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Synod18 - Santa Messa a conclusione della XV Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, 28.10.2018


 

Omelia del Santo Padre

Lettera dei Padri Sinodali ai giovani

Alle ore 10 di questa mattina, XXX domenica del Tempo Ordinario, nella Basilica Vaticana, il Santo Padre Francesco ha celebrato la Santa Messa in occasione della chiusura della XV Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi sul tema: “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale”. Al termine della Celebrazione Eucaristica, prima della Benedizione impartita dal Papa, l’Em.mo Card. Lorenzo Baldisseri, Segretario Generale del Sinodo dei Vescovi, ha dato lettura della Lettera dai Padri Sinodali indirizzata ai giovani a conclusione del Sinodo.

Pubblichiamo di seguito l’omelia che il Papa ha pronunciato dopo la proclamazione del Vangelo e il testo della Lettera dei Padri Sinodali ai giovani:

Omelia del Santo Padre

Testo in lingua italiana

Traduzione in lingua francese

Traduzione in lingua inglese

Traduzione in lingua tedesca

Traduzione in lingua spagnola

Traduzione in lingua portoghese

Traduzione in lingua polacca

Testo in lingua italiana

L’episodio che abbiamo ascoltato è l’ultimo che l’evangelista Marco narra del ministero itinerante di Gesù, il quale poco dopo entrerà a Gerusalemme per morire e risorgere. Bartimeo è così l’ultimo a seguire Gesù lungo la via: da mendicante ai bordi della strada a Gerico, diventa discepolo che va insieme agli altri verso Gerusalemme. Anche noi abbiamo camminato insieme, abbiamo “fatto sinodo” e ora questo Vangelo suggella tre passi fondamentali per il cammino della fede.

Anzitutto guardiamo a Bartimeo: il suo nome significa “figlio di Timeo”. E il testo lo specifica: «il figlio di Timeo, Bartimeo» (Mc 10,46). Ma, mentre il Vangelo lo ribadisce, emerge un paradosso: il padre è assente. Bartimeo giace solo lungo la strada, fuori casa e senza padre: non è amato, ma abbandonato. È cieco e non ha chi lo ascolti; e quando voleva parlare lo facevano tacere. Gesù ascolta il suo grido. E quando lo incontra lo lascia parlare. Non era difficile intuire che cosa avrebbe chiesto Bartimeo: è evidente che un cieco voglia avere o riavere la vista. Ma Gesù non è sbrigativo, dà tempo all’ascolto. Ecco il primo passo per aiutare il cammino della fede: ascoltare. È l’apostolato dell’orecchio: ascoltare, prima di parlare.

Al contrario, molti di quelli che stavano con Gesù rimproveravano Bartimeo perché tacesse (cfr v. 48). Per questi discepoli il bisognoso era un disturbo sul cammino, un imprevisto nel programma prestabilito. Preferivano i loro tempi a quelli del Maestro, le loro parole all’ascolto degli altri: seguivano Gesù, ma avevano in mente i loro progetti. È un rischio da cui guardarsi sempre. Per Gesù, invece, il grido di chi chiede aiuto non è un disturbo che intralcia il cammino, ma una domanda vitale. Quant’è importante per noi ascoltare la vita! I figli del Padre celeste prestano ascolto ai fratelli: non alle chiacchiere inutili, ma ai bisogni del prossimo. Ascoltare con amore, con pazienza, come fa Dio con noi, con le nostre preghiere spesso ripetitive. Dio non si stanca mai, gioisce sempre quando lo cerchiamo. Chiediamo anche noi la grazia di un cuore docile all’ascolto. Vorrei dire ai giovani, a nome di tutti noi adulti: scusateci se spesso non vi abbiamo dato ascolto; se, anziché aprirvi il cuore, vi abbiamo riempito le orecchie. Come Chiesa di Gesù desideriamo metterci in vostro ascolto con amore, certi di due cose: che la vostra vita è preziosa per Dio, perché Dio è giovane e ama i giovani; e che la vostra vita è preziosa anche per noi, anzi necessaria per andare avanti.

Dopo l’ascolto, un secondo passo per accompagnare il cammino di fede: farsi prossimi. Guardiamo Gesù, che non delega qualcuno della «molta folla» che lo seguiva, ma incontra Bartimeo di persona. Gli dice: «Che cosa vuoi che io faccia per te?» (v. 51). Che cosa vuoi: Gesù si immedesima in Bartimeo, non prescinde dalle sue attese; che io faccia: fare, non solo parlare; per te: non secondo idee prefissate per chiunque, ma per te, nella tua situazione. Ecco come fa Dio, coinvolgendosi in prima persona con un amore di predilezione per ciascuno. Nel suo modo di fare già passa il suo messaggio: così la fede germoglia nella vita.

La fede passa per la vita. Quando la fede si concentra puramente sulle formulazioni dottrinali, rischia di parlare solo alla testa, senza toccare il cuore. E quando si concentra solo sul fare, rischia di diventare moralismo e di ridursi al sociale. La fede invece è vita: è vivere l’amore di Dio che ci ha cambiato l’esistenza. Non possiamo essere dottrinalisti o attivisti; siamo chiamati a portare avanti l’opera di Dio al modo di Dio, nella prossimità: stretti a Lui, in comunione tra noi, vicini ai fratelli. Prossimità: ecco il segreto per trasmettere il cuore della fede, non qualche aspetto secondario.

Farsi prossimi è portare la novità di Dio nella vita del fratello, è l’antidoto contro la tentazione delle ricette pronte. Chiediamoci se siamo cristiani capaci di diventare prossimi, di uscire dai nostri circoli per abbracciare quelli che “non sono dei nostri” e che Dio ardentemente cerca. C’è sempre quella tentazione che ricorre tante volte nella Scrittura: lavarsi le mani. È quello che fa la folla nel Vangelo di oggi, è quello che fece Caino con Abele, è quello che farà Pilato con Gesù: lavarsi le mani. Noi invece vogliamo imitare Gesù, e come lui sporcarci le mani. Egli, la via (cfr Gv 14,6), per Bartimeo si è fermato lungo la strada; Egli, la luce del mondo (cfr Gv 9,5), si è chinato su un cieco. Riconosciamo che il Signore si è sporcato le mani per ciascuno di noi, e guardando la croce ripartiamo da lì, dal ricordarci che Dio si è fatto mio prossimo nel peccato e nella morte. Si è fatto mio prossimo: tutto comincia da lì. E quando per amore suo anche noi ci facciamo prossimi diventiamo portatori di vita nuova: non maestri di tutti, non esperti del sacro, ma testimoni dell’amore che salva.

Testimoniare è il terzo passo. Guardiamo i discepoli che chiamano Bartimeo: non vanno da lui, che mendicava, con un’acquietante monetina o a dispensare consigli; vanno nel nome di Gesù. Infatti gli rivolgono solo tre parole, tutte di Gesù: «Coraggio! Alzati. Ti chiama» (v. 49). Solo Gesù nel resto del Vangelo dice coraggio!, perché solo Lui risuscita il cuore. Solo Gesù nel Vangelo dice alzati, per risanare lo spirito e il corpo. Solo Gesù chiama, cambiando la vita di chi lo segue, rimettendo in piedi chi è a terra, portando la luce di Dio nelle tenebre della vita. Tanti figli, tanti giovani, come Bartimeo cercano una luce nella vita. Cercano amore vero. E come Bartimeo, nonostante la molta gente, invoca solo Gesù, così anch’essi invocano vita, ma spesso trovano solo promesse fasulle e pochi che si interessano davvero a loro.

Non è cristiano aspettare che i fratelli in ricerca bussino alle nostre porte; dovremo andare da loro, non portando noi stessi, ma Gesù. Egli ci manda, come quei discepoli, a incoraggiare e rialzare nel suo nome. Ci manda a dire ad ognuno: “Dio ti chiede di lasciarti amare da Lui”. Quante volte, invece di questo liberante messaggio di salvezza, abbiamo portato noi stessi, le nostre “ricette”, le nostre “etichette” nella Chiesa! Quante volte, anziché fare nostre le parole del Signore, abbiamo spacciato per parola sua le nostre idee! Quante volte la gente sente più il peso delle nostre istituzioni che la presenza amica di Gesù! Allora passiamo per una ONG, per una organizzazione parastatale, non per la comunità dei salvati che vivono la gioia del Signore.

Ascoltare, farsi prossimi, testimoniare. Il cammino di fede nel Vangelo termina in modo bello e sorprendente, con Gesù che dice: «Va’, la tua fede ti ha salvato» (v. 52). Eppure Bartimeo non ha fatto professioni di fede, non ha compiuto alcuna opera; ha solo chiesto pietà. Sentirsi bisognosi di salvezza è l’inizio della fede. È la via diretta per incontrare Gesù. La fede che ha salvato Bartimeo non stava nelle sue idee chiare su Dio, ma nel cercarlo, nel volerlo incontrare. La fede è questione di incontro, non di teoria. Nell’incontro Gesù passa, nell’incontro palpita il cuore della Chiesa. Allora non le nostre prediche, ma la testimonianza della nostra vita sarà efficace.

E a tutti voi che avete partecipato a questo “camminare insieme”, dico grazie per la vostra testimonianza. Abbiamo lavorato in comunione e con franchezza, col desiderio di servire Dio e il suo popolo. Il Signore benedica i nostri passi, perché possiamo ascoltare i giovani, farci prossimi e testimoniare loro la gioia della nostra vita: Gesù.

