Sala Stampa

www.vatican.va

Sala Stampa Back Top Print Pdf
Sala Stampa


Udienza del Santo Padre alla Curia Romana in occasione della presentazione degli auguri natalizi, 21.12.2018


Discorso del Santo Padre

Traduzione in lingua francese

Traduzione in lingua inglese

Traduzione in lingua tedesca

Traduzione in lingua spagnola

Traduzione in lingua portoghese

Traduzione in lingua polacca

Alle ore 10.25 di questa mattina, nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Francesco ha ricevuto in Udienza i Cardinali e i Superiori della Curia Romana per la presentazione degli auguri natalizi.

Nel corso dell’incontro, il Papa ha rivolto alla Curia Romana il discorso che riportiamo di seguito:

Discorso del Santo Padre

«La notte è avanzata, il giorno è vicino. Gettiamo via perciò le opere delle tenebre e indossiamo le armi della luce» (Rm 13,12).

Cari fratelli e sorelle,

avvolti dalla gioia e dalla speranza che si irradiano dal volto del Bambino divino, ci incontriamo anche quest’anno per lo scambio degli auguri natalizi, portando nel cuore tutte le fatiche e le gioie del mondo e della Chiesa.

Auguro di vero cuore un Santo Natale a voi, ai vostri collaboratori, a tutte le persone che prestano servizio nella Curia, ai Rappresentanti Pontifici e ai collaboratori delle Nunziature. E desidero ringraziare voi per la vostra dedizione quotidiana al servizio della Santa Sede, della Chiesa e del Successore di Pietro. Tante grazie!

Permettetemi anche di dare un caloroso benvenuto al nuovo Sostituto della Segreteria di Stato, Sua Eccellenza Mons. Edgar Peña Parra, che ha iniziato il suo servizio, delicato e importante, il 15 ottobre scorso. La sua provenienza venezuelana rispecchia la cattolicità della Chiesa e la necessità di aprire sempre più gli orizzonti fino ai confini della terra. Benvenuto, cara Eccellenza, e buon lavoro!

Il Natale è la festa che ci riempie di gioia e ci dona la certezza che nessun peccato sarà mai più grande della misericordia di Dio, e nessun atto umano potrà mai impedire all’alba della luce divina di nascere e di rinascere nei cuori degli uomini. È la festa che ci invita a rinnovare l’impegno evangelico di annunciare Cristo, Salvatore del mondo e luce dell’universo. Se infatti «Cristo, “santo, innocente, immacolato” (Eb 7,26), non conobbe il peccato (cfr 2 Cor 5,21) e venne solo allo scopo di espiare i peccati del popolo (cfr Eb 2,17), la Chiesa, che comprende nel suo seno peccatori ed è perciò santa e immacolata e insieme sempre bisognosa di purificazione, avanza continuamente per il cammino della penitenza e del rinnovamento. La Chiesa «prosegue il suo pellegrinaggio fra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio” – fra le persecuzioni dello spirito mondano e le consolazioni dello Spirito di Dio – annunciando la passione e la morte del Signore fino a che Egli venga (cfr 1 Cor 11,26). Dalla virtù del Signore risuscitato trae la forza per vincere con pazienza e amore le afflizioni e le difficoltà, che le vengono sia dal di dentro che dal di fuori, e per svelare in mezzo al mondo, con fedeltà, anche se non perfettamente, il mistero di Lui, fino a che alla fine dei tempi esso sarà manifestato nella pienezza della luce» (Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium, 8).

Sulla base, dunque, della ferma convinzione che la luce è sempre più forte delle tenebre, vorrei riflettere con voi sulla luce che collega il Natale – cioè la prima venuta nell’umiltà – alla Parusia – la seconda venuta nello splendore – e ci conferma nella speranza che non delude mai. Quella speranza dalla quale dipende la vita di ciascuno di noi e tutta la storia della Chiesa e del mondo. Sarebbe brutta una Chiesa senza speranza!

Gesù, in realtà, nasce in una situazione sociopolitica e religiosa carica di tensione, di agitazioni e di oscurità. La sua nascita, da una parte attesa e dall’altra rifiutata, riassume la logica divina che non si ferma dinanzi al male, anzi lo trasforma radicalmente e gradualmente in bene, e anche la logica maligna che trasforma perfino il bene in male, per portare l’umanità a rimanere nella disperazione e nelle tenebre: «la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta» (Gv 1,5).

Ogni anno il Natale ci ricorda, però, che la salvezza di Dio, donata gratuitamente all’umanità intera, alla Chiesa e in particolare a noi, persone consacrate, non agisce senza la nostra volontà, senza la nostra cooperazione, senza la nostra libertà, senza il nostro sforzo quotidiano. La salvezza è un dono, questo è vero, ma un dono che deve essere accolto, custodito e fatto fruttificare (cfr Mt 25,14-30). L’essere cristiani, in generale, e per noi in particolare l’essere unti, consacrati del Signore non significa comportarci come una cerchia di privilegiati che credono di avere Dio in tasca, ma da persone che sanno di essere amate dal Signore nonostante il nostro essere peccatori e indegni. I consacrati, infatti, non sono altro che servi nella vigna del Signore che devono dare, a tempo debito, il raccolto e il ricavato al Padrone della vigna (cfr Mt 20,1-16).

La Bibbia e la storia della Chiesa ci danno la dimostrazione che tante volte perfino gli stessi eletti, strada facendo, iniziano a pensare, a credere e a comportarsi come padroni della salvezza e non come beneficiari, come controllori dei misteri di Dio e non come umili distributori, come doganieri di Dio e non come servitori del gregge loro affidato.

Tante volte – per zelo eccessivo e mal indirizzato – invece di seguire Dio ci si mette davanti a Lui, come Pietro che criticò il Maestro e meritò il rimprovero più duro che Cristo abbia mai rivolto a una persona: «Va’ dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini» (Mc 8,33).

Cari fratelli e sorelle,

nel mondo turbolento, la barca della Chiesa quest’anno ha vissuto e vive momenti difficili, ed è stata investita da tempeste e uragani. Tanti si sono trovati a chiedere al Maestro, che apparentemente dormiva: «Maestro, non t’importa che siamo perduti?» (Mc 4,38). Altri, sbalorditi dalle notizie, hanno iniziato a perdere la fiducia in essa e a abbandonarla; altri, per paura, per interesse, per secondi fini, hanno cercato di percuotere il suo corpo aumentandone le ferite; altri non nascondono la loro soddisfazione nel vederla scossa; moltissimi però continuano ad aggrapparsi con la certezza che «le porte degli inferi non prevarranno contro di essa» (Mt 16,18).

Intanto la Sposa di Cristo prosegue il suo pellegrinaggio tra gioie e afflizioni, tra successi e difficoltà, esterne e interne. Certamente le difficoltà interne rimangono sempre quelle più dolorose e più distruttive.

Le afflizioni

Tante sono le afflizioni. Quanti immigrati – costretti a lasciare la patria e a rischiare la vita – incontrano la morte, o quanti sopravvivono ma trovano le porte chiuse e i loro fratelli in umanità impegnati nelle conquiste politiche e di potere. Quanta paura e pregiudizio! Quante persone e quanti bambini muoiono ogni giorno per mancanza di acqua, di cibo e di medicine! Quanta povertà e miseria! Quanta violenza contro i deboli e contro le donne! Quanti scenari di guerre dichiarate e non dichiarate! Quanto sangue innocente viene versato ogni giorno! Quanta disumanità e brutalità ci circondano da ogni parte! Quante persone vengono sistematicamente torturate ancora oggi nelle stazioni di polizia, nelle carceri e nei campi dei profughi in diverse parti del mondo!

Viviamo anche, in realtà, una nuova epoca di martiri. Sembra che la crudele e atroce persecuzione dell’impero romano non conosca fine. Nuovi Neroni nascono continuamente per opprimere i credenti, soltanto per la loro fede in Cristo. Nuovi gruppi estremisti si moltiplicano prendendo di mira le chiese, i luoghi di culto, i ministri e i semplici fedeli. Nuovi e vecchi circoli e conventicole vivono nutrendosi di odio e ostilità verso Cristo, la Chiesa e i credenti. Quanti cristiani vivono ancora oggi sotto il peso della persecuzione, dell’emarginazione, della discriminazione e dell’ingiustizia in tante parti del mondo! Continuano, tuttavia, coraggiosamente ad abbracciare la morte per non negare Cristo. Quanto è difficile, ancora oggi, vivere liberamente la fede in tante parti del mondo ove manca la libertà religiosa e la libertà di coscienza!

Dall’altra parte, l’esempio eroico dei martiri e dei numerosissimi buoni samaritani, ossia dei giovani, delle famiglie, dei movimenti caritativi e di volontariato e di tanti fedeli e consacrati, non ci fa scordare comunque la contro-testimonianza e gli scandali di alcuni figli e ministri della Chiesa.

Mi limito qui soltanto alle due piaghe degli abusi e dell’infedeltà.

La Chiesa da diversi anni è seriamente impegnata a sradicare il male degli abusi, che grida vendetta al Signore, al Dio che non dimentica mai la sofferenza vissuta da molti minori a causa di chierici e persone consacrate: abusi di potere, di coscienza e sessuali.

Pensando a questo doloroso argomento mi è venuta in mente la figura del re Davide – un «unto del Signore» (cfr 1 Sam 16,13; 2 Sam 11–12). Egli, dalla cui discendenza deriva il Bambino Divino – chiamato anche il “Figlio di Davide” –, nonostante il suo essere eletto, re e unto del Signore, commise un triplice peccato, cioè tre gravi abusi insieme: abuso sessuale, di potere e di coscienza. Tre abusi distinti, che però convergono e si sovrappongono.

La storia inizia, come sappiamo, quando il re, pur essendo esperto di guerra, rimane a casa a oziare invece di andare in mezzo al popolo di Dio in battaglia. Davide approfitta, per suo comodo e interesse, del suo essere il re (abuso di potere). L’unto, abbandonandosi alla comodità, inizia l’irrefrenabile declino morale e di coscienza. Ed è proprio in questo contesto che egli, dalla terrazza della reggia, vede Betsabea, moglie di Uria l’ittita, mentre fa il bagno e se ne sente attratto (cfr 2 Sam 11). La manda a chiamare e si unisce a lei (altro abuso di potere, più abuso sessuale). Così abusa di una donna sposata e sola e, per coprire il suo peccato, richiama a casa Uria e cerca invano di convincerlo a passare la notte con la moglie. E successivamente ordina al capo dell’esercito di esporre Uria a morte certa in battaglia (altro abuso di potere, più abuso di coscienza). La catena del peccato si allarga a macchia d’olio e diventa rapidamente una rete di corruzione. Lui è rimasto a casa a oziare.

Dalle scintille dell’accidia e della lussuria, e dall’“abbassare la guardia”, inizia la catena diabolica dei peccati gravi: adulterio, menzogna e omicidio. Presumendo, essendo re, di poter fare tutto e ottenere tutto, Davide cerca anche di ingannare il marito di Betsabea, la gente, sé stesso e perfino Dio. Il re trascura la sua relazione con Dio, trasgredisce i comandamenti divini, ferisce la propria integrità morale, senza neanche sentirsi in colpa. L’unto continuava a esercitare la sua missione come se niente fosse. L’unica cosa che gli importava era salvaguardare la sua immagine e la sua apparenza. «Perché coloro che non si accorgono di commettere gravi mancanze contro la Legge di Dio possono lasciarsi andare ad una specie di stordimento o torpore. Dato che non trovano niente di grave da rimproverarsi, non avvertono quella tiepidezza che a poco a poco si va impossessando della loro vita spirituale e finiscono per logorarsi e corrompersi» (Esort. ap. Gaudete et exsultate, 164). Da peccatori finiscono per diventare corrotti.

Anche oggi ci sono tanti “unti del Signore”, uomini consacrati, che abusano dei deboli, approfittando del proprio potere morale e di persuasione. Compiono abomini e continuano a esercitare il loro ministero come se niente fosse; non temono Dio o il suo giudizio, ma temono soltanto di essere scoperti e smascherati. Ministri che lacerano il corpo della Chiesa, causando scandali e screditando la missione salvifica della Chiesa e i sacrifici di tanti loro confratelli.

Anche oggi, cari fratelli e sorelle, tanti Davide, senza batter ciglio, entrano nella rete di corruzione, tradiscono Dio, i suoi comandamenti, la propria vocazione, la Chiesa, il popolo di Dio e la fiducia dei piccoli e dei loro familiari. Spesso dietro la loro smisurata gentilezza, impeccabile operosità e angelica faccia, nascondono spudoratamente un lupo atroce pronto a divorare le anime innocenti.

I peccati e i crimini delle persone consacrate si colorano di tinte ancora più fosche di infedeltà, di vergogna e deformano il volto della Chiesa minando la sua credibilità. Infatti, la Chiesa, insieme ai suoi figli fedeli, è anche vittima di queste infedeltà e di questi veri e propri “reati di peculato”.

Cari fratelli e sorelle,

sia chiaro che dinanzi a questi abomini la Chiesa non si risparmierà nel compiere tutto il necessario per consegnare alla giustizia chiunque abbia commesso tali delitti. La Chiesa non cercherà mai di insabbiare o sottovalutare nessun caso. È innegabile che alcuni responsabili, nel passato, per leggerezza, per incredulità, per impreparazione, per inesperienza – dobbiamo giudicare il passato con l’ermeneutica del passato – o per superficialità spirituale e umana hanno trattato tanti casi senza la dovuta serietà e prontezza. Ciò non deve accadere mai più. Questa è la scelta e la decisione di tutta la Chiesa.

A febbraio prossimo la Chiesa ribadirà la sua ferma volontà nel proseguire, con tutta la sua forza, sulla strada della purificazione. La Chiesa si interrogherà, avvalendosi anche degli esperti, su come proteggere i bambini; come evitare tali sciagure, come curare e reintegrare le vittime; come rafforzare la formazione nei seminari. Si cercherà di trasformare gli errori commessi in opportunità per sradicare tale piaga non solo dal corpo della Chiesa ma anche da quello della società. Infatti, se questa gravissima calamità è arrivata a colpire alcuni ministri consacrati, ci si domanda: quanto essa potrebbe essere profonda nelle nostre società e nelle nostre famiglie? La Chiesa dunque non si limiterà a curarsi, ma cercherà di affrontare questo male che causa la morte lenta di tante persone, al livello morale, psicologico e umano.

Cari fratelli e sorelle,

parlando di questa piaga, alcuni all’interno della Chiesa si infervorano contro certi operatori della comunicazione, accusandoli di ignorare la stragrande maggioranza dei casi di abusi, che non sono commessi dai chierici della Chiesa – le statistiche parlano di più del 95% - e accusandoli di voler intenzionalmente dare una falsa immagine, come se questo male avesse colpito solo la Chiesa Cattolica. Invece io vorrei ringraziare vivamente quegli operatori dei media che sono stati onesti e oggettivi e che hanno cercato di smascherare questi lupi e di dare voce alle vittime. Anche se si trattasse di un solo caso di abuso – che rappresenta già di per sé una mostruosità – la Chiesa chiede di non tacere e di portarlo oggettivamente alla luce, perché lo scandalo più grande in questa materia è quello di coprire la verità.

Ricordiamo tutti che solo grazie all’incontro con il profeta Natan Davide comprende la gravità del suo peccato. Abbiamo bisogno oggi di nuovi Natan che aiutino i tanti Davide a svegliarsi da una vita ipocrita e perversa. Per favore, aiutiamo la Santa Madre Chiesa nel suo compito difficile, ossia quello di riconoscere i casi veri distinguendoli da quelli falsi, le accuse dalle calunnie, i rancori dalle insinuazioni, le dicerie dalle diffamazioni. Un compito assai difficile, in quanto i veri colpevoli sanno nascondersi scrupolosamente, al punto che tante mogli, madri e sorelle non riescono a scoprirli nelle persone più vicine: mariti, padrini, nonni, zii, fratelli, vicini, maestri... Anche le vittime, ben scelte dai loro predatori, spesso preferiscono il silenzio e addirittura, in balia della paura, diventano sottomesse alla vergogna e al terrore di essere abbandonate.

E a quanti abusano dei minori vorrei dire: convertitevi e consegnatevi alla giustizia umana, e preparatevi alla giustizia divina, ricordandovi delle parole di Cristo: «Chi scandalizzerà anche uno solo di questi piccoli che credono in me, gli conviene che gli venga appesa al collo una macina da mulino e sia gettato nel profondo del mare. Guai al mondo per gli scandali! È inevitabile che vengano scandali, ma guai all’uomo a causa del quale viene lo scandalo!» (Mt 18,6-7).

Cari fratelli e sorelle,

ora permettetemi di parlare anche di un’altra afflizione, ossia dell’infedeltà di coloro che tradiscono la loro vocazione, il loro giuramento, la loro missione, la loro consacrazione a Dio e alla Chiesa; coloro che si nascondono dietro buone intenzioni per pugnalare i loro fratelli e seminare zizzania, divisione e sconcerto; persone che trovano sempre giustificazioni, perfino logiche, e perfino spirituali, per continuare a percorrere indisturbati la strada della perdizione.

E questa non è una novità nella storia della Chiesa. Sant’Agostino, parlando del buon grano e della zizzania, afferma: «Credete forse, fratelli miei, che la zizzania non possa salire fino alle cattedre episcopali? Credete forse che essa sia solo nei ceti inferiori e non in quelli superiori? Volesse il cielo che noi non fossimo zizzania! […] Anche sulle cattedre episcopali c’è il frumento e c’è la zizzania; e tra le varie comunità di fedeli c’è il frumento e c’è la zizzania» (Sermo 73, 4: PL 38, 472).

Queste parole di Sant’Agostino ci esortano a ricordare il proverbio: “la strada dell’inferno è lastricata di buone intenzioni”; e ci aiutano a capire che il Tentatore, il Grande Accusatore, è colui che divide, semina discordia, insinua inimicizia, persuade i figli e li porta a dubitare.

In realtà, in realtà dietro questi seminatori di zizzania si trovano quasi sempre le trenta monete d’argento. Ecco allora che la figura di Davide ci porta a quella di Giuda Iscariota, un altro scelto dal Signore che vende e consegna alla morte il suo maestro. Davide peccatore e Giuda Iscariota saranno sempre presenti nella Chiesa, in quanto rappresentano la debolezza, che fa parte del nostro essere umano. Sono icone dei peccati e dei crimini compiuti da persone elette e consacrate. Uniti nella gravità del peccato, si distinguono tuttavia nella conversione. Davide si pentì affidandosi alla misericordia di Dio, mentre Giuda si suicidò.

Tutti noi quindi, per far risplendere la luce di Cristo, abbiamo il dovere di combattere ogni corruzione spirituale, che «è peggiore della caduta di un peccatore, perché si tratta di una cecità comoda e autosufficiente dove alla fine tutto sembra lecito: l’inganno, la calunnia, l’egoismo e tante sottili forme di autoreferenzialità, poiché «anche Satana si maschera da angelo della luce» (2 Cor 11,14). Così terminò i suoi giorni Salomone, mentre il gran peccatore Davide seppe superare la sua miseria» (Esort. ap. Gaudete et exsultate, 165.

Le gioie

Passiamo alle gioie. Sono state numerose quest’anno, ad esempio, la buona riuscita del Sinodo dedicato ai giovani, di cui parlava il Cardinale Decano. I passi finora compiuti nella riforma della Curia. Tanti si domandano: quando finirà? Non finirà mai, ma i passi sono buoni. Ad esempio, i lavori di chiarimento e di trasparenza nell’economia; i lodevoli sforzi compiuti dall’Ufficio del Revisore Generale e dall’Autorità di Informazione Finanziaria; i buoni risultati raggiunti dall’Istituto per le Opere di Religione; la nuova Legge dello Stato della Città del Vaticano; il Decreto sul lavoro in Vaticano, e tante altre realizzazioni meno visibili. Ricordiamo, tra le gioie, i nuovi Beati e Santi che sono le “pietre preziose” che adornano il volto della Chiesa e irradiano nel mondo speranza, fede e luce. È doveroso menzionare qui i diciannove martiri d’Algeria: «Diciannove vite donate per Cristo, per il suo vangelo e per il popolo algerino, […] modelli di santità comune, la santità “della porta accanto”» (Thomas Georgeon, “Nel segno della fraternità”, L’Osservatore romano, 8 dicembre 2018, p. 6); l’alto numero di fedeli che ogni anno, ricevendo il Battesimo, rinnovano la giovinezza della Chiesa, quale madre sempre feconda, e i numerosissimi figli che rientrano a casa e riabbracciano la fede e la vita cristiana; le famiglie e i genitori che vivono seriamente la fede e la trasmettono quotidianamente ai propri figli attraverso la letizia del loro amore (cfr Esort. ap. postsin. Amoris laetitia, 259-290); la testimonianza di tanti giovani che scelgono coraggiosamente la vita consacrata e il sacerdozio.

Un vero motivo di gioia è anche il grande numero di consacrati e consacrate, vescovi e sacerdoti, che vivono quotidianamente la loro vocazione in fedeltà, silenzio, santità e abnegazione. Sono persone che illuminano il buio dell’umanità, con la loro testimonianza di fede, di amore e di carità. Persone che lavorano pazientemente, per amore a Cristo e al suo Vangelo, a favore dei poveri, degli oppressi e degli ultimi, senza cercare di mettersi sulle prime pagine dei giornali o di occupare i primi posti. Persone che, lasciando tutto e offrendo la loro vita, portano la luce della fede dove Cristo è abbandonato, assetato, affamato, carcerato e nudo (cfr Mt 25,31-46). E penso particolarmente ai numerosi parroci che offrono ogni giorno buon esempio al popolo di Dio, sacerdoti vicini alle famiglie, conoscono i nomi di tutti e vivono la loro vita in semplicità, fede, zelo, santità e carità. Persone dimenticate dai mass media ma senza le quali regnerebbe il buio.

Cari fratelli e sorelle,

parlando della luce, delle afflizioni, di Davide e di Giuda, ho voluto mettere in risalto il valore della consapevolezza, che si deve trasformare in un dovere di vigilanza e di custodia da parte di chi, nelle strutture della vita ecclesiastica e consacrata, esercita il servizio del governo. In realtà, la forza di qualsiasi Istituzione non risiede nell’essere composta da uomini perfetti (questo è impossibile) ma nella sua volontà di purificarsi continuamente; nella sua capacità di riconoscere umilmente gli errori e correggerli; nella sua abilità di rialzarsi dalle cadute; nel vedere la luce del Natale che parte dalla mangiatoia di Betlemme, percorre la storia e arriva fino alla Parusia.

