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“Amazzonia: nuovi cammini per la Chiesa e per una ecologia integrale”: Documento Preparatorio del Sinodo dei Vescovi per l’Assemblea Speciale per la Regione Panamazzonica, 08.06.2018


 

Testo in lingua italiana

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Testo in lingua italiana

AMAZZONIA:
NUOVI CAMMINI PER LA CHIESA
E PER UNA ECOLOGIA INTEGRALE

Documento Preparatorio

Introduzione
In accordo con l’annuncio di Papa Francesco del 15 ottobre 2017, l’Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi avrà luogo nell’ottobre 2019 per riflettere sul tema Amazzonia: nuovi cammini per la Chiesa e per una ecologia integrale. Questi cammini di evangelizzazione devono essere pensati per e con il Popolo di Dio che abita in quella regione: abitanti di comunità e zone rurali, di città e grandi metropoli, popolazioni che vivono sulle rive dei fiumi, migranti e profughi e, specialmente, per e con i popoli indigeni1.

Nella foresta amazzonica, di vitale importanza per il pianeta, si è scatenata una profonda crisi causata da una prolungata ingerenza umana, in cui predomina una «cultura dello scarto» (LS 16) e una mentalità estrattivista. L’Amazzonia è una regione con una ricca biodiversità; è multi-etnica, pluri-culturale e pluri-religiosa, uno specchio di tutta l’umanità che, a difesa della vita, esige cambiamenti strutturali e personali di tutti gli esseri umani, degli Stati e della Chiesa.

Le riflessioni del Sinodo Speciale superano l’ambito strettamente ecclesiale amazzonico, protendendosi verso la Chiesa universale e anche verso il futuro di tutto il pianeta. Partiamo da un territorio specifico, per gettare a partire da esso un ponte verso altri biomi essenziali del mondo: il bacino del Congo, il corridoio biologico mesoamericano, i boschi tropicali del Pacifico asiatico, il bacino acquifero Guaranì, fra gli altri.

Ascoltare i popoli indigeni e tutte le comunità che vivono in Amazzonia, come primi interlocutori di questo Sinodo, è di vitale importanza anche per la Chiesa universale. Per fare questo abbiamo bisogno di avvicinarci di più ad essi. Desideriamo sapere: come immaginano il “futuro sereno” e il “buon vivere” delle future generazioni? Come possiamo collaborare alla costruzione di un mondo capace di rompere con le strutture che uccidono la vita e con le mentalità di colonizzazione per costruire reti di solidarietà e di inter-culturalità? E soprattutto, qual è la missione particolare della Chiesa oggi di fronte a questa realtà?

Questo Documento Preparatorio è diviso in tre parti che corrispondono al metodo “vedere, giudicare (discernere) e agire”. Alla fine del testo si presentano delle domande che permettono di entrare in dialogo e di accostarsi progressivamente alla realtà e al desiderio di una «cultura dell’incontro» all’interno della regione (EG 220). I nuovi cammini per l’evangelizzazione e per forgiare una Chiesa dal volto amazzonico passano attraverso questa «cultura dell’incontro» nella vita quotidiana, «in una armonia multiforme» (EG 220) e in una «felice sobrietà» (LS 224-225), come contributo per la costruzione del Regno.

I. VEDERE.
IDENTITÀ E GRIDO DELLA PANAMAZZONIA2

1. Il territorio
Il bacino amazzonico rappresenta per il nostro pianeta una delle maggiori riserve di biodiversità (dal 30 al 50 % della flora e fauna del mondo), di acqua dolce (20% dell’acqua dolce non congelata di tutto il pianeta); possiede più di un terzo dei boschi primari del pianeta e, benché i maggiori serbatoi di carbonio siano in realtà gli oceani, non per questo si può ignorare il lavoro di raccolta di carbonio in Amazzonia. Si tratta di più di sette milioni e mezzo di chilometri quadrati, con nove Paesi che si spartiscono questo grande bioma (Brasile, Bolivia, Ecuador, Guyana, Perù, Suriname, Venezuela, includendo la Guyana Francese come territorio d’oltremare).

Anche il cosiddetto “Massiccio della Guayana” (“Isla de la Guayana”), delimitato dai corsi dell’Orinoco e del Rio Negro, dal Rio delle Amazzoni e dalle coste atlantiche dell’America del Sud tra le foci dell’Orinoco e del Rio delle Amazzoni, fa parte di questo territorio. Pure altre regioni appartengono a questo territorio, perché sono sottoposte allo stesso regime climatico e geografico a causa della loro vicinanza all’Amazzonia.

Ciononostante, questi dati non delineano una regione omogenea. Costatiamo come l’Amazzonia abbia al suo interno molti tipi di “Amazzonie”. In tale contesto è l’acqua, attraverso le sue vallate, i fiumi e i laghi, a configurarsi come l’elemento articolante e unificante, considerando come asse principale il Rio delle Amazzoni, il fiume che è madre e padre di tutti. In un territorio così diversificato si può ben comprendere che i vari gruppi umani che lo abitano abbiano dovuto adattarsi alle differenti realtà geografiche, eco-sistemiche e politiche.

Il lavoro della Chiesa Cattolica in Amazzonia, nel corso di molti secoli, si è orientato a dare risposta a questi variegati contesti umani e ambientali.

2. Varietà socio-culturale
Date le sue proporzioni geografiche, l’Amazzonia è una regione in cui vivono e convivono popoli e culture diverse, con differenti stili di vita.

L’occupazione demografica dell’Amazzonia precede il processo colonizzatore di molti anni, talvolta migliaia di anni. Fino alla colonizzazione la popolazione si concentrava soprattutto sulle rive dei grandi fiumi e laghi, per una questione di sopravvivenza che abbracciava le attività della caccia, della pesca e della coltivazione delle terre inondabili. Con la colonizzazione e con la pratica diffusa della schiavitù indigena, molti popoli dovettero abbandonare quei luoghi e rifugiarsi all’interno della foresta. Al tempo stesso, nella prima fase della colonizzazione, si ingenerò un processo di sostituzione della popolazione, che determinò una forte concentrazione demografica sulle sponde dei fiumi e dei laghi.

Al di là delle circostanze storiche, i popoli delle acque, in questo caso dell’Amazzonia, hanno avuto sempre in comune un rapporto di interdipendenza con le risorse idriche. Per questo i contadini e le famiglie utilizzano le risorse delle terre inondabili affidandosi al movimento ciclico dei loro fiumi – inondazioni, riflussi e periodi di siccità –, in un rapporto di rispetto fondato sulla consapevolezza che “la vita dirige il fiume” e “il fiume dirige la vita”. Inoltre, i popoli della foresta, che sono fondamentalmente raccoglitori e cacciatori, sopravvivono con ciò che la terra e il bosco offrono loro. Questi popoli vigilano sui fiumi e hanno cura della terra, nello stesso modo in cui la terra ha cura di loro. Sono i custodi della foresta e delle sue risorse.

Oggi, tuttavia, la ricchezza della foresta e dei fiumi amazzonici si trova minacciata dai grandi interessi economici che si concentrano in diversi punti del territorio. Tali interessi provocano, fra le altre cose, l’intensificazione della devastazione indiscriminata della foresta, la contaminazione di fiumi, laghi e affluenti (per l’uso incontrollato di prodotti agrotossici, spargimento di petrolio, attività mineraria legale e illegale, dispersione dei derivati della produzione di droghe). A ciò si aggiunge il narcotraffico, che, sommato a quanto detto, mette a repentaglio la sopravvivenza dei popoli che dipendono delle risorse animali e vegetali di questi territori.

D’altra parte, le città dell’Amazzonia sono cresciute molto rapidamente, accogliendo molti migranti e profughi costretti a fuggire dalle loro terre e sospinti verso le periferie dei grandi centri urbani che si protendono in direzione della foresta. In maggioranza sono popoli indigeni, popoli delle rive dei fiumi e popoli di origine africana, espulsi dall’industria mineraria legale e illegale e da quella dell’estrazione petrolifera, accerchiati progressivamente dall’espansione delle attività di disboscamento. Costoro sono i più colpiti dai conflitti agrari e socio-ambientali. Anche le città si caratterizzano per le disuguaglianze sociali. La povertà che si è prodotta lungo la storia ha ingenerato rapporti di sottomissione, di violenza politica e istituzionale, aumento del consumo di alcool e di droghe – sia nelle città che nelle comunità rurali – e rappresenta una ferita profonda inferta ai diversi popoli amazzonici.

I movimenti migratori più recenti all’interno della regione amazzonica si caratterizzano, soprattutto, per il trasferimento degli indigeni dai loro territori d’origine alle città. Attualmente fra il 70 e l’80% della popolazione della Panamazzonia risiede nelle città. Molti di questi indigeni non hanno documenti o sono irregolari, rifugiati, abitanti delle rive dei fiumi o appartengono ad altre categorie di persone vulnerabili. Di conseguenza cresce in tutta l’Amazzonia un atteggiamento xenofobo e di criminalizzazione verso i migranti e i profughi. Questo, al tempo stesso, favorisce lo sfruttamento delle popolazioni amazzoniche, vittime del mutamento di valori dell’economia mondiale, in base al quale il guadagno è più importante della dignità umana. Si può trovare un esempio di ciò nella crescita drammatica del traffico di persone, specialmente donne, ai fini dello sfruttamento sessuale e commerciale. Le donne perdono così il loro protagonismo nei processi di trasformazione sociale, economica, culturale, ecologica, religiosa e politica delle loro comunità.

In sintesi, la crescita smisurata delle attività agricole, estrattive e di disboscamento dell’Amazzonia non solo ha danneggiato la ricchezza ecologica della regione, della sua foresta e delle sue acque, ma ha anche impoverito la realtà sociale e culturale. Ha obbligato a uno sviluppo umano non “integrale” né “inclusivo” del bacino amazzonico. Come risposta a questa situazione si percepisce, comunque, un incremento delle competenze organizzative e un progresso della società civile, con particolare attenzione alle problematiche ambientali. Nel campo dei rapporti sociali, e malgrado i limiti, la Chiesa Cattolica ha in generale portato avanti un lavoro significativo, rafforzando i propri cammini a cominciare dalla sua presenza incarnata nel territorio e dalla sua creatività pastorale e sociale.

3. Identità dei popoli indigeni
Nei nove Paesi che compongono la regione panamazzonica si registra la presenza di circa tre milioni di indigeni, che rappresentano quasi 390 popoli e nazionalità differenti. Inoltre esistono nel territorio, secondo dati delle istituzioni specializzate della Chiesa (per esempio il Consiglio Indigeno Missionario del Brasile) e altre, fra i 110 e i 130 Popoli Indigeni in Isolamento Volontario (PIAV) o “popoli liberi”. In aggiunta, negli ultimi tempi, sta facendo la sua comparsa una nuova categoria costituita dagli indigeni che vivono nel tessuto urbano, alcuni dei quali restano riconoscibili mentre altri in quel contesto tendono a dissolversi e per questo sono chiamati “invisibili”. Ognuno di questi popoli rappresenta un’identità culturale particolare, una ricchezza storica specifica e un modo peculiare di guardare la realtà e ciò che li circonda, nonché di rapportarsi con tutto questo a partire da una visione del mondo e da un’appartenenza territoriale specifiche.

Oltre alle minacce che emergono dall’interno delle loro culture, i popoli indigeni hanno subito forti minacce esterne fin dai primi contatti con i colonizzatori (cf. LS 143, DAp 90). Contro tali minacce i popoli indigeni e le comunità amazzoniche si organizzano, lottando per la difesa della loro esistenza e delle loro culture, dei loro territori e dei loro diritti, e della vita dell’universo e della creazione intera. I più vulnerabili, tuttavia, sono i PIAV, che non possiedono strumenti di dialogo e di negoziazione con gli agenti esterni che invadono i loro territori.

Alcuni “non indigeni” fanno difficoltà a capire il diverso modo di essere degli indigeni e, molte volte, non rispettano la differenza di cui l’altro è portatore. Il Documento di Aparecida a proposito del rispetto degli indigeni e degli afro-americani afferma: «La società tende a disprezzarli, non riconoscendo la loro differenza. La loro situazione sociale è segnata dall’esclusione e dalla povertà» (DAp 89). Tuttavia, come ha sottolineato Papa Francesco a Puerto Maldonado, «la loro visione del cosmo, la loro saggezza hanno molto da insegnare a noi che non apparteniamo alla loro cultura. Tutti gli sforzi che facciamo per migliorare la vita dei popoli amazzonici saranno sempre pochi» (Fr. PM).

Negli ultimi anni, i popoli indigeni hanno iniziato a scrivere la loro storia e a descrivere in modo più preciso le loro culture, abitudini, tradizioni e saperi. Hanno scritto sugli insegnamenti ricevuti dai loro antenati, genitori e nonni, insegnamenti che rappresentano memorie personali e collettive. Oggi l’essere indigeno si definisce non solo a partire dall’appartenenza etnica. Esso si riferisce anche alla capacità di mantenere tale identità senza isolarsi dalle società circostanti e con le quali si interagisce.

A fronte di questo processo d’integrazione, sorgono organizzazioni indigene che cercano di approfondire la storia dei loro popoli, per orientarne la lotta per l’autonomia e l’autodeterminazione: «È giusto riconoscere che esistono iniziative di speranza che sorgono dalle vostre stesse realtà locali e dalle vostre organizzazioni e cercano di fare in modo che gli stessi popoli originari e le comunità siano i custodi delle foreste, e che le risorse prodotte dalla loro conservazione ritornino a beneficio delle vostre famiglie, a miglioramento delle vostre condizioni di vita, della salute e dell’istruzione delle vostre comunità» (Fr.PM). Ciononostante, nessuna iniziativa può ignorare che il rapporto di appartenenza e di partecipazione che chi abita in Amazzonia stabilisce con il creato fa parte della sua identità e contrasta con una visione mercantilista dei beni della creazione (cf. LS 38).

In molti di questi contesti, la Chiesa Cattolica è presente mediante missionari e missionarie impegnati nelle cause dei popoli indigeni e amazzonici.

4. Memoria storica ecclesiale
L’inizio della memoria storica della presenza della Chiesa in Amazzonia si può situare nello scenario dell’occupazione coloniale della Spagna e del Portogallo. L’incorporazione dell’immenso territorio amazzonico nella società coloniale e il suo successivo passaggio di proprietà agli Stati nazionali è un lungo processo durato più di quattro secoli. Fino all’inizio del secolo XX, le voci in difesa dei popoli indigeni erano fragili, benché non assenti (cf. Pio X, Lettera Enciclica Lacrimabili Statu, 7.VI.1912). Con il Concilio Vaticano II queste voci si rafforzano. Per incoraggiare «il processo di cambiamento grazie ai valori evangelici» la II Conferenza dell’Episcopato Latinoamericano riunita a Medellín (1968), nel suo Messaggio ai Popoli dell’America Latina, ha rammentato che «malgrado i suoi limiti», la Chiesa «ha vissuto insieme al­le nostre popolazioni il processo di colonizzazione, liberazione e organizzazione». In seguito la III Conferenza dell’Episcopato Latinoamericano riunita a Puebla (1979) ci ha ricordato che l’occupazione e la colonizzazione del territorio amerindo è stato «un gigantesco processo di dominazioni», pieno di «contraddizioni e lacerazioni» (DP 6). E, ancora più tardi, la IV Conferenza di Santo Domingo (1992) ha richiamato la nostra attenzione su «uno degli episodi più tristi della storia latinoamericana e dei Caraibi», che «è stato il trasferimento forzato di un enorme numero di africani come schiavi». San Giovanni Paolo II ha chiamato questo trasferimento un «olocausto sconosciuto» al quale «hanno preso parte persone battezzate ma che non hanno vissuto la loro fede» (DSD 20; cf. Giovanni Paolo II, Discorso nell’Isola di Gorée, Senegal, 22.II.1992, n. 3; Messaggio agli Afroamericani, 12.X.1992, n. 2). Per questo «oltraggio scandaloso nella storia dell’umanità» (DSD 20), il Papa e i delegati in Santo Domingo hanno chiesto perdono.

Oggi, purtroppo, esistono ancora tracce residuali del progetto colonizzatore che ha generato rappresentazioni di inferiorità e di demonizzazione delle culture indigene. Queste tracce indeboliscono le strutture sociali indigene e rendono possibile il fatto che essi vengano privati delle loro conoscenze intellettuali e dei loro mezzi di espressione. Ciò che spaventa è che fino a oggi, dopo 500 anni dalla conquista, dopo all’incirca 400 anni di missione ed evangelizzazione organizzata e dopo 200 anni dall’emancipazione dei Paesi che compongono la Panamazzonia, simili tendenze continuano a svilupparsi sul territorio e tra i suoi abitanti, vittime oggi di un neocolonialismo feroce, «mascherato daprogresso». Probabilmente, come ha affermato Papa Francesco a Puerto Maldonado, i popoli originari amazzonici non sono stati mai così minacciati come adesso. Oggi, a causa dell’offesa scandalosa dei «nuovi colonialismi», «l’Amazzonia è una terra disputata su diversi fronti» (Fr. PM).

Nella sua storia missionaria, l’Amazzonia è stata luogo in cui si è testimoniato concretamente cosa significa stare sulla croce, addirittura essa è stata molte volte luogo di martirio. Anche la Chiesa ha imparato che in questo territorio, abitato da circa diecimila anni da una grande diversità di popoli, le diverse culture si costruiscono in un rapporto armonioso con l’ambiente circostante. Le culture precolombiane hanno offerto al cristianesimo iberico che accompagnava i conquistatori molteplici ponti e possibili elementi di contatto, «come l’apertura all’azione di Dio, il senso della gratitudine per i frutti della terra, il carattere sacro della vita umana e la valorizzazione della famiglia, il senso di solidarietà e di corresponsabilità nel lavoro comune, l’importanza del culto, il credere in una vita ultraterrena e tanti altri valori» (DSD 17).

5. Giustizia e diritti dei popoli
Papa Francesco, nella sua visita a Puerto Maldonado, ha invitato a modificare il paradigma storico in base al quale gli Stati considerano l’Amazzonia come un deposito di risorse naturali, passando sopra la vita dei popoli originari e non preoccupandosi della distruzione della natura. Il rapporto armonioso fra il Dio Creatore, gli esseri umani e la natura si è spezzato a causa degli effetti nocivi del neoestrattivismo e della pressione dei grandi interessi economici che sfruttano il petrolio, il gas, il legno, l’oro, e anche a causa della costruzione di opere infrastrutturali (per esempio: megaprogetti idroelettrici e reti stradali, come le superstrade interoceaniche) e delle monocolture industriali (cf. Fr. PM).

La cultura imperante del consumo e dello scarto trasforma il pianeta in una grande discarica. Il Papa denuncia questo modello di sviluppo come anonimo, asfissiante, senza madre; ossessionato soltanto dal consumo e dagli idoli del denaro e del potere. Si impongono nuovi colonialismi ideologici mascherati dal mito del progresso, che distruggono le identità culturali proprie. Francesco esorta a difendere le culture e a riappropriarsi dell’eredità che proviene dalla saggezza ancestrale, la quale propone un rapporto armonioso fra la natura e il Creatore, ed esprime con chiarezza che «la difesa della terra non ha altra finalità che non sia la difesa della vita» (Fr. PM). La si deve considerare terra santa: «Questa non è una terra orfana! Ha una Madre!» (Fr. EP).

D’altronde, la minaccia contro i territori amazzonici «viene anche dalla perversione di certe politiche che promuovono la “conservazione” della natura senza tenere conto dell’essere umano e, in concreto, di voi fratelli (e sorelle) amazzonici che la abitate» (Fr. PM). L’orientamento di Papa Francesco è chiaro: «Credo che il problema essenziale sia come conciliare il diritto allo sviluppo, compreso quello sociale e culturale, con la tutela delle caratteristiche proprie degli indigeni e dei loro territori. […] In questo senso dovrebbe sempre prevalere il diritto al consenso previo e informato» (Fr. FPI).

Parallelamente le popolazioni indigene, quelle contadine e altri settori della popolazione, in Amazzonia come pure a livello nazionale in ciascun Paese, sono venuti costruendo processi politici che hanno orientato le loro agende di lavoro in una prospettiva attenta ai diritti umani dei popoli. La situazione del diritto al territorio dei popoli indigeni in Panamazzonia ruota intorno a una problematica costante, quella della mancata regolarizzazione delle terre e del mancato riconoscimento della loro proprietà ancestrale e collettiva. Così anche il territorio è stato privato di un’interpretazione integrale, collegata all’aspetto culturale e alla visione del mondo propria di ogni popolo o comunità indigena.

Proteggere i popoli indigeni e i loro territori è un’esigenza etica fondamentale e un impegno fondamentale per i diritti umani. Per la Chiesa ciò si trasforma in un imperativo morale coerente con la visione di ecologia integrale di Laudato si’ (cf. LS, cap. IV).

6. Spiritualità e saggezza
Per i popoli indigeni dell’Amazzonia, il “buon vivere” esiste quando si vive in comunione con gli altri, con il mondo, con gli esseri circostanti e con il Creatore. I popoli indigeni, infatti, vivono all’interno della casa che Dio stesso ha creato e ha dato loro in dono: la Terra. Le loro diverse spiritualità e credenze li portano a vivere una comunione con la terra, l’acqua, gli alberi, gli animali, con il giorno e con la notte. I vecchi saggi, chiamati indistintamente – fra l’altro – payés, mestres, wayanga o chamanes, hanno a cuore l’armonia delle persone tra loro e con il cosmo. Tutti costoro «sono memoria viva della missione che Dio ha affidato a tutti noi: avere cura della Casa Comune» (Fr. PM).

Gli indigeni amazzonici cristiani comprendono la proposta del “buon vivere” come vita piena nel segno della collaborazione all’edificazione del Regno di Dio. Questo buon vivere potrà essere raggiunto solo quando si realizzerà il progetto comunitario in difesa della vita, del mondo e di tutti gli esseri viventi.

«Siamo chiamati a diventare gli strumenti di Dio Padre perché il nostro pianeta sia quello che Egli ha sognato nel crearlo e risponda al suo progetto di pace, bellezza e pienezza» (LS 53). Questo sogno comincia a costruirsi all’interno della famiglia che è la prima comunità della nostra esistenza: «La famiglia è ed è sempre stata l’istituzione sociale che più ha contribuito a mantenere vive le nostre culture. In momenti passati di crisi, di fronte ai diversi imperialismi, la famiglia dei popoli originari è stata la migliore difesa della vita» (Fr. PM).

Ciononostante, è necessario riconoscere che nella regione amazzonica c’è una grande diversità culturale e religiosa. Sebbene per la maggior parte tale diversità promuova il “buon vivere” come un progetto di armonia fra Dio, i popoli e la natura, esistono anche alcune sette che, motivate da interessi esterni al territorio, non sempre favoriscono l’ecologia integrale.

II. DISCERNERE.
VERSO UNA CONVERSIONE PASTORALE ED ECOLOGICA

7. Annunciare il Vangelo di Gesù in Amazzonia: dimensione biblico-teologica
La realtà specifica dell’Amazzonia e il suo destino interpellano oggi ogni persona di buona volontà sull’identità del cosmo, sulla sua armonia vitale e sul suo futuro. I Vescovi dell’America Latina riconoscono la natura come eredità gratuita e, quali profeti della vita, assumono l’impegno di proteggere questa Casa Comune (cf. DAp 471).

I racconti biblici contengono alcune istanze teologiche portatrici di valori universali. Anzitutto, ogni realtà creata esiste per la vita e tutto quello che conduce alla morte si oppone alla volontà divina. In secondo luogo, Dio stabilisce un rapporto di comunione con l’essere umano «creato a sua immagine e somiglianza» (Gen 1,26), al quale affida la salvaguardia della creazione (cf. Gen 1,28; 2,15). «Rendiamo grazie per il dono della creazione, riflesso della sapienza e della bellezza del Logos Creatore che affidò all’essere umano l’opera della sua creazione, perché la “coltivasse e custodisse”» (DAp 470). Infine, all’armonia del rapporto fra Dio, l’essere umano e il cosmo si contrappongono la disarmonia della disubbidienza e del peccato (cf. Gen 3,1-7), che determina la paura (cf. Gen 3,8-10), il rifiuto dell’altro (cf. Gen 3,12), la maledizione del suolo (cf. Gen 3,17), l’esclusione dal giardino (cf. Gen 3,23-24), fino ad arrivare all’esperienza del fratricidio (cf. Gen 4,1-16).

Allo stesso tempo, i racconti biblici testimoniano che nella creazione ferita è piantato il germoglio della promessa e il seme della speranza, perché Dio non abbandona l’opera delle sue mani. Nella storia della salvezza Egli rinnova il proposito di “fare alleanza” fra l’essere umano e la terra, ristabilendo mediante il dono della Torah la bellezza della creazione. Tutto questo culmina nella persona e nella missione di Gesù. Mentre mostra compassione per l’umanità e la sua fragilità (cf. Mt 9, 35-36), Egli conferma la bontà di tutte le cose create (cf. Mc 7,14-15). I prodigi compiuti sui malati e sulla natura rivelano contemporaneamente la provvidenza del Padre e la bontà della creazione (cf. Mt 6, 9-15.25-34).

Il mondo creato ci invita a lodare la bellezza e l’armonia delle creature e del Creatore (cf. LS 12). Come segnala il Catechismo della Chiesa Cattolica, «ogni creatura possiede la sua bontà e la sua propria perfezione», e nel suo essere riflette «un raggio dell’infinita sapienza e bontà di Dio», del suo amore (CCC 339). «Suolo, acqua […] tutto è carezza di Dio» (LS 84), canto divino, le cui note sono formate dalla «moltitudine di creature presenti nell’universo», come ha asserito San Giovanni Paolo II (Catechesi, 30.I.2002). Quando una qualsiasi di queste creature viene eliminata per cause umane, essa non può cantare più le lodi del Creatore (cf. LS 33).

La provvidenza del Padre e la bontà della creazione raggiungono il loro culmine nel mistero dell’incarnazione del Figlio di Dio, che si fa vicino e stringe in un abbraccio tutte le situazioni umane, ma soprattutto quelle dei più poveri. Il Concilio Vaticano II menziona questa vicinanza con termini come adattamento e dialogo (cf. GS 4, 11; CD 11; UR 4; SC 37ss), incarnazione e solidarietà (cf. GS 32). Più tardi, soprattutto in America Latina, queste parole sono state tradotte come opzione per i poveri e liberazione (Medellín 1968), partecipazione e comunità di base (Puebla 1979), inserimento e inculturazione (cf. Santo Domingo 1992), missione e servizio di una Chiesa samaritana e avvocata dei poveri (cf. DAp 2007).

Con la morte e risurrezione di Gesù si illumina il destino dell’intera creazione, impregnato della potenza dello Spirito Santo, già evocata nella tradizione sapienziale (cf. Sap 1,7). La Pasqua porta a compimento il progetto di una “nuova creazione” (cf. Ef 2,15; 4,24), rivelando che Cristo è la Parola creatrice di Dio (cf. Gv 1,1-18) e che «tutte le cose sono state create per mezzo di Lui e in vista di Lui» (Col 1,16). «Per la comprensione cristiana della realtà, il destino dell’intera creazione passa attraverso il mistero di Cristo, che è presente fin dall’origine» (LS 99).

La tensione fra il “già” e il “non ancora” coinvolge la famiglia umana e il mondo intero: «L’ardente aspettativa della creazione, infatti, è protesa verso la rivelazione dei figli di Dio.La creazione infatti è stata sottoposta alla caducità – non per sua volontà, ma per volontà di colui che l’ha sottoposta – nella speranzache anche la stessa creazione sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. Sappiamo infatti che tutta insieme la creazione geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi» (Rm 8,19-22). Nel mistero pasquale di Cristo, la creazione intera si protende verso un compimento finale, nel quale «le creature di questo mondo non ci si presentano più come una realtà meramente naturale, perché il Risorto le avvolge misteriosamente e le orienta a un destino di pienezza. Gli stessi fiori del campo e gli uccelli che Egli contemplò ammirato con i suoi occhi umani, ora sono pieni della sua presenza luminosa» (LS 100).

8. Annunciare il Vangelo di Gesù in Amazzonia: dimensione sociale
La missione evangelizzatrice ha sempre un «contenuto ineludibilmente sociale» (EG 177). Credere in un Dio Trino ci invita a tenere sempre presente che «siamo stati creati a immagine della comunione divina, per cui non possiamo realizzarci né salvarci da soli» (EG 178). Infatti, «dal cuore del Vangelo riconosciamo l’intima connessione tra evangelizzazione e promozione umana» (EG 178), tra l’accoglienza e la trasmissione dell’amore divino. Così, se accettiamo l’amore di Dio Padre Creatore che ci ha conferito una dignità infinita, l’amore del Dio Figlio che ci ha nobilitato con la sua redenzione e l’amore dello Spirito Santo che penetra e libera tutti i vincoli umani, non possiamo che comunicare quest’amore trinitario rispettando e promovendo in ogni azione di evangelizzazione la dignità, nobiltà e libertà di tutti gli esseri umani (cf. EG 178). In altre parole, l’opera evangelizzatrice di ricevere e trasmettere l’amore di Dio comincia con il desiderio, la ricerca e il prendersi cura degli altri (cf. EG 178).