[01710-IT.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua francese

L’épisode que nous avons écouté est le dernier que l’évangéliste Marc raconte au sujet du ministère itinérant de Jésus, qui peu après entrera à Jérusalem pour mourir et ressusciter. Bartimée est ainsi le dernier à suivre Jésus le long du chemin: de mendiant au bord de la route à Jéricho, il devient un disciple qui marche avec les autres vers Jérusalem. Nous aussi, nous avons cheminé ensemble, nous avons "fait synode" et maintenant cet Évangile scelle trois étapes fondamentales pour le chemin de la foi.

Tout d’abord, regardons Bartimée: son nom signifie "fils de Timée". Et le texte le précise: «le fils de Timée, Bartimée» (Mc 10, 46). Mais, alors que l’Évangile le réaffirme, émerge un paradoxe: le père est absent. Bartimée se trouve seul le long de la route, hors de sa maison et sans père: il n’est pas aimé, mais abandonné. Il est aveugle et il n’a personne pour l’écouter; et quand il a voulu parler, ils l’ont fait taire. Jésus entend son cri. Et quand il le rencontre, il le laisse parler. Il n’était pas difficile de deviner ce que Bartimée demanderait: il est évident qu’un aveugle veut avoir ou retrouver la vue. Mais Jésus n’est pas expéditif, il prend le temps de l’écoute. Voilà la première étape pour faciliter le cheminement de foi: écouter. C’est l’apostolat de l’oreille: écouter, avant de parler.

A l’inverse, beaucoup de ceux qui étaient avec Jésus réprimandaient Bartimée pour le faire taire (Cf. v. 48). Pour ces disciples, l’indigent était un dérangement sur le chemin, un imprévu dans le programme préétabli. Ils préféraient leur temps à celui du Maître, leurs paroles à l’écoute des autres: ils suivaient Jésus, mais ils avaient en tête leurs projets. C’est un risque dont il faut toujours se garder. Pour Jésus, au contraire, le cri de celui qui appelle à l’aide n’est pas un dérangement qui entrave le chemin, mais une question vitale. Comme il est important pour nous d’écouter la vie! Les enfants du Père céleste écoutent leurs frères: non pas les bavardages inutiles mais les besoins du prochain. Écouter avec amour, avec patience, comme Dieu le fait avec nous, avec nos prières souvent répétitives. Dieu ne se fatigue jamais, il se réjouit toujours quand nous le cherchons. Demandons, nous aussi, la grâce d’un cœur docile à l’écoute. Je voudrais dire aux jeunes, au nom de nous tous, les adultes: excusez-nous si, souvent, nous ne vous avons pas écoutés; si, au lieu de vous ouvrir notre cœur, nous vous avons rempli les oreilles. Comme Église de Jésus, nous désirons nous mettre à votre écoute avec amour, sûrs de deux choses: que votre vie est précieuse pour Dieu, parce que Dieu est jeune et qu’il aime les jeunes; et que votre vie est aussi précieuse pour nous, mieux encore nécessaire pour aller de l’avant.

Après l’écoute, une deuxième étape pour accompagner le chemin de la foi: se faire proches. Regardons Jésus, qui ne délègue pas quelqu’un parmi la "foule nombreuse" qui le suivait, mais qui rencontre Bartimée personnellement. Il lui dit: «Que veux-tu que je fasse pour toi?» (v. 51). Que veux-tu? Jésus s’identifie à Bartimée, il ne fait pas abstraction de ses attentes; que je fasse: faire, pas seulement parler; pour toi: non pas selon des idées préétablies pour n’importe qui, mais pour toi, dans ta situation. Voilà comment fait Dieu, en s’impliquant en personne, avec un amour de prédilection pour chacun. Dans sa manière de faire passe déjà son message: la foi germe ainsi dans la vie.

La foi passe par la vie. Quand la foi se concentre uniquement sur les formulations doctrinales, elle risque de parler seulement à la tête, sans toucher le cœur. Et quand elle se concentre seulement sur le faire, elle risque de devenir un moralisme et de se réduire au social. La foi au contraire, c’est la vie: c’est vivre l’amour de Dieu qui a changé notre existence. Nous ne pouvons pas être des doctrinaires ou des activistes; nous sommes appelés à poursuivre l’œuvre de Dieu à la manière de Dieu, dans la proximité: liés à Lui, en communion entre nous, proches de nos frères. Proximité: voilà le secret pour transmettre le noyau de la foi, et non pas quelque aspect secondaire.

Se faire proches et porter la nouveauté de Dieu dans la vie du frère, c’est l’antidote à la tentation des recettes toutes prêtes. Demandons-nous si nous sommes des chrétiens capables de devenir proches, de sortir de nos cercles pour étreindre ceux qui "ne sont pas des nôtres" et que Dieu cherche ardemment. Il y a toujours cette tentation qui revient tant de fois dans l’Écriture: se laver les mains. C’est ce que fait la foule dans l’Évangile d’aujourd’hui, ce qu’a fait Caïn avec Abel, ce que fera Pilate avec Jésus: se laver les mains. Nous, à l’inverse, nous voulons imiter Jésus, et comme lui nous salir les mains. Lui, le chemin (cf. Jn 14, 6), pour Bartimée il s’est arrêté sur la route; Lui, la lumière du monde (cf. Jn 9, 5), il s’est penché vers un aveugle. Reconnaissons que le Seigneur s’est sali les mains pour chacun de nous, et en regardant la croix; et repartons de là, nous rappelant que Dieu s’est fait mon prochain dans le péché et dans la mort. Il s’est fait mon prochain: tout commence à partir de là. Et quand par amour pour lui, nous aussi, nous nous faisons proches, nous devenons porteurs d’une vie nouvelle: non pas des maîtres de tous, ni des experts du sacré, mais des témoins de l’amour qui sauve.

Témoigner est la troisième étape. Regardons les disciples qui appellent Bartimée: ils ne vont pas à lui, qui mendiait, avec une petite pièce pour l’apaiser ou pour dispenser des conseils. Ils vont à lui au nom de Jésus. En effet, ils lui adressent trois paroles seulement, toutes de Jésus: «Courage! Lève-toi. Il t’appelle» (v. 49). Seul Jésus dans le reste de l’Évangile dit courage!, parce que lui seul ressuscite le cœur. Seul Jésus dans l’Évangile dit lève-toi, pour guérir l’esprit et le corps. Seul Jésus appelle, en changeant la vie de celui qui le suit, en remettant sur pied celui qui est à terre, en portant la lumière de Dieu dans les ténèbres de la vie. Tant d’enfants, tant de jeunes, comme Bartimée, cherchent une lumière dans la vie. Ils cherchent un amour vrai. Et comme Bartimée, malgré la nombreuse foule, appelle seulement Jésus, de même eux aussi cherchent la vie, mais souvent ils ne trouvent que de fausses promesses et peu de personnes qui s’intéressent vraiment à eux.

Il n’est pas chrétien d’attendre que les frères en recherche frappent à notre porte; nous devrions aller vers eux, non pas en nous portant nous-mêmes, mais en portant Jésus. Il nous envoie, comme ces disciples, pour encourager et relever en son nom. Il nous envoie dire à chacun: "Dieu te demande de te laisser aimer par Lui". Que de fois, au lieu de ce message libérateur de salut, nous n’avons porté que nous-mêmes, nos "recettes", nos "étiquettes" dans l’Église! Que de fois, plutôt que de faire nôtres les paroles du Seigneur, nous avons fait passer nos idéespour ses paroles ! Que de fois les personnes sentent plus le poids de nos institutions que la présence amicale de Jésus! Alors nous passons pour une ONG, pour une organisation semi-publique, et non pas pour la communauté des sauvés qui vivent la joie du Seigneur.

Écouter, se faire proches, témoigner. Le chemin de foi dans l’Évangile se termine d’une manière belle et surprenante, avec Jésus qui dit: «Va, ta foi t’a sauvé» (v. 52). Et pourtant, Bartimée n’a pas fait de profession de foi, il n’a accompli aucune œuvre; il a seulement demandé pitié. Sentir qu’on a besoin du salut, c’est le commencement de la foi. C’est la voie directe pour rencontrer Jésus. La foi qui a sauvé Bartimée n’était pas dans ses idées claires sur Dieu, mais dans le fait de le chercher, dans la volonté de le rencontrer. La foi est une question de rencontre, non pas de théorie. Dans la rencontre Jésus passe, dans la rencontre palpite le cœur de l’Église. Alors, non pas nos sermons, mais le témoignage de notre vie sera efficace.

Et à vous tous qui avez participé à ce "cheminement commun", je dis merci pour votre témoignage. Nous avons travaillé en communion et avec franchise, avec le désir de servir Dieu et son peuple. Que le Seigneur bénisse nos pas, afin que nous puissions écouter les jeunes, nous faire proches d’eux et leur témoigner la joie de notre vie: Jésus.

[01710-FR.02] [Texte original: Italien]

Traduzione in lingua inglese

The account we have just heard is the last of those that the evangelist Mark relates about the itinerant ministry of Jesus, who is about to enter Jerusalem to die and to rise. Bartimaeus is thus the last of those who follow Jesus along the way: from a beggar along the road to Jericho, he becomes a disciple who walks alongside the others on the way to Jerusalem. We too have walked alongside one another; we have been a “synod”. This Gospel seals three fundamental steps on the journey of faith.

