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Visita del Cardinale Segretario di Stato all’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma, 22.12.2018


Omelia del Segretario di Stato

Saluto ai dipendenti

Pubblichiamo di seguito i testi dell’Omelia e del Saluto ai dipendenti che il Segretario di Stato, l’Em.mo Card. Pietro Parolin, ha pronunciato ieri nel corso della visita all’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma per gli auguri natalizi:

Omelia del Segretario di Stato

Cari fratelli e sorelle,

Faccio mio il sentimento di viva esultanza presente nella liturgia odierna e che abbiamo condiviso nella preghiera del salmo responsoriale, ripetendo più volte: “Esultate, o giusti, nel Signore; cantate a lui un canto nuovo”, per esprimervi la gioia di essere oggi qui con voi a celebrare questa Eucaristia in un momento tanto particolare dell’anno, qual è la prossimità della grande festa del Natale del Signore Gesù.

Prima di tutto voglio salutare i piccoli e i giovani pazienti che sono qui presenti e tutti quelli che per le loro condizioni di salute non possono esserlo, augurando loro di poter tornare quanto prima alle loro case pienamente ristabiliti. Saluto cordialmente anche tutti i loro familiari che li accompagnano trepidanti nella speranza di un esito positivo delle terapie in corso e intanto li sostengono con le loro attenzioni e il loro affetto.

Un saluto riconoscente va a tutto il personale medico, infermieristico e alle varie figure professionali sanitarie che insieme collaborano per offrire ogni giorno con impegno, competenza e umanità la miglior assistenza possibile a coloro che sono affidati alle loro cure. Saluto poi le Religiose, che lavorano fianco a fianco al personale sanitario, i volontari che generosamente si dedicano a rendere più familiare l’ambiente ospedaliero, e i Cappellani che con la loro carità pastorale contribuiscono a fare di questo luogo una evangelica ‘comunità sanante’, con al centro il Signore Gesù, medico dei corpi e delle anime, presente anche oggi in mezzo a noi per beneficare tutti coloro che si trovano in qualsiasi genere di necessità.

Infine, insieme a tutti coloro che sono qui convenuti per l’occasione, saluto tutto il personale amministrativo, il Consiglio di Amministrazione e la Sig.ra Presidente, la Dott.ssa Mariella Enoc, che ringrazio, oltre che per l’invito a presiedere questa Eucaristia, per l’impegno a gestire l’Ospedale del Papa coniugando le finalità apostoliche e umanitarie con la complessità sanitaria e organizzativa di una moderna istituzione ospedaliera, qual è oggi il Bambino Gesù.

La gioia che riecheggia nella liturgia, a cui ho fatto cenno poco fa, ci ricorda che siamo ormai al termine dell’Avvento, tempo nel quale la Chiesa si prepara a celebrare il grande evento dell’Incarnazione, uno dei misteri principali della fede cristiana.

L’incontro tra Maria ed Elisabetta, tradizionalmente noto come “la visitazione” – che abbiamo appena ascoltato nel Vangelo – ci permette di entrare con umiltà e semplicità in questo mistero, per esserne profondamente coinvolti. Nella narrazione di San Luca questo episodio è il punto d’incontro della storia di San Giovanni Battista con quella di Gesù. Il primo è il “precursore” che prepara il popolo alla venuta del Messia; il secondo è l’Inviato di Dio, colui che “è più forte” del profeta stesso, che battezzerà “in Spirito Santo e fuoco”, il Salvatore dell’umanità.

Dopo l’annuncio ricevuto dall’Arcangelo Gabriele, Maria ha “fretta” di incontrare Elisabetta, pur mancando ancora tre mesi alla nascita del Battista. La premura della Santa Vergine non è quindi dovuta a ragioni contingenti, ma ci svela quello che ella sta vivendo in quel particolare momento. Nel suo animo infatti si sovrappongono e si intrecciano sentimenti diversi, come l’emozione del sacro timore per la straordinarietà dell’evento in cui è stata coinvolta, la gioia per il realizzarsi delle promesse messianiche e la fede con cui si è abbandonata alla volontà di Dio.

Nelle sue condizioni, Maria affronta questo lungo e disagevole viaggio dalla lontana Nazareth, in Galilea, fino ad Aim Karim, piccolo villaggio della Giudea, a sud di Gerusalemme, per constatare di persona il segno che l’Arcangelo Gabriele le aveva indicato: “Vedi: anche Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia, ha concepito un figlio e questo è il sesto mese per lei, che tutti dicevano sterile: nulla è impossibile a Dio” (Lc 1,36). La maternità di Elisabetta è la conferma che Dio sta operando in lei, la prova provata di essere la “piena di grazia” (Lc 1,28) e la “benedetta tra tutte le donne” (Lc 1,42) per diventare la Madre del Salvatore.

