. Frente a los desafíos de nuestro tiempo, ante todo el creciente desarrollo tecnológico que hace disminuir los puestos de trabajo y la pérdida de garantías económicas y sociales para los trabajadores, tengo la esperanza de que la Organización Internacional del Trabajo, más allá de intereses particulares, seguirá siendo un ejemplo de diálogo y concertación para lograr sus altos objetivos. En esta misión, ella está llamada también a hacer frente, junto con otras instancias de la comunidad internacional, a la plaga del trabajo infantil y a las nuevas formas de esclavitud, así como a la disminución progresiva del valor de los salarios, especialmente en los países desarrollados, y a la discriminación persistente de las mujeres en el ámbito laboral.

Ser puentes entre los pueblos y constructores de paz

En su intervención en las Naciones Unidas, san Pablo VI indicó claramente el objetivo principal de esa Organización internacional. «Vosotros —dijo— existís y trabajáis para unir a las naciones, para asociar a los Estados; […] para reunir los unos con los otros. […] Constituís un puente entre pueblos. […] Basta recordar que la sangre de millones de hombres, que sufrimientos inauditos e innumerables, que masacres inútiles y ruinas espantosas sancionan el pacto que os une en un juramento que debe cambiar la historia futura del mundo. ¡Nunca jamás guerra! ¡Nunca jamás guerra! Es la paz, la paz, la que debe guiar el destino de los pueblos y de toda la humanidad. […] La paz, como sabéis, no se construye solamente mediante la política y el equilibrio de las fuerzas y de los intereses. Se construye con el espíritu, las ideas, las obras de la paz».[9]

Durante el año pasado hubo algunas significativas señales de paz, comenzando por el histórico acuerdo entre Etiopía y Eritrea, que pone fin a veinte años de conflicto y restablece las relaciones diplomáticas entre los dos países. El acuerdo firmado por los líderes de Sudán del Sur, que permite la reanudación de la convivencia civil y la reactivación del funcionamiento de las instituciones nacionales, es también un signo de esperanza para el continente africano, donde, sin embargo, siguen existiendo graves tensiones y una pobreza generalizada. Sigo con especial atención la evolución de la situación en la República Democrática del Congo, y espero que el país pueda encontrar la reconciliación que tanto desea y emprender un camino decisivo hacia el desarrollo, poniendo fin al persistente estado de inseguridad que afecta a millones de personas, entre los que se encuentran muchos niños. Para ello, el respeto del resultado electoral es factor determinante para una paz sostenible. Del mismo modo, manifiesto mi cercanía con aquellos que sufren debido a la violencia fundamentalista, especialmente en Mali, Níger y Nigeria, o a causa de las persistentes tensiones internas en Camerún, que con frecuencia siembran la muerte entre la población civil.

En general, también debe señalarse que África, más allá de los diferentes sucesos dramáticos, muestra un gran y positivo dinamismo, arraigado en su cultura antigua y su tradicional hospitalidad. Un ejemplo de solidaridad efectiva entre las naciones es la apertura de fronteras en diferentes países para acoger generosamente a los refugiados y personas desplazadas. Hay que apreciar en muchos Estados el aumento de la coexistencia pacífica entre creyentes de diferentes religiones y la animación de iniciativas solidarias conjuntas. Además, la implementación de políticas inclusivas y el progreso de los procesos democráticos están dando resultados efectivos en muchas regiones para combatir la pobreza absoluta y promover la justicia social. Por lo tanto, el apoyo de la comunidad internacional es aún más urgente para favorecer el desarrollo de infraestructuras, la construcción de perspectivas para las generaciones más jóvenes y la emancipación de las clases más débiles.

De la península coreana han llegado signos positivos. La Santa Sede ve favorablemente los diálogos y espera que puedan abordar incluso los problemas más complejos con una actitud constructiva que lleve a soluciones compartidas y duraderas, a fin de garantizar un futuro de desarrollo y cooperación para todo el pueblo coreano y para toda la región.

Lo mismo deseo para la amada Venezuela, que se encuentren vías institucionales y pacíficas para solucionar la crisis política, social y económica, vías que consientan asistir sobre todo a los que son probados por las tensiones de estos años y ofrecer a todo el pueblo venezolano un horizonte de esperanza y de paz.

La Santa Sede también espera que se reanude el diálogo entre israelíes y palestinos, para que finalmente se llegue a un acuerdo que responda a las aspiraciones legítimas de ambos pueblos, asegurando la convivencia entre los dos estados y el logro de una paz tan esperada y deseada. El compromiso unánime de la comunidad internacional es más valioso y necesario que nunca para lograr este objetivo, así como para promover la paz en toda la región, particularmente en Yemen e Irak, y al mismo tiempo para permitir la ayuda humanitaria a las poblaciones necesitadas.

Repensando en nuestro destino común

Finalmente, quisiera recordar un cuarto aspecto de la diplomacia multilateral, que nos invita a repensar nuestro destino común. Pablo VI lo expresó en estos términos: «Debemos habituarnos a pensar […] en una forma nueva la vida en común de los hombres; en una forma nueva los caminos de la historia y los destinos del mundo. […] Ha llegado la hora en que se impone […] volver a pensar en nuestro común origen, en nuestra historia, en nuestro destino común. Nunca como hoy, en una época que se caracteriza por tal progreso humano, ha sido tan necesario el recurso a la conciencia moral del hombre. Porque el peligro no viene ni del progreso ni de la ciencia. […] El verdadero peligro está en el hombre, que dispone de instrumentos cada vez más poderosos, capaces de llevar tanto a la ruina como a las más altas conquistas».[10]

En el contexto de aquella época, el Papa se refirió esencialmente a la proliferación de armas nucleares. «Las armas —decía—, sobre todo las terribles armas que os ha dado la ciencia moderna, antes aún de causar víctimas y ruinas, engendran malos sueños, alimentan malos sentimientos, crean pesadillas, desconfianza, tristes resoluciones, exigen gastos enormes, paralizan proyectos de solidaridad y de trabajo útil, alteran la psicología de los pueblos».[11]

Por desgracia, es triste constatar cómo el mercado de armas no solo no se detiene, sino que hay una tendencia cada vez más generalizada a armarse, tanto por parte de personas individuales como de los estados. Causa preocupación especialmente que el desarme nuclear, tan deseado y perseguido en parte en las décadas pasadas, esté ahora dando paso a armas nuevas, cada vez más sofisticadas y destructivas. Quiero aquí reiterar que «no podemos no sentir un vivo sentido de inquietud si consideramos las catastróficas consecuencias humanitarias y ambientales que se derivan de cualquier uso de las armas nucleares. Por tanto, también considerando el riesgo de una detonación accidental de tales armas por un error de cualquier tipo, se debe condenar con firmeza la amenazada de su uso - –y diría la inmoralidad de su uso– así como su posesión, precisamente porque su existencia es funcional a una lógica del miedo que no tiene que ver solo con las partes en conflicto, sino con todo el género humano. Las relaciones internacionales no pueden ser dominadas por las fuerzas militares, por las intimidaciones recíprocas, por la ostentación de los arsenales bélicos. Las armas de destrucción masiva, en particular las atómicas, no generan otra cosa que un engañoso sentido de seguridad y no poder constituir la base de la pacífica convivencia entre los miembros de la familia humana, que debe sin embargo inspirarse por una ética de solidaridad».[12]

Repensar nuestro destino común en el contexto actual significa repensar además la relación con nuestro planeta. También en este año, las poblaciones de varias regiones del continente americano y el sudeste asiático han sufrido duramente indescriptibles dificultades y sufrimientos, causados por aluviones, inundaciones, incendios, terremotos y sequías. Por lo tanto, las cuestiones ambientales y el cambio climático son algunos de los temas en los que se hace particularmente urgente encontrar un acuerdo por parte de la comunidad internacional. En este sentido, y a la luz del consenso alcanzado en la reciente Conferencia internacional sobre el clima (COP-24) celebrada en Katowice, espero un compromiso más decisivo de los Estados que fortalezca la colaboración para hacer frente con urgencia al fenómeno preocupante del calentamiento global. La Tierra pertenece a todos y las consecuencias de su explotación recaen sobre la población mundial, y de manera más dramática en algunas regiones. Entre ellas se encuentra la Amazonia, que será la protagonista de la próxima Asamblea Especial del Sínodo de los Obispos en el Vaticano el próximo mes de octubre, y que, aun cuando se ocupará principalmente de los caminos de la evangelización para el Pueblo de Dios, no dejará de abordar los problemas ambientales en estrecha relación con sus consecuencias sociales.

Excelencias, señoras y señores:

El 9 de noviembre de 1989 cayó el muro de Berlín. Pocos meses después se puso fin al último legado del segundo conflicto mundial: la división lacerante de Europa decidida en Yalta y la guerra fría. Los países al este del muro de Berlín recuperaron su libertad tras décadas de opresión y muchos de ellos comenzaron a recorrer el camino que los llevaría a su adhesión a la Unión Europea. Que, en el contexto actual, donde prevalecen nuevos movimientos centrífugos y la tentación de construir nuevos muros, no se pierda en Europa la conciencia de los beneficios —el primero el de la paz— que ha traído el camino de amistad y acercamiento entre los pueblos emprendido después de la Segunda Guerra Mundial.

Me gustaría mencionar hoy un último aniversario. El 11 de febrero, hace noventa años, nacía el Estado de la Ciudad del Vaticano, tras la firma de los Pactos de Letrán entre la Santa Sede e Italia. Así terminó el largo período de la “cuestión romana” que siguió a la toma de Roma y el fin del Estado Pontificio. Con el Tratado lateranense, la Santa Sede pasaba a disponer de «aquella cantidad de territorio material que es indispensable para el ejercicio de un poder espiritual confiado a los hombres en beneficio de los hombres»,[13] como afirmó Pío XI, y con el Concordato la Iglesia podía de nuevo seguir contribuyendo plenamente al crecimiento espiritual y material de Roma y de toda Italia, una tierra rica de historia, arte y cultura, que el cristianismo ha ayudado a forjar. En esta ocasión, le aseguro al pueblo italiano una oración especial para que, en fidelidad a sus tradiciones, mantenga vivo el espíritu de solidaridad fraterna que lo ha distinguido siempre.

A todos ustedes, estimados embajadores y distinguidos invitados aquí reunidos, así como a sus países, les expreso mi cordial deseo de que el nuevo año nos permita fortalecer los lazos de amistad que nos unen y trabajar por la construcción de la paz a la que aspira el mundo.

Gracias.

______________________

[1] Cf. Mensaje a los católicos chinos y a la Iglesia universal (26 septiembre 2018), 3.
[2]
Cf. Exhort. ap. Evangelii gaudium (24 noviembre 2013), 234.
[3]
Pablo VI, Discurso a las Naciones Unidas, Nueva York (4 octubre 1965), 4.
[4]
Compendio de la Doctrina Social de la Iglesia, 165.
[5]
Exhort. ap. Evangelii gaudium (24 noviembre 2013), 228.
[6]
Discurso a las Naciones Unidas, 3.
[7]
Conc. Ecum. Vat. II, Decl. Nostra ætate, sobre las relaciones de la Iglesia con las religiones no cristianas (28 octubre 1965), 3.
[8]
Discurso a las Naciones Unidas, 3.
[9]
Ibíd., 5,8,9.
[10]
Ibíd., 14.
[11]
Ibíd., 10.
[12]
Discurso a los participantes en la Conferencia Internacional sobre el Desarme promovido por el Dicasterio para el Servicio del Desarrollo Humano Integral (10 noviembre 2017).
[13]
Pío XI, Aloc. “Il nostro più cordiale”, a los párrocos de Roma y a los predicadores del tiempo cuaresmal con ocasión de la firma del Tratado y del Concordato en el Palacio de Letrán (11 febrero 1929).

[00023-ES.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua portoghese

Excelências, Senhoras e Senhores!

O início dum novo ano permite-nos deter por alguns momentos a sucessão frenética das atividades diárias para traçar algumas considerações sobre os acontecimentos passados e refletir sobre os desafios que nos esperam no futuro próximo. Agradeço a vossa presença em grande número neste nosso encontro habitual, que pretende ser sobretudo uma ocasião propícia para vos formular meus votos cordiais e venturosos. Por vosso intermédio, chegue a certeza da minha proximidade aos povos que representais, juntamente com os votos de que o ano, há pouco iniciado, traga paz e bem-estar a cada um dos membros da família humana.

Particular gratidão expresso ao Excelentíssimo Embaixador de Chipre, o Senhor George Poulides, pelas deferentes palavras que pela primeira vez me dirigiu em nome de todos vós, na qualidade de Decano do Corpo Diplomático acreditado junto da Santa Sé. A cada um de vós, desejo manifestar particular apreço pela colaboração que prestais diariamente para consolidar as relações entre o vosso respetivo país ou organização e a Santa Sé, fortalecidas ainda mais pela assinatura ou ratificação de novos acordos.

Refiro-me, em particular, à ratificação do Acordo-Quadro entre a Santa Sé e a República do Benim sobre o Estatuto Jurídico da Igreja Católica no Benim, bem como à assinatura do Acordo entre a Santa Sé e a República de São Marino para o Ensino da Religião Católica nas escolas públicas.

No âmbito multilateral, a Santa Sé ratificou também a Convenção Regional da UNESCO sobre o Reconhecimento das Qualificações do Ensino Superior na Ásia e no Pacífico e, em março passado, aderiu ao Acordo Parcial alargado sobre as Rotas Culturais do Conselho da Europa, uma iniciativa que visa mostrar como a cultura esteja ao serviço da paz e represente um fator unificador das distintas sociedades europeias, capaz de aumentar a concórdia entre os povos. Trata-se dum sinal de atenção particular por uma organização que, neste ano, celebra o septuagésimo aniversário de fundação e com a qual a Santa Sé colabora há vários decénios, reconhecendo o seu papel específico na promoção dos direitos humanos, da democracia e do Estado de direito, num espaço que quer abraçar todo o continente europeu. Por fim, em 30 de novembro passado, o Estado da Cidade do Vaticano foi admitido na Área Única de Pagamentos em Euros (SEPA).

A obediência à missão espiritual, que deriva do ditame dado pelo Senhor Jesus ao apóstolo Pedro «apascenta os meus cordeiros» (Jo 21, 15), impele o Papa – e consequentemente a Santa Sé – a preocupar-se com toda a família humana e suas necessidades, mesmo de ordem material e social. Entretanto a Santa Sé não pretende imiscuir-se na vida dos Estados, mas aspira a ser uma ouvinte solícita e sensível das problemáticas que dizem respeito à humanidade, com o propósito sincero e humilde de se colocar ao serviço do bem de todo o ser humano.

É esta solicitude que carateriza o nosso encontro de hoje e que me anima nos encontros quer com os inúmeros peregrinos que vêm ao Vaticano de todas as partes do mundo, quer com os povos e as comunidades que tive a alegria de visitar no ano passado através das viagens apostólicas efetuadas ao Chile, Perú, Suíça, Irlanda, Lituânia, Letónia e Estónia.

A mesma solicitude impele por todo o lado a Igreja a trabalhar para favorecer a edificação de sociedades pacíficas e reconciliadas. Nesta linha, penso de modo particular na amada Nicarágua, cuja situação acompanho de perto com a esperança de que as distintas instâncias políticas e sociais encontrem no diálogo a estrada-mestra para se confrontarem em prol do bem da nação inteira.

No mesmo horizonte, coloca-se também a consolidação das relações entre a Santa Sé e o Vietnam, tendo em vista a nomeação, num futuro próximo, dum Representante Pontifício residente, cuja presença quer ser, antes de mais nada, uma manifestação da solicitude do Sucessor de Pedro pela Igreja local.

De forma análoga, se deve entender o Acordo Provisório entre a Santa Sé e a República Popular da China sobre a nomeação dos Bispos na China, cuja assinatura teve lugar em 22 de setembro passado. Como se sabe, tal Acordo é fruto dum longo e ponderado diálogo institucional, através do qual se chegou a fixar alguns elementos estáveis de colaboração entre a Sé Apostólica e as Autoridades civis. Como tive oportunidade de referir na Mensagem que dirigi aos católicos chineses e à Igreja universal,[1] já antes readmitira na plena comunhão eclesial os restantes Bispos oficiais ordenados sem mandato pontifício, convidando-os a trabalhar generosamente pela reconciliação dos católicos chineses e por um renovado ardor na evangelização. Agradeço ao Senhor a graça de, pela primeira vez depois de tantos anos, todos os Bispos da China estarem em plena comunhão com o Sucessor de Pedro e com a Igreja universal. Um sinal visível disto mesmo foi a participação de dois Bispos da China continental no recente Sínodo dedicado aos jovens. Espera-se que a prossecução dos contactos em ordem à aplicação do Acordo Provisório assinado contribua para resolver as questões em aberto e assegurar os espaços necessários para um gozo efetivo da liberdade religiosa.