Pertanto, l’evangelizzazione implica l’impegno in favore dei nostri fratelli e delle nostre sorelle, per migliorare la vita comunitaria e così «renderepresente nel mondo il Regno di Dio» (EG 176), promovendo nel e per tutto il mondo (cf. Mc 16,15) non una «carità à la carte» (EG 180), ma un vero sviluppo integrale, cioè per tutte le persone e per tutta la persona (cf. PP 14 e EG 181). Questo è ciò che si chiama il «criterio di universalità» dell’opera evangelizzatrice, «dal momento che il Padre vuole che tutti gli uomini si salvino e il suo disegno di salvezza consiste nel ricapitolare tutte le cose, quelle del cielo e quelle della terra, sotto un solo Signore, che è Cristo (cf. Ef 1,10). […] Tutta la creazione vuol dire anche tutti gli aspetti della natura umana» (EG 181), e tutte le sue relazioni.

Già nelle storie bibliche della creazione emerge l’idea che l’esistenza umana si caratterizza per «tre relazioni fondamentali strettamente connesse: la relazione con Dio, quella con il prossimo e quella con la terra […] queste tre relazioni vitali sono rotte, non solo fuori, ma anche dentro di noi. Questa rottura è il peccato» (LS 66). La redenzione di Cristo, che ha vinto il peccato, offre la possibilità di armonizzare queste relazioni. La «missione dell’annuncio della Buona Notizia di Gesù Cristo», pertanto, alimenta la speranza non solo nella fine della storia, ma nel corso stesso della storia dei popoli, all’interno di una storia capace di valorizzare e ricomporre tutte le relazioni della nostra esistenza (cf. EG 181). Per questo l’opera dell’evangelizzazione ci invita a lavorare contro le disuguaglianze sociali e la mancanza di solidarietà mediante la promozione della carità e della giustizia, della compassione e della cura, certamente fra di noi, ma anche nei riguardi degli altri esseri, animali e piante, e di tutta la creazione. La Chiesa è chiamata ad accompagnare e a condividere il dolore del popolo amazzonico e a collaborare alla guarigione delle sue ferite, mettendo in pratica la sua identità di Chiesa samaritana, secondo l’espressione dei Vescovi latinoamericani (cf. DAp.26).

Questa dimensione sociale – e in ultima analisi cosmica – della missione evangelizzatrice è particolarmente rilevante nel territorio amazzonico, nel quale l’interconnessione fra vita umana, ecosistemi e vita spirituale è stata e continua a essere chiara per la maggior parte dei suoi abitanti. La devastazione è «una scia di distruzione, e perfino di morte, in tutte le nostre regioni […] che mette in pericolo la vita di milioni di persone, e in special modo dell’habitat dei contadini e degli indigeni» (DAp 473). Non prendersi cura della Casa Comune «è un’offesa al Creatore, un attentato contro la biodiversità e, in definitiva, contro la vita» (DAp 125).

Perciò, come ben ci ricorda Papa Francesco, l’opera di evangelizzazione non può «mutilare l’integralità del messaggio del Vangelo» (EG 39). La sua armoniosa integralità, per la precisione, «esige dall’evangelizzatore alcune disposizioni che aiutano ad accogliere meglio l’annuncio: vicinanza, apertura al dialogo, pazienza, accoglienza cordiale» (EG 165), e, soprattutto, gli domanda di assumere e assimilare la convinzione che «tutto è collegato» (LS 91, 117, 138, 240). Questo implica che l’evangelizzatore deve promuovere progetti di vita personale, sociale e culturale per mezzo dei quali possiamo alimentare l’integralità delle nostre relazioni vitali con gli altri, con la creazione e con il Creatore. Tale chiamata ha bisogno di un ascolto attento contemporaneamente al grido dei poveri e a quello della terra (cf. LS 49).

Oggi il grido che l’Amazzonia eleva al Creatore è simile al grido del Popolo di Dio in Egitto (cf. Es 3,7). È un grido di schiavitù e di abbandono, che domanda la libertà e l’attenzione di Dio. È un grido che invoca la presenza di Dio, specialmente quando i popoli amazzonici, per difendere le proprie terre, si scontrano con la criminalizzazione della loro protesta – sia ad opera delle autorità che dell’opinione pubblica –; o quando sono testimoni della distruzione della foresta tropicale, che costituisce il loro habitat millenario; o quando le acque dei loro fiumi si riempiono di elementi che producono morte anziché vita.

9. Annunciare il Vangelo di Gesù in Amazzonia: dimensione ecologica
«Il Regno che viene anticipato e cresce tra di noi riguarda tutto» (EG 181), ricordandoci che «tutto nel mondo è intimamente connesso» (LS 16) e che pertanto «il principio del discernimento» dell’evangelizzazione è collegato a un processo integrale di sviluppo umano (cf. EG 181). Questo processo si caratterizza, come segnala Laudato si’ (cf. nn. 137-142), per un paradigma relazionale denominato ecologia integrale, che articola fra loro i vincoli fondamentali che rendono possibile un vero sviluppo.

Il primo grado di articolazione per un autentico progresso è il vincolo intrinseco fra l’elemento sociale e l’elemento ambientale. Dato che come esseri umani siamo parte degli ecosistemi che favoriscono le relazioni che danno vita al nostro pianeta, prendersi cura di questi ecosistemi – nei quali tutto è interconnesso – è fondamentale per promuovere sia la dignità di ogni individuo che il bene comune della società, sia il progresso sociale che il rispetto dell’ambiente.

In Amazzonia la nozione di ecologia integrale è una chiave per rispondere alla sfida di tutelare l’immensa ricchezza della sua biodiversità ambientale e culturale. Dal punto di vista ambientale l’Amazzonia, oltre a essere «fonte di vita nel cuore della Chiesa» (REPAM), è un polmone del pianeta e uno dei luoghi in cui si trova maggiore biodiversità nel mondo (cf. LS 38). Infatti, il bacino amazzonico possiede l’ultima grande foresta tropicale che, nonostante gli interventi che ha subito e che subisce, costituisce la maggiore superficie forestale esistente nei tropici della nostra terra. Riconoscere il territorio amazzonico come bacino, al di là delle frontiere tra i Paesi, aiuta ad avere uno sguardo integrale sulla regione, essenziale per la promozione di uno sviluppo e di una ecologia integrali.

Dal punto di vista culturale, com’è stato ampiamente segnalato nella sezione precedente, l’Amazzonia è particolarmente ricca in virtù delle diverse e ancestrali concezioni del mondo delle sue popolazioni. Tale patrimonio culturale, che fa «parte dell’identità comune» della regione, si trova «minacciato» così come il suo patrimonio ambientale (LS 143). Le minacce provengono – principalmente – da una «visione consumistica dell’essere umano, favorita dagli ingranaggi dell’attuale economia globalizzata, [che] tende a rendere omogenee le culture e a indebolire l’immensa varietà culturale, che è un tesoro dell’umanità» (LS 144).

Pertanto, il processo di evangelizzazione della Chiesa in Amazzonia non può prescindere dalla promozione e dalla cura del territorio (natura) e dei suoi popoli (culture). Per questo, ha bisogno di stabilire ponti che possano articolare i saperi ancestrali con le conoscenze contemporanee (cf. LS 143-146), particolarmente quelle che riguardano l’utilizzo sostenibile del territorio e uno sviluppo coerente con i sistemi di valori e con le culture dei popoli che abitano questi luoghi, da riconoscere come loro autentici custodi, e in definitiva come loro proprietari.

Ma l’ecologia integrale è più che la mera connessione tra l’elemento sociale e quello ambientale. Essa comprende pure la necessità di promuovere un’armonia personale, sociale ed ecologica, per la quale abbiamo bisogno di una conversione personale, sociale ed ecologica (cf. LS 210). L’ecologia integrale, dunque, ci invita a una conversione integrale. «Questo esige anche di riconoscere i propri errori, peccati, vizi o negligenze» e le omissioni con cui «offendiamo la creazione di Dio», e chiede di «pentirsi di cuore» (LS 218). Soltanto quando saremo coscienti di come il nostro stile di vita e il nostro modo di produrre, commerciare, consumare e scartare influenzano la vita del nostro ambiente e delle nostre società, allora potremo avviare un cambiamento di rotta integrale.

Cambiare rotta, o convertirsi integralmente, non può esaurirsi in una conversione di tipo individuale. Un cambiamento profondo del cuore, espresso in comportamenti personali, è necessario quanto un cambiamento strutturale, espresso in comportamenti sociali, in leggi e in programmi economici coerenti. Quando si tratta di promuovere questo cambiamento radicale che l’Amazzonia e il pianeta esigono, i processi di evangelizzazione possono contribuire molto, soprattutto grazie alla profondità con cui lo Spirito di Dio pervade la natura e i cuori delle persone e dei popoli.

10. Annunciare il Vangelo di Gesù nell’Amazzonia: dimensione sacramentale
Mentre la Chiesa riconosce la forte ipoteca e il potere del peccato, soprattutto nella distruzione sociale e ambientale, essa non si scoraggia nel suo camminare insieme al popolo amazzonico e, sostenuta dalla grazia di Cristo, si impegna a superare la fonte del peccato. Uno sguardo ecclesiale contemplativo e una pratica sacramentale coerente sono le chiavi per l’evangelizzazione dell’Amazzonia.

«L’universo si sviluppa in Dio, che lo riempie tutto. Quindi c’è un mistero da contemplare in una foglia, in un sentiero, nella rugiada, nel volto di un povero» (LS 233). Chi sa contemplare «tutto quanto c’è di buono nelle cose e nelle esperienze del mondo», scopre l’intima connessione di tutte queste cose ed esperienze con Dio (LS 234). Perciò la comunità cristiana, specialmente in Amazzonia, è invitata a osservare la realtà con uno sguardo contemplativo mediante il quale le divenga possibile cogliere la presenza e l’azione di Dio in tutta la creazione e in tutta la storia.

Inoltre, tenendo conto che «i Sacramenti sono un modo privilegiato in cui la natura viene assunta da Dio e trasformata in mediazione della vita soprannaturale», la loro celebrazione è un invito permanente ad «abbracciare il mondo su un piano diverso» (LS 235). Per esempio, la celebrazione del Battesimo ci invita a considerare l’importanza dell’“acqua” come sorgente di vita, non solo come strumento o risorsa naturale, e responsabilizza la comunità credente a custodire questo elemento come dono di Dio per tutto il pianeta. Inoltre, tenendo conto che l’acqua del Battesimo purifica il battezzato da tutti i peccati, la sua celebrazione permette alla comunità cristiana di comprendere il valore dell’acqua e “del fiume” come sorgente di purificazione, facilitando l’inculturazione dei riti legati all’acqua propri della sapienza ancestrale dei popoli amazzonici.

La celebrazione dell’Eucaristia ci invita a riscoprire come «il Signore, al culmine del mistero dell’Incarnazione, volle raggiungere la nostra intimità attraverso un frammento di materia» (LS 236). L’Eucaristia, pertanto, ci riporta al «centro vitale dell’universo», al fulcro traboccante d’amore e di vita inesauribile del Figlio incarnato, presente sotto le apparenze del pane e del vino, frutto della terra-vite e del lavoro degli uomini (LS 236). Nell’Eucaristia la comunità celebra un amore cosmico, in cui gli esseri umani, accanto al Figlio di Dio incarnato e a tutta la creazione, rendono grazie a Dio per la vita nuova in Cristo resuscitato (cf. LS 236). In questo modo, l’Eucaristia costituisce la comunità, una comunità pellegrina festiva che diventa «fonte di luce e di motivazione per le nostre preoccupazioni per l’ambiente, e ci orienta ad essere custodi di tutto il creato» (LS 236). Allo stesso tempo, il sangue di tanti uomini e donne che è stato versato, irrorando le terre amazzoniche per il bene dei suoi abitanti e del territorio, si mescola al Sangue di Cristo, versato per tutti e per tutta la creazione.

11. Annunciare il Vangelo di Gesù nell’Amazzonia: dimensione ecclesiale-missionaria
Nella Chiesa in uscita (cf. EG 46), «per sua natura missionaria» (AG 2, DAp 347), tutti i battezzati hanno la responsabilità di essere discepoli missionari, partecipando alla vita ecclesiale con modalità diverse e all’interno di ambiti differenti.

Una delle importanti acquisizioni della coscienza magisteriale della Chiesa è, in effetti, quella di sentirsi chiamata ad «annunziare sempre e dovunque i principi morali anche circa l’ordine sociale, e così pure pronunciare il giudizio su qualsiasi realtà umana, in quanto lo esigano i diritti fondamentali della persona umana o la salvezza delle anime» (CCC 2032; CIC can. 747).

La lode a Dio deve accompagnarsi alla pratica della giustizia in favore dei poveri. Come proclama il Salmo 146 (145): «Loda il Signore, anima mia: loderò il Signore finché ho vita, […] al Signore che libera i prigionieri, che dà il pane agli affamati, che sostiene l’orfano e la vedova». Questa missione ha bisogno della partecipazione di tutti e di una riflessione più ampia che permetta di considerare le condizioni storiche concrete, sia sociali che ambientali ed ecclesiali. In questo senso, un approccio missionario in Amazzonia richiede più che mai un magistero ecclesiale esercitato nell’ascolto dello Spirito Santo, che sia in grado di assicurare tanto l’unità quanto la diversità. Quest’unità nella diversità, seguendo la tradizione della Chiesa, è attraversata strutturalmente dal cosiddetto sensus fidei del Popolo di Dio.

Papa Francesco ha ripreso quest’aspetto messo in luce dal Concilio Vaticano II (cf. LG 12; DV 10), ricordando che «in tutti i battezzati, dal primo all’ultimo, opera la forza santificatrice dello Spirito che spinge ad evangelizzare. Il Popolo di Dio è santo in ragione di questa unzione che lo rende infallibile “in credendo”. Questo significa che quando crede non si sbaglia […]. Dio dota la totalità dei fedeli di un istinto della fede – il sensus fidei – che li aiuta a discernere ciò che viene realmente da Dio» (EG 119).

Tale discernimento deve essere accompagnato dai pastori, specialmente dai Vescovi. Infatti, la conservazione della Tradizione ecclesiale, attuata da tutto il Popolo di Dio, esige l’unità di questo Popolo con i suoi pastori (cf. DV 10) per la lettura e il discernimento delle nuove realtà. Sono i Vescovi, come principio di unità del Popolo di Dio (cf. LG 23), coloro che hanno la responsabilità di conservare l’unità della Tradizione originata e basata sulle Sacre Scritture (cf. DV 9).

Così, il senso religioso dell’Amazzonia, come esempio di espressione del sensus fidei, ha bisogno dell’accompagnamento e della presenza dei pastori (cf. EN 48). Quando Papa Francesco ha incontrato i popoli dell’Amazzonia a Puerto Maldonado, ha affermato: «Ho voluto venire a visitarvi e ascoltarvi, per stare insieme nel cuore della Chiesa, unirci alle vostre sfide e con voi riaffermare un’opzione sincera per la difesa della vita, per la difesa della terra e per la difesa delle culture». I rappresentati dei popoli presenti, da parte loro, gli hanno risposto: «Noi veniamo ad ascoltare Vostra Santità, a stare insieme al Papa nel cuore della Chiesa e a partecipare all’edificazione di questa Chiesa perché assuma sempre più un volto amazzonico». In questo ascolto reciproco tra il Papa (e le autorità ecclesiali) e gli abitanti del popolo amazzonico si alimenta e si rafforza il sensus fidei del Popolo e cresce il suo essere ecclesiale: «Abbiamo bisogno di esercitarci nell’arte di ascoltare, che è più che sentire» (EG 171).

L’Assemblea Speciale per la Regione Panamazzonica ha bisogno di un grande esercizio di ascolto reciproco, specialmente di un ascolto tra il Popolo fedele e le autorità magisteriali della Chiesa. Una delle cose principali da ascoltare è il gemito «di migliaia di comunità private dell’Eucaristia domenicale per lunghi periodi» (DAp 100, e). Confidiamo che la Chiesa, radicata nelle sue dimensioni sinodali e missionarie (cf. Francesco, Discorso per la commemorazione del 50° anniversario dell’istituzione del Sinodo dei Vescovi, 17 ottobre 2015), possa generare processi di ascolto (vedere-ascoltare) e di discernimento (giudicare), per poter rispondere (agire) alle realtà concrete dei popoli amazzonici.

III. AGIRE.
NUOVI CAMMINI PER UNA CHIESA DAL VOLTO AMAZZONICO3

12. Chiesa dal volto amazzonico
«Essere Chiesa è essere Popolo di Dio», incarnato «nei popoli della terra» e nelle loro culture (EG 115). L’universalità o cattolicità della Chiesa si trova dunque arricchita mediante «la bellezza di questo volto pluriforme» (NMI 40) delle diverse manifestazioni delle Chiese particolari e delle loro culture. Come ha segnalato Papa Francesco nel suo incontro con le comunità amazzoniche a Puerto Maldonado, «quanti non abitiamo queste terre abbiamo bisogno della vostra saggezza e delle vostre conoscenze per poterci addentrare, senza distruggerlo, nel tesoro che racchiude questa regione. E risuonano le parole del Signore a Mosè: “Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai, è suolo santo” (Es 3,5)» (Fr. PM).

La Chiesa è chiamata ad approfondire la sua identità mettendosi in relazione con le realtà dei territori in cui vive e ad accrescere la propria spiritualità ponendosi in ascolto della saggezza dei popoli che la compongono. Per questo motivo, l’Assemblea Speciale per la Regione Panamazzonica è chiamata a individuare nuovi cammini per far crescere il volto amazzonico della Chiesa e anche per rispondere alle situazioni di ingiustizia della regione, come il neocolonialismo delle industrie estrattive, i progetti infrastrutturali che danneggiano la biodiversità e l’imposizione di modelli culturali ed economici estranei alla vita dei popoli.

Così, rivolgendo l’attenzione alla realtà locale e alla diversità delle microstrutture concrete della regione, la Chiesa si rafforza costituendosi come un’alternativa di fronte alla globalizzazione dell’indifferenza e alla logica uniformizzante incentivata da tanti mezzi di comunicazione, così come a un modello economico che non è solito rispettare i popoli amazzonici e i loro territori.

Da parte loro le Chiese locali, che sono anch’esse Chiese missionarie, in uscita, possono trovare nelle loro periferie dei luoghi privilegiati di esperienza evangelizzatrice, perché è là che «maggiormente mancano la luce e la vita del Risorto» (EG 30). Nelle periferie i missionari incontrano gli emarginati, i profughi e i rifugiati, i disperati e gli esclusi, dunque Gesù Cristo crocifisso ed esaltato, «che ha voluto identificarsi con particolare tenerezza con i più deboli e poveri» (DP 196).

Durante la preparazione del Sinodo, si dovrà cercare di individuare esperienze pastorali locali, sia positive che negative, che possano illuminare il discernimento in vista dell’elaborazione di nuove linee d’azione.

13. Dimensione profetica
Di fronte all’attuale crisi socio-ambientale, occorrono luci di orientamento e di azione per poter operare la trasformazione delle pratiche e degli atteggiamenti.

Bisogna superare la miopia, la frettolosità e le soluzioni di corto raggio. È necessario mantenere una prospettiva globale e andare oltre gli interessi propri o particolari, per poter condividere ed essere responsabili di un progetto comune e globale.

«Tutto è collegato» è un’affermazione su cui tanto insiste Papa Francesco, allo scopo di entrare in dialogo con le radici spirituali delle grandi tradizioni religiose e culturali. Si fa strada l’esigenza di un consenso intorno a un’agenda minima: sviluppo integrale e sostenibile, così com’è stato descritto in precedenza, che include allevamento e agricoltura sostenibili, energia non contaminata, rispetto delle identità e dei diritti dei popoli tradizionali, acqua potabile per tutti. Si tratta di temi fondamentali spesso assenti in Panamazzonia.

Si deve trovare un equilibrio e l’economia deve privilegiare la sua vocazione in favore della dignità della vita umana. Questo rapporto di equilibrio deve tutelare l’ambiente e la vita dei più vulnerabili. Attualmente c’è «una sola e complessa crisi socio-ambientale» (LS 139).

L’Enciclica Laudato si’ (cf. nn. 216ss) ci invita a una conversione ecologica che esige uno stile di vita nuovo. L’orizzonte di riferimento è rappresentato dall’altro. Si deve praticare la solidarietà globale e superare l’individualismo, dischiudere cammini nuovi di libertà, verità e bellezza. La conversione domanda di liberarci dall’ossessione del consumo. Comprare è un atto morale, non solo economico. La conversione ecologica significa assumere la mistica dell’interconnessione e dell’interdipendenza di tutto il creato. La gratuità non può che imporsi nei nostri comportamenti quando comprendiamo che la vita è dono di Dio. Abbracciare la vita in solidarietà comunitaria esige un cambiamento del cuore.

Questo nuovo paradigma apre prospettive di trasformazione personale e sociale. La gioia e la pace sono possibili quando non siamo ossessionati dal consumo. Papa Francesco propone un rapporto armonioso con la natura che ci consente di vivere una felice sobrietà, la pace interiore con se stessi in relazione con il bene comune, e una serena armonia che domanda di accontentarsi di quel che è veramente necessario. Si tratta di qualcosa che le culture occidentali possono, e forse devono, apprendere dalle culture tradizionali amazzoniche, come pure da altri territori e comunità del pianeta. Essi, i popoli, «hanno molto da insegnarci» (EG 198). Nell’amore per la loro terra e nella loro relazione con gli ecosistemi, essi conoscono il Dio Creatore, sorgente di vita. Quei popoli «con le proprie sofferenze conoscono il Cristo sofferente» (EG 198). Essi, nella loro concezione dialogica della vita sociale, sono mossi dallo Spirito Santo. Per questo Papa Francesco ha affermato che «è necessario che tutti ci lasciamo evangelizzare da loro» e dalle loro culture, e che il compito della nuova evangelizzazione richiede di «prestare ad essi la nostra voce nelle loro cause, ma anche [siamo chiamati] ad essere loro amici, ad ascoltarli, a comprenderli e ad accogliere la misteriosa sapienza che Dio vuole comunicarci attraverso di loro» (EG 198). Di conseguenza, i loro insegnamenti potrebbero indicare la direzione delle priorità per i nuovi cammini della Chiesa in Amazzonia.

14. Ministeri dal volto amazzonico
Attraverso molti incontri regionali in Amazzonia, la Chiesa Cattolica ha approfondito la consapevolezza che la sua universalità si incarna nella storia e nelle culture locali. In questo modo si manifesta e si realizza la Chiesa di Cristo, una, santa, cattolica e apostolica (cf. CD 11). Grazie a tale consapevolezza, la Chiesa tiene oggi gli occhi puntati sull’Amazzonia con una visione d’insieme, che le permette di rendersi conto delle grandi sfide socio-politiche, economiche ed ecclesiali che minacciano questa regione, ma senza perdere la speranza nella presenza di Dio, alimentata dalla creatività e dalla tenace perseveranza dei suoi abitanti.

Negli ultimi decenni, anche grazie al grande impulso venuto dal Documento di Aparecida, la Chiesa dell’Amazzonia ha preso coscienza che, a causa delle immense distese territoriali, della grande varietà dei popoli e dei rapidi cambiamenti degli scenari socio-economici, la sua pastorale non riusciva a garantire che una presenza precaria. Era (e continua a essere) necessaria una maggiore presenza ecclesiale, per poter rispondere a tutto ciò che è specifico di questa regione a partire dai valori del Vangelo, avendo consapevolezza, fra l’altro, dell’immensa estensione geografica, tante volte di difficile accesso, della grande diversità culturale e del forte influsso esercitato da interessi nazionali e internazionali in cerca di un arricchimento economico facile attraverso le risorse presenti nella regione. Una missione incarnata esige di ripensare la scarsa presenza della Chiesa in rapporto all’immensità del territorio e alla sua varietà culturale.

La Chiesa dal volto amazzonico deve «ricercare un modello di sviluppo alternativo, integrale e solidale, fondato su un’etica attenta alla responsabilità per un’autentica ecologia naturale e umana, che sia radicata nel Vangelo della giustizia, nella solidarietà e nella destinazione universale dei beni; che superi la logica utilitarista ed individualista, che rifiuta di sottoporre ai criteri etici i poteri economici e tecnologici» (DAp 474, c). Pertanto, è necessario incoraggiare tutto il Popolo di Dio a partecipare alla missione di Cristo, Sacerdote, Profeta e Re (cf. LG 9), e a non rimanere indifferente di fronte alle ingiustizie della regione per poter individuare, in ascolto dello Spirito, gli auspicati nuovi cammini.

Questi nuovi cammini per la pastorale dell’Amazzonia esigono di «rilanciare l’opera delle Chiesa» (DAp 11) nel territorio e di approfondire il «processo di inculturazione» (EG 126), che domanda alla Chiesa amazzonica di avanzare proposte «coraggiose», fatte con «audacia» e «senza paura», come ci chiede Papa Francesco. Il profilo profetico della Chiesa si mostra oggi attraverso il suo profilo ministeriale partecipativo, capace di rendere i popoli indigeni e le comunità amazzoniche i «principali interlocutori» (LS 146) all’interno di tutte le questioni pastorali e socio-ambientali del territorio.

Per intervenire sulla presenza precaria della Chiesa e trasformarla in una presenza più capillare e incarnata, c’è bisogno di stabilire una gerarchia delle urgenze in Amazzonia. Il Documento di Aparecida menziona la necessità di una «coerenza eucaristica» (DAp 436) per tutta la regione amazzonica, riferendosi non solo alla possibilità che tutti i battezzati partecipino alla Messa dominicale, ma anche all’esigenza che crescano cieli nuovi e terra nuova come anticipazione del Regno di Dio in Amazzonia.

In questo senso il Vaticano II ci ricorda che tutto il Popolo di Dio partecipa al sacerdozio di Cristo, benché distinguendo tra sacerdozio comune e sacerdozio ministeriale (cf. LG 10). Per questo è urgente valutare e ripensare i ministeri che oggi sono necessari per rispondere agli obiettivi di «una Chiesa con un volto amazzonico e una Chiesa con un volto indigeno» (Fr. PM). Una priorità è quella di precisare i contenuti, i metodi e gli atteggiamenti di una pastorale inculturata, capace di rispondere alle grandi sfide del territorio. Un’altra priorità è quella di proporre nuovi ministeri e servizi per i diversi agenti pastorali, che rispondano ai compiti e alle responsabilità della comunità. In questa linea, occorre individuare quale tipo di ministero ufficiale possa essere conferito alla donna, tenendo conto del ruolo centrale che le donne rivestono oggi nella Chiesa amazzonica. È altresì necessario sostenere il clero indigeno e nativo del territorio, valorizzandone l’identità culturale e i valori propri. Infine, bisogna progettare nuovi cammini affinché il Popolo di Dio possa avere un accesso migliore e frequente all’Eucaristia, centro della vita cristiana (cf. DAp 251).

15. Nuovi cammini
Mentre pensiamo a una Chiesa dal volto amazzonico, sogniamo con i piedi per terra, la nostra terra di origine. Al tempo stesso, riflettiamo con gli occhi aperti su come questa Chiesa dovrà essere, a partire dalla concreta varietà culturale dei popoli. I nuovi cammini dovranno incidere sui ministeri, sulla liturgia e sulla teologia (teologia india)4.

La Chiesa si è indirizzata ai popoli mossa dal mandato di Gesù e dalla fedeltà al suo Vangelo. Oggi essa ha bisogno di scoprire «con gioia e rispetto i semi della Parola» (AG 11) all’interno della regione.

Tutto il Popolo di Dio, con i suoi Vescovi e sacerdoti, religiosi e religiose, missionari e missionarie religiosi e laici, è chiamato a entrare con cuore aperto in questo nuovo cammino ecclesiale. Tutti sono chiamati a vivere insieme alle comunità e a impegnarsi in difesa della loro esistenza, ad amarle e ad amare le loro culture. I missionari autoctoni e quelli che vengono da fuori devono coltivare la spiritualità della contemplazione e della gratuità, sentire con il cuore e guardare con gli occhi di Dio i popoli amazzonici e indigeni.

La spiritualità pratica, quella con i piedi per terra, offre la possibilità di trovare la gioia e il gusto di vivere insieme ai popoli amazzonici, e così di valorizzare le loro ricchezze culturali in cui Dio ha seminato il seme della Buona Notizia. Dobbiamo essere anche capaci di riconoscere quegli elementi presenti all’interno delle culture che, essendo storicamente condizionati, hanno bisogno di purificazione, e di lavorare per la conversione individuale e comunitaria, coltivando il dialogo a diversi livelli. La spiritualità profetica e del martirio accresce il nostro impegno per la vita dei popoli e la difesa del loro passato e del loro presente, spingendoci a guardare avanti per costruire una nuova storia.

Siamo chiamati come Chiesa a rafforzare il protagonismo dei popoli: abbiamo bisogno di una spiritualità interculturale che ci aiuti a interagire con le diversità dei popoli e con le loro tradizioni. Dobbiamo aggregare le forze per prenderci insieme cura della nostra Casa Comune.

C’è bisogno di una spiritualità di comunione fra i missionari autoctoni e quelli che vengono da fuori, per imparare insieme ad accompagnare le persone, ascoltando le loro storie, partecipando ai loro progetti di vita, condividendo la loro spiritualità e facendo proprie le loro lotte. Una spiritualità con lo stile di Gesù: semplice, umano, dialogante, samaritano, che permetta di celebrare la vita, la liturgia, l’Eucaristia, le feste, sempre rispettando i ritmi propri di ogni popolo.