L’incontro si trasforma in una Pentecoste ante litteram. Il protagonista è infatti lo Spirito Santo, che in un circolo virtuoso attraverso il saluto di Maria viene partecipato prima al piccolo Giovanni, che “esulta di gioia” nel grembo materno, e poi ad Elisabetta che profetizza: “A che debbo che la madre del mio Signore venga a me?”. È lei infatti, che sotto l’azione dello Spirito, ci fa conoscere il vero e autentico significato di tutto quello che si sta silenziosamente realizzando dal momento dell’annunciazione in poi: Maria è la “benedetta fra le donne”, perché “il frutto del suo grembo” è il “mio Signore”. Dopo l’esultanza di Giovanni, che partecipa il suo carisma profetico di precursore alla madre, alla fine lo Spirito ritorna a Maria, che magnifica Dio come suo “Salvatore, perché ha guardato l'umiltà della sua serva”, e per quello che significherà questo sguardo rivolto alla sua umile serva per tutto il mondo, in ogni momento della storia.

Anche oggi Maria viene a noi per portarci il Salvatore. E lo stupore di Santa Elisabetta diventa il nostro stupore: “A che debbo che la madre del mio Signore venga a me?”. Allo stesso modo Maria ci accompagna fino alla grotta di Betlemme dove, con nostra meraviglia, ci metterà in braccio Gesù, il Figlio di Dio.

Ecco come e dove si conclude il nostro cammino di Avvento. Ecco cosa significa “prepararsi al Natale”: essere pronti ad accogliere il Salvatore tra le nostre braccia, conquistati a tanto amore dal cuore materno e immacolato di Maria. Lasciamoci prendere per mano dall’umile “serva del Signore”. Lei ci condurrà con certezza da Colui che è il nostro Salvatore.

Queste mie riflessioni non sono un cedimento al buonismo dilagante di questi giorni, né tanto meno una estemporanea promozione della sagra dei buoni sentimenti a cui preferiscono adeguarsi coloro che vogliono evitare il pericolo di essere costretti alla fede davanti al mistero che andiamo a celebrare.

Attraverso queste immagini piene di tenerezza e di stupore intendo focalizzare la mia e la vostra attenzione su quello che ritengo essere l’unico atteggiamento possibile con cui disporsi al Natale ormai alle porte, l’abbandono umile e fiducioso di Maria alla volontà di Dio.

Un atteggiamento esemplare e fondamentale per ogni cristiano, e quanto mai importante e necessario anche per tutti coloro che hanno scelto la professione della cura e dell’assistenza dei malati, onde evitare che il loro impegno si risolva in un mero esercizio tecnico, per sottrarsi alla scomodità delle responsabilità etiche, spirituali e più in generale di senso umano del loro agire.

Lo dico soprattutto per voi operatori di questo Ospedale nel quale, insieme all’eccellenza scientifica e tecnica con cui ogni giorno vi prodigate a favore dei piccoli pazienti, di cui vi dò atto con grande riconoscenza, al di là delle convinzioni personali, dovete tenere presente che il vostro operare è una espressione non secondaria della misericordia e della carità del Santo Padre, e quindi del suo stesso ministero apostolico.

Per questo vi auguro di lasciarvi contagiare dalla gioia del Natale, non tanto come evasione momentanea dal peso e dal grigiore della quotidianità, ma come ci ricorda San Paolo VI nella esortazione apostolica Gaudete in Domino, come segno della nostra progressiva trasfigurazione ad immagine e somiglianza del “nuovo Adamo” (cfr. 1Cor 15,45) di cui ci apprestiamo a celebrare la nascita.

Dice infatti il Santo Pontefice in quel documento: “La gioia di Dio bussa alla porta delle sofferenze fisiche e morali (dei malati), non certamente per deriderli, ma per compiervi la sua paradossale opera di trasfigurazione” (§ V). Sia così anche per tutti voi.

Ai piccoli e giovani pazienti e ai loro familiari porto gli auguri del Santo Padre Francesco, così come li ha espressi nell’udienza generale di mercoledì scorso: “Cari fratelli e sorelle, vi auguro buon Natale, un Natale ricco delle sorprese di Gesù! (A volte) Potranno sembrare sorprese scomode, ma sono i gusti di Dio. Se li sposeremo, faremo a noi stessi una splendida sorpresa. Ognuno di noi ha nascosta nel cuore la capacità di sorprendersi. Lasciamoci sorprendere da Gesù in questo Natale” … perché le sorprese di Gesù sono comunque sempre piene del suo amore e di quella speranza che non delude (cfr Rom 5,5).

Così sia.

[02103-IT.01] [Testo originale: Italiano]

Saluto ai dipendenti

Rinnovo a tutti voi qui presenti e a tutta la comunità dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù i saluti che ho già espressi durante la S. Messa appena celebrata.