È necessario dunque aprire il nostro cuore alla vera luce, Gesù Cristo: la luce che può illuminare la vita e trasformare le nostre tenebre in luce; la luce del bene che vince il male; la luce dell’amore che supera l’odio; la luce della vita che sconfigge la morte; la luce divina che trasforma in luce tutto e tutti; la luce del nostro Dio: povero e ricco, misericordioso e giusto, presente e nascosto, piccolo e grande.

Ricordiamo le parole stupende di San Macario il Grande, padre del deserto egiziano del IV secolo, che, parlando del Natale, afferma: «Dio si fa piccolo! L’inaccessibile e increato, nella sua infinita e inimmaginabile bontà ha assunto un corpo e si è fatto piccolo. Nella sua bontà è disceso dalla sua gloria. Nessuno, nei cieli e sulla terra può comprendere la grandezza di Dio e nessuno, nei cieli e sulla terra può comprendere come Dio si fa povero e piccolo per i poveri e i piccoli. Come è incomprensibile la sua grandezza, così lo è anche la sua piccolezza» (cfr Omelie IV, 9-10; XXXII, 7: in Spirito e fuoco. Omelie spirituali. Collezione II, Qiqajon-Bose, Magnano 1995, p. 88-89; 332-333).

Ricordiamo che il Natale è la festa del «Dio grande che si fa piccolo e nella sua piccolezza non smette di essere grande. E in questa dialettica, grande è piccolo: c’è la tenerezza di Dio. Quella parola che la mondanità cerca sempre di togliere dal dizionario: tenerezza. Il Dio grande che si fa piccolo, che è grande e continua a farsi piccolo» (cfr Omelia a S. Marta, 14 dicembre 2017; Omelia a S. Marta, 25 aprile 2013).

Il Natale ci dona ogni anno la certezza che la luce di Dio continuerà a brillare nonostante la nostra miseria umana; la certezza che la Chiesa uscirà da queste tribolazioni, ancora più bella e purificata e splendida. Perché tutti i peccati, le cadute e il male commesso da alcuni figli della Chiesa non potranno mai oscurare la bellezza del suo volto, anzi, danno perfino la prova certa che la sua forza non sta in noi, ma sta soprattutto in Cristo Gesù, Salvatore del mondo e Luce dell’universo, che la ama e ha dato la sua vita per lei, sua sposa. Il Natale dà la prova che i gravi mali commessi da taluni non potranno mai offuscare tutto il bene che la Chiesa compie gratuitamente nel mondo. Il Natale dà la certezza che la vera forza della Chiesa e del nostro lavoro giornaliero, tante volte nascosto – come quello della Curia, dove ci sono dei santi –, sta nello Spirito Santo che la guida e la protegge attraverso i secoli, trasformando perfino i peccati in occasioni di perdono, le cadute in occasioni di rinnovamento, il male in occasione di purificazione e vittoria.

Grazie tante e Buon Natale a tutti!

[Benedizione]

Anche quest’anno vorrei lasciarvi un pensiero. E’ un classico: il Compendio di teologia ascetica e mistica di Tanquerey, ma nella recente edizione elaborata da Mons. Libanori, Vescovo ausiliare di Roma, e da padre Forlai, padre spirituale del Seminario di Roma. Credo che sia buono. Non leggerlo dall’inizio alla fine, ma cercare nell’indice questa virtù, questo atteggiamento, questa cosa… Ci farà bene, per la riforma di ognuno di noi e la riforma della Chiesa. È per voi!

[02085-IT.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua francese

«La nuit est bientôt finie, le jour est tout proche. Rejetons les œuvres des ténèbres, revêtons-nous des armes de la lumière» (Rm 13, 12)

Chers frères et sœurs,

enveloppés de la joie et de l’espérance qui resplendissent du visage du divin Enfant, nous nous rencontrons cette année encore pour l’échange des vœux de Noël en portant dans le cœur toutes les peines et les joies du monde et de l’Eglise.

Je vous souhaite de tout cœur un saint Noël, ainsi qu’à vos collaborateurs, à toutes les personnes qui assurent un service à la Curie, aux Représentants pontificaux et aux collaborateurs des Nonciatures. Et je désire vous remercier pour votre dévouement quotidien au service du Saint-Siège, de l’Eglise et du Successeur de Pierre. Merci beaucoup!

Permettez-moi aussi de souhaiter une chaleureuse bienvenue au nouveau Substitut de la Secrétairerie d’Etat, S.E. Mons. Edgar Peña Parra, qui a commencé son délicat et important service le 15 octobre dernier. Son origine vénézuélienne reflète la catholicité de l’Eglise et la nécessité d’ouvrir toujours davantage les horizons jusqu’aux extrémités de la terre. Bienvenue, chère Excellence et bon travail!

Noël est la fête qui nous remplit de joie et qui nous donne la certitude qu’aucun péché ne sera jamais plus grand que la miséricorde de Dieu, et qu’aucun acte humain ne pourra jamais empêcher l’aube de la lumière divine de naître et de renaître dans les cœurs des hommes. C’est la fête qui nous invite à renouveler l’engagement évangélique d’annoncer le Christ, Sauveur du monde et lumière de l’univers. Si, en effet, « le Christ, “saint, innocent, sans tache” (He 7, 26) ignore le péché (cf. 2Co 5, 21), venant seulement expier les péchés du peuple (cf. He 2, 17), l’Église, qui comprend en son sein des pécheurs, et donc est à la fois sainte et immaculée et toujours appelée à se purifier, avance continuellement sur le chemin de la pénitence et du renouvellement. L’Église «avance dans son pèlerinage à travers les persécutions du monde et les consolations de Dieu – parmi les persécutions de la part de l’esprit du monde et les consolations de l’Esprit de Dieu –, annonçant la croix et la mort du Seigneur jusqu’à ce qu’il vienne (cf. 1 Co 11, 26). La vertu du Seigneur ressuscité est sa force pour lui permettre de vaincre dans la patience et la charité les afflictions et les difficultés qui lui viennent à la fois du dehors et du dedans, et de révéler fidèlement au milieu du monde le mystère du Seigneur, encore enveloppé d’ombre, jusqu’au jour où, finalement, il éclatera dans la pleine lumière »(Conc. œcum. Vat. II, Const.dogm. Lumen gentium, n. 8).

Prenant donc appui sur la ferme conviction que la lumière est toujours plus forte que les ténèbres, je voudrais réfléchir avec vous sur la lumière qui relie Noël – c’est-à-dire la première venue dans l’humilité – à la Parousie – la seconde venue dans la gloire – et nous confirme dans l’espérance qui ne déçoit jamais. Cette espérance dont dépend la vie de chacun de nous et toute l’histoire de l’Eglise et du monde. Une Église sans espérance serait laide!

Jésus, en réalité, naît dans une situation sociopolitique et religieuse pleine de tensions, d’agitations et d’obscurité. Sa naissance, attendue d’un côté et refusée de l’autre, récapitule la logique divine qui ne s’arrête pas devant le mal, mais le transforme au contraire radicalement et progressivement en bien, et également la logique démoniaque qui transforme même le bien en mal, pour conduire l’humanité à rester dans le désespoir et dans les ténèbres: «La lumière brille dans les ténèbres, et les ténèbres ne l’ont pas arrêtée » (Jn 1, 5).

Mais, chaque année, Noël nous rappelle que le salut de Dieu, donné gratuitement à toute l’humanité, à l’Eglise, et à nous en particulier, personnes consacrées, n’agit pas sans notre volonté, sans notre coopération, sans notre liberté, sans notre effort quotidien. Le salut est un don, c’est vrai, mais un don qui doit être accueilli, gardé et qu’il faut faire fructifier (cf. Mt 25, 14-30). Le fait d’être chrétien en général, et pour nous en particulier, le fait d’être des oints, des consacrés du Seigneur, ne veut pas dire nous comporter comme un cercle de privilégiés qui croient avoir Dieu dans la poche, mais comme des personnes qui savent qu’elles sont aimées par le Seigneur bien que pécheresses et indignes. Les personnes consacrées, en effet, ne sont rien d’autre que des serviteurs dans la vigne du Seigneur qui doivent donner, en temps voulu, la récolte et le produit de la vigne (cf. Mt 20, 1-16).

La Bible et l’histoire de l’Eglise nous donnent la démonstration que, souvent, même les élus, chemin faisant, commencent à penser, à croire et à se comporter comme les maîtres du salut et non comme des bénéficiaires, comme des contrôleurs des mystères de Dieu et non comme d’humbles distributeurs, comme des douaniers de Dieu, et non comme des serviteurs du troupeau qui leur est confié.

Souvent – par zèle excessif et mal orienté – au lieu de suivre Dieu on se met devant lui, comme Pierre qui a critiqué le Maître et a mérité le reproche le plus dur que le Christ n’ait jamais adressé à une personne: «Passe derrière moi, Satan! Tes pensées ne sont pas celles de Dieu, mais celles des hommes » (Mc 8, 33).

Chers frères et sœurs,

Dans le monde agité, cette année la barque de l’Eglise a connu et connaît des moments difficiles, et elle a été assaillie par les tempêtes et les ouragans. Beaucoup en sont venus à demander au Maître, qui semblait dormir: «Maître, nous sommes perdus; cela ne te fait rien?» (Mc, 4, 38). D’autres, impressionnés par les nouvelles, ont commencé à perdre confiance en elle et à l’abandonner; d’autres, par peur, par intérêt, avec des arrières pensées, ont cherché à meurtrir son corps augmentant ses blessures; d’autres ne cachent pas leur satisfaction de la voir ébranlée; mais très nombreux sont ceux qui continuent à s’accrocher avec la certitude que «la puissance de la Mort ne l’emportera pas sur elle » (Mt 16, 18).

Pendant ce temps, l’Epouse du Christ continue son pèlerinage au milieu des joies et des peines, des succès et des difficultés, à l’extérieur comme à l’intérieur. Certainement les difficultés de l’intérieur restent toujours les plus douloureuses et les plus plus destructrices.

Les peines

Les peines sont nombreuses. Que de migrants – contraints d’abandonner leur patrie et de risquer leur vie – trouvent la mort, ou que de migrants survivent mais trouvent les portes closes et leurs frères en humanité occupés aux conquêtes politiques et de pouvoir. Que de peur et de préjudice! Que de personnes et que d’enfants meurent chaque jour par manque d’eau, de nourriture et de médicaments! Que de pauvreté et de misère! Que de violence contre les faibles et contre les femmes! Que de scènes de guerres déclarées et non déclarées! Que de sang innocent est versé chaque jour! Que d’inhumanité et de brutalité nous entourent de toute part! Que de personnes sont systématiquement torturées, encore aujourd’hui, dans les postes de police, dans les prisons et dans les camps de réfugiés en divers parties du monde.

En réalité, nous vivons aussi une nouvelle époque de martyrs. La cruelle et atroce persécution de l’empire romain semble ne pas connaître de fin. De nouveaux Néron naissent sans cesse pour opprimer les croyants, uniquement en raison de leur foi au Christ. De nouveaux groupes extrémistes se multiplient prenant pour cible les églises, les lieux de culte, les ministres et les simples fidèles. De nouveaux et anciens cercles et cliques vivent en se nourrissant de haine et d’hostilité envers le Christ, l’Eglise et les croyants. Que de chrétiens vivent encore aujourd’hui sous le poids de la persécution, de la marginalisation, de la discrimination et de l’injustice en tant de parties du monde! Ils continuent, cependant, courageusement, à embrasser la mort pour ne pas nier le Christ. Combien il est difficile, encore aujourd’hui, de vivre librement sa foi en tant de parties du monde où manquent la liberté religieuse et la liberté de conscience!

Par ailleurs, l’exemple héroïque des martyrs et des très nombreux bons samaritains, c’est-à-dire des jeunes, des familles, des mouvements caritatifs et de volontaires, et de tant de fidèles et de personnes consacrées ne nous fait pas oublier cependant le contre témoignage et les scandales de certains enfants et ministres de l’Eglise.

Je me limite ici seulement aux deux fléaux des abus et de l’infidélité.

L’Eglise, depuis plusieurs années, œuvre sérieusement pour déraciner le mal des abus qui crie vengeance au Seigneur, au Dieu qui n’oublie pas la souffrance vécue par de nombreux mineurs à cause de clercs et de personnes consacrées: abus de pouvoir, de conscience et sexuels.

En pensant à ce sujet douloureux, m’est venue à l’esprit la figure du roi David – un «oint du Seigneur» (cf. 1Sm 16, 13 – 2Sm 11-12). Lui, dont la descendance a engendré l’Enfant divin – appelé aussi“fils de David”–, bien qu’il fût l’élu, le roi et l’oint du Seigneur, a commis un triple péché, c’est à dire en même temps trois graves abus : abus sexuel, de pouvoir et de conscience. Trois abus distincts, mais qui convergent et se superposent.

L’histoire commence, comme nous le savons, quand le roi, bien qu’expert militaire, reste chez lui à ne rien faire au lieu d’aller à la bataille avec le peuple de Dieu. David profite, pour son confort et pour son intérêt, du fait d’être roi (abus de pouvoir). L’oint s’abandonnant à la facilité, commence son irrésistible régression morale et de conscience. Et c’est justement dans ce contexte que, de la terrasse du palais, il voit Bethsabée, la femme d’Urie le Hittite, alors qu’elle prend son bain, et qu’il se sent attiré par elle (cf. 2Sm 11). Il la fait appeler et s’unit à elle (autre abus de pouvoir, plus un abus sexuel). Il abuse ainsi d’une femme mariée et seule et, pour couvrir son péché, il rappelle Urie à la maison, et cherche en vain à le convaincre à passer la nuit avec sa femme. Et ensuite il ordonne au chef de l’armée d’exposer Urie à une mort certaine dans la bataille (autre abus de pouvoir, plus un abus de conscience). La chaîne du péché grandit comme une tache d’huile et devient rapidement un réseau de corruption. Lui, il est resté à la maison à paresser.

A partir des étincelles de la paresse et de la luxure, et du fait de “baisser la garde”, l’enchaînement diabolique des péchés graves commence: adultère, mensonge et homicide. Prétendant, étant roi, pouvoir tout faire et tout obtenir, David cherche à tromper aussi le mari de Bethsabée, les gens, lui-même et même Dieu. Le roi néglige sa relation avec Dieu, il transgresse les commandements divins, il porte atteinte à sa propre intégrité morale sans même se sentir en faute. L’oint continue à exercer sa mission comme si de rien n’était. La seule chose qui lui importait était de sauvegarder son image et son apparence. « Parce que ceux qui ont le sentiment qu’ils ne commettent pas de fautes graves contre la Loi de Dieu peuvent tomber dans une sorte d’étourdissement ou de torpeur. Comme ils ne trouvent rien de grave à se reprocher, ils ne perçoivent pas cette tiédeur qui peu à peu s’empare de leur vie spirituelle et ils finissent par se débiliter et se corrompre» (Exhort. ap. Gaudete et exsultate, n. 164). De pécheurs ils finissent par devenir corrompus.

Aujourd’hui aussi, il y a beaucoup d’“oints du Seigneur”, hommes consacrés, qui abusent des faibles en profitant de leur pouvoir moral et de persuasion. Ils commettent des abominations et continuent à exercer leur ministère comme si de rien n’était; ils ne craignent pas Dieu ni son jugement mais craignent seulement d’être découverts et démasqués. Ministres qui lacèrent le corps de l’Eglise, causant des scandales et discréditant la mission salvifique de l’Eglise et les sacrifices de tant de leurs confrères.

Aujourd’hui aussi, chers frères et sœurs, beaucoup de David, sans un battement de paupière, entrent dans le réseau de corruption, trahissent Dieu, ses commandements, leur propre vocation, l’Eglise, le peuple de Dieu et la confiance des petits et de leurs proches. Souvent, derrière leur gentillesse démesurée, leur travail impeccable, leur visage angélique, ils cachent sans vergogne un loup terrible prêt à dévorer les âmes innocentes.

Les péchés et les crimes des personnes consacrées se colorent de teintes encore plus sombres d’infidélité, de honte, et ils déforment le visage de l’Eglise en minant sa crédibilité. En effet, l’Eglise, ainsi que ses enfants fidèles, est aussi victime de ces infidélités et de ces véritables “délits de détournement”.

Chers frères et sœurs,

Il doit être clair que face à ces abominations l’Eglise ne se ménagera pas pour faire tout ce qui est nécessaire afin de livrer à la justice quiconque aura commis de tels délits. L’Eglise ne cherchera jamais à étouffer ou à sous-estimer aucun cas. Il est indéniable que certains responsables, par le passé, par légèreté, par incrédulité, par impréparation, par inexpérience – nous devons juger le passé avec l’herméneutique du passé - ou par superficialité spirituelle et humaine, ont traité de nombreux cas sans le sérieux et la rapidité requis. Cela ne doit plus jamais se produire. C’est le choix et la décision de toute l’Eglise.

En février prochain l’Eglise rappellera sa ferme volonté de persévérer, de toutes ses forces, sur la route de la purification. L’Eglise s’interrogera, en recourant aussi à des experts, sur comment protéger les enfants, comment éviter de telles catastrophes, comment soigner et réintégrer les victimes, comment renforcer la formation dans les séminaires. On cherchera à transformer les erreurs commises en opportunité pour éliminer ce fléau non seulement du corps de l’Eglise mais aussi de la société. En effet, si cette très grave calamité est parvenue à toucher certains ministres consacrés, on se demande dans quelle mesure elle est profonde dans nos sociétés et dans nos familles? L’Eglise ne se limitera donc pas à se soigner mais cherchera à affronter ce mal qui cause la mort lente de tant de personnes au niveau moral, psychologique et humain.

Chers frères et sœurs,

en parlant de cette plaie, d’aucuns, dans l’Église, s’acharnent contre certains professionnels de la communication, en les accusant d’ignorer la majeure partie des cas d’abus qui ne sont pas commis par des membres du clergé de l’Église – les statistiques parlent de 95% -, et en les accusant de vouloir en donner exprès une fausse image, comme si ce mal ne touchait que l’Église catholique. Je voudrais plutôt remercier vivement les professionnels des media qui ont été honnêtes et objectifs et qui ont cherché à démasquer ces loups et à donner la parole aux victimes. Même s’il s’agissait d’un seul cas d’abus – qui représente déjà en soi une monstruosité – l’Église demanderait de ne pas le taire et de le porter objectivement à la lumière, car le plus grand scandale en cette matière, c’est de couvrir la vérité.

Souvenons-nous tous que c’est grâce à la rencontre avec le prophète Nathan que David comprend la gravité de son péché. Nous avons besoin aujourd’hui de nouveaux Nathan qui aident les nombreux David à se réveiller d’une vie hypocrite et perverse. S’il vous plaît, aidons la Sainte Mère Église dans sa tâche difficile, à savoir celle de reconnaître les cas vrais, en les distinguant des faux, les accusations des calomnies, les rancœurs des insinuations, les rumeurs des diffamations. C’est une tâche assez difficile dans la mesure où les vrais coupables savent se cacher soigneusement au point que beaucoup de femmes, de mères et de sœurs n’arrivent pas à les découvrir chez les personnes les plus proches: maris, parrains, grands-parents, oncles, frères, voisins, enseignants… Même les victimes, bien choisies par leurs prédateurs, préfèrent souvent le silence et même, en proie à la peur, sont subjugués par la honte et par la terreur d’être abandonnées.

Et à ceux qui abusent des mineurs, je voudrais dire: convertissez-vous et remettez-vous à la justice humaine et préparez-vous à la justice divine, vous souvenant des paroles du Christ: «Celui qui est un scandale, une occasion de chute, pour un seul de ces petits qui croient en moi, il est préférable pour lui qu’on lui accroche au cou une de ces meules que tournent les ânes, et qu’il soit englouti en une pleine mer. Malheureux le monde à cause des scandales! Il est inévitable qu’arrivent les scandales: cependant, malheureux celui par qui le scandale arrive» (Mt 18, 6-7).

Chers frères et sœurs,

à présent, permettez-moi de parler aussi d’une autre affliction, à savoir celle de l’infidélité de ceux qui trahissent leur vocation, leur serment, leur mission leur consécration à Dieu et à l’Église; ceux qui se cachent derrière de bonnes intentions pour poignarder leurs frères et semer l’ivraie, la division et le désarroi; des personnes qui trouvent toujours des justifications, même logiques, voire spirituelles, pour continuer à parcourir en toute tranquillité la route de la perdition.

Et ce n’est pas une nouveauté dans l’histoire de l’Église, saint Augustin, en parlant du bon grain et de l’ivraie, affirme: «Croyez-vous, mes frères, que l'ivraie ne s'élève pas jusqu'au niveau des évêques ? Croyez-vous qu'il n'y en ait qu'en bas et point en haut ? Plaise à Dieu que nous n'en soyons pas nous-même ! […] Il y a dans les rangs des évêques du froment et de l'ivraie, du froment aussi et de l'ivraie parmi le peuple » (Sermo 73, 4: PL 38, 472).

Ces paroles de saint Augustin nous exhortent à nous rappeler le proverbe : «le chemin de l’enfer est pavé de bonnes intentions»; et elles nous aident à comprendre que le Tentateur, le Grand Accusateur, c’est celui qui divise, sème la discorde, insinue l’inimitié et persuade les enfants, les conduisant à douter.

En réalité, en réalité derrière ces semeurs de zizanie se trouvent presque toujours les trente pièces d’argent. Voici donc que la figure de David nous conduit à celle de Judas Iscariote, un autre élu du Seigneur qui vend et livre à la mort son maître. David pécheur et Judas Iscariote seront toujours présents dans l’Église, dans la mesure où ils représentent la faiblesse, qui fait partie de notre condition humaine. Ils sont des icônes des péchés et des crimes commis par des personnes élues et consacrées. Unis dans la gravité du péché, ils se distinguent toutefois dans la conversion. David s’est repenti en se confiant à la miséricorde de Dieu, tandis que Judas s’est suicidé.

Donc, nous tous – pour faire resplendir la lumière du Christ – nous devons combattre toute corruption spirituelle, qui «est pire que la chute d’un pécheur, car il s’agit d’un aveuglement confortable et autosuffisant où tout finit par sembler licite : la tromperie, la calomnie, l’égoïsme et d’autres formes subtiles d’autoréférentialité, puisque « Satan lui-même se déguise en ange de lumière » (2Co 11, 14). C’est ainsi que Salomon a fini ses jours, alors que le grand pécheur David sut se relever de sa misère» (Exhort. ap. Gaudete et exultate, n. 165).