Incoraggiare lo sviluppo di una Chiesa dal volto amazzonico implica, per i missionari, la capacità di scoprire i semi e i frutti del Verbo già presenti nella concezione del mondo dei popoli della regione. Per fare questo è necessario assicurare una presenza stabile e conoscere la lingua autoctona, la cultura e l’esperienza spirituale di quei popoli. Soltanto così la Chiesa potrà rendere presente tra di essi la vita di Cristo.

Per concludere, e ricordando le parole di Papa Francesco, vorremmo «chiedere, per favore, a tutti coloro che occupano ruoli di responsabilità in ambito economico, politico o sociale, a tutti gli uomini e le donne di buona volontà: siamo “custodi” della creazione, del disegno di Dio iscritto nella natura, custodi dell’altro, dell’ambiente; non lasciamo che segni di distruzione e di morte accompagnino il cammino di questo nostro mondo» (Francesco, Omelia nella Messa di inizio del ministero petrino, 19.III.2013).

Inoltre, vorremmo anche chiedere ai popoli dell’Amazzonia: «Aiutate i vostri Vescovi, aiutate i vostri missionari e le vostre missionarie affinché si uniscano a voi, e in questo modo, dialogando con tutti, possano plasmare una Chiesa con un volto amazzonico e una Chiesa con un volto indigeno. Con questo spirito ho convocato un Sinodo per l’Amazzonia nell’anno 2019» (Fr. PM).

QUESTIONARIO

La finalità del Questionario è quella di ascoltare la Chiesa di Dio in riferimento ai «nuovi cammini per la Chiesa e per una ecologia integrale» in Amazzonia. Lo Spirito parla attraverso tutto il Popolo di Dio. Ascoltandolo si possono conoscere le sfide, le speranze, le proposte, e riconoscere i nuovi cammini che Dio chiede alla Chiesa in questo territorio. Il presente Questionario è indirizzato ai pastori affinché vi rispondano consultando il Popolo di Dio. Per fare questo sono invitati a cercare i mezzi più adeguati secondo le specifiche realtà locali. Il Questionario è strutturato in tre parti che corrispondono alle diverse sezioni del Documento Preparatorio: vedere, discernere-giudicare, agire.

I PARTE

1. Quali sono i problemi più importanti nella sua comunità: le minacce e le difficoltà che riguardano la vita, il territorio e la cultura?
2. Alla luce di Laudato si’, come si configurano la biodiversità e la sociodiversità nel suo territorio?
3. Come incidono o non incidono queste diversità nel suo lavoro pastorale?
4. Alla luce dei valori del Vangelo, che tipo di società dobbiamo promuovere e di quali mezzi disponiamo per farlo, tenendo conto della realtà rurale e di quella urbana e     delle loro differenze socio-culturali?
5. Considerata l’enorme ricchezza della loro identità culturale, quali sono i contributi, le aspirazioni e le sfide dei popoli amazzonici in relazione alla Chiesa e al mondo?
6. In quale maniera questi contributi possono essere integrati in una Chiesa dal volto amazzonico?
7. Come la Chiesa deve accompagnare i processi di organizzazione dei popoli in riferimento alla loro identità e alla difesa dei loro territori e diritti all’interno di una             pastorale integrale?
8. Quali dovrebbero essere le risposte della Chiesa alle sfide della pastorale urbana nel territorio amazzonico?
9. Se esistono nel suo territorio Popoli Indigeni in Isolamento Volontario (PIAV), come la Chiesa dovrebbe comportarsi per difendere la loro vita e i loro diritti?

II PARTE

1. Quali speranze offre la presenza della Chiesa alle comunità amazzoniche in ordine alla vita, al territorio e alla cultura?
2. Come promuovere un’ecologia integrale, ovvero ambientale, economica, sociale, culturale e della vita quotidiana (cf. LS 137-162) in Amazzonia?
3. Nel contesto della sua Chiesa locale, in che modo Gesù è Buona Notizia nella vita della famiglia, della comunità e della società amazzoniche?
4. Come la comunità cristiana può rispondere alle situazioni di ingiustizia, povertà, disuguaglianza, violenze (tra le altre ricordiamo la droga, la tratta di persone, la             violenza contro la donna, lo sfruttamento sessuale, la discriminazione verso i popoli indigeni e i migranti) e di esclusione in Amazzonia?
5. Quali elementi specifici delle identità culturali possono facilitare l’annuncio del Vangelo nella novità del mistero di Gesù?
6. Quali cammini si possono intraprendere per inculturare la nostra pratica sacramentale nell’esperienza vissuta dei popoli indigeni?
7. Come la comunità dei credenti, che è «missionaria per sua natura» e nel modo che le è specifico, partecipa al magistero concreto e quotidiano della Chiesa in Amazzonia?

III PARTE

1. Quale Chiesa sogniamo per l’Amazzonia?
2. Come immagina una Chiesa in uscita e dal volto amazzonico e quali caratteristiche dovrebbe avere?
3. Esistono spazi di espressione autoctona e di partecipazione attiva nella pratica liturgica delle sue comunità?
4. Una delle grandi sfide in Amazzonia è l’impossibilità di celebrare l’Eucaristia in modo frequente e in tutti i luoghi. Come rispondere a questo?
5. Come riconoscere e valorizzare il ruolo dei laici nei diversi ambiti pastorali (catechesi, liturgia e carità)?
6. Quale ruolo devono avere i laici nei diversi ambiti socio-ambientali nel territorio?
7. Cosa deve caratterizzare l’annuncio e la denuncia profetici in Amazzonia?
8. Quali caratteristiche devono possedere coloro che recano l’annuncio della Buona Notizia in Amazzonia?
9. Quali sono i servizi e i ministeri dal volto amazzonico nella sua giurisdizione ecclesiastica e quali caratteristiche hanno?
10. Quali sono i servizi e i ministeri dal volto amazzonico che Lei ritiene dovrebbero essere creati e promossi?
11. In che modo la vita consacrata può contribuire con i suoi carismi alla costruzione di una Chiesa dal volto amazzonico?
12. Il ruolo delle donne nelle nostre comunità è di somma importanza: come riconoscerlo e valorizzarlo nella prospettiva di nuovi cammini pastorali?
13. Come la religiosità popolare, e in particolare la devozione mariana, si integrano e possono contribuire ad aprire nuovi cammini per la Chiesa in Amazzonia?
14. Quale potrebbe essere il contributo dei mezzi di comunicazione per aiutare a costruire una Chiesa dal volto amazzonico?

 

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SIGLE E ABBREVIAZIONI

AG: Concilio Ecumenico Vaticano II, Decreto Ad Gentes (7.XII.1965)
CCC: Catechismo della Chiesa Cattolica (11.X.1992)
CIC: Codice di Diritto Canonico (25.I.1983)
CD: Concilio Ecumenico Vaticano II, Decreto Christus Dominus (28.X.1965)
DAp: Documento di Aparecida. Testo conclusivo della V Conferenza Generale dell’Episcopato Latinoamericano (2007)
DP: Documento di Puebla. Testo conclusivo della III Conferenza Generale dell’Episcopato Latinoamericano (1979)
DSD: Documento di Santo Domingo. Testo conclusivo della IV Conferenza Generale dell’Episcopato Latinoamericano (1992)
DV: Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione Dogmatica Dei Verbum (18.XI.1965)
EG: Francesco, Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium (24.XI.2013)
EN: Paolo VI, Esortazione Apostolica Evangelii Nuntiandi (8.XII.1975)
Fr. PM: Francesco, Discorso in occasione dell’Incontro con i popoli dell’Amazzonia, Puerto Maldonado, Perù (19.I.2018)
Fr. EP: Francesco, Saluto in occasione dell’Incontro con la popolazione di Puerto Maldonado (19.I.2018)
Fr. FPI: Francesco, Discorso ai rappresentanti dei popoli indigeni (15.II.2017)
GS: Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione Pastorale Gaudium et Spes (7.XII.1965)
LG: Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione Dogmatica Lumen Gentium (21.XI.1964)
LS: Francesco, Lettera Enciclica Laudato si’ (24.V.2015)
NMI: Giovanni Paolo II, Lettera Apostolica Novo Millennio Ineunte (6.I.2001)
PIAV: Popoli Indigeni in Isolamento Volontario
PO: Concilio Ecumenico Vaticano II, Decreto Presbyterorum Ordinis (7.XII.1965)
PP: Paolo VI, Lettera Enciclica Populorum Progressio (26.III.1967)
REPAM: Rapporto Esecutivo dell’Incontro Fondativo della Rete Ecclesiale Panamazzonica (12.IX.2014)
SC: Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione Sacrosanctum Concilium (4.XII.1963)
UR: Concilio Ecumenico Vaticano II, Decreto Unitatis redintegratio (21.XI.1964)

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1 In questo documento si utilizzano indistintamente i termini “indigeni”, “aborigeni” e “popoli originari”.
2 Si intende per Panamazzonia l’insieme dei territori che si estendono oltre il solo bacino dei fiumi.
3 Fonte: REPAM, Memorie dell’Incontro “Chiesa dal volto amazzonico e indigeno” (Quito, Ecuador, 28-30.XI.2017).
4 Cf. CELAM, VI Simposio di Teologia India (Asunción, Paraguay, 18-23.IX.2017).

[00914-IT.01] [Testo originale: Italiano]

Testo in lingua francese

AMAZONIE: NOUVEAUX CHEMINS
POUR L’ÉGLISE
ET POUR UNE ÉCOLOGIE INTÉGRALE

Document Préparatoire

Préambule
Conformément à l’annonce faite par le Pape François le 15 octobre 2017, l’Assemblée Spéciale du Synode des Évêques se réunira en octobre 2019 pour se pencher sur le thème: Nouveaux chemins pour l’Église et pour l’écologie intégrale. Ces chemins d’évangélisation doivent être pensés pour et avec le Peuple de Dieu qui habite dans cette région : habitants des communautés et des zones rurales, des cités et des grandes métropoles, des populations qui habitent sur les rives des fleuves, des migrants et des personnes déplacées, et, tout spécialement, pour et avec les peuples autochtones.1

Dans la forêt amazonienne, d’une importance vitale pour la planète, une crise profonde a été déclenchée par une intervention humaine prolongée où prédomine une «culture du déchet» (LS 16) et une mentalité d’extraction. L’Amazonie est une région possédant une riche biodiversité ; elle est multiethnique, multiculturelle et multireligieuse, un miroir de toute l’humanité qui, pour défendre la vie, exige des changements structurels et personnels de tous les êtres humains, des États et de l’Église.

Les réflexions du Synode Spécial vont bien au-delà du cadre strictement ecclésial amazonien, car elles s’étendent à l’Église universelle et même au futur de toute la planète. À partir d’un territoire spécifique, nous voulons jeter un pont vers d’autres biomes essentiels de notre monde dont, entre autres, le bassin du Congo, le couloir biologique méso-américain, les forêts tropicales de l’Asie-Pacifique et l’aquifère Guarani.

Être à l’écoute des peuples indigènes et de toutes les communautés qui vivent en Amazonie, en tant que premiers interlocuteurs de ce Synode, revêt aussi une importance vitale pour l’Église universelle. Pour cela nous avons besoin d’une plus grande proximité. Nous devons savoir: comment imaginons-nous un “avenir serein” et le “bien vivre” des générations futures ? Comment pouvons-nous collaborer à l’édification d’un monde qui doit rompre avec les structures qui ôtent la vie et avec les mentalités de colonisation pour construire des réseaux de solidarité et d’interculturalité ? Et, surtout, quelle est la mission particulière de l’Église face à cette réalité ?

Ce Document Préparatoire se divise en trois parties correspondant à la méthode “voir, juger (discerner) et agir”. À la fin, le texte est complété par des questions en vue d’un dialogue et d’une approche progressive de la réalité et de l’attente régionale d’une «culture de la rencontre» (EG 220). Les nouveaux chemins de l’évangélisation et ceux qui tendent à modeler une Église au visage amazonien passent par les sentiers de cette «culture de la rencontre» dans la vie quotidienne, «dans une harmonie multiforme» (EG 220) et une « sobriété heureuse » (LS 224-225), comme autant de contributions à l’édification du Royaume.

I. VOIR.
IDENTITÉ ET ASPIRATIONS DE LA PANAMAZONIE
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1. Le territoire
Le bassin amazonien représente pour notre planète une des plus grandes réserves de biodiversité (30 à 50% de la flore et de la faune mondiales) et d’eau douce (20% d’eau douce non congelée de toute la planète); il possède plus d’un tiers des forêts primaires de la planète et, même si les océans sont les principaux capteurs de carbone, ce n’est pas pour autant que le travail de capture du carbone de l’Amazonie cesse d’être significatif. Il s’étend sur sept millions et demi de kilomètres carrés et neuf pays se partagent ce grand biome (Bolivie, Brésil Colombie, Équateur, Guyana, Pérou, Surinam, Venezuela, y compris la Guyane française comme Territoire d’outre-mer).

Ce qu’on a coutume d’appeler l’“Isla de la Guayana” ou “Ile guyanaise”, délimitée par le fleuve Orénoque, le Rio Negro, le fleuve Amazone et les côtes atlantiques de l’Amérique du Sud, entre les embouchures de l’Orénoque et de l’Amazone, fait également partie de ce territoire. D’autres espaces sont intégrés à ce territoire car, compte tenu de leur proximité avec l’Amazonie, ils subissent l’influence de son régime climatique et géographique.

Cependant, ces données ne configurent pas une région homogène. Nous devons constater que l’Amazonie comportent plusieurs types d’“ Amazonies” en son sein. Dans ce contexte, c’est l’eau, à travers ses cours d’eau, ses rivières et ses lacs, qui constitue l’élément articulateur et intégrateur, dont l’axe majeur est l’Amazone, le fleuve mère et père de tous. Sur un territoire amazonien si différent, nous pouvons comprendre que les différents groupes humains qui l’habitent ont dû s’adapter aux diverses réalités géographiques, écosystémiques et politiques.

Durant de nombreux siècles, l’œuvre de l’Église catholique en Amazonie a tendu à apporter des réponses à ces différents contextes humains et environnementaux.

2. Diversité socioculturelle
Étant donné ses proportions géographiques, l’Amazonie est une région où vivent et cohabitent des peuples et des cultures différentes, avec des modes de vie distincts.

Pendant longtemps, parfois même des milliers d’années, l’occupation démographique de l’Amazonie a précédé le processus de colonisation ; la prédominance géographique en Amazonie se concentrait près des grands fleuves et des lacs, pour une question de survie qui incluait les activités de la chasse, de la pêche et la culture des terres inondables. Avec la colonisation, et avec la pratique étendue de l’esclavage indigène, de nombreux peuples abandonnèrent ces lieux et se réfugièrent à l’intérieur de la forêt. En outre, au cours de la première phase de la colonisation, un processus de remplacement de la population s’est produit, avec une forte concentration sur les rives des fleuves et des lacs.

Bien au-delà des circonstances historiques, les peuples des eaux, dans ce cas précis celui de l’Amazonie, ont toujours entretenu ensemble une relation d’interdépendance avec les ressources hydriques. C’est ainsi que les paysans (campesinos) et leurs familles d’Amazonie utilisent les ressources des terres inondables en respectant, comme toile de fond, le mouvement cyclique de ses fleuves – inondation, reflux et période de sécheresse – en un rapport de respect qui sait que “ la vie mène au fleuve ” et “ le fleuve mène à la vie ”. De plus, les peuples de la forêt, cueilleurs et chasseurs par excellence, survivent avec ce que la terre et la forêt leur offrent. Ces populations veillent sur les rivières et prennent soin de la terre, de la même manière que la terre prend soin d’eux. Elles sont les gardiennes de la forêt et de ses ressources.

Cependant, la richesse de la forêt et des fleuves de l’Amazonie est aujourd’hui menacée par les grands intérêts économiques qui s’installent sur diverses parties du territoire. De tels intérêts provoquent, entre autres, l’intensification de l’abattage inconsidéré de la forêt, la pollution des rivières, des lacs et des affluents (à cause de l’usage excessif d’agrotoxiques, de dérivés pétroliers et de l’exploitation minière légale et illégale, et des dérivés de la production de drogues). À cela s’ajoute le trafic de drogue qui, en plus de ce qui précède, met en danger la survie des peuples qui dépendent des ressources animales et végétales de ces territoires.

D’un autre côté, les villes d’Amazonie ont connu une croissance très rapide et ont intégré de nombreux migrants contraints de quitter leurs terres et poussés vers la périphérie des grands centres urbains qui avancent vers l’intérieur de la forêt. Dans leur majorité, ce sont des autochtones, des riverains et des Afro-descendants expulsés par l’exploitation minière légale ou illégale, l’industrie d’extraction pétrolière, acculés par l’expansion de l’extraction de bois et les plus touchés par les conflits agraires et socio-environnementaux. Les villes sont également caractérisées par les inégalités sociales. La pauvreté qui s’est développée tout au long de l’histoire a engendré des rapports de subordination, de violence politique et institutionnelle, l’augmentation de la consommation d’alcool et de drogues – aussi bien dans les villes que dans les petites communautés – et représente une blessure profonde dans le corps des différents peuples amazoniens.

Les mouvements migratoires les plus récents concernant la région amazonienne se caractérisent surtout par une migration des autochtones de leurs terres vers les villes. Actuellement entre 70 % et 80 % de la population de la Panamazonie habitent dans les villes. Beaucoup de ces indigènes sont sans-papiers ou en situation irrégulière, réfugiés, “ribereños” (riverains) ou appartiennent à d’autres catégories de personnes vulnérables. Cela provoque une attitude croissante de xénophobie et de criminalisation des migrants et des personnes déplacées dans toute l’Amazonie.En même temps, cela donne lieu à l’exploitation des populations amazoniennes, victimes du changement des valeurs de l’économie mondiale, pour laquelle la valeur lucrative est supérieure à la dignité humaine. Un exemple en est l’accroissement dramatique du trafic d’êtres humains, en particulier des femmes, à des fins d’exploitation sexuelle et commerciale.Elles perdent ainsi toute possibilité de jouer un rôle dans les processus de transformation sociale, économique, culturelle, écologique, religieuse et politique de leurs communautés.

En somme, l’augmentation démesurée des activités agropastorales, d’extraction et d’abattage de la forêt amazonienne a non seulement endommagé la richesse écologique de la région, de sa forêt et de ses eaux, mais elle a aussi porté atteinte à sa richesse sociale et culturelle. Elle a conduit à un développement urbain forcé ni “ intégral ” ni “ inclusif ” du bassin amazonien. En réponse à cette situation, on constate un accroissement des capacités d’organisation et une avancée de la société civile, avec une attention particulière portée aux problématiques environnementales. Dans le domaine des relations sociales, malgré ses limites, l’Église catholique a généralement entrepris un travail significatif, en renforçant ses propres parcours à partir de sa présence incarnée et de sa créativité pastorale et sociale.

3. Identité des peuples autochtones
Les neuf pays qui composent la Panamazonie comptent environ trois millions d’indigènes, représentant quelque 390 peuples et nationalités distincts. De même, selon des données fournies par les institutions spécialisées de l’Église (par ex. Consejo Indigenista Misionero de Brasil, le Conseil Indigène Missionnaire du Brésil) et d’autres, entre 110 et 130 Pueblos Indígenas en Aislamiento Voluntario (PIAV), c’est-à-dire des Peuples Indigènes en Isolement Volontaire ou “ peuples libres ” vivent sur ce territoire. Par ailleurs, ces derniers temps, on a vu apparaître une nouvelle catégorie de personnes constituée par les autochtones qui vivent au sein du tissu urbain, dont certains sont reconnaissables comme tels, tandis que d’autres disparaissent dans ce contexte et sont, pour cela, qualifiés d’“ invisibles ”. Chacun de ces peuples représente une identité culturelle particulière, une richesse historique spécifique et une façon particulière de voir le monde et ce qui l’entoure et d’entretenir avec lui une cosmovision et une territorialité spécifiques.

Au-delà des menaces qui émergent de leurs propres cultures, les peuples autochtones ont subi, dès leurs premiers contacts avec les colonisateurs, de fortes menaces externes (cf. LS 143, DAp 90). Contre ces menaces, les peuples indigènes et les communautés amazoniennes s’organisent, luttent pour la défense de leurs vies et de leurs cultures, de leurs terres et de leurs droits, et de la vie de l’univers et de la création tout entière. Les plus vulnérables demeurent toutefois les “ Peuples Indigènes en Isolement Volontaire ” (PIAV), qui ne possèdent aucun instrument de dialogue et de négociation avec les agents extérieurs qui envahissent leurs territoires.

Certains “ non-Indigènes ” ont de grandes difficultés à comprendre l’altérité indigène et, très souvent, ne respectent pas la différence de l’autre. À propos du respect des peuples autochtones et afro-américains, le document d’Aparecida déclare: « La société tend à les mépriser, en méconnaissant leur différence. Leur situation sociale est marquée par l’exclusion et la pauvreté» (DAp 89). Cependant, comme l’a fait remarquer le Pape François à Puerto Maldonado : «Leur cosmovision, leur sagesse ont beaucoup à nous enseigner, à nous qui n’appartenons pas à leur culture. Tous les efforts que nous déploierons pour améliorer la vie des peuples amazoniens seront toujours insuffisants» (Fr. PM).

Ces dernières années, les peuples indigènes ont commencé à écrire leur propre histoire et à découvrir d’une manière plus formelle leurs cultures, leurs coutumes, leurs traditions et leurs savoirs. Ils ont raconté les enseignements reçus de leurs aînés, de leurs parents et de leurs grands-parents, qui constituent leur mémoire personnelle et collective. Aujourd’hui, être autochtone ne se réduit pas seulement à une appartenance ethnique. Mais cela se réfère aussi à la capacité de conserver leur identité sans s’isoler des sociétés qui les entourent et avec lesquelles elles interagissent.

Face à ce processus d’intégration surgissent des organisations indigènes qui militent pour le renforcement de l’histoire de leurs peuples, pour orienter la lutte en faveur de l’autonomie et de l’autodétermination : «Il est juste de reconnaître qu’il existe des initiatives porteuses d’espérance qui naissent dans vos propres rangs et dans vos organisations et permettent que les peuples autochtones eux-mêmes ainsi que les communautés soient les gardiens des forêts, et que les ressources produites par la sauvegarde de ces forêts reviennent comme bénéfice à leurs familles, pour l’amélioration de leurs conditions de vie, pour la santé et l’éducation de leurs communautés» (Fr. PM). Toutefois, aucune initiative ne peut ignorer que la relation d’appartenance et de participation qu’entretiennent les habitants de l’Amazonie avec la création fait partie de leur identité et contraste avec une vision mercantiliste des biens de la création (cf. LS 38).

Dans beaucoup de ces contextes, l’Église catholique est présente, à travers ses missionnaires, hommes et femmes, engagés dans la cause des peuples autochtones et amazoniens.

4. Mémoire historique ecclésiale
Le début de l’histoire de la présence de l’Église en Amazonie s’insère dans le cadre de l’occupation coloniale espagnole et portugaise. L’incorporation de l’immense territoire amazonien à la société coloniale puis son appropriation par des États nationaux se sont déroulées au cours d’un processus qui a duré plus de quatre siècles. Jusqu’au début du XXème siècle, les voix qui s’élevaient pour défendre les peuples indigènes étaient faibles – mais non absentes – (cf. Pio X, Lettre encyclique Lacrimabili Statu, 7.06.1912). Avec le Concile Vatican II, ces voix se sont renforcées. Pour encourager «le processus de changement avec les valeurs évangéliques», la IIème Conférence de l’Épiscopat latino-américain, organisée à Medellín (1968), rappela, dans sonMessage aux Peuples d’Amérique latine, que «malgré ses limites», l’Église « a vécu avec nos peuples le processus de la colonisation, de la libération et de l’organisation ». Et la IIIème Conférence de l’Épiscopat latino-américain, qui s’est tenue à Puebla (1979), nous a rappelé que l’occupation et la colonisation du territoire amérindien furent « un énorme processus de dominations », chargé de « contradictions et de déchirements » (DP 6). Plus tard encore, la IVèmeConférence de Saint-Domingue (1992) a attiré notre attention sur «un des épisodes les plus tristes de l’histoire latino-américaine et des Caraïbes», qui «fut le déplacement forcé, comme esclaves, d’un immense nombre d’Africains». Saint Jean-Paul II qualifia ce déplacement d’«holocauste méconnu» auquel «ont pris part des personnes baptisées qui n’ont pas vécu leur foi» (DSD 20; cf. Jean-Paul II, Discours à la communauté catholique de l’île de Gorée, Sénégal, 22.02.1992, n.3; Message aux Afroaméricains, Saint-Domingue, 12.10.1992, n.2). Pour cette «offense scandaleuse pour l’histoire de l’humanité » (DSD 20), le Pape et les délégués à Saint-Domingue demandèrent pardon.

Aujourd’hui, malheureusement, des vestiges du projet de colonisation demeurent, créant des représentations d’infériorisation et de diabolisation des cultures indigènes. Cela affaiblit les structures sociales autochtones et permettent de les déposséder de leurs connaissances intellectuelles et de leurs moyens d’expression. Ce qui est effrayant, c’est qu’aujourd’hui, 500 ans après la conquête, plus ou moins 400 ans de mission et d’évangélisation organisées et 200 ans d’indépendance des pays qui forment la Panamazonie, des processus similaires continuent de s’étendre sur ce territoire et ses habitants, victimes aujourd’hui d’un néocolonialisme féroce «sous couvert de progrès». Probablement, comme l’a affirmé le Pape François à Puerto Maldonado, les peuples natifs d’Amazonie n’ont jamais autant été menacés qu’aujourd’hui. Désormais, à cause de l’offense scandaleuse des «nouveaux colonialismes», «l’Amazonie est une terre disputée sur plusieurs fronts » (Fr. PM).

Au long de son histoire missionnaire, l’Amazonie a été un lieu concret de crucifixion, avec de nombreux lieux de martyre. L’Église a également appris que les nombreux et différents peuples qui habitent ce territoire depuis dix mille ans ont bâti leurs cultures en harmonie avec le milieu environnant. Les cultures précolombiennes ont offert au christianisme ibérique qui accompagnait les “conquistadores”, de multiples ponts et connections possibles «comme l’ouverture à l’action de Dieu, avec un sentiment de gratitude pour les fruits de la terre, le caractère sacré de la vie humaine et la valorisation de la famille, le sens de la solidarité et de la coresponsabilité dans le travail commun, l’importance du culte, la croyance en une vie au-delà la vie terrestre, et bien d’autres valeurs » (DSD 17).

5. Justice et droits des peuples
Le Pape François, lors de sa visite à Puerto Maldonado, a appelé à changer le paradigme historique selon lequel les États considèrent l’Amazonie comme une réserve de ressources naturelles, plus importantes que la vie des peuples natifs et sans considération pour la destruction de la nature. La relation harmonieuse entre le Dieu Créateur, les êtres humains et la nature est rompue à cause des effets nocifs de nouvelle politique d’extraction et de la pression des grands intérêts économiques qui exploitent le pétrole, le gaz, le bois, l’or, et à cause de la construction d’infrastructures (par exemple: mégaprojets hydroélectriques, axes routiers comme les routes interocéaniques) et des monocultures industrielles (cf. Fr.PM).

La culture dominante de la société de consommation et du déchet transforme la planète en une grande décharge publique. Le Pape dénonce ce modèle de développement anonyme, asphyxiant, sans mère, dont les seules obsessions sont la consommation et les idoles de l’argent et du pouvoir. De nouveaux colonialismes idéologiques s’imposent sous le mythe du progrès et détruisent les identités culturelles spécifiques. François en appelle à la défense des cultures et à la réappropriation de l’héritage qui provient de la sagesse ancestrale, qui suggère un mode de relation harmonieuse entre la nature et le Créateur. Il affirme clairement que « la défense de la terre n’a d’autre finalité que la défense de la vie » (Fr. PM). Elle doit être considérée comme une terre sainte : ‘Cette terre n’est pas orpheline! C’est la terre de la Mère’ » (Fr. EP).

D’autre part, la menace qui pèse sur les territoires amazoniens « vient de la perversion de certaines politiques qui promeuvent “ la conservation ” de la nature sans tenir compte de l’être humain et concrètement de vous frères amazoniens qui y habitez» (Fr. PM). L’orientation du Pape François est claire: «Je crois que le problème principal réside dans la façon de concilier le droit au développement, qui inclut le droit de type social et culturel, avec la protection des caractéristiques propres aux autochtones et à leurs territoires. [...] En ce sens, le droit au consentement préalable et informé doit toujours prévaloir» (Fr. FPI).

Parallèlement, les populations indigènes, paysannes et d’autres secteurs populaires en Amazonie et au niveau national dans chaque pays, ont bâti leurs processus d’organisations politiques autour de méthodes fondées sur la perspective de leurs droits humains. La situation du droit au territoire des peuples autochtones en Panamazonie tourne autour d’une problématique constante relative à l’absence de régularisation des terres et de la reconnaissance de leur propriété ancestrale et collective. De même, le territoire a été dépouillé d’une interprétation intégrale reliée à l’aspect culturel et à la cosmovision de chaque peuple ou communauté indigène.

Protéger les peuples autochtones et leurs territoires est une exigence éthique fondamentale et un engagement essentiel en faveur des droits de l’homme ; et, pour l’Église, cela devient un impératif moral cohérent avec l’approche d’écologie intégrale de Laudato si’ (cf. LS, cap. IV).