Sono qui, come tutti gli anni, per farci gli auguri: auguri fervidi e cordiali di Buon Natale e di sereno Anno nuovo. Il Signore Gesù che nasce per noi a Betlemme vi colmi di gioia e di pace, consoli chi soffre nel cuore qualche pena e realizzi i desideri di bene che portate in voi! Estendo l’augurio alle vostre famiglie e a tutte le persone che vi sono care.

Il nostro Ospedale è dedicato al Bambino Gesù: fu una splendida intuizione dei fondatori, incoraggiata fin dalle origini dalla benedizione di Papa Pio IX. Possiamo quindi dire che qui tutti i giorni è un po’ Natale.

Celebrare il Bambino Gesù nel giorno della sua nascita ci ricorda una doppia chiamata a cui rispondere.

Innanzitutto c’è la chiamata alla nostra missione principale, che è quella di prestare servizio ai piccoli ammalati, specialmente i più fragili. Siamo consapevoli che curare chiede un costante impegno nella ricerca e un investimento continuo per rispondere a livelli di eccellenza. La nostra sfida è offrire a tutti un trattamento adeguato, anche alle persone inguaribili, perché tutti hanno diritto a una vita dignitosa seppur breve.

Penso, in questo contesto, agli investimenti strutturali che vedono e vedranno crescere l'Ospedale in modo da offrire percorsi terapeutici più completi: i lavori per il potenziamento di Sant'Onofrio e di Palidoro, la realizzazione di Villa Luisa e del centro di Villa Pamphili, la sede di Palazzo Alicorni. Le diverse strutture indicano la ricchezza di una comunità che è attenta a crescere, considerando tutto il suo sistema e non una sola dimensione.

Attraverso i piccoli pazienti noi ci mettiamo al servizio del Bambino Gesù, il Figlio di Dio che si è tanto fidato di noi da mettersi nelle nostre mani: nelle mani di Maria, nelle mani di Giuseppe, nelle mani di tutti noi.

Io vorrei tanto che la nostra opera in questo Ospedale, proprio perché è l’Ospedale del Papa, non perdesse mai di vista, anzi desse il primo posto, a queste che chiamerei “motivazioni soprannaturali”. Ciò non significa sopprimere le “motivazioni umane”, quali ad esempio il lavoro, lo stipendio, la realizzazione delle proprie aspirazioni professionali, ecc. Queste fanno parte della nostra umanità. Non si tratta quindi di negarle, ma di viverle in un certo modo, con un certo stile, in una dimensione di servizio, di disinteresse e di dono di sé che è il cuore del Vangelo. Vorrei che ciascuno di noi, da quanti dirigono questa istituzione a quanti svolgono le più umili mansioni – anche se agli occhi di Dio non ci sono incarichi più importanti o meno importanti, perché tutto dipende dalla retta intenzione, dall’onestà e dall’amore con cui si fanno le cose – ci chiedessimo sempre, prima di prendere qualsiasi decisione o compiere qualsiasi azione, se stiamo veramente sforzandoci di mettere in pratica il Vangelo.

E qui si innesta la seconda chiamata. Il Vangelo ci dice che il Figlio di Dio è venuto ad abitare con tutti gli uomini, perché tutti sono oggetto del suo amore infinito, ma in modo particolare con gli “ultimi” della terra. Essi sono rappresentati dai pastori, che sono stati i primi ad accogliere l’annunzio dell’Angelo e si sono mossi per incontrare il Bambino di Betlemme. Non possiamo dimenticare questa importante indicazione del Natale, che ci richiama al compito di “andare verso gli ultimi”. Sono lieto, pertanto, che l'Ospedale si sforzi di aprirsi verso le periferie, in sintonia con l'invito di Papa Francesco ad essere Ospedale dei figli del mondo.

Con questo Natale ci avviciniamo a una tappa importante del vostro percorso: i 150 anni di fondazione dell’Ospedale pediatrico più antico d’Italia. È un passaggio particolarmente significativo, che deve aiutarci a fare grata memoria del passato, a vivere con intensità il presente e a entrare con coraggio e speranza nel futuro. La memoria, infatti, è il bagaglio che serve alle persone, per andare oltre loro stesse verso orizzonti nuovi. La memoria, coniugata con il discernimento, dona la consapevolezza che esistono sì sfide, ostacoli, difficoltà e perfino drammi, che tante volte sembrano superiori alle nostre umili forze, ma che se il Signore è con noi avremo nulla da temere. E il Signore è con noi, è l’Emmanuele. Con il profeta Isaia ripetiamo: “Consólati, consólati, popolo mio: presto verrà il tuo Salvatore. Perché ti consumi nella tristezza? Perché ti riassale il dolore? Ti salveró, non temere: Io sono il Signore tuo Dio, il Santo di Israele, il tuo Redentore!”.

Con queste parole rinnovo gli auguri di Buon Natale e di sereno Anno nuovo e ci diamo appuntamento il 19 marzo prossimo per celebrare insieme il 150mo compleanno dell’Ospedale.

Grazie.

[02102-IT.01] [Testo originale: Italiano]

[B0964-XX.01]