First, let us consider Bartimaeus. His name means “son of Timaeus”. That is how the Gospel describes him: “Bartimaeus son of Timaeus” (Mk 10:46). Yet, oddly, his father is nowhere to be found. Bartimaeus lies alone on the roadside, far from home and fatherless. He is not loved, but abandoned. He is blind and no one listens to him; when he tried to speak, everyone told him to keep quiet. Jesus hears his plea. When he goes to him, he lets him speak. It was not hard to guess what Bartimaeus wanted: clearly, a blind person wants to see or regain his sight. But Jesus takes his time; he takes time to listen. This is the first step in helping the journey of faith: listening. It is the apostolate of the ear: listening before speaking.

Instead, many of those with Jesus ordered Bartimaeus to be quiet (cf. v. 48). For such disciples, a person in need was a nuisance along the way, an obstacle unexpected and unforeseen. They preferred their own timetable above that of the Master, their own talking over listening to others. They were following Jesus, but they had their own plans in mind. This is a risk constantly to guard against. Yet, for Jesus, the cry of those pleading for help is not a nuisance but a challenge. How important it is for us to listen to life! The children of the heavenly Father are concerned with their brothers and sisters, not with useless chatter, but with the needs of their neighbours. They listen patiently and lovingly, just as God does to us and to our prayers, however repetitive they may be. God never grows tired; he is always happy when we seek him. May we too ask for the grace of a heart that listens. I would like to say to the young people, in the name of all of us adults: forgive us if often we have not listened to you, if, instead of opening our hearts, we have filled your ears. As Christ’s Church, we want to listen to you with love, certain of two things: that your lives are precious in God’s eyes, because God is young and loves young people, and that your lives are precious in our eyes too, and indeed necessary for moving forward.

After listening, a second step on the journey of faith is to be a neighbour. Let us look at Jesus: he does not delegate someone from the “large crowd” following him, but goes personally to meet Bartimaeus. He asks him, “What do you want me to do for you?” (v. 51). What do you want… – Jesus is completely taken up with Bartimaeus; he does not try to sidestep him. …me to do – not simply to speak, but to do something. …for you – not according to my own preconceived ideas, but for you, in your particular situation. That is how God operates. He gets personally involved with preferential love for every person. By his actions, he already communicates his message. Faith thus flowers in life.

Faith passes through life. When faith is concerned purely with doctrinal formulae, it risks speaking only to the head without touching the heart. And when it is concerned with activity alone, it risks turning into mere moralizing and social work. Faith, instead, is life: it is living in the love of God who has changed our lives. We cannot choose between doctrine and activism. We are called to carry out God’s work in God’s own way: in closeness, by cleaving to him, in communion with one another, alongside our brothers and sisters. Closeness: that is the secret to communicating the heart of the faith, and not a secondary aspect.

Being a neighbour means bringing the newness of God into the lives of our brothers and sisters. It serves as an antidote to the temptation of easy answers and fast fixes. Let us ask ourselves whether, as Christians, we are capable of becoming neighbours, stepping out of our circles and embracing those who are not “one of us”, those whom God ardently seeks. A temptation so often found in the Scriptures will always be there: the temptation to wash our hands. That is what the crowd does in today’s Gospel. It is what Cain did with Abel, and Pilate with Jesus: they washed their hands. But we want to imitate Jesus and, like him, to dirty our hands. He is the way (cf. Jn 14:6), who stopped on the road for Bartimaeus. He is the light of the world (cf. Jn 9:5), who bent down to help a blind man. Let us realize that the Lord has dirtied his hands for each one of us. Let us look at the cross, start from there and remember that God became my neighbour in sin and death. He became my neighbour: it all starts from there. And when, out of love of him, we too become neighbours, we become bringers of new life. Not teachers of everyone, not specialists in the sacred, but witnesses of the love that saves.

The third step is to bear witness. Let us consider the disciples who, at Jesus’ request, called out to Bartimaeus. They do not approach a beggar with a coin to shut him up, or to dispense advice. They go in Jesus’ name. Indeed, they say only three words to him, and all three are words of Jesus: “Take heart; get up, he is calling you” (v. 49). Everywhere else in the Gospel, Jesus alone says, “Take heart”, for he alone “heartens” those who heed him. In the Gospel, Jesus alone says, “Get up”, and heals in spirit and body. Jesus alone calls, transforming the lives of those who follow him, helping raise up the fallen, bringing God’s light to the darkness of life. So many children, so many young people, like Bartimaeus, are looking for light in their lives. They are looking for true love. And like Bartimaeus who in the midst of that large crowd called out to Jesus alone, they too seek life, but often find only empty promises and few people who really care.

It is not Christian to expect that our brothers and sisters who are seekers should have to knock on our doors; we ought to go out to them, bringing not ourselves but Jesus. He sends us, like those disciples, to encourage others and to raise them up in his name. He sends us forth to say to each person: “God is asking you to let yourself be loved by him”. How often, instead of this liberating message of salvation, have we brought ourselves, our own “recipes” and “labels” into the Church! How often, instead of making the Lord’s words our own, have we peddled our own ideas as his word! How often do people feel the weight of our institutions more than the friendly presence of Jesus! In these cases, we act more like an NGO, a state-controlled agency, and not the community of the saved who dwell in the joy of the Lord.

To listen, to be a neighbour, to bear witness. The journey of faith in today’s Gospel ends in a beautiful and surprising way when Jesus says “Go; your faith has made you well” (v. 52). Yet Bartimaeus had made no profession of faith or done any good work; he had only begged for mercy. To feel oneself in need of salvation is the beginning of faith. It is the direct path to encountering Jesus. The faith that saved Bartimaeus did not have to do with his having clear ideas about God, but in his seeking him and longing to encounter him. Faith has to do with encounter, not theory. In encounter, Jesus passes by; in encounter, the heart of the Church beats. Then, not our preaching, but our witness of life will prove effective.

To all of you who have taken part in this “journey together”, I say “thank you” for your witness. We have worked in communion, with frankness and the desire to serve God’s people. May the Lord bless our steps, so that we can listen to young people, be their neighbours, and bear witness before them to Jesus, the joy of our lives.

[01710-EN.02] [Original text: Italian]

Traduzione in lingua tedesca

Die Begebenheit, von der wir gehört haben, ist die letzte, die der Evangelist Markus vom Wirken Jesu auf seiner Wanderschaft erzählt. Kurz darauf zieht dieser in Jerusalem ein, wo er sterben und auferstehen wird. Bartimäus ist somit der letzte, der Jesus auf seinem Weg folgt: aus dem Bettler am Straßenrand in Jericho wird ein Jünger, der mit den anderen nach Jerusalem geht. Auch wir sind gemeinsam einen Weg gegangen, wir haben Synode gehalten, und nun unterstreicht dieses Evangelium drei grundlegende Schritte für den Weg des Glaubens.

Schauen wir zunächst auf Bartimäus: Sein Name bedeutet „Sohn des Timäus“. Und der Text betont dieses Detail: »Bartimäus, der Sohn des Timäus« (Mk 10,46). Aber mit dieser Hervorhebung im Evangelium wird ein Paradox sichtbar: Der Vater ist abwesend. Bartimäus liegt allein am Weg, außer Haus und ohne Vater: Er wird nicht geliebt, sondern ist verlassen. Er ist blind und hat niemanden, der ihn anhört; als er sprechen wollte, wollte man ihn schweigen lassen. Jesus hört seinen Schrei. Und als er ihn trifft, lässt er ihn reden. Es war nicht schwer zu erraten, worum Bartimäus bitten würde: es ist klar, dass ein Blinder das Sehvermögen haben oder wiedererlangen möchte. Aber Jesus ist nicht voreilig, er nimmt sich Zeit zum Zuhören. Dies ist der erste Schritt, der auf dem Weg des Glaubens weiterhilft: hören. Es geht um ein Apostolat des Ohrs: zuhören, bevor man spricht.

Dennoch ermahnten viele von denen, die bei Jesus waren, Bartimäus, er solle schweigen (vgl. V. 48). Für diese Jünger war der Bedürftige eine Störung auf dem Weg, etwas Unvorhergesehenes im vorher festgesetzten Programm. Sie zogen ihre eigene Gangart der des Meisters vor, ihre eigenen Worte denen anderer; sie folgten Jesus, aber sie hatten ihre eigenen Pläne im Sinn. Das ist eine Gefahr, auf das man immer achtgeben muss. Für Jesus hingegen ist der Ruf derer, die um Hilfe bitten, keine Störung, die den Weg behindert, sondern eine Lebensfrage. Wie wichtig ist es für uns, auf das Leben zu hören! Die Kinder des himmlischen Vaters schenken ihren Brüdern und Schwestern Gehör: nicht dem unnützen Geschwätz, sondern den Bedürfnissen ihres Nächsten. Mit Liebe zuhören, mit Geduld, wie Gott es bei uns macht, mit unseren oft sich wiederholenden Gebeten. Gott wird nie müde, er freut sich immer, wenn wir ihn suchen. Bitten auch wir um die Gnade eines Herzens, das bereitwillig zuhört. Ich möchte den jungen Menschen im Namen von uns Erwachsenen sagen: Entschuldigt uns, wenn wir euch oft kein Gehör geschenkt haben; wenn wir, anstatt euer Herz zu öffnen, eure Ohren vollgeredet haben. Als Kirche Jesu wollen wir euch mit Liebe zuhören, in der zweifachen Gewissheit, dass euer Leben für Gott kostbar ist, weil Gott jung ist und junge Menschen liebt; und dass euer Leben auch für uns kostbar ist, ja notwendig, um voranzugehen.