6. Spiritualité et sagesse
Pour les peuples autochtones d’Amazonie, le «bien vivre» existe lorsqu’ils sont en communion avec les autres personnes, avec le monde, avec les êtres qui les entourent, et avec le Créateur. Les peuples autochtones, en effet, vivent dans la maison que Dieu lui-même a créée et leur a donné en cadeau : la Terre. Leurs diverses spiritualités et croyances les incitent à vivre en communion avec la terre, avec l’eau, avec les arbres, avec les animaux, avec le jour et la nuit. Les anciens sages, appelées indifféremment payés, mestres, wayanga o chamanes -- entre autres – encouragent l’harmonie des personnes entre elles et avec le cosmos. Tous sont « la mémoire vivante de la mission que Dieu nous a donnée à tous : sauvegarder la Maison Commune » (Fr. PM).

Les autochtones amazoniens conçoivent la proposition du «bien vivre» comme celle d’une vie pleine dans l’horizon de la co-création du Royaume de Dieu. Ce bien vivre ne sera possible que lorsque se réalisera vraiment le projet communautaire pour la défense de la vie, du monde et de tous les êtres vivants.

«Nous sommes appelés à être les instruments de Dieu le Père pour que notre planète soit ce qu’il a rêvé en la créant, et pour qu’elle réponde à son projet de paix, de beauté et de plénitude» (LS 53). L’édification de ce rêve commence au sein de la famille, première communauté de notre existence : «La famille est et a toujours été l’institution sociale qui a contribué le plus à maintenir vivantes nos cultures. Aux moments de crise par le passé, face aux différents impérialismes, la famille des peuples autochtones a été le meilleur rempart de la vie» (Fr. PM).

Il faut toutefois reconnaître que la région amazonienne connaît une grande diversité culturelle et religieuse. Bien que la majorité œuvre en faveur du «bien vivre» comme projet d’harmonie entre Dieu, les peuples et la nature, certaines sectes, motivées par des intérêts extérieurs au territoire, ne favorisent pas toujours une écologie intégrale.

II. DISCERNER.
VERS UNE CONVERSION PASTORALE ET ÉCOLOGIQUE

7. Annoncer l’Évangile de Jésus en Amazonie: dimension biblico-théologique
La réalité spécifique de l’Amazonie et son destin interpellent aujourd’hui toute personne de bonne volonté sur l’identité du cosmos, sur son harmonie vitale et sur son futur. Les évêques d’Amérique latine reconnaissent que la nature est un héritage gratuit et, en tant que prophètes de la vie, ils s’engagent à protéger cette Maison Commune (cf. DAp 471).

Les récits bibliques contiennent un certain nombre d’exemples théologiques porteurs de valeurs universelles. Surtout, chaque réalité créée existe pour la vie et tout ce qui conduit à la mort s’oppose à la volonté divine. En second lieu, Dieu établit un rapport de communion avec l’être humain «créé à son image et à sa ressemblance» (Gn 1, 26), à qui il confie la sauvegarde de la création (cf. Gn 1, 28 ; 2, 15). «Rendre grâce pour le don de la création, reflet de la sagesse et de la beauté du [] Créateur […] qui a recommandé à l’être humain son œuvre créatrice pour qu’il la cultive et la garde» (DAp 470). Enfin, à l’harmonie de la relation entre Dieu, l’être humain et le cosmos s’opposent la disharmonie de la désobéissance et du péché (cf. Gn 3, 1-7), qui entraîne la peur (cf. Gn 3, 8-10), le rejet de l’autre (cf. Gn 3, 12), la malédiction du sol (cf. Gn 3, 17), l’exclusion du jardin (cf. Gn 3, 23-24) jusqu’à conduire à l’expérience fratricide (cf. Gn 4, 1-16).

En même temps, les récits bibliques témoignent que dans cette création blessée, le germe de la promesse et la graine de l’espérance ont été plantés, car Dieu n’abandonne jamais l’œuvre de ses mains. Dans l’histoire du salut, il renouvelle sa proposition de “ faire alliance ” entre l’être humain et la terre, en réhabilitant, par le don de la Torah, la beauté de la création. Tout cela culmine dans la personne et dans la mission de Jésus. Tout en montrant de la compassion pour l’humanité et sa fragilité (cf. Mt 9, 35-36), il confirme la bonté de toutes les choses créées (cf. Mc 7, 14-15). Les prodiges accomplis sur les malades et sur la nature révèlent à la fois la providence du Père et la bonté de la création (cf. Mt 6, 9-15.25-34).

Le monde créé nous invite à louer la beauté et l’harmonie des créatures et du Créateur (cf. LS 12). Comme le signale le Catéchisme de l’Église Catholique, «chaque créature possède sa bonté et sa perfection propres». Dans leur être, les différentes créatures reflètent « un rayon de la sagesse et de la bonté infinie de Dieu» et de son amour (CCC 339). «Le sol, l’eau […] tout est caresse de Dieu» (LS 84), chant divin dont les paroles sont constituées par «la multitude des créatures présentes dans l’univers», comme l’affirma Saint Jean-Paul II (Catéchèse, 30.01.2002). Quand une quelconque de ces créatures connaît l’extinction à cause de l’homme, elle ne peut plus chanter les louanges du Créateur (cf. LS 33).

La providence du Père et la bonté de la création atteignent leur apogée dans le mystère de l’incarnation du Fils de Dieu, qui touche et étreint tous les contextes humains, mais surtout celui des plus pauvres. Le Concile Vatican II mentionne cette proximité contextuelle par des termes commeadaptation et dialogue (cf. GS 4, 11 ; CD 11 ; UR 4 ; SC 37sq.), et incarnation et solidarité (cf. GS 32). Plus tard, surtout en Amérique latine, ces mots se traduisirent par option pour les pauvres et libération (Medellín 1968), participation et communautés de base (Puebla 1979), insertion et inculturation (cf. Saint-Domingue 1992), mission et service d’une Église samaritaine et avocate des pauvres (cf. DAp 2007).

Avec la mort et la résurrection de Jésus, le destin de l’humanité tout entière s’illumine, imprégné de la puissance de l’Esprit Saint, déjà évoquée dans la tradition sapientielle (cf. Sg 1, 7). Pâques porte à son accomplissement le projet d’une “ création nouvelle ” (cf. Ep 2, 15 ; 4, 24), révélant que le Christ est le Verbe créateur de Dieu (cf. Jn 1, 1-18) et que « tout a été créé par lui et pour lui » (Col 1, 16). «Pour la compréhension chrétienne de la réalité, le destin de toute la création passe par le mystère du Christ, qui est présent depuis l’origine de toutes choses» (LS 99).

La tension entre le “ déjà ” et le “ pas encore ” concerne la famille humaine et le monde entier: « Car la création en attente aspire à la révélation des Fils de Dieu: si elle fut assujettie à la vanité, non qu’elle l’eût voulu, mais à cause de celui qui l’y a soumise, c’est avec l’espérance d’être elle aussi libérée de la servitude de la corruption pour entrer dans la liberté de la gloire des enfants de Dieu. Nous le savons en effet, toute la création jusqu’à ce jour gémit en travail d’enfantement » (Rm 8, 19-22). Dans le mystère pascal du Christ, la création tout entière tend vers son accomplissement final, quand «les créatures de ce monde ne se présentent plus à nous comme une réalité purement naturelle, parce que le Ressuscité les enveloppe mystérieusement et les oriente vers un destin de plénitude. Même les fleurs des champs et les oiseaux, qu’émerveillé il a contemplés de ses yeux humains, sont maintenant remplis de sa présence lumineuse» (LS 100).

8. Annoncer l’Évangile de Jésus en Amazonie: dimension sociale
La mission évangélisatrice a toujours un « contenu inévitablement social » (EG 177). Croire en un Dieu Trine nous invite à avoir toujours présent à l’esprit «que nous avons été créés à l’image de la communion divine, pour laquelle nous ne pouvons nous réaliser ni nous sauver tout seuls» (EG 178). En effet, «à partir du cœur de l’Évangile, nous reconnaissons la connexion intime entre évangélisation et promotion humaine» (EG 178), entre l’acceptation et la transmission de l’amour divin. Ainsi, si nous acceptons l’amour de Dieu Père Créateur qui nous a conféré une dignité infinie, l’amour du Dieu Fils qui nous a anoblis par sa rédemption, et l’amour de l’Esprit Saint qui pénètre et libère tous nos liens humains, nous ne pouvons communiquer cet amour trinitaire qu’en respectant et en favorisant la dignité, la noblesse et la liberté de chaque être humain dans toutes nos actions évangélisatrices (cf. EG 178). En d’autres termes, la tâche évangélisatrice consistant à recevoir et à transmettre l’amour de Dieu commence par le désir, la recherche et l’attention aux autres (cf. EG 178).

Par conséquent, évangéliser implique de s’engager avec nos frères et sœurs, améliorer la vie communautaire et ainsi «rendre présent dans le monde le Royaume de Dieu» (EG 176), en mettant en œuvre par et pour tout le monde (cf. Mc 16, 15) non pas « une charité à la carte » (EG 180), mais un véritable développement humain intégral, c’est-à-dire pour toutes les personnes et pour toute la personne (cf. PP 14 et EG 181). C’est ce qu’on appelle le “critère d’universalité” de la mission évangélisatrice, «du moment que le Père désire que tous les hommes soient sauvés et que son dessein de salut consiste dans la récapitulation de toutes choses, celles du ciel et celles de la terre sous un seul Seigneur, qui est le Christ (Ep 1, 10) […] Toute la création signifie aussi tous les aspects de la nature humaine» (EG 181), toutes ses relations.

Les récits bibliques de la création font déjà ressortir que l’existence humaine se caractérise par «trois relations fondamentales intimement liées : la relation avec Dieu, avec le prochain, et avec la terre […] les trois relations vitales ont été rompues, non seulement à l’extérieur, mais aussi à l’intérieur de nous. Cette rupture est le péché» (LS 66). La rédemption du Christ, qui a vaincu le péché, offre la possibilité d’harmoniser ces relations. La «mission de l’annonce de la Bonne Nouvelle de Jésus-Christ », apporte ainsi l’espérance, non seulement dans la finalité de l’histoire, mais dans le cours même de l’histoire des peuples, en une histoire de valorisation et de recomposition de toutes les relations de notre existence (cf. EG 181). Il s’ensuit que la mission évangélisatrice nous invite à œuvrer contre les inégalités sociales et le manque de solidarité, grâce à la promotion de la charité et de la justice, de la compassion et de l’attention aux autres, entre nous, certes, mais aussi envers les autres êtres, animaux et plantes, et envers toute la création. L’Église est appelée à accompagner et à partager la douleur du peuple amazonien et à collaborer à la guérison de ses blessures, en affirmant concrètement son identité d’Église samaritaine, selon l’expression des évêques latino-américains (cf. DAp 26).

Cette dimension sociale – et même cosmique – de la mission évangélisatrice, est particulièrement importante en terre amazonienne, où l’interconnexion entre la vie humaine, les écosystèmes et la vie spirituelle fut et continue d’être très claire pour la grande majorité de ses habitants. La destruction est «un sillage de dilapidation et même de mort, pour toute la région […]met en danger la vie de millions de personnes et particulièrement l’habitat des paysans et des indigènes»(DAp473). Ne pas veiller à la sauvegarde de la Maison Commune «est une offense au Créateur, un attentat contre la biodiversité et, en définitive, contre la vie » (DAp 125).

Par conséquent, comme nous l’a bien rappelé le Pape François, la mission évangélisatrice ne peut pas «mutiler l’intégralité du message de l’Évangile» (EG 39). Son intégralité harmonieuse, précisément, «exige de l’évangélisateur certaines attitudes qui aident à mieux accueillir l’annonce : proximité, ouverture au dialogue, patience, accueil cordial» (EG 165) et, par-dessus tout, assumer et assimiler que «tout est lié» (LS 91, 117, 138, 240). Cela implique que l’évangélisateur doit encourager des projets de vie personnelle, sociale et culturelle grâce auxquels nous puissions nourrir l’intégralité de nos relations vitales avec les autres, avec la création et avec le Créateur. Cet appel a besoin d’écouter attentivement le cri commun des pauvres et de la terre (cf. LS 49).

Aujourd’hui, le cri que l’Amazonie fait monter vers le Créateur, est semblable au cri du Peuple de Dieu en Égypte (cf. Ex 3, 7). C’est un cri contre l’esclavage et l’abandon, qui réclame la liberté et la protection de Dieu. C’est un cri qui désire ardemment la présence de Dieu, spécialement quand les peuples amazoniens, pour défendre leurs terres, se heurtent à la criminalisation de la protestation – aussi bien de la part des autorités que de l’opinion publique – ; ou quand ils sont témoins de la destruction de la forêt tropicale, qui constitue leur habitat millénaire; ou quand les eaux de leurs rivières charrient des espèces de mort au lieu d’être des lieux de vie.

9. Annoncer l’Évangile de Jésus en Amazonie: dimension écologique
«Anticipé et grandissant parmi nous, le Royaume concerne tout» (EG 181) et nous rappelle que «tout est lié dans le monde» (LS 16), et que, par conséquent, le «principe de discernement» de l’évangélisation est lié à un processus intégral de développement humain (cf. EG 181). Ce processus est caractérisé, comme l’explique Laudato si’ (cf. n. 137-142), par un paradigme relationnel dénommé écologie intégrale, qui regroupe les liens fondamentaux qui rendent possible un véritable développement.

Le premier degré d’articulation en vue d’un progrès authentique est un lien intrinsèque entre le social et l’environnemental. Étant donné que les êtres humains font partie des écosystèmes qui facilitent les relations qui donnent vie à notre planète, prendre soin d’eux – là où tout est lié – est fondamental pour promouvoir aussi bien la dignité de chaque individu que le bien commun de la société, aussi bien le progrès social que la sauvegarde de l’environnement.

En Amazonie, la notion d’écologie intégrale est une clef pour répondre au défi consistant à protéger l’immense richesse de sa biodiversité environnementale et culturelle. Du point de vue environnemental, l’Amazonie est non seulement «source de vie au cœur de l’Église » (REPAM), mais aussi un poumon de la planète et un des sites de majeure biodiversité du monde (cf. LS 38). En effet, le bassin amazonien possède la dernière grande forêt tropicale qui, à cause des interventions dont elle a souffert et dont elle souffre encore, constitue la plus grande superficie forestière sous les tropiques de notre Terre. Reconnaître le territoire amazonien comme bassin, au-delà des frontières des pays, facilite une vision intégrale de la région, essentielle pour la promotion d’un développement d’ensemble et d’une écologie intégrale.

D’un point de vue culturel, comme cela a été largement exposé dans la section précédente (Voir), l’Amazonie est particulièrement riche en raison des diverses cosmovisions ancestrales de ses populations. Ce patrimoine culturel, qui fait « partie de l’identité commune » de la région, est aussi « menacé » que son patrimoine environnemental (LS 143). Les menaces proviennent – principalement – d’une « vision consumériste de l’être humain, encouragée par les engrenages de l’économie globalisée actuelle, [qui] tend à homogénéiser les cultures et à affaiblir l’immense variété culturelle, qui est un trésor de l’humanité » (LS 144).

En conséquence, le processus d’évangélisation de l’Église en Amazonie ne peut se désintéresser de ce qui peut encourager la sauvegarde du territoire (nature) et de ses peuples (cultures). C’est pourquoi il faut jeter des ponts qui puissent conjuguer les savoirs ancestraux et les connaissances contemporaines (cf. LS 143-146), en particulier ceux qui se réfèrent à la gestion durable du territoire et à un développement conforme aux systèmes de valeurs et aux cultures des populations qui habitent ce territoire et qui doivent être reconnues comme ses gardiens authentiques et même comme ses propriétaires.

Mais l’écologie intégrale est plus que la simple connexion entre le social et l’environnemental. Elle comporte la nécessité de promouvoir une harmonie personnelle, sociale et écologique, qui doit passer par une conversion personnelle, sociale et écologique (cf. LS 210). L’écologie intégrale nous invite donc à une conversion intégrale. « Cela implique […] de reconnaître ses propres erreurs, péchés, vices ou négligences » et les omissions par lesquels nous « offensons la création de Dieu », et « se repentir de tout cœur » (LS 218). Ce n’est que lorsque nous sommes conscients de la façon dont notre style de vie et notre manière de produire, de commercer, de consommer et d’éliminer affectent la vie de notre milieu et de nos sociétés, que nous pouvons alors entreprendre un changement de direction intégral.

Changer de cap ou se convertir intégralement ne se réduit pas à une conversion au niveau individuel. Une transformation profonde du cœur, exprimée par un changement de nos habitudes personnelles, est aussi nécessaire qu’une transformation structurelle, exprimée par un changement des habitudes sociales, des lois et des programmes économiques. Pour parvenir à réaliser ce changement radical dont l’Amazonie et la planète ont besoin, les processus d’évangélisation ont beaucoup à apporter, surtout en raison de la profondeur avec laquelle l’Esprit de Dieu pénètre la nature et les cœurs des personnes et des peuples.

10. Annoncer l’Évangile de Jésus en Amazonie: dimension sacramentelle
Alors que l’Église reconnaît la lourde hypothèque et le pouvoir du péché surtout sur la destruction sociale et environnementale, elle ne se décourage pas dans son cheminement commun avec le peuple amazonien et s’engage à vaincre la source du péché, soutenue par la grâce du Christ. Une vision ecclésiale contemplative et une pratique sacramentelle sont les clefs de l’évangélisation en Amazonie.

«L’univers se déploie en Dieu, qui le remplit tout entier. Il y a donc une mystique dans une feuille, dans un chemin, dans la rosée et dans le visage du pauvre» (LS 233). Celui qui sait contempler « ce qu’il y a de bien dans les choses et dans les expériences du monde », découvre le lien intime de toutes ces choses et expériences avec Dieu (LS 234). Voilà pourquoi la communauté chrétienne, spécialement en Amazonie, est invitée à voir la réalité avec un regard contemplatif lui permettant de saisir la présence et l’action de Dieu dans toute la création et dans toute l’histoire.

De plus, comme « les sacrements sont un mode privilégié de la manière dont la nature est assumée par Dieu et devient médiation de la vie surnaturelle», leurs célébrations sont une invitation permanente à « embrasser le monde à un niveau différent » (LS 235). Par exemple, la célébration du Baptême nous invite à considérer l’importance de l’“eau” comme source de vie, pas seulement comme instrument ou ressource matérielle, et responsabilise la communauté croyante pour qu’elle veille à cet élément comme don de Dieu pour toute la planète. Par ailleurs, puisque l’eau du Baptême purifie le baptisé de tous ses péchés, sa célébration permet à la communauté chrétienne de concevoir la valeur de l’eau et “du fleuve” comme une source de purification, facilitant ainsi l’inculturation des rites relatifs à l’eau de la sagesse ancestrale des peuples amazoniens.

La célébration de l’Eucharistie nous invite à redécouvrir comment le « Seigneur, au sommet du mystère de l’Incarnation, a voulu rejoindre notre intimité à travers un fragment de matière» (LS 236). L’Eucharistie nous renvoie donc au «centre vital de l’univers », au foyer débordant d’amour et de vie inépuisables du «Fils incarné», présent sous les espèces du pain et du vin, fruit de la terre-vigne et du travail des hommes (cf. LS 236). Dans l’Eucharistie, la communauté célèbre un amour cosmique, où les êtres humains, unis au Fils de Dieu incarné et à toute la création, rendent grâces à Dieu pour la vie nouvelle du Christ ressuscité (cf. LS 236). De cette façon, l’Eucharistie constitue une communauté, une communauté pèlerine qui devient une «source de lumière et de motivation pour nos préoccupations concernant l’environnement et elle nous invite à être gardiens de toute la création» (LS 236). En même temps, le sang de tant d’hommes et de femmes qui a été versé, baignant les terres amazoniennes pour le bien de ses habitants et de ce territoire, s’unit au Sang du Christ, versé pour tous et pour toute la création.

11. Annoncer l’Évangile de Jésus en Amazonie: dimension ecclésiale et missionnaire
Dans l’Église en sortie (cf. EG 46), «missionnaire par nature» (AG 2, DAp 347), tous les baptisés ont pour responsabilité d’être des disciples missionnaires, en s’impliquant de différentes façons et dans les divers milieux. En effet, une des richesses de la conscience magistérielle de l’Église est d’«annoncer en tout temps et en tout lieu les principes de la morale, même en ce qui concerne l’ordre social, ainsi que de porter un jugement sur toute réalité humaine, dans la mesure où l’exigent les droits fondamentaux de la personne et le salut des âmes» (CCC 2032 ; CIC can. 747).

La louange de Dieu doit nécessairement être accompagnée de la pratique de la justice en faveur des pauvres. Comme le proclame le Psaume 146 (145) : « Chante, ô mon âme, la louange du Seigneur! Je veux louer le Seigneur tant que je vis […] le Dieu qui libère les captifs, qui donne du pain aux affamés, qui soutient la veuve et l’orphelin ». Cette mission exige la participation de tous et une vaste réflexion qui permette d’inclure les conditions historiques concrètes, tant sociales et environnementales qu’ecclésiales. En ce sens, une approche missionnaire en Amazonie nécessite plus que jamais un magistère ecclésial à l’écoute de l’Esprit Saint, qui garantit l’unité et la diversité. Cette unité dans la diversité, selon la tradition de l’Église est structurellement traversée par ce qu’on appelle le sensus fidei du Peuple de Dieu.

Le Pape François a repris cet aspect souligné par le Concile Vatican II (cf. LG 12 ; DV 10), en rappelant que : «Dans tous les baptisés, du premier au dernier, agit la force sanctificatrice de l’Esprit qui incite à évangéliser. Le Peuple de Dieu est saint à cause de cette onction que le rend infaillible “in credendo”. Cela signifie que quand il croit il ne se trompe pas…Dieu dote la totalité des fidèles d’un instinct de la foi – le sensus fidei – qui les aide à discerner ce qui vient réellement de Dieu» (EG 119).

Ce discernement doit être accompagné par les pasteurs, en particulier par les évêques. En effet, conserver la Tradition ecclésiale, réalisée par tout le Peuple de Dieu, exige l’unité de ce Peuple avec ses pasteurs (cf. DV 10) pour la lecture et le discernement des nouvelles réalités. C’est aux évêques, comme principe d’unité du Peuple de Dieu, (cf. LG 23), qu’échoit la responsabilité de maintenir l’unité de la Tradition engendrée et basée sur les Saintes Écritures (cf. DV 9).

Aussi, le sentiment religieux de l’Amazonie, comme exemple d’expression du sensus fidei, a besoin de l’accompagnement et de la présence des pasteurs (cf. EN 48). Lorsque le Pape François a rencontré les peuples d’Amazonie, à Puerto Maldonado, il a déclaré : «J’ai voulu venir vous rendre visite et vous écouter, afin que nous soyons unis dans le cœur de l’Église, afin de partager vos défis et de réaffirmer avec vous une option sincère pour la défense de la vie, pour la défense de la terre et pour la défense des cultures». Pour leur part, les représentants des peuples présents, lui répondirent : «Nous venons écouter Votre Sainteté, pour être uni au Pape au cœur de l’Église et participer à l’édification de cette Église pour qu’elle ait toujours plus un visage amazonien». Dans cette écoute réciproque entre le Pape (et les autorités ecclésiales) et les habitants de la population amazonienne, le sensus fidei du Peuple se nourrit, se renforce et grandit dans son être ecclésial : «Nous avons besoin de nous exercer à l’art de l’écoute, qui est plus que le fait d’entendre» (EG 171).

L’Assemblée Spéciale pour la Région panamazonienne exige un vaste exercice d’écoute réciproque, en particulier d’une écoute entre les fidèles et les autorités magistérielles de l’Église. Et l’un des points sur lequel doit porter cette écoute est la plainte « de milliers de (ses) communautés privées d’Eucharistie dominicale pendant de longues périodes » (DAp 100, e). Nous sommes confiants que l’Église, enracinée dans ses dimensions synodale et missionnaire (cf. François, Discours pour la commémoration du 50ème anniversaire de l’institution du Synode des évêques, 17.10.2015), pourra engendrer un processus d’écoute (voir-écouter), un processus de discernement (juger), afin de pouvoir répondre (agir) aux situations concrètes des peuples amazoniens.

III. AGIR.
NOUVEAUX CHEMINS POUR UNE ÉGLISE AU VISAGE AMAZONIEN
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12. Une Église au visage amazonien
«Être Église c’est être Peuple de Dieu», incarné «dans les peuples de la terre» et dans leurs cultures (EG 115). L’universalité ou catholicité de l’Église est donc enrichie par « la beauté de ce visage multiforme » (NMI 40) des différentes manifestations des Églises particulières et de leurs cultures. Comme le souligna le Pape François lors de sa rencontre avec les communautés amazoniennes à Puerto Maldonado : «Nous qui n’habitons pas ces terres, nous avons besoin de votre sagesse et de votre connaissance pour pouvoir pénétrer, sans le détruire, le trésor que renferme cette région. Et les paroles du Seigneur à Moïse résonnent: “ Retire les sandales de tes pieds, car le sol que tu foules est une terre sainte ” (Ex 3, 5) » (Fr. PM).

L’Église est appelée à approfondir son identité en fonction des réalités de son territoire et à croître dans sa spiritualité en écoutant la sagesse de ses peuples. Voilà pourquoi l’Assemblée Spéciale pour la Région panamazonienne est appelée à rechercher de nouveaux chemins pour faire s’épanouir le visage amazonien de l’Église et pour faire face aux situations d’injustice de la région, comme le néocolonialisme des industries d’extraction, les projets infrastructurels qui nuisent à sa biodiversité et l’imposition de modèles culturels et économique étrangers à la vie des gens.

Ainsi, grâce à l’attention accordée au plan local et à la diversité des microstructures expérimentales de la région, l’Église se renforce comme contrepoids à la mondialisation et à la logique uniformisatrice encouragée par de nombreux moyens de communication et par un modèle économique qui ne respecte pas les peuples amazoniens ni leurs territoires.

Pour leur part, les Églises locales, qui sont également des Églises missionnaires, en sortie, trouvent à leurs périphéries des lieux privilégiés d’expérience évangélisatrice, car c’est là « où manquent le plus la lumière et la vie du Ressuscité » (EG 30). C’est dans les périphéries que les missionnaires rencontrent les exclus, les fugitifs, les réfugiés, les désespérés, et donc Jésus-Christ crucifié et exalté, « qui a voulu s’identifier avec une tendresse spéciale aux plus faibles et aux plus pauvres » (DP 196).

Durant la préparation du Synode, on cherchera à discerner des expériences pastorales locales, aussi bien positives que négatives, pouvant éclairer la définition de nouvelles lignes d’action.

13. Dimension prophétique
Face à la crise socio-environnementale actuelle, il est urgent de trouver des lumières d’orientation et d’action pour pouvoir mettre en œuvre une transformation des pratiques et des comportements.

Il faut absolument dépasser la myopie, l’immédiateté et les solutions à court terme. Il est nécessaire de se situer dans une perspective globale et de surmonter les intérêts propres et particuliers afin de pouvoir être responsables et d’œuvrer ensemble pour un projet commun et global.

«Tout est lié» est le point sur lequel le Pape François a beaucoup insisté, pour dialoguer avec les racines spirituelles des grandes traditions religieuses et culturelles. Le besoin se fait sentir d’un consensus autour d’un minimum d’action commune: développement intégral et durable, tel que nous l’avons décrit dans les paragraphes précédents, qui inclut entre autres, l’élevage et l’agriculture durables, l’énergie propre, le respect des identités et des droits des peuples traditionnels, l’eau potable pour tous. Ces droits sont des thèmes fondamentaux souvent absents en Panamazonie.

Un équilibre doit être respecté et l’économie doit donner la priorité à une vocation pour une vie humaine digne. Cette relation équilibrée doit veiller à l’environnement et à la vie des plus vulnérables. «Il n’y a pas deux crises séparées, l’une environnementale et l’autre sociale, mais une seule et complexe crise socio-environnementale» (LS 139).

L’Encyclique Laudato si’ (cf. n. 216 sq.) nous invite à une conversion écologique qui implique un style de vie nouveau. L’horizon est mis sur l’autre. Il faut pratiquer la solidarité globale et dépasser l’individualisme, ouvrir des chemins nouveaux de liberté, de vérité et de beauté. La conversion signifie nous libérer de l’obsession de la consommation. Acheter est un acte moral, pas seulement économique. La conversion écologique consiste à assumer la mystique de l’interconnexion et de l’interdépendance de toute la création. La gratuité s’impose dans nos attitudes quand nous concevons la vie comme don de Dieu. Vivre sa vie dans une solidarité communautaire suppose un changement de cœur.

Ce nouveau paradigme ouvre des perspectives de transformation personnelle et dans la société. La joie et la paix sont possibles lorsque nous ne sommes plus obsédés par la consommation. Le Pape François affirme qu’une relation harmonieuse avec la nature nous permet une sobriété heureuse, la paix intérieure avec soi-même, en relation avec le bien commun, et une harmonie sereine qui implique de se contenter de ce qui est réellement nécessaire. C’est quelque chose que les cultures occidentales peuvent et même devraient apprendre des cultures traditionnelles amazoniennes et d’autres territoires et communautés de la planète. Ces peuples, «ont beaucoup à nous enseigner » (EG 198). Grâce à leur amour de la terre et à leur relation avec les écosystèmes, ils connaissent le Dieu Créateur, source de vie. Eux, « par leurs propres souffrances, ils connaissent le Christ souffrant » (EG 198). À travers leur conception de la vie sociale en dialogue, ils sont mus par l’Esprit Saint. C’est pourquoi le Pape François a souligné qu’il « est nécessaire que tous nous nous laissions évangéliser par eux » et par leurs cultures, et que le devoir de la nouvelle évangélisation implique de « prêter notre voix à leurs causes, mais [nous sommes aussi appelés] à être leurs amis, à les écouter, à les comprendre et à accueillir la mystérieuse sagesse que Dieu veut nous communiquer à travers eux » (EG 198). Leurs enseignements pourraient, par conséquent, indiquer la voie des priorités des nouveaux chemins de l’Église en Amazonie.