Prezados Embaixadores!

O ano recém-começado vai oferecer-nos vários aniversários significativos, além do aniversário do Conselho da Europa há pouco recordado. Dentre eles, gostaria de mencionar um em particular: os cem anos da Sociedade das Nações, instituída pelo Tratado de Versalhes que foi assinado em 28 de junho de 1919. Porquê lembrar uma organização que hoje já não existe? Porque ela constitui o início da diplomacia multilateral moderna, através da qual os Estados procuram preservar as relações mútuas da lógica da vexação que leva à guerra. Aquele prelúdio que foi a Sociedade das Nações depressa se embateu nas dificuldades conhecidas de todos que, vinte anos exatos depois do seu nascimento, levaram a um novo conflito ainda mais dilacerante: a II Guerra Mundial. Apesar disso, ela abriu uma estrada, que será percorrida mais decididamente com a instituição, em 1945, da Organização das Nações Unidas: uma estrada certamente cheia de dificuldades e contrates; nem sempre eficaz, porque conflitos, infelizmente, há-os ainda hoje; mas sempre uma oportunidade inegável para as nações se encontrarem e buscarem soluções comuns.

Premissa indispensável para o sucesso da diplomacia multilateral são a boa vontade e a boa-fé dos interlocutores, a disponibilidade para um confronto leal e sincero e a vontade de aceitar os compromissos inevitáveis que nascem do confronto entre as Partes. Sempre que falta um só destes elementos, prevalece a busca de soluções unilaterais e, em última análise, a vexação do mais fraco pelo mais forte. A Sociedade das Nações entrou em crise precisamente por estes motivos e ainda hoje se nota, infelizmente, que as mesmas atitudes estão a insidiar a estabilidade das principais organizações internacionais.

Por isso, considero importante que, também no presente, não esmoreça a vontade dum confronto sereno e construtivo entre os Estados, pois é evidente que as relações dentro da comunidade internacional e o próprio sistema multilateral no seu conjunto estão atravessando momentos difíceis, com o ressurgimento de tendências nacionalistas, que minam a vocação de as organizações internacionais serem espaço de diálogo e encontro para todos os países. Isto fica-se a dever, por um lado, a uma certa incapacidade do sistema multilateral oferecer soluções eficazes para várias situações já há muito não resolvidas, como alguns conflitos «congelados», e enfrentar os desafios atuais de forma satisfatória para todos. Por outro lado, é o resultado da evolução das políticas nacionais, determinadas com frequência cada vez maior pela busca dum consenso imediato e partidário, em vez da paciente prossecução do bem comum com respostas a longo prazo. Por outro lado ainda, deve-se à maior preponderância nas organizações internacionais de poderes e grupos de interesses que impõem as suas perspetivas e ideias, desencadeando novas formas de colonização ideológica, não raro desrespeitadoras da identidade, dignidade e sensibilidade dos povos. E, finalmente, é consequência da reação em determinadas áreas do mundo a uma globalização que se desenvolveu, sob certos aspetos, de maneira demasiado rápida e desordenada, de modo que entre globalização e situação local se gera tensão. É preciso, portanto, prestar atenção à dimensão global sem perder de vista o que é local. À vista duma «globalização esférica», em que se nivelam as diferenças e as particularidades parecem desaparecer, é fácil ressurgirem os nacionalismos; mas a globalização pode ser também uma oportunidade, se for «poliédrica», ou seja, se favorecer uma tensão positiva entre a identidade de cada povo e país e a própria globalização, de acordo com o princípio que o todo é superior à parte.[2]

Algumas destas atitudes fazem lembrar o período entre as duas Guerras Mundiais, quando as tendências populistas e nacionalistas prevaleceram sobre a ação da Sociedade das Nações. O reaparecimento atual de tais impulsos está a enfraquecer progressivamente o sistema multilateral, com o resultado de uma falta geral de confiança, uma crise de credibilidade da política internacional e uma progressiva marginalização dos membros mais vulneráveis da família das nações.

No seu memorável discurso à Assembleia das Nações Unidas – o primeiro feito por um Pontífice diante daquele auditório –, São Paulo VI, que tive a alegria de canonizar no ano passado, delineou os objetivos da diplomacia multilateral, as suas caraterísticas e responsabilidades no contexto atual, destacando também os seus elementos de contacto com a missão espiritual do Papa e, consequentemente, da Santa Sé.

A primazia da justiça e do direito

O primeiro elemento de contacto que gostaria de lembrar é a primazia da justiça e do direito: «Sancionais – dizia Papa Montini – o grande princípio de que as relações entre os povos devem ser reguladas pela razão, pela justiça, pelo direito e pela negociação, e não pela força, nem pela violência, nem pela guerra, assim como também não pelo medo ou pelo logro».[3]

Preocupa, no nosso tempo, o ressurgimento de tendências para fazer prevalecer e perseguir os interesses nacionais particulares sem recorrer aos instrumentos que o direito internacional prevê para se resolver as disputas e assegurar o respeito pela justiça, inclusive através de Tribunais internacionais. Às vezes, tal atitude é fruto da reação daqueles que são chamados para responsabilidades de governo na sequência dum acentuado mal-estar que se vai desenvolvendo cada vez mais entre os cidadãos de não poucos países, para quem as dinâmicas e as regras que governam a comunidade internacional se apresentam lentas, abstratas e, em última análise, distantes das suas reais necessidades. Convém que as personalidades políticas escutem as vozes dos seus povos e busquem soluções concretas para promover o maior bem possível deles. Isso, porém, requer o respeito do direito e da justiça, tanto dentro das comunidades nacionais como na comunidade internacional, porque reações emocionais e precipitadas poderão aumentar consensos a curto prazo, mas de certeza não contribuirão para a solução dos problemas mais radicais, antes agravá-los-ão.

Levado precisamente por esta preocupação, quis dedicar a Mensagem para o LII Dia Mundial da Paz, celebrado no passado dia 1 de janeiro, ao tema: «A boa política está ao serviço da paz», pois existe uma relação íntima entre a boa política e a convivência pacífica entre os povos e as nações. A paz não é jamais um bem de parte, mas abraça todo o género humano. Assim, um aspeto essencial da boa política é buscar o bem comum de todos, enquanto «bem de todos os homens e do homem todo»[4] e condição social que permite a cada pessoa e à comunidade inteira alcançar o seu bem-estar material e espiritual.

A política deve ser clarividente, não se limitando a procurar soluções de curto prazo. O bom político não deve ocupar espaços, mas iniciar processos; é chamado a fazer prevalecer sobre o conflito a unidade, em cuja base está «a solidariedade, entendida no seu sentido mais profundo e desafiador. [Ela] torna-se assim um estilo de construção da história, um âmbito vital onde os conflitos, as tensões e os opostos podem alcançar uma unidade multifacetada que gera nova vida».[5]

Uma tal visão tem em conta a dimensão transcendente da pessoa humana, criada à imagem e semelhança de Deus. Assim, o respeito pela dignidade de cada ser humano é a premissa indispensável para toda a convivência realmente pacífica, e o direito constitui o instrumento essencial para a consecução da justiça social e para alimentar os vínculos fraternos entre os povos. Neste contexto, um papel fundamental é desempenhado pelos direitos humanos, enunciados na Declaração Universal dos Direitos Humanos, da qual celebramos há pouco o septuagésimo aniversário e cujo caráter universal, objetivo e racional seria oportuno redescobrir, a fim de não prevalecerem visões parciais e subjetivas do homem, que correm o risco de abrir caminho a novas desigualdades, injustiças, discriminação e também, em última instância, a novas violências e abusos.

A defesa dos mais fracos

O segundo elemento que quero recordar é a defesa das pessoas vulneráveis. «Fazemos também Nossa – afirmava Papa Montini – a voz dos pobres, dos deserdados, dos infelizes, dos que aspiram à justiça, à dignidade de viver, à liberdade, ao bem-estar e ao progresso».[6]

Desde sempre a Igreja se empenhou em acudir a quem está necessitado e, no decurso destes anos, a própria Santa Sé fez-se promotora de vários projetos de sustentáculo aos mais vulneráveis, tendo recebido apoio também de distintos sujeitos a nível internacional. De entre eles, gostaria de citar a iniciativa humanitária na Ucrânia a favor da população atribulada, sobretudo nas regiões orientais do país, por causa do conflito que perdura há quase cinco anos tendo registado, ainda recentemente, algumas evoluções preocupantes no Mar Negro. Com a participação ativa das Igrejas católicas da Europa e dos fiéis doutras partes do mundo, que acolheram o meu apelo de maio de 2016, e com a colaboração doutras Confissões e das organizações internacionais, procurou-se acudir, de forma concreta, às primeiras necessidades dos habitantes dos territórios afetados, que são as primeiras vítimas da guerra. A Igreja e as suas várias instituições continuarão esta sua missão, com a intenção de granjear uma maior atenção também para outras questões humanitárias, incluindo a sorte dos prisioneiros ainda numerosos. Com a sua atividade e a proximidade à população, a Igreja procura encorajar, direta e indiretamente, percursos pacíficos para a solução do conflito, percursos respeitadores da justiça e da legalidade, inclusive a internacional, fundamento da segurança e convivência em toda a Região. Para isso, são importantes os instrumentos que garantam o livre exercício dos direitos religiosos.

Por seu lado, também a comunidade internacional, com as suas organizações, é chamada a dar voz a quem não tem voz. E, dentre as pessoas sem voz do nosso tempo, gostaria de lembrar as vítimas das outras guerras em curso, especialmente da guerra na Síria com o número imenso de mortes que causou. De novo faço apelo à comunidade internacional a fim de se favorecer uma solução política para um conflito que, no fim, terá apenas derrotados. Sobretudo é fundamental a cessação das violações do direito humanitário, que provocam sofrimentos indescritíveis à população civil, especialmente mulheres e crianças, e atingem estruturas essenciais como os hospitais, as escolas e os campos de refugiados, bem como os edifícios religiosos.

Além disso, não se podem esquecer os numerosos refugiados que o conflito causou, colocando a dura prova sobretudo os países vizinhos. Quero agradecer mais uma vez à Jordânia e ao Líbano, que acolheram, com espírito fraterno e não poucos sacrifícios, numerosos grupos de pessoas, e ao mesmo tempo almejar que os refugiados possam regressar à pátria usufruindo de condições de vida e segurança adequadas. O meu pensamento alarga-se também aos diferentes países europeus que generosamente ofereceram hospitalidade àqueles que se encontravam em dificuldade e perigo.

Entre as pessoas afetadas pela instabilidade que, há tantos anos, envolve o Médio Oriente estão especialmente os cristãos, que habitam aquelas terras desde o tempo dos Apóstolos, tendo contribuído ao longo dos séculos para edificar e forjar a sua identidade. É extremamente importante que os cristãos tenham um lugar no futuro da Região; por isso, a todos aqueles que procuraram refúgio noutros lugares, encorajo-os a fazer o possível por retornar às suas casas e, em todo o caso, a conservar e fortalecer os laços com as comunidades de origem. Ao mesmo tempo espero que as autoridades políticas não deixem de lhes garantir a segurança necessária e todos os outros requisitos que lhes permitam continuar a viver nos países, de que são a pleno título cidadãos, e contribuir para a sua construção.

Infelizmente, durante estes anos, a Síria e todo o Médio Oriente em geral viram-se palco de luta entre múltiplos interesses contrapostos. Além dos interesses predominantes de natureza política e militar, é preciso não transcurar também a tentativa de semear inimizade entre muçulmanos e cristãos. «Se é verdade que, no decurso dos séculos, surgiram entre cristãos e muçulmanos não poucas discórdias e ódios»,[7] contudo em distintos lugares do Médio Oriente puderam uns e outros conviver pacificamente por muito tempo. Proximamente terei ocasião de visitar dois países com maioria muçulmana: Marrocos e Emiratos Árabes Unidos. Serão duas oportunidades importantes para desenvolver ainda mais o diálogo inter-religioso e o conhecimento mútuo entre os fiéis de ambas as religiões, no VIII centenário do histórico encontro entre São Francisco de Assis e o sultão al-Malik al-Kāmil.

Entre as pessoas vulneráveis do nosso tempo que a comunidade internacional é chamada a defender, contam-se os refugiados e também os migrantes. Mais uma vez desejo chamar a atenção dos governos para todos aqueles que tiveram de emigrar por causa do flagelo da pobreza, de todo o género de violência e perseguição, bem como das catástrofes naturais e das perturbações climáticas, pedindo que se facilitem as medidas que permitam a sua integração social nos países de acolhimento. Além disso, é necessário trabalhar para que as pessoas não sejam forçadas a abandonar a sua família e nação, ou possam retornar com segurança e no pleno respeito pela sua dignidade e direitos humanos. Todo o ser humano anseia por uma vida melhor e mais feliz e não se pode resolver o desafio da migração com a lógica da violência e do descarte nem com soluções parciais.

Por isso, não posso deixar de agradecer os esforços de muitos governos e instituições que, movidos por generoso espírito de solidariedade e caridade cristã, colaboram fraternalmente em prol dos migrantes. Entre eles, desejo mencionar a Colômbia que nos últimos meses, juntamente com outros países do continente, acolheu um número imenso de pessoas vindas da Venezuela. Ao mesmo tempo, estou ciente de que as ondas migratórias destes anos causaram difidência e preocupação na população de muitos países, especialmente na Europa e na América do Norte, e isso impeliu vários governos a limitar fortemente os fluxos de entrada, mesmo se em travessia. Entretanto considero que não se podem dar soluções parciais para uma questão tão universal. Emergências recentes mostraram que é necessária uma resposta comum, concordada por todos os países, sem obstáculos e no respeito de cada instância legítima quer dos Estados quer dos migrantes e refugiados.

Nesta perspetiva, a Santa Sé tem-se empenhado ativamente nas negociações e adotou dois Pactos Globais sobre Refugiados e sobre a Migração segura, ordenada e regular. Particularmente o Pacto sobre as migrações constitui um importante passo em frente na comunidade internacional, que nas Nações Unidas, pela primeira vez a nível multilateral, aborda o tema num documento relevante. Não obstante a natureza jurídica não vinculativa destes documentos e a ausência de vários governos na recente Conferência das Nações Unidas em Marraquexe, os dois Pactos serão pontos importantes de referência para o compromisso político e a ação concreta de organizações internacionais, legisladores e políticos, bem como para aqueles que estão empenhados numa gestão mais responsável, coordenada e segura das situações que, por vários títulos, têm a ver com os refugiados e os migrantes. De ambos os Pactos, a Santa Sé aprecia a intenção e o caráter que facilita a sua implementação, embora tenha expresso reservas sobre os documentos mencionados no Pacto relativo às migrações, que contêm terminologias e diretrizes não cônsonas aos seus princípios sobre a vida e os direitos das pessoas.

Pensando noutros vulneráveis, «temos consciência de fazer nossa – dizia ainda Paulo VI – a voz (…) das jovens gerações de hoje, que avançam confiantes, esperando com razão uma humanidade melhor».[8] Aos jovens, que muitas vezes se sentem perdidos e sem certezas para o futuro, foi dedicada a XV Assembleia Geral Ordinária do Sínodo dos Bispos. E serão eles também os protagonistas da viagem apostólica que farei ao Panamá dentro de alguns dias, por ocasião da XXXIV Jornada Mundial da Juventude. Os jovens são o futuro, e abrir as estradas do futuro constitui um dever da política. Por isso, é absolutamente necessário investir em iniciativas que permitam às próximas gerações construir um futuro, tendo a possibilidade de encontrar trabalho, formar uma família e criar filhos.

A par dos jovens, merecem menção particular as crianças, sobretudo neste ano em que tem lugar o trigésimo aniversário da adoção da Convenção sobre os Direitos da Criança. Trata-se duma ocasião propícia para uma reflexão séria sobre os passos realizados a fim de velar pelo bem dos nossos pequeninos e pelo seu desenvolvimento social e intelectual, bem como pelo seu crescimento físico, psíquico e espiritual. Nesta circunstância, não posso deixar passar em silêncio um dos flagelos do nosso tempo, que, infelizmente, viu protagonistas também vários membros do clero. Os abusos contra os menores constituem um dos mais vis e nefastos crimes possíveis. Cancelam inexoravelmente o melhor do que a vida humana reserva a um inocente, causando danos irreparáveis para o resto da existência. A Santa Sé e toda a Igreja estão-se esforçando por combater e prevenir tais delitos e o seu encobrimento, acertar a verdade dos factos em que estão envolvidos clérigos e fazer justiça aos menores que sofreram violências sexuais, agravadas por abusos de poder e de consciência. O encontro que terei com os Episcopados de todo o mundo, no próximo mês de fevereiro, pretende ser mais um passo no caminho da Igreja para esclarecer plenamente os factos e lenir as feridas causadas por tais delitos.