Nach dem Hören kommt ein zweiter Schritt, um den Weg des Glaubens zu begleiten: sich zum Nächsten machen. Schauen wir auf Jesus, der niemanden aus der »großen Menschenmenge«, die ihm folgte, zu Bartimäus schickt, nein, er trifft ihn persönlich. Er sagt zu ihm: »Was willst du, dass ich dir tue?« (V. 51). Was willst du: Jesus versetzt sich in Bartimäus hinein, er ignoriert seine Erwartungen nicht; dass ich tue: handeln, nicht nur reden; dir: nicht nach Vorstellungen, die auf jedermann passen, sondern für dich, in deiner Situation. So macht es Gott und lässt sich persönlich auf eine Beziehung voll Liebe zu jedem Einzelnen ein. In seiner Art zu handeln scheint bereits seine Botschaft auf: So keimt der Glaube im Leben auf.

Der Glaube geht durch das Leben. Wenn sich der Glaube ausschließlich auf lehrmäßige Formulierungen konzentriert, läuft er Gefahr, nur den Kopf anzusprechen, ohne das Herz zu berühren. Und wenn er sich nur auf das Tun konzentriert, läuft er Gefahr, moralistisch zu werden und sich auf die soziale Ebene zu reduzieren. Der Glaube hingegen ist Leben: er besteht darin, die Liebe Gottes zu leben, die unser Leben verändert hat. Wir dürfen weder doktrinär noch aktivistisch sein; wir sind berufen, Gottes Werk auf Gottes Art fortzuführen, nämlich in Nähe: ganz nah bei ihm, in Gemeinschaft miteinander, nahe bei unseren Brüdern und Schwestern. Nähe: das ist das Geheimnis, um den Kern des Glaubens weiterzugeben, nicht irgendeinen sekundären Aspekt.

Sich zum Nächsten zu machen bedeutet, die Neuheit Gottes in das Leben des Bruders und der Schwester zu tragen, und darin besteht auch das Gegenmittel gegen die Versuchung fertiger Rezepte. Fragen wir uns, ob wir Christen sind, die fähig sind, zu Nächsten zu werden, die eigenen Kreise zu verlassen, um diejenigen zu umarmen, die „nicht zu uns gehören“ und die Gott leidenschaftlich sucht. Es gibt immer diese Versuchung, die in der Heiligen Schrift oft wiederkehrt: die Hände in Unschuld zu waschen. Das tut die Menge im heutigen Evangelium, das hat Kain mit Abel getan, das wird Pilatus mit Jesus tun: die Hände in Unschuld waschen. Wir hingegen wollen Jesus nachahmen, und wie er wollen wir uns die Hände schmutzig machen. Er, der Weg (vgl. Joh 14,6), blieb wegen Bartimäus auf dem Weg stehen; er, das Licht der Welt (vgl. Joh 9,5), beugte sich herab zu einem Blinden. Wir erkennen, dass der Herr sich seine Hände für einen jeden von uns schmutzig gemacht hat, und, wenn wir auf das Kreuz schauen und von diesem ausgehen, erinnern wir uns daran, dass Gott sich in Sünde und Tod zu meinem Nächsten gemacht hat. Er hat sich zu meinem Nächsten gemacht: alles beginnt hier. Und wenn auch wir um seiner Liebe willen zu Nächsten werden, werden wir Träger eines neuen Lebens: nicht Lehrer aller und auch nicht Experten für das Heilige, sondern Zeugen der Liebe, die rettet.

Zeugnis geben ist der dritte Schritt. Schauen wir auf die Jünger, die Bartimäus rufen: sie gehen nicht mit einer kleinen beruhigenden Münze zu ihm, der da bettelte, oder um ihm Ratschläge geben; sie gehen im Namen Jesu. Tatsächlich sagen sie ihm nur drei Worte, die alle von Jesus stammen: »Hab nur Mut, steh auf, er ruft dich« (V. 49). Im Evangelium sagt sonst nur Jesus Hab Mut!, denn nur er lässt das Herz wieder aufleben. Nur Jesus sagt im Evangelium Steh auf!, um den Geist und den Körper zu heilen. Nur Jesus beruft, um das Leben derer zu verändern, die ihm folgen, indem er denen auf die Beine hilft, die am Boden sind und Gottes Licht in die Dunkelheit des Lebens bringt. Viele Söhne und Töchter, viele junge Menschen sind wie Bartimäus auf der Suche nach einem Licht im Leben. Sie sind auf der Suche nach wahrer Liebe. Und wie Bartimäus trotz der vielen Leute nur Jesus anruft, so rufen auch die jungen Menschen nach Leben, finden aber oft nur leere Versprechungen und wenige, die sich wirklich für sie interessieren.

Es ist nicht christlich, darauf zu warten, dass die Brüder und Schwestern, die auf der Suche sind, an unsere Türen klopfen; wir sollen zu ihnen gehen und dabei nicht uns selbst, sondern Jesus bringen. Er sendet uns wie diese Jünger, damit wir in seinem Namen andere ermutigen und ihnen aufhelfen. Er schickt uns, damit wir allen sagen: „Gott bittet dich darum, dich von ihm lieben zu lassen.“ Wie oft haben wir statt dieser befreienden Botschaft des Heils uns selbst, unsere „Rezepte“, unsere kirchlichen „Etiketten“ gebracht! Wie oft haben wir, anstatt uns die Worte des Herrn zu eigen zu machen, unsere eigenen Ideen als sein Wort ausgegeben! Wie oft spüren die Menschen mehr die Last unserer Institutionen als die freundschaftliche Gegenwart Jesu! Dann jedoch werden wir zu einer NGO, zu einer halbstaatlichen Organisation, und nicht zur Gemeinschaft der Erlösten, die die Freude des Herrn leben.

Zuhören, sich zum Nächsten machen, Zeugnis geben. Der Weg des Glaubens endet im Evangelium auf schöne und überraschende Weise mit dem Wort Jesu: »Geh! Dein Glaube hat dich gerettet« (V. 52). Dabei hatte Bartimäus gar kein Glaubensbekenntnis abgelegt und auch sonst nichts Besonderes getan; er hatte nur um Erbarmen gebeten. Zu spüren, der Erlösung zu bedürfen, ist der Beginn des Glaubens, ist der direkte Weg zur Begegnung mit Jesus. Der Glaube, der Bartimäus rettete, bestand nicht in seinen klaren Vorstellungen von Gott, sondern in der Suche nach ihm, im Wunsch, ihm zu begegnen. Der Glaube ist eine Frage der Begegnung, nicht der Theorie. Jesus kommt durch die Begegnung und in der Begegnung schlägt das Herz der Kirche. Also werden nicht unsere Predigten, sondern das Zeugnis unseres Lebens wirksam sein.

Und euch allen, die ihr an diesem „gemeinsamen Unterwegssein“ teilgenommen habt, danke ich für euer Zeugnis. Wir haben gemeinschaftlich und freimütig gearbeitet im Wunsch, Gott und seinem Volk zu dienen. Der Herr segne unsere Schritte, damit wir fähig werden, den jungen Menschen zuzuhören, ihnen zu Nächsten zu werden und ihnen von der Freude unseres Lebens Zeugnis zu geben: Jesus.

[01710-DE.02] [Originalsprache: Italienisch]

Traduzione in lingua spagnola

El episodio que hemos escuchado es el último que narra el evangelista Marcos sobre el ministerio itinerante de Jesús, quien poco después entrará en Jerusalén para morir y resucitar. Bartimeo es, por lo tanto, el último que sigue a Jesús en el camino: de ser un mendigo al borde de la vía en Jericó, se convierte en un discípulo que va con los demás a Jerusalén. Nosotros también hemos caminado juntos, hemos “hecho sínodo” y ahora este evangelio sella tres pasos fundamentales para el camino de la fe.

En primer lugar, nos fijamos en Bartimeo: su nombre significa “hijo de Timeo”. Y el texto lo especifica: «El hijo de Timeo, Bartimeo» (Mc 10,46). Pero, mientras el Evangelio lo reafirma, surge una paradoja: el padre está ausente. Bartimeo yace solo junto al camino, lejos de casa y sin un padre: no es alguien amado sino abandonado. Es ciego y no tiene quien lo escuche; y cuando quería hablar lo hacían callar. Jesús escucha su grito. Y cuando lo encuentra le deja hablar. No era difícil adivinar lo que Bartimeo le habría pedido: es evidente que un ciego lo que quiere es tener o recuperar su vista. Pero Jesús no es expeditivo, da tiempo a la escucha. Este es el primer paso para facilitar el camino de la fe: escuchar. Es el apostolado del oído: escuchar, antes de hablar.