Les joies

Passons aux joies! Elles ont été nombreuses cette année, par exemple, la bonne réussite du Synode consacré aux jeunes, dont parlait le Cardinal Doyen. Les progrès accomplis jusqu’ici dans la réforme de la Curie. Beaucoup se demandent: quand finira-t-elle? Elle ne finira jamais, mais les progrès sont appréciables. Par exemple, les travaux d’éclaircissement et de transparence dans l’économie; les efforts louables accomplis par le Bureau du Réviseur général et par l’Autorité d’Information Financière; les bons résultats atteints par l’Institut des Œuvres de Religion ; la nouvelle Loi de l’État de la Cité du Vatican; le Décret sur le travail au Vatican, et tant d’autres réalisations moins visibles. Souvenons-nous, parmi les joies, des nouveaux Bienheureux et Saints qui sont les ‘‘pierres précieuses’’ qui ornent le visage de l’Église et diffusent dans le monde l’espérance, la foi et la lumière. Il faut mentionner ici les dix-neuf martyrs d’Algérie: «Dix-neuf vies données pour le Christ, son Évangile et pour le peuple algérien… des modèles de sainteté ordinaire, la sainteté ‘‘de la porte d’à côté’’» (Thomas Georgeon, L’Osservatore Romano, édition française, 27 novembre 2018, p. 8); le nombre élevé de fidèles qui chaque année, en recevant le baptême, renouvellent la jeunesse de l’Église, en tant que mère toujours féconde, et les très nombreux enfants qui reviennent à la maison et embrassent de nouveau la foi et la vie chrétienne; les familles et les parents qui vivent sérieusement la foi et la transmettent chaque jour à leurs propres enfants à travers la joie de leur amour (cf. Exhort. ap. post-syn. Amoris Laetitia, nn. 259-290); le témoignage de nombreux jeunes qui choisissent courageusement la vie consacrée et le sacerdoce.

Un vrai motif de joie, c’est aussi le grand nombre de consacrés et de consacrées, d’évêques et de prêtres, qui vivent quotidiennement leur vocation dans la fidélité, dans le silence, dans la sainteté et dans l’abnégation. Ce sont des personnes qui éclairent les ténèbres de l’humanité, par leur témoignage de foi, d’amour et de charité. Des personnes qui travaillent patiemment, par amour du Christ et de son Évangile, en faveur des pauvres, des opprimés et des derniers, sans chercher à faire la une des journaux ou à occuper les premières places. Des personnes qui, en laissant tout et en offrant leur vie, portent la lumière de la foi là où le Christ est abandonné, a soif, a faim, est prisonnier et nu (cf. Mt 25, 31-46). Et je pense en particulier aux nombreux curés qui donnent chaque jour le bon exemple au peuple de Dieu, aux prêtres proches des familles, qui connaissent le nom de tous et vivent leur vie en toute simplicité, dans la foi, avec zèle, dans la sainteté et la charité. Des personnes oubliées par les mass media mais sans lesquelles règneraient les ténèbres.

Chers frères et sœurs,

en parlant de la lumière, des peines, de David et de Judas, j’ai voulu mettre en exergue la valeur de la prise de conscience, qu’on doit transformer en un devoir de vigilance et de veille de la part de ceux qui, dans les structures de la vie ecclésiastique et consacrée, exercent le service de gouvernement. En réalité, la force d’une institution, quelle qu’elle soit, ne réside pas dans le fait qu’elle est composée d’hommes parfaits (c’est impossible) mais dans sa volonté de se purifier continuellement; dans sa capacité à reconnaître humblement ses erreurs et à les corriger; dans sa capacité à se relever des chutes, à voir la lumière de Noël provenant de la mangeoire de Bethléem, qui traverse l’histoire et arrive jusqu’à la Parousie.

Il faut donc ouvrir notre cœur à la vraie lumière, Jésus Christ: la lumière qui peut éclairer la vie et transformer nos ténèbres en lumière; la lumière du bien qui l’emporte sur le mal; la lumière de l’amour qui surmonte la haine; la lumière de la vie qui défait la mort; la lumière divine qui transforme tout et tous en lumière; la lumière de notre Dieu: pauvre et riche, miséricordieux et juste, présent et caché, petit et grand.

Souvenons-nous des belles paroles de saint Macaire le Grand, père du désert égyptien du 4ème siècle, qui en parlant de Noël affirme: «Dieu s’est fait petit! L’inaccessible et l’incréé, dans sa bonté infinie et inimaginable, a pris un corps et s’est fait petit. Dans sa bonté, il est descendu de sa gloire. Personne, dans les cieux et sur la terre ne peut comprendre la grandeur de Dieu et personne, dans les cieux et sur la terre ne peut comprendre comment Dieu se fait pauvre et petit pour les pauvres et les petits. Comme est incompréhensible sa grandeur, de même l’est aussi sa petitesse» (cf. Homélie IV, 9-10; XXXII, 7 in: Spirito e fuoco. Omelie spirituali. Collezione II, Qiqajon-Bose, Magnano 1995, pp. 88-89.332-333).

Rappelons-nous que Noël est la fête du Dieu grand qui s’est fait petit et qui dans sa petitesse ne cesse pas d’être grand. Et dans cette dialectique, grand est petit: c’est la tendresse de Dieu. Ce mot que l’esprit du monde cherche toujours à éliminer du dictionnaire: tendresse. Le Dieu grand qui se fait petit, qui est grand et continue à se faire petit» (cf. Homélie à Sainte Marthe, 14 décembre 2017; cf. Homélie à Sainte Marthe, 25 avril 2013).

Noël nous offre chaque année la certitude que la lumière de Dieu continuera à briller malgré notre misère humaine; la certitude que l’Église sortira de ces tribulations, encore plus belle et purifiée et splendide. Car, tous les péchés, les chutes et le mal commis par certains enfants de l’’Eglise ne pourront jamais altérer la beauté de son visage; bien au contraire, ils donnent même la preuve certaine que sa force ne réside pas en nous mais se trouve surtout dans le Christ Jésus, Sauveur du monde et Lumière de l’univers, qui l’aime et a donné sa vie pour elle, son épouse. Noël prouve que les graves maux commis par certains ne pourront jamais ternir tout le bien que l’Église accompli gratuitement dans le monde. Noël garantit que la vraie force de l’Église et de notre travail quotidien, bien des fois caché – comme celui de la Curie, où il y des saints – réside dans l’Esprit Saint qui la guide et la protège à travers les siècles, en transformant même les péchés en occasions de pardon, les chutes en occasions de renouvellement, le mal en occasion de purification et de victoire.

Merci beaucoup et joyeux Noël à tous!

[Bénédiction]

Cette année également je voudrais vous laisser une pensée. C’est un classique: le Précis de théologie ascétique et mystique de Tanquerey, dans sa récente édition réalisée par Mgr Libanori, évêque auxiliaire de Rome, et par le Père Forlai, père spirituel du Séminaire de Rome. Je crois qu’il est bon. Ne pas le lire du début jusqu’à la fin, mais chercher dans la table des matières cette vertu, cette attitude, une chose déterminée… Cela nous sera profitable, pour la conversion de chacun d’entre nous et pour la réforme de l’Église. C’est pour vous!

[02085-FR.02] [Texte original: Français]

Traduzione in lingua inglese

“The night is far gone, the day is near. Let us then lay aside the works of darkness and put on the armour of light” (Rom 13:12).

Dear brothers and sisters,

Filled with the joy and hope that radiate from the countenance of the Holy Child, we gather again this year for the exchange of Christmas greetings, mindful of all the joys and struggles of our world and of the Church.

To you and your co-workers, to all those who serve in the Curia, to the Papal Representatives and the staff of the various Nunciatures, I offer my cordial good wishes for a blessed Christmas. I want to express my gratitude for your daily dedication to the service of the Holy See, the Church and the Successor of Peter. Thank you very much!

Allow me also to offer a warm welcome to the new Substitute of the Secretariat of State, Archbishop Edgar Peña Parra, who began his demanding and important service on 15 October last. The fact that he comes from Venezuela respects the catholicity of the Church and her need to keep expanding her horizons to the ends of the earth. Welcome, dear Archbishop, and best wishes for your work!

Christmas fills us with joy and makes us certain that no sin will ever be greater than God’s mercy; no act of ours can ever prevent the dawn of his divine light from rising ever anew in human hearts. This feast invites us to renew our evangelical commitment to proclaim Christ, the Saviour of the world and the light of the universe. “Christ, ‘holy, blameless, undefiled’ (Heb 7:26) did not know sin (cf. 2 Cor 5:21) and came only to atone for the sins of the people (cf. Heb 2:17). The Church, however, clasping sinners to her bosom, at once holy and always in need of purification, follows constantly the path of penance and renewal. She ‘presses forward amid the persecutions of the world and the consolations of God’”, – amid the persecutions of the spirit of this world and the consolation of the Spirit of God – “announcing the cross and death of the Lord until he comes (cf. 1 Cor 11:26). But by the power of the risen Lord, she is given the strength to overcome, in patience and in love, her sorrows and her difficulties, both those from within and those from without, so that she may reveal in the world, faithfully, albeit with shadows, the mystery of the Lord until, in the end, it shall be manifested in full light” (Lumen Gentium, 8).

In the firm conviction that the light always proves stronger than the darkness, I would like to reflect with you on the light that links Christmas (the Lord’s first coming in humility) to the Parousia (his second coming in glory), and confirms us in the hope that does not disappoint. It is the hope on which our individual lives, and the entire history of the Church and the world, depend. Without hope, how unsightly the Church would be!

Jesus was born in a social, political and religious situation marked by tension, unrest and gloom. His birth, awaited by some yet rejected by others, embodies the divine logic that does not halt before evil, but instead transforms it slowly but surely into goodness. Yet it also brings to light the malign logic that transforms even goodness into evil, in an attempt to keep humanity in despair and in darkness. “The light shines in the darkness, and the darkness did not overcome it” (Jn 1:5).

Each year, Christmas reminds us that God’s salvation, freely bestowed on all humanity, the Church and in particular on us, consecrated persons, does not act independently of our will, our cooperation, our freedom and our daily efforts. Salvation is a gift, true enough, but one that must be accepted, cherished and made to bear fruit (cf. Mt 25:14-30). Being Christian, in general and for us in particular as the Lord’s anointed and consecrated, does not mean acting like an élite group who think they have God in their pocket, but as persons who know that they are loved by the Lord despite being unworthy sinners. Those who are consecrated are nothing but servants in the vineyard of the Lord, who must hand over in due time the harvest and its gain to the owner of the vineyard (cf. Mt 20:1-16).

The Bible and the Church’s history show clearly that even the elect can frequently come to think and act as if they were the owners of salvation and not its recipients, like overseers of the mysteries of God and not their humble ministers, like God’s toll-keepers and not servants of the flock entrusted to their care.

All too often, as a result of excessive and misguided zeal, instead of following God, we can put ourselves in front of him, like Peter, who remonstrated with the Master and thus merited the most severe of Christ’s rebukes: “Get behind me, Satan! For you are setting your mind not on the things of God but on the things of men” (Mk 8:33).

Dear brothers and sisters,

This year, in our turbulent world, the barque of the Church has experienced, and continues to experience, moments of difficulty, and has been buffeted by strong winds and tempests. Many have found themselves asking the Master, who seems to be sleeping: “Teacher, do you not care that we are perishing?” (Mk 4:38). Others, disheartened by news reports, have begun to lose trust and to abandon her. Still others, out of fear, personal interest or other aims, have sought to attack her and aggravate her wounds. Whereas others do not conceal their glee at seeing her hard hit. Many, many others, however, continue to cling to her, in the certainty that “the gates of hell shall not prevail against her” (Mt 16:18).

Meanwhile, the Bride of Christ advances on her pilgrim way amid joys and afflictions, amid successes and difficulties from within and from without. Without a doubt, the difficulties from within are always those most hurtful and most destructive.

Afflictions

Many indeed are the afflictions. All those immigrants, forced to leave their own homelands and to risk their lives, lose their lives, or survive only to find doors barred and their brothers and sisters in our human family more concerned with political advantage and power! All that fear and prejudice! All those people, and especially those children who die each day for lack of water, food and medicine! All that poverty and destitution! All that violence directed against the vulnerable and against women! All those theatres of war both declared and undeclared. All that innocent blood spilled daily! All that inhumanity and brutality around us! All those persons who even today are systematically tortured in police custody, in prisons and in refugee camps in various parts of the world!

We are also experiencing a new age of martyrs. It seems that the cruel and vicious persecution of the Roman Empire has not yet ended. A new Nero is always being born to oppress believers solely because of their faith in Christ. New extremist groups spring up and target churches, places of worship, ministers and members of the faithful. Cabals and cliques new and old live by feeding on hatred and hostility to Christ, the Church and believers. How many Christians even now bear the burden of persecution, marginalization, discrimination and injustice throughout our world. Yet they continue courageously to embrace death rather than deny Christ. How difficult it is, even today, freely to practice the faith in all those parts of the world where religious freedom and freedom of conscience do not exist.

The heroic example of the martyrs and of countless good Samaritans – young people, families, charitable and volunteer movements, and so many individual believers and consecrated persons – cannot, however, make us overlook the counter-witness and the scandal given by some sons and ministers of the Church.

Here I will limit myself to the two scourges of abuse and of infidelity.

The Church has for some time been firmly committed to eliminating the evil of abuse, which cries for vengeance to the Lord, to the God who is always mindful of the suffering experienced by many minors because of clerics and consecrated persons: abuses of power and conscience and sexual abuse.

In my own reflections on this painful subject, I have thought of King David – one of “the Lord’s anointed” (cf. 1 Sam 16:13; 2 Sam 11-12). He, an ancestor of the Holy Child who was also called “the son of David”, was chosen, made king and anointed by the Lord. Yet he committed a triple sin, three grave abuses at once: “sexual abuse, abuse of power and abuse of conscience”. Three distinct forms of abuse that nonetheless converge and overlap.

The story begins, as we know, when the King, although a proven warrior, stayed home to take his leisure, instead of going into battle amid God’s people. David takes advantage, for his own convenience and interest, of his position as king (the abuse of power). The Lord’s anointed, he does as he wills, and thus provokes an irresistible moral decline and a weakening of conscience. It is precisely in this situation that, from the palace terrace, he sees Bathsheba, the wife of Uriah the Hittite, at her bath (cf. 2 Sam 11) and covets her. He sends for her and they lie together (yet another abuse of power, plus sexual abuse). He abuses a married woman whose husband is absent and, to cover his sin, he recalls Uriah and seeks unsuccessfully to convince him to spend the night with his wife. He then orders the captain of his army to expose Uriah to death in battle (a further abuse of power, plus an abuse of conscience). The chain of sin soon spreads and quickly becomes a web of corruption. He stayed home and took it easy.

The sparks of sloth and lust, and “letting down the guard” are what ignite the diabolical chain of grave sins: adultery, lying and murder. Thinking that because he was king, he could have and do whatever he wanted, David tries to deceive Bathsheba’s husband, his people, himself and even God. The king neglects his relationship with God, disobeys the divine commandments, damages his own moral integrity, without even feeling guilty. The “anointed” continues to exercise his mission as if nothing had happened. His only concern was to preserve his image, to keep up appearances. For “those who think they commit no grievous sins against God’s law can fall into a state of dull lethargy. Since they see nothing serious to reproach themselves with, they fail to realize that their spiritual life has gradually turned lukewarm. They end up weakened and corrupted” (Gaudete et Exsultate, 164). From being sinful, they now become corrupt.

Today too, there are consecrated men, “the Lord’s anointed”, who abuse the vulnerable, taking advantage of their position and their power of persuasion. They perform abominable acts yet continue to exercise their ministry as if nothing had happened. They have no fear of God or his judgement, but only of being found out and unmasked. Ministers who rend the ecclesial body, creating scandals and discrediting the Church’s saving mission and the sacrifices of so many of their confrères.

Today too, there are many Davids who, without batting an eye, enter into the web of corruption and betray God, his commandments, their own vocation, the Church, the people of God and the trust of little ones and their families. Often behind their boundless amiability, impeccable activity and angelic faces, they shamelessly conceal a vicious wolf ready to devour innocent souls.

The sins and crimes of consecrated persons are further tainted by infidelity and shame; they disfigure the countenance of the Church and undermine her credibility. The Church herself, with her faithful children, is also a victim of these acts of infidelity and these real sins of “peculation”.

Dear brothers and sisters,

Let it be clear that before these abominations the Church will spare no effort to do all that is necessary to bring to justice whosoever has committed such crimes. The Church will never seek to hush up or not take seriously any case. It is undeniable that some in the past, out of irresponsibility, disbelief, lack of training, inexperience – we need to judge the past with a hermeneutics of the past – or spiritual and human myopia, treated many cases without the seriousness and promptness that was due. That must never happen again. This is the choice and the decision of the whole Church.

This coming February, the Church will restate her firm resolve to pursue unstintingly a path of purification. She will question, with the help of experts, how best to protect children, to avoid these tragedies, to bring healing and restoration to the victims, and to improve the training imparted in seminaries. An effort will be made to make past mistakes opportunities for eliminating this scourge, not only from the body of the Church but also from that of society. For if this grave tragedy has involved some consecrated ministers, we can ask how deeply rooted it may be in our societies and in our families. Consequently, the Church will not be limited to healing her own wounds, but will seek to deal squarely with this evil that causes the slow death of so many persons, on the moral, psychological and human levels.

Dear brothers and sisters,

In discussing this scourge, some within the Church take to task certain communications professionals, accusing them of ignoring the overwhelming majority of cases of abuse that are not committed by clergy – the statistics speak of more than 95% – and accusing them of intentionally wanting to give the false impression that this evil affects the Catholic Church alone. I myself would like to give heartfelt thanks to those media professionals who were honest and objective and sought to unmask these predators and to make their victims’ voices heard. Even if it were to involve a single case of abuse (something itself monstrous), the Church asks that people not be silent but bring it objectively to light, since the greater scandal in this matter is that of cloaking the truth.

Let us all remember that only David’s encounter with the prophet Nathan made him understand the seriousness of his sin. Today we need new Nathans to help so many Davids rouse themselves from a hypocritical and perverse life. Please, let us help Holy Mother Church in her difficult task of recognizing real from false cases, accusations from slander, grievances from insinuations, gossip from defamation. This is no easy task, since the guilty are capable of skillfully covering their tracks, to the point where many wives, mothers and sisters are unable to detect them in those closest to them: husbands, godfathers, grandfathers, uncles, brothers, neighbours, teachers and the like. The victims too, carefully selected by their predators, often prefer silence and live in fear of shame and the terror of rejection.

To those who abuse minors I would say this: convert and hand yourself over to human justice, and prepare for divine justice. Remember the words of Christ: “Whoever causes one of these little ones who believe in me to sin, it would be better for him to have a great millstone fastened around his neck and to be drowned in the depth of the sea. Woe to the world because of scandals! For it is necessary that scandals come, but woe to the man by whom the scandal comes!” (Mt 18:6-7).

Dear brothers and sisters,

Now let me speak of another affliction, namely the infidelity of those who betray their vocation, their sworn promise, their mission and their consecration to God and the Church. They hide behind good intentions in order to stab their brothers and sisters in the back and to sow weeds, division and bewilderment. They always find excuses, including intellectual and even spiritual excuses, to progress unperturbed on the path to perdition.

This is nothing new in the Church’s history. Saint Augustine, in speaking of the good seed and the weeds, says: “Do you perhaps believe, brethren, that weeds cannot spring up even on the thrones of bishops? Do you perhaps think that this is found only lower down and not higher up? Heaven forbid that we be weeds! … Even on the thrones of bishops good grain and weeds can be found; even in the different communities of the faithful good grain and weeds can be found” (Serm. 73, 4: PL 38, 472).

These words of Saint Augustine urge us to remember the old proverb: “The road to hell is paved with good intentions”. They help us realize that the Tempter, the Great Accuser, is the one who brings division, sows discord, insinuates enmity, persuades God’s children and causes them to doubt.

Behind these sowers of weeds, we always find the thirty pieces of silver. The figure of David thus brings us to that of Judas Iscariot, another man chosen by the Lord who sells out his Master and hands him over to death. David the sinner and Judas Iscariot will always be present in the Church, since they represent the weakness that is part of our human condition. They are icons of the sins and crimes committed by those who are chosen and consecrated. United in the gravity of their sin, they nonetheless differ when it comes to conversion. David repented, trusting in God’s mercy; Judas hanged himself.

All of us, then, in order to make Christ’s light shine forth, have the duty to combat all spiritual corruption, which is “worse than the fall of the sinner, for it is a comfortable and self-satisfied form of blindness. Everything then appears acceptable: deception, slander, egotism and other subtle forms of self-centeredness, for ‘even Satan disguises himself as an angel of light’ (2 Cor 11:14). So Solomon ended his days, whereas David, who sinned greatly, was able to make up for his disgrace” (Gaudete et Exsultate, 165).

Joys

Let us now turn to the joys. They have been many in the past year. For example: the successful outcome of the Synod devoted to young people, as the Cardinal Dean mentioned. Then, the progress made in the reform of the Curia. Many people are asking when it will be finished. It will never finish, but the steps forward have been good. For example, the efforts made to achieve clarity and transparency in financial affairs; the praiseworthy work of the Office of the Auditor-General and the AIF; the good results attained by the IOR; the new Law of the Vatican City State; the Decree on labour in the Vatican, and many other less visible results. We can think, speaking of joys, of the new Blesseds and Saints who are “precious stones” adorning the face of the Church and radiating hope, faith and light in our world. Here mention must be made of the nineteen recent martyrs of Algeria: “nineteen lives given for Christ, for his Gospel and for the Algerian people … models of everyday holiness, the holiness of “the saints next door” (Thomas Georgeon, “Nel segno della fraternità”, L’Osservatore Romano, 8 December 2018, p. 6). Then too, the great number of the faithful who each year receive baptism and thus renew the youth of the Church as a fruitful mother, and the many of her children who come home and re-embrace the Christian faith and life. All those families and parents who take their faith seriously and daily pass it on to their children by the joy of their love (cf. Amoris Laetitia, 259-290). And the witness given by so many young people who courageously choose the consecrated life and the priesthood.

Another genuine cause for joy is the great number of consecrated men and women, bishops and priests, who daily live their calling in fidelity, silence, holiness and self-denial. They are persons who light up the shadows of humanity by their witness of faith, love and charity. Persons who work patiently, out of love for Christ and his Gospel, on behalf of the poor, the oppressed and the least of our brothers and sisters; they are not looking to show up on the first pages of newspapers or to receive accolades. Leaving all behind and offering their lives, they bring the light of faith wherever Christ is abandoned, thirsty, hungry, imprisoned and naked (cf. Mt 25:31-46). I think especially of the many parish priests who daily offer good example to the people of God, priests close to families, who know everyone’s name and live lives of simplicity, faith, zeal, holiness and charity. They are overlooked by the mass media, but were it not for them, darkness would reign.