Pesa constatar que nas nossas sociedades, frequentemente caraterizadas por contextos familiares frágeis, se desenvolvam comportamentos violentos também contra as mulheres, cuja dignidade está no centro da Carta apostólica Mulieris dignitatem, publicada há trinta anos pelo Santo Pontífice João Paulo II. Perante o flagelo dos abusos físicos e psicológicos contra as mulheres, é urgente descobrir formas de relações justas e equilibradas, baseadas no respeito e reconhecimento mútuos, nas quais cada um possa expressar de maneira autêntica a sua identidade; entretanto a promoção dalgumas formas de não-diferenciação arrisca-se a desnaturar o próprio ser homem ou mulher.

A atenção aos mais vulneráveis impele-nos a refletir também sobre outro flagelo do nosso tempo, ou seja, as condições dos trabalhadores. O trabalho, se não for adequadamente tutelado, deixa de ser o meio pelo qual o homem se realiza, para se tornar uma forma moderna de escravidão. Há cem anos nascia a Organização Internacional do Trabalho, que procurou promover condições de trabalho adequadas e aumentar a dignidade dos próprios trabalhadores. Diante dos desafios do nosso tempo, sendo o primeiro deles o crescente desenvolvimento tecnológico que subtrai emprego e leva a diminuir as garantias económicas e sociais dos trabalhadores, almejo que a Organização Internacional do Trabalho continue, livre de interesses parciais, a ser exemplo de diálogo e concertação para alcançar os seus altos objetivos. Nesta sua missão, é chamada a enfrentar, com outras instâncias da comunidade internacional, também o flagelo do trabalho infantil e das novas formas de escravidão, bem como uma diminuição progressiva do valor dos salários, especialmente nos países desenvolvidos, e a persistente discriminação das mulheres nos ambientes laborais.

Ser ponte entre os povos e construtores da paz

Na sua intervenção dirigida às Nações Unidas, São Paulo VI indicou claramente o objetivo principal daquela organização internacional. «Vós existis – dizia ele – e trabalhais para unir a nações, para associar os Estados (…): para harmonizar uns com os outros. (...) Vós sois uma ponte entre os povos. (...) Basta recordar que o sangue de milhões de homens, os sofrimentos espantosos e inumeráveis, os inúteis massacres e as aterradoras ruínas sancionam o pacto que vos une, num juramento que deve mudar a história futura do mundo: nunca mais a guerra, nunca mais a guerra! É a paz, a paz que deve guiar o destino dos povos e de toda a humanidade. (...) A paz, vós o sabeis, não se constrói somente por meio da política e do equilíbrio das forças e dos interesses. Ela constrói-se com o espírito, as ideias, as obras da paz».[9]

No decurso do ano passado, houve alguns sinais de paz significativos, a começar pelo histórico Acordo entre a Etiópia e a Eritreia, que pôs fim a vinte anos de conflito e restabeleceu as relações diplomáticas entre os dois países. Também o acordo assinado pelos líderes do Sudão do Sul, que permite retomar a convivência civil e reativar o funcionamento das instituições nacionais, é um sinal de esperança para o continente africano, onde, no entanto, continuam a existir graves tensões e pobreza generalizada. Sigo com particular atenção a evolução da situação na República Democrática do Congo, com a esperança de que o país possa reencontrar a reconciliação por que anela há longo tempo e empreender resolutamente um caminho rumo ao desenvolvimento, pondo fim ao estado persistente de insegurança que afeta milhões de pessoas, incluindo muitas crianças. Para uma paz sustentável, é fator determinante o respeito pelo resultado eleitoral. De igual modo expresso a minha proximidade a quantos sofrem por causa da violência fundamentalista, especialmente no Mali, Níger e Nigéria, ou pelas persistentes tensões internas nos Camarões, que muitas vezes semeiam a morte entre a própria população civil.

Globalmente é preciso também assinalar que a África, prescindindo de várias vicissitudes dramáticas, revela um potencial dinamismo positivo, enraizado na sua antiga cultura e tradicional hospitalidade. Um exemplo de solidariedade efetiva entre as nações é a abertura das fronteiras em distintos países para receber generosamente os refugiados e deslocados. Merece apreço o facto de que, em muitos Estados, cresce a pacífica convivência entre crentes de diferentes religiões e são encorajadas iniciativas solidárias comuns. Além disso, a implementação de políticas inclusivas e os progressos nos processos democráticos estão a dar, em variadas regiões, resultados eficazes no combate à pobreza absoluta e na promoção da justiça social. Por isso, o apoio da comunidade internacional torna-se ainda mais urgente para favorecer o desenvolvimento das infraestruturas, a criação de perspetivas para as gerações mais jovens e a emancipação dos setores mais frágeis.

Têm chegado sinais positivos da península coreana. A Santa Sé olha favoravelmente os diálogos e almeja que possam enfrentar também as questões mais complexas com uma atitude construtiva e levar a soluções partilhadas e duradouras, bem como assegurar um futuro de desenvolvimento e cooperação para o povo coreano inteiro e para toda a Região.

Votos análogos, formulo para a amada Venezuela, esperando que se encontrem vias institucionais e pacíficas para dar solução à perdurante crise política, social e económica; vias que consintam, antes de mais nada, prestar assistência a quantos são atribulados pelas tensões destes anos e oferecer um horizonte de esperança e paz a todo o povo venezuelano.

A Santa Sé espera ainda que se possa retomar o diálogo entre israelitas e palestinianos, para que se consiga finalmente alcançar um acordo e dar resposta às legítimas aspirações de ambos os povos, garantindo a convivência de dois Estados e a consecução duma paz há muito esperada e desejada. O esforço concorde da comunidade internacional é extremamente precioso e necessário para se conseguir tal objetivo, bem como promover a paz em toda a Região, particularmente no Iémen e no Iraque, e permtir ao mesmo tempo levar as ajudas humanitárias necessárias às populações carenciadas.

Repensar o nosso destino comum

Por fim, gostaria de recordar um quarto traço da diplomacia multilateral: esta convida-nos a repensar o nosso destino comum. Paulo VI houve por bem afirmá-lo nestes termos: «Devemos habituar-nos a pensar (...) de uma maneira nova também a vida comunitária dos homens, de uma maneira nova enfim os caminhos da história e os destinos do mundo (…). Eis chegada a hora em que se impõe (…) pensar de novo na nossa comum origem, na nossa história, no nosso destino comum. Nunca como hoje, numa época marcada por tal progresso humano, foi tão necessário o apelo à consciência moral do homem. Porque o perigo não vem nem do progresso nem da ciência (…). O verdadeiro perigo está no homem, que dispõe de instrumentos sempre mais poderosos, aptos tanto para a ruína como para as mais elevadas conquistas».[10]

No contexto de então, o Pontífice referia-se essencialmente à proliferação das armas nucleares. «As armas – dizia ele –, sobretudo as terríveis que a ciência moderna [nos] deu, antes mesmo de causarem vítimas e ruínas, engendram maus sonhos, alimentam maus sentimentos, criam pesadelos, desconfianças, sombrias resoluções. Exigem enormes despesas. Detêm os projetos de solidariedade e de útil trabalho. Falseiam a psicologia dos povos».[11]

Infelizmente, pesa constatar que o mercado das armas não só não parece sofrer interrupção, mas ao contrário existe uma tendência cada vez mais difusa para se armar por parte tanto dos indivíduos como dos Estados. De modo especial preocupa o facto de que o desarmamento nuclear, amplamente almejado e em parte perseguido nas últimas décadas, esteja agora dando lugar à pesquisa de novas armas cada vez mais sofisticadas e destrutivas. Aqui quero reiterar que «não podemos deixar de ter um grande sentimento de inquietação, se considerarmos as catastróficas consequências humanitárias e ambientais que derivam de qualquer uso dos dispositivos nucleares. Por conseguinte, mesmo considerando o risco de uma explosão acidental dessas armas devido a um erro de qualquer tipo, deve ser condenada com firmeza a ameaça do seu uso, assim como a sua posse, precisamente porque a sua existência é funcional à lógica de medo que não diz respeito apenas às partes em conflito, mas a todo o género humano. As relações internacionais não podem ser dominadas pela força militar, pelas intimidações recíprocas, pela ostentação dos arsenais bélicos. As armas de destruição de massa, em particular as atómicas, geram unicamente um sentido enganador de segurança e não podem constituir a base da convivência pacífica entre os membros da família humana, que ao contrário deve inspirar-se numa ética de solidariedade».[12]

Repensar o nosso destino comum, no contexto atual, significa também repensar a relação com o nosso Planeta. Também no ano passado, constrangimentos e tribulações indescritíveis, provocados por aluviões, inundações, incêndios, terremotos e a seca, atingiram duramente as populações de várias regiões do continente americano e do sudeste asiático. Entre as questões sobre as quais é particularmente urgente encontrar um acordo na comunidade internacional, temos o cuidado do meio-ambiente e a alteração climática. A propósito e à luz também do consenso alcançado na recente Conferência Internacional sobre o Clima (COP-24) realizada em Katowice, almejo um empenhamento mais resoluto por parte dos Estados no reforço da colaboração para contrastar, urgentemente, o fenómeno preocupante do aquecimento global. A Terra é de todos e as consequências da sua exploração recaem sobre toda a população mundial, com efeitos mais dramáticos nalgumas regiões. Entre estas, conta-se a Amazónia, que estará no centro da próxima Assembleia Especial do Sínodo dos Bispos, prevista para o mês de outubro no Vaticano, a qual, apesar de tratar principalmente dos caminhos da evangelização para o povo de Deus, não deixará também de enfrentar as problemáticas ambientais em estreita relação com as consequências sociais.

Excelências, Senhoras e Senhores!

No dia 9 de novembro de 1989, caía o Muro de Berlim. Dali a poucos meses, pôr-se-ia fim à última herança da II Guerra Mundial: a lacerante divisão da Europa decidida em Ialta e a guerra fria. Os países a leste da cortina de ferro reencontraram a liberdade depois de decénios de opressão, e muitos deles começaram a encaminhar-se pela estrada que os levaria a aderir à União Europeia. No contexto atual, em que prevalecem novos ímpetos centrífugos e a tentação de erguer novas cortinas, não se perca na Europa a consciência dos benefícios – sendo o primeiro deles a paz – trazidos pelo caminho de amizade e aproximação entre os povos empreendido depois da II Guerra Mundial.

Um último aniversário quero, enfim, mencionar hoje. No dia 11 de fevereiro de há noventa anos, nascia o Estado da Cidade do Vaticano, na sequência da assinatura dos Pactos Lateranenses entre a Santa Sé e a Itália. Encerrava-se, assim, o longo período da «Questão Romana» na sequência da tomada de Roma e do fim do Estado Pontifício. Com o Tratado de Latrão, a Santa Sé podia – como fez questão de afirmar Pio XI – dispor daquele «mínimo de território material que é indispensável para o exercício dum poder espiritual confiado a homens em benefício de homens»[13] e, com a Concordata, a Igreja pôde de novo contribuir plenamente para o crescimento espiritual e material de Roma e de toda a Itália, uma terra rica de história, arte e cultura, que o cristianismo contribuiu para forjar. Nesta ocorrência, asseguro ao povo italiano uma oração especial para que, na fidelidade às suas tradições, mantenha vivo aquele espírito de solidariedade fraterna que há muito o carateriza.

Para todos vós, prezados Embaixadores e ilustres Hóspedes aqui reunidos, e para os vossos países, formulo cordiais votos de que o novo ano permita reforçar os vínculos de amizade que nos ligam e trabalhar para construir a paz a que o mundo aspira.

Obrigado!

________________________

[1] Cf. Mensagem aos católicos chineses e à Igreja universal (26/IX/2018), 3.
[2]
Cf. Francisco, Exort. ap. Evangelii gaudium (24/XI/2013), 234.
[3]
Paulo VI, Discurso às Nações Unidas (Nova Iorque, 4/X/1965), 2.
[4]
Compêndio da Doutrina Social da Igreja, 165.
[5]
Francisco, Exort. ap. Evangelii gaudium (24/XI/2013), 228.
[6]
Discurso às Nações Unidas, 1.
[7]
Conc. Ecum. Vat. II, Decl. sobre as relações da Igreja com as religiões não-cristãs Nostra ætate (28/X/1965), 3.
[8]
Discurso às Nações Unidas, 1.
[9]
Ibid., 3; 5.
[10]
Ibid., 7.
[11]
Ibid., 5.
[12]
Francisco, Discurso aos participantes no Simpósio Internacional sobre o Desarmamento, promovido pelo Dicastério para o Serviço do Desenvolvimento Humano Integral (10/XI/2017).
[13]
Pio XI, Alocução «O nosso mais cordial», aos párocos de Roma e aos pregadores do período quaresmal, por ocasião da assinatura do Tratado e da Concordata no Palácio Lateranense (11/II/1929).

[00023-PO.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua polacca

Ekscelencje, Panie i Panowie,

Początek nowego roku pozwala nam zatrzymać na kilka chwil szalony bieg codziennych zajęć, aby wynieść kilka uwag na temat przeszłych wydarzeń i zastanowić się nad wyzwaniami, jakie czekają nas w najbliższej przyszłości. Dziękuję wam za liczną obecność na tym naszym tradycyjnym spotkaniu, które w zamiarze jest dobrą okazją, byśmy skierowali ku sobie serdeczną i życzliwą myśl. Niech za waszym pośrednictwem moja bliskość dotrze do narodów, które reprezentujecie, wraz z życzeniem, by dopiero co rozpoczęty rok przyniósł pokój i dobro każdemu członkowi rodziny ludzkiej.

Szczególną wdzięczność wyrażam ambasadorowi Cypru, Jego Ekscelencji panu George’owi Poulidesowi, za uprzejme słowa, które do mnie skierował w imieniu was wszystkich po raz pierwszy jako dziekan korpusu dyplomatycznego akredytowanego przy Stolicy Apostolskiej. Do każdego z was chciałbym skierować szczególne uznanie za pracę, którą codziennie wykonujecie, konsolidując relacje między waszymi krajami i organizacjami a Stolicą Apostolską, jeszcze bardziej umocnione przez podpisanie lub ratyfikację nowych porozumień.

Mam tutaj na myśli szczególnie ratyfikację Umowy ramowej między Stolicą Apostolską a Republiką Beninu o statusie prawnym Kościoła katolickiego w Beninie, jak również podpisanie Umowy między Stolicą Apostolską a Republiką San Marino w sprawie nauczania religii katolickiej w szkołach publicznych.

Na płaszczyźnie wielostronnej Stolica Apostolska ratyfikowała również Konwencję Regionalną UNESCO w sprawie uznawania kwalifikacji szkolnictwa wyższego w regionie Azji i Pacyfiku oraz w marcu ubiegłego roku przystąpiła do Poszerzonego Porozumienia Częściowego w sprawie szlaków kulturowych Rady Europy, inicjatywy mającej na celu ukazanie, w jaki sposób kultura służy pokojowi i stanowi czynnik jednoczący różne społeczeństwa europejskie, zdolny do powiększenia zgody między narodami. Chodzi o znak szczególnego szacunku dla organizacji, która w tym roku obchodzi 70. rocznicę swego założenia, z którą Stolica Apostolska współpracuje od wielu dziesięcioleci i uznaje jej szczególną rolę w promowaniu praw człowieka, demokracji i państwa prawa, w przestrzeni, która pragnie ogarnąć cały kontynent europejski. Wreszcie, 30 listopada, Państwo Watykańskie zostało przyjęte do Jednolitego Obszaru Płatności w Euro (SEPA).

Posłuszeństwo duchowej misji, która wypływa z nakazu jaki Pan Jezus skierował do apostoła Piotra: „Paś baranki moje” (J 21,15), pobudza papieża – a więc także i Stolicę Apostolską – do troszczenia się o całą rodzinę ludzką i jej potrzeby, także natury materialnej i społecznej. Jednak Stolica Apostolska nie zamierza wtrącać się w życie państw, ale pragnie być uważnym i wrażliwym słuchaczem problemów, które mają wpływ na ludzkość, ze szczerym i pokornym pragnieniem służenia dobru każdego człowieka.

Właśnie ta troska wyróżnia dzisiejsze spotkanie i wspiera mnie w moich spotkaniach z wieloma pielgrzymami, którzy przybywają do Watykanu z całego świata, a także z narodami i wspólnotami, które miałem radość odwiedzić w minionym roku odbywając podróże apostolskie do Chile, Peru, Szwajcarii, Irlandii, na Litwę, Łotwę i do Estonii.