Por el contrario, muchos de los que estaban con Jesús imprecaban a Bartimeo para que se callara (cf. v. 48). Para estos discípulos, el necesitado era una molestia en el camino, un imprevisto en el programa predeterminado. Preferían sus tiempos a los del Maestro, sus palabras en lugar de escuchar a los demás: seguían a Jesús, pero lo que tenían en mente eran sus propios planes. Es un peligro del que tenemos que prevenirnos siempre. Para Jesús, en cambio, el grito del que pide ayuda no es algo molesto que dificulta el camino, sino una pregunta vital. ¡Qué importante es para nosotros escuchar la vida! Los hijos del Padre celestial escuchan a sus hermanos: no las murmuraciones inútiles, sino las necesidades del prójimo. Escuchar con amor, con paciencia, como hace Dios con nosotros, con nuestras oraciones a menudo repetitivas. Dios nunca se cansa, siempre se alegra cuando lo buscamos. Pidamos también nosotros la gracia de un corazón dócil para escuchar. Me gustaría decirles a los jóvenes, en nombre de todos nosotros, adultos: disculpadnos si a menudo no os hemos escuchado; si, en lugar de abrir vuestro corazón, os hemos llenado los oídos. Como Iglesia de Jesús deseamos escucharos con amor, seguros de dos cosas: que vuestra vida es preciosa ante Dios, porque Dios es joven y ama a los jóvenes; y que vuestra vida también es preciosa para nosotros, más aún, es necesaria para seguir adelante.

Después de la escucha, un segundo paso para acompañar el camino de fe: hacerse prójimos. Miramos a Jesús, que no delega en alguien de la «multitud» que lo seguía, sino que se encuentra con Bartimeo en persona. Le dice: «¿Qué quieres que haga por ti?» (v. 51). Qué quieres: Jesús se identifica con Bartimeo, no prescinde de sus expectativas; que yo haga: hacer, no solo hablar; por ti: no de acuerdo con ideas preestablecidas para cualquiera, sino para ti, en tu situación. Así lo hace Dios, implicándose en primera persona con un amor de predilección por cada uno. Ya en su modo de actuar transmite su mensaje: así la fe brota en la vida.

La fe pasa por la vida. Cuando la fe se concentra exclusivamente en las formulaciones doctrinales, se corre el riesgo de hablar solo a la cabeza, sin tocar el corazón. Y cuando se concentra solo en el hacer, corre el riesgo de convertirse en moralismo y de reducirse a lo social. La fe, en cambio, es vida: es vivir el amor de Dios que ha cambiado nuestra existencia. No podemos ser doctrinalistas o activistas; estamos llamados a realizar la obra de Dios al modo de Dios, en la proximidad: unidos a él, en comunión entre nosotros, cercanos a nuestros hermanos. Proximidad: aquí está el secreto para transmitir el corazón de la fe, no un aspecto secundario.

Hacerse prójimos es llevar la novedad de Dios a la vida del hermano, es el antídoto contra la tentación de las recetas preparadas. Preguntémonos si somos cristianos capaces de ser prójimos, de salir de nuestros círculos para abrazar a los que “no son de los nuestros” y que Dios busca ardientemente. Siempre existe esa tentación que se repite tantas veces en las Escrituras: lavarse las manos. Es lo que hace la multitud en el Evangelio de hoy, es lo que hizo Caín con Abel, es lo que hará Pilato con Jesús: lavarse las manos. Nosotros, en cambio, queremos imitar a Jesús, e igual que él ensuciarnos las manos. Él, el camino (cf. Jn 14,6), por Bartimeo se ha detenido en el camino. Él, la luz del mundo (cf. Jn 9,5), se ha inclinado sobre un ciego. Reconozcamos que el Señor se ha ensuciado las manos por cada uno de nosotros, y miremos la cruz y recomencemos desde allí, del recordarnos que Dios se hizo mi prójimo en el pecado y la muerte. Se hizo mi prójimo: todo viene de allí. Y cuando por amor a él también nosotros nos hacemos prójimos, nos convertimos en portadores de nueva vida: no en maestros de todos, no en expertos de lo sagrado, sino en testigos del amor que salva.

Testimoniar es el tercer paso. Fijémonos en los discípulos que llaman a Bartimeo: no van a él, que mendigaba, con una moneda tranquilizadora o a dispensar consejos; van en el nombre de Jesús. De hecho, le dirigen solo tres palabras, todas de Jesús: «Ánimo, levántate, que te llama» (v. 49). En el resto del Evangelio, solo Jesús dice ánimo, porque solo él resucita el corazón. Solo Jesús dice en el Evangelio levántate, para sanar el espíritu y el cuerpo. Solo Jesús llama, cambiando la vida del que lo sigue, levantando al que está por el suelo, llevando la luz de Dios en la oscuridad de la vida. Muchos hijos, muchos jóvenes, como Bartimeo, buscan una luz en la vida. Buscan un amor verdadero. Y al igual que Bartimeo que, a pesar de la multitud, invoca solo a Jesús, también ellos invocan la vida, pero a menudo solo encuentran promesas falsas y unos pocos que se interesan de verdad por ellos.

No es cristiano esperar que los hermanos que están en busca llamen a nuestras puertas; tendremos que ir donde están ellos, no llevándonos a nosotros mismos, sino a Jesús. Él nos envía, como a aquellos discípulos, para animar y levantar en su nombre. Él nos envía a decirles a todos: “Dios te pide que te dejes amar por él”. Cuántas veces, en lugar de este mensaje liberador de salvación, nos hemos llevado a nosotros mismos, nuestras “recetas”, nuestras “etiquetas” en la Iglesia. Cuántas veces, en vez de hacer nuestras las palabras del Señor, hemos hecho pasar nuestras ideas por palabra suya. Cuántas veces la gente siente más el peso de nuestras instituciones que la presencia amiga de Jesús. Entonces pasamos por una ONG, por una organización paraestatal, no por la comunidad de los salvados que viven la alegría del Señor.

Escuchar, hacerse prójimos, testimoniar. El camino de fe termina en el Evangelio de una manera hermosa y sorprendente, con Jesús que dice: «Anda, tu fe te ha salvado» (v. 52). Y, sin embargo, Bartimeo no hizo profesiones de fe, no hizo ninguna obra; solo pidió compasión. Sentirse necesitados de salvación es el comienzo de la fe. Es el camino más directo para encontrar a Jesús. La fe que salvó a Bartimeo no estaba en la claridad de sus ideas sobre Dios, sino en buscarlo, en querer encontrarlo. La fe es una cuestión de encuentro, no de teoría. En el encuentro Jesús pasa, en el encuentro palpita el corazón de la Iglesia. Entonces, lo que será eficaz es nuestro testimonio de vida, no nuestros sermones.

Y a todos vosotros que habéis participado en este “caminar juntos”, os agradezco vuestro testimonio. Hemos trabajado en comunión y con franqueza, con el deseo de servir a Dios y a su pueblo. Que el Señor bendiga nuestros pasos, para que podamos escuchar a los jóvenes, hacernos prójimos suyos y testimoniarles la alegría de nuestra vida: Jesús.

[01710-ES.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua portoghese

O episódio escutado é o último narrado pelo evangelista Marcos no ministério itinerante de Jesus, que, pouco depois, entra em Jerusalém para morrer e ressuscitar. Assim, Bartimeu é o último que segue Jesus ao longo do caminho: de mendigo na margem da estrada para Jericó, torna-se discípulo que vai juntamente com os outros para Jerusalém. Também nós caminhamos juntos, «fizemos sínodo» e agora este Evangelho corrobora três passos fundamentais no caminho da fé.

Antes de mais nada, olhemos para Bartimeu: o seu nome significa «filho de Timeu». O próprio texto o especifica: «Bartimeu, o filho de Timeu» (Mc 10, 46). Mas o Evangelho, ao mesmo tempo que o reitera, põe a descoberto um paradoxo: o pai está ausente. Bartimeu jaz sozinho na estrada, fora de casa e sem pai: não é amado, mas abandonado. É cego e não tem quem o ouça; e, quando queria falar, mandavam-no calar. Jesus ouve o seu grito. E, quando Se encontra com ele, deixa-o falar. Não era difícil intuir o pedido que faria Bartimeu: é óbvio que um cego queira ver ou reaver a vista. Mas Jesus não tem pressa, reserva tempo para a escuta. E aqui temos o primeiro passo para ajudar o caminho da fé: escutar. É o apostolado do ouvido: escutar, antes de falar.

Em vez disso, muitos dos que estavam com Jesus repreendiam Bartimeu para que estivesse calado (10, 48). Para estes discípulos, o indigente era um transtorno no caminho, um imprevisto no programa pré-estabelecido. Preferiam os seus tempos aos do Mestre, as suas palavras à escuta dos outros: seguiam Jesus, mas tinham em mente os seus projetos. Trata-se dum risco do qual sempre nos devemos precaver. Ao contrário, para Jesus, o grito de quem pede ajuda não é um transtorno que estorva o caminho, mas uma questão vital. Como é importante, para nós, escutar a vida! Os filhos do Pai celeste prestam ouvidos aos irmãos: não às críticas inúteis, mas às necessidades do próximo. Ouvir com amor, com paciência, como Deus faz connosco, com as nossas orações muitas vezes repetitivas. Deus nunca Se cansa, sempre Se alegra quando O procuramos. Peçamos, também nós, a graça dum coração dócil a escutar. Gostaria de dizer aos jovens, em nome de todos nós, adultos: desculpai, se muitas vezes não vos escutamos; se, em vez de vos abrir o coração, vos enchemos os ouvidos. Como Igreja de Jesus, desejamos colocar-nos amorosamente à vossa escuta, certos de duas coisas: que a vossa vida é preciosa para Deus, porque Deus é jovem e ama os jovens; e que, também para nós, a vossa vida é preciosa, mais ainda necessária para se avançar.