14. Ministères aux visages amazoniens
À travers de multiples rencontres régionales en Amazonie, l’Église catholique a acquis plus profondément la conscience que son universalité s’incarne dans l’histoire et dans les cultures locales. C’est de cette façon que se manifeste et agit l’Église du Christ, une, sainte, catholique et apostolique (cf. CD 11). Grâce à cette conscience, aujourd’hui l’Église tourne son regard sur l’Amazonie, avec une vision d’ensemble qui lui permet de découvrir les grands défis socio-politiques, économiques et ecclésiaux qui menacent cette région, mais sans perdre son espérance en la présence de Dieu, alimentée par la créativité et la persévérance tenace de ses habitants.

Ces dernières décennies, et grâce à l’importante impulsion donnée par le Document d’Aparecida, l’Église d’Amazonie a su reconnaître qu’en raison des immenses extensions territoriales, de la grande diversité de ses peuples et des transformations rapides sur les plans socio-économiques, sa pastorale n’a connu qu’une présence précaire. Une présence plus importante était (et continue d’être) nécessaire, afin d’essayer de répondre à tout ce qui est spécifique dans cette région à partir des valeurs de l’Évangile, en reconnaissant, entre autres, l’immense extension géographique, les nombreuses voies d’accès difficile, la grande diversité culturelle et la forte influence des intérêts nationaux et internationaux en quête d’un enrichissement économique facile en exploitant les ressources de cette région. Une mission incarnée implique de repenser la faible présence de l’Église par rapport à l’immensité du territoire et à sa diversité culturelle.

L’Église au visage amazonien doit «chercher un modèle de développement alternatif, intégral et solidaire, basé sur une éthique qui inclut la responsabilité pour une authentique écologie naturelle et humaine qui s’appuie sur l’évangile de justice, sur la solidarité et sur la destinée universelle des biens et qui dépasse la logique utilitariste et individualiste qui ne soumet pas à des critères éthiques, les pouvoirs économiques et technologiques» (DAp 474 c). Il faut donc encourager l’ensemble du Peuple de Dieu, participant à la mission du Christ, Prêtre, Prophète et Roi (cf. LG 9), à ne pas rester indifférent aux injustices de la région afin de pouvoir découvrir, en restant à l’écoute de l’Esprit, les nouveaux chemins désirés.

Ces nouveaux chemins pour la pastorale de l’Amazonie exigent de « relancer la mission de l’Église» (cf. DAp 11) sur ce territoire et d’approfondir le «processus d’inculturation » (EG 126) qui exige que l’Église en Amazonie fasse des propositions «courageuses», ce qui suppose d’avoir de l’«audace» et de «ne pas avoir peur », comme nous le demande le Pape François. Le profil prophétique de l’Église se manifeste aujourd’hui à travers son profil ministériel de participation, capable de faire des peuples indigènes et des communautés amazoniennes ses «principaux interlocuteurs» (LS 146) sous tous les aspects pastoraux et socio-environnementaux sur le territoire.

Pour passer d’une présence précaire à une présence plus large et incarnée, il faut établir une hiérarchie des urgences en Amazonie. Le document d’Aparecida mentionne le besoin d’une « cohérence eucharistique» (DAp 436) pour la région amazonienne, à savoir que non seulement tous les baptisés puissent participer à la messe dominicale, mais que puissent aussi grandir des cieux nouveaux et une terre nouvelle comme anticipation du Royaume de Dieu en Amazonie.

En ce sens, le Concile Vatican II nous rappelle que le Peuple de Dieu tout entier participer au sacerdoce du Christ, même s’il faut distinguer le sacerdoce commun et le sacerdoce ministériel (cf. LG 10). D’où l’urgence d’évaluer et de repenser les ministères nécessaires aujourd’hui pour répondre aux objectifs d’«une Église avec un visage amazonien et une Église avec un visage indigène» (Fr. PM). Une priorité est de préciser les contenus, les méthodes et les comportements en vue d’une pastorale inculturée, capable de répondre aux grands défis de ce territoire. Une autre est de proposer de nouveaux ministères et services pour les différents agents pastoraux qui correspondent aux tâches et aux responsabilités de la communauté. Dans cette ligne, il convient de discerner le type de ministère officiel qui peut être conféré aux femmes, en tenant compte du rôle central joué aujourd’hui par les femmes dans l’Église amazonienne. Il est également nécessaire de promouvoir le clergé autochtone et natif de ce territoire, en affirmant son identité culturelle propre et ses valeurs. Enfin, il faut repenser de nouveaux chemins pour que le Peuple de Dieu ait plus fréquemment un meilleur accès à l’Eucharistie, centre de la vie chrétienne (cf. DAp 251).

15. Nouveaux chemins
Dans le processus consistant à penser une Église au visage amazonien, nous rêvons de poser les pieds sur la terre de nos ancêtres et, les yeux ouverts, nous imaginons comment sera l’Église à partir de l’expérience de la diversité culturelle des peuples. Les nouveaux chemins auront une incidence sur les ministères, la liturgie et la théologie (théologie indienne).4

L’Église est arrivée jusqu’à ces peuples en étant mue par le mandat de Jésus et par la fidélité à son Évangile. Aujourd’hui, il faut découvrir «avec joie et respect les semences du Verbe qui se trouvent cachées» (AG 11) dans cette région.

L’ensemble du Peuple de Dieu, avec ses évêques et ses prêtres, ses religieux et ses religieuses, ses missionnaires hommes et femmes et ses laïcs, est appelé à entrer, le cœur grand ouvert, dans ce nouveau chemin ecclésial. Tous sont appelés à vivre avec les communautés et à s’engager pour défendre leurs vies, les aimer et aimer leurs cultures. Les missionnaires autochtones et ceux qui viennent de l’extérieur doivent cultiver une spiritualité de contemplation et de gratuité, sentir avec le cœur et voir avec les yeux de Dieu les peuples amazoniens et indigènes.

Une spiritualité pratique, en ayant les pieds sur terre, offre la possibilité de trouver la joie et le goût de vivre avec les peuples amazoniens et de pouvoir ainsi mettre en valeur leurs richesses culturelles dans lesquelles Dieu a semé les germes de la Bonne Nouvelle. Nous devons aussi être capables de percevoir les choses qui sont présentes dans les cultures et qui, du fait de l’histoire, ont besoin de purification, et de travailler pour la conversion individuelle et communautaire, en cultivant le dialogue aux différents niveaux. La spiritualité prophétique et du martyre nous lient davantage encore à la vie des peuples et à leurs histoires passées, ainsi qu’à leur présent, tout en regardant en avant pour écrire une nouvelle histoire.

Comme Église, nous sommes appelés à renforcer la participation active des peuples : nous avons besoin d’une spiritualité interculturelle qui nous aide à interagir avec la diversité des peuples et leurs traditions. Nous devons unir nos forces pour prendre soin ensemble de notre Maison Commune.

Cela exige une spiritualité de communion entre les missionnaires autochtones et ceux qui viennent de l’extérieur, pour apprendre ensemble à accompagner les personnes, en écoutant leurs histoires, en participant à leurs projets de vie, en partageant leur spiritualité et en faisant nôtres leurs luttes. Une spiritualité dans le style de Jésus: simple, humaine, en dialogue, samaritaine, qui permette de célébrer la vie, la liturgie, l’Eucharistie, les fêtes, en respectant toujours les rythmes propres à chaque peuple.

Animer une Église au visage amazonien implique, pour les missionnaires, la capacité de découvrir les semences et les fruits du Verbe déjà présents dans la cosmovision de ses peuples. C’est pourquoi une présence stable est nécessaire, avec la connaissance de la langue autochtone, de sa culture et de son expérience spirituelle. Ce n’est qu’ainsi que l’Église rendra la vie du Christ présente chez ces peuples.

Pour finir, en reprenant les paroles du Pape François, nous désirons «demander, s’il vous plaît, à tous ceux qui occupent des rôles de responsabilité dans le domaine économique, politique ou social, à tous les hommes et à toutes les femmes de bonne volonté : nous sommes “ gardiens ” de la création, du dessein de Dieu inscrit dans la nature, gardiens de l’autre, de l’environnement ; ne permettons pas que des signes de destruction et de mort accompagnent la marche de notre monde !» (Homélie de la Messe solennelle d’inauguration du Pontificat, 19.03.2013).

En outre, nous aimerions demander aux peuples d’Amazonie : «Aidez vos évêques, aidez vos missionnaires, afin qu’ils se fassent l’un d’entre vous, et ainsi en dialoguant ensemble, vous pourrez façonner une Église avec un visage amazonien et une Église avec un visage indigène. C’est dans cet esprit que j’ai convoqué, pour l’année 2019, le Synode pour l’Amazonie»(Fr. PM).

QUESTIONNAIRE

La finalité de ce questionnaire est d’écouter l’Église de Dieu quant aux «nouveaux chemins pour l’Église et pour une écologie intégrale» en Amazonie. L’Esprit parle à travers l’ensemble du Peuple de Dieu. En l’écoutant, on peut ainsi connaître les défis, les espoirs, les propositions et reconnaître les nouveaux chemins que Dieu demande à l’Église sur ce territoire. Ce questionnaire s’adresse aux pasteurs afin qu’ils répondent en consultant le Peuple de Dieu. Pour cela, ils sont encouragés à trouver les moyens les plus appropriés selon leurs réalités locales spécifiques. Le questionnaire est divisé en trois parties qui correspondent aux différentes sections du Document préparatoire : voir, discerner-juger, agir.

Ière PARTIE

1. Quels sont les problèmes les plus importants dans votre communauté? les menaces et les difficultés contre la vie, le territoire et la culture ?
2. À la lumière de l’Encyclique Laudato si’, comment se configurent la bio-diversité et la socio-diversité sur votre territoire ?
3. Dans quelle mesure ces diversités incident-elles ou non sur votre travail pastoral ?
4. À la lumière des valeurs de l’Évangile, quel type de société devons-nous promouvoir et de quels moyens disposons-nous pour cela, en tenant compte du monde         rural et du monde urbain et de leurs différences sociales et culturelles?
5. Étant donné l’énorme richesse de leur identité culturelle, quelles sont les contributions, les aspirations et les défis des peuples amazoniens par rapport à l’Église et     au monde?
6. De quelle manière ces contributions peuvent-elles être intégrées dans une Église au visage amazonien?
7. Comme l’Église doit-elle accompagner les processus d’organisation de leurs peuples en respectant leur identité, la défense de leurs territoires et leurs droits dans         une pastorale intégrale?
8. Quelles devraient être les réponses de l’Église aux défis de la pastorale urbaine en territoire amazonien?
9. S’il existe sur votre territoire des Peuples Autochtones en Isolement Volontaire (PIAV): quelle devrait être l’action de l’Église pour défendre leur vie et leurs droits?

IIème PARTIE

1. Quelle espérance offre la présence de l’Église aux communautés amazoniennes pour leur vie, leur territoire et leur culture ?
2. Comment œuvrer en faveur d’une écologie intégrale, c’est-à-dire environnementale, économique, sociale, culturelle et celle de la vie quotidienne (cf. LS 137-162)     en Amazonie?
3. Dans le contexte de votre Église locale, de quelle manière Jésus est-il Bonne Nouvelle dans la vie de la famille, de la communauté et de la société amazonienne?
4. Comment la communauté chrétienne peut-elle répondre aux situations d’injustice, de pauvreté, d’inégalité, de violence (drogue, traite des êtres humains, violence     faite aux femmes, exploitation sexuelle, discrimination des peuples indigènes et des migrants, entre autres) et d’exclusion en Amazonie?
5. Quels sont les éléments propres aux identités culturelles qui peuvent faciliter l’annonce de l’Évangile dans la nouveauté du mystère de Jésus?
6. Quels chemins peut-on suivre pour inculturer notre pratique sacramentelle dans l’expérience vécue des peuples indigènes?
7. Comment la communauté des croyants, qui est «missionnaire par nature», participe-t-elle, et de façon spécifique, au magistère concret et quotidien de l’Église en     Amazonie?

IIIème PARTIE

1. De quelle Église rêvons-nous pour l’Amazonie?
2. Comment imaginez-vous une Église en sortie et avec un visage amazonien? Quelles devraient être ses caractéristiques?
3. Y a-t-il des espaces d’expression autonome et de participation active dans la pratique liturgique de vos communautés?
4. Un des grands défis en Amazonie demeure l’impossibilité de célébrer l’Eucharistie fréquemment et partout? Comment peut-on y répondre?
5. Comment reconnaître et mettre en valeur le rôle des laïcs dans les différents domaines pastoraux (catéchèse, liturgie et charité) ?
6. Quel rôle les laïcs doivent-ils jouer dans les différents milieux socio-environnementaux sur ce territoire?
7. Quelles doivent être les caractéristiques de l’annonce et de la dénonciation prophétique en Amazonie?
8. Quelles doivent être les caractéristiques des personnes qui portent l’annonce de la Bonne Nouvelle en Amazonie?
9. Quels sont les services et les ministères au visage amazonien dans votre juridiction ecclésiastique; et quelles sont leurs caractéristiques?
10. Quels sont les services et les ministères au visage amazonien qui, selon vous, mériteraient d’être créés ou encouragés ?
11. De quelle manière la vie consacrée peut-elle contribuer, grâce à ses charismes, à l’édification d’une Église au visage amazonien?
12. Le rôle des femmes dans nos communautés est de la plus haute importance: comment le reconnaître et comment le mettre en valeur dans l’horizon des                 nouveaux chemins?
13. Comment s’intègre et comment peut contribuer la religiosité populaire, en particulier la dévotion mariale, aux nouveaux chemins de l’Église en Amazonie?
14. Quelle pourrait-être la contribution des moyens de communication pour aider à l’édification d’une Église au visage amazonien?

 

* * *

SIGLES ET ABRÉVIATIONS

AG: Concile Œcuménique Vatican II, Décret Ad Gentes, sur l’activité missionnaire de l’Église (7 .12.1965).
CCC: Catéchisme de l’Église Catholique (11.10.1992).
CIC: Codex Iuris Canonici – Code de Droit canonique (25.01.1983).
CD: Concile Œcuménique Vatican II, Décret Christus Dominus sur le ministère pastoral des évêques (28.10.1965).
DAp: Document d’Aparecida. Texte final de la Vème Conférence Générale de l’Épiscopat latino-américain et des Caraïbes, 2007.
DP: Document de Puebla. IIIème Conférence Générale de l’Épiscopat latino-américain et des Caraïbes, 1979.
DSD: Document de Saint-Domingue. IVème Conférence Générale de l’Épiscopat latino-américain et des Caraïbes, 1992.
DSF: Jean-Paul II, Discours à la communauté catholique de l’île de Gorée (Sénégal, 22.02.1992, n 3); Message aux Afro-américains, Saint-Domingue (12.10.1992, n 2).
DV: Concile Œcuménique Vatican II, Constitution dogmatique Dei Verbum sur la Révélation divine (18.11.1965).
EG: François, Exhortation apostolique Evangelii Gaudium (24.11.2013).
EN: Paul VI, Exhortation apostolique Evangelii Nuntiandi (8.12.1975).
Fr. PM: François, Discours à Puerto Maldonado (Pérou), Rencontre avec les populations de l’Amazonie (19.01.2018).
Fr. EP: François, Salut lors de la Rencontre avec la population de Puerto Maldonado (19.01.2018).
Fr. FPI: François, Discours aux participants au IIIème Forum des Peuples indigènes (15.02.2017).
GS: Concile Œcuménique Vatican II, Constitution pastorale sur l’Église dans le monde de ce temps Gaudium et Spes (7.12.1965).
LG: Concile Œcuménique Vatican II, Constitution dogmatique Lumen Gentium sur l’Église (21.11.1964).
LS: François, Lettre encyclique sur la sauvegarde de la maison commune, Laudato si’ (24.05.2015).
NMI: Jean-Paul II, Exhortation apostolique Novo Millennio Ineunte (6.01.2001).
PANAM: Panamazonía : fuente de vida en el corazón de la Iglesia, Document de la Red Eclesial Panamazónica (REPAM). Novembre 2014.
PIAV: Peuples Indigènes en Isolement Volontaire.
PO: Concile Œcuménique Vatican II, Décret Presbyterorum Ordinis, sur le ministère et la vie des prêtres (7.12.1965).
PP: Paul VI, Lettre encyclique Populorum Progressiosur le développement des peuples (26.03.1967).
REPAM: Réseau Ecclésial Panamazonien
REPAM 2: Rapport exécutif de la Réunion de Fondation du Réseau Ecclésial Panamazonien (12.09.2014, Brasilia CNBB).
SC: Concile Œcuménique Vatican II, Constitution sur la sainte liturgie Sacrosanctum Concilium (4.12.1963).
UR: Concile Œcuménique Vatican II, Décret Unitatis Redintegratio sur l’œcuménisme (21.11.1964).

_____________________

1 Ce document emploie indifféremment les termes “autochtones”, “aborigènes” et “peuples natifs”.
2 Par Panamazonie, nous entendons tous les territoires qui vont au-delà du bassin des fleuves.
3 Source : REPAM. Rencontre “Une Église au visage amazonien et indigène”, Quito, Équateur, 28-30.11. 2017.
4 Cf. CELAM, VIème Symposium de Théologie indienne (Asuncíon, Paraguay, 18-23.09.2017).

[00914-FR.01] [Texte original: Français]

Testo in lingua inglese

AMAZONIA: NEW PATHS
FOR THE CHURCH
AND FOR AN INTEGRAL ECOLOGY

Preparatory Document

Preamble
In accordance with the proclamation by Pope Francis on October 15, 2017, the Special Assembly of the Synod of Bishops, called to reflect on the theme: New Paths for the Church and for an Integral Ecology, will take place in October 2019. New paths for evangelization must be designed for and with the People of God who live in this region: inhabitants of communities and rural areas, of cities and large metropolises, people who live on river banks, migrants and displaced persons, and especially for and with indigenous peoples.1

In the Amazon rainforest, which is of vital importance for the planet, a deep crisis has been triggered by prolonged human intervention, in which a “culture of waste” (LS 16) and an extractivist mentality prevail. The Amazon is a region with rich biodiversity; it is multi-ethnic, multi-cultural, and multi-religious; it is a mirror of all humanity which, in defense of life, requires structural and personal changes by all human beings, by nations, and by the Church.

The Special Synod’s reflections transcend the strictly ecclesial-Amazonian sphere, because they focus on the universal Church, as well as on the future of the entire planet. We begin with a specific geographical area in order to build a bridge to the other important biomes of our world: the Congo basin, the Mesoamerican Biological Corridor, the tropical forests of the Asia Pacific region, and the Guarani Aquifer, among others.

Listening to indigenous peoples and to all the communities living in the Amazonia – as the first interlocutors of this Synod – is of vital importance for the universal Church. For this we need greater closeness. We want to know the following: How do you imagine your “serene future” and the “good life” of future generations? How can we work together toward the construction of a world which breaks with structures that take life and with colonizing mentalities, in order to build networks of solidarity and inter-culturality? And, above all, what is the Church’s particular mission today in the face of this reality?

This Preparatory Document is divided into three parts corresponding to the method “see, judge (discern), and act”. At the end of the text there are questions that allow for dialogue and a progressive approach to the regional reality and the expectation of a “culture of encounter” (EG 220). The new paths for evangelization and for shaping a Church with an Amazonian face grow out of this “culture of encounter” in daily life, “in a multifaceted harmony” (EG 220) and “happy sobriety” (LS 224-225), as contributions for the building of the Kingdom.

I. SEEING.
IDENTITY AND CRIES OF THE PAN-AMAZONIA
2

1. The territory
The Amazon Basin encompasses one of our planet’s largest reserves of biodiversity (30 to 50% of the world's flora and fauna) and freshwater (20% of the world's fresh water). It constitutes more than a third of the planet's primary forests and – although the oceans are the largest carbon sinks – the Amazon’s work of carbon sequestration is quite significant. It covers more than seven and a half million square kilometers, and 9 countries share this great Biome (Brazil, Bolivia, Colombia, Ecuador, Guyana, Peru, Suriname, Venezuela, including French Guyana as an overseas territory).

The so-called “Islands of Guyana” – bordered by the Orinoco and Black Rivers –, the Amazon River, and the South American Atlantic coasts between the mouths of the Orinoco and Amazon Rivers, are also part of this geographical area. Other areas are counted as part of the territory because they fall under the influence of its climatic and geographical system due to their proximity to the Amazon Basin.

However, these details do not imply a uniform region. We can identify many types of “Amazonias” within the Amazon Basin. In this context, it is water – through its gorges, rivers, and lakes – that becomes the region’s organizing and integrating element, with its main axis being the Amazon, the mother and father river of all. Within such a diverse Amazonian territory, it can be assumed that the different human groups that inhabit it have had to adapt to its different geographical, ecological, and political realities.

The centuries-long work of the Catholic Church in the Amazon Basin has been oriented towards responding to these varied human and environmental contexts.

2. Socio-cultural Diversity
Given its geographical proportions, the Amazonia is a region where many different peoples, cultures, and lifestyles live and coexist.

The demographic occupation of the Amazon Basin precedes the process of colonization by many, perhaps thousands of years. Until colonization, Amazonian populations were concentrated on the banks of large rivers and lakes as a matter of survival, which included activities such as hunting, fishing, and farming in the floodplains. With colonization and the widespread practice of indigenous slavery, many people abandoned these sites and took refuge in the interior of the jungle. In addition, during the first phase of colonization, a process of population substitution occurred, causing extensive demographic concentration on the banks of rivers and lakes.

Besides the historical circumstances, the so-called “people of the waters” – in this case those of the Amazon Basin – have always had a relationship of interdependence with water sources. For this reason, the rural peoples of the Amazonia use the resources of the floodplains, against the backdrop of the cyclical movement of their rivers – flooding, reflux, and the dry season – in a relationship of respect that grows out of knowing that “life steers the river” and that “the river steers life”. In addition, the peoples of the jungle – gatherers and hunters par excellence – survive on what the land and the forest have to offer. They watch over the rivers and the land, just as the land cares for them. They are the custodians of the rainforest and its resources.

Nonetheless, the wealth of the Amazonian rainforest and rivers is being threatened by expansive economic interests, which assert themselves in various parts of the territory. Such interests lead, among other things, to the intensification of indiscriminate logging in the rainforest, as well as the contamination of rivers, lakes, and tributaries (due to the indiscriminate use of agro-toxins, oil spills, legal and illegal mining, and byproducts from the production of narcotics). Added to this is drug trafficking, which together with the above puts at risk the survival of those peoples who depend on the region’s animal and plant resources.

On the other hand, the cities of the Amazon Basin have grown quite rapidly, and have integrated many migrants forcibly displaced from their lands, resulting in the expansion of large urban centers ever-deeper into the rainforest. Most of these migrants are indigenous peoples of Afro-descent hailing from river lands, who have been expelled by illegal and legal mining and by the oil extraction industry. They often find themselves cornered by the expansion of timber extraction, and are those most affected by agrarian and socio-environmental conflicts. Cities are also characterized by social inequalities. The poverty produced therein throughout history has generated relationships of subordination, of political and institutional violence, and of increased alcohol and drug consumption – both in cities and in rural communities. Poverty represents a deep wound in the lives of many Amazonian peoples.

The most recent migratory displacements within the Amazon region have been characterized, above all, by the movement of indigenous people from their native lands to the cities. Currently, between 70% and 80% of the Pan-Amazonian population resides in urban areas. Many of these indigenous people are undocumented or irregular, refugees and those hailing from riverside areas or belonging to other vulnerable categories of people. As a result, an attitude of xenophobia and criminalization of migrants and displaced persons is growing throughout the Amazon region. This, furthermore, leads to the exploitation of Amazonian populations, who become victims of the changing values of the global economy, for which profit has higher value than human dignity. One example of this is the dramatic increase in trafficking in persons, especially women, for the purpose of sexual and commercial exploitation. They thus lose their leading role in their communities’ processes of social, economic, cultural, ecological, religious, and political transformation.

In summary, the excessive growth of agricultural, extractive, and logging activities in the Amazonia has not only damaged the ecological richness of the region, its rainforest, and its waters, but has also impoverished its social and cultural wealth. It has forced a “piecemeal” and “non-inclusive” urban development upon the Amazon Basin. In response to this situation, there has been an increase in organizational capacities and an improvement in civil society, particularly regarding environmental issues. In the field of social relations, despite some limitations, the Catholic Church has generally carried out significant efforts, bolstering its work through its on-the-ground presence and its pastoral and social creativity.

3. Identity of indigenous peoples
Within the nine countries that make up the Pan-Amazonian region, there are about three million indigenous people, representing about 390 different peoples and nationalities. In addition, according to data gathered by specialized Church institutions (e.g. the Missionary Indigenous Council of Brazil and others), there are between 110 and 130 different Indigenous Peoples in Voluntary Isolation (PIAV) or “free peoples” in the region. Moreover, a new category of indigenous people has recently emerged, consisting of indigenous people living in urban areas, some of whom are recognizable as such. But there are other groups which disappear into the urban fabric and are therefore called “invisible”. Each of these peoples represents a particular cultural identity and a specific historical richness, each with its own particular way of seeing the world and its surroundings and of relating to it out of their specific worldview and territoriality.

Apart from the threats that emerge from within their own cultures, indigenous peoples have experienced severe external threats ever since the first contact with the colonizers (cf. LS 143, DAp 90). Against these threats, indigenous peoples and Amazonian communities have organized themselves and fought to defend their lives and cultures, territories and rights, and the life of the universe and of all creation. The most vulnerable group, however, are the “Indigenous Peoples in Voluntary Isolation” (PIAV), who do not possess the tools required for dialogue and negotiation with the outsiders that invade their territories.

Some “non-indigenous” people find it difficult to understand the otherness of native peoples, and often do not respect their differences. The Aparecida Document, referring to respect for indigenous and Afro-American peoples, says: “Society tends to underestimate them, ignoring their differences. Their social situation is marked by exclusion and poverty” (DAp 89). However, as Pope Francis remarked in Puerto Maldonado: “Their worldview and wisdom have much to teach those of us who do not belong to their culture. All our efforts towards improving the lives of the Amazonian peoples will always be too few” (Fr.PM).

In recent years, indigenous peoples have begun to write down their own history and to document more formally their own cultures, customs, traditions, and knowledge. They have written about the teachings received from their elders, parents, and grandparents, which are both personal and collective memories. Today, indigenous identity is not only derived from ethnicity. It also refers to the ability to maintain that identity without isolating oneself from the surrounding societies with which one interacts.

Faced with this integration process, indigenous organizations are emerging that seek to strengthen the history of their peoples, so as to guide their struggle for autonomy and self-determination: “It is right to acknowledge the existence of promising initiatives coming from your own communities and organizations, which advocate that the native peoples and communities themselves be the guardians of the woodlands. The resources that conservation practices generate would then revert to benefit your families, improve your living conditions and promote health and education in your communities” (Fr.PM). However, no initiative can ignore the fact that the relationship of belonging and participation, which Amazonian inhabitants establish with creation, is part of their identity and contrasts with a mercantilist vision of the riches of creation (cf. LS 38).

The Catholic Church is present in many of these contexts in the person of missionaries committed to the causes of indigenous and Amazonian peoples.

4. Church’s historical memory
The Church’s presence in the Amazon Basin has its roots in the colonial occupation of the area by Spain and Portugal. The incorporation of the immense Amazonia territory into colonial society, and its subsequent division into nation states, took place over a period of more than four centuries. Until the beginning of the 20th century, voices raised in defense of indigenous peoples were few and far between – although not absent (cf. Pius X, Encyclical Letter Lacrimabili Statu, 7.6.1912). These voices were strengthened following the Second Vatican Council. In order to encourage “the process of change through evangelical values”, the II Conference of Latin American Bishops, held in Medellin (1968), in its Message to the Peoples of Latin America, recalled that “in spite of her limitations”, the Church “has lived through, alongside our peoples, the process of colonization, liberation, and organization.” Also, the III Conference of Latin American Bishops, held in Puebla (1979), is a reminder that the occupation and colonization of indigenous lands was “an extensive process of domination”, which was full of “contradictions and deep wounds” (DP 6). Later, the IV Conference of Santo Domingo (1992) recalled “one of the saddest episodes in Latin American and Caribbean history”, which “was the forced transfer, as slaves, of an enormous number of Africans”. Pope St. John Paul II called this forced displacement an “unrecognized holocaust”, in which “baptized persons who did not live their faith took part” (DSD 20); cf John Paul II, Discourse to the Catholic Community on the Island of Gorea, Senegal, 22.02.1992, n. 3; Message to the Afro-Americans, Santo Domingo, 12.10.1992, n. 2) The Pope and delegates in Santo Domingo begged forgiveness for this “scandalous stain on the history of humanity” (DSD 20).