Właśnie ta troska pobudza Kościół w każdym miejscu, aby dążyć do pracy na rzecz budowania społeczeństw pokojowych i pojednanych. W tej perspektywie szczególnie myślę o umiłowanej Nikaragui, której sytuację uważnie śledzę, życząc, aby różne instytucje polityczne i społeczne znalazły w dialogu najlepszą drogę dyskusji dla dobra całego narodu.

W takiej perspektywie mieści się także umocnienie relacji między Stolicą Apostolską a Wietnamem, mające na celu mianowanie w najbliższej przyszłości rezydującego w tym kraju przedstawiciela papieskiego, którego obecność pragnie być przede wszystkim przejawem troski Następcy Piotra o Kościół lokalny.

Podobnie należy rozumieć podpisanie Porozumienia Tymczasowego między Stolicą Apostolską a Chińską Republiką Ludową w sprawie mianowania biskupów w Chinach, które miało miejsce 22 września minionego roku. Jak wiadomo, jest ono owocem długiego i przemyślanego dialogu instytucjonalnego, w ramach którego ustanowiono pewne stabilne elementy współpracy między Stolicą Apostolską a władzami cywilnymi. Jak dane mi było wspomnieć w orędziu, które skierowałem do chińskich katolików i Kościoła powszechnego[1], już wcześniej przywróciłem do pełnej komunii kościelnej pozostałych biskupów oficjalnych wyświęconych bez mandatu papieskiego, zachęcając ich do wielkodusznego działania na rzecz pojednania chińskich katolików i dla odnowienia energii ewangelizacji. Dziękuję Panu Bogu, że po raz pierwszy od wielu lat wszyscy biskupi w Chinach są w pełnej jedności z Następcą Piotra i z Kościołem powszechnym. Widocznym tego znakiem był również udział dwóch biskupów z Chin kontynentalnych na niedawnym synodzie poświęconym młodzieży. Mamy nadzieję, że kontynuacja kontaktów dotyczących stosowania podpisanego Porozumienia Tymczasowego przyczyni się do rozwiązania otwartych kwestii i zapewnienia przestrzeni niezbędnych do skutecznego korzystania z wolności religijnej.

Drodzy Ambasadorowie,

W dopiero co rozpoczętym roku nadchodzą znaczące rocznice, oprócz wspomnianej wcześniej rocznicy powstania Rady Europy. Wśród nich chciałbym szczególnie wymienić stulecie Ligi Narodów ustanowionej wraz z traktatem wersalskim, podpisanym 28 czerwca 1919 r. Dlaczego wspominać organizację, która już dziś nie istnieje? Ponieważ stanowi ona początek nowoczesnej dyplomacji wielostronnej, poprzez którą państwa próbują wyzwolić wzajemne relacje z logiki opresji prowadzącej do wojny. Eksperyment Ligi Narodów dość szybko doznał tych trudności, znanych wszystkim, które doprowadziły dokładnie dwadzieścia lat po jej zrodzeniu, do nowego i bardziej niszczącego konfliktu, jakim była II wojna światowa. Tym niemniej otworzył on jednak drogę, która będzie przemierzana z większą determinacją wraz z ustanowieniem w 1945 roku Organizacji Narodów Zjednoczonych. Jest to droga na pewno najeżona trudnościami i nieporozumieniami; nie zawsze skuteczna, ponieważ konflikty trwają niestety także i dziś; ale jest wciąż niezaprzeczalną możliwością spotkania się państw i szukania wspólnych rozwiązań.

Niezbędnymi przesłankami sukcesu dyplomacji wielostronnej jest dobra wola i dobra wiara zainteresowanych stron, gotowość do lojalnego i szczerego dialogu i chęć zaakceptowania nieuniknionych kompromisów, które wynikają z konfrontacji między stronami. Tam, gdzie brakuje choćby jednego z tych elementów, przeważa poszukiwanie rozwiązań jednostronnych, a ostatecznie przemoc silniejszego nad słabszym. Liga Narodów znalazła się w kryzysie właśnie z tych powodów i niestety zauważamy, że te same postawy wciąż podważają stabilność głównych organizacji międzynarodowych.

Uważam zatem, że ważne jest, aby i w czasach obecnych nie zabrakło woli pogodnego i konstruktywnego dialogu między państwami, pomimo, iż jest oczywiste, że relacje w obrębie wspólnoty międzynarodowej i systemu wielostronnego jako całości przeżywają chwile trudne wraz z ponownym pojawieniem się skłonności nacjonalistycznych, które podważają powołanie organizacji międzynarodowych, by były przestrzeniami dialogu i spotkania dla wszystkich krajów. Częściowo wynika to z pewnej niezdolności systemu wielostronnego do oferowania skutecznych rozwiązań różnych sytuacji od dawna nierozwiązanych, takich jak niektóre „zamrożone” konflikty, i do stawienia czoła bieżącym wyzwaniom w sposób zadowalający dla wszystkich. Po części jest to wynikiem ewolucji polityk krajowych, coraz częściej uzależnionych od poszukiwania doraźnego, doktrynerskiego konsensusu, a nie cierpliwego dążenia do dobra wspólnego z reakcjami długoterminowymi. Po części jest to również wynikiem coraz większej dominacji sił i grup interesu, które narzucają swoje wizje i pomysły, pobudzając nowe formy kolonizacji ideologicznej, często nie szanujące tożsamości, godności i wrażliwości narodów. Po części jest to konsekwencją reakcji w niektórych częściach świata na globalizację, która rozwinęła się pod pewnymi względami zbyt szybko i w sposób nieuporządkowany, tak że powstaje napięcie między globalizacją a wymiarem lokalnym. Musimy zatem zwracać uwagę na wymiar globalny, nie tracąc z pola widzenia tego, co lokalne. W obliczu idei „globalizacji kulistej”, która niweluje różnice i w której cechy szczególne zdają się zanikać, łatwo pojawiają się nacjonalizmy, podczas gdy globalizacja może być również szansą, jeśli jest „wieloaspektowa”, czyli sprzyja pozytywnemu napięciu między tożsamością każdego narodu i kraju a samą globalizacją, zgodnie z zasadą, że całość przewyższa część[2].

Niektóre z tych postaw odsyłają do okresu między dwiema wojnami światowymi, podczas którego skłonności populistyczne i nacjonalistyczne przeważyły nad działaniami Ligi Narodów. Ponowne pojawienie się dzisiaj tych skłonności stopniowo osłabia system wielostronny, co ogólnie prowadzi do braku zaufania, kryzysu wiarygodności polityki międzynarodowej i postępującej marginalizacji najsłabszych członków rodziny narodów.

W swoim pamiętnym przemówieniu do Zgromadzenia Narodów Zjednoczonych – pierwszego wystąpienia papieża przed tym audytorium – św. Paweł VI, którego z radością kanonizowałem w minionym roku, nakreślił cele dyplomacji wielostronnej, jej właściwości i odpowiedzialności w kontekście współczesnym, podkreślając także istniejące elementy zbieżne z duchową misją papieża, a zatem i Stolicy Apostolskiej.

Prymat sprawiedliwości i prawa

Pierwszym elementem zbieżnym, który chciałbym przypomnieć, jest prymat sprawiedliwości i prawa. Jak mówił papież Montini: „Nadajecie sankcję tej wzniosłej zasadzie, w myśl której stosunki między narodami mają regulować rozsądek, sprawiedliwość, prawo i rokowania, a nie siła lub przemoc, ani wojna, strach i podstęp”[3].

W naszych czasach niepokoi ponowne pojawianie się skłonności do przedkładania i osiągania indywidualnych interesów narodowych bez odwoływania się to tych narzędzi, jakie przewiduje prawo międzynarodowe dla rozstrzygania sporów i zapewnienia poszanowania sprawiedliwości, również przez Trybunały międzynarodowe. Taka postawa jest niekiedy owocem reakcji osób powołanych do odpowiedzialności rządowej w obliczu nasilonego wzburzenia, które narasta w coraz większym stopniu pośród obywateli sporej liczby krajów, postrzegających dynamikę oraz zasady rządzące wspólnotą międzynarodową jako powolne, abstrakcyjne i w ostatecznym rachunku dalekie od ich faktycznych potrzeb. Trzeba, aby politycy słuchali głosów swoich narodów i szukali konkretnych rozwiązań w celu krzewienia ich większego dobra. Wymaga to jednak poszanowania prawa i sprawiedliwości zarówno w obrębie wspólnot narodowych, jak i wspólnoty międzynarodowej, ponieważ rozwiązania reaktywne, emocjonalne i pośpieszne mogą powiększyć konsensus krótkoterminowy, ale z pewnością nie przyczynią się do rozwiązania większości problemów bardziej radykalnych, a wręcz je pogłębią.

Właśnie z powodu tej troski zamierzałem poświęcić Orędzie na 52 Światowy Dzień Pokoju, który był obchodzony 1 stycznia, tematowi: „Dobra polityka służy pokojowi”, ponieważ istnieje ścisły związek między dobrą polityką a pokojowym współistnieniem pomiędzy narodami i państwami. Pokój nigdy nie jest dobrem cząstkowym, ale obejmuje całą ludzkość. Zatem istotnym aspektem dobrej polityki jest dążenie do dobra wspólnego wszystkich jako „dobra wszystkich ludzi i całego człowieka”[4], oraz do warunków społecznych, pozwalających każdej osobie i całej wspólnocie na osiągnięcie dobrobytu materialnego i duchowego.

Od polityki wymaga się, by była dalekowzroczna i nie ograniczała się do poszukiwania rozwiązań krótkoterminowych. Dobry polityk nie powinien zajmować przestrzeni, ale inicjować procesy; jest powołany, aby powodować przewagę jedności nad konfliktem, u podstaw której leży „solidarność, pojmowana w swym najgłębszym znaczeniu jako wyzwanie”. „Staje się stylem tworzenia historii, środowiska życia, w którym konflikty, napięcia i różnice mogą tworzyć wieloraką jedność rodzącą nowe życie”[5].

Stwierdzenie takie uwzględnia transcendentny wymiar osoby ludzkiej, stworzonej na obraz i podobieństwo Boga. Zatem poszanowanie godności każdej istoty ludzkiej jest niezbędną przesłanką wszelkiego współistnienia prawdziwie pokojowego, a prawo stanowi zasadniczy instrument dla osiągnięcia sprawiedliwości społecznej oraz umocnienia braterskich więzi między narodami. W tej dziedzinie rolę kluczową odgrywają prawa ludzkie ogłoszone w Powszechnej Deklaracji Praw Człowieka, której 70. rocznicę ogłoszenia niedawno obchodziliśmy, a której   powszechny, obiektywny i racjonalny charakter warto byłoby odkryć na nowo, aby nie dominowały wizje niepełne i subiektywne człowieka, które mogą otworzyć drogę do nowych nierówności, niesprawiedliwości, dyskryminacji, a w skrajnym przypadku nawet do nowej przemocy i nadużyć.

Obrona najsłabszych

Drugim elementem, o którym chciałbym wspomnieć, jest obrona słabych. „Przyjmujemy także za swój głos biednych wydziedziczonych, nieszczęśliwych, tych którzy pragną sprawiedliwości, godności, życia w wolności, dobrobytu i postępu”[6] – stwierdzał papież Montini.

Kościół zawsze stara się wspomagać potrzebujących, a Stolica Apostolska stała się przez te lata promotorem różnych projektów wspierających najsłabszych, którzy otrzymali również wsparcie od różnych podmiotów na poziomie międzynarodowym. Wśród nich chciałbym wspomnieć inicjatywę humanitarną na Ukrainie na rzecz cierpiącej ludności, zwłaszcza we wschodnich regionach kraju, ze względu na konflikt, który trwa od niemal pięciu lat, a który nabrał ostatnio pewnego niepokojącego rozwoju sytuacji na Morzu Czarnym. Przy aktywnym udziale Kościołów katolickich Europy i wiernych w innych częściach świata, którzy podjęli mój apel z maja 2016 roku, oraz przy współpracy innych wyznań i organizacji międzynarodowych, starano się w konkretny sposób zaspokoić pierwsze potrzeby mieszkańców dotkniętych terytoriów, którzy są pierwszymi ofiarami wojny. Kościół i jego różne instytucje będą kontynuować tę misję, mając na celu zwrócenie większej uwagi na inne kwestie humanitarne, w tym także dotyczące losu jeńców, których jest jeszcze wielu. Dzięki swej działalności i bliskość ludności, Kościół stara się wspierać bezpośrednio i pośrednio drogi pokoju na rzecz rozwiązania konfliktu, drogi poszanowania sprawiedliwości i praworządności, w tym międzynarodowej, będącej podstawą bezpieczeństwa i współistnienia w całym tym regionie. Dla osiągnięcia tego celu ważne są instrumenty gwarantujące swobodę korzystania z praw religijnych.

Ze swojej strony, także wspólnota międzynarodowa wraz ze swoimi organizacjami jest powołana, by wypowiadać się w imieniu tych, którzy pozbawieni są głosu. A wśród pozbawionych głosu naszych czasów chciałbym przypomnieć ofiary innych toczących się wojen, zwłaszcza w Syrii, wraz z ogromną liczbą spowodowanych przez nią ofiar śmiertelnych. Ponownie apeluję do wspólnoty międzynarodowej o wspieranie politycznego rozwiązania konfliktu, który ostatecznie ujrzy jednie pokonanych. Szczególnie istotne jest położenie kresu łamaniu prawa humanitarnego, powodującemu niewyobrażalne cierpienia ludności cywilnej, zwłaszcza kobiet i dzieci, a wymierzonemu w istotne struktury, takie jak szpitale, szkoły i obozy dla uchodźców, jak również budynki sakralne.

Nie możemy zapomnieć o licznych uchodźcach - zjawisku spowodowanym przez konflikt, poddającemu ciężkiej próbie kraje sąsiadujące. Jeszcze raz chcę wyrazić wdzięczność Jordanii i Libanowi, które w duchu braterskim i za cenę niemałych wyrzeczeń przyjęły liczne rzesze osób, równocześnie wyrażając życzenie, aby uchodźcy mogli powrócić do ojczyzny, w godnych warunkach życia i bezpieczeństwa. Moja myśl biegnie również do różnych krajów europejskich, które wielkodusznie oferują gościnność tym, którzy znaleźli się w trudnej sytuacji i w niebezpieczeństwie.

Wśród osób, które zostały dotknięte niestabilnością, będącą od lat udziałem Bliskiego Wschodu są zwłaszcza chrześcijanie, którzy zamieszkują te ziemie od czasów Apostołów, a którzy w ciągu wieków wnieśli swój wkład w ich budowę i uformowanie. Niezwykle ważne jest, aby chrześcijanie mieli swoje miejsce w przyszłości regionu. Zachęcam zatem osoby, które poszukiwały schronienia w innych miejscach, aby zrobiły wszystko, co możliwe, by powrócić do swych domów, a przynajmniej by utrzymały i umacniały więzi ze wspólnotami swego pochodzenia. Jedocześnie wyrażam życzenie, aby władze polityczne zagwarantowały im konieczne bezpieczeństwo i wszystko, co potrzebne, aby mogli oni nadal żyć w krajach, których są pełnoprawnymi obywatelami, i uczestniczyć w ich budowaniu.

Niestety, na przestrzeni tych lat Syria i ogólnie cały Bliski Wschód stały się terenem walk wielu przeciwstawnych interesów. Oprócz przeważających, o charakterze politycznym i militarnym, nie wolno lekceważyć próby narzucenia wrogości między muzułmanami a chrześcijanami. Mimo, że „w ciągu wieków powstawały między chrześcijanami a muzułmanami liczne spory i uczucia wrogości”[7], to w różnych miejscach na całym Bliskim Wschodzie potrafili oni przez długi czas żyć razem w pokoju. Wkrótce będę miał okazję udać się do dwóch krajów o większości muzułmańskiej, Maroka i Zjednoczonych Emiratów Arabskich. Będą to dwie istotne szanse dalszego rozwijania dialogu międzyreligijnego i wzajemnego poznania między wyznawcami obu religii w osiemsetną rocznicę historycznego spotkania Franciszka z Asyżu i sułtana Al-Kamila.

Pośród słabych naszych czasów, do których obrony powołana jest wspólnota międzynarodowa, są obok uchodźców także imigranci. Raz jeszcze pragnę zwrócić uwagę rządów, aby udzielono pomocy osobom, które musiały emigrować z powodu plagi ubóstwa, wszelkiego rodzaju przemocy i prześladowań, a także klęsk żywiołowych i zmian klimatycznych, oraz aby ułatwiono zastosowanie środków umożliwiających ich integrację społeczną w krajach przyjmujących. Należy również dołożyć starań, aby osoby nie były zmuszane do opuszczenia swej rodziny i narodu, lub aby mogły do nich powrócić bezpiecznie i z pełnym poszanowaniem ich godności oraz praw człowieka. Każda istota ludzka pragnie lepszego i szczęśliwszego życia i nie można rozwiązać wyzwania migracji logiką przemocy i odrzucenia ani też poprzez rozwiązania niepełne.