Dear brothers and sisters,

In speaking of light, afflictions, David and Judas, I wanted to stress the importance of a growing awareness that should lead to a duty of vigilance and protection on the part of those entrusted with governance in the structures of ecclesial and consecrated life. In effect, the strength of any institution does not depend on its being composed of men and women who are perfect (something impossible!), but on its willingness to be constantly purified, on its capacity to acknowledge humbly its errors and correct them; and on its ability to get up after falling down. It depends on seeing the light of Christmas radiating from the manger in Bethlehem, on treading the paths of history in order to come at last to the Parousia.

We need, then, to open our hearts to the true light, Jesus Christ. He is the light that can illumine life and turn our darkness into light; the light of goodness that conquers evil; the light of the love that overcomes hatred; the light of the life that triumphs over death; the divine light that turns everything and everyone into light. He is the light of our God: poor and rich, merciful and just, present and hidden, small and great.

Let us keep in mind this splendid passage of Saint Macarius the Great, a fourth-century Desert Father, about Christmas: “God makes himself little! The inaccessible and uncreated One, in his infinite and ineffable goodness, has taken a body and made himself little. In his goodness, he descends from his glory. No one in the heavens or on earth can grasp the greatness of God, and no one in the heavens or on earth can grasp how God makes himself poor and little for the poor and little. As incomprehensible is his grandeur, so too is his littleness” (cf. Ps.-Macarius, Homilies IV, 9-10; XXII, 7: PG 34: 479-480; 737-738).

Let us remember that Christmas is the feast of the “great God who makes himself little and in his littleness does not cease to be great. And in this dialectic of great and little, we find the tenderness of God. A word that worldliness is always trying to take out of the dictionary: tenderness. The great God who becomes little, who is great and continues to become small” (cf. Homily in Santa Marta, 14 December 2017; Homily in Santa Marta, 25 April 2013).

Each year, Christmas gives us the certainty that God’s light will continue to shine, despite our human misery. It gives us the certainty that the Church will emerge from these tribulations all the more beautiful, purified and radiant. All the sins and failings and evil committed by some children of the Church will never be able to mar the beauty of her face. Indeed, they are even a sure proof that her strength does not depend on us but ultimately on Christ Jesus, the Saviour of the world and the light of the universe, who loves her and gave his life for her, his Bride. Christmas gives us the certainty that the grave evils perpetrated by some will never be able to cloud all the good that the Church freely accomplishes in the world. Christmas gives the certainty that the true strength of the Church and of our daily efforts, so often hidden – as in the Curia, with its saints –, rests in the Holy Spirit, who guides and protects her in every age, turning even sins into opportunities for forgiveness, failures into opportunities for renewal, and evil into an opportunity for purification and triumph.

Thank you very much and a Happy Christmas to all!

[Blessing]

This year too, I would like to leave you a little gift. It is a classic: Tanquerey’s Treatise on Ascetic and Mystical Theology , in the recent Italian edition prepared by the Auxiliary Bishop of Rome, Bishop Libanori, and by Father Forlai, the spiritual director of the Roman Seminary. I think it is good. Don’t read it from beginning to end, but look up this or that virtue, disposition or word… It will do us good, for our own reform and the reform of the Church. It is a gift for you!

[02085-EN.02] [Original text: Italian]

Traduzione in lingua tedesca

»Die Nacht ist vorgerückt, der Tag ist nahe. Darum lasst uns ablegen die Werke der Finsternis und anlegen die Waffen des Lichts« (Röm 13,12)

Liebe Brüder und Schwestern,

umfangen von der Freude und der Hoffnung, die vom Antlitz des göttlichen Kindes ausstrahlen, kommen wir auch dieses Jahr wieder zusammen, um Weihnachtswünsche auszutauschen. Dabei tragen wir auch die Mühen und Freuden der Welt und der Kirche in unseren Herzen.

Aufrichtigen Herzens wünsche ich euch, euren Mitarbeitern und all denen, die in der Kurie Dienst tun, sowie den päpstlichen Repräsentanten und den Mitarbeitern der Nuntiaturen ein gnadenreiches Weihnachtsfest. Und ich möchte euch danken für eure tägliche Hingabe im Dienste des Heiligen Stuhls, der Kirche und des Nachfolgers Petri. Vielen Dank!

Gestattet mir auch, den neuen Substituten des Staatssekretariats, Seine Exzellenz Erzbischof Edgar Peña Parra, herzlich willkommen zu heißen, der seinen anspruchsvollen und wichtigen Dienst am 15. Oktober angetreten hat. Seine venezolanische Herkunft spiegelt die Katholizität der Kirche wider wie auch die Notwendigkeit, den Blick immer mehr zu weiten bis hin zu den Enden der Erde. Willkommen, liebe Exzellenz, und gutes Schaffen!

Das Weihnachtsfest erfüllt uns mit Freude und gibt uns die Gewissheit, dass keine Sünde jemals größer sein wird als die Barmherzigkeit Gottes und kein menschliches Tun je verhindern kann, dass die Morgenröte des göttlichen Lichts in den Herzen der Menschen anbricht und immer neu aufscheint. Dieses Fest lädt uns ein, den Auftrag des Evangeliums aufs Neue anzunehmen, Christus, den Retter der Welt und das Licht des Universums, zu verkünden. Wenn Christus »heilig ist, frei vom Bösen, makellos« (Hebr 7,26) und keine Sünde kannte (vgl. 2Kor 5,21) und nur kam, um die Sünden des Volkes zu sühnen (vgl. Hebr 2,17), so schreitet die Kirche, die auch Sünder in ihrem Schoß trägt, die deshalb heilig und makellos ist, doch zugleich immer der Reinigung bedarf, fortwährend auf dem Weg der Buße und Erneuerung voran. »Die Kirche schreitet zwischen den Verfolgungen der Welt und den Tröstungen Gottes auf ihrem Pilgerweg dahin – zwischen den Verfolgungen des Weltgeistes und den Tröstungen des Geistes Gottes – und verkündet das Kreuz und den Tod des Herrn, bis er wiederkommt (vgl. 1Kor 11,26). Von der Kraft des auferstandenen Herrn aber wird sie gestärkt, um ihre Trübsale und Mühen, innere gleichermaßen wie äußere, durch Geduld und Liebe zu besiegen und sein Mysterium, wenn auch schattenhaft, so doch getreu in der Welt zu enthüllen, bis es am Ende im vollen Lichte offenbar werden wird« (Zweites Vatikanisches Konzil, Dogmatische Konstitution Lumen gentium, 8).

Ausgehend von der festen Überzeugung, dass das Licht immer stärker ist als die Finsternis, möchte ich also mit euch über das Licht nachdenken, das Weihnachten – also das erste demütige Kommen – mit der Parusie – dem zweiten Kommen in Herrlichkeit – verbindet und uns in der Hoffnung stärkt, die nie enttäuscht. In jener Hoffnung, von der das Leben eines jeden von uns sowie die ganze Geschichte der Kirche und der Welt abhängen. Eine Kirche ohne Hoffnung wäre schlimm!

Jesus wurde in der Tat in einer gesellschaftspolitischen und religiösen Situation voller Spannung, Aufruhr und Dunkelheit geboren. Seine Geburt, die einerseits erwartet wurde, andererseits auf Ablehnung stieß, steht unter dem Vorzeichen der göttlichen Logik, die nicht vor dem Bösen zurückweicht, sondern es zutiefst und stufenweise zum Guten wandelt, und ebenso unter dem Vorzeichen jener bösartigen Logik, die sogar Gutes in Böses verwandelt, um die Menschheit dazu zu bringen, in Verzweiflung und Finsternis zu verharren: »das Licht leuchtet in der Finsternis und die Finsternis hat es nicht erfasst« (Joh 1,5).

Jedes Jahr erinnert uns Weihnachten jedoch daran, dass Gottes Heil, das der ganzen Menschheit, der Kirche und insbesondere auch uns gottgeweihten Personen unentgeltlich zuteilwird, nicht ohne unseren Willen, ohne unser Zutun, ohne unsere Freiheit, ohne unser tägliches Mühen am Werk ist. Das Heil ist eine Gabe, – das ist wahr – , aber eine Gabe, die angenommen, gehütet und zum Fruchttragen gebracht werden muss (vgl. Mt 25,14-30). Christsein im Allgemeinen und, in unserem Fall, vom Herrn gesalbt und ihm geweiht zu sein, bedeutet nicht, dass wir uns wie ein privilegierter Kreis von Menschen verhalten sollen, die glauben, Gott „in der Tasche“ zu haben, sondern wie Menschen, die wissen, dass sie vom Herrn geliebt werden, obwohl wir unwürdige Sünder sind. Gottgeweihte sind nämlich nichts anderes als Diener im Weinberg des Herrn, die dem Herrn des Weinbergs zur rechten Zeit die Ernte und den Erlös übergeben müssen (vgl. Mt 20,1-16).

Die Bibel und die Geschichte der Kirche zeigen uns, dass oft selbst die von Gott Auserwählten irgendwann anfangen, zu denken und zu glauben und sich so zu verhalten, als seien sie Herren über das Heil und nicht dessen Empfänger, Kontrolleure der Geheimnisse Gottes und nicht ihre demütigen Ausspender, Zollbeamte Gottes und nicht Diener der ihnen anvertrauten Herde.

Oftmals – aus übermäßigem und fehlgeleitetem Eifer – stellt man sich Gott in den Weg, anstatt ihm zu folgen, so wie Petrus, der den Meister kritisierte und sich den heftigsten Tadel einhandelte, den Christus je einem Menschen erteilte: »Tritt hinter mich, du Satan! Denn du hast nicht das im Sinn, was Gott will, sondern was die Menschen wollen« (Mk 8,33).

Liebe Brüder und Schwestern,

in unserer turbulenten Welt hat das Boot der Kirche in diesem Jahr schwierige Zeiten erlebt und erlebt sie weiterhin und ist von Stürmen, ja Orkanen erfasst worden. Viele haben den scheinbar schlafenden Herrn gefragt: »Meister, kümmert es dich nicht, dass wir zugrunde gehen?« (Mk 4,38). Andere begannen, verunsichert durch die Nachrichten, das Vertrauen in die Kirche zu verlieren und sie zu verlassen. Wieder andere haben aus Angst, aus Eigeninteresse oder mit irgendwelchen Hintergedanken versucht, auf den Leib der Kirche einzuprügeln, und haben so ihre Wunden noch vermehrt; andere freuen sich ganz offen, sie solchermaßen angegriffen zu sehen; sehr viele jedoch halten weiterhin treu an ihr fest in der Gewissheit, dass »die Pforten der Unterwelt sie nicht überwältigen werden« (vgl. Mt 16,18).

Währenddessen setzt die Braut Christi ihren Pilgerweg durch Freuden und Leiden, durch Erfolge und äußere wie innere Schwierigkeiten hindurch fort. Gewiss bleiben die inneren Schwierigkeiten immer die schmerzhaftesten und destruktivsten.

Die Betrübnisse

Es gibt viele Anlässe zur Betrübnis: Wie viele Einwanderer – die gezwungen sind, ihre Heimat zu verlassen und ihr Leben zu riskieren – finden den Tod, oder stehen, wenn sie überleben, vor verschlossenen Türen und vor Mitmenschen, denen es nur um politische Erfolge und Macht geht. Wie viel Angst und wie viele Vorurteile! Wie viele Menschen und wie viele Kinder sterben täglich wegen Wasser- und Nahrungsmangel und aufgrund fehlender Medikamente! Wie viel Armut und Elend! Wie viel Gewalt gegen die Schwachen und gegen Frauen! Wie viele Situationen von erklärten und nicht erklärten Kriegen! Wie viel unschuldiges Blut wird jeden Tag vergossen! Wie viel Unmenschlichkeit und Brutalität umgeben uns von allen Seiten! Wie viele Menschen werden auch heute noch in Polizeiwachen, Gefängnissen und Flüchtlingslagern in verschiedenen Teilen der Welt systematisch gefoltert!

Wir erleben tatsächlich auch eine neue Epoche der Märtyrer. Es scheint, dass die grausame und schreckliche Verfolgung des Römischen Reiches kein Ende kennt. Ständig tauchen neue Neros auf, die Gläubige unterdrücken, nur wegen ihres Glaubens an Christus. Neue extremistische Gruppen vermehren sich und nehmen Kirchen, Andachtsstätten, Amtsträger und einfache Gläubige ins Visier. Neue und alte Zirkel und Gruppierungen leben vom Hass und der Feindseligkeit gegenüber Christus, der Kirche und den Gläubigen. Wie viele Christen leben heute noch unter der Bürde von Verfolgung, Ausgrenzung, Diskriminierung und Ungerechtigkeit in weiten Teilen der Welt. Um Christus nicht zu verleugnen, nehmen sie jedoch weiterhin mutig den Tod in Kauf. Wie schwierig ist es auch heute noch in vielen Teilen der Welt, den Glauben frei zu leben, wenn es an Religions- und Gewissensfreiheit fehlt.

Andererseits lässt uns das heroische Beispiel der Märtyrer und der vielen guten Samariter, d.h. der jungen Menschen, der Familien, der karitativ und ehrenamtlich tätigen Vereinigungen sowie der vielen Gläubigen und Gottgeweihten jedenfalls nicht die negativen Zeugnisse und die Skandale einiger Gläubiger und Amtsträger der Kirche vergessen.

Ich beschränke mich hier nur auf die zwei Plagen des Missbrauchs und der Untreue.

Seit einigen Jahren bemüht sich die Kirche ernsthaft um die Beseitigung des Übels des Missbrauchs, das zum Herrn nach Vergeltung schreit, zu Gott, der nie das Leid vergessen wird, das viele Minderjährige durch Geistliche und Gottgeweihte erfahren haben: Missbrauch von Macht, Missbrauch des Gewissens und sexueller Missbrauch.

Als ich an dieses schmerzliche Thema dachte, kam mir die Gestalt des Königs David in den Sinn – der ein »Gesalbter des Herrn« war (vgl. 1Sam 16,13; 2Sam 11-12). Er, von dessen Nachkommenschaft das Göttliche Kind –auch „Sohn Davids“ genannt – abstammt, beging, obwohl er der Auserwählte, König und Gesalbte des Herrn war, eine dreifache Sünde, d.h. einen dreifachen schweren Missbrauch: sexuellen Missbrauch, Missbrauch von Macht und Missbrauch des Gewissens. Drei verschiedene Arten von Missbrauch, die jedoch gemeinsam auftreten und sich überschneiden.

Die Geschichte beginnt, wie wir wissen, als der König, ein erfahrener Kriegsherr, müßig zu Hause bleibt, anstatt mit dem Volk Gottes in die Schlacht zu ziehen. David nützt sein Königsein für seine Bequemlichkeit und seine Interessen aus (Machtmissbrauch). Für den Gesalbten, der sich der Trägheit hingibt, beginnt ein unaufhaltsamer Verfall der Moral und des Gewissens. Und nicht zufällig sieht er in dieser Situation von der Terrasse seines Palastes aus Batseba, die Frau des Hetiters Urija, wie sie badet, und er fühlt sich zu ihr hingezogen (vgl. 2Sam 11). Er schickt nach ihr und schläft mit ihr (ein weiterer Machtmissbrauch und dazu auch sexueller Missbrauch). So missbraucht er eine verheiratete Frau, die allein ist. Um seine Sünde zu vertuschen, ruft er Urija nach Hause zurück und versucht vergeblich, ihn zu überreden, die Nacht mit seiner Frau zu verbringen. Danach befiehlt er dem Heerführer, Urija in der Schlacht dem sicheren Tod auszuliefern (nochmals Machtmissbrauch und Missbrauch des Gewissens). Die Kette der Sünden breitet sich wie ein Ölfleck aus und wird schnell zu einem Netz des Verderbens. Er ist zu Hause geblieben, um dem Müßiggang zu frönen.

Von den kleinen Funken der Trägheit und der Unzucht und vom „Nachlassen der Wachsamkeit“ nimmt die teuflische Kette der schweren Sünden ihren Ausgang: Ehebruch, Lüge und Mord. Sich anmaßend, dass er als König alles tun und alles haben könne, versucht David, den Mann Batsebas, das Volk, sich selbst und sogar Gott zu täuschen. Der König vernachlässigt seine Beziehung zu Gott, übertritt die göttlichen Gebote und verletzt seine eigene moralische Integrität, ohne sich überhaupt schuldig zu fühlen. Der Gesalbte übte seine Funktion weiter aus, als wäre nichts passiert. Es ging ihm nur darum, sein Image und den Schein zu wahren. »Denn wer meint, keine schweren Fehler gegen das Gesetz Gottes zu begehen, kann in einer Art Verblödung oder Schläfrigkeit nachlässig werden. Da er nichts Schlimmes findet, das er sich vorwerfen müsste, bemerkt er die Lauheit nicht, die sich allmählich in seinem geistlichen Leben breitmacht, und am Ende ist er aufgerieben und verdorben« (Apostolisches Schreiben Gaudete et exsultate, 164). Als Sünder endet er schließlich im Verderben.

Auch heute gibt es viele „Gesalbte des Herrn“, Gottgeweihte, die die Schwachen missbrauchen und ihre moralische Macht und Überredungskunst ausnutzen. Sie begehen abscheuliche Taten und üben weiter ihren Dienst aus, als ob nichts wäre; sie fürchten weder Gott noch sein Gericht, sondern haben einzig davor Angst, entdeckt und entlarvt zu werden. Amtsträger, die den Leib der Kirche verletzen, indem sie Skandale verursachen und den Heilsauftrag der Kirche und die aufopferungsvolle Hingabe vieler ihrer Mitbrüder und -schwestern in Misskredit bringen.

Auch heute, liebe Brüder und Schwestern, begeben sich viele Davids ohne mit der Wimper zucken in das Netz des Verderbens und verraten Gott, seine Gebote, die eigene Berufung, die Kirche, das Volk Gottes und das Vertrauen der Kleinen und ihrer Familien. Oft verbirgt sich hinter ihrer übertriebenen Höflichkeit, ihrem tadellosen Eifer und ihrem Engelsgesicht schamlos ein grausamer Wolf, der darauf wartet, unschuldige Seelen zu verschlingen.

Die Sünden und Verbrechen gottgeweihter Personen erhalten eine noch dunklere Färbung von Untreue und Schande und entstellen das Antlitz der Kirche, indem sie ihrer Glaubwürdigkeit schaden. Tatsächlich ist die Kirche zusammen mit ihren treuen Söhnen und Töchtern auch ein Opfer dieser Untreue und dieser im wahrsten Sinne des Wortes „Verbrechen der Veruntreuung“.

Liebe Brüder und Schwestern,

es muss klar sein, dass angesichts dieser Abscheulichkeiten die Kirche keine Mühen scheuen wird, alles Notwendige zu tun, um jeden, der solche Verbrechen begangen hat, der Justiz zu unterstellen. Die Kirche wird nie versuchen, einen Fall zu vertuschen oder unterzubewerten. Es ist unbestreitbar, dass einige Verantwortungsträger in der Vergangenheit aus Leichtfertigkeit, ungläubiger Fassungslosigkeit, mangelnder Qualifikation, Unerfahrenheit – wir müssen die Vergangenheit mit der Hermeneutik der Vergangenheit beurteilen – oder wegen geistlicher und menschlicher Oberflächlichkeit viele Fälle ohne die gebotene Ernsthaftigkeit und nicht schnell genug behandelt haben. Das darf nie wieder vorkommen. Das ist der Wille und die Entscheidung der ganzen Kirche.

Im kommenden Februar wird die Kirche ihren festen Willen bekräftigen, den Weg der Reinigung mit all ihrer Kraft fortzusetzen. Die Kirche wird sich, auch unter Hinzuziehung von Experten, darüber beraten, wie die Kinder zu schützen sind; wie solche Katastrophen vermieden werden können, auf welche Weise man sich der Opfer annehmen und sie reintegrieren kann; wie man die Ausbildung in den Seminaren verbessert. Man wird versuchen, die begangenen Fehler in Chancen zu verwandeln, um dieses Übel nicht nur aus dem Leib der Kirche, sondern auch aus dem der Gesellschaft zu beseitigen. In der Tat, wenn etliche geweihte Amtsträger von dieser schweren Plage befallen sind, stellt sich die Frage, in welchem Ausmaß unsere Gesellschaften und unsere Familien betroffen sein könnten. Die Kirche wird sich daher nicht darauf beschränken, sich um sich selbst zu kümmern, sondern versuchen, dieses Übel, das so viele Menschen langsam zugrunde gehen lässt, auf moralischer, psychologischer und menschlicher Ebene anzugehen.

Liebe Brüder und Schwestern,

wenn über diese Plage gesprochen wird, ereifern sich manche innerhalb der Kirche gegen gewisse Medienschaffende und beschuldigen sie, die überwältigende Mehrheit der Missbrauchsfälle zu ignorieren, die nicht von Geistlichen der Kirche begangen wurden – die Statistiken sprechen von mehr als 95 % - und beschuldigen sie, absichtlich ein falsches Bild verbreiten zu wollen, als ob dieses Übel einzig die katholische Kirche getroffen hätte. Ich hingegen möchte jenen Medienschaffenden ausdrücklich danken, die sachlich und objektiv waren und versucht haben, die Wölfe zu entlarven und den Opfern eine Stimme zu verleihen. Auch wenn es sich um nur einen einzigen Missbrauchsfall handeln würde – dieser stellt an sich schon eine Ungeheuerlichkeit dar –, bittet die Kirche darum, nicht zu schweigen und ihn objektiv ans Licht zu bringen, denn der größere Skandal in dieser Angelegenheit besteht darin, die Wahrheit zu vertuschen.

Denken wir alle daran, dass David nur dank der Begegnung mit dem Propheten Natan die Schwere seiner Sünde begreift. Wir brauchen heute neue Natans, die den vielen Davids helfen, von einem heuchlerischen und perversen Leben aufgerüttelt zu werden. Bitte, helfen wir der heiligen Mutter Kirche bei ihrer schwierigen Aufgabe, nämlich die echten Fälle zu erkennen und sie von den falschen zu unterscheiden, die Anschuldigungen von den Verleumdungen, den Groll von den Unterstellungen, das Gerede von der üblen Nachrede. Es ist eine ziemlich schwierige Aufgabe, da sich die wahren Schuldigen sorgfältig zu verstecken wissen, sodass sogar viele Ehefrauen, Mütter und Schwestern es nicht vermögen, sie unter den ganz Nahestehenden auszumachen: Ehemänner, Paten, Großväter, Onkel, Nachbarn, Lehrer … Auch die Opfer, die von den Tätern genau ausgesucht werden, ziehen es oft vor zu schweigen; sie sind der Angst preisgegeben und werden gefügig aus Scham und aus Furcht, verlassen zu werden.