Today, unfortunately, traces still exist of the colonizing project, which gave rise to attitudes that belittle and demonize indigenous cultures. These attitudes weaken indigenous social structures and allow their intellectual knowledge and means of expression to be stripped away. It is frightening that still today – 500 years after external conquest, following more or less 400 years of organized mission and evangelization, and 200 years after the independence of Pan-Amazonian countries – similar vicious cycles continue to hold sway over the territory and its inhabitants, who today are victims of a ferocious neocolonialism, carried out “under the auspices of progress”. It is likely that, as Pope Francis stated in Puerto Maldonado, the indigenous peoples of the Amazon Basin have never been as threatened as they are at present. Today, due to the scandalous offenses of “new forms of colonialism”, “The Amazonia is being disputed on various fronts” (Fr.PM).

Throughout its history as a mission territory, the Amazon Basin has been filled with examples of concrete witness to the Cross, and was often a place of martyrdom. The Church has also learned that throughout this territory, which a great variety of peoples has inhabited for approximately 10,000 years, indigenous cultures are formed in harmony with the environment. Pre-Columbian cultures offered the Christianity of the Iberian Peninsula, brought by the conquistadors, multiple bridges and points-of-contact, “such as an openness to God’s activity; a sense of gratitude for the fruits of the earth, the sacredness of human life, and an appreciation of the family; a sense of solidarity and co-responsibility in joint efforts; the importance of worship; and the belief in life beyond the grave, as well as so many other values” (DSD 17).

5. Justice and the rights of peoples
Pope Francis, in his visit to Puerto Maldonado, called for a change in the historical paradigm, as a result of which States view the Amazonia as a storage room filled with natural resources, with little regard for the lives of indigenous peoples or for the destruction of nature. The harmonious relationship between God the Creator, human beings, and nature is broken by the harmful effects of neo-extractivism; by the pressure being exerted by strong business interests that want to lay hands on its petroleum, gas, wood, and gold; by construction related to infrastructure projects (for example, hydroelectric megaprojects and road construction, such as thoroughfares between the oceans); and by forms of agro-industrial mono-cultivation (cf. Fr.PM).

The dominant culture of consumerism and waste turns the planet into one giant landfill. The Pope denounces this model of development as faceless, suffocating, and motherless, and as obsessed only with material goods and the idols of money and power. New ideological colonialisms hidden under the myth of progress are being imposed, thereby destroying specific cultural identities. Pope Francis thus appeals for the defense of cultures and for the re-appropriation of a heritage permeated by ancestral wisdom. Such a legacy advocates a harmonious relationship between nature and the Creator, and articulates the belief that “defense of the earth has no other purpose than the defense of life” (Fr.PM). It should be considered holy ground: “This is not an orphan land! It has a Mother!” (Fr.EP).

On the other hand, the threat against the Amazonian territories “also comes from the distortion of certain policies aimed at the ‘conservation’ of nature without taking into account the men and women, specifically [these] Amazonian brothers and sisters, who inhabit it” (Fr.PM). Pope Francis’ guideline on this point is clear: “I believe that the central issue is how to reconcile the right to development, both social and cultural, with the protection of the particular characteristics of indigenous peoples and their territories. […] In this regard, the right to prior and informed consent should always prevail” (Fr.FPI).

At the same time, indigenous, rural, and other populations in the Amazonia – as well as at the national level in various counties – have been building political and organizational processes around agendas grounded in a human rights-based perspective. The question of indigenous peoples’ territorial rights in the Pan-Amazonian region revolves around the consistent lack of land regularization and a refusal to recognize their ancestral and collective ownership. Likewise, the territory has been stripped of a comprehensive interpretation based on the culture and worldview specific to each indigenous people or community.

Protecting indigenous peoples and their lands represents a fundamental ethical imperative and a basic commitment to human rights. Moreover, it is a moral imperative for the Church, consistent with the approach to integral ecology called for by Laudato si' (cf. LS, ch. IV).

6. Spirituality and wisdom
For the indigenous peoples of the Amazon Basin, the good life comes from living in communion with other people, with the world, with the creatures of their environment, and with the Creator. Indigenous peoples, in fact, live within the home that God created and gave them as a gift: the Earth. Their diverse spiritualities and beliefs motivate them to live in communion with the soil, water, trees, animals, and with day and night. Wise elders – called interchangeably “payés, mestres, wayanga or chamanes”, among others – promote the harmony of people among themselves and with the cosmos. Indigenous peoples “are a living memory of the mission that God has entrusted to us all: the protection of our common home” (Fr. PM).

Indigenous Christians of the Amazon region understand the invitation to the good life as a full life within the realm of the co-creation of the Kingdom of God. This good life will only be achieved when a common project in defense of life, the world, and all living things becomes a reality.

“We are called to be instruments of God our Father, so that our planet might be what he desired when he created it and correspond with his plan for peace, beauty, and fullness” (LS 53). This dream begins to be realized within the family, which is the first community of our life: “The family is, and always has been, the social institution that has most contributed to keeping our cultures alive. In moments of past crisis, in the face of various forms of imperialism, the families of the original peoples have been the best defense of life” (Fr.PM).

However, it is necessary to recognize that there is great cultural and religious diversity within the Amazonia. Although the majority promote the good life as a project of harmony between God, peoples, and nature, there are also some groups that, motivated by interests unconnected to the territory, do not always favor an integral ecology.

II. DISCERNMENT.
TOWARDS A PASTORAL AND ECOLOGICAL CONVERSION

7. Proclaiming the Gospel of Jesus in the Amazonia: Biblical-theological dimension
The specific reality of the Amazon Basin, and its fate, today challenges every person of good will with regard to the identity of the cosmos, its life-giving harmony, and its future. The bishops of Latin America acknowledge nature as a gratuitous inheritance; and, as prophets of life, they assume their commitment to protect our Common Home (cf. DAp 471).

Biblical accounts contain several theological nodes which reveal universal values. First of all, every created reality is oriented towards life, and everything that leads to death is opposed to the divine will. Secondly, God establishes a relationship of communion with humanity “created in his image and likeness” (Gen 1:26), to whom he entrusts the stewardship of creation (cf. Gen 1:28; 2:15). “Give thanks for the gift of creation, which is a reflection of the wisdom and beauty of the Creator, who entrusted his creative work to humanity, so that they would cultivate and care for it” (DAp 470). Finally, the harmonious relationship between God, humanity, and the cosmos is opposed to the strife caused by disobedience and sin (cf. Gen 3:1-7), which leads to fear (cf. Gen 3:8-10), the rejection of the other (cf. Gen 3:12), the curse of the ground (cf. Gen 3:17), the banishment from the garden (cf. Gen 3:23-24), and even to the ordeal of fratricide (cf. Gen 4:1-16).

On the other hand, the biblical accounts also testify that the germ of the promise and the seed of hope are planted within wounded creation, because God does not abandon the work of his hands. Throughout salvation history, God renews his intention to “make a covenant” between humanity and the earth, rehabilitating the beauty of creation through the gift of the Torah. All this culminates in the person and mission of Jesus. In showing compassion for humanity and its infirmities (cf. Mt 9:35-36), He confirms the goodness of all created things (cf. Mk 7:14-15). The wonders performed for the sick and in nature reveal both the Father’s Providence and the goodness of creation (cf. Mt 6:9-15; 25-34).

The created world invites us to praise the beauty and harmony of creatures and their Creator (cf. LS 12). As the Catechism of the Catholic Church points out, “each creature possesses its own particular goodness and perfection”, and reflects in its own way “a ray of God’s infinite wisdom and goodness”, that is, his love (CCC 339). “Soil, water [...] everything is a caress of God” (LS 84), a divine song, whose lyrics are made up of “the multitude of creatures present in the universe”, as Pope St. John Paul II pointed out (Catechesis, 30/1/2002). When the life of any of these creatures is snuffed out by human causes, they can no longer sing praise to the Creator (cf. LS 33).

The Father’s Providence, and the goodness of creation, reaches its climax in the mystery of the Incarnation of the Son of God, which draws near to and embraces all human contexts, but especially that of the poorest. The Second Vatican Council mentions this contextual closeness with terms such as adaptation and dialogue (cf. GS 4:11; CD 11; UR 4; SC 37ff), and incarnation and solidarity (cf. GS 32). Later, especially in Latin America, these words were translated as option for the poor and liberation (Medellín 1968), participation and base communities (Puebla 1979), insertion and inculturation (cf. Santo Domingo 1992), mission and service of a Samaritan Church and advocate for the poor (cf. DAp 2007).

The death and resurrection of Jesus illuminated the destiny of all of creation, filling it with the power of the Holy Spirit, who had already been evoked in the Wisdom tradition (cf. Wis 1:7). Easter brought to fulfillment the project for a “new creation” (cf. Eph 2:15; 4:24), revealing that Christ is the creative Word of God (cf. Jn 1:1-18) and that “in him were created all things in heaven and on earth” (Col 1:16). “In the Christian understanding of the world, the destiny of all creation is bound up with the mystery of Christ, present from the beginning of all things” (LS 99).

The tension between “already” and “not yet” concerns the human family and the whole world: “For creation awaits with eager expectation the revelation of the children of God; for creation was made subject to futility, not of its own accord, but because of the one who subjected it, in hope that creation itself would be set free from slavery to corruption and share in the glorious freedom of the children of God. We know that all creation is groaning in labor pains even until now (Rm 8:19-22). In the paschal mystery of Christ, the whole creation tends toward its final fulfillment, when “the creatures of this world no longer appear to us under merely natural guise, because the risen One is mysteriously holding them to himself and directing them towards fullness as their end. The very flowers of the field and the birds which his human eyes contemplated and admired are now imbued with his radiant presence” (LS 100).

8. Proclaiming the Gospel of Jesus in the Amazonia: Social dimension
The mission of evangelization always has “a clear social content” (EG 177). Belief in a Triune God invites us to keep ever in mind “that we have been created in the image of that divine communion, and so we cannot achieve fulfillment or salvation purely by our own efforts” (EG 178). In fact, “from the heart of the Gospel we see the profound connection between evangelization and human advancement” (EG 178) and between the acceptance and transmission of divine love. Thus, if we accept the love of God the Father and Creator, who conferred an infinite dignity upon us; the love of God the Son, who ennobled us with his redemption; and the love of the Holy Spirit, who invades and breaks all human-made bonds, we will be impelled to communicate that Trinitarian love by respecting and promoting the dignity, nobility, and freedom of each human being in our every work of evangelization (cf. EG 178). In other words, the evangelizing task of receiving and transmitting the love of God begins with longing, searching, and caring for others (cf. EG 178).

Therefore, evangelization means being committed to our brothers and sisters, improving community life, and thus “making the Kingdom of God present in the world” (EG 176), promoting throughout the whole world (cf. Mk 16:15) not “a charity à la carte” (EG 180), but a truly integral human development, that is, for all persons and for the whole person (cf. PP 14 and EG 181). This is what is known as the “principle of universality” in the task of evangelization, “for the Father desires the salvation of every man and woman, and his saving plan consists in ‘gathering up all things in Christ, things in heaven and things on earth’ (Eph 1:10). […] All creation refers to every aspect of human life” (EG 181), that is, to all its relationships.

Already in the biblical stories of creation it emerges that human existence is grounded in “three fundamental and closely intertwined relationships: with God, with our neighbor, and with the earth itself. […] These three vital relationships have been broken, both outwardly and within us. This rupture is sin” (LS 66). Redemption in Christ, who has vanquished sin, offers the possibility of harmonizing these relationships. The “mission of proclaiming the Good News of Jesus Christ”, therefore, promotes hope both in the purpose of history and in the course of human history itself, as well as in the valorization and reconstruction of all of life’s relationships (cf. EG 181). Accordingly, the task of evangelization invites us to strive against social inequalities and the lack of solidarity through the promotion of charity, justice, compassion, and care amongst ourselves and with animals, plants, and all creation. The Church is called to accompany and share the pain of the Amazonian people, and to collaborate in healing their wounds, putting into practice its identity as the Samaritan Church, as expressed by the Latin American Bishops (cf. DAp 26).

This social – and even cosmic – dimension of the mission of evangelization is particularly relevant in the Amazon region, where the interconnectivity between human life, ecosystems, and spiritual life was, and continues to be, apparent to the vast majority of its inhabitants. Destruction is “a trail of waste and even death, throughout the region. [...] It endangers the lives of millions of people, and especially the habitat of rural and indigenous peoples” (DAp 473). Refusal to care for our Common Home “is an offence against the Creator, an attack on biodiversity and, in short, on life itself” (DAp 125).

Therefore, as Pope Francis pointed out, the task of evangelization cannot “mutilate the integrity of the Gospel message” (EG 39). In point of fact, its harmonious integrity, “requires of the evangelizer certain attitudes to aid acceptance of the proclamation: closeness, openness to dialogue, patience, and cordial welcome” (EG 165). It means accepting and comprehending that “everything is connected” (LS 91, 117, 138, 240). This implies that the evangelizer should promote projects related to personal, social, and cultural life through which we can nurture the integrity of our vital relationships with others, with creation, and with the Creator. Such a call requires attentive listening to the twin cry of the poor and of the earth (cf. LS 49).

Today the cry of the Amazonia to the Creator is similar to the cry of God’s People in Egypt (cf. Ex 3:7). It is a cry of slavery and abandonment, which clamors for freedom and God's care. It is a cry that yearns for the presence of God, especially when the Amazonian peoples, in order to defend their lands, stumble upon the criminalization of protest – both by the authorities and public opinion – or when they witness the destruction of the rainforest, which serves as their ancient habitat; or when the waters of their rivers are filled with deadly substances instead of life.

9. Proclaiming the Gospel of Jesus in the Amazonia: Ecological dimension
“The kingdom, already present and growing in our midst, engages us at every level of our being and reminds us” (EG 181) that “everything in the world is connected” (LS 16) and that, therefore, the “principle of discernment” in evangelization is linked to a process of integral human development (cf. EG 181). This process is characterized, as Laudato si' (cf. 137-142) points out, by a relational paradigm called integral ecology, which articulates the fundamental links that make true development possible.

The first level of articulation for authentic progress is the intrinsic link between the social and the environmental spheres. Since human beings are part of the ecosystems which facilitate the relationships that give life to our planet, caring for them – given that everything is interconnected – is fundamental to promoting the dignity of each individual, the common good of society, social progress, and care for the environment.

In the Amazon Basin, integral ecology is key to responding to the challenge of caring for the immense wealth of its environmental and cultural biodiversity. From an environmental point of view, the Amazonia, in addition to being “a source of life at the heart of the Church” (REPAM), is a lung of the planet and one of the sites of greatest biodiversity in the world (cf. LS 38). In fact, the Amazon Basin encompasses the last great rainforest, which, despite the interventions it has suffered and continues to suffer, is the largest forested area in our Earth’s tropical zone. Recognizing the Amazon territory as a basin, by transcending the borders between countries, facilitates an unified view of the region, and is essential for the promotion of integral development and ecology.

From the cultural point of view – as has been extensively pointed out in the previous section (see above) – the Amazonia is particularly rich in the diverse ancestral worldviews of its populations. This cultural heritage, which is “part of the common identity” of the region, is as “threatened” as its environmental heritage (LS 143). The threats come mainly from a “consumerist vision of human beings, encouraged by the mechanisms of today’s globalized economy, [which] has a leveling effect on cultures, diminishing the immense cultural variety which is the heritage of all humanity” (LS 144).

Therefore, the Church’s evangelizing activity in the Amazonia can appear alien to the promotion of care for the territory (nature) and its peoples (cultures). For this reason, it needs to establish bridges to connect ancestral wisdom with contemporary knowledge (cf. LS 143-146), particularly those types related to the sustainable management of the territory and to development in accordance with the cultural value systems of the populations that inhabit this space, who must be recognized as its genuine custodians and even landowners.

However, integral ecology is more than just the connection between the social and the environmental spheres. It also encompasses the need to promote personal, social, and ecological harmony, for which all are called to a personal, social, and ecological conversion (cf. LS 210). Integral ecology, then, invites us to an integral conversion. “This entails […] the recognition of our errors, sins, faults, […] failures” and omissions by which “we have harmed God’s creation”, and “leads to heartfelt repentance” (LS 218). Only when we are aware of how our lifestyles – and the ways we produce, trade, consume, and discard – affect the life of our environment and our societies can we initiate a comprehensive change of direction.

Directional change, or integral conversion, is not exhausted in personal conversion. A profound change of heart, expressed in personal habits, also requires structural change, expressed in social habits, laws, and corresponding economic programs. Evangelizing efforts have much to contribute to promoting this radical change which the Amazon and the planet need, especially considering the depth with which the Spirit of God penetrates nature and the hearts of individuals and peoples.

10. Proclaiming the Gospel of Jesus in the Amazonia: Sacramental dimension
While the Church recognizes the strong headwind that comes from the power of sin, especially in social and environmental destruction, she is not discouraged in her accompaniment of the Amazonian peoples and is committed to overcoming the source of sin, supported by the grace of Christ. A contemplative ecclesial gaze and sacramental practice are the keys to evangelization in the Amazonia.

“The universe unfolds in God, who fills it completely. Hence, there is a mystical meaning to be found in a leaf, in a mountain trail, in a dewdrop, in a poor person’s face” (LS 233). Whoever knows how to contemplate “the goodness present in the realities and experiences of this world” discovers the intimate connection of all things and experiences with God (LS 234). For this reason, the Christian community, especially in the Amazon region, is invited to see reality with a contemplative gaze, through which it can grasp the presence and action of God in all creation and in all history.

Moreover, since “the Sacraments are a privileged way in which nature is taken up by God to become a means of mediating supernatural life”, their celebration is a permanent invitation “to embrace the world on a different plane” (LS 235). For example, the celebration of Baptism invites us to consider the importance of “water” as a source of life, not only as a tool or material resource, and it makes the community of believers responsible for guarding this element as a gift of God for the whole planet. Furthermore, since the water of Baptism purifies the baptized of all sins, its celebration allows the Christian community to adopt the value of water and “the river” as a source of purification, thus facilitating the inculturation of the water-related rites that come from the ancient wisdom of the Amazonian peoples.

The celebration of the Eucharist invites us to rediscover how the “Lord, in the culmination of the mystery of the Incarnation, chose to reach our intimate depths through a fragment of matter” (LS 236). The Eucharist, therefore, redirects us to the “living center of the universe”, to the overflowing core of love and inexhaustible life of the “incarnate Son”, present under the species of bread and wine, fruit of the earth and work of human hands (cf. LS 236). In the Eucharist, the community celebrates an act of cosmic love, in which human beings, together with the incarnate Son of God and all creation, give thanks to God for new life in the risen Christ (cf. LS 236). In this way, the Eucharist builds community, a festive, pilgrim community that becomes “a source of light and motivation for our concerns for the environment, directing us to be stewards of all creation” (LS 236). At the same time, the blood of so many men and women that has been shed – bathing the Amazonian lands for the good of its inhabitants and of the territory – is joined to the Blood of Christ, which was poured out for all and for all creation.

11. Proclaiming the Gospel of Jesus in the Amazonia: Ecclesial-missionary dimension
In the outgoing Church (cf. EG 46), which is “missionary by nature” (AG 2, DAp 347), all the baptized have the responsibility of being missionary disciples, participating in different ways and in different spheres. Indeed, one of the riches of the Church’s magisterial teaching is that of “always and everywhere proclaiming moral principles, including those pertaining to the social order, and making judgments on any human affairs to the extent that they are required by the fundamental rights of the human person or the salvation of souls” (CCC 2032; CIC can. 747).

Praise of God needs to be accompanied by the practice of justice on behalf of the poor, as Psalm 146 (145) proclaims: “Praise the LORD, my soul; I will praise the Lord all my life […] the Lord who sets prisoners free, who gives bread to the hungry, who comes to the aid of the orphan and the widow.” This mission requires the participation of all and a broad reflection which allows us to contemplate the concrete historical conditions of the social, environmental, and ecclesial fields. In this sense, a missionary approach in the Amazonia requires, now more than ever, ecclesial magisterium exercised under the guidance of the Holy Spirit, who guarantees unity and diversity. This unity in diversity, following the tradition of the Church, is structurally underpinned by what is known as the sensus fidei of the People of God.

Pope Francis has re-evoked this aspect, emphasized by the Second Vatican Council (cf. LG 12; DV 10), recalling that: “In all the baptized, from first to last, the sanctifying power of the Spirit is at work, impelling us to evangelization. The people of God is holy thanks to this anointing, which makes it infallible ‘in credendo’. This means that it does not err in faith… God furnishes the totality of the faithful with an instinct of faith – sensus fidei – which helps them to discern what is truly of God” (EG 119).

Pastors, especially bishops, should accompany this type of discernment. In fact, the upholding of Church tradition – carried out by the whole people of God – requires the unity of the faithful with their pastors (cf. DV 10) when examining and discerning new realities. It is the Bishops, in their capacity as the unifying principle of the People of God (cf. LG 23), who have the responsibility to maintain the unity of Tradition, which is generated by and based on the Holy Scriptures (cf. DV 9).

Thus, the religious sense of the Amazonia, as an example of the expression of the sensus fidei, requires the accompaniment and presence of the Pastors (cf. EN 48). When Pope Francis met with the peoples of the Amazon Basin in Puerto Maldonado, he said: “I wanted to come to visit you and listen to you, so that we can stand together, in the heart of the Church, and share your challenges and reaffirm with you a heartfelt option for the defense of life, the defense of the earth, and the defense of cultures.” The representatives of the peoples present there, for their part, replied: “We come to listen to Your Holiness, to be with the Pope in the heart of the Church and to participate in the building up of the Church, so that it may have an ever more Amazonian face.” In this reciprocal listening between the Pope (and Church authorities) and the inhabitants of the Amazonia, the people’s sensus fidei of the People was nourished and strengthened, and its ecclesial essence flourished: “We need to practice the art of listening, which is more than simply hearing” (EG 171).

The Special Assembly for the Pan-Amazonian Region requires an extensive exercise in reciprocal listening, especially between the faithful and the Church’s magisterial authorities. One of the main points to be heard is the cry “of thousands of [their] communities deprived of the Sunday Eucharist for long periods of time” (DAp 100, e). We trust that the Church, rooted in its synodal and missionary dimensions (cf. Francis, Address for the Commemoration of the 50th Anniversary of the Institution of the Synod of Bishops, 17 October 2015), may generate processes for listening (see/listen) and processes for discernment (judge), in order to respond (action) to the concrete realities of the Amazonian people.

III. ACTION.
NEW PATHS FOR A CHURCH WITH AN AMAZONIAN FACE
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12. Church with an Amazonian face
“Being Church means being God’s people”, incarnate “in the peoples of the earth” and in their cultures (EG 115). The universality or catholicity of the Church, therefore, is enriched by “the beauty of this multifaceted face” (NMI 40), which is manifested differently in the particular Churches and their cultures. Pope Francis pointed out in his meeting with Amazonian communities in Puerto Maldonado: “Those of us who do not live in these lands need your wisdom and knowledge to enable us to enter into, without destroying, the treasures that this region holds. And to hear an echo of the words that the Lord spoke to Moses: ‘Remove the sandals from your feet, for the place on which you are standing is holy ground’ (Ex 3:5)” (Fr.PM).

The Church is called to deepen her identity in accordance with the realities of each territory and to grow in her spirituality by listening to the wisdom of her peoples. Therefore, the Special Assembly for the Pan-Amazonian Region is invited to find new ways of developing the Amazonian face of the Church and to respond to situations of injustice in the region, such as the neocolonialism of the extractive industries, infrastructure projects that damage its biodiversity, and the imposition of cultural and economic models which are alien to the lives of its peoples.

Thus, through a focus on local realities and on the diversity of the region’s experiential microstructures, the Church is strengthened in its opposition to the globalization of indifference and to the unifying logic promoted by the media and by an economic model that often refuses to respect the Amazonian peoples or their territories.

For their part, local Churches – which are also outgoing, missionary Churches – find privileged places within their own peripheries in which to gain evangelizing expertise, since it is there that “the need for the light and the life of the Risen Christ is greatest” (EG 30). In the peripheries, missionaries encounter the marginalized, fugitives, and refugees, as well as those without hope and the excluded, that is to say, they encounter Jesus Christ, the Crucified and Exalted One, “who desired to identify with the weakest and poorest through a special tenderness” (DP 196).

During the preparation for the Synod, the aim will be to identify local pastoral experiences, both positive and negative, that can enlighten discernment for new action guidelines.

13. Prophetic dimension
Faced with the current socio-environmental crisis, there is an urgent need for guidance and action, in order to implement the transformation of practices and attitudes.

It is necessary to overcome myopia, nearsightedness, and short-term solutions. A global perspective is required, going beyond one’s personal or particular interests, in order to share responsibility for a common, global project.

“Everything is connected” is Pope Francis’ overarching emphasis, and is aimed at establishing dialogue with the spirituality of the great religious and cultural traditions. Consensus is needed around a basic agenda regarding integral and sustainable development – as described previously – which includes sustainable livestock and agriculture; non-polluting energy; respect for the identities and rights of traditional peoples; and drinking water for all, among others. These rights are fundamental issues which are often absent in the Pan-Amazonian region.

There must be a balance, and the economy should give priority to a vocation for a dignified human life. This balanced relationship must care for the environment and for the lives of the most vulnerable. “At present we are faced with one complex crisis which is both social and environmental” (LS 139).

The encyclical Laudato si’ (cf. 216 ff.) invites us to an ecological conversion that implies a new way of life. Our neighbor acquires a central position in our horizon. This involves practicing global solidarity and overcoming individualism, while opening up new paths to freedom, truth, and beauty. Conversion means freeing ourselves from the obsession with consumerism. Purchasing is a moral act, not a merely economic one. Ecological conversion means embracing the mystically-interconnected and interdependent nature of all creation. Thankfulness becomes a part of our attitudes when we understand that life is a gift from God. Embracing life through community-based solidarity entails a change of heart.

This new paradigm opens up new perspectives for personal and societal transformation. Joy and peace are possible when we are not obsessed with consumerism. Pope Francis states that a harmonious relationship with nature allows us to live a happy sobriety of inner peace, in regard to the common good, and a serene harmony that comes from being content with what is really necessary. This is something that Western cultures can, and perhaps should, learn from traditional Amazonian cultures and from other places and communities on the planet. Indigenous peoples “have much to teach us” (EG 198). In their love for their land and their relationship with the ecosystem, they know the Creator God, the source of life. “In their difficulties they know the suffering Christ” (EG 198). In their concept of a social life in dialogue, they are moved by the Holy Spirit. For this reason, Pope Francis pointed out that “we need to let ourselves be evangelized by them” and by their cultures, and that the new evangelization implies “lending our voice to their causes, but also [we are called] to be their friends, to listen to them, to speak for them, and to embrace the mysterious wisdom which God wishes to share with us through them” (EG 198). His teachings, therefore, could set the direction of priorities for the new paths of the Church in the Amazon.

14. Ministry with an Amazonian face
Through many regional meetings in the Amazonia, the Catholic Church has matured the awareness that its universality is incarnated in local history and cultures. In this way, the Church of Christ – the one, holy, catholic, and apostolic Church – is manifested and made present (cf. CD 11). This awareness has allowed her to fix her eyes today on the Amazonia with an overarching vision, with which she discovers the vast socio-political, economic, and ecclesial challenges that threaten the region. However, she never loses hope in the presence of God, and is nourished by the creativity and tenacious perseverance of the region’s inhabitants.

In recent decades, with a great impetus from the Aparecida Document, the Church in the Amazon Basin has come to recognize that – because of the immense territorial expanse, the great diversity of its peoples, and the rapid changes in its socio-economic realities – her pastoral care has been spread precariously thin. It was (and still is) necessary to have a greater presence, in an attempt to respond to this region’s specific identity from the point-of-view of Gospel values. This implies recognizing, among other elements, its immense geographical extension, much of it often difficult to access, its broad cultural diversity, and the pervading influence of national and international interests which often seek easy economic enrichment through the region’s plentiful resources. An incarnated mission implies rethinking the Church’s limited presence in relation to the immensity of the territory and its cultural diversity.

A Church with an Amazonian face must “seek a model of alternative, integral, and solidarity-based development, grounded on an ethical code that includes responsibility for an authentic, natural, and human ecology, which is the foundation for the gospel of justice, solidarity, and the universal destiny of earthly goods. It means going beyond a utilitarian and individualistic logic that refuses to submit economic and technological powers to ethical criteria” (DAp 474,c). Therefore, the entire People of God, who share in the mission of Christ – Priest, Prophet, and King (cf. LG 9), must be encouraged not to remain indifferent to the region’s injustices, in order to discover, in listening to the Spirit, the sought-after new paths.

These new paths for pastoral care in the Amazonia call for “re-launching the work of the Church” (DAp 11) in the territory and for delving deeper into the “process of inculturation” (EG 126), which requires the Church in the Amazon region to make “courageous” proposals, that is, the “daring” and “fearless” attitudes that Pope Francis asks of us. The prophetic mission of the Church is today carried out through its inclusive ministerial action, which allows indigenous peoples and Amazonian communities to be its “principal interlocutors” (LS 146) regarding all the territory’s pastoral and socio-environmental matters.

In order to transform the Church’s precariously-thin presence and make it broader and more incarnate, a hierarchical list of the Amazonia’s urgent needs should be established. The Aparecida document mentions the need for “Eucharistic integrity” (DAp 436) for the Amazon region, that is, that there be not only the possibility for all the baptized to participate in the Sunday Mass, but also for a new heavens and a new earth to take root in the Amazon Basin in anticipation of the Kingdom of God.