Nie mogę nie być zatem wdzięczny za wysiłki wielu rządów i instytucji, które kierując się szczodrym duchem solidarności i miłości chrześcijańskiej współpracują bratersko na rzecz imigrantów. Chciałbym wśród nich wymienić Kolumbię, która, wraz z innymi krajami kontynentu, w ostatnich miesiącach przyjęła dużą liczbę osób przybyłych z Wenezueli. Jednocześnie zdaję sobie sprawę, że fale migracji w ostatnich latach spowodowały podejrzliwość i obawy wśród mieszkańców wielu krajów, zwłaszcza w Europie i Ameryce Północnej, a to skłoniło różne rządy do poważnego ograniczenia napływu imigrantów, choćby w tranzycie. Uważam jednak, że nie jest możliwe dawanie jedynie częściowych rozwiązań problemu tak powszechnego. Ostatnie kryzysy ukazały, że potrzebna jest wspólna, skoordynowana odpowiedź wszystkich państw, bez utrudniania dostępu i w poszanowaniu wszelkich uzasadnionych żądań, zarówno państw, migrantów jak i uchodźców.

Mając to na uwadze, Stolica Apostolska aktywnie uczestniczyła w negocjacjach i przyjęciu dwóch Światowych Paktów w sprawie Uchodźców oraz w sprawie bezpiecznej, uporządkowanej i regularnej migracji. W szczególności Pakt Migracyjny stanowi ważny krok naprzód dla społeczności międzynarodowej, która po raz pierwszy w ramach Organizacji Narodów Zjednoczonych zajmuje się tą kwestią w dokumencie o istotnym znaczeniu na poziomie wielostronnym. Pomimo niewiążącego charakteru tych dokumentów oraz nieobecności wielu rządów na niedawnej Konferencji Narodów Zjednoczonych w Marrakeszu, dwa Pakty będą ważnymi punktami odniesienia dla zaangażowania politycznego i konkretnych działań organizacji międzynarodowych, ustawodawców i polityków, a także osób starających się z różnego tytułu o bardziej odpowiedzialne, skoordynowane i bezpieczne zarządzanie sytuacjami dotykającymi uchodźców i migrantów. W obu Paktach Stolica Apostolska docenia intencje i charakter, który ułatwia ich wprowadzenie w życie, chociaż wyraziła zastrzeżenia wobec tych dokumentów, cytowanych w pakcie dotyczącym migracji, które zawierają terminologie i wytyczne nie odpowiadające jej zasadom dotyczącym życia i praw osób. 

Pośród innych słabych, kontynuował Paweł VI: „Zdajemy sobie sprawę, że przemawiamy głosem [...] młodych dzisiejszych pokoleń, którzy słusznie marzą o lepszej ludzkości”[8].  Młodym, którzy wiele razy czują się zagubieni i pozbawieni pewności jutra poświęcone było XV Zwyczajne Zgromadzenie Ogólne Synodu Biskupów. Będą też oni czynnym uczestnikiem podróży apostolskiej, którą złożę w Panamie za kilkanaście dni z okazji XXXIV Światowych Dni Młodzieży. Ludzie młodzi są przyszłością, a zadaniem polityki jest otwarcie dróg przyszłości. Dlatego niezwykle konieczne jest inwestowanie w inicjatywy, które pozwolą przyszłym pokoleniom budować sobie przyszłość, mając możliwość znalezienia pracy, stworzenia rodziny i wychowania dzieci.

Obok młodych na szczególną wzmiankę zasługują dzieci, zwłaszcza w tym roku, w którym przypada 30. rocznica przyjęcia Konwencji o prawach dziecka. Jest to dogodna okazja do poważnej refleksji nad krokami podejmowanymi w celu czuwania nad dobrem naszych dzieci i ich rozwojem społecznym i intelektualnym, a także ich rozwojem fizycznym, psychicznym i duchowym. W tej sytuacji nie mogę milczeć o jednej z plag naszych czasów, której aktywnymi uczestnikami byli niestety także niektórzy członkowie duchowieństwa. Nadużycia wobec małoletnich stanowią jedno z najbardziej nikczemnych i najgorszych przestępstw. Nieubłaganie niszczą to, co najlepszego ludzkie życie zachowuje dla niewinnych, powodując nieodwracalne szkody na całe życie. Stolica Apostolska i cały Kościół pracują na rzecz zwalczania i zapobiegania takim przestępstwom oraz ich tuszowaniu, aby ustalić prawdę faktów w których zaangażowani są ludzie Kościoła i aby zapewnić sprawiedliwość małoletnim, którzy doznali przemocy seksualnej, pogłębionej poprzez nadużycia władzy i sumienia. Spotkanie, które odbędzie się w lutym z episkopatami całego świata, pragnie być kolejnym krokiem na drodze Kościoła, aby rzucić pełne światło na fakty i uleczyć rany spowodowane przez te przestępstwa.

Trzeba niestety stwierdzić, że w naszych społeczeństwach, tak często nacechowanych kruchymi sytuacjami rodzinnymi, narastają zachowania brutalne także wobec kobiet, których godność została umieszczona w centrum Listu apostolskiego Mulieris dignitatem, opublikowanego trzydzieści lat temu przez świętego papieża Jana Pawła II. W obliczu plagi nadużyć fizycznych i psychicznych wobec kobiet, istnieje pilna potrzeba, ponownego odkrycia form relacji sprawiedliwych i zrównoważonych, opartych na szacunku i wzajemnym uznaniu, w których każdy mógłby wyrazić swoją tożsamość w sposób autentyczny. Natomiast promocja niektórych form niezróżnicowania grozi wynaturzeniem samego bycia mężczyzną lub kobietą.

Wrażliwość na najsłabszych pobudza nas do zastanowienia się nad inną plagą naszych czasów, czyli warunkami panującymi wśród pracowników. Praca, jeśli nie jest odpowiednio chroniona, przestaje być środkiem, dzięki któremu człowiek się realizuje, a staje się nowoczesną formą niewolnictwa. Przed stu laty powstała Międzynarodowa Organizacja Pracy, która poczyniła znaczne wysiłki, by krzewić odpowiednie warunki pracy i zwiększyć godność samych pracowników. W obliczu wyzwań naszych czasów, przede wszystkim rosnącego postępu technologicznego, który likwiduje miejsca pracy i powoduje utratę gwarancji ekonomicznych i społecznych dla pracowników, wyrażam nadzieję, że Międzynarodowa Organizacja Pracy będzie, niezależnie od interesów cząstkowych, wzorem dialogu i uzgodnień, aby osiągnąć swoje wzniosłe cele. W tej misji jest ona powołana, by stawić czoło, wraz z innymi instytucjami wspólnoty międzynarodowej, także pladze pracy osób niepełnoletnich oraz nowym formom niewolnictwa, jak również stopniowego zmniejszenia wartości wynagrodzenia, zwłaszcza w krajach rozwiniętych, oraz utrzymującej się dyskryminacji kobiet w środowisku pracy.

Być pomostem między narodami i budowniczymi pokoju

W swoim wystąpieniu w Organizacji Narodów Zjednoczonych św. Paweł VI wyraźnie wskazał główny cel tej organizacji międzynarodowej. „Istniejecie i pracujcie po to, aby jednoczyć narody, zrzeszać państwa; [...] aby zespalać ze sobą jednych i drugich [...] Jesteście mostem między narodami. [...] Wystarczy przypomnieć, że krew milionów ludzi, że niesłychane i niezliczone cierpienia, że bezsensowne masakry i straszliwe ruiny uprawomocniają pakt wiążący was przysięgą, która musi zmienić przyszłą historię świata: nigdy więcej wojny, nigdy więcej wojny! To pokój, pokój musi kierować losami narodów i całej ludzkości! [...] Pokój, jak wiecie, buduje się nie tylko za pomocą polityki oraz równowagi sił i interesów. Buduje się go umysłem, ideami, pokojową pracą”[9].

W ciągu minionego roku pojawiły się pewne znaczące oznaki pokoju, począwszy od historycznego porozumienia między Etiopią a Erytreą, kładącemu kres dwudziestoletniemu konfliktowi i przywracającemu stosunki dyplomatyczne między dwoma krajami. Także porozumienie podpisane przez przywódców Sudanu Południowego, które umożliwia pokojowe współistnienie i przywrócenie funkcjonowania instytucji państwowych, jest znakiem nadziei dla kontynentu afrykańskiego, gdzie jednak nadal istnieją poważne napięcia i rozpowszechnione ubóstwo. Szczególnie uważnie śledzę rozwój sytuacji w Demokratycznej Republice Konga, wyrażając nadzieję, że kraj ten będzie mógł odzyskać pojednanie, którego od dawna oczekuje i podjąć zdecydowaną drogę w kierunku rozwoju, kładąc kres utrzymującemu się stanowi niepewności, wpływającemu na losy milionów ludzi, w tym wielu dzieci. Aby osiągnąć ten cel, czynnikiem niezbędnym dla trwałego pokoju jest poszanowanie wyników elekcyjnych. Podobnie wyrażam solidarność z osobami cierpiącymi z powodu przemocy fundamentalistycznej, zwłaszcza w Mali, Nigrze i Nigerii, lub też z powodu utrzymujących się napięć w Kamerunie, które nie rzadko sieją śmierć wśród ludności cywilnej.

Podsumowując, należy zauważyć, że Afryka, oprócz pewnych wydarzeń dramatycznych, ujawnia potencjalną dynamikę pozytywną, zakorzenioną w jej starożytnej kulturze i tradycyjnej gościnności. Przykładem rzeczywistej solidarności między państwami jest otwarcie granic w różnych krajach, aby wielkodusznie przyjmować uchodźców i przesiedleńców. Należy docenić fakt, że w wielu państwach wzrasta pokojowe współistnienie między wyznawcami różnych religii i zachęca się do wspólnych inicjatyw solidarnych. Ponadto wdrażanie polityki integracyjnej i postęp procesów demokratycznych przynosi w wielu regionach korzystne wyniki w dziedzinie zwalczania bezwzględnego ubóstwa i promowania sprawiedliwości społecznej. Dlatego też jeszcze pilniejsze staje się wsparcie społeczności międzynarodowej, by sprzyjać rozwojowi infrastruktury, budowaniu perspektyw dla młodszych pokoleń i emancypacji warstw najsłabszych.

Sygnały pozytywne docierają z Półwyspu Koreańskiego. Stolica Apostolska z zadowoleniem obserwuje dialog i pragnie, aby dotyczył on również problemów bardziej złożonych z postawą konstruktywną i doprowadził do wspólnych i trwałych rozwiązań, aby zapewnić przyszłość naznaczoną rozwojem i współpracą dla całego narodu koreańskiego i całego regionu.

Podobne życzenia składam umiłowanej Wenezueli, aby znalazły się drogi instytucjonalne i pokojowe do znalezienia rozwiązania przedłużającego się kryzysu politycznego, społecznego i ekonomicznego, drogi, które pozwoliłyby przede wszystkim na opiekę nad doświadczanymi przez napięcia minionych lat i dały całemu narodowi wenezuelskiemu perspektywy nadziei i pokoju.

Stolica Apostolska pragnie również, by możliwe było wznowienie dialogu między Izraelczykami a Palestyńczykami, tak aby można było wreszcie osiągnąć porozumienie i odpowiedzieć na słuszne aspiracje obu narodów, zapewniając współistnienie dwóch państw i osiągnięcie długo oczekiwanego i upragnionego pokoju. Zgodne zaangażowanie wspólnoty międzynarodowej jest niezwykle cenne i niezbędne do osiągnięcia tego celu, a także krzewienia pokoju w całym regionie, w szczególności w Jemenie i Iraku, a jednocześnie by umożliwić niezbędną pomoc humanitarną dla potrzebujących społeczności.

Przemyślenie naszego wspólnego przeznaczenia

Na koniec chciałbym przypomnieć czwartą cechę dyplomacji wielostronnej: zachęca nas do ponownego przemyślenia naszego wspólnego przeznaczenia. Paweł VI powiedział to następującymi słowy: „Musimy przyzwyczaić się do myślenia o człowieku w nowy sposób [...] do nowego sposobu wspólnego życia ludzi, do nowych wreszcie dróg historii i przeznaczenia świata. [...] Oto nadeszła godzina [...] zastanowienia się od nowa nad naszym wspólnym pochodzeniem, nad naszą historię, nad naszym wspólnym przeznaczeniem. Dziś w epoce, której cechą jest tak wielki postęp ludzki, konieczne jest, bardziej niż kiedykolwiek, odwołanie się do moralnej świadomości człowieka. Albowiem niebezpieczeństwo nie zagraża ani od strony postępu, ani od strony wiedzy [...] Prawdziwe niebezpieczeństwo tkwi w człowieku, który dysponuje coraz potężniejszymi narzędziami nadającymi się równie dobrze do niszczenia, jak i najwspanialszych osiągnięć”[10]

W kontekście swej epoki papież odniósł się w zasadzie do rozprzestrzeniania broni jądrowej. „Broń, a zwłaszcza straszliwa broń, jaką dała nam nowoczesna wiedza – nawet zanim spowoduje ofiary i ruiny – rodzi złe sny, podsyca złe uczucia, wywołuje koszmary, nieufność i złowieszcze postanowienia; wymaga olbrzymich wydatków: hamuje wykonanie planów użytecznych prac przesiąkniętych duchem solidarności; wypacza psychikę ludzką”[11].

Niestety, trzeba z bólem stwierdzić, że nie tylko rynek handlu bronią nie zdaje się doznawać niepowodzeń, ale raczej, że istnieje coraz większa skłonność by się zbroić, zarówno ze strony poszczególnych osób jak i państw. Szczególne zaniepokojenie budzi fakt, że rozbrojenie jądrowe, powszechnie pożądane i częściowo realizowane w minionych dziesięcioleciach, obecnie ustępuje miejsca poszukiwaniom nowej, coraz bardziej wyrafinowanej i niszczycielskiej broni. W tym miejscu pragnę powtórzyć, że „nie możemy też nie odczuwać żywego zaniepokojenia, jeżeli weźmiemy pod uwagę katastrofalne dla ludzkości i środowiska skutki wszelkiego użycia broni nuklearnej. Dlatego, uwzględniając również niebezpieczeństwo przypadkowej detonacji tego rodzaju broni, spowodowane przez jakikolwiek błąd, należy zdecydowanie potępić groźby ich użycia, jak również samo ich posiadanie, właśnie dlatego, że ich istnienie związane jest z logiką strachu, która jest przyjmowana nie tylko przez strony zaangażowane w konflikt, ale cały rodzaj ludzki. Stosunki międzynarodowe nie mogą być zdominowane przez siłę militarną, przez wzajemne zastraszanie się, przez epatowanie arsenałami broni. Broń masowego rażenia, zwłaszcza broń atomowa daje jedynie złudne poczucie bezpieczeństwa i nie może stanowić podstawy pokojowego współżycia członków rodziny ludzkiej, która — przeciwnie — powinna kierować się etyką solidarności”[12].

Ponowne przemyślenie naszego wspólnego przeznaczenia w obecnym kontekście oznacza również ponowne przemyślenie naszej relacji z naszą planetą. Również w tym roku niewyobrażalne trudności i cierpienia spowodowane przez zalania, powodzie, pożary, trzęsienia ziemi i susze mocno dotknęły ludność różnych regionów kontynentu amerykańskiego i Azji Południowo-Wschodniej. Pośród kwestii, co do których szczególnie pilne jest znalezienie porozumienia w łonie wspólnoty międzynarodowej, znajduje się zatem problem ochrony środowiska i zmian klimatycznych. W tym zakresie, w szczególności w świetle konsensusu osiągniętego na niedawnej międzynarodowej konferencji klimatycznej (COP-24), która odbyła się w Katowicach, pragnę wyrazić życzenie bardziej stanowczego zaangażowania państw oraz umocnienia współpracy w pilnym zwalczaniu niepokojącego zjawiska globalnego ocieplenia. Ziemia należy do wszystkich, a konsekwencje jej eksploatacji spadają na całą populację światową, ze skutkami bardziej dramatycznymi w niektórych regionach. Jest wśród nich Amazonia, która znajdzie się w centrum zbliżającego się Zgromadzenia Specjalnego Synodu Biskupów w Watykanie, przewidzianego w październiku, który, chociaż będzie zajmował się zasadniczo procesami ewangelizacji dla ludu Bożego, nie pominie także podjęcia problemów środowiskowych w ścisłym powiązaniu z konsekwencjami społecznymi.