Und denen, die Minderjährige missbrauchen, möchte ich sagen: Bekehrt euch, stellt euch der menschlichen Justiz und bereitet euch auf die göttliche Gerechtigkeit vor. Erinnert euch dabei an die Worte Christi: »Wer einem von diesen Kleinen, die an mich glauben, Ärgernis gibt, für den wäre es besser, wenn ihm ein Mühlstein um den Hals gehängt und er in der Tiefe des Meeres versenkt würde. Wehe der Welt wegen der Ärgernisse! Es muss zwar Ärgernisse geben; doch wehe dem Menschen, durch den das Ärgernis kommt!« (Mt 18,6-7).

Liebe Brüder und Schwestern,

lasst mich nun über eine andere Betrübnis sprechen, d.h. über die Untreue derer, die ihre Berufung verraten, ihren Eid, ihre Sendung, ihre Weihe an Gott und an die Kirche; die sich hinter guten Absichten verstecken, um ihren Brüdern und Schwestern in den Rücken zu fallen und Unkraut, Spaltung und Befremden zu säen; Menschen, die immer Rechtfertigungen finden, selbst logischer, selbst spiritueller Art, um auf dem Weg des Verderbens ungestört weiterzugehen.

Und dies ist nichts Neues in der Geschichte der Kirche. Der heilige Augustinus sagt, als er vom guten Weizen und dem Unkraut spricht: »Meint ihr etwa, meine Brüder, dass das Unkraut nicht bis zu den Bischofssitzen gelangen könne? Meint ihr, es sei nur unten und nicht auch oben? O dass wir es doch nicht wären! […] Auch auf den Bischofssitzen gibt es Weizen und Unkraut; auch im Volk gibt es Weizen und Unkraut« (Sermo 73,4: PL 38,472).

Diese Worte des heiligen Augustinus mahnen uns, an das Sprichwort zu denken: „Der Weg zur Hölle ist mit guten Vorsätzen gepflastert.“ Sie helfen uns zu verstehen, dass es nämlich der Versucher, der große Ankläger ist, der spaltet, Zwietracht sät, Feindschaft unterstellt, die Söhne und Töchter überredet und dazu bringt zu zweifeln.

In Wirklichkeit, tatsächlich stehen hinter diesen Leuten, die Unkraut säen, fast immer die dreißig Silberlinge. Hier kommen wir also von der Gestalt des David zu der des Judas Iskariot, eines anderen vom Herrn Erwählten, der seinen Meister verkauft und dem Tod überliefert. Den Sünder David und Judas Iskariot wird es in der Kirche immer geben, da sie die Schwäche darstellen, die zu unserem Menschsein gehört. Sie stehen als Bilder für die Sünden und Verbrechen, die von erwählten und geweihten Personen begangen werden. Die Schwere der Sünde ist ihnen gemeinsam, sie unterscheiden sich jedoch hinsichtlich der Bekehrung. David bereute und vertraute sich der Barmherzigkeit Gottes an, Judas aber brachte sich um.

Wir alle haben also, um das Licht Christi erstrahlen zu lassen, die Pflicht, jede geistliche Korruption zu bekämpfen. Sie ist »schlimmer als der Fall eines Sünders, weil es sich um eine bequeme und selbstgefällige Blindheit handelt, wo schließlich alles zulässig erscheint: Unwahrheit, üble Nachrede, Egoismus und viele subtile Formen von Selbstbezogenheit – denn schon „der Satan tarnt sich als Engel des Lichts“ (2Kor 11,14). So passierte es seinerzeit Salomon, während der große Sünder David sein Elend zu überwinden wusste« (Apostolisches Schreiben Gaudete et exsultate, 165).

Die Freuden

Kommen wir nun zu den Freuden. Dieses Jahr gab es zahlreiche Freuden, zum Beispiel das gute Gelingen der Synode für die Jugend, über die der Kardinaldekan vorhin gesprochen hat. Dann die bisherigen Schritte bei der Reform der Kurie. Viele fragen sich: Wann wird sie enden? Sie wird nie zu Ende sein, aber die gemachten Schritte sind gut. Zum Beispiel die Schaffung von mehr Klarheit und Transparenz im Bereich der Finanzen; die lobenswerten Anstrengungen seitens des Amtes des Generalrevisors und des AIF [Finanzaufsichtsbehörde]; die guten Ergebnisse, die das IOR [Institut für die Werke der Religion] erzielt hat; das neue Gesetz des Staates der Vatikanstadt; das Dekret über die Arbeit im Vatikan und vieles andere, was verwirklicht wurde und weniger sichtbar ist. Denken wir unter den Freuden an die neuen Seligen und Heiligen; sie sind die „Edelsteine“, die das Antlitz der Kirche schmücken und in der Welt Hoffnung, Glauben und Licht ausstrahlen. Hier müssen die neunzehn Märtyrer Algeriens erwähnt werden: »Neunzehn Leben hingegeben für Christus, für sein Evangelium und für das algerische Volk […] Beispiele der allgemeinen Heiligkeit, der Heiligkeit „von nebenan“« (Thomas Georgeon, „Im Zeichen der Brüderlichkeit“, L’Osservatore Romano, 8. Dezember 2018, S. 6); die hohe Zahl an Gläubigen, die jedes Jahr durch den Empfang der Taufe die Jugend der Kirche, der stets fruchtbaren Mutter, erneuern; die sehr zahlreichen Söhne und Töchter, die zurückkehren und sich wieder zum Glauben bekennen und ein christliches Leben führen; die Familien und Eltern, die den Glauben ernsthaft leben und ihn Tag für Tag den eigenen Kindern durch die Freude ihrer Liebe weitergeben (vgl. Apostolisches Schreiben Amoris laetitia, 259-290); das Zeugnis vieler junger Menschen, die den Mut haben und sich für das geweihte Leben oder das Priestertum entscheiden.

Ein echter Grund zur Freude ist auch die große Zahl an gottgeweihten Männern und Frauen, an Bischöfen und Priestern, die täglich ihre Berufung in Treue, Stille, Heiligkeit und Selbstverleugnung leben. Es sind Menschen, die das Dunkel der Menschheit mit ihrem Zeugnis des Glaubens, der Liebe und der Hingabe an den Nächsten erhellen. Menschen, die aus Liebe zu Christus und zu seinem Evangelium geduldig arbeiten zum Wohl der Armen, der Unterdrückten, der Geringsten, ohne danach zu trachten, auf den ersten Seiten der Zeitungen zu erscheinen oder die ersten Plätze einzunehmen. Menschen, die alles zurücklassen und ihr Leben aufopfern und so das Licht des Glaubens dorthin bringen, wo Christus verlassen, durstig, hungrig, im Gefängnis oder nackt ist (vgl. Mt 25,31-46). Und ich denke besonders an die vielen Pfarrer, die jeden Tag dem Volk Gottes ein gutes Beispiel geben, Priester, die den Familien nahe sind, die Namen aller kennen und ihr Leben in Einfachheit, Glauben, Hingabe, Heiligkeit und Nächstenliebe führen. Es sind Menschen, die von den Massenmedien vergessen werden, aber ohne die Dunkelheit herrschen würde.

Liebe Brüder und Schwestern,

wenn ich vom Licht, vom Leid, von David und Judas gesprochen habe, so wollte ich die Bedeutung des Bewusstseins hervorheben, das zu einer Pflicht zur Wachsamkeit und Aufsicht werden muss auf Seiten derer, die innerhalb der Strukturen des kirchlichen und geweihten Lebens den Dienst der Leitung ausüben. Tatsächlich liegt die Stärke jeder Institution nicht darin, dass sie aus perfekten Menschen zusammengesetzt ist (dies ist unmöglich), sondern dass sie den Willen dazu hat, sich beständig zu reinigen; dass sie die Fähigkeit besitzt, demütig Fehler einzugestehen und zu korrigieren; dass sie in der Lage ist, wieder aufzustehen, wenn sie gefallen ist; dass sie das Licht von Weihnachten sieht, das von der Krippe in Betlehem kommt, die Geschichte durchläuft und bis zur Parusie reicht.

Es ist also notwendig, dass wir unser Herz dem wahren Licht öffnen, Jesus Christus: Er ist das Licht, das unser Leben hell machen und unsere Finsternis in Licht verwandeln kann; das Licht des Guten, das das Böse besiegt; das Licht der Liebe, dass den Hass überwindet; das Licht des Lebens, dass den Tod bezwingt; das göttliche Licht, dass alles und alle in Licht verwandelt; das Licht unseres Gottes: arm und reich, barmherzig und gerecht, anwesend und verborgen, klein und groß.

Erinnern wir uns an die wunderbaren Worte eines ägyptischen Wüstenvaters aus dem vierten Jahrhundert, des heiligen Makarios des Großen, der über Weihnachten sagt: »Gott macht sich klein! Der unzugängliche und unerschaffene Gott hat aus grenzenloser und unbegreiflicher Huld einen Leib angenommen und sich klein gemacht. In seiner Huld ist er von seiner Herrlichkeit herabgestiegen. Niemand im Himmel und auf Erden vermag die Größe Gottes zu fassen, ebenso vermag niemand im Himmel und auf Erden zu begreifen, wie Gott sich arm und klein macht für die Armen und Kleinen. Denn wie seine Größe, so ist auch seine Erniedrigung unfassbar« (vgl. Homilien IV,9-10; XXXII,7).

Denken wir daran: Weihnachten ist das Fest des »große[n] Gott[es], der klein wird und in seiner Kleinheit nicht aufhört, groß zu sein. Und in dieser Dialektik ist der Kleine groß. Das ist die Zärtlichkeit Gottes. Dieses Wort „Zärtlichkeit“ will die weltliche Gesinnung immer aus dem Wörterbuch streichen. Der große Gott, der klein wird; der groß ist und sich immer wieder klein macht« (vgl. Homilie in S. Marta, 14. Dezember 2017; Homilie in S. Marta, 25. April 2013).

Weihnachten schenkt uns jedes Jahr die Gewissheit, dass das Licht Gottes weiter leuchten wird trotz unserer menschlichen Schwäche; die Gewissheit, dass die Kirche aus diesen Plagen herauskommen wird, noch schöner, reiner und strahlender. Denn alle Sünden, die Stürze und das von einigen Söhnen und Töchtern der Kirche begangene Böse werden die Schönheit ihres Antlitzes nie verdunkeln können, vielmehr werden sie sogar der sichere Beweis dafür sein, dass ihre Kraft nicht von uns kommt, sondern vor allem von Jesus Christus, dem Retter der Welt und Licht des Universums, der die Kirche liebt und sein Leben für sie, seine Braut, hingegeben hat. Weihnachten gibt uns den Beweis, dass die schweren Übel, die von einigen begangenen wurden, all das Gute, das die Kirche unentgeltlich in der Welt wirkt, nie verdunkeln können. Weihnachten gibt uns die Gewissheit, dass die wahre Kraft der Kirche und unseres täglichen Arbeitens, das oft im Verborgenen geschieht, im Heiligen Geist liegt. – So ist es auch bei der Römischen Kurie, wo es Heilige gibt. – Der Heilige Geist leitet und beschützt die Kirche durch die Jahrhunderte und verwandelt dabei selbst die Sünden in Gelegenheiten zur Vergebung, die Stürze in Gelegenheiten zur Erneuerung, das Böse in Gelegenheit zur Reinigung und zum Sieg.

Vielen Dank und allen ein gesegnetes Weihnachtsfest!

[Segen]

Auch in diesem Jahr möchte ich Ihnen ein Andenken mitgeben. Es ist ein Klassiker: Das Kompendium der aszetischen und mystischen Theologie von Tanquerey, hier in der kürzlich erschienen Ausgabe, die von Weihbischof Libanori aus Rom und von Pater Forlai erarbeitet worden ist. Ich glaube, dass sie gut ist. Man lese nicht alles in einem Zug durch, sondern suche im Inhaltsverzeichnis nach einzelnen Themen: diese Tugend, jene Haltung oder eine andere Sache … Es wird gut tun für die innere Reform eines jeden von uns und für die Reform der Kirche. Es ist für Sie!

[02085-DE.01] [Originalsprache: Italien]

Traduzione in lingua spagnola

«La noche está avanzada, el día está cerca: dejemos, pues, las obras de las tinieblas y pongámonos las armas de la luz» (Rm 13,12).

Queridos hermanos y hermanas:

Inundados por el gozo y la esperanza que brillan en la faz del Niño divino, nos reunimos nuevamente este año para expresarnos las felicitaciones navideñas, con el corazón puesto en las dificultades y alegrías del mundo y de la Iglesia.

Os deseo sinceramente una santa Navidad a vosotros, a vuestros colaboradores, a todas las personas que prestan servicio en la Curia, a los Representantes pontificios y a los colaboradores de las nunciaturas. Y deseo agradeceros vuestra dedicación diaria al servicio de la Santa Sede, de la Iglesia y del Sucesor de Pedro. Muchas gracias.

Permitidme también darle una cálida bienvenida al nuevo Sustituto de la Secretaría de Estado, Mons. Edgar Peña Parra, que el pasado 15 de octubre comenzó su delicado e importante servicio. Su origen venezolano refleja la catolicidad de la Iglesia y la necesidad de abrir cada vez más el horizonte hasta abarcar los confines de la tierra. Bienvenido, Excelencia, y buen trabajo.

La Navidad es la fiesta que nos llena de alegría y nos da la seguridad de que ningún pecado es más grande que la misericordia de Dios y que ningún acto humano puede impedir que el amanecer de la luz divina nazca y renazca en el corazón de los hombres. Es la fiesta que nos invita a renovar el compromiso evangélico de anunciar a Cristo, Salvador del mundo y luz del universo. Porque si «Cristo, “santo, inocente, inmaculado” (Hb 7,26), no conoció el pecado (cf. 2 Co 5,21), sino que vino únicamente a expiar los pecados del pueblo (cf. Hb 2,17), la Iglesia encierra en su propio seno a pecadores, y siendo al mismo tiempo santa e inmaculada y necesitada de purificación, avanza continuamente por la senda de la penitencia y de la renovación. La Iglesia “va peregrinando entre las persecuciones del mundo y los consuelos de Dios” —entre las persecuciones del espíritu mundano y las consolaciones del Espíritu de Dios— anunciando la cruz del Señor hasta que venga (cf. 1 Co 11,26). Está fortalecida, con la virtud del Señor resucitado, para triunfar con paciencia y caridad de sus aflicciones y dificultades, tanto internas como externas, y revelar al mundo fielmente su misterio, aunque sea entre penumbras, hasta que se manifieste en todo el esplendor al final de los tiempos» (Conc. Ecum. Vat. II, Const. dogm. Lumen gentium, 8).

Apoyándonos en la firme convicción de que la luz es siempre más fuerte que la oscuridad, me gustaría reflexionar con vosotros sobre la luz que une la Navidad —es decir, la primera venida en humildad— a la Parusía —segunda venida en esplendor— y nos confirma en la esperanza que nunca defrauda. Esa esperanza de la que depende la vida de cada uno de nosotros y toda la historia de la Iglesia y del mundo. Sería fea una Iglesia sin esperanza.

Jesús, en realidad, nace en una situación sociopolítica y religiosa llena de tensión, agitación y oscuridad. Su nacimiento, por una parte esperado y por otra rechazado, resume la lógica divina que no se detiene ante el mal, sino que lo transforma radical y gradualmente en bien, y también la lógica maligna que transforma incluso el bien en mal para postrar a la humanidad en la desesperación y en la oscuridad: «La luz brilla en la tiniebla, y la tiniebla no lo recibió» (Jn 1,5).

Sin embargo, la Navidad nos recuerda cada año que la salvación de Dios, dada gratuitamente a toda la humanidad, a la Iglesia y en particular a nosotros, personas consagradas, no actúa sin nuestra voluntad, sin nuestra cooperación, sin nuestra libertad, sin nuestro esfuerzo diario. La salvación es un don, esto es verdad, pero un don que hay que acoger, custodiar y hacer fructificar (cf. Mt 25,14-30). Por lo tanto, para el cristiano en general, y en particular para nosotros, el ser ungidos, consagrados por el Señor no significa comportarnos como un grupo de personas privilegiadas que creen que tienen a Dios en el bolsillo, sino como personas que saben que son amadas por el Señor a pesar de ser pecadores e indignos. En efecto, los consagrados no son más que servidores en la viña del Señor que deben dar, a su debido tiempo, la cosecha y lo obtenido al Dueño de la viña (cf. Mt 20,1-16).

La Biblia y la historia de la Iglesia nos enseñan que muchas veces, incluso los elegidos, andando en el camino, empiezan a pensar, a creerse y a comportarse como dueños de la salvación y no como beneficiarios, como controladores de los misterios de Dios y no como humildes distribuidores, como aduaneros de Dios y no como servidores del rebaño que se les ha confiado.

Muchas veces ―por un celo excesivo y mal orientado― en lugar de seguir a Dios nos ponemos delante de él, como Pedro, que criticó al Maestro y mereció el reproche más severo que Cristo nunca dirigió a una persona: «¡Ponte detrás de mí, Satanás! ¡Tú piensas como los hombres, no como Dios!» (Mc 8,33).

Queridos hermanos y hermanas:

Este año, en el mundo turbulento, la barca de la Iglesia ha vivido y vive momentos de dificultad, y ha sido embestida por tormentas y huracanes. Muchos se han dirigido al Maestro, que aparentemente duerme, para preguntarle: «Maestro, ¿no te importa que perezcamos?» (Mc 4,38); otros, aturdidos por las noticias comenzaron a perder la confianza en ella y a abandonarla; otros, por miedo, por intereses, por un fin ulterior, han tratado de golpear su cuerpo aumentando sus heridas; otros no ocultan su deleite al verla zarandeada; muchos otros, sin embargo, siguen aferrándose a ella con la certeza de que «el poder del infierno no la derrotará» (Mt 16,18).

Mientras tanto, la Esposa de Cristo continúa su peregrinación en medio de alegrías y aflicciones, en medio de éxitos y dificultades, externas e internas. Ciertamente, las dificultades internas siguen siendo siempre las más dolorosas y más destructivas.

Las aflicciones

Son muchas las aflicciones: cuántos inmigrantes —obligados a abandonar sus países de origen y arriesgar sus vidas— hallan la muerte, o sobreviven pero se encuentran con las puertas cerradas y sus hermanos de humanidad entregados a las conquistas políticas y de poder. Cuánto miedo y prejuicio. Cuántas personas y cuántos niños mueren cada día por la falta de agua, alimentos y medicinas. Cuánta pobreza y miseria. Cuánta violencia contra los débiles y contra las mujeres. Cuántos escenarios de guerras, declaradas y no declaradas. Cuánta sangre inocente se derrama cada día. Cuánta inhumanidad y brutalidad nos rodean por todas partes. Cuántas personas son sistemáticamente torturadas todavía hoy en las comisarías de policía, en las cárceles y en los campos de refugiados en diferentes lugares del mundo.

Vivimos también, en realidad, una nueva era de mártires. Parece que la persecución cruel y atroz del imperio romano no tiene fin. Continuamente nacen nuevos Nerones para oprimir a los creyentes, solo por su fe en Cristo. Nuevos grupos extremistas se multiplican, tomando como punto de mira a iglesias, lugares de culto, ministros y simples fieles. Viejos y nuevos círculos y conciliábulos viven alimentándose del odio y la hostilidad hacia Cristo, la Iglesia y los creyentes. Cuántos cristianos, en tantas partes del mundo, viven todavía hoy bajo el peso de la persecución, la marginación, la discriminación y la injusticia. Sin embargo, siguen abrazando valientemente la muerte para no negar a Cristo. Qué difícil es vivir hoy libremente la fe en tantas partes del mundo donde no hay libertad religiosa y libertad de conciencia.

Por otro lado, el ejemplo heroico de los mártires y de numerosos buenos samaritanos, es decir, de los jóvenes, de las familias, de los movimientos caritativos y de voluntariado, y de muchas personas fieles y consagradas, no nos hace olvidar, sin embargo, el antitestimonio y los escándalos de algunos hijos y ministros de la Iglesia.

Me limito aquí solo a las dos heridas de los abusos y de la infidelidad.

Desde hace varios años, la Iglesia se está comprometiendo seriamente por erradicar el mal de los abusos, que grita la venganza del Señor, del Dios que nunca olvida el sufrimiento experimentado por muchos menores a causa de los clérigos y personas consagradas: abusos de poder, de conciencia y sexuales.

Pensando en este tema doloroso me vino a la mente la figura del rey David, un «ungido del Señor» (cf. 1 S 16,13 - 2 S 11-12). Él, de cuyo linaje deriva el Niño divino —llamado también el “hijo de David”—, a pesar de ser un elegido, rey y ungido por el Señor, cometió un triple pecado, es decir, tres graves abusos a la vez: abuso sexual, de poder y de conciencia. Tres abusos distintos, que sin embargo convergen y se superponen.

La historia comienza —como sabemos— cuando el rey, siendo un guerrero experto, se quedó holgazaneando en casa en vez de ir a la batalla en medio del pueblo de Dios. David se aprovecha, para su conveniencia y su interés, de ser el rey (abuso de poder). El ungido, abandonándose a la comodidad, comienza un irrefrenable declive moral y de conciencia. Y es precisamente en este contexto que él, desde la terraza del palacio, ve a Betsabé, mujer de Urías, el hitita, mientras se bañaba y se siente atraído (cf. 2 S 11). Manda llamarla y se une a ella (otro abuso de poder, más abuso sexual). Así, abusa de una mujer casada y sola y, para cubrir su pecado, llama a Urías e intenta sin conseguirlo convencerlo de que pase la noche con su mujer. Y, posteriormente, ordena al jefe del ejército que exponga a Urías a una muerte segura en la batalla (otro abuso de poder, más abuso de conciencia). La cadena del pecado se alarga como una mancha de aceite y rápidamente se convierte en una red de corrupción. Él se quedó holgazaneando en casa.