Depois da escuta, um segundo passo para acompanhar o caminho de fé: fazer-se próximo. Vejamos Jesus, que não delega em ninguém da «grande multidão» que O seguia, mas encontra Ele pessoalmente Bartimeu. Diz-lhe: «Que queres que Eu faça por ti?» (10, 51). Que queres – Jesus amolda-Se a Bartimeu, não prescinde das suas expetativas – que Eu faça – fazer, não se limita a falar – por ti – não segundo ideias pré-estabelecidas para todos, mas para ti, na tua situação. É assim que Deus procede, envolvendo-Se pessoalmente com um amor de predileção por cada um. Na sua maneira de proceder, ressalta já a sua mensagem: assim a fé germina na vida.

A fé passa para a vida. Quando a fé se concentra apenas em formulações doutrinárias, arrisca-se a falar apenas à cabeça, sem tocar o coração. E quando se concentra apenas na ação, corre o risco de tornar-se moralismo e reduzir-se ao social. Ao contrário, a fé é vida: é viver o amor de Deus que mudou a nossa existência. Não podemos ser doutrinaristas ou ativistas; somos chamados a levar para a frente a obra de Deus segundo o modo de Deus, na proximidade: unidos intimamente a Ele, em comunhão entre nós, próximo dos irmãos. Proximidade: aqui está o segredo para transmitir, não algum aspeto secundário, mas o coração da fé.

Fazer-se próximo é levar a novidade de Deus à vida do irmão, é o antídoto contra a tentação das receitas prontas. Interroguemo-nos se somos cristãos capazes de nos tornar próximo, capazes de sair dos nossos círculos para abraçar aqueles que «não são dos nossos» e a quem Deus ansiosamente procura. Sempre existe aquela tentação que reaparece tantas vezes na Escritura: lavar as mãos, desinteressar-se. É o que faz a multidão no Evangelho de hoje, é o que fez Caim com Abel, é o que fará Pilatos com Jesus: lavar as mãos. Nós, pelo contrário, queremos imitar Jesus e, como Ele, meter as mãos na massa, sujá-las. Ele, o caminho (cf. Jo 14, 6), por Bartimeu deteve-Se ao longo da estrada; Ele, a luz do mundo (cf. Jo 9, 5), inclinou-Se sobre um cego. Reconhecemos que o Senhor sujou as mãos por cada um de nós e, fixando a Cruz, recomecemos de lá, da lembrança de Deus que Se fez meu próximo no pecado e na morte. Fez-Se meu próximo: tudo começa de lá. E, quando por amor d’Ele também nós nos fazemos próximo, tornamo-nos portadores de vida nova: não mestres de todos, não especialistas do sagrado, mas testemunhas do amor que salva.

Testemunhar é o terceiro passo. Olhemos os discípulos que chamam Bartimeu: não vão junto dele, que mendigava, levar uma moedinha para o contentar ou dar-lhe conselhos; vão em nome de Jesus. De facto, dirigem-lhe apenas três palavras, todas de Jesus: «Coragem, levanta-te que Ele chama-te» (10, 49). No resto do Evangelho, só Jesus diz «coragem!», porque só Ele ressuscita o coração. No Evangelho, só Jesus é que diz «levanta-te», para curar o espírito e o corpo. Só Jesus chama, mudando a vida de quem O segue, colocando de pé quem está por terra, levando a luz de Deus às trevas da vida. Tantos filhos, tantos jovens, como Bartimeu, procuram uma luz na vida! Procuram amor verdadeiro. E como Bartimeu que, apesar da multidão, só invoca Jesus, também eles imploram vida, mas frequentemente só encontram promessas falsas e poucos que se interessem verdadeiramente por eles.

Não é cristão esperar que os irmãos inquietos batam às nossas portas; somos nós que devemos ir ter com eles, não lhes levando a nós mesmos, mas Jesus. Ele manda-nos, como aqueles discípulos, para encorajar e levantar em seu nome. Manda-nos dizer a cada um: «Deus pede para te deixares amar por Ele». Quantas vezes, em vez desta mensagem libertadora de salvação, nos levamos a nós mesmos, as nossas «receitas», as nossas «etiquetas» na Igreja! Quantas vezes, em vez de fazer nossas as palavras do Senhor, despachamos como palavra d’Ele as nossas ideias! Quantas vezes as pessoas sentem mais o peso das nossas instituições que a presença amiga de Jesus! Então aparecemos como uma ONG, uma organização parestatal, e não como a comunidade dos redimidos que vivem a alegria do Senhor.

Ouvir, fazer-se próximo, testemunhar. No Evangelho, o caminho de fé termina, de maneira bela e surpreendente, com Jesus que diz: «Vai, a tua fé te salvou» (10, 52). E todavia Bartimeu não fez profissões de fé, não realizou ação alguma; pediu apenas piedade. Sentir-se necessitado de salvação é o início da fé. É o caminho direto para encontrar Jesus. A fé, que salvou Bartimeu, não estava nas suas ideias claras sobre Deus, mas no facto de O procurar, de O querer encontrar. A fé é questão de encontro, não de teoria. No encontro, Jesus passa; no encontro, palpita o coração da Igreja. Então serão eficazes, não as nossas homilias, mas o testemunho da nossa vida.

E a todos vós que participastes neste «caminhar juntos», digo obrigado pelo vosso testemunho. Trabalhamos em comunhão e com ousadia, com o desejo de servir a Deus e ao seu povo. Que o Senhor abençoe os nossos passos, para podermos escutar os jovens, fazer-nos próximo e testemunhar-lhes a alegria da nossa vida: Jesus.

[01710-PO.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua polacca

Wydarzenie o którym usłyszeliśmy, jest ostatnim, o którym mówi św. Marek Ewangelista odnośnie do wędrownej posługi Jezusa, który niebawem wejdzie do Jerozolimy, aby tam umrzeć i zmartwychwstać. Bartymeusz jest zatem ostatnim, który idzie za Jezusem na Jego drodze: z żebraka na poboczu drogi z Jerycha, staje się uczniem, który wraz z innymi idzie do Jerozolimy. Również my podążaliśmy razem, odbyliśmy synod, a teraz ten fragment Ewangelii wyróżnia trzy podstawowe kroki na drodze wiary.

Najpierw patrzymy na Bartymeusza: jego imię oznacza „syn Tymeusza”. A tekst precyzuje: „Bartymeusz, syn Tymeusza” (Mk 10,46). Ale gdy Ewangelia to podkreśla, pojawia się paradoks: nieobecny jest ojciec. Bartymeusz leży samotnie przy drodze, z dala od domu i bez ojca: nie jest kochany, lecz opuszczony. Jest ślepy i nie ma nikogo, kto by go wysłuchał; a kiedy chciał mówić, uciszali go. Jezus słyszy jego wołanie. A kiedy go spotyka, pozwala mu mówić. Nie było trudno odgadnąć, o co prosiłby Bartymeusz: to oczywiste, że osoba niewidoma chce mieć wzrok lub go odzyskać. Ale Jezus jest cierpliwy, poświęca czas na wysłuchanie. Oto pierwszy krok, aby pomóc w podróży wiary: wysłuchać. To apostolstwo ucha: wysłuchać zanim zaczniemy mówić.

Przeciwnie, wielu z tych, którzy byli z Jezusem, kazali Bartymeuszowi milczeć (por. w. 48). Dla tych uczniów człowiek potrzebujący był kłopotem na drodze, nieprzewidzianym punktem ustalonego programu. Woleli czasy wyznaczane przez siebie samych, od czasów Mistrza, swoje słowa od wysłuchania innych: podążali za Jezusem, ale mieli na myśli własne plany. Jest to zagrożenie, którego zawsze trzeba się wystrzegać. Natomiast dla Jezusa wołanie tych, którzy proszą o pomoc, nie jest kłopotem utrudniającym drogę, ale istotnym pytaniem. Jakże ważne jest dla nas słuchanie życia! Dzieci Ojca Niebieskiego niech słuchają swoich braci: nie bezużytecznych plotek, ale potrzeb bliźniego. Wysłuchują z miłością, z cierpliwością, tak jak Bóg czyni z nami, z naszymi często powtarzającymi się modlitwami. Bóg nigdy nie ma dość, zawsze się raduje, kiedy go szukamy. Również my prośmy o łaskę serca potrafiącego wysłuchać. Chciałbym powiedzieć ludziom młodym, w imieniu nas wszystkich dorosłych: przepraszam, jeśli często was nie wysłuchaliśmy; jeśli zamiast otwierać dla was serce, napełnialiśmy wasze uszy. Jako Kościół Jezusa pragniemy słuchać was z miłością, będąc pewnymi dwóch rzeczy: że wasze życie jest cenne dla Boga, ponieważ Bóg jest młody i kocha ludzi młodych; i że wasze życie jest cenne również dla nas, a wręcz konieczne, aby iść naprzód.