Ekscelencje, Panie i Panowie,

9 listopada 1989 roku upadł Mur Berliński. Kilka miesięcy później położono kres ostatniej spuściźnie drugiej wojny światowej: postanowionemu podziałowi rozdzierającemu Europę w Jałcie oraz zimnej wojnie. Kraje położone na wschód od żelaznej kurtyny odzyskały wolność po dziesięcioleciach ucisku, a wiele z nich zaczęło iść drogą, która doprowadziła je do przystąpienia do Unii Europejskiej. W obecnej sytuacji, gdy panują nowe siły odśrodkowe i pokusy wznoszenia nowych kurtyn, niech w Europie nie zatraci się świadomość dobrodziejstw – przede wszystkim pokoju – przyniesionych przez drogę przyjaźni i bliskości między narodami podjętej po II wojnie światowej.

Chciałbym dziś przypomnieć jeszcze ostatnią rocznicę. Przed dziewięćdziesięciu laty, 11 lutego powstało Państwo Watykańskie w następstwie podpisania Paktów Laterańskich między Stolicą Apostolską a Włochami. W ten sposób zakończył się długi okres „kwestii rzymskiej”, będącej następstwem zdobycia Rzymu i końca państwa papieskiego. Wraz z Traktatem Laterańskim, Stolica Apostolska mogła dysponować „tym skrawkiem terytorium materialnego, jaki jest niezbędny do sprawowania władzy duchowej powierzonej ludziom dla dobra ludzi”[13], jak stwierdził Pius XI, a wraz z konkordatem Kościół mógł na nowo wnieść swój pełny wkład w rozwój duchowy i materialny Rzymu i całych Włoch, ziemi bogatej w historię, sztukę i kulturę, do której ukształtowania przyczyniło się chrześcijaństwo. Przy tej okazji zapewniam naród włoski o specjalnej modlitwie, aby wierny swej tradycji, podtrzymał owego ducha braterskiej solidarności, który go charakteryzował przez długi okres.

Wam wszystkim, drodzy ambasadorowie i znakomici goście tu obecni oraz waszym krajom składam serdeczne życzenia, aby nowy rok pozwolił na umocnienie łączących nas więzów przyjaźni, oraz na podejmowanie wysiłków na rzecz budowania pokoju, do którego usilnie dąży świat.

Dziękuję!

_________________

 

[1] Por. Przesłanie do katolików chińskich i do Kościoła Powszechnego, 26 września 2018,3.
[2]
Por. Adhort. ap. Evangelii gaudium, 24 listopada 2013, 234.
[3]
PAWEŁ VI, Przemówienie do Narodów Zjednoczonych, Nowy Jork, 4 października 1965, 2; w: Chrześcijanin w świecie. 7, 1970, s. 27.
[4]
Kompendium nauki społecznej Kościoła, n. 165.
[5]
Adhort. ap. Evangelii gaudium, 24 listopada 2013, 228.
[6]
Przemówienie do Narodów Zjednoczonych, j.w. s. 26.
[7]
II SOBÓR WATYKAŃSKI, Deklar. Nostra aetate o stosunku Kościoła do religii niechrześcijańskich, 28 października 1965, 3.
[8]
Przemówienie do Narodów Zjednoczonych, j.w. s. 26.
[9]
Przemówienie do Narodów Zjednoczonych, j.w. s. 27-28.
[10]
Przemówienie do Narodów Zjednoczonych, j.w. s. 27-28.
[11]
Przemówienie do Narodów Zjednoczonych, j.w. s. 28.
[12]
Przemówienie do uczestników międzynarodowego sympozjum na temat rozbrojenia, 10 listopada 2017; w: L’Osservatore Romano, wyd. polskie, n. 12 (398) 2017, s. 11.
[13]
PIO XI, Alloc. “Il nostro più cordiale” ai Parroci di Roma ed ai Predicatori del periodo quaresimale in occasione della firma del Trattato e del Concordato nel Palazzo Lateranense, 11 febbraio 1929.

[00023-PL.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua araba

كلمة قداسة البابا فرنسيس

إلى الدبلوماسيّين المُعتَمدين لدى الكرسي الرسولي

بمناسبة اللقاء السنوي لتبادل التهاني بالعام الجديد

7 يناير / كانون الثاني 2019

في القصر البابوي

أصحاب السعادة، سيّداتي وسادتي،

إن بداية العام الجديد تسمح لنا بأن نوقِف لبعض اللحظات، تعاقب الأنشطة اليوميّة الشديد كيما نستخلص بعض الاعتبارات حول الأحداث الماضية ونتأمّل في التحدّيات التي تنتظرنا في المستقبل القريب. أشكركم على حضوركم الكبير في لقائنا هذا المعتاد، والذي يقصد، في المقام الأوّل، أن يكون فرصة مواتية لتبادل الأمنيات الحارّة والودّية. وأرجو، من خلالكم، أن يَصِل قربي من الشعوب التي تمثّلونها، مع أمنياتي في أن يحمل العام الذي بدأ للتوّ السلامَ والرفاهية لكلّ فرد من أفراد الأسرة البشريّة.

أعبّر عن شكري الخاص لصاحب السعادة السيّد جورج بوليديس، سفير قبرص، على الكلمات اللطيفة التي وجّهها إليّ لأوّل مرّة باسمكم جميعًا، بصفته عميد السلك الدبلوماسي المعتمد لدى الكرسي الرسولي. أودّ أن أتوجّه إلى كلّ واحد منكم بتقدير خاصّ للعمل الذي تقومون به يوميًّا على توطيد العلاقات بين بلدانكم ومنظّماتكم والكرسي الرسولي، والتي تزداد تعزيزًا عبر التوقيع أو التصديق على اتفاقيّات جديدة.

وأشير على وجه الخصوص إلى التصديق على الاتّفاق الإطاريّ بين الكرسي الرسولي وجمهوريّة بنين بشأن النظام الأساسي القانونيّ للكنيسة الكاثوليكيّة في بنين، فضلًا عن توقيع وتصديق الاتّفاق بين الكرسي الرسولي وجمهورية سان مارينو لتعليم الدين الكاثوليكي في المدارس العامّة.

كما صدّق الكرسي الرسولي في السياق المتعدّد الأطراف، على اتّفاقية اليونسكو الإقليمية بشأن الاعتراف بمؤهّلات التعليم العالي في آسيا والمحيط الهادئ، وانضمّ في شهر مارس/آذار المنصرم إلى الاتّفاق الجزئيّ الموسّع حول توجّهات المجلس الأوروبي الثقافيّة، وهي مبادرة تهدف لإظهار كيف أن الثقافة هي في خدمة السلام، وكيف تمثّل عاملًا موحدًا للمجتمعات الأوروبيّة المختلفة، قادرة على تنمية الانسجام بين الشعوب. وهذه علامة على اهتمام خاصّ تجاه منظّمة، يصادف هذا العام الذكرى السنويّة السبعين لتأسيسها، يتعاون معها الكرسي الرسولي منذ عقود عديدة، ويقرّ بدورها الخاصّ في تعزيز حقوق الإنسان، والديمقراطيّة وسيادة القانون، في مساحة هدفها أن تشمل القارّة الأوروبّية بأكملها. وفي النهاية، قد تمّ قبول دولة حاضرة الفاتيكان في منطقة اليورو، بتاريخ 30 نوفمبر/تشرين الثاني الماضي (SEPA).

إن الطاعة للرسالة الروحيّة، التي تنبع من الأمر الذي وجّهه الربّ يسوع إلى بطرس الرسول: "إِرْعَ حُمْلاني" (يو 21، 15)، تدفع البابا -وبالتالي الكرسي الرسولي- إلى الاهتمام بالأسرة البشريّة بأسرها وبحاجاتها، حتى المادّية منها والاجتماعية. ومع ذلك، لا ينوي الكرسي الرسولي التدخّل في حياة الدول، ولكنّه يطمح لأن يصغي بتنبّه وتحسّس إلى المشاكل التي تهمّ البشرية، مع الرغبة الجدّية والمتواضعة في وضع ذاته في خدمة خير كلّ إنسان.

هذا هو الأمر المهمّ الذي يميّز لقاء اليوم والذي يدفعني في الاجتماعات مع الحجاج الذين يأتون إلى الفاتيكان من كلّ أنحاء العالم، وكذلك مع الشعوب والمجتمعات التي سررت بالتقائها العام الماضي من خلال الزيارات الرسوليّة في تشيلي وبيرو وسويسرا وايرلندا وليتوانيا ولاتفيا واستونيا.

هذا هو الأمر المهمّ الذي يحثّ الكنيسة في كلّ مكان على العمل من أجل تعزيز بناء المجتمعات المسالمة والمتصالحة. ومن هذا المنظور، أفكّر بشكل خاص في نيكاراغوا الحبيبة، التي أتابع أوضاعها عن كثب، على أمل أن تجد الهيئاتُ السياسيّة والاجتماعيّة المختلفة، في الحوار، السبيلَ الأفضل لمواجهة بعضها البعض، من أجل خير الأمّة بأسرها.

كما أن توطيد العلاقات بين الكرسي الرسولي وفيتنام يجري في هذا السياق، بهدف تعيين، في المستقبل القريب، ممثّل مقيم للكرسي الرسولي، يهدف وجوده في المقام الأوّل لأن يكون دليلاً على اهتمام خلف بطرس بالكنيسة المحلّية.

على نحو مماثل، يجب فهم توقيع الاتّفاق المؤقّت بين الكرسي الرسولي وجمهوريّة الصين الشعبيّة بشأن تعيين الأساقفة في الصين، الذي تمّ في 22 سبتمبر/أيلول الماضي. كما هو معروف، فإن هذا الاتفاق هو نتيجة لحوار مؤسّسي طويل ومدروس، تمّ من خلاله وضع بعض العناصر الثابتة للتعاون بين الكرسي الرسولي والسلطات المدنيّة. وكما ذكرت في الرسالة التي وجّهتها إلى كاثوليك الصين والكنيسة الجامعة[1]، كنت قد أعدتُ سابقًا باقي الأساقفة الذين نالوا السيامة الأسقفيّة بدون تفويض رسوليّ إلى ملء الشركة الكنسيّة، ودعوتهم إلى العمل بسخاء من أجل المصالحة بين كاثوليك الصين، ومن أجل حمل البشارة باندفاع متجدّد. أشكر الربّ على أن جميع الأساقفة في الصين، وللمرّة الأولى منذ سنوات عديدة، هم في شركة كاملة مع خليفة بطرس ومع الكنيسة الجامعة. ومن العلامات الظاهرة لذلك، كانت مشاركة اثنين من الأساقفة من البرّ الرئيسي للصين في السينودس الأخير المخصّص للشبيبة. ومن المرجو أن يساهم استمرار الاتّصالات بشأن تطبيق الاتّفاقية المؤقّتة الموقّعة، في حلّ المسائل المفتوحة، وفي ضمان الفسحات الضروريّة للتمتّع الفعليّ بالحرّية الدينية.

 

أيّها السفراء الأعزّاء،

يصادف العام الذي بدأ للتوّ العديد من الذكرى السنوية الهامّة، إضافةً إلى ذكرى المجلس الأوروبّي المذكورة آنفاً. ومن بين تلك، أودّ أن أذكر على وجه الخصوص: الذكرى المئويّة لعصبة الأمم، الذي أنشئ بموجب معاهدة فرساي في 28 يونيو/حزيران 1919. لماذا يتمّ ذكر منظّمة لم تعد موجودة اليوم؟ لأنها تمثّل بداية الدبلوماسيّة المتعدّدة الأطراف الحديثة، والتي تحاول الدول من خلالها إخراج العلاقات المتبادلة من منطق القمع الذي يؤدّي إلى الحرب. سرعان ما واجهت خبرة عصبة الأمم تلك الصعوبات المعروفة لدى الجميع والتي أدّت بعد عشرين سنة بالضبط من نشأتها إلى صراع جديد أكثر حدّة، أي إلى الحرب العالميّة الثانية. ومع ذلك، فقد فتحت الطريق الذي تمّ اتّباعه، بمزيد من التصميم، عبر إنشاء منظّمة الأمم المتّحدة في عام 1945: طريق يعجّ طبعًا بالصعوبات والاختلافات؛ ليس فعّالًا على الدوام، لأن الصراعات، مع الأسف، لا تزال قائمة حتى اليوم؛ ولكنه لا يزال فرصة أكيدة للدول كي تلتقي وتسعى إلى حلول مشتركة.

إن المنطلق الأساسيّ لنجاح الدبلوماسيّة المتعدّدة الأطراف هو ما يتحلّى به المحاورون من صلاح الإرادة وحسن النيّة، والاستعداد لمواجهة أمينة وجدّية، والرغبة في قبول التنازلات الحتميّة التي تنشأ عن المواجهة بين الأطراف. فعندما يفشل أحد هذه العناصر، يسود البحث عن حلول أحاديّة الجانب، وفي نهاية المطاف، يسود ظلم الأقوى للأضعف. وقد دخلت عصبة الأمم في أزمة لهذه الأسباب بالتحديد، ونلاحظ للأسف، أن نفس المواقف ما زالت تُضعِفُ استقرار المنظّمات الدوليّة الرئيسيّة.

لذلك، أرى أنه من المهمّ في الوقت الحاليّ ألّا تفشل الرغبة بمواجهة سلميّة وبنّاءة بين الدول، حتى وإن كان من الواضح أن العلاقات داخل المجتمع الدولي، والنظام المتعدّد الأطراف ككلّ، تمرّ بأوقات عصيبة، مع إعادة ظهور الميول القوميّة، التي تُضعِفُ دعوة المنظّمات الدوليّة لأن تكون مساحة للحوار واللقاء لجميع البلدان. ويعود ذلك جزئيًّا إلى عجز النظام المتعدّد الأطراف عن تقديم حلول فعّالة لأوضاع مختلفة ما زالت عالقة منذ فترة طويلة، مثل بعض الصراعات "المجمّدة"، وعن التصدّي للتحدّيات الحاليّة بطريقة مرضيّة للجميع. وهو جزئيًّا نتيجة لتطوّر السياسات الوطنيّة، التي تنشأ أكثر فأكثر بسبب البحث عن إجماع فوريّ وطائفيّ، بدلاً من السعي إلى تحقيق الصالح العام مع حصائل طويلة الأجل. ويعود ذلك جزئيًّا أيضًا إلى زيادة هيمنة السلطات والمجموعات التي تفرض رؤاها وأفكارها على المنظّمات الدولية، مما يؤدّي إلى ظهور أشكال جديدة من الاستعمار الإيديولوجي غالبًا ما لا تحترم هويّة الشعوب وكرامتها وحساسيّتها. ويعود ذلك جزئيًّا إلى ردّة الفعل في بعض مناطق العالم على عولمة تطوّرت بسرعة وبطريقة غير منتظمة في بعض النواحي، بحيث نشأ توتّر بين العولمة والتمركز. ولذلك يجب أن نهتمّ بالبعد العالميّ دون إغفال ما هو محلّي. فمن السهل على القوميّات أن تظهر من جديد، إزاء فكرة "العولمة الكرويّة"، التي تضع الاختلافات على نفس المستوى والتي تبدو الخصائص فيها مخفيّة، في حين يمكن للعولمة أن تكون فرصة عندما تكون "متعدّدة الأوجه"، أي تساعد في وجود توتّر إيجابيّ بين هويّة كلّ شعب وبلد وبين العولمة نفسها، وفقًا لمبدأ أن المجموع يتفوّق على الجزء[2].  

تشير بعض هذه المواقف إلى مرحلة ما بين الحربين العالميّتين، التي تفوقّت فيها النزعات الشعبويّة والقوميّة على عمل عصبة الأمم. وقد بدأ ظهور مثل هذه النزعات اليوم بإضعاف النظام المتعدّد الأطراف تدريجيًّا، مولّدًا فقدانًا عامًا للثقة، وأزمةً في مصداقيّة السياسة العالميّة، واستبعادًا تدريجيًّا لأكثر الأعضاء ضعفًا في عائلة الأمم.

لقد وضع القدّيس بولس السادس، الذي سررت بإعلان قداسته العام الماضي، في خطابه التاريخي إلى جمعيّة الأمم المتّحدة –أوّل خطاب لحبر أعظم أمام هذا المنتدى- أهدافَ الدبلوماسية المتعدّدة الأطراف، وخصائصها ومسؤولياتها في السياق المعاصر، حيث سلّط الضوء أيضًا على عناصر الاتّصال الموجودة برسالة البابا الروحيّة وبالتالي بالكرسي الرسولي.    

أسبقيّة العدالة والحقوق

أوّل عنصر اتّصال أودّ أن أذكره هو أسبقيّة العدالة والحقوق: "أنتم –قال البابا مونتيني- تقرّون المبدأ العظيم القائل بأن العلاقات بين الشعوب يجب أن ينظّمها العقل، والعدالة، والقانون، والتفاوض، لا القوّة والعنف والحرب، ولا الخوف أو الخداع"[3].  