De las chispas de la pereza y de la lujuria, y del “bajar la guardia” comienza la cadena diabólica de pecados graves: adulterio, mentira y homicidio. Presumiendo que al ser rey puede hacer todo y obtener todo, David también trata de engañar al marido de Betsabé, a la gente, a sí mismo e incluso a Dios. El rey descuida su relación con Dios, infringe los mandamientos divinos, daña su propia integridad moral sin siquiera sentirse culpable. El ungido seguía ejerciendo su misión como si nada hubiera pasado. Lo único que le importaba era salvaguardar su imagen y su apariencia. «Porque quienes sienten que no cometen faltas graves contra la Ley de Dios, pueden descuidarse en una especie de atontamiento o adormecimiento. Como no encuentran algo grave que reprocharse, no advierten esa tibieza que poco a poco se va apoderando de su vida espiritual y terminan desgastándose y corrompiéndose» (Exhort. ap. Gaudete et exsultate, 164). De pecadores acaban convirtiéndose en corruptos.

También hoy hay muchos “ungidos del Señor”, hombres consagrados, que abusan de los débiles, valiéndose de su poder moral y de la persuasión. Cometen abominaciones y siguen ejerciendo su ministerio como si nada hubiera sucedido; no temen a Dios ni a su juicio, solo temen ser descubiertos y desenmascarados. Ministros que desgarran el cuerpo de la Iglesia, causando escándalo y desacreditando la misión salvífica de la Iglesia y los sacrificios de muchos de sus hermanos.

También hoy, queridos hermanos y hermanas, muchos David, sin pestañear, entran en la red de corrupción, traicionan a Dios, sus mandamientos, su propia vocación, la Iglesia, el pueblo de Dios y la confianza de los pequeños y sus familiares. A menudo, detrás de su gran amabilidad, su labor impecable y su rostro angelical, ocultan descaradamente a un lobo atroz listo para devorar a las almas inocentes.

Los pecados y crímenes de las personas consagradas adquieren un tinte todavía más oscuro de infidelidad, de vergüenza, y deforman el rostro de la Iglesia socavando su credibilidad. En efecto, también la Iglesia, junto con sus hijos fieles, es víctima de estas infidelidades y de estos verdaderos y propios “delitos de malversación”.

Queridos hermanos y hermanas:

Está claro que, ante estas abominaciones, la Iglesia no se cansará de hacer todo lo necesario para llevar ante la justicia a cualquiera que haya cometido tales crímenes. La Iglesia nunca intentará encubrir o subestimar ningún caso. Es innegable que algunos responsables, en el pasado, por ligereza, por incredulidad, por falta de preparación, por inexperiencia —tenemos que juzgar el pasado con la hermenéutica del pasado— o por superficialidad espiritual y humana han tratado muchos casos sin la debida seriedad y rapidez. Esto nunca debe volver a suceder. Esta es la elección y la decisión de toda la Iglesia.

En el próximo mes de febrero, la Iglesia reiterará su firme voluntad de continuar, con toda su fuerza, en el camino de la purificación. La Iglesia se cuestionará, valiéndose también de expertos, sobre cómo proteger a los niños; cómo evitar tales desventuras, cómo tratar y reintegrar a las víctimas; cómo fortalecer la formación en los seminarios. Se buscará transformar los errores cometidos en oportunidades para erradicar este flagelo no solo del cuerpo de la Iglesia sino también de la sociedad. De hecho, si esta gravísima desgracia ha golpeado algunos ministros consagrados, la pregunta es: ¿Cuánto podría ser profunda en nuestra sociedad y en nuestras familias? Por eso, la Iglesia no se limitará a curarse a sí misma, sino que tratará de afrontar este mal que causa la muerte lenta de tantas personas, a nivel moral, psicológico y humano.

Queridos hermanos y hermanas:

Hablando de esta herida, algunos dentro de la Iglesia, se alzan contra ciertos agentes de la comunicación, acusándolos de ignorar la gran mayoría de los casos de abusos, que no son cometidos por ministros de la Iglesia —las estadísticas hablan de más del 95%—, y acusándolos de querer dar de forma intencional una imagen falsa, como si este mal golpeara solo a la Iglesia Católica. En cambio, me gustaría agradecer sinceramente a los trabajadores de los medios que han sido honestos y objetivos y que han tratado de desenmascarar a estos lobos y de dar voz a las víctimas. Incluso si se tratase solo de un caso de abuso ―que ya es una monstruosidad por sí mismo― la Iglesia pide que no se guarde silencio y salga a la luz de forma objetiva, porque el mayor escándalo en esta materia es encubrir la verdad.

Todos recordamos que fue solo a través del encuentro con el profeta Natán como David entendió la gravedad de su pecado. Hoy necesitamos nuevos Natán que ayuden a muchos David a despertarse de su vida hipócrita y perversa. Por favor, ayudemos a la santa Madre Iglesia en su difícil tarea, que es reconocer los casos verdaderos, distinguiéndolos de los falsos, las acusaciones de las calumnias, los rencores de las insinuaciones, los rumores de las difamaciones. Una tarea muy difícil porque los verdaderos culpables saben esconderse tan bien que muchas esposas, madres y hermanas no pueden descubrirlos entre las personas más cercanas: esposos, padrinos, abuelos, tíos, hermanos, vecinos, maestros… Incluso las víctimas, bien elegidas por sus depredadores, a menudo prefieren el silencio e incluso, vencidas por el miedo, se ven sometidas a la vergüenza y al terror de ser abandonadas.

Y a los que abusan de los menores querría decirles: convertíos y entregaos a la justicia humana, y preparaos a la justicia divina, recordando las palabras de Cristo: «Al que escandalice a uno de estos pequeños que creen en mí, más le valdría que le colgasen una piedra de molino al cuello y lo arrojasen al fondo del mar. ¡Ay del mundo por los escándalos! Es inevitable que sucedan escándalos, ¡pero ay del hombre por el que viene el escándalo!» (Mt 18,6-7).

Queridos hermanos y hermanas:

Ahora permitidme hablar también de otra aflicción, a saber, la infidelidad de quienes traicionan su vocación, su juramento, su misión, su consagración a Dios y a la Iglesia; aquellos que se esconden detrás de las buenas intenciones para apuñalar a sus hermanos y sembrar la discordia, la división y el desconcierto; personas que siempre encuentran justificaciones, incluso lógicas, incluso espirituales, para seguir recorriendo sin obstáculos el camino de la perdición.

Y esto no es nada nuevo en la historia de la Iglesia. San Agustín, hablando del trigo bueno y de la cizaña, afirma: «¿Pensáis, hermanos, que la cizaña no sube a las cátedras episcopales? ¿Pensáis que está abajo y no arriba? Ojalá no seamos cizaña. […] En las cátedras episcopales hay trigo y hay cizaña; y en las comunidades de fieles hay trigo y hay cizaña» (Sermo 73, 4: PL 38, 472).

Estas palabras de san Agustín nos exhortan a recordar el proverbio: «El camino del infierno está lleno de buenas intenciones»; y nos ayudan a comprender que el Tentador, el Gran Acusador, es el que divide, siembra la discordia, insinúa la enemistad, persuade a los hijos y los lleva a dudar.

En realidad, las treinta monedas de plata están casi siempre detrás de estos sembradores de cizaña. Aquí la figura de David nos lleva a la de Judas el Iscariote, otro elegido por el Señor que vende y entrega a su maestro a la muerte. David el pecador y Judas Iscariote siempre estarán presentes en la Iglesia, ya que representan la debilidad que forma parte de nuestro ser humano. Son iconos de los pecados y de los crímenes cometidos por personas elegidas y consagradas. Iguales en la gravedad del pecado, sin embargo, se distinguen en la conversión. David se arrepintió, confiando en la misericordia de Dios, mientras que Judas se suicidó.

Para hacer resplandecer la luz de Cristo, todos tenemos el deber de combatir cualquier corrupción espiritual, que «es peor que la caída de un pecador, porque se trata de una ceguera cómoda y autosuficiente donde todo termina pareciendo lícito: el engaño, la calumnia, el egoísmo y tantas formas sutiles de autorreferencialidad, ya que «el mismo Satanás se disfraza de ángel de luz» (2 Co 11,14). Así acabó sus días Salomón, mientras el gran pecador David supo remontar su miseria» (Exhort. ap. Gaudete et exsultate, 165).

Las alegrías

Pasamos a las alegrías. Han sido numerosas este año, por ejemplo la feliz culminación del Sínodo dedicado a los jóvenes, de los que hablaba el Cardenal Decano. Los pasos que se han dado hasta ahora en la reforma de la Curia. Muchos se preguntan: ¿Cuándo terminará? Jamás terminará, pero los pasos son buenos. Como pueden ser: los trabajos de clarificación y transparencia en la economía; los encomiables esfuerzos realizados por la Oficina del Auditor General y del AIF; los buenos resultados logrados por el IOR; la nueva Ley del Estado de la Ciudad del Vaticano; el Decreto sobre el trabajo en el Vaticano, y tantos otros logros menos visibles. Recordamos, entre las alegrías, los nuevos beatos y santos que son las “piedras preciosas” que adornan el rostro de la Iglesia e irradian esperanza, fe y luz al mundo. Es necesario mencionar aquí los diecinueve mártires de Argelia: «Diecinueve vidas entregadas por Cristo, por su evangelio y por el pueblo argelino… modelos de santidad común, la santidad de la “puerta de al lado”» (Thomas Georgeon, Nel segno della fraternità: L’Osservatore Romano, 8 diciembre 2018, p. 6); el elevado número de fieles que reciben el bautismo cada año y renuevan la juventud de la Iglesia como una madre siempre fecunda, y los numerosos hijos que regresan a casa y abrazan de nuevo la fe y la vida cristiana; familias y padres que viven seriamente la fe y la transmiten diariamente a sus hijos a través de la alegría de su amor (cf. Exhort. ap. postsin. Amoris laetitia, 259-290); el testimonio de muchos jóvenes que valientemente eligen la vida consagrada y el sacerdocio.

Un gran motivo de alegría es también el gran número de personas consagradas, de obispos y sacerdotes, que viven diariamente su vocación en fidelidad, silencio, santidad y abnegación. Son personas que iluminan la oscuridad de la humanidad con su testimonio de fe, amor y caridad. Personas que trabajan pacientemente por amor a Cristo y a su Evangelio, en favor de los pobres, los oprimidos y los últimos, sin tratar de aparecer en las primeras páginas de los periódicos o de ocupar los primeros puestos. Personas que, abandonando todo y ofreciendo sus vidas, llevan la luz de la fe allí donde Cristo está abandonado, sediento, hambriento, encarcelado y desnudo (cf. Mt 25,31-46). Y pienso especialmente en los numerosos párrocos que diariamente ofrecen un buen ejemplo al pueblo de Dios, sacerdotes cercanos a las familias, que conocen los nombres de todos y viven su vida con sencillez, fe, celo, santidad y caridad. Personas olvidadas por los medios de comunicación pero sin las cuales reinaría la oscuridad.

Queridos hermanos y hermanas:

Cuando hablaba de la luz, de las aflicciones, de David y de Judas, quise evidenciar el valor de la conciencia, que debe transformarse en un deber de vigilancia y de protección de quienes ejercen el servicio del gobierno en las estructuras de la vida eclesiástica y consagrada. En realidad, la fortaleza de cualquier institución no reside en la perfección de los hombres que la forman (esto es imposible), sino en su voluntad de purificarse continuamente; en su habilidad para reconocer humildemente los errores y corregirlos; en su capacidad para levantarse de las caídas; en ver la luz de la Navidad que comienza en el pesebre de Belén, recorre la historia y llega a la Parusía.

Por lo tanto, nuestro corazón necesita abrirse a la verdadera luz, Jesucristo: la luz que puede iluminar la vida y transformar nuestra oscuridad en luz; la luz del bien que vence al mal; la luz del amor que vence al odio; la luz de la vida que derrota a la muerte; la luz divina que transforma todo y a todos en luz; la luz de nuestro Dios: pobre y rico, misericordioso y justo, presente y oculto, pequeño y grande.

Recordamos las maravillosas palabras de san Macario el Grande, padre del desierto egipcio del siglo IV que, hablando de la Navidad, afirma: «Dios se hace pequeño. Lo inaccesible e increado, en su bondad infinita e inimaginable, ha tomado cuerpo y se ha hecho pequeño. En su bondad descendió de su gloria. Nadie en el cielo y en la tierra puede entender la grandeza de Dios y nadie en el cielo y en la tierra puede entender cómo Dios se hace pobre y pequeño para los pobres y los pequeños. Igual que su grandeza es incomprensible, también lo es su pequeñez» (cf. Homilías IV, 9-10; XXXII, 7: en Spirito e fuoco. Omelie spirituali. Colección II, Qiqajon-Bose, Magnano 1995, pp.88-89.332-333).

Recordemos que la Navidad es la fiesta del «gran Dios que se hace pequeño y en su pequeñez no deja de ser grande. Y en esta dialéctica, lo grande es pequeño: está la ternura de Dios. Esa palabra que la mundanidad desea siempre quitar del diccionario: ternura. El Dios grande que se hace pequeño, que es grande y sigue haciéndose pequeño » (cf. Homilía en Santa Marta, 14 diciembre 2017; Homilía en Santa Marta, 25 abril 2013).

La Navidad nos da cada año la certeza de que la luz de Dios seguirá brillando a pesar de nuestra miseria humana; la certeza de que la Iglesia saldrá de estas tribulaciones aún más bella, purificada y espléndida. Porque, todos los pecados, las caídas y el mal cometidos por algunos hijos de la Iglesia nunca pueden oscurecer la belleza de su rostro, es más, nos ofrecen la prueba cierta de que su fuerza no está en nosotros, sino que está sobre todo en Cristo Jesús, Salvador del mundo y Luz del universo, que la ama y dio su vida por ella, su esposa. La Navidad es una manifestación de que los graves males cometidos por algunos nunca ocultarán todo el bien que la Iglesia realiza gratuitamente en el mundo. La Navidad nos da la certeza de que la verdadera fuerza de la Iglesia y de nuestro trabajo diario, a menudo oculto —como el de la Curia, donde hay santos—, reside en el Espíritu Santo, que la guía y protege a través de los siglos, transformando incluso los pecados en ocasiones de perdón, las caídas en ocasiones de renovación, el mal en ocasión de purificación y victoria.

Muchas gracias y Feliz Navidad a todos.

[Bendición]

También este año me gustaría dejaros un pensamiento. Es un clásico: el Compendio de la teología ascética y mística de Tanquerey, pero en la reciente edición elaborada por el Obispo Libanori, Obispo auxiliar de Roma, y por el Padre Forlai, padre espiritual del Seminario de Roma. Creo que es bueno. No leedlo del principio al fin, sino buscad en el índice esa virtud, esa actitud, ese argumento... Nos hará bien, para la reforma de cada uno de nosotros y para la reforma de la Iglesia. Es para vosotros.

[02085-ES.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua portoghese

«A noite adiantou-se e o dia está próximo. Despojemo-nos, por isso, das obras das trevas e revistamo-nos das armas da luz» (Rm 13, 12).

Amados irmãos e irmãs!

Envolvidos pela alegria e a esperança que irradiam do rosto do Deus Menino, também este ano nos encontramos para trocar entre nós as boas-festas natalícias, trazendo no coração todas as canseiras e alegrias do mundo e da Igreja.

Desejo sinceramente um Santo Natal a vós, aos vossos colaboradores, a todas as pessoas que prestam serviço na Cúria, aos Representantes Pontifícios e aos colaboradores das Nunciaturas. E quero agradecer-vos a dedicação com que servis diariamente a Santa Sé, a Igreja e o Sucessor de Pedro. Muito obrigado!

Permiti-me também dar calorosas boas vindas ao novo Substituto da Secretaria de Estado, o Arcebispo D. Edgar Peña Parra, que começou o seu serviço, delicado e importante, no dia 15 de outubro passado. A sua origem venezuelana reflete a catolicidade da Igreja e a necessidade de se abrir cada vez mais os horizontes até aos confins da terra. D. Edgar, bem-vindo e bom trabalho!

O Natal é a festa que nos enche de alegria, dando-nos a certeza de que jamais pecado algum será maior que a misericórdia de Deus e nunca poderá qualquer ato humano impedir à aurora da luz divina de despontar sempre de novo nos corações dos homens; é a festa que nos convida a renovar o compromisso evangélico de anunciar Cristo, Salvador do mundo e luz do universo. De facto, «enquanto Cristo, “santo, inocente, imaculado” (Heb 7, 26), não conheceu o pecado (cf. 2 Cor 5, 21) mas veio apenas expiar os pecados do povo (cf. Heb 2, 17), a Igreja, contendo pecadores no seu próprio seio, simultaneamente santa e sempre necessitada de purificação, exercita continuamente a penitência e a renovação. A Igreja “prossegue a sua peregrinação no meio das perseguições do mundo e das consolações de Deus” [no meio das perseguições do espírito mundano e das consolações do Espírito de Deus], anunciando a cruz e a morte do Senhor até que Ele venha (cf. 1 Cor 11, 26). Mas é robustecida pela força do Senhor ressuscitado, de modo a vencer, pela paciência e pela caridade, as suas aflições e dificuldades tanto internas como externas, e a revelar, velada mas fielmente, o seu mistério, até que por fim se manifeste em plena luz» (Conc. Ecum. Vat. II, Const. dogm. Lumen gentium, 8).

Assim, apoiado na firme convicção de que a luz é sempre mais forte que as trevas, gostaria de refletir convosco sobre a luz que liga o Natal – isto é, a primeira vinda de Jesus na humildade – à Parusia – a segunda vinda na glória – e nos confirma na esperança que nunca dececiona e da qual depende a vida de cada um de nós e toda a história da Igreja e do mundo. Seria penosa uma Igreja sem esperança!

Na realidade, Jesus nasce numa situação sociopolítica e religiosa carregada de tensão, agitação e obscuridade. O seu nascimento, aguardado por uma parte da humanidade e rejeitado por outra, resume a lógica divina que não se detém perante o mal, antes, transforma-o radical e gradualmente em bem, e também a lógica maligna que até o bem transforma em mal para manter a humanidade no desespero e nas trevas: «a Luz brilhou nas trevas, mas as trevas não a receberam» (Jo 1, 5).

Cada ano, porém, o Natal vem lembrar-nos que a salvação de Deus, concedida gratuitamente a toda a humanidade, à Igreja e de modo particular a nós, pessoas consagradas, não atua sem a nossa vontade, sem a nossa cooperação, sem a nossa liberdade, sem o nosso esforço diário. A salvação é um dom – é verdade – mas dom que deve ser recebido, guardado e feito frutificar (cf. Mt 25, 14-30). Assim, ser cristão em geral e, para nós em particular, ser ungidos, consagrados do Senhor, não significa comportar-nos como um círculo de privilegiados que julgam ter Deus às suas ordens, mas como pessoas cientes de que são amadas pelo Senhor não obstante serem pecadoras e indignas. De facto, os consagrados não passam de servos na vinha do Senhor, que, na devida altura, devem dar conta dos frutos recolhidos ao Dono da vinha (cf. Mt 20, 1-16; 21, 33-42).

A Bíblia e a história da Igreja mostram-nos que, muitas vezes, os próprios eleitos, com o passar do tempo, começam a pensar, a crer e a comportar-se como donos da salvação e não como beneficiários, como controladores dos mistérios de Deus e não como humildes distribuidores, como alfandegários de Deus e não como servidores do rebanho que lhes está confiado.

Muitas vezes – por zelo excessivo e mal orientado –, em vez de seguir a Deus, atravessamo-nos diante d’Ele, como Pedro que criticou o Mestre e mereceu a advertência mais severa que alguma vez Cristo tenha feito a uma pessoa: «Vai-te da minha frente, Satanás, porque os teus pensamentos não são os de Deus, mas os dos homens» (Mc 8, 33).

Amados irmãos e irmãs!

No mundo turbulento, a barca da Igreja viveu este ano e vive momentos difíceis, sendo acometida por tempestades e furacões. Muitos puseram-se a pedir a intervenção do Mestre, aparentemente adormecido: «Não te importas que pereçamos?» (Mc 4, 38); outros, aturdidos pelas notícias, começaram a perder a confiança nela e a abandoná-la; outros, por medo, por interesse, com segundas intenções, procuraram malhar no seu corpo, aumentando as suas feridas; outros não escondem o seu prazer por a verem abalada; mas muitíssimos outros continuam a agarrar-se-lhe com a certeza de que «as portas do Abismo nada poderão contra ela» (Mt 16, 18).

Entretanto a Esposa de Cristo prossegue a sua peregrinação entre alegrias e aflições, entre sucessos e dificuldades, externas e internas. Com certeza, as dificuldades internas continuam sempre a ser as mais dolorosas e mais destrutivas.

As aflições

Muitas são as aflições! Quantos migrantes – forçados a deixar a pátria sob risco de vida – encontram a morte, ou quantos sobrevivem, mas acham as portas fechadas e os seus irmãos em humanidade apenas preocupados com ganhos políticos e com o poder! Quanto medo e preconceito! Quantas pessoas e quantas crianças morrem diariamente por falta de água, comida e remédios! Quanta pobreza e miséria! Quanta violência contra os frágeis e contra as mulheres! Quantos cenários de guerras declaradas e não declaradas! Quanto sangue inocente é derramado todos os dias! Quanta desumanidade e brutalidade nos rodeiam por todo o lado! Quantas pessoas são sistematicamente torturadas ainda hoje, em várias partes do mundo, nos comissariados da polícia, nas prisões e nos campos de refugiados!

Na realidade, vivemos também uma nova era de «mártires». A cruel e atroz perseguição do Império Romano parece não conhecer fim. Continuamente nascem novos “neros” para oprimir os crentes, só por causa da sua fé em Cristo. Multiplicam-se novos grupos extremistas, tomando como alvo as igrejas, os lugares de culto, os ministros e os simples fiéis. Novos e velhos círculos e conventículos vivem nutrindo-se de ódio e hostilidade contra Cristo, a Igreja e os crentes. Quantos cristãos vivem ainda hoje, em tantas partes do mundo, sob o peso da perseguição, marginalização, discriminação e injustiça! Mas continuam corajosamente a abraçar a morte, para não renegar a Cristo. Ainda hoje, como é difícil viver livremente a fé em muitas partes do mundo, onde faltam a liberdade religiosa e a liberdade de consciência!

Entretanto o exemplo heroico dos mártires e de inúmeros bons samaritanos, ou seja, de jovens, famílias, movimentos sociocaritativos e de voluntariado e tantos fiéis e consagrados, não nos faz esquecer o contratestemunho e os escândalos dalguns filhos e ministros da Igreja.

Limito-me, aqui, apenas aos dois flagelos dos abusos e da infidelidade.

Desde há vários anos que a Igreja está seriamente empenhada em erradicar o mal dos abusos, que clama por justiça ao Senhor, a Deus que nunca esquece o sofrimento vivido por muitos menores por causa de clérigos e pessoas consagradas: abusos de poder, abusos de consciência e abusos sexuais.