In this sense, Vatican II reminds us that all the People of God share in the priesthood of Christ, although it distinguishes between the common priesthood and the ministerial priesthood (cf. LG 10). This gives way to an urgent need to evaluate and rethink the ministries that today are required to respond to the objectives of “a Church with an Amazonian face and a Church with a native face” (Fr.PM). One priority is to specify the contents, methods, and attitudes necessary for an inculturated pastoral ministry capable of responding to the territory’s vast challenges. Another is to propose new ministries and services for the different pastoral agents, ones which correspond to activities and responsibilities within the community. Along these lines, it is necessary to identify the type of official ministry that can be conferred on women, taking into account the central role which women play today in the Amazonian Church. It is also necessary to foster indigenous and local-born clergy, affirming their own cultural identity and values. Finally, new ways should be considered for the People of God to have better and more frequent access to the Eucharist, the center of Christian life (cf. DAp 251).

15. New paths
In the process of thinking a Church with an Amazonian face, we dream with our feet grounded in our origins, and with our eyes open we consider the future shape of this Church, starting from its peoples’ experience of cultural diversity. Our new paths will impact ministries, liturgy, and theology (Indian theology).4

The Church first reached the peoples because she was moved by Jesus’ command and by faithfulness to the Gospel. Today, she needs to discover “with joy and respect the seeds of the Word” (AG 11) present in the region.

The entire People of God, along with their bishops, priests, religious men and women, and religious and lay missionaries, are called to enter this new ecclesial journey with an open heart. All are called to live together with their communities and to commit themselves to the defense of their lives, loving them and their cultures. Indigenous missionaries, as well as those who come from outside, should cultivate a spirituality of contemplation and thankfulness, opening their hearts and seeing the Amazonian and indigenous peoples with the eyes of God.

A practical spirituality, with its feet on the ground, offers the possibility of finding joy and zest in living together with the Amazonian peoples, and thus of being able to value their cultural riches, in which God sowed the seed of the Good News. We must also be able to perceive the elements present in their cultures which, because they pertain to human history, require purification. We must work towards individual and community conversion, cultivating dialogue at various levels. A prophetic and martyrdom-based spirituality makes us more committed to peoples’ lives, their past, and their present, while looking forward to forging a new history.

We are called as a Church to strengthen the leading roles of the peoples themselves. We should refine an intercultural spirituality to help us interact with the diversity of peoples and their traditions. We must join forces to take care of our Common Home.

This requires a spirituality of communion between native missionaries and those who come from outside, in order to discover together how to accompany people: listening to their stories; participating in their life projects; sharing their spirituality; and shouldering their struggles. This is spirituality after the fashion of Jesus: simple, human, in dialogue, and Samaritan, allowing us to celebrate life, Liturgy, the Eucharist, and festivals, always in respect for the rhythms proper to each people.

Enlivening a Church with an Amazonian face requires missionaries to possess the ability to discover the seeds and fruits of the Word already present in a people’s worldview. This requires a stable presence and knowledge of the native language, culture, and spiritual background. Only in this way will the Church make Christ's life present in these peoples.

In conclusion, recalling the words of Pope Francis, we would like to “ask all those who have positions of responsibility in economic, political and social life, and all men and women of goodwill: let us be ‘custodians’ of creation, custodians of God’s plan inscribed in nature, protectors of one another and of the environment. Let us not allow omens of destruction and death to accompany the advance of this world!” (Francis,Homily at the Mass for the Inauguration of the Petrine Ministry, 19 March 2013)

Furthermore, we would also like to ask the peoples of the Amazonia: “Help your bishops, and help your men and women missionaries, to be one with you, and in this way, by an inclusive dialogue, to shape a Church with an Amazonian face, a Church with a native face. In this spirit, I have convoked a Synod for Amazonia in 2019” (Fr.PM).

QUESTIONNAIRE

The purpose of this questionnaire is to listen to the Church of God regarding the “new paths for the Church and for an integral ecology” in the Amazonia. The Spirit speaks through the entire People of God. Listening to it, we can learn about the challenges, hopes, ideas, and new paths that God is asking of the Church in the region. This questionnaire is intended to help pastors respond to that invitation through consultation with the People of God. To this end, you are invited to explore the means most suitable for the local realities. The questionnaire is structured in three parts corresponding to the different sections of the Preparatory Document: see, discern/judge, act.

PART I

1. What are the most important problems in your community: threats to, and difficulties of, life, the territory, and its culture?
2. In the light of Laudato si’, what is the composition of bio-diversity and socio-diversity in your region?
3. How do these diversities affect or not affect your pastoral work?
4. In the light of Gospel values, what kind of society should we promote, and what are our means for doing so, taking into account rural, urban, and socio-cultural         differences?
5. Given the enormous wealth of their cultural identities, what are the contributions, aspirations, and challenges of the Amazonian peoples in relation to the Church     and the world?
6. How can these contributions be incorporated into a Church with an Amazonian face?
7. How should the Church, through her integral pastoral care, accompany the organizational efforts of native peoples on issues of identity and defense of their             territories and rights?
8. What should the Church’s responses be to the challenges of urban pastoral care in the Amazon region?
9. If there are Indigenous Peoples in Voluntary Isolation in your territory, what should the Church do to defend their lives and rights?

PART II

1. What hopes does the Church’s presence offer Amazonian communities in regards to life, territory, and culture?
2. How can we promote an integral ecology, taking into account the environmental, economic, social, and cultural aspects of daily life (cf. LS 137-162) in the             Amazon region?
3. In the context of your local church, how is Jesus “Good News” in Amazonian life in connection with family, community, and society?
4. How can the Christian community respond to situations of injustice, poverty, inequality, violence (drugs, human trafficking, violence against women, sexual             exploitation, discrimination against indigenous peoples and migrants, among others), and exclusion in the Amazon region?
5. What are the cultural elements that can facilitate the proclamation of the Gospel in the newness of the mystery of Jesus?
6. What paths can we follow in order to inculturate our sacramental practice into the living experience of indigenous peoples?
7. How does the community of believers, which is “missionary by its very nature” and in its own specific way, participate in the concrete, daily magisterium of the         Church in the Amazon region?

PART III

1. What Church do we dream of for the Amazonia?
2. How do you imagine an outgoing Church with an Amazonian face, and what characteristics should it have?
3. Is there room for indigenous expression and active participation in the liturgical practice of your communities?
4. One of the major challenges in the Amazon Basin is the impossibility of celebrating the Eucharist frequently in all places. How can we respond to this need?
5. How can we recognize and value the role of the laity in various pastoral areas (catechesis, liturgy, and charity)?
6. What role should the laity play in the region’s different socio-environmental spheres?
7. What actions should characterize prophetic proclamation and condemnation in the Amazonia?
8. What characteristics should the people who proclaim the Good News in the Amazon possess?
9. What are the particularly Amazonian activities and ministries in your ecclesiastical jurisdiction, and what are their attributes?
10. What are the particularly Amazonian activities and ministries that you believe should be created and promoted?
11. In what ways can consecrated life and its charisms contribute to the building up of a Church with an Amazonian face?
12. The role of women in our communities is of utmost importance, how can we recognize and value them on our new paths?
13. In what ways can popular religiosity, particularly Marian devotion, be integrated into and contribute to the Church’s new paths in the Amazon region?
14. What contributions could the communications media make towards building a Church with an Amazonian face?

 

* * *

ABBREVIATIONS

AG: Second Vatican Council, Decree Ad Gentes, on the Mission Activity of the Church (12/7/1965).
CCC: Catechism of the Catholic Church (10/11/1992).
CIC: Codex Iuris Canonici – Code of Canon Law (01/25/1983).
CD: Second Vatican Council, Decree Christus Dominus, concerning the Pastoral Office of Bishops in the Church (10/28/1965).
DAp: Aparecida Document. Conclusive Text of the V General Conference of the Latin American and Caribbean Bishops, 2007.
DP: Puebla Document. III General Conference of the Latin American Bishops, 1979.
DSD: Santo Domingo Document. IV General Conference of the Latin American Bishops, 1992.
DSF: John Paul II, Speech to the Catholic community at Gorée Island (Senegal, 22/02/1992 n.3); Message to the Afro-American Community, Santo Domingo (12/10/1992, n.2).
DV: Second Vatican Council, Dogmatic Constitution Dei Verbum, on Divine Revelation (11/18/1965).
EG: Francis, Apostolic Exhortation Evangelii Gaudium, (24/11/2013).
EN: Paul VI, Apostolic Exhortation Evangelii Nuntiandi, (8/12/1975).
Fr.PM: Francis, Discourse at Puerto Maldonado (Peru) during the Meeting with Indigenous Peoples of Amazonia (19/01/2018).
Fr.EP: Francis, Greetings during the Meeting with the Population of Puerto Maldonado (19/01/2018).
Fr.FPI: Francis, Discourse to Participants in the III Global Meeting of Indigenous Peoples’ Forum (15/02/2017).
GS: Second Vatican Council, Gaudium et Spes, Pastoral Constitution on the Church in the Modern World, (07/12/1965).
LG: Second Vatican Council, Lumen Gentium Dogmatic Constitution on the Church (21/11/1964).
LS: Francis, Laudato si’, Encyclical Letter on the Care for our Common Home, (24/05/2015).
NMI: John Paul II, Apostolic Letter Novo Millennio Ineunte (06/01/2001).
PANAM: Panamazonia: Source of Life in the Heart of the Church, Letter-Document on the Pan-Amazonian Ecclesial Network (REPAM). November 2014.
PIAV: Indigenous Peoples in Voluntary Isolation.
PO: Second Vatican Council, Decree Presbyterorum Ordinis, on the Ministry and Life of Priests, (7/12/1965).
PP: Paul VI, Encyclical Letter Populorum Progressio, on the Development of Peoples (26/03/1967).
REPAM: Pan-Amazonian Ecclesial Network.
REPAM 2: Executive Report of the Founding Meeting of the Pan-Amazonian Ecclesial Network (12/09/2014, Brasilia CNBB).
SC: Second Vatican Council, Constitution Sacrosanctum Concilium, on the Sacred Liturgy (04/12/1963).
UR: Second Vatican Council, Decree Unitatis redintegratio, on Ecumenism (21/11/1964).

_________________________

1 This document uses the terms “indigenous”, “original”, and “native peoples” interchangeably.
2 “Pan-Amazonia” is understood to mean all territories beyond the river basin.
3 Source: REPAM. Memoires from the Meeting “A Church with an Amazonian and Indigenous Face” Quito, Ecuador, 28-30/11/2017.
4 Cf. CELAM, VI Symposium on Indian Theology, (Asunción, Paraguay, 18-23 September 2017).

[00914-EN.01] [Original text: English]

Testo in lingua spagnola

AMAZONÍA:
NUEVOS CAMINOS PARA LA IGLESIA
Y PARA UNA ECOLOGÍA INTEGRAL

Documento preparatorio

Preámbulo
De acuerdo con el anuncio del Papa Francisco, del día 15 de octubre de 2017, la Asamblea Especial del Sínodo de los Obispos para reflexionar sobre el tema: Nuevos caminos para la Iglesia y para una ecología integral, se llevará a cabo en octubre de 2019. Esos caminos de evangelización deben ser pensados para y con el Pueblo de Dios que habita en esa región: habitantes de comunidades y zonas rurales, de ciudades y grandes metrópolis, poblaciones que habitan en las riberas de los ríos, migrantes y desplazados, y especialmente para y con los pueblos indígenas.1

En la selva amazónica, de vital importancia para el planeta, se desencadenó una profunda crisis por causa de una prolongada intervención humana donde predomina una «cultura del descarte» (LS 16) y una mentalidad extractivista. La Amazonía es una región con una rica biodiversidad, es multi-étnica, pluri-cultural y pluri-religiosa, un espejo de toda la humanidad que, en defensa de la vida, exige cambios estructurales y personales de todos los seres humanos, de los estados, y de la Iglesia.

Las reflexiones del Sínodo Especial superan el ámbito estrictamente eclesial amazónico, porque se enfocan a la Iglesia universal y también al futuro de todo el planeta. Partimos de un territorio específico, desde donde se quiere hacer un puente hacia otros biomas esenciales de nuestro mundo: cuenca del Congo, corredor biológico Mesoamericano, bosques tropicales de Asia Pacífico, acuífero Guaraní, entre otros.

Escuchar a los pueblos indígenas y a todas las comunidades que viven en la Amazonía, como los primeros interlocutores de este Sínodo, es de vital importancia también para la Iglesia universal. Para ello necesitamos una mayor cercanía. Queremos saber ¿Cómo imaginan su “futuro sereno” y el “buen vivir” de las futuras generaciones? ¿Cómo podemos colaborar en la construcción de un mundo que debe romper con las estructuras que quitan vida y con las mentalidades de colonización para construir redes de solidaridad e interculturalidad? y, sobre todo, ¿Cuál es la misión particular de la Iglesia hoy ante esta realidad?

Este Documento Preparatorio está dividido en tres partes correspondientes al método “ver, juzgar (discernir) y actuar”. Al final del texto se presentan preguntas que permitan un diálogo y una progresiva aproximación a la realidad y expectativa regional de una «cultura del encuentro» (EG 220). Los nuevos caminos para la evangelización y el plasmar una Iglesia con rostro amazónico pasan por las veredas de esa «cultura del encuentro» en la vida cotidiana, «en una armonía pluriforme» (EG 220) y «feliz sobriedad» (LS 224-225), como contribuciones para la construcción del Reino.

I. VER.
IDENTIDAD Y CLAMORES DE LA PANAMAZONÍA
2

1. El territorio
La cuenca amazónica supone para nuestro planeta una de las mayores reservas de biodiversidad (30 a 50% de la flora y fauna del mundo), de agua dulce (20% de agua dulce no congelada de todo el planeta), posee más de un tercio de los bosques primarios del planeta y, aunque los océanos son los mayores captadores de carbono, no por ello la labor de captura de carbono de la Amazonía deja de ser significativa. Son más de siete millones y medio de kilómetros cuadrados, con nueve países que comparten este gran bioma (Brasil, Bolivia, Colombia, Ecuador, Guyana, Perú, Surinam, Venezuela, incluyendo la Guyana Francesa como territorio ultramar).

La denominada “Isla de la Guayana” delimitada por los ríos Orinoco y Negro, el Amazonas y las costas Atlánticas de América del Sur entre las desembocaduras del Orinoco y el Amazonas, forma también parte de este territorio. Otros espacios forman parte del territorio porque se encuentran bajo la influencia del régimen climático y geográfico dada su cercanía a la Amazonía.

Sin embargo, estos datos no suponen una región homogénea. Constatamos cómo la Amazonía tiene muchos tipos de “Amazonías” al interior de ella. En este contexto, es el agua, a través de sus quebradas, ríos y lagos, la que se convierte en el elemento articulador e integrador, teniendo como eje principal al Amazonas, el río madre y padre de todos. En un territorio amazónico tan diverso es de suponer que los diferentes grupos humanos que lo habitan han debido adaptarse a las distintas realidades geográficas, ecosistémicas y políticas.

El trabajo de la Iglesia Católica en la Amazonía, durante muchos siglos, se ha orientado a dar respuesta a dichos variados contextos humanos y ambientales.

2. Diversidad socio-cultural
Dadas las proporciones geográficas, la Amazonía es una región donde viven y conviven pueblos y culturas diversas, y con modos de vida distintos.

La ocupación demográfica de la Amazonía antecede al proceso colonizador en muchos, tal vez miles de años. Hasta la colonización, el predominio demográfico en la Amazonía se concentraba en los márgenes de los grandes ríos y lagos por una cuestión de supervivencia que incluía las actividades de caza, pesca, y el cultivo en las tierras inundables. Con la colonización, y con la práctica extendida de la esclavitud indígena, muchos pueblos abandonaron estos sitios, y se refugiaron en el interior de la selva. Además, durante la primera fase de la colonización, se produjo un proceso de sustitución poblacional, con una fuerte concentración demográfica en los márgenes de los ríos y lagos.

Más allá de las circunstancias históricas, los pueblos de las aguas, en este caso de la Amazonía, siempre han tenido en común la relación de interdependencia con los recursos hídricos. Por eso, los campesinos y sus familias de la Amazonía utilizan los recursos de las tierras inundables, teniendo como telón de fondo el movimiento cíclico de sus ríos – inundación, reflujo y periodo de seca – en una relación de respeto por saber que “la vida dirige al río”, y el “río dirige a la vida”. Además los pueblos de la selva, recolectores y cazadores por excelencia, sobreviven con lo que la tierra y el bosque les ofrecen. Estos pueblos vigilan los ríos y cuidan la tierra, de la misma manera que la tierra cuida de ellos. Son los custodios de la selva y de sus recursos.

Sin embargo, la riqueza de la selva y de los ríos de la Amazonía está amenazada hoy por los grandes intereses económicos que se asientan en diversos puntos del territorio. Tales intereses provocan, entre otras cosas, la intensificación de la tala indiscriminada en la selva, la contaminación de ríos, lagos y afluentes (por el uso indiscriminado de agro-tóxicos, derrames petroleros, minería legal e ilegal, y los derivados de la producción de drogas). A ello se suma el narcotráfico, que junto con lo anterior pone en riesgo la supervivencia de los pueblos que dependen de recursos animales y vegetales en estos territorios.

Por otro lado, las ciudades de la Amazonía han crecido muy rápidamente, y han integrado a muchos migrantes desplazados de sus tierras de manera forzada, empujados hacia las periferias de los grandes centros urbanos que avanzan hacia dentro de la selva. En su mayoría son pueblos indígenas, ribereños, y afrodescendientes expulsados por la minería ilegal y legal, la industria de extracción petrolera, acorralados por la expansión de la extracción de madera, y siendo los más golpeados por los conflictos agrarios y socio-ambientales. Las ciudades también se caracterizan por las desigualdades sociales. La pobreza que ha sido producida a lo largo de la historia generó relaciones de subordinación, de violencia política e institucional, incremento en el consumo de alcohol y drogas – tanto en las ciudades como en las comunidades – y representa una herida profunda en los cuerpos de los diversos pueblos Amazónicos.

Los movimientos migratorios más recientes correspondientes a la región amazónica están caracterizados, sobre todo, por la movilización de indígenas de sus territorios originarios a las ciudades. Actualmente entre 70% y 80% de la población de la Panamazonía reside en las ciudades. Muchos de esos indígenas son indocumentados o irregulares, refugiados, ribereños, o pertenecen a otras categorías de personas vulnerables. En consecuencia, crece en toda la Amazonía una actitud de xenofobia y de criminalización de los migrantes y desplazados. Esto, asimismo, da lugar a la explotación de las poblaciones de la Amazonía, víctimas del cambio de valores de la economía mundial, para la cual el valor lucrativo es mayor que la dignidad humana. Ejemplo de ello es el crecimiento dramático del tráfico de personas, especialmente el de mujeres, para fines de explotación sexual y comercial. Ellas pierden así su protagonismo en los procesos de transformación social, económica, cultural, ecológica, religiosa y política de sus comunidades.

En suma, el crecimiento desmedido de las actividades agropecuarias, extractivas, y madereras de la Amazonía, no sólo ha dañado la riqueza ecológica de la región, de su selva y de sus aguas, sino que además ha empobrecido su riqueza social y cultural. Ha forzado un desarrollo urbano no “integral” ni “inclusivo” de la cuenca amazónica. Como respuesta a esta situación, se nota un crecimiento de las capacidades de organización y un avance de la sociedad civil, con atención particular a las problemáticas ambientales. En el campo de las relaciones sociales, a pesar de los límites, la Iglesia Católica ha desarrollado en general un trabajo significativo, fortaleciendo sus propios caminos a partir de su presencia encarnada y de su creatividad pastoral y social.

3. Identidad de los pueblos indígenas
En los nueve países que componen la Panamazonía se registra una presencia de alrededor de tres millones de indígenas, representando alrededor de 390 pueblos y nacionalidades distintos. Asimismo, en el territorio existen, según datos de instituciones especializadas de la Iglesia (eg. Consejo Indigenista Misionero de Brasil) y otras, entre 110 y 130 distintos Pueblos Indígenas en Aislamiento Voluntario (PIAV) o “pueblos libres”. Además, en los últimos tiempos, aparece una nueva categoría constituida por los indígenas que viven en el tejido urbano, algunos reconocibles como tales y otros que desaparecen en ese contexto y por ello son llamados “invisibles”. Cada uno de estos pueblos representa una identidad cultural particular, una riqueza histórica específica, y un modo particular de ver el mundo y el entorno, y de relacionarse con éste desde una propia cosmovisión y territorialidad específicas.

Más allá de las amenazas que emergen desde dentro de sus propias culturas, los pueblos indígenas han vivido desde los primeros contactos con los colonizadores fuertes amenazas externas (cf. LS 143, DAp 90). Contra estas amenazas, los pueblos indígenas y comunidades amazónicas se organizan, luchan por la defensa de sus vidas y culturas, territorios y derechos, y de la vida del universo y de la creación entera. Los más vulnerables, sin embargo, son los PIAV, quienes no poseen instrumentos de diálogo y negociación con los actores externos que invaden sus territorios.

Algunos “no indígenas” tienen dificultad de comprender la alteridad indígena y, muchas veces, no respetan la diferencia del otro. Dice el documento de Aparecida sobre el respeto de los indígenas y afro-americanos: «La sociedad tiende a menospreciarlos, desconociendo su diferencia. Su situación social está marcada por la exclusión y la pobreza» (DAp 89). Sin embargo, como remarcó el Papa Francisco en Puerto Maldonado: «Su cosmovisión, su sabiduría, tienen mucho para enseñarnos a quienes no pertenecemos a su cultura. Todos los esfuerzos que hagamos para mejorar la vida de los pueblos amazónicos serán siempre pocos» (Fr.PM).

En los últimos años, los pueblos indígenas han comenzado a escribir su propia historia y a describir de manera más formal sus propias culturas, costumbres, tradiciones y saberes. Han escrito sobre las enseñanzas recibidas de parte de sus mayores, padres y abuelos, que son memorias personales y colectivas. Hoy, el ser indígena no se deriva solamente de la pertenencia étnica. También se refiere a la capacidad de mantener esa identidad sin aislarse de las sociedades que les rodean, y con las cuales interactúan.

Ante este proceso de integración, surgen organizaciones indígenas que buscan el fortalecimiento de la historia de sus pueblos, para orientar la lucha por la autonomía y autodeterminación: «es justo reconocer que existen iniciativas esperanzadoras que surgen de sus propias bases y organizaciones, y propician que sean los propios pueblos originarios y sus comunidades los guardianes de los bosques y que los recursos que genera la conservación de los mismos revierta en beneficios de sus familias, en la mejora de sus condiciones de vida, en la salud, y educación de sus comunidades» (Fr. PM). Sin embargo, ninguna iniciativa puede ignorar que la relación de pertenencia y participación que establece el habitante amazónico con la creación forma parte de su identidad y contrasta con una visión mercantilista de los bienes de la creación (cf. LS 38).

En muchos de estos contextos la Iglesia Católica está presente a través de misioneros y misioneras comprometidos con las causas de los pueblos indígenas y Amazónicos.

4. Memoria histórica eclesial
El inicio de la memoria histórica de la presencia de la Iglesia en la Amazonía se sitúa en el escenario de la ocupación colonial de España y Portugal. La incorporación del inmenso territorio amazónico en la sociedad colonial y su posterior apropiación por parte de los Estados nacionales, es un largo proceso de más de cuatro siglos. Hasta el inicio del siglo XX, las voces en defensa de los pueblos indígenas eran frágiles – aunque no ausentes – (cf. Pio X, Carta Encíclica Lacrimabili Statu, 7.6.1912). Con el Concilio Vaticano II, dichas voces se fortalecen. Para alentar “el proceso de cambio con los valores evangélicos”, la II Conferencia del Episcopado Latinoamericano, realizada en Medellín (1968), en su Mensaje a los Pueblos de América Latina, recordó que «a pesar de sus limitaciones», la Iglesia «ha vivido con nuestros pueblos el proceso de colonización, liberación y organización». Y la III Conferencia del Episcopado Latinoamericano, realizada en Puebla (1979), nos recordó que la ocupación y colonización del territorio de Amerindia fue «un enorme proceso de dominaciones», lleno de «contradicciones y laceraciones» (DP 6). Y más tarde, la IV Conferencia de Santo Domingo (1992) nos advertía sobre «uno de los episodios más tristes de la historia latinoamericana y caribeña», que «fue el traslado forzado, como esclavos, de un enorme número de africanos». San Juan Pablo II llamó a este desplazamiento un «holocausto desconocido» en el que «han tomado parte personas bautizadas que non han vivido su fe» (DSD 20; cf. Juan Pablo II, Discurso a la comunidad católica de la Isla de Gorea, Senegal, 22.02.1992, n. 3; Mensaje a los Afroamericanos, Santo Domingo, 12.10.1992, n. 2). Por esa «ofensa escandalosa para la historia de la humanidad» (DSD 20), el Papa y los delegados en Santo Domingo pidieron perdón.

Hoy, lamentablemente, existen todavía resquicios del proyecto colonizador que creó representaciones de inferiorización y demonización de las culturas indígenas. Tales resquicios debilitan las estructuras sociales indígenas y permiten el despojo de sus saberes intelectuales y de sus medios de expresión. Lo que nos asusta es que hasta hoy, 500 años después de la conquista, más o menos 400 años de misión y evangelización organizada, y 200 años después de la independencia de los países que configuran la Panamazonía, procesos semejantes se siguen extendiendo sobre el territorio y sus habitantes, víctimas hoy de un neocolonialismo feroz, “enmascarado de progreso”. Probablemente, tal como lo afirmó el Papa Francisco en Puerto Maldonado, los pueblos originarios Amazónicos nunca han estado tan amenazados como lo están ahora. Hoy, debido a la ofensa escandalosa de los «nuevos colonialismos», «la Amazonía es una tierra disputada desde varios frentes» (Fr. PM).

En su historia misionera, la Amazonía ha sido lugar de testimonio concreto de estar en la cruz, incluso muchas veces lugar de martirio. La Iglesia también ha aprendido que en este territorio, habitado hace aproximadamente diez mil años por una gran diversidad de pueblos, sus culturas se construyen en armonía con el medio ambiente. Las culturas precolombinas ofrecieron al cristianismo ibérico que acompañaba a los conquistadores, múltiples puentes y conexiones posibles «como la apertura a la acción de Dios, en el sentido de gratitud por los frutos de la tierra, el carácter sagrado de la vida humana y la valorización de la familia, el sentido de la solidaridad y corresponsabilidad en el trabajo común, la importancia del culto, y la creencia de una vida más allá de la terrenal, y tantos otros valores» (DSD 17).

5. Justicia y derechos de los pueblos
El Papa Francisco, en su visita a Puerto Maldonado, llamó a cambiar el paradigma histórico en que los Estados ven la Amazonía como despensa de los recursos naturales, por encima de la vida de los pueblos originarios y sin importar la destrucción de la naturaleza. La relación armoniosa entre el Dios Creador, los seres humanos y la naturaleza está quebrada debido a los efectos nocivos del neo-extractivismo y por la presión de los grandes intereses económicos que explotan el petróleo, el gas, la madera, el oro, y por la construcción de obras de infraestructura (por ejemplo: megaproyectos hidroeléctricos, ejes viales, como carreteras interoceánicas) y por los monocultivos industriales (cf. Fr.PM).

La cultura dominante del consumo y del descarte convierte al planeta en un gran basural. El Papa denuncia este modelo de desarrollo como anónimo, asfixiante, sin madre; sólo obsesionado por el consumo y los ídolos del dinero y del poder. Se imponen nuevos colonialismos ideológicos disfrazados por el mito del progreso que destruyen las identidades culturales propias. Francisco apela por la defensa de las culturas y por la reapropiación de la herencia que viene con la sabiduría ancestral, la cual propone una manera de relación armoniosa entre la naturaleza y el Creador, y expresa con claridad que «la defensa de la tierra no tiene otra finalidad que no sea la defensa de la vida» (Fr. PM). Esta debe considerarse tierra santa: «¡Esta no es una tierra huérfana! ¡Tiene Madre!» (Fr. EP).

Por otra parte, la amenaza contra los territorios amazónicos «también viene por la perversión de ciertas políticas que promueven “la conservación” de la naturaleza sin tener en cuenta al ser humano y, en concreto [a los] hermanos [y hermanas] amazónicos que habitan en ellas» (Fr. PM). La orientación del Papa Francisco es clara: «Creo que el problema principal está en cómo conciliar el derecho al desarrollo incluyendo también el derecho de tipo social y cultural, con la protección de las características propias de los indígenas y de sus territorios. [...] En este sentido, siempre debe prevalecer el derecho al consentimiento previo e informado» (Fr. FPI).

Paralelamente, las poblaciones indígenas, campesinas y otros sectores populares en la Amazonia y a nivel nacional en cada país, han venido construyendo procesos políticos organizativos en torno de agendas fundadas en una perspectiva basada en sus derechos humanos. La situación del derecho al territorio de los pueblos indígenas en la Panamazonía gira en torno a una problemática constante sobre la falta de regularización de tierras y del reconocimiento de su propiedad ancestral y colectiva. Así también, el territorio ha sido despojado de una interpretación integral relacionada al aspecto cultural y cosmovisión de cada pueblo o comunidad indígena.