نشعر بالقلق في عصرنا هذا، إزاء عودة ظهور ميول تسعى لإعطاء الأولويّة للوطنيّة الفرديّة والسعي وراءها دون اللجوء إلى تلك الأدوات التي يوفّرها القانون الدولي لتسوية النزاعات، وضمان احترام العدالة، بما في ذلك من خلال المحاكم الدولية. هذا الموقف هو أحيانًا نتيجة لتفاعل الأشخاص المدعوّين إلى مسؤوليّة القيادة إزاء انزعاج كبير يتزايد بين مواطني كثير من البلدان، الذين يرون أن الديناميكيّات والقواعد التي تسود المجتمع الدولي هي بطيئة وتجرّديّة وفي نهاية المطاف، بعيدة عن احتياجاتهم الفعليّة. ينبغي على السياسيّين أن يصغوا إلى أصوات شعوبهم وأن يسعوا إلى حلول ملموسة لتعزيز خيرهم الأكبر. لكن هذا يتطلّب احترام القانون والعدالة، سواء داخل المجتمعات الوطنيّة أو داخل المجتمع الدولي، لأن الحلول التفاعليّة، والعاطفيّة والمتسرّعة، يمكنها أجل أن تعزّز إجماعًا قصير المدى، لكنّها لن تسهم بالتأكيد في حلّ المشاكل الأكثر جذريّة، لا بل تزيدها.

ولهذا السبب بالتحديد، قررت أن أضع رسالة اليوم العالمي للسلام الثاني والخمسين، الذي احتُفِلَ به في 1 يناير/كانون الثاني الماضي، تحت عنوان: "السياسة الصالحة هي في خدمة السلام"، لأن هناك علاقة حميمة بين السياسة الصالحة والتعايش السلمي بين الشعوب والدول. السلام ليس أبدًا خيرًا جزئيًّا، بل يشمل جميع البشر. ومن الجوانب الأساسيّة للسياسة الصالحة، بالتالي، هو السعي وراء الخير المشترك للجميع، باعتباره "خير البشريّة بأسرها وخير الإنسان بكامله"[4] وحالة اجتماعيّة تسمح لكلّ شخص وللمجتمع بأسره بالوصول إلى الرفاهيّة المادّية الروحيّة.

يُطلب من السياسة أن تكون تطلّعية ولا تقتصر فقط على البحث عن حلول قصيرة المدى. ليس على السياسي الصالح أن يحتلّ مراكز، بل أن يطلق عمليّات؛ إنه مدعوّ لجعل الوحدة تسود على الصراع، وعلى أساسها "التضامن، في مفهومه الأعمق وبصفته تحدّيا". وتصبح هكذا "طريقة لصنع التاريخ، وميدانًا حيويّا حيث الصراعات والتوتّرات والأضداد يمكن أن تبلغ وحدة متعدّدة الأشكال، تولّد حياة جديدة"[5].

إن هكذا اعتبار يراعي البعدَ المتسامي للإنسان، الذي خُلق على صورة الله ومثاله. وبالتالي، يشكّل احترامُ كرامة كلّ إنسان فرضيّةً لا غنى عنها في أيّ تعايش سلميّ حقيقيّ، ويكوّن القانونُ الأداةَ الأساسيّة لتحقيق العدالة الاجتماعيّة، وتعزيز الروابط الأخويّة بين الشعوب. وتلعب حقوق الإنسان في هذا السياق، دوراً أساسياً، وهي منصوصة في الإعلان العالميّ لحقوق الإنسان، الذي احتفلنا بذكراه السبعين مؤخّرًا، والذي ينبغي إعادة اكتشاف عالميّته وموضوعيّته وعقلانيّته، كيما لا تسود الرؤى الجزئيّة والذاتيّة للإنسان، التي من شأنها أن تفتح الطريق أمام مظاهر جديدة من عدم المساواة، والظلم، والتمييز، وحتى في أقصى حدّ، من أعمال العنف والاعتداءات جديدة.

الدفاع عن الأضعف

العنصر الثاني الذي أودّ ذكره هو الدفاع عن الضعفاء. "لنتبنّى -يؤكّد البابا مونتيني- صوت الفقراء، والمحرومين، والمتألّمين، والذين يتوقون إلى العدالة، وإلى كرامة الحياة، وإلى الحرّية، وإلى الرفاهيّة والتقدّم"[6].

لقد عملت الكنيسة دومًا على مساعدة المحتاجين، وقد روّج الكرسي الرسولي نفسه، خلال هذه السنوات، لمشاريع مختلفة لدعم الضعفاء، والتي تلقّت أيضًا الدعم من هيكليّات مختلفة على المستوى الدولي. وأودّ أن أذكر من بين هذه المبادرات، المبادرة الإنسانيّة في أوكرانيا لصالح السكّان، ولا سيما في المناطق الشرقيّة للبلاد، الذين يعانون من الصراع الذي ما زال قائمًا منذ قرابة الخمس سنوات والذي شهد بعض التطوّرات المقلقة في الآونة الأخيرة في البحر الأسود. لقد حاولنا -بمشاركة كنائس أوروبا الكاثوليكية والمؤمنين من أجزاء أخرى من العالم الذين لبّوا ندائي في مايو/أيار 2016، وبالتعاون مع طوائف مسيحيّة أخرى ومنظّمات دوليّة- أن نلبّي، بطريقة ملموسة، الاحتياجات الأوّليّة لسكّان المناطق المتضرّرة، الذين هم أوّل ضحايا الحرب. وستواصل الكنيسة ومؤسّساتها المختلفة هذه المهمّة، بهدف لفت المزيد من الأنظار إلى المسائل الإنسانيّة الأخرى أيضًا، ومنها ما يتعلّق بمصير السجناء، الذين ما زال عددهم كبيرًا. تسعى الكنيسة أيضًا، عبر عملها وقربها من السكّان، إلى تشجيع -بشكل مباشر وغير مباشر- المسارات السلميّة لحلّ الصراع، مسارات تحترم العدالة والشرعيّة، ومنها العدالة الدوليّة، التي هي أساس الأمن والتعايش في المنطقة بأسرها. ولذا فالأدوات التي تضمن حرّية ممارسة الحقوق الدينيّة هي مهمّة للغاية.

ومن جانبه، فالمجتمع الدولي مع منظّماته هو مدعوّ إلى إعطاء صوت لمن لا صوت له. ومن بين الذين لا صوت لهم في زمننا هذا، أودّ أن أذكر ضحايا الحروب الأخرى الجارية، وخاصّة في سوريا، مع العدد الهائل من الوفيّات التي تسبّبت بها. أناشد مرّة أخرى، المجتمع الدولي، كيما يروّج لحلّ سياسيّ لصراع لن يكون فيه في نهاية المطاف إلّا مهزومين. ومن الضروريّ، قبل كلّ شيء، أن يوضعُ حدٌّ لانتهاكات حقوق الإنسان، التي تسبّب معاناة لا توصف للسكّان المدنيّين، ولا سيّما للنساء والأطفال، وتوقع الضرر بالهيكليّات الأساسيّة مثل المستشفيات والمدارس ومخيّمات اللاجئين، وكذلك المباني الدينيّة.

لا يمكننا أن ننسى اللاجئين العديدين الذين سبّبهم الصراع، والضغط الذي أنشأه في البلدان المجاورة. أودّ أن أعرب مرّة أخرى، عن امتناني للأردن ولبنان اللذين استضافا بروح أخويّة، وبكثير من التضحية، مجموعات عديدة من الناس، معربين في الوقت نفسه، عن أملهم في أن يتمكّن اللاجئون من العودة إلى ديارهم، في ظروف حياتيّة وأمنيّة كافية. يذهب فكري أيضًا إلى البلدان الأوروبّية المختلفة التي قدّمت ضيافة سخيّة لأولئك الذين وجدوا أنفسهم في صعوبة وفي خطر.

من بين أولئك الذين تأثّروا بعدم الاستقرار الذي شمل الشرق الأوسط منذ سنوات، هناك المسيحيّون بشكل خاص، الذين يعيشون في تلك الأراضي منذ زمن الرسل والذين ساعدوا في بنائها وتكوينها على مرّ القرون. من المهمّ للغاية أن يكون للمسيحيّين مكان في مستقبل المنطقة، ولذلك أشجّع أولئك الذين لجؤوا إلى أماكن أخرى على القيام بكلّ ما هو ممكن للعودة إلى ديارهم وفي أيّ حال، على المحافظة على علاقاتهم مع مجتمعاتهم الأصليّة وعلى تعزيزها، وأرجو في الوقت عينه ألّا تفشل السلطات السياسيّة في ضمان حمايتهم الضرورية وجميع المتطلّبات الأخرى، التي تسمح لهم بالعيش في البلدان التي يتمتّعون فيها بمواطنيّة كاملة وبالمساهمة في بنائها.

لقد كانت سوريا، للأسف، خلال هذه السنوات، وجميع أنحاء الشرق الأوسط بشكل عام، مسرحًا لصدام متعدّد المصالح المتعارضة. بالإضافة إلى المصالح البارزة، ذات الطابع السياسي والعسكري، لا يجب أن نهمل محاولة خلق العداء بين المسلمين والمسيحيّين. فعلى الرغم من أنه " كانت قد نشأت، على مرّ القرون، منازعات وعداوات كثيرة بين المسيحيّين والمسلمين"[7]، فقد تمكّنوا في مناطق مختلفة من الشرق الأوسط أن يتعايشوا بسلام لفترة طويلة. سوف تتاح لي الفرصة للذهاب قريبًا إلى بلدين ذات أغلبيّة مسلمة، المغرب والإمارات العربيّة المتّحدة. وهما فرصتان هامّتان لمواصلة تطوير الحوار بين الأديان والمعرفة المتبادلة بين المؤمنين من كلا الديانتين، في الذكرى المئويّة الثامنة للقاء التاريخيّ بين القدّيس فرنسيس الأسّيزي والسلطان الملك الكامل.

هناك أيضًا، من بين ضعفاء زمننا الذين على المجتمع الدولي أن يدافع عنهم، إلى جانب اللاجئين، المهجّرين. أودّ مرّة أخرى، أن أسترعي انتباه الحكومات إلى مساعدة أولئك الذين هاجروا بسبب ويلات الفقر، وجميع أنواع العنف والاضطهاد، فضلاً عن الكوارث الطبيعيّة والاضطرابات المناخيّة، كيما يتمّ تسهيل التدابير التي تسمح باندماجهم الاجتماعي في البلدان المضيفة. ومن الضروري عندئذ التأكّد من عدم اضطّرار الناس على ترك عائلاتهم ووطنهم، أو ومن إمكانيّة عودتهم إليها بأمان واحترام كامل لكرامتهم وحقوقهم الإنسانيّة. فكلّ إنسان يتوق إلى حياة أفضل وأكثر سعادة ولا نستطيع أن نحلّ تحدّي الهجرة بمنطق العنف والاستبعاد، أو بالحلول الجزئيّة.

لا يسعني إلّا أن أعرب عن امتناني لجهود العديد من الحكومات والمؤسّسات التي تتعاون بأخوّة لصالح المهاجرين، تحرّكها روح سخيّة من التضامن والمحبّة المسيحيّة. وأودّ أن أذكر كولومبيا، التي استضافت في الأشهر الأخيرة، مع بلدان أخرى من القارة، عددًا كبيرًا من الناس الآتين من فنزويلا. وأدرك في الوقت نفسه، أن موجات الهجرة في هذه السنوات قد تسبّبت في انعدام الثقة والقلق بين سكّان العديد من البلدان، وخاصّة في أوروبا وأمريكا الشماليّة، وقد أدّى هذا إلى قيام حكومات عدّة بالحدّ من التدفّقات الواردة بقوّة، حتى لو كانت بهدف الترانزيت. ومع ذلك، أعتقد أنه من غير الممكن إعطاء حلول جزئيّة لهذه المسألة العالميّة. وقد أظهرت حالات الطوارئ الأخيرة أن هناك حاجة إلى إجابة مشتركة، تنسّقها جميع البلدان، دون أيّ استثناءات ومع احترام كلّ طلب مشروع، سواء من قِبَلِ الدول أو من قِبَلِ المهاجرين أو اللاجئين.

وفي هذا المنظور، لقد عمل الكرسي الرسولي بنشاط في المفاوضات، ومن أجل اعتماد الميثاقين العالميين بشأن اللاجئين وبشأن الهجرة الآمنة والمنظمة والنظامية. ويمثّل ميثاق الهجرة، على وجه الخصوص، خطوة هامّة إلى الأمام بالنسبة للمجتمع الدولي الذي، ولأوّل مرّة في الأمم المتّحدة، يواجه المسألة على مستوى متعدّد الأطراف، في وثيقة مهمّة. وعلى الرغم من أن هذه الوثائق غير إلزامية قانونيّا ومن غياب العديد من الحكومات في مؤتمر الأمم المتّحدة الأخير في مراكش، فسوف يشكّل هذان الميثاقان نقطة مرجعيّة مهمّة للالتزام السياسيّ وللعمل الملموس الذي تقوم به المنظّمات الدوليّة والمشرّعون والسياسيّون، كما ولأولئك الذين يلتزمون بإدارةٍ أكثر تنسيقاً، وأكثر مسؤوليّة، وأكثر أمناً، للحالات المتعلّقة باللاجئين والمهاجرين بطرق مختلفة. إن الكرسي الرسولي يقدّر مقصد كلا الميثاقين وطابعهما الذي يجعل من السهل وضعهما موضع التنفيذ، بالرغم من أنه قد عبّر عن بعض التحفّظات على تلك الوثائق المشار إليها في ميثاق الهجرة، والتي تحتوي على مصطلحات ومبادئ توجيهيّة لا تتوافق مع مبادئه حول الحياة وحقوق الناس.

من بين الضعفاء الآخرين، "نشعر بأننا نتبنّى -تابع بولس السادس- صوت [...] شبيبة الأجيال الحاضرة، الذين يحلمون، وعن حقّ، بإنسانيّة أفضل"[8]. لقد خُصّصَت الجمعيّة العامّة العاديّة الخامسة عشرة لسينودس الأساقفة للشبيبة الذين غالباً ما يشعرون بالضياع وبالحرمان من ضمانات للمستقبل. سيكونون هم أيضًا محور الزيارة الرسوليّة التي سأقوم بها في بناما بعد أيّام قليلة بمناسبة اليوم العالمي للشبيبة الرابع والثلاثين. الشبيبة هم المستقبل، ومهمّة السياسة هي فتح طرق المستقبل. ولهذا السبب من الضروري للغاية الاستثمار في مبادرات تسمح للأجيال المستقبليّة ببناء المستقبل، عبر إتاحة الفرص لهم بإيجاد عمل، وتأسيس أسرة، وتربية الأبناء.

الأطفال أيضًا، إلى جانب الشبيبة، يستحقّون إشارةً خاصّة، لا سيّما في هذا العام الذي يصادف الذكرى السنويّة الثلاثين لاعتماد اتفاقية حقوق الطفل. وهي فرصة مواتية للتفكير الجادّ في الخطوات المتّخذة للسهر على خير أطفالنا وتطوّرهم الاجتماعيّ والفكريّ، فضلاً عن نموّهم الجسديّ والنفسيّ والروحيّ. ولا يمكنني في هذا الظرف، أن أسكت عن إحدى آفات عصرنا، والتي لسوء الحظّ قد شهدت أيضًا مشاركة العديد من رجال الدين. الاعتداءات الجنسيّة ضدّ القاصرين هي واحدة من أسوأ وأخطر الجرائم الممكنة. فهم يسلبون أفضل ما تحتفظ به الحياة البشريّة للأبرياء، مما يتسبّب بضرر لا يمكن إصلاحه لبقيّة حياتهم. إن الكرسي الرسولي يعمل والكنيسة بأسرها، على محاربة مثل هذه الجرائم ومنع إخفائها، للتأكّد من حقيقة الوقائع التي يشارك فيها بعض رجال الدين، ولإنصاف الأطفال الذين عانوا من العنف الجنسي، الذي تفاقم بسبب سوء استخدام السلطة، وانتهاك الضمير. واللقاء الذي سأعقده مع أساقفة العالم بأسره في شهر فبراير/شباط المقبل يعتزم أن يكون خطوة أخرى في مسيرة الكنيسة لإلقاء الضوء على الحقائق وتسكين الجراح التي تسبّبها هذه الجرائم.