Pensando neste assunto doloroso, veio-me à mente a figura do rei David – um «ungido do Senhor» (cf. 1 Sam 16, 13; 2 Sam 11-12) –, de cuja linhagem provem o Deus Menino – chamado também o «filho de David». Aquele, não obstante fosse eleito, rei e ungido do Senhor, cometeu um triplo pecado, isto é, três graves abusos juntos: abuso sexual, abuso de poder e abuso de consciência. Três abusos distintos, que, todavia, convergem e se sobrepõem.

Como sabemos, a história começa quando o rei, embora sendo perito de guerra, ficou em casa entregando-se ao ócio em vez de ir para a batalha no meio do povo de Deus. David aproveita-se, para seu comodismo e interesse, do facto de ser o rei (abuso de poder). O ungido, abandonando-se ao comodismo, começa o irreprimível declínio moral e de consciência. É precisamente neste contexto que ele, do terraço do palácio real, vê Betsabé, mulher de Urias o Hitita, que toma banho e sente-se atraído para ela (cf. 2 Sam 11). Manda-a chamar e une-se a ela (outro abuso de poder, para além do abuso sexual). Assim abusa duma mulher casada e só; e, para encobrir o seu pecado, chama a casa Urias e procura, em vão, convencê-lo a passar a noite com a esposa. E, sucessivamente, manda ao chefe do exército que exponha Urias a morte certa na batalha (outro abuso de poder, para além do abuso de consciência). A cadeia do pecado alarga-se como uma mancha de óleo e torna-se rapidamente uma rede de corrupção. David ficara em casa, ocioso.

Das cintilações da acédia e da luxúria e do abrandamento da vigilância, começa a cadeia diabólica dos pecados graves: adultério, mentira e homicídio. Presumindo que, sendo rei, podia fazer e obter tudo, David procura também enganar ao marido de Betsabé, ao povo, a si próprio e até a Deus. O rei descuida a sua relação com Deus, transgride os mandamentos divinos, fere a integridade moral própria, não se sentindo sequer culpado. O ungido continuava a exercer a sua missão como se nada tivesse acontecido. A única coisa que lhe importava era salvaguardar a sua imagem e aparência. Pois, «quem não se dá conta de cometer faltas graves contra a Lei de Deus, pode deixar-se cair numa espécie de entorpecimento ou sonolência. Como não encontra nada de grave a censurar-se, não adverte aquela tibieza que pouco a pouco se vai apoderando da sua vida espiritual e acaba por ficar corroído e corrompido» (Francisco, Exort. ap. Gaudete et exsultate, 164). De pecador, acaba por se tornar corrupto.

Hoje, também existem tantos «ungidos do Senhor», homens consagrados, que abusam dos fracos, valendo-se do seu poder moral e de persuasão. Cometem abomínios e continuam a exercer o seu ministério como se nada tivesse acontecido; não temem a Deus nem o seu juízo, mas apenas ser descobertos e desmascarados. Ministros, que dilaceram o corpo da Igreja, causando escândalos e desacreditando a missão salvífica da Igreja e os sacrifícios de muitos dos seus irmãos.

Também hoje, amados irmãos e irmãs, tantos “davides” entram, sem pestanejar, na rede de corrupção, atraiçoam Deus, os seus mandamentos, a própria vocação, a Igreja, o povo de Deus e a confiança dos pequeninos e dos seus familiares. Muitas vezes, por detrás daquela sua desmedida gentileza, impecável atividade e angélica fisionomia, despudoradamente esconde-se um lobo atroz, pronto a devorar as almas inocentes.

Os pecados e crimes das pessoas consagradas matizam-se de cores ainda mais foscas de infidelidade, de vergonha e deformam o rosto da Igreja, minando a sua credibilidade. De facto, a própria Igreja, juntamente com os seus filhos fiéis, é vítima destas infidelidades e destes verdadeiros «crimes de peculato».

Amados irmãos e irmãs!

Fique claro que a Igreja, perante estes abomínios, não poupará esforços fazendo tudo o que for necessário para entregar à justiça toda a pessoa que tenha cometido tais delitos. A Igreja não procurará jamais dissimular ou subestimar qualquer um destes casos. É inegável que no passado alguns responsáveis, por irreflexão, incredulidade, falta de preparação, inexperiência – devemos julgar o passado com a hermenêutica de então – ou por superficialidade espiritual e humana, trataram muitos casos sem a devida seriedade e prontidão. Isto nunca mais deve acontecer. Esta é a opção e a decisão de toda a Igreja.

No próximo mês de fevereiro, a Igreja reiterará a sua firme vontade de prosseguir, com toda a sua força, pelo caminho da purificação. A Igreja, valendo-se também da ajuda dos peritos, questionar-se-á como proteger as crianças; como evitar tais calamidades, como tratar e reintegrar as vítimas; como reforçar a formação nos seminários. Procurar-se-á transformar os erros cometidos em oportunidades para erradicar este flagelo não só do corpo da Igreja, mas também do seio da sociedade. Com efeito, se esta calamidade gravíssima chegou a enredar alguns ministros consagrados, perguntamo-nos quão profunda poderá ser ela nas nossas sociedades e nas nossas famílias? Por isso, a Igreja não se limitará a curar-se, mas procurará enfrentar este mal que causa a morte lenta de tantas pessoas a nível moral, psicológico e humano.

Amados irmãos e irmãs!

Ao falar deste flagelo, alguns – dentro da Igreja – arremetem contra certos operadores da comunicação, acusando-os de ignorar que a maioria absoluta dos casos de abusos não é cometida pelos clérigos da Igreja – as estatísticas apontam para mais de 95% – e acusando-os de querer intencionalmente dar uma imagem falsa, como se este mal tivesse atingido apenas a Igreja Católica. Eu, pelo contrário, gostaria de agradecer sinceramente aos operadores dos mass media que foram honestos e objetivos e que procuraram desmascarar estes lobos e dar voz às vítimas. Mesmo que se tratasse de um único caso de abuso – que de per si já constitui uma monstruosidade –, a Igreja pede que não seja silenciado mas o tragam objetivamente à luz, porque o maior escândalo nesta matéria é o de encobrir a verdade.

Todos nos lembramos de que David só compreendeu a gravidade do seu pecado, graças ao encontro com o profeta Natã. Hoje precisamos de novos “natãs” que ajudem os inúmeros “davides” a despertarem duma vida hipócrita e perversa. Por favor, ajudemos a Santa Mãe Igreja na sua tarefa difícil que é reconhecer os casos verdadeiros distinguindo-os dos falsos, as acusações das calúnias, os rancores das insinuações, os boatos das difamações. Uma tarefa bastante difícil, já que os verdadeiros culpados sabem esconder-se tão escrupulosamente que muitas esposas, mães e irmãs não conseguem descobri-los nas pessoas mais próximas: maridos, padrinhos, avós, tios, irmãos, vizinhos, professores… As próprias vítimas, bem escolhidas pelos seus predadores, muitas vezes preferem o silêncio e, levadas pelo medo, tornam-se até subservientes à vergonha e ao terror de serem abandonadas.

E a quantos abusam dos menores, gostaria de dizer: convertei-vos, entregai-vos à justiça humana e preparai-vos para a justiça divina, lembrando-vos das palavras de Cristo: «se alguém escandalizar um destes pequeninos que creem em Mim, seria preferível que lhe suspendessem do pescoço a mó de um moinho e o lançassem nas profundezas do mar. Ai do mundo, por causa dos escândalos! São inevitáveis, decerto, os escândalos; mas ai do homem por quem vem o escândalo» (Mt 18, 6-7).

Amados irmãos e irmãs!

Permiti que vos fale agora também doutra aflição, ou seja, da infidelidade daqueles que atraiçoam a sua vocação, o seu juramento, a sua missão, a sua consagração a Deus e à Igreja; aqueles que se escondem, por detrás de boas intenções, para apunhalar os seus irmãos e semear joio, divisão e perplexidade; pessoas que sempre encontram justificações, até lógicas, até espirituais, para continuar a percorrer, imperturbáveis, o caminho da perdição.

Isto não é uma novidade na história da Igreja. Santo Agostinho, falando do trigo bom e do joio, diz: «julgais vós, meus irmãos, que o joio não possa elevar-se até às cátedras episcopais? Pensais talvez que aquele exista apenas nas classes inferiores e não nas superiores? Quisera o céu que nós não fôssemos joio! (…) Também nas cátedras episcopais há o trigo e há o joio; e, no meio das várias comunidades de fiéis, há o trigo e há o joio» (Sermão 73, 4: PL 38, 472).

Estas palavras de Santo Agostinho exortam-nos a lembrar o provérbio: «De boas intenções, está o inferno cheio»; e ajudam-nos a compreender que o Tentador, o Grande Acusador, é aquele que divide, semeia discórdia, insinua inimizade e convence os filhos a duvidar.

Na realidade, por trás destes semeadores de joio encontram-se quase sempre as trinta moedas de prata. E, assim, a figura de David leva-nos à de Judas Iscariotes, outro escolhido pelo Senhor que vende e entrega o seu Mestre à morte. David pecador e Judas Iscariotes estarão sempre presentes na Igreja, pois representam a fraqueza que faz parte do nosso ser humano. São ícones dos pecados e crimes cometidos por pessoas eleitas e consagradas. Embora unidos na gravidade do pecado, distinguem-se todavia na conversão. David arrependeu-se entregando-se à misericórdia de Deus, enquanto Judas se suicidou.

Por conseguinte todos nós, para fazer resplandecer a luz de Cristo, temos o dever de combater toda a corrupção espiritual, que «é pior que a queda dum pecador, porque trata-se duma cegueira cómoda e autossuficiente, em que tudo acaba por parecer lícito: o engano, a calúnia, o egoísmo e muitas formas subtis de autorreferencialidade, já que “também Satanás se disfarça em anjo de luz” (2 Cor 11, 14). Assim acabou os seus dias Salomão, enquanto o grande pecador David soube superar a sua miséria» (Francisco, Exort. ap. Gaudete et exsultate, 165).

As alegrias

Passemos às alegrias. Foram numerosas este ano, como, por exemplo, o bom êxito do Sínodo dedicado aos jovens, a que aludia o Cardeal Decano. Os passos realizados até agora na reforma da Cúria. Muitos se interrogam: Quando acabará? Nunca mais acabará, mas os passos são bons. Por exemplo, os trabalhos de clarificação e transparência na economia; os louváveis esforços envidados pelo Departamento do Auditor Geral e pela AIF; os bons resultados alcançados pelo IOR; a nova Lei do Estado da Cidade do Vaticano; o Decreto sobre o trabalho no Vaticano, e tantas outras realizações menos visíveis. Recordamos, entre as alegrias, os novos Beatos e Santos que são as «pedras preciosas» que adornam o rosto da Igreja e irradiam esperança, fé e luz sobre o mundo. Forçoso é mencionar aqui os recentes dezanove mártires da Argélia: «dezanove vidas entregues por Cristo, pelo seu Evangelho e pelo povo argelino, (...) modelos de santidade comum, a santidade “da porta ao lado”» (Tomás Georgeon, «Sob o signo da fraternidade», in: L’Osservatore Romano, 8/XII/2018, p. 6); o elevado número de fiéis que cada ano, ao receber o batismo, renovam a juventude da Igreja, como mãe sempre fecunda, e os inúmeros filhos que regressam a casa e reabraçam a fé e a vida cristã; as famílias e os pais que vivem seriamente a fé e a transmitem diariamente aos próprios filhos através da alegria do seu amor (cf. Francisco, Exort. ap. pós-sinodal Amoris laetitia, 259–290); o testemunho de muitos jovens que escolhem corajosamente a vida consagrada e o sacerdócio.

Um verdadeiro motivo de alegria é também o grande número de consagrados e consagradas, bispos e sacerdotes, que vivem diariamente a sua vocação com fidelidade, em silêncio, na santidade e abnegação. São pessoas que iluminam a escuridão da humanidade, com o seu testemunho de fé, esperança e caridade. Pessoas que, por amor de Cristo e do seu Evangelho, trabalham pacientemente a favor dos pobres, oprimidos e marginalizados, sem procurar aparecer nas primeiras páginas dos jornais nem ocupar os primeiros lugares. Pessoas que, deixando tudo e oferecendo a sua vida, levam a luz da fé aonde Cristo está abandonado, sequioso, faminto, preso e nu (cf. Mt 25, 31-46). E penso de modo particular nos numerosos párocos que dia-a-dia dão bom exemplo ao povo de Deus, sacerdotes próximos das famílias, que conhecem o nome de todos e vivem a sua vida com simplicidade, fé, zelo, santidade e caridade. Pessoas esquecidas pelos mass media, mas sem as quais reinaria a escuridão.

 

Amados irmãos e irmãs!

Falando da luz, das aflições, de David e de Judas, quis colocar em destaque o valor da circunspeção que se deve transformar num dever de vigilância e custódia por parte de quem, nas estruturas da vida eclesiástica e consagrada, exerce o serviço do governo. Na realidade, a força de toda e qualquer instituição não reside em ser composta por homens perfeitos (isto é impossível), mas na sua vontade de se purificar continuamente; na sua capacidade de reconhecer humildemente os erros e corrigi-los; na aptidão para se levantar das quedas; reside em ver a luz do Natal que parte da manjedoura de Belém, percorre a história e chega até à Parusia.

Por isso, é necessário abrir o nosso coração à verdadeira luz: Jesus Cristo. Ele é a luz que pode iluminar a vida e transformar as nossas trevas em luz; a luz do bem que vence o mal; a luz do amor que supera o ódio; a luz da vida que vence a morte; a luz divina que transforma tudo e todos em luz; a luz do nosso Deus: pobre e rico, misericordioso e justo, presente e escondido, pequeno e grande.

Lembremos as palavras estupendas de São Macário o Grande, um padre do deserto egípcio do século IV, que, ao falar do Natal, afirma: «Deus fez-Se pequeno! O inacessível e incriado, na sua bondade infinita e inimaginável, assumiu um corpo e fez-Se pequeno. Na sua bondade, desceu da sua glória. Ninguém, nos céus e sobre a terra, pode compreender a grandeza de Deus e ninguém, nos céus e sobre a terra, pode compreender como Deus Se faz pobre e pequeno para os pobres e os pequenos. Tal como é incompreensível a sua grandeza, assim o é também a sua pequenez» [Homilias IV, 9-10; XXXII, 7, in Spirito e fuoco. Omelie Spirituali, Coleção II (Qiqajon-Bose, Magnano1995), pp. 88-89; 332-333].

Lembremo-nos de que o Natal é a festa do «Deus grande que Se faz pequeno e, na sua pequenez, não cessa de ser grande. E, nesta dialética do grande ser pequeno, está a ternura de Deus; ternura, uma palavra que o mundanismo sempre procura tirar do dicionário. O Deus grande que Se faz pequeno, que é grande e continua a fazer-Se pequeno» (cf. Francisco, Homilia em Santa Marta, 14/XII/2017; Homilia em Santa Marta, 25/IV/2013).

Cada ano, o Natal dá-nos a certeza de que a luz de Deus, não obstante a nossa miséria humana, continuará a brilhar; a certeza de que a Igreja sairá destas tribulações, ainda mais bela, purificada e esplêndida. Com efeito, todos os pecados, as quedas e o mal cometido por alguns filhos da Igreja não poderão jamais obscurecer a beleza do seu rosto; antes, são até a prova certa de que a sua força não se encontra em nós, mas está sobretudo em Cristo Jesus, Salvador do mundo e Luz do universo, que ama a Igreja e deu a sua vida por ela, sua esposa. O Natal prova que os graves males cometidos por alguns não poderão jamais ofuscar todo o bem que a Igreja faz gratuitamente no mundo. O Natal dá-nos a certeza de que a verdadeira força da Igreja e do nosso trabalho diário, tantas vezes escondido como o da Cúria – nela há santos –, está no Espírito Santo que a guia e protege através dos séculos, transformando até os pecados em ocasiões de perdão, as quedas em ocasiões de renovamento, o mal em ocasião de purificação e vitória.

Muito obrigado e feliz Natal a todos!

 

[o Santo Padre dá a Bênção]

 

Também este ano gostaria de vos deixar uma lembrança. É um clássico - o Compêndio de teologia ascética e mística, de Tanquerey –, mas numa edição recente elaborada por D. Libanori, Bispo Auxiliar de Roma, e pelo Padre Forlai, diretor espiritual do Seminário de Roma. Considero-o bom. É melhor não o ler do início ao fim, mas procurar no índice uma virtude particular, uma certa atitude, um tema concreto… Far-nos-á bem, para a reforma de cada um de nós e para a reforma da Igreja. É para vós!

 

[02085-PO.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua polacca

„Noc się posunęła, a przybliżył się dzień. Odrzućmy więc uczynki ciemności, a przyobleczmy się w zbroję światła!”(Rz 13, 12).

Drodzy bracia i siostry,

ogarnięci radością i nadzieją, promieniującymi z oblicza Bożego Dzieciątka, spotykamy się również w tym roku, aby złożyć sobie życzenia bożonarodzeniowe, niosąc w sercu wszystkie znoje i radości świata i Kościoła.

Życzę z głębi serca Świętego Bożego Narodzenia wam, waszym współpracownikom, wszystkim osobom pracującym w Kurii, Przedstawicielom papieskim i współpracownikom nuncjatur. Pragnę wam podziękować za wasze codzienne poświęcenie w służbie Stolicy Świętej, Kościołowi i Następcy Piotra. Dziękuję bardzo!

Pozwólcie mi także serdecznie powitać nowego Substytuta w Sekretariacie Stanu, Jego Ekscelencję abp. Edgara Peñę Parrę, który 15 października rozpoczął swoją delikatną i ważną posługę. Jego wenezuelskie pochodzenie odzwierciedla katolickość Kościoła i potrzebę otwierania coraz bardziej horyzontów, aż po krańce ziemi. Witaj, Ekscelencjo, i dobrej pracy!

Boże Narodzenie to Święta, które napełniają nas radością i dają nam pewność, że żaden grzech nigdy nie będzie większy niż miłosierdzie Boga i żaden czyn ludzki nigdy nie może przeszkodzić w narodzeniu się i odrodzeniu w sercach ludzi jutrzenki Bożego światła. To Święta, które nas zachęcają do odnowienia ewangelicznego zaangażowania w przepowiadanie Chrystusa, Zbawiciela świata i światła wszechświata. Jeśli zaprawdę „Chrystus «święty, niewinny, nieskalany» (Hbr 7, 26), nie znał grzechu (por. 2 Kor 5, 21), lecz przyszedł jedynie dla przebłagania za grzechy ludu (por. Hbr 2, 17), to Kościół, w którego łonie znajdują się grzesznicy, święty i nieskalany, a zarazem ciągle potrzebujący oczyszczenia, nieustannie postępuje na drodze pokuty i odnowy. Kościół «wśród prześladowań świata i pociech Bożych podąża naprzód w pielgrzymce» - wśród prześladowań ze strony ducha tego świata i pociech Ducha Bożego – głosząc krzyż i śmierć Pana, aż przyjdzie (por. 1 Kor 11, 26). Mocą zaś zmartwychwstałego Pana krzepi się, aby swoje utrapienia i trudności, zarówno wewnętrzne, jak i zewnętrzne, przezwyciężać cierpliwością i miłością, a Jego misterium, choć pod osłoną, wiernie przecież objawić w świecie, dopóki się ono na koniec nie ujawni w pełnym świetle” (LG 8).

Opierając się zatem na stanowczym przekonaniu, że światło jest zawsze silniejsze niż ciemności, chciałbym zastanowić się z wami nad światłem, które łączy Boże Narodzenie – czyli pierwsze przyjście w pokorze - z paruzją - powtórnym przyjściem w chwale - i umacnia nas w nadziei, która nigdy nie zawodzi. W tej nadziei, od której zależy życie każdego z nas i cała historia Kościoła oraz świata. Brzydki byłby Kościół bez nadziei!

Jezus rodzi się bowiem w sytuacji społeczno-politycznej i religijnej pełnej napięcia, niepokojów i ciemności. Jego narodziny, z jednej strony oczekiwane a z drugiej odrzucane, przedstawiają logikę Bożą, która nie zatrzymuje się w obliczu zła, ale je raczej przekształca radykalnie i stopniowo w dobro, a także logikę zła, która przemienia nawet dobro w zło, aby doprowadzić ludzkość do trwania w rozpaczy i w ciemnościach: „światłość w ciemności świeci i ciemność jej nie ogarnęła” (J 1, 5).

Co roku Boże Narodzenie przypomina nam jednak, że zbawienie Boga, darmo dane całej ludzkości, Kościołowi, a w szczególności nam, osobom konsekrowanym, nie działa bez naszej woli, bez naszej współpracy, bez naszej wolności, bez naszego codziennego wysiłku. Zbawienie jest darem, to prawda, ale darem, który musi być przyjęty, strzeżony i dobrze wykorzystany (por. Mt 25, 14-30). Zatem bycie chrześcijaninem w ogóle, a zwłaszcza dla nas, bycie namaszczonymi, konsekrowanymi przez Pana nie oznacza zachowywania się jak grono uprzywilejowanych, którzy myślą, że mają Boga w kieszeni, ale jako ludzie, którzy wiedzą, że są miłowani przez Pana, pomimo swej grzeszności i niegodności. Osoby konsekrowane są bowiem jedynie sługami w winnicy Pańskiej, które w odpowiednim czasie muszą zdać żniwo i zysk właścicielowi winnicy (por. Mt 20, 1-16).

Biblia i historia Kościoła dają nam dowód, że wiele razy nawet sami wybrani, przemierzając drogę zaczynają myśleć, wierzyć i zachowywać się jak właściciele zbawienia, a nie korzystający z niego, jak kontrolerzy tajemnic Bożych, a nie jak pokorni szafarze, jak celnicy Boga, a nie jak słudzy powierzonej im owczarni.

Wiele razy – z powodu źle ukierunkowanej nadgorliwości – zamiast iść za Bogiem, stawiamy siebie przez Nim, jak Piotr, który krytykował Nauczyciela i zasłużył na najsurowszą naganę, jaką Chrystus kiedykolwiek skierował do kogoś: „Zejdź Mi z oczu, szatanie, bo nie myślisz o tym, co Boże, ale o tym, co ludzkie” (Mk 8, 33).