Po wysłuchaniu, drugi krok, by towarzyszyć podróży wiary, to stać się bliskim. Popatrzymy na Jezusa, który nie posyła kogoś ze „sporego tłumu”, który za Nim podąża, ale spotyka się osobiście z Bartymeuszem. Mówi do Niego: „Co chcesz, abym ci uczynił?” (w. 51). Co chcesz: Jezus utożsamia się z Bartymeuszem, nie pomija jego oczekiwań; abym ci uczynił: czynić, nie tylko mówić; dla ciebie: nie według wyznaczonych z góry idei dla wszystkich, ale dla ciebie, w twojej sytuacji. Tak właśnie postępuje Bóg, angażując się w pierwszej osobie z miłością szczególnego upodobania wobec każdego. W swoim sposobie działania już przekazuje swoje orędzie: tak wiara rodzi się w życiu.

Wiara przychodzi przez życie. Kiedy wiara koncentruje się wyłącznie na formułach doktrynalnych, grozi jej, że będzie przemawiała tylko do głowy, nie poruszając serca. A kiedy koncentruje się tylko na czynieniu, grozi jej stawanie się moralizmem i ograniczanie do wymiaru społecznego. Wiara natomiast jest życiem: to życie miłością Boga zmieniło nasze istnienie. Nie możemy być doktrynerami ani aktywistami; jesteśmy wezwani do kontynuowania dzieła Bożego na sposób Boga, stając się bliskimi, trzymając się Jego, w komunii między nami, blisko naszych braci. Bliskość: oto sekret przekazywania istoty wiary, a nie jakiś aspekt drugorzędny.

Stawanie się bliskimi i wprowadzanie nowości Boga w życie brata stanowi odtrutkę na pokusę gotowych recept. Zadajmy sobie pytanie, czy jesteśmy chrześcijanami zdolnymi, by stawać się bliskimi, do wyjścia z naszych kręgów, aby ogarnąć tych, którzy „nie są z naszego grona”, a których Bóg niecierpliwie poszukuje. Zawsze istnieje ta pokusa, która powtarza się wiele razy w Piśmie Świętym: umywać ręce. To właśnie czyni tłum w dzisiejszej Ewangelii, tak właśnie Kain uczynił w odniesieniu do Abla, to uczyni Piłat wobec Jezusa: umyje ręce. Ale my przeciwnie, chcemy naśladować Jezusa i tak, jak On pobrudzić sobie ręce. On, który jest drogą (por. J 14, 6), dla Bartymeusza zatrzymał się na drodze; On, który jest światłością świata (por. J 9,5), pochylił się nad niewidomym. Uznajmy, że Pan pobrudził sobie ręce dla każdego z nas i patrząc na krzyż wyruszmy z tego miejsca, przypominając sobie, że Bóg stał się moim bliźnim w grzechu i śmierci. Stał się moim bliźnim: wszystko od tego się zaczyna. A kiedy ze względu na miłość do Niego i my także stajemy się bliskimi, to jesteśmy tymi, którzy przynoszą nowe życie: nie panami wszystkich, nie znawcami sacrum, ale świadkami miłości, która zbawia.

Trzecim krokiem jest świadczenie. Spójrzmy na uczniów, którzy wołają Bartymeusza: nie idą do niego, żebrzącego, z uciszającym groszem lub udzielając porad; idą w imię Jezusa. Kierują do niego trzy słowa, każde z nich pochodzące od Jezusa: „Odwagi, wstań, woła cię” (w. 49). Tylko Jezus w pozostałej części Ewangelii mówi odwagi!, bo tylko On wskrzesza serce. Tylko Jezus w Ewangelii mówi: powstań, aby uzdrowić ducha i ciało. Tylko Jezus wzywa, zmieniając życie tych, którzy za Nim idą, stawiając ponownie na nogi, tych którzy upadli, wprowadzając światło Boga w ciemności życia. Wiele dzieci, wielu młodych, takich jak Bartymeusz, szuka w życiu światła. Szukają prawdziwej miłości. I podobnie, jak Bartymeusz, pomimo obecności wielu ludzi, błagał jedynie Jezusa, tak i oni błagają o życie, ale często znajdują tylko fałszywe obietnice i niewielu, którzy naprawdę się nimi interesują.

To niechrześcijańskie oczekiwać aż szukający bracia zapukają do naszych drzwi. Powinniśmy do nich iść, nie niosąc samych siebie, ale Jezusa. On nas posyła, tak jak tych uczniów, abyśmy dodawali otuchy i podnosili w Jego imię. Posyła nas, abyśmy powiedzieli każdemu: „Bóg prosi, byś pozwolił się Jemu miłować”. Ileż razy zamiast tego wyzwalającego przesłania zbawienia nieśliśmy samych siebie, nasze „recepty”, nasze „etykiety” w Kościele! Ileż razy, zamiast czynić naszymi słowa Pana, podawaliśmy za Jego słowo nasze idee! Ileż razy ludzie odczuwają bardziej ciężar naszych instytucji, niż przyjazną obecność Jezusa! Wtedy uchodzimy za rodzaj organizacji pozarządowej, za jakąś organizację para-państwową, a nie wspólnotę zbawionych, którzy żyją radością Pana.

Wysłuchać, stać się bliskim, świadczyć. Droga wiary kończy się w Ewangelii w piękny i zaskakujący sposób, gdy Jezus mówi: „Idź, twoja wiara cię uzdrowiła” (w. 52). Jednak Bartymeusz nie wyznał wiary, nie dokonał żadnego uczynku; prosił tylko o litość. Poczucie, że potrzebujemy zbawienia jest początkiem wiary. To prosta droga do spotkania z Jezusem. Wiara, która ocaliła Bartymeusza, nie polegała na jego jasnych poglądach na temat Boga, ale na szukaniu Go, pragnieniu spotkania z Nim. Wiara jest kwestią spotkania, a nie teorii. W spotkaniu Jezus przechodzi, w spotkaniu pulsuje serce Kościoła. Zatem skutecznymi nie będą nasze kazania, ale świadectwo naszego życia.

A wam wszystkim, którzy uczestniczyliście w tym „podążaniu razem” chcę podziękować za wasze świadectwo. Pracowaliśmy w komunii i ze szczerością, pragnąc służyć Bogu i Jego ludowi. Niech Pan błogosławi nasze kroki, abyśmy umieli wysłuchać młodych, stawać się im bliskimi i świadczyć im radość naszego życia: Jezusa.

[01710-PL.02] [Testo originale: Italiano]

Lettera dei Padri Sinodali ai giovani

Testo in lingua italiana

Testo in lingua francese

Testo in lingua inglese

Testo in lingua tedesca

Testo in lingua spagnola

Testo in lingua portoghese

Testo in lingua italiana

Lettera dei Padri Sinodali ai giovani

A voi, giovani del mondo, ci rivolgiamo noi padri sinodali, con una parola di speranza, di fiducia, di consolazione. In questi giorni ci siamo riuniti per ascoltare la voce di Gesù, «il Cristo eternamente giovane», e riconoscere in Lui le vostre molte voci, le vostre grida di esultanza, i lamenti, i silenzi.

Sappiamo delle vostre ricerche interiori, delle gioie e delle speranze, dei dolori e delle angosce che costituiscono la vostra inquietudine. Desideriamo che adesso ascoltiate una parola da noi: vogliamo essere collaboratori della vostra gioia affinché le vostre attese si trasformino in ideali. Siamo certi che sarete pronti a impegnarvi con la vostra voglia di vivere, perché i vostri sogni prendano corpo nella vostra esistenza e nella storia umana.

Le nostre debolezze non vi scoraggino, le fragilità e i peccati non siano ostacolo alla vostra fiducia. La Chiesa vi è madre, non vi abbandona, è pronta ad accompagnarvi su strade nuove, sui sentieri di altura ove il vento dello Spirito soffia più forte, spazzando via le nebbie dell’indifferenza, della superficialità, dello scoraggiamento.

Quando il mondo, che Dio ha tanto amato da donargli il suo Figlio Gesù, è ripiegato sulle cose, sul successo immediato, sul piacere e schiaccia i più deboli, voi aiutatelo a rialzarsi e a rivolgere lo sguardo verso l’amore, la bellezza, la verità, la giustizia.

Per un mese abbiamo camminato insieme con alcuni di voi e molti altri legati a noi con la preghiera e l’affetto. Desideriamo continuare ora il cammino in ogni parte della terra ove il Signore Gesù ci invia come discepoli missionari.

La Chiesa e il mondo hanno urgente bisogno del vostro entusiasmo. Fatevi compagni di strada dei più fragili, dei poveri, dei feriti dalla vita.

Siete il presente, siate il futuro più luminoso.

[01715-IT.01] [Testo originale: Italiano]

Testo in lingua francese

Lettre des Pères Synodaux aux jeunes

C’est vers vous, jeunes du monde, que nous, Pères synodaux, voulons nous tourner, pour vous adresser des paroles d’espérance, de confiance et de consolation. Ces jours-ci, nous nous sommes réunis pour écouter Jésus, «le Christ éternellement jeune», dont la voix révèle vos propres voix, vos cris d’exultation, vos plaintes… vos silences aussi!

Nous connaissons vos quêtes spirituelles, vos joies, vos espérances, vos douleurs, vos angoisses, vos inquiétudes. Nous désirons aussi vous adresser une parole: nous voulons contribuer au développement de votre joie, pour que vos attentes se transforment en idéaux. Nous sommes sûrs que vous êtes prêts à vous impliquer, avec votre joie de vivre, pour que vos rêves se réalisent concrètement dans votre vie quotidienne, et dans notre histoire humaine.