يؤلمنا أن نرى أنه في مجتمعنا، الذي غالباً ما يتميّز بسياقات عائليّة هشّة، ينشأ سلوك عنيف أيضًا تجاه النساء، اللواتي كانت كرامتهنّ في محور الرسالة الرسوليّة كرامة المرأة (Mulieris dignitatem)، التي نُشرت قبل ثلاثين عاماً من قِبَلِ الحبر الأعظم يوحنا بولس الثاني. هناك حاجة ملحّة، إزاء آفة الاعتداءات الجسديّة والنفسيّة ضدّ النساء، لإعادة اكتشاف أشكال سليمة ومتوازنة من العلاقات، القائمة على الاحترام والاعتراف المتبادلين، حيث يمكن للجميع التعبير عن هويّتهم بطريقة أصيلة، فيما أن تعزيز بعض أشكال عدم التباين من شأنها تشويه كيان الرجل أو المرأة ذاته.

ويدفعنا الانتباه إلى الأضعف للتفكير في آفة عصريّة أخرى، أي ظروف العمّال. فالعمل، إذا لم يتوفّر له حماية كافية، يتوقّف عن كونه الوسيلة التي يحقّق الإنسان بها ذاته، ويصبح شكلاً حديثًا من أشكال العبوديّة. لقد نشأت، قبل مائة عام، منظّمة العمل الدولية، والتي عملت على إيجاد الظروف المناسبة للعمل وعلى تعزيز كرامة العمّال أنفسهم. إزاء تحدّيات عصرنا، وقبل كلّ شيء التطوّر التكنولوجي المتنامي الذي ينقص من فرص العمل، وضياع الضمانات الاقتصاديّة والاجتماعيّة للعمّال، أعرب عن رجائي في أن تستمرّ منظّمة العمل الدوليّة، وأبعد من المصالح الجزئيّة، في كونها مثالًا للحوار والتوافق لتحقيق أهدافها العاليّة. وهي مدعوّة في هذه المهمّة، مع هيئات أخرى من المجتمع الدولي، إلى مواجهة آفة عمل الأطفال والأشكال الجديدة من العبوديّة، فضلًا عن الانخفاض التدريجيّ في قيمة الأجور، لا سيّما في البلدان المتقدّمة، والتمييز المستمرّ ضدّ المرأة في مجال العمل.

أن نكون جسرًا بين الشعوب وبناة للسلام

لقد أشار القدّيس بولس السادس بوضوح، في مداخلته أمام الأمم المتّحدة، إلى الهدف الرئيسيّ لتلك المنظّمة الدوليّة. "أنتم -قال- موجودون وتعملون من أجل توحيد الأمم، من أجل إنشاء تواصل بين الدول. [...] من أجل وضعها مع بعضها البعض. [...] أنتم جسر بين الشعوب. [...] يكفي التذكير أن دمّ الملايين من الرجال، وعدد لا يحصى من المعاناة التي لا توصف، والمذابح التي هي دون فائدة، والخراب المخيف، تُرَسِّخ الاتّفاق الذي يوحّدكم، مع حلف يجب أن يغيّر التاريخ المستقبليّ للعالم: لا حرب بعد الآن، لا حرب بعد الآن! السلام، يجب أن يقود السلامُ مصيرَ الشعوب والبشريّة جمعاء! [...] وأنتم تعلمون أن السلام لا يُبنى فقط بالسياسة وبتوازن القوى والمصالح، إنّما بالروح، والأفكار، بأعمال السلام"[9].

وقد كانت هناك خلال العام الماضي، بعض المؤشّرات الهامّة للسلام، بدءًا من الاتّفاق التاريخي بين إثيوبيا وإريتريا، والذي يضع حدًّا لعقدين من الصراع ويعيد العلاقات الدبلوماسيّة بين البلدين. ويشكّل الاتّفاق الذي وقّعه قادة جنوب السودان، والذي يسمح باستئناف التعايش المدنيّ وتفعيل عمل المؤسّسات الوطنية، بارقةَ أمل للقارة الأفريقية، حيث لا تزال هناك توتّراتٌ خطيرة وفقرٌ واسع الانتشار. أتابع باهتمام خاص تطوّر الوضع في جمهوريّة الكونغو الديمقراطيّة، وأعرب عن أملي في أن يستعيد البلدُ المصالحة التي طال انتظارها ويجري مسيرة حازمة صوب التنمية ووضع حدّ لحالة مستمرّة من انعدام الأمن الذي يؤثّر على الملايين من الناس، بما في ذلك العديد من الأطفال. تحقيقًا لهذه الغاية، يشكّل احترامُ نتائج الانتخابات عاملاً حاسمًا للسلام المستدام. أودّ كذلك أن أعرب عن قربي من أولئك الذين يعانون بسبب العنف الأصولي، وخاصة في مالي والنيجر ونيجيريا، أو بسبب استمرار التوتّرات في الكاميرون التي غالبًا ما تزرع الموت حتى بين السكّان المدنيّين.

وينبغي أيضًا الملاحظة بشكل عام، أن أفريقيا، وبالرغم من الأحداث المأساويّة العديدة، تظهر ديناميكيّة إيجابية، متجذّرة في ثقافتها القديمة وضيافتها التقليديّة. ويشكّل فتح الحدود في بلدان مختلفة من أجل استقبال سخيّ للاجئين والمشرّدين مثلًا لتضامنٍ ملموس بين الدول. ومن الجدير بالثناء أن التعايش السلمي بين المؤمنين من أديان مختلفة ينمو في العديد من الدول، ويتمّ دعم مبادرات تضامنيّة مشتركة. وعلاوة على ذلك، فإن تنفيذ السياسات الشاملة والتقدّم المحرز في العمليّات الديمقراطيّة يحقّق نتائج فعّالة في العديد من المناطق لمكافحة الفقر المطلق وتعزيز العدالة الاجتماعيّة. يصبح دعمُ المجتمع الدولي بالتالي أكثر إلحاحًا لإعانة تطوير البنى التحتيّة، وبناء مشاريع مستقبليّة للأجيال الشابّة، وتحرير أضعف القطاعات.

لقد وصلتنا إشارات إيجابيّة من شبه الجزيرة الكوريّة. ويتطلّع الكرسي الرسولي بصورة إيجابيّة إلى الحوارات ويأمل أن تتمّ معالجة، حتى أكثر القضايا تعقيدًا، بموقفٍ بنّاء، وتؤدّي إلى حلول مشتركة ودائمة، لضمان مستقبل من التعاون والتنمية للشعب الكوري بأسره ولجميع المنطقة.

أعبّر عن رجاء مماثل لفنزويلا الحبيبة، من أجل إيجاد طرق مؤسّسية وسلمية لحلّ الأزمة السياسيّة والاجتماعيّة والاقتصاديّة، طرق تسمح في المقام الأوّل بمساعدة أولئك الذين يعاون من توتّرات السنوات الأخيرة، وتقدّم لشعب فنزويلا بأسره أفق رجاء وسلام.

كما يأمل الكرسي الرسولي أن يستأنف الحوار بين الإسرائيليين والفلسطينيين، حتى يتمكّنوا في النهاية من التوصّل إلى اتّفاق والاستجابة للتطلّعات المشروعة لكلا الشعبين، بما يضمن تعايش دولتين وتحقيق سلام طال انتظاره والشوق إليه. إن الجهد المتضافر للمجتمع الدولي هو ثمين للغاية وضروريّ لتحقيق هذا الهدف، وكذلك لتعزيز السلام في المنطقة بأسرها، لا سيّما في اليمن والعراق، والسماح في الوقت نفسه بوصول المساعدات الإنسانيّة الضروريّة للشعوب المحتاجة.

إعادة التفكير في مصيرنا المشترك

أودّ أن أذكّر أخيرًا، بميزة رابعة للدبلوماسيّة المتعدّدة الأطراف: هي تدعونا إلى إعادة التفكير في مصيرنا المشترك. وقد قاله بولس السادس بهذه الكلمات: "يجب أن نعتاد على التفكير في تعايش الإنسانيّة [...] بطريقة جديدة، وفي مسارات التاريخ ومصائر العالم بطريقة جديدة. [...] أتت الساعة التي [...] نعيد التفكير فيها، أي في أصلنا المشترك، وتاريخنا، ومصيرنا المشترك. لم يكن يومًا من الضروري مناشدة الضمير الأخلاقيّ للإنسان، كما هو ضروريّ اليوم، في عصرٍ يشهد هذا القدر من التقدّم البشريّ! الخطر لا يأتي من التقدّم ولا من العلم. [...] الخطر الحقيقيّ يكمن في الإنسان، السيّد على أدوات قويّة أكثر من أيّ وقت مضى، قادرة على الخراب وعلى أعلى الانجازات!"[10].

كان يشير البابا، في سياق ذلك الزمن، بشكل أساسيّ، إلى انتشار الأسلحة النوويّة. وقال: "إن الأسلحة، خاصّة الأسلحة الرهيبة التي قدّمها لنا العلم الحديث، حتى قبل أن تولّد الضحايا والخراب، تولّد رؤى سيّئة، وتغذّي مشاعر سيّئة، وتخلق الكوابيس وعدم الثقة ومقاصد محزنة، وتتطلّب نفقات هائلة، وتوقف مشاريع التضامن وأعمال مفيدة وتشوّه نفسيّة الشعوب»[11].

ويؤلمنا أن نرى، لسوء الحظ، أن تجارة الأسلحة ليست الوحيدة التي لا تتوقّف، بل ان هناك ميل متزايد إلى التسلّح، سواء من قِبَلِ الأفراد أو من قِبَلِ الدول. وما يثير القلق بشكل خاص هو أن نزع السلاح النووي، المرغوب فيه على نطاق واسع والذي تمّ السعي إليه جزئيّا في العقود الماضية، يفسح المجال الآن لأسلحة جديدة وأكثر تطوّرا وتدميرًا. أعتزم هنا أن أكرّر التأكيد على أنه "لا يمكننا إلّا أن نشعر بإحساس قويّ بالقلق إذا أخذنا في الاعتبار العواقب الإنسانيّة والبيئيّة الكارثيّة الناجمة عن أيّ استخدام للأجهزة النوويّة. لذلك، وبالنظر إلى خطر وقوع انفجار عرضيّ لهذه الأسلحة لخطأ من أيّ نوع، إننا ندين بشدّة خطر استعمالها –وأودّ أن أقول: استعمالها غير الأخلاقي-، فضلًا عن فعل امتلاكها، لأن وجودها يرتبط بمنطق خوف لا يتعلّق فقط بالأطراف المتنازعة بل بالجنس البشريّ بأكمله. ولا يمكن للعلاقات الدوليّة أن تسودها القوّة العسكرية، والترهيب المتبادل، والتفاخر بترسانات الحرب. فأسلحة الدمار الشامل، والأسلحة النوويّة بشكل خاص، لا تولد إلّا شعورًا زائفًا بالأمان، ولا يمكن أن تشكّل أساسًا للتعايش السلميّ بين أعضاء الأسرة البشرية، التي يجب أن تستلهم بالأحرى من أخلاقيّات التضامن"[12].

إن إعادة التفكير في مصيرنا المشترك في السياق الحالي يعني أيضًا إعادة التفكير في علاقتنا مع كوكبنا. هذا العام أيضًا، صعوباتٌ لا توصف ومعاناة ناجمة عن فيضانات وسيول وحرائق وزلازل وجفاف، قد ضربت بشدّة سكّان مختلف مناطق القارّة الأمريكيّة وجنوب شرق آسيا. فالقضايا البيئية وتغيّر المناخ هي من بين القضايا التي يجب إيجاد اتّفاق بشأنها داخل المجتمع الدولي وبشكل ملحّ. وفي هذا الصدد، لا سيّما في ضوء التوافق الذي تمّ التوصّل إليه مؤخّرا في مؤتمر المناخ الدولي (COP-24) الذي عقد في كاتوفيتشي، آمل أن تلتزم الدول بشكل حازم بتعزيز التعاون في التصدّي، على وجه السرعة، لظاهرةَ الاحتباس الحراريّ المقلقة. إن الأرض ملك للجميع، وتقع عواقب استغلالها على سكّان العالم بأسره، مع تأثيرات أكثر مأساويّة في بعض المناطق. ومن بين هذه المناطق هناك الأمازون، والتي سوف تكون محور الجمعيّة الخاصّة المقبلة لسينودس الأساقفة في الفاتيكان المتوقّع في أكتوبر/تشرين الأوّل، الذي، إذ يعمل في المقام الأوّل على مسارات تبشير شعب الله، لن يتوانى عن مواجهة المشاكل البيئيّة التي ترتبط ارتباطًا وثيقًا بالعواقب الاجتماعيّة.

أصحاب السعادة، سيّداتي وسادتي،

لقد سقط جدار برلين في 9 نوفمبر/تشرين الثاني 1989. وبعد بضعة أشهر من ذلك وضعوا حدًّا لآخر إرث للحرب العالميّة الثانية: انقسام أوروبّا المؤلم التي قرّرته يالطا والحرب الباردة. فاستعادت البلدان الواقعة في شرق الستار الحديدي حرّيتها بعد عقود من الاضطهاد، وبدأ الكثيرون منهم في السير على الطريق الطويل الذي بلغ بهم إلى الانضمام للاتّحاد الأوروبّي. في السياق الحالي، حيث تسود قوى نابذة جديدة وميل لبناء ستائر جديدة، لا يجب أن يضيع الوعي في أوروبا إلى الاستحقاقات -أوّلًا وقبل كلّ شيء، السلام- التي ولّدتها مسيرة الصداقة والتقارب بين الشعوب التي تمّت بعد الحرب العالميّة الثانية.

أودّ أن أشير إلى ذكرى سنويّة أخيرة اليوم. نشأت دولة حاضرة الفاتيكان في 11 فبراير، منذ تسعين عامًا، بعد توقيع معاهدة اللاتيران بين الكرسي الرسولي وإيطاليا. وهكذا أنهت فترة "المسألة الرومانية" الطويلة التي نتجت عن الاستيلاء على روما ونهاية الدولة البابويّة. مع معاهدة اللاتيران، وُضِع تحت تصرّف الكرسي الرسولي "الكثير من الأراضي المادّية التي لا غنى عنها لممارسة سلطة روحيّة أوكلت إلى أشخاص من أجل مصلحة البشر"[13]، كما أكّد بيوس الحادي عشر، واستطاعت الكنيسة مرّة أخرى، بفضل الاتّفاق، أن تساهم بشكل كامل في النموّ الروحي والمادّي لروما وكلّ إيطاليا، وهي أرض غنيّة بالتاريخ والفنّ والثقافة، والتي ساهمت المسيحيّةُ في تشكيلها. في هذه المناسبة، أؤكّد للشعب الإيطالي صلاة خاصّة كيما، بأمانة لتقاليدها، تُبقي حيّة روحَ التضامن الأخويّ الذي طالما ميّزها.

إلى جميعكم، أيّها السفراء الأعزّاء والضيوف الموقّرون هنا، وإلى بلدانكم، أعرب عن أمنياتي القلبيّة بأن يسمح العام الجديد لنا بتعزيز أواصر الصداقة التي تربط بيننا، وبالعمل على بناء السلام الذي يطمح إليه العالم.

شكرًا!

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[1] را. رسالة إلى كاثوليك الصين والكنيسة الجامعة، 26 سبتمبر/أيلول 2018، عدد 3.

[2] را. الإرشاد الرسولي فرح الإنجيل، 24 نوفمبر/تشرين الثاني 2013، 234.

[3] بولس السادس، كلمة البابا للأمم المتحدة، نيو يورك، 4 أكتوبر/تشرين الأول 1965، 2.

[4] خلاصة العقيدة الاجتماعية للكنيسة، عدد 165.

[5] الإرشاد الرسولي فرح الإنجيل، 24 نوفمبر/تشرين الثاني 2013، 228.

[6] بولس السادس، كلمة البابا للأمم المتحدة، نيو يورك، 4 أكتوبر/تشرين الأول 1965، 1.  

[7] المجمع الفاتيكاني الثاني، البيان في عصرنا، حول علاقة الكنيسة بالديانات غير المسيحية، 28 أكتوبر/تشرين الأول 1965، 3.

[8] بولس السادس، كلمة البابا للأمم المتحدة، نيو يورك، 4 أكتوبر/تشرين الأول 1965، 1.

[9] نفس المرجع، 3؛ 5.

[10] نفس المرجع، 7.

[11] نفس المرجع، 5.

[12] كلمة البابا إلى المشاركين في الندوة الدولية المعنية بنزع السلاح والتي تروج لها دائرة التنمية البشرية المتكاملة، 10 نوفمبر/تشرين الثاني 2017.

[13] بيوس الحادي عشر، كلمة "ترحيبنا الحار" إلى كهنة الرعايا في روما وإلى وعّاظ فترة الصوم، بمناسبة التوقيع على المعاهدة والاتفاق في قصر اللاتيران، 11 فبراير/شباط 1929.

[00023-AR.02] [Testo originale: Italiano]

[B0012-XX.02]