Drodzy bracia i siostry,

w niespokojnym świecie łódź Kościoła przeżyła i przeżywa chwile trudne i była dotknięta burzami i huraganami. Wielu pytało Nauczyciela, który zdawał się spać: „Nauczycielu, nic Cię to nie obchodzi, że giniemy?” (Mk 4, 38); inni, zszokowani wiadomościami, zaczęli tracić do niego zaufanie i opuszczać go; inni, ze strachu, z powodu interesów, dla ukrytych motywów, próbowali uderzyć w jego ciało, powiększając jego rany; inni nie kryją radości, widząc, że jest porażony; wielu innych jednak nadal się go trzyma, będąc pewni, że „bramy piekielne go nie przemogą” (Mt 16,18).

Tymczasem Oblubienica Chrystusa kontynuuje swą pielgrzymkę pośród radości i cierpień, pośród sukcesów i trudności zewnętrznych i wewnętrznych. Oczywiście trudności wewnętrzne są zawsze tymi najbardziej bolesnymi i najbardziej destrukcyjnymi.

Cierpienia

Jest wiele cierpień: iluż imigrantów – zmuszonych do opuszczenia swojej ojczyzny i narażania życia na niebezpieczeństwo – napotyka śmierć, albo ilu z tych, którzy ocaleli, spotyka drzwi zamknięte, a swoich braci w człowieczeństwie zajętych zdobyczami politycznymi czy też większej władzy. Ileż strachu i uprzedzeń! Jak wiele osób, jak wiele dzieci umiera każdego dnia z powodu braku wody, jedzenia i lekarstw! Ileż ubóstwa i nędzy! Ile przemocy wymierzonej w słabych i kobiety! Jak wiele wojen wypowiedzianych i niewypowiedzianych! Ileż niewinnej krwi przelewa się każdego dnia! Ile bestialstwa i brutalności otacza nas z każdej strony! Jak wiele osób jest systematycznie torturowanych także i dzisiaj na posterunkach policji, w więzieniach i obozach dla uchodźców w różnych częściach świata.

Żyjemy także w nowej epoce męczenników. Zdaje się, że okrutne i przerażające prześladowania imperium rzymskiego nie mają końca. Rodzą się nieustannie nowi Neroni, by uciskać wierzących, jedynie z powodu ich wiary w Chrystusa. Mnożą się nowe ugrupowania ekstremistyczne, biorące na cel kościoły, miejsca kultu, szafarzy i zwyczajnych wiernych. Nowe i stare kręgi i koterie żywią się nienawiścią i wrogością wobec Chrystusa, Kościoła i ludzi wierzących. Iluż chrześcijan żyje także i dzisiaj pod jarzmem prześladowań, marginalizacji, dyskryminacji i niesprawiedliwości w wielu częściach świata. Jednakże nadal odważnie przyjmują śmierć, aby nie zaprzeć się Chrystusa. Jak trudno także i dzisiaj żyć wiarą w wielu częściach świata, gdzie brakuje wolności religijnej i wolności sumienia!

Z drugiej strony, heroiczny przykład męczenników i bardzo wielu miłosiernych Samarytan, czyli ludzi młodych, rodzin, ruchów charytatywnych i wolontariatu oraz wielu wiernych i osób konsekrowanych nie pozwala nam jednak zapominać o antyświadectwach i zgorszeniu, powodowanych przez niektórych synów i sługi Kościoła.

Ograniczam się tutaj tylko do dwóch plag nadużyć i niewierności.

Kościół od wielu lat jest poważnie zaangażowany w wykorzenienie zła nadużyć, które woła o pomstę do Pana, do Boga, który nigdy nie zapomina o cierpieniu doświadczanym przez wielu małoletnich z powodu duchownych i osób konsekrowanych: nadużyć władzy, sumienia i nadużyć seksualnych.

Kiedy myślę o tej bolesnej kwestii, przychodzi mi na myśl postać króla Dawida – „namaszczonego przez Pana” (por. 1 Sm 16, 13 - 2 Sm 11-12). On, z którego rodu pochodzi Dzieciątko Jezus – zwane również „Synem Dawida” – pomimo, że był wybrany, był królem i namaszczonym przez Pana, popełnił potrójny grzech, czyli wszystkie trzy poważne nadużycia jednocześnie: nadużycie seksualne, władzy i sumienia. Trzy różne nadużycia, które się jednak zbiegają i nakładają się na siebie.

Jak wiemy historia zaczyna się, gdy król pomimo, że znał się na wojnie, przebywał w domu, leniuchując, zamiast pójść do boju pośród ludu Bożego. Dawid wyzyskuje dla swojej korzyści i wygody to, że jest „królem” (nadużycie władzy). Namaszczony, oddając się wygodom, rozpoczyna niepohamowany upadek moralny i sumienia. I to właśnie w tej sytuacji zobaczył z tarasu domu królewskiego Batszebę, żonę Uriasza Chetyty, gdy się kąpała i spodobała się mu (por. 2 Sm 11). Posłał więc, by ją wezwano, zjednoczył się z nią (kolejne nadużycie władzy a ponadto nadużycie seksualne). W ten sposób wykorzystuje kobietę zamężną i samotną, a - żeby ukryć swój grzech - wzywa do domu Uriasza i nadaremnie stara się przekonać go, by spędził noc z żoną. A później rozkazuje wodzowi swej armii wystawienie Uriasza na pewną śmierć w bitwie (kolejne nadużycie władzy, obok nadużycia sumienia). Łańcuch grzechu poszerza się jak plama ropy i szybko staje się siecią demoralizacji. Został w domu, aby leniuchować.

Od iskier gnuśności i pożądliwości, z „zatracenia czujności” rozpoczyna się diabelski łańcuch grzechów ciężkich: cudzołóstwo, kłamstwo i morderstwo. Zakładając, że będąc królem może uczynić wszystko i wszystko dostać, Dawid starał się również oszukać męża Batszeby, ludzi, siebie samego, a nawet Boga. Król zaniedbał swoją relację z Bogiem, przekroczył przykazania Boże, ugodził swoją uczciwość moralną, nie czując się nawet winnym. Namaszczony kontynuował wypełnienie swojej misji, tak jakby nic się nie stało. Zależało mu jedynie na ocaleniu swojego wizerunku i pozorów. „Bowiem osoby, które nie czują, aby dopuszczały się poważnych uchybień przeciwko Prawu Bożemu, mogą postępować w swego rodzaju ogłuszeniu lub odrętwieniu. Ponieważ nie znajdują one w sobie nic poważnego, co mogłyby sobie wyrzucać, nie zauważają tej letniości, która stopniowo opanowuje ich życie duchowe, a ostatecznie marnują się i ulegają zepsuciu” (Adhort. Apost. Gaudete et exsultate, 164). Z grzeszników stają się ostatecznie zepsutymi.

Także i dzisiaj jest wielu „namaszczonych przez Pana”, ludzi konsekrowanych, którzy nadużywają słabych, wykorzystując swoją władzę moralną i siłę przekonywania. Dopuszczają się obrzydliwości i dalej sprawują swoją posługę, jakby nic się nie stało; nie boją się Boga ani Jego sądu, ale boją się, że zostaną wykryci i zdemaskowani. Duchowni, którzy rozdzierają ciało Kościoła, powodując zgorszenie i dyskredytując zbawczą misję Kościoła oraz poświęcenie wielu swoich współbraci.

Także i dzisiaj, drodzy bracia i siostry, wielu Dawidów, bez mrugnięcia okiem, wchodzi w sieć zepsucia, zdradza Boga, Jego przykazania, swoje powołanie, Kościół, lud Boży oraz zaufanie maluczkich i ich rodzin. Często za swoją bezgraniczną uprzejmością, nienaganną pracowitością i anielską twarzą bezwstydnie ukrywają okrutnego wilka gotowego pożreć niewinne dusze.

Grzechy i przestępstwa osób konsekrowanych są zabarwione farbami jeszcze ciemniejszymi niż niewierność, hańba i deformują oblicze Kościoła, podkopując jego wiarygodność. W istocie Kościół, wraz ze swymi wiernymi synami jest również ofiarą tych niewierności i tych prawdziwych „przestępstw sprzeniewierzenia”.

Drodzy bracia i siostry,

Niech będzie jasne, że w obliczu tych obrzydliwości Kościół nie będzie szczędził swych wysiłków, aby uczynić wszystko, co w jego mocy, by przekazać wymiarowi sprawiedliwości każdego, kto popełnił takie zbrodnie. Kościół nigdy nie będzie próbował ukryć ani bagatelizować żadnego przypadku. Nie da się zaprzeczyć, że w przeszłości niektórzy odpowiedzialni, z powodu beztroski, niedowierzania, braku przygotowania, braku doświadczenia – musimy osądzać przeszłość zgodnie z hermeneutyką przeszłości – lub lekkomyślności ludzkiej i duchowej traktowali wiele przypadków bez należytej powagi i gotowości reagowania. To nie może się powtórzyć. Taka jest decyzja i postanowienie całego Kościoła.

W lutym przyszłego roku Kościół potwierdzi swoją stanowczą wolę, by z całą swą mocą iść dalej drogą oczyszczania. Kościół będzie się zastanawiał, korzystając także z pomocy ekspertów, w jaki sposób chronić dzieci; jak uniknąć takich katastrof, jak leczyć i rehabilitować ofiary; jak umocnić formację w seminariach. Będziemy się starali przekształcić popełnione błędy w szanse wykorzenienia tej plagi nie tylko z ciała Kościoła, ale także społeczeństwa. Jeśli bowiem ta niezwykle poważna klęska dotknęła niektórych szafarzy wyświęconych, to można się zastanawiać: jakże bardzo może być ona głęboka w naszych społeczeństwach i w naszych rodzinach? Dlatego Kościół nie ograniczy się do troski o siebie, ale spróbuje zmierzyć się z tym złem, które powoduje powolną śmierć wielu osób, na poziomie moralnym, psychologicznym i ludzkim.

Drodzy bracia i siostry,

Mówiąc o tej pladze, niektórzy w obrębie Kościoła oburzają się na niektórych pracowników środków przekazu, oskarżając ich o pomijane ogromnej przewagi przypadków nadużyć, których nie popełniają duchowni Kościoła – statystyki mówią o ponad 95% – i oskarżają ich o chęć celowego prezentowania fałszywego obrazu, jakby to zło dotknęło tylko Kościoła katolickiego. Ja natomiast chciałbym szczerze podziękować tym pracownikom mediów, którzy byli uczciwi i obiektywni i którzy próbowali zdemaskować te wilki oraz dać głos ofiarom. Nawet jeśli chodziłoby tylko o jeden przypadek nadużycia – stanowiący już sam w sobie potworność – Kościół prosi, by nie milczeć i obiektywnie go wyjawić, ponieważ największym zgorszeniem w tej sprawie jest ukrywanie prawdy.

Wszyscy pamiętamy, że tylko dzięki spotkaniu z prorokiem Natanem Dawid zrozumiał powagę swego grzechu. Dzisiaj potrzebujemy nowych Natanów, aby pomóc wielu Dawidom w przebudzeniu się z życia obłudnego i przewrotnego. Proszę, pomóżmy Świętej Matce Kościołowi w jego trudnym zadaniu, czyli rozpoznaniu przypadków prawdziwych, odróżniając je od fałszywych, oskarżeń od oszczerstw, urazów od insynuacji, pogłosek od zniesławienia. Jest to zadanie dość trudne, ponieważ prawdziwi winni potrafią dobrze się ukrywać, do tego stopnia, że ​​wiele żon, matek i sióstr nie potrafi tego odkryć w osobach najbliższych: mężach, ojcach chrzestnych, dziadkach, wujkach, braciach, sąsiadach, nauczycielach... Również ofiary, dobrze wybrane przez swoich dręczycieli, często wolą milczenie, a nawet, w szponach strachu, poddają się wstydowi i przerażeniu, że zostaną opuszczone.

A tym, którzy dopuszczają się nadużyć wobec nieletnich chciałbym powiedzieć: nawracajcie się i oddajcie się w ręce ludzkiej sprawiedliwości, i przygotujcie się na Bożą sprawiedliwość, pamiętając o słowach Chrystusa: „kto by się stał powodem grzechu dla jednego z tych małych, którzy wierzą we Mnie, temu byłoby lepiej kamień młyński zawiesić u szyi i utopić go w głębi morza. 7 Biada światu z powodu zgorszeń! Muszą wprawdzie przyjść zgorszenia, lecz biada człowiekowi, przez którego dokonuje się zgorszenie!” (Mt 18, 6-7).

Drodzy bracia i siostry,

Teraz pozwólcie mi wspomnieć o innym cierpieniu, czyli niewierności tych, którzy zdradzają swoje powołanie, swoją przysięgę, swoją misję, swoją konsekrację dla Boga i Kościoła; tych, którzy ukrywają się za dobrymi intencjami, aby zadać cios swoim braciom i zasiać niezgodę, podział i zamieszanie; osób, które zawsze znajdują usprawiedliwienie, nawet logiczne, nawet duchowe, aby dalej iść w spokoju drogą zatracenia.

I to nic nowego w historii Kościoła. Święty Augustyn, mówiąc o dobrej pszenicy i kąkolu stwierdza: „Być może myślicie, bracia moi, że kąkol nie może sięgać aż po katedry biskupie? Może myślicie, że jest on jedynie w niższych sferach, ale nie w wyższych? Dałby Bóg, abyśmy nie byli kąkolem! […] Również na katedrach biskupich jest dobra pszenica i kąkol; i pośród różnych wspólnot wiernych jest dobra pszenica i jest również kąkol” (Sermo 73, 4; PL 38, 472).

Te słowa św. Augustyna zachęcają nas, byśmy pamiętali o przysłowiu: „dobrymi chęciami jest piekło wybrukowane” i niech pomagają nam one zrozumieć, że Kusiciel, Wielki Oskarżyciel jest tym, który dzieli, sieje niezgodę, wzbudza wrogość, przekonuje dzieci i prowadzi je do wątpliwości.

W istocie za tymi siewcami kąkolu niemal zawsze jest trzydzieści srebrników. Zatem postać Dawida prowadzi nas do postaci Judasza Iskarioty, kolejnego wybranego przez Pana, który sprzedaje i wydaje swego Mistrza na śmierć. Dawid, grzesznik i Judasz Iskariota zawsze będą obecni w Kościele, ponieważ reprezentują słabość, która jest częścią naszej ludzkiej istoty. Są ikonami grzechów i przestępstw popełnionych przez osoby wybrane i konsekrowane. Połączeni w ciężarze grzechu, różnią się jednak w nawróceniu. Dawid żałował, powierzając się Bożemu miłosierdziu, podczas gdy Judasz popełnił samobójstwo.

Zatem my wszyscy, by zajaśniało światło Chrystusa, mamy obowiązek zwalczania wszelkiego zepsucia duchowego, które „jest gorsze niż upadek grzesznika, ponieważ polega ono na ślepocie wygodnej i samowystarczalnej, przy której w końcu wszystko zdaje się być dopuszczalne: oszustwa, oszczerstwa, egoizm i wiele subtelnych form skoncentrowania na sobie samym, «sam bowiem szatan podaje się za anioła światłości» (2 Kor 11, 14). Tak zakończył swe dni Salomon, podczas gdy wielki grzesznik Dawid potrafił przezwyciężyć swoją nędzę” (Gaudete et exsultate, 165).

Radości

Przejdźmy do radości. Było ich w tym roku wiele, na przykład powodzenie Synodu poświęconego młodzieży, o którym mówił Kardynał Dziekan. Podjęte do tej pory kroki w dziele reformy Kurii. Wielu pyta: kiedy się zakończy? Nigdy się nie zakończy, ale kroki są dobre. Na przykład prace nad wyjaśnieniem i przejrzystością w ekonomii; wzorowe wysiłki Urzędu Audytora Generalnego i Urzędu Informacji Finansowej; dobre wyniki uzyskane przez Instytut Dzieł Religijnych (IOR); nowe prawa Państwa Watykańskiego; Dekret o pracy w Watykanie i wiele innych dokonań, mniej widocznych. Przypomnijmy, pośród radości, nowych błogosławionych i świętych, którzy są „klejnotami” zdobiącymi oblicze Kościoła i promieniującymi w świecie nadzieją, wiarą i światłem. Trzeba tutaj wspomnieć dziewiętnaścioro męczenników algierskich: „Dziewiętnaście istnień oddanych dla Chrystusa, dla Jego Ewangelii i narodu algierskiego [...] wzory zwyczajnej świętości, świętości «z sąsiedztwa»” (THOMAS GEORGEON, „Nel segno della fraternità”, L’Osservatore Romano, 8 grudnia 2018, s. 6); dużą liczbę wiernych, którzy co roku, przyjmując chrzest, odnawiają młodość Kościoła jako matki zawsze płodnej, a także bardzo wiele dzieci, które wracają do domu i na nowo podejmują wiarę i życie chrześcijańskie; rodziny i rodziców, którzy poważnie przeżywają wiarę i przekazują ją codziennie swoim dzieciom poprzez radość swej miłości (por. Adhort. apost. Amoris laetitia, 259-290); świadectwo wielu ludzi młodych, którzy odważnie wybierają życie konsekrowane i kapłaństwo.

Prawdziwym powodem do radości jest również wielka liczba konsekrowanych mężczyzn i kobiet, biskupów i kapłanów, którzy na co dzień przeżywają swoje powołanie wiernie, w milczeniu, świętości i z poświęceniem. Są to osoby, które oświetlają mroki ludzkości swoim świadectwem wiary, miłości i miłosierdzia. Osoby, które ze względu na miłość do Chrystusa i Jego Ewangelii pracują cierpliwie na rzecz ubogich, uciśnionych i ostatnich, nie próbując dostać się na pierwsze strony gazet lub zajmować pierwsze miejsca. Osoby, które, opuściwszy wszystko i poświęcając swoje życie, zanoszą światło wiary tam, gdzie Chrystus jest opuszczony, spragniony, głodny, uwięziony i nagi (por. Mt 25, 31-46). A myślę szczególnie o wielu proboszczach, którzy oferują codziennie dobry przykład ludowi Bożemu, księżach bliskich rodzinom, znających imiona wszystkich i przeżywających swoje życie w prostocie, wierze, gorliwości, świętości i miłości. Osobach zapomnianych przez środki masowego przekazu, ale bez których panowałaby ciemność.

Drodzy bracia i siostry,

Mówiąc o świetle, o cierpieniach, o Dawidzie i Judaszu, chciałem podkreślić wartość świadomości, która powinna przekształcić się w obowiązek czuwania i strzeżenia ze strony tych, którzy w strukturach życia kościelnego i konsekrowanego wypełniają posługę rządzenia. Siła bowiem każdej instytucji nie polega na tym, że składa się ona z ludzi doskonałych (jest to niemożliwe), ale z jej chęci nieustannego oczyszczenia się; na jej zdolności do pokornego uznania błędów i ich naprawiania; na jej zdolności do powstawania z upadków; na widzeniu światła Bożego Narodzenia, które wychodzi ze żłóbka w Betlejem, przemierza historię i dociera aż do paruzji.

Konieczne jest zatem, abyśmy otwarli nasze serce na prawdziwe światło, Jezusa Chrystusa: światło, które może oświecić życie i przemienić nasze ciemności w światło; światło dobra, które zwycięża zło; światło miłości, które przewyższa nienawiść; światło życia, które pokonuje śmierć; boskie światło, które przemienia wszystko i wszystkich w światło; światło naszego Boga: ubogiego i bogatego, miłosiernego i sprawiedliwego, obecnego i ukrytego, małego i wielkiego.

Przypomnijmy wspaniałe słowa św. Makarego Wielkiego, ojca pustyni egipskiej z IV wieku, który, mówiąc o Bożym Narodzeniu stwierdza: „Bóg czyni się małym! Nieskończony, niezrównany i niestworzony Bóg przyjął ciało, z powodu wielkiej i niezmierzonej Swojej dobroci, aby, jeśli mogę tak powiedzieć, zbliżyć się do nas. Nikt na niebie i na ziemi nie może zrozumieć wielkości Boga i nikt w niebie i na ziemi nie może zrozumieć, jak Bóg czyni się ubogim i małym dla ubogich i maluczkich. Tak jak niezrozumiała jest Jego wielkość, tak też niezrozumiała jest Jego małość” (por. Pseudo-Makary, Homilia IV (49), 9-10; VOX PATRUM 30 (2010) t. 55, s. 910).

Przypomnijmy, że Boże Narodzenie jest świętem „wielkiego Boga, który staje się mały, a w swej małości nie przestaje być wielki, i w tej dialektyce wielkie jest małe: jest to czułość Boga. To słowo, które światowość wciąż usiłuje wymazać ze słownika: czułość. Boga wielkiego, który staje się mały, który jest wielki i wciąż staje się mały” (por. Homilia w Domu Świętej Marty z 14 grudnia 2017 r.; Homilia, 25 kwietnia 2013 r.).

Boże Narodzenie daje nam co roku pewność, że światło Boga będzie nadal świecić pomimo naszej ludzkiej nędzy; pewność, że Kościół wyjdzie z tych udręk jeszcze piękniejszy, wspanialszy i oczyszczony. Wszystkie grzechy, upadki i zło popełnione przez niektórych członków Kościoła nigdy nie mogą bowiem przesłonić piękna jego oblicza, a wręcz dają pewny dowód, że jego siła nie polega na nas, ale tkwi przede wszystkim w Jezusie Chrystusie, Zbawicielu świata i Światłości wszechświata, który go miłuje i za niego, swą Oblubienicę, oddał swoje życie. Boże Narodzenie daje dowód, że wielkie zło popełnione przez niektóre osoby nigdy nie zdoła przysłonić całego dobra, jakie Kościół bezinteresownie wypełnia w świecie. Boże Narodzenie daje pewność, że prawdziwa siła Kościoła i naszej codziennej pracy, często ukrytej – jak ta w kurii, gdzie są święci –, polega na Duchu Świętym, który go prowadzi i strzeże na przestrzeni wieków, przekształcając nawet grzechy w okazje do przebaczenia, upadki w okazje do odnowy, zło na okazje do oczyszczenia i zwycięstwa.

Bardzo dziękuję i wszystkim życzę dobrego Bożego Narodzenia!

[Błogosławieństwo]

Również tego roku chcę wam zostawić mały podarunek. To klasyka: Compendio di teologia ascetica e mistica Tanquereya, ale we współczesnym wydaniu opracowanym przez biskupa Libanoriego, biskupa pomocniczego Rzymu i ojca Forlaię, ojca duchownego w Seminarium Rzymskim. Myślę, że to dobre. Nie trzeba czytać od początku do końca, ale można w spisie poszukać tej lub innej cnoty, tego czy innego zachowania, innej rzeczy… To będzie dobre, dla reformy każdego z nas i reformy Kościoła. To dla was!

[02085-PL.02] [Testo originale: Italiano]

[B0957-XX.02]