Que nos faiblesses ne vous découragent pas, que les fragilités et les péchés ne fassent pas obstacle à votre foi. L’Église est votre mère, elle ne vous abandonne pas, elle est prête à vous accompagner sur de nouveaux chemins, dans les hauteurs, là où le vent de l’Esprit souffle plus fort, chassant les noirs nuages de l’indifférence, de la superficialité et du découragement.

Lorsque le monde, que Dieu aime au point de lui avoir donné son Fils Jésus, est replié sur les biens matériels, sur le succès immédiat, sur le plaisir, lorsqu’il broie les plus faibles, aidez-le à se réveiller et à tourner son regard vers l’amour, la beauté, la vérité, la justice.

Pendant un mois nous avons cheminé ensemble, avec quelques-uns d’entre vous et beaucoup d’autres qui se sont unis à nous par la prière et l’affection. Nous désirons maintenant poursuivre ce chemin dans toutes les parties du monde, là où le Seigneur nous invite à être disciples missionnaires.

L’Église et le monde ont un besoin urgent de votre enthousiasme. Faites-vous compagnons de route des plus fragiles et des plus pauvres, de tous les blessés de la vie.

Vous êtes le présent, illuminez maintenant notre avenir.

[01715-FR.01] [Texte original: Français]

Testo in lingua inglese

Letter from the Synod Fathers to Young People

We the Synod Fathers now address you, young people of the world, with a word of hope, trust and consolation. In these days, we have gathered together to hear the voice of Jesus, “the eternally young Christ”, and to recognize in Him your many voices, your shouts of exultation, your cries, and your moments of silence.

We are familiar with your inner searching, the joys and hopes, the pain and anguish that make up your longings. Now we want you to hear a word from us: we wish to be sharers in your joy, so that your expectations may come to life. We are certain that with your enthusiasm for life, you will be ready to get involved so that your dreams may be realized and take shape in your history.

Our weaknesses should not deter you; our frailties and sins must not be an obstacle for your trust. The Church is your mother; she does not abandon you; she is ready to accompany you on new roads, on higher paths where the winds of the Spirit blow stronger – sweeping away the mists of indifference, superficiality and discouragement.

When the world that God so loved, that he gave us his only Son, Jesus, is focused on material things, on short-term successes, on pleasures, and when the world crushes the weakest, you must help it to rise up again and to turn its gaze towards love, beauty, truth and justice once more.

For a month, we have walked together with some of you and with many others who have been united to us through prayer and affection. We wish to continue the journey now in every part of the earth where the Lord Jesus sends us as missionary disciples.

The Church and the world urgently need your enthusiasm. Be sure to make the most fragile people, the poor and those wounded by life your traveling companions.

You are the present; be a brighter future.

[01715-EN.01] [Original text: English]

Testo in lingua tedesca

Brief der Synodenväter an die Jugendlichen

An Euch, die jungen Menschen der Welt, wenden wir Synodenväter uns mit einem Wort der Hoffnung, des Vertrauens und des Trostes. In diesen Tagen haben wir uns versammelt, um auf die Stimme Jesu, “des ewig jungen Christus", zu hören und in Ihm Eure vielen Stimmen, Eure Freudenrufe, Eure Klagen und Eure Stille zu erkennen.

Wir wissen von Eurem inneren Suchen, von den Freuden und Hoffnungen, vom Leiden und Ängsten, die Eure Unruhe ausmachen. Wir möchten, dass Ihr jetzt ein Wort von uns hört: Wir wollen Mitarbeiter eurer Freude sein, damit eure Erwartungen sich in Ideale verwandeln. Wir sind sicher, dass Ihr bereit sein werdet, Euch mit Eurer Freude am Leben dafür einzusetzen, damit Eure Träume Gestalt annehmen in Eurem Leben und der Geschichte der Menschheit.

Möge unsere Schwachheit Euch nicht entmutigen, und mögen unsere Schwächen und Sünden kein Hindernis für Euer Vertrauen sein. Die Kirche ist Euch eine Mutter, sie lässt euch nicht im Stich, sie ist bereit, Euch auf neuen Wegen zu begleiten, auf den Wegen der Höhe, wo der Wind des Geistes stärker weht und den Nebel der Gleichgültigkeit, Oberflächlichkeit und Entmutigung wegfegt.

Wenn die Welt, die Gott so sehr geliebt hat, dass er ihm seinen Sohn Jesus geschenkt hat, auf die Dinge, auf den unmittelbaren Erfolg, auf das Vergnügen gerichtet ist und die Schwächsten zerschmettert, helft Ihr dieser Welt, aufzustehen und ihren Blick auf Liebe, Schönheit, Wahrheit und Gerechtigkeit zu richten.

Einen Monat waren wir zusammen unterwegs, mit einigen von Euch und vielen anderen, die mit Gebet und Zuneigung mit uns verbunden waren. Wir wollen nun unseren Weg überall dorthin in die Welt fortsetzen, wohin uns der Herr Jesus als missionarische Jünger sendet.

Die Kirche und die Welt brauchen dringend Euren Enthusiasmus. Werdet zu Begleitern der Schwächsten, der Armen, der vom Leben Verwundeten.

Ihr seid die Gegenwart, werdet die strahlende Zukunft.

[01715-DE.01] [Originalsprache: Deutsch]

Testo in lingua spagnola

Carta de los Padres Sinodales a los jóvenes

Nos dirigimos a vosotros, jóvenes del mundo, nosotros como padres sinodales, con una palabra de esperanza, de confianza, de consuelo. En estos días hemos estado reunidos para escuchar la voz de Jesús, “el Cristo eternamente joven” y reconocer en Él vuestras muchas voces, vuestros gritos de alegría, los lamentos, los silencios.

Conocemos vuestras búsquedas interiores, vuestras alegrías y esperanzas, los dolores y las angustias que os inquietan. Deseamos que ahora podáis escuchar una palabra nuestra: queremos ayudaros en vuestras alegrías para que vuestras esperanzas se transformen en ideales. Estamos seguro que estáis dispuestos a entregaros con vuestras ganas de vivir para que vuestros sueños se hagan realidad en vuestra existencia y en la historia humana.

Que nuestras debilidades no os desanimen, que la fragilidad y los pecados no sean la causa de perder vuestra confianza. La Iglesia es vuestra madre, no os abandona y está dispuesta a acompañaros por caminos nuevos, por las alturas donde el viento del Espíritu sopla con más fuerza, haciendo desaparecer las nieblas de la indiferencia, de la superficialidad, del desánimo.

Cuando el mundo, que Dios ha amado tanto hasta darle a su Hijo Jesús, se fija en las cosas, en el éxito inmediato, en el placer y aplasta a los más débiles, vosotros debéis ayudarle a levantar la mirada hacia el amor, la belleza, la verdad, la justicia.

Durante un mes hemos caminado juntamente con algunos de vosotros y con muchos otros unidos por la oración y el afecto. Deseamos continuar ahora el camino en cada lugar de la tierra donde el Señor Jesús nos envía como discípulos misioneros.

La Iglesia y el mundo tienen necesidad urgente de vuestro entusiasmo. Hacéos compañeros de camino de los más débiles, de los pobres, de los heridos por la vida.

Sois el presente, sed el futuro más luminoso.

[01715-ES.01] [Texto original: Español]

Testo in lingua portoghese

Carta dos Padres Sinodais aos jovens

A vocês, jovens do mundo, nós Padres Sinodais nos dirigimos com uma palavra de esperança, confiança e consolação. Nestes dias, nos reunimos para escutar a voz de Jesus, “o Cristo, eternamente jovem”, e reconhecer Nele as vozes dos jovens e seus gritos de exultação, lamentos e silêncios.

Sabemos de suas buscas interiores, das alegrias e das esperanças, das dores e angústias que fazem parte de sua inquietude. Agora, queremos que vocês escutem uma palavra nossa: desejamos ser colaboradores de sua alegria para que suas expectativas se transformem em ideais. Temos certeza de que com sua vontade de viver, vocês estão prontos a se empenhar para que seus sonhos tomem forma em sua existência e na história humana.

Que nossas fraquezas não os desanimem, que as fragilidades e pecados não sejam um obstáculo à sua confiança. A Igreja é sua mãe, não abandona vocês, está pronta para acompanhá-los em novos caminhos, nas sendas mais altas onde o vento do Espírito sopra mais forte, varrendo as névoas da indiferença, da superficialidade, do desânimo.

Quando o mundo, que Deus tanto amou a ponto de lhe doar seu Filho Jesus, é subordinado às coisas, ao sucesso imediato e ao prazer, pisoteando os mais fracos, ajudem-no a se reerguer e a dirigir seu olhar ao amor, à beleza, à verdade e à justiça.

Por um mês, nós caminhamos juntos, com alguns de vocês e muitos outros unidos a nós com a oração e o carinho. Desejamos continuar o caminho em todas as partes da terra onde o Senhor Jesus nos envia como discípulos missionários.

A Igreja e o mundo precisam urgentemente de seu entusiasmo. Sejam companheiros de estrada dos mais frágeis, dos pobres, dos feridos pela vida.

Vocês são o presente, sejam o futuro mais luminoso.

[01715-PO.01] [Texto original: Português]

 

[B0790-XX.02]