Proteger a los pueblos indígenas y sus territorios es una exigencia ética fundamental y un compromiso básico con los derechos humanos; y para la Iglesia se torna en un imperativo moral coherente con el enfoque de ecología integral de Laudato si’ (cf. LS, cap. IV).

6. Espiritualidad y sabiduría
Para los pueblos indígenas de la Amazonía, el “buen vivir” existe cuando están en comunión con las otras personas, con el mundo, con los seres de su entorno, y con el Creador. Los pueblos indígenas, en efecto, viven dentro de la casa que Dios mismo creó y les dio como regalo: la Tierra. Sus diversas espiritualidades y creencias, los motivan a vivir una comunión con la tierra, el agua, los árboles, los animales, con el día y la noche. Los ancianos sabios, llamados indistintamente payés, mestres, wayanga o chamanes – entre otros – promueven la armonía de las personas entre sí y con el cosmos. Todos ellos «son memoria viva de la misión que Dios nos ha encomendado a todos: cuidar la Casa Común» (Fr. PM).

Los indígenas Amazónicos cristianos entienden la propuesta del “buen vivir” como vida plena en el horizonte de la co-creación del Reino de Dios. Dicho buen vivir sólo será alcanzado cuando se haga verdad el proyecto comunitario en defensa de la vida, del mundo, y de todos los seres vivos.

«Estamos llamados a ser los instrumentos del Padre Dios para que nuestro planeta sea lo que él soñó al crearlo, y responda a su proyecto de paz, belleza y plenitud» (LS 53). Este sueño comienza a ser construido dentro de la familia que es la primera comunidad de nuestra existencia: «La familia es y ha sido siempre, la institución social que más ha contribuido a mantener vivas nuestras culturas. En momentos de crisis pasadas, ante a los diferentes imperialismos, la familia de los pueblos originarios ha sido la mejor defensa de la vida» (Fr. PM).

Sin embargo, es necesario reconocer que en la región amazónica hay una gran diversidad cultural y religiosa. Si bien en su mayoría promueven el “buen vivir” como un proyecto de armonía entre Dios, los pueblos y la naturaleza, hay también algunas sectas que, motivadas por intereses ajenos al territorio, no siempre favorecen una ecología integral.

II. DISCERNIR.
HACIA UNA CONVERSIÓN PASTORAL Y ECOLÓGICA

7. Anunciar el Evangelio de Jesús en la Amazonía: dimensión bíblico – teológica
La realidad específica de la Amazonía y su destino, hoy interpelan a cada persona de buena voluntad sobre la identidad del cosmos, sobre su armonía vital y sobre su futuro. Los Obispos de América Latina reconocen la naturaleza como herencia gratuita y como profetas de la vida asumen su compromiso para proteger esta Casa Común (cf. DAp 471).

Los relatos bíblicos contienen algunas instancias teológicas portadoras de valores universales. Sobre todo, cada realidad creada existe para la vida y todo aquello que conlleva la muerte se opone a la voluntad divina. En segundo lugar, Dios establece una relación de comunión con el ser humano «creado a su imagen y semejanza» (Gen 1,26), a quien confía la custodia de la creación (cf. Gen 1,28; 2,15). «Dar gracias por el don de la creación, reflejo de la sabiduría y belleza del Creador que encomendó al ser humano su obra creadora para que la cultivara y la guardara» (DAp 470). Finalmente, a la armonía de la relación entre Dios, el ser humano y el cosmos, se contraponen la desarmonía de la desobediencia y del pecado (cf. Gen 3,1-7), que determina el miedo (cf. Gen 3,8-10), el rechazo del otro (cf. Gen 3,12), la maldición del suelo (cf. Gen 3,17), la exclusión del jardín (cf. Gen 3,23-24) hasta llegar a la experiencia del fratricidio (cf. Gen 4,1-16).

Al mismo tiempo, los relatos bíblicos testimonian que en la creación herida está plantado el germen de la promesa y la semilla de la esperanza, porque Dios no abandona la obra de sus manos. En la historia de la salvación Él renueva el propósito de “hacer una alianza” entre el ser humano y la tierra, rehabilitando mediante el don de la Torah la belleza de la creación. Todo esto culmina en la persona y en la misión de Jesús. Mientras muestra compasión por la humanidad y su fragilidad (cf. Mt 9,35-36), Él confirma la bondad de todas las cosas creadas (cf. Mc 7,14-15). Los prodigios realizados sobre los enfermos y sobre la naturaleza revelan contemporáneamente la providencia del Padre y la bondad de la creación (cf. Mt 6,9-15.25-34).

El mundo creado nos invita a alabar la belleza y armonía de las creaturas y del Creador (cf. LS 12). Como lo señala el Catecismo de la Iglesia Católica, «toda criatura posee su bondad y su perfección propias», y en su ser propio reflejan «un rayo de la sabiduría y de la bondad infinitas de Dios», de su amor (CCC 339). «El suelo, el agua […] todo es caricia de Dios» (LS 84), canto divino, cuyas letras están conformadas por «la multitud de las criaturas presentes en el universo», como lo señaló San Juan Pablo II (Catequesis, 30/1/2002). Cuando cualquiera de esas creaturas es extinguida por causas humanas, ya no puede cantar más la alabanza al Creador (cf. LS 33).

La providencia del Padre y la bondad de la creación alcanzan su punto culminante en el misterio de la encarnación del Hijo de Dios, que se acerca y abraza todos los contextos humanos, pero sobre todo el de los más pobres. El Concilio Vaticano II menciona ésta cercanía contextual con términos como adaptación y diálogo (cf. GS 4, 11; CD 11; UR 4; SC 37ss), y encarnación y solidaridad (cf. GS 32). Más tarde, sobre todo en América Latina, esas palabras fueron traducidas como opción por los pobres y liberación (Medellín 1968), participación y comunidades de base (Puebla 1979), inserción e inculturación (cf. Santo Domingo 1992), misión y servicio de una Iglesia samaritana y abogada de los pobres (cf. DAp 2007).

Con la muerte y resurrección de Jesús se ilumina el destino de la creación entera, impregnado de la potencia del Espíritu Santo, ya evocada en la tradición sapiencial (cf. Sab 1,7). La Pascua lleva a cumplimiento el proyecto de una “creación nueva” (cf. Ef 2,15; 4,24), revelando que Cristo es la Palabra creadora de Dios (cf. Jn 1,1-18) y que «todas las cosas han sido creadas por medio de él y para él» (Co 1,16). «Para la comprensión cristiana de la realidad, el destino de toda la creación pasa por el misterio de Cristo, que está presente desde el origen de todas las cosas» (LS 99).

La tensión entre el “ya” y el “todavía no” involucra la familia humana y el mundo entero: «Pues la ansiosa espera de la creación desea vivamente la revelación de los hijos de Dios. La creación, en efecto, fue sometida a la caducidad, no espontáneamente, sino por aquel que la sometió, en la esperanza de ser liberada de la esclavitud de la corrupción para participar en la gloriosa libertad de los hijos de Dios. Pues sabemos que la creación entera gime hasta el presente y sufre dolores de parto» (Rm 8,19-22). En el misterio pascual de Cristo, la creación entera se extiende hacia un cumplimiento final, cuando «las criaturas de este mundo ya no se nos presentan como una realidad meramente natural, porque el Resucitado las envuelve misteriosamente y las orienta a un destino de plenitud. Las mismas flores del campo y las aves que él contempló admirado con sus ojos humanos, ahora están llenas de su presencia luminosa» (LS 100).

8. Anunciar el Evangelio de Jesús en la Amazonía: dimensión social
La misión evangelizadora tiene siempre un «contenido ineludiblemente social» (EG 177). Creer en un Dios Trino nos invita a tener siempre presente «que fuimos hechos a imagen de esa comunión divina, por lo cual no podemos realizarnos ni salvarnos solos» (EG 178). En efecto, «desde el corazón del Evangelio reconocemos la íntima conexión que existe entre evangelización y promoción humana» (EG 178), entre la aceptación y la transmisión del amor divino. Así, si aceptamos el amor de Dios Padre Creador que nos confirió una dignidad infinita, el amor del Dios Hijo que nos ennobleció con su redención, y el amor del Espíritu Santo que penetra y libera todos los vínculos humanos, no podemos sino comunicar tal amor trinitario respetando y promoviendo la dignidad, nobleza y libertad de cada ser humano en cada acción evangelizadora (cf. EG 178). En otras palabras, la tarea evangelizadora de recibir y trasmitir el amor de Dios comienza con el deseo, búsqueda y cuidado de los demás (cf. EG 178).

Por lo tanto, evangelizar implica comprometerse con nuestros hermanos y hermanas, mejorar la vida comunitaria, y así «hacer presente en el mundo el Reino de Dios» (EG 176), promoviendo por y para todo el mundo (cf. Mc 16, 15) no «una caridad a la carta» (EG 180), sino un verdadero desarrollo humano integral, es decir, para todas las personas y para toda la persona (cf. PP 14 y EG 181). Esto es lo que se conoce como el «criterio de universalidad» de la tarea evangelizadora, «ya que el Padre desea que todos los hombres se salven, y su plan de salvación consiste en “recapitular todas las cosas, las del cielo y las de la tierra, bajo un solo jefe, que es Cristo” (Ef 1,10) […] Toda la creación quiere decir también todos los aspectos de la vida humana» (EG 181), todas sus relaciones.

Ya en las historias bíblicas de la creación emerge que la existencia humana se caracteriza por «tres relaciones fundamentales estrechamente conectadas: la relación con Dios, con el prójimo y con la tierra […] las tres relaciones vitales se han roto, no sólo externamente, sino también dentro de nosotros. Esta ruptura es el pecado» (LS 66). La redención de Cristo, que ha vencido el pecado, ofrece la posibilidad de armonizar tales relaciones. La «misión del anuncio de la Buena Nueva de Jesucristo», por lo tanto, promueve esperanza no sólo en el fin de la historia, sino en el curso mismo de la historia de los pueblos, en una historia de valorización y recomposición de todas la relaciones de nuestra existencia (cf. EG 181). De allí que la tarea evangelizadora nos invite a trabajar en contra de las desigualdades sociales y la falta de solidaridad mediante la promoción de la caridad y la justicia, de la compasión y del cuidado, entre nosotros sí, pero también con los otros seres, animales y plantas, y con toda la creación. La Iglesia está llamada a acompañar y a compartir el dolor del pueblo amazónico, y a colaborar con la sanación de sus heridas, poniendo en práctica su identidad de Iglesia samaritana, según la expresión de los Obispos Latinoamericanos (cf. DAp 26).

Esta dimensión social – y hasta cósmica – de la misión evangelizadora, es particularmente relevante en el territorio amazónico, en donde la interconexión entre vida humana, ecosistemas, y vida espiritual, fue y sigue siendo clara para la gran mayoría de sus habitantes. La destrucción es «una estela de dilapidación e incluso de muerte, por toda la región […] pone en peligro la vida de millones de personas, y en especial el hábitat de los campesinos e indígenas» (DAp 473). No cuidar la Casa Común «es una ofensa al Creador, un atentado contra la biodiversidad, y en definitiva, contra la vida» (DAp 125).

Por ello, como bien nos recorda el Papa Francisco, la tarea evangelizadora no puede «mutilar la integralidad del mensaje del Evangelio» (EG 39). Su integralidad armoniosa, precisamente, «exige al evangelizador ciertas actitudes que ayudan a acoger mejor el anuncio: cercanía, apertura al diálogo, paciencia, acogida cordial» (EG 165), y, por sobre todo, asumir y asimilar que «todo está conectado» (LS 91, 117, 138, 240). Esto implica que el evangelizador debe promover proyectos de vida personal, social y cultural mediante los cuales podamos nutrir la integralidad de nuestras relaciones vitales con los demás, con la creación y con el Creador. Tal llamado necesita de una escucha atenta del clamor de los pobres y de la tierra en forma conjunta (cf. LS 49).

Hoy el grito de la Amazonía al Creador, es semejante al grito del Pueblo de Dios en Egipto (cf. Ex 3,7). Es un grito de esclavitud y abandono, que clama por la libertad y el cuidado de Dios. Es un grito que anhela la presencia de Dios, especialmente cuando, los pueblos amazónicos, por defender sus tierras, tropiezan con la criminalización de la protesta – tanto por parte de las autoridades como de la opinión pública –; o cuando son testigos de la destrucción del bosque tropical, que constituye su hábitat milenario; o cuando las aguas de sus ríos se llenan de especies de muerte en lugar de vida.

9. Anunciar el Evangelio de Jesús en la Amazonía: dimensión ecológica
«El Reino que se anticipa y crece entre nosotros lo toca todo» (EG 181) y nos recuerda que «en el mundo todo está conectado» (LS 16), y que por lo tanto el «principio de discernimiento» de evangelización está vinculado a un proceso integral de desarrollo humano (cf. EG 181). Dicho proceso está caracterizado, como lo señala Laudato si’ (cf. nn. 137-142), por un paradigma relacional denominado ecología integral, que articula los vínculos fundamentales que hacen posible un verdadero desarrollo.

El primer grado de articulación para un auténtico progreso es el vínculo intrínseco entre lo social y lo ambiental. Dado que los seres humanos somos parte de los ecosistemas que facilitan las relaciones que dan vida a nuestro planeta, el cuidado de los mismos – en donde todo está interconectado – es fundamental para promover tanto la dignidad de cada individuo, como el bien común de la sociedad, tanto el progreso social como el cuidado ambiental.

En la Amazonía, la noción de ecología integral es clave para responder al desafío de cuidar la inmensa riqueza de su biodiversidad ambiental y cultural. Desde el punto de vista ambiental, la Amazonía, además de ser «fuente de vida en el corazón de la Iglesia» (REPAM), es un pulmón del planeta y uno de los sitios de mayor biodiversidad del mundo (cf. LS 38). En efecto la cuenca amazónica posee el último gran bosque tropical que, a pesar de las intervenciones que ha sufrido y sufre, es la mayor superficie forestal existente en los trópicos de nuestra tierra. Reconocer el territorio amazónico como cuenca, más allá de las fronteras de los países, facilita la mirada integral de la región, esencial para la promoción de un desarrollo y una ecología integral.

Desde el punto de vista cultural, tal como ha sido señalado extensamente en la sección anterior la Amazonía es particularmente rica por las diversas y ancestrales cosmovisiones de sus poblaciones. Tal patrimonio cultural, que forma «parte de la identidad común» de la región, se encuentra tan amenazado como su patrimonio ambiental (LS 143). Las amenazas provienen – principalmente – de una «visión consumista del ser humano, alentada por los engranajes de la actual economía globalizada, [que] tiende a homogeneizar las culturas y a debilitar la inmensa variedad cultural, que es un tesoro de la humanidad» (LS 144).

Por lo tanto, el proceso de evangelización de la Iglesia en la Amazonía no puede ser ajeno a la promoción del cuidado del territorio (naturaleza) y de sus pueblos (culturas). Para ello, necesita establecer puentes que puedan articular los saberes ancestrales con los conocimientos contemporáneos (cf. LS 143-146), particularmente aquellos referidos al manejo sustentable del territorio y a un desarrollo acorde a los propios sistemas de valores y culturas de las poblaciones que habitan este espacio, quienes deben ser reconocidos como sus genuinos custodios, y hasta propietarios.

Pero la ecología integral es más que la mera conexión entre lo social y lo ambiental. Comprende la necesidad de promover una armonía personal, social y ecológica, para la cual necesitamos de una conversión personal, social y ecológica (cf. LS 210). La ecología integral, entonces, nos invita a una conversión integral. «Esto implica […] reconocer los propios errores, pecados, vicios […] negligencias» y omisiones con los que «ofendemos a la creación de Dios», y «arrepentirse de corazón» (LS 218). Sólo cuando somos conscientes de cómo nuestro estilo de vida y nuestra manera de producir, comerciar, consumir y desechar afectan la vida de nuestro ambiente y nuestras sociedades, entonces podremos iniciar un cambio de rumbo integral.

Cambiar de rumbo, o convertirse integralmente, no se agota en una conversión de corte individual. Un cambio profundo de corazón, expresado en hábitos personales, es tan necesario como un cambio estructural, expresado en hábitos sociales, en leyes y en programas económicos acordes. A la hora de promover dicho cambio radical que la Amazonía y el planeta necesitan, los procesos de evangelización tienen mucho que aportar, sobre todo por la profundidad con que el Espíritu de Dios cala la naturaleza y los corazones de las personas y los pueblos.

10. Anunciar el Evangelio de Jesús en la Amazonía: dimensión sacramental
Mientras la Iglesia reconoce la fuerte hipoteca y el poder del pecado, sobre todo en la destrucción social y ambiental, no se desalienta en su caminar junto con el pueblo Amazónico, y se compromete a superar la fuente del pecado, apoyada en la gracia de Cristo. Una mirada eclesial contemplativa y una práctica sacramental acorde son clave para la evangelización en la Amazonía.

«El universo se desarrolla en Dios, que lo llena todo. Entonces hay mística en una hoja, en un camino, en el rocío, en el rostro del pobre» (LS 233). Quien sabe contemplar «lo bueno que hay en las cosas y experiencias del mundo», descubre la íntima conexión de todas esas cosas y experiencias con Dios (LS 234). Por ello, la comunidad cristiana, especialmente en la Amazonía, está invitada a ver la realidad con una mirada contemplativa mediante la cual pueda captar la presencia y la acción de Dios en toda la creación y en toda la historia.

Además, ya que «los Sacramentos son un modo privilegiado de cómo la naturaleza es asumida por Dios y se convierte en mediación de la vida sobrenatural», sus celebraciones son una permanente invitación a «abrazar el mundo en un nivel distinto» (LS 235). Por ejemplo, la celebración del Bautismo nos invita a considerar la importancia del “agua” como fuente de vida, no sólo como instrumento o recurso material, y responsabiliza a la comunidad creyente a custodiar este elemento como don de Dios para todo el planeta. Además, dado que el agua del Bautismo purifica al bautizado de todos los pecados, su celebración permite a la comunidad cristiana asumir el valor del agua y “del río” como fuente de purificación, facilitando la inculturación de los ritos relacionados al agua de la sabiduría ancestral de los pueblos amazónicos.

La celebración de la Eucaristía nos invita a redescubrir como el «Señor, en el colmo del misterio de la Encarnación, quiso llegar a nuestra intimidad a través de un pedazo de materia» (LS 236). La Eucaristía, por lo tanto, nos remite al «centro vital del universo», al foco desbordante de amor y de vida inagotable del Hijo encarnado, presente en las especies de pan y vino, fruto de la tierra-vid y el trabajo de los hombres (cf. LS 236). En la Eucaristía, la comunidad celebra un amor cósmico, en donde los seres humanos, junto al Hijo de Dios encarnado y a toda la creación, dan gracias a Dios por la vida nueva de Cristo resucitado (cf. LS 236). De esta forma, la Eucaristía constituye comunidad, una comunidad peregrina festiva que deviene en «fuente de luz y de motivación para nuestras preocupaciones por el ambiente, y nos orienta a ser custodios de todo lo creado» (LS 236). Al mismo tiempo, la sangre de tantos hombres y mujeres que ha sido derramada, bañando las tierras amazónicas por el bien de sus habitantes y del territorio, se une a la Sangre de Cristo, derramada por todos y para toda la creación.

11. Anunciar el Evangelio de Jesús en la Amazonía: dimensión eclesial-misionera
En la Iglesia en salida (cf. EG 46), «misionera por naturaleza» (AG 2, DAp 347), todos los bautizados tienen la responsabilidad de ser discípulos misioneros, participando de modo diverso y en ámbitos distintos.

En efecto, una de las riquezas de la conciencia magisterial de la Iglesia, es la de «anunciar siempre y por todas partes los principios morales, incluso los referentes al orden social, y pronunciarse respecto de cualquier cuestión humana, en cuanto lo exijan los derechos fundamentales de la persona humana o la salvación de las almas» (CCC 2032; CIC can. 747).

La alabanza a Dios necesita estar acompañada por la práctica de la justicia a favor de los pobres. Como proclama el Salmo 146 (145): «Alaba al Señor con toda mi alma, alabaré al Señor mientras viva […] al Dios que libera a los cautivos, que da pan a los hambrientos, que sostiene a la viuda y al huérfano». Esta misión necesita de la participación de todos, y de una reflexión amplia que permita contemplar las condiciones históricas concretas tanto sociales, ambientales y eclesiales. En este sentido, un enfoque misionero en la Amazonía requiere más que nunca un magisterio eclesial ejercido en la escucha del Espíritu santo que garantiza unidad y diversidad. Esta unidad en la diversidad, siguiendo la tradición de la Iglesia, está estructuralmente atravesada por lo que se conoce como sensus fidei del Pueblo de Dios.

El Papa Francisco retomó este aspecto enfatizado por el Concilio Vaticano II (cf. LG 12; DV 10), recordando que: «En todos los bautizados, desde el primero hasta el último, actúa la fuerza santificadora del Espíritu que impulsa a evangelizar. El Pueblo de Dios es santo por esta unción que lo hace infalible “in credendo”. Esto significa que cuando cree no se equivoca… Dios dota a la totalidad de los fieles de un instinto de la fe – el sensus fidei – que los ayuda a discernir lo que viene realmente de Dios» (EG 119).

Tal discernimiento debe estar acompañado por los pastores, especialmente por los Obispos. En efecto, el mantenimiento de la Tradición eclesial, realizada por todo el Pueblo de Dios, exige la unidad de este Pueblo con sus pastores (cf. DV 10) para la lectura y el discernimiento de las nuevas realidades . Son los Obispos, como principio de unidad del Pueblo de Dios (cf. LG 23), quienes tienen la responsabilidad de mantener la unidad de la Tradición originada y basada en las Sagradas Escrituras (cf. DV 9).

Así, el sentido religioso de la Amazonía, como ejemplo de expresión del sensus fidei, necesita del acompañamiento y la presencia de los pastores (cf. EN 48). Cuando el Papa Francisco se encontró con los pueblos de la Amazonía en Puerto Maldonado, expresó: «he querido venir a visitarlos y escucharlos, para estar juntos en el corazón de la Iglesia, unirnos a sus desafíos y con ustedes reafirmar una opción sincera por la defensa de la vida, defensa de la tierra y defensa de las culturas». Los representantes de los pueblos ahí presentes, por su parte, le respondieron: «Nosotros venimos a escuchar a Su Santidad, a estar junto con el Papa en el corazón de la Iglesia y a participar en la edificación de esta Iglesia para que tenga cada vez más un rostro Amazónico». En esa escucha recíproca entre el Papa (y autoridades eclesiales) y los habitantes del pueblo amazónico, se alimenta y fortalece el sensus fidei del Pueblo y crece su ser eclesial: «Necesitamos ejercitarnos en el arte de escuchar, que es más que oír» (EG 171).

La Asamblea Especial para la Región Panamazónica precisa de un gran ejercicio de escucha recíproca, especialmente de una escucha entre el Pueblo fiel y las autoridades magisteriales de la Iglesia. Y uno de los puntos principales a escuchar es el lamento «de miles de (sus) comunidades privadas de la Eucaristía dominical por largos periodos» (DAp 100, e). Confiamos en que la Iglesia, enraizada en sus dimensiones sinodal y misionera (cf. Francisco, Discurso per la conmemoración del 50 aniversario de la institución del Sínodo de los Obispos, 17.10.2015), pueda generar procesos de escucha (ver-escuchar), procesos de discernimiento (juzgar), para poder responder (actuar) a las realidades concretas de los pueblos amazónicos.

III. ACTUAR.
NUEVOS CAMINOS PARA UNA IGLESIA
CON ROSTRO AMAZÓNICO3

12. Iglesia con rostro amazónico
«Ser Iglesia es ser Pueblo de Dios», encarnado «en los pueblos de la tierra» y en su culturas (EG 115). La universalidad o catolicidad de la Iglesia, por lo tanto, se ve enriquecida con «la belleza de este rostro pluriforme» (NMI 40) de las diferentes manifestaciones de las Iglesias particulares y sus culturas. Como lo señaló el Papa Francisco en su encuentro con comunidades amazónicas en Puerto Maldonado: «quienes no habitamos estas tierras necesitamos de vuestra sabiduría y conocimiento para poder adentrarnos, sin destruir, el tesoro que encierra esta región, y se hacen eco las palabras del Señor a Moisés: “Quítate las sandalias, porque el suelo que estás pisando es una tierra santa” (Ex 3,5)» (Fr. PM).

La Iglesia está llamada a profundizar su identidad en correspondencia con las realidades de su propio territorio y a crecer en su espiritualidad escuchando la sabiduría de sus pueblos. Por ello la Asamblea Especial para la Región Panamazónica está llamada a encontrar nuevos caminos para hacer crecer el rostro amazónico de la Iglesia y también responder a las situaciones de injusticia de la región, como el neocolonialismo de las industrias extractivistas, los proyectos de infraestructuras que dañan su biodiversidad, y la imposición de modelos culturales y económicos ajenos a la vida de los pueblos.

Así, con la atención puesta en lo local y en la diversidad de las microestructuras vivenciales de la región, la Iglesia se fortalece como contrapunto frente a la globalización de la indiferencia y frente a la lógica uniformadora promovida por muchos medios de comunicación y por un modelo económico que no suele respetar los pueblos amazónicos ni sus territorios.

Por su parte, las Iglesias locales, que son también Iglesias misioneras, en salida, encuentran en sus propias periferias lugares privilegiados de experiencia evangelizadora, pues allí es «donde hace más falta la luz y la vida del Resucitado» (EG 30). En las periferias los misioneros se encuentran con los marginados, los fugitivos y los refugiados, con los desesperados, los excluidos, ergo con Jesucristo crucificado y exaltado, «que ha querido identificarse con ternura especial con los más débiles y pobres» (DP 196).

Durante la preparación para el Sínodo, se buscará identificar experiencias pastorales locales, tanto positivas como negativas, que puedan iluminar el discernimiento para las nuevas líneas de acción.

13. Dimensión profética
Frente a la crisis socio-ambiental actual, urgen luces de orientación y acción para poder implementar la transformación de prácticas y actitudes.

Es necesario superar la miopía, el inmediatismo y las soluciones cortoplacistas. Se necesita tener una perspectiva global, superar los intereses propios o particulares, para poder compartir y ser responsables de un proyecto común y global.

«Todo está conectado» es la gran insistencia del Papa Francisco, para dialogar con las raíces espirituales de las grandes tradiciones religiosas y culturales. Se plantea la necesidad de un consenso alrededor de una agenda mínima: desarrollo integral y sostenible, tal cual descripto en puntos anteriores, que incluye ganadería y agricultura sustentable, energía sin contaminación, respeto de las identidades y derechos de los pueblos tradicionales, agua potable para todos, entre otros. Estos derechos son temas fundamentales a menudo ausentes en la Panamazonía.

Debe haber un equilibrio, y la economía debe dar prioridad a una vocación por una vida humana digna. Esta relación equilibrada debe cuidar el ambiente y la vida de los más vulnerables. «En la actualidad hay una sola crisis que es social y ambiental a la vez» (LS 139).

La Encíclica Laudato si’ (cf. nn. 216ss) nos invita a una conversión ecológica que implica un estilo de vida nuevo. El horizonte está puesto en el otro. Es preciso practicar la solidaridad global y superar el individualismo, abrir caminos nuevos de libertad, verdad y belleza. La conversión significa liberarnos de la obsesión del consumo. Comprar es un acto moral, no sólo económico. La conversión ecológica es asumir la mística de la interconexión y la interdependencia de todo lo creado. La gratuidad se impone en nuestras actitudes cuando entendemos la vida como don de Dios. Abrazar la vida en solidaridad comunitaria supone un cambio de corazón.

Este nuevo paradigma abre perspectivas de transformación personal y en la sociedad. El gozo y la paz son posibles cuando no estamos obsesionados por el consumo. El Papa Francisco plantea que una relación armoniosa con la naturaleza nos permite una feliz sobriedad, paz interior con uno mismo, en relación con el bien común, y una serena armonía que implica contentarse con lo realmente necesario. Esto es algo que las culturas occidentales pueden, y quizás deben, aprender de las culturas tradicionales Amazónicas, y de otros territorios y comunidades en el planeta. Ellos, los pueblos, «tienen mucho que enseñarnos» (EG 198). Ellos, en su amor por su tierra y su relación con los ecosistemas, conocen al Dios Creador, fuente de vida. Ellos, «en sus propios dolores, conocen al Cristo sufriente» (EG 198). Ellos, en su noción de vida social en diálogo, están movidos por el Espíritu Santo. De allí que el Papa Francisco haya señalado que «es necesario que todos nos dejemos evangelizar por ellos» y por sus culturas, y que la tarea de la nueva evangelización implica «prestarles nuestra voz en sus causas, pero también [estamos llamados] a ser sus amigos, a escucharlos, a interpretarlos y a recoger la misteriosa sabiduría que Dios quiere comunicarnos a través de ellos» (EG 198). Sus enseñanzas, en consecuencia, podrían marcar el rumbo de las prioridades para los nuevos caminos de la Iglesia en la Amazonia.

14. Ministerios con rostros amazónicos
A través de muchos encuentros regionales en la Amazonía, la Iglesia católica ha profundizado la conciencia que su universalidad se encarna en la historia y las culturas locales. De este modo, se manifiesta y actúa la Iglesia de Cristo, una, santa, católica y apostólica (cf. CD 11). Gracias a esta conciencia, hoy la Iglesia tiene los ojos puestos en la Amazonía con una visión de conjunto, en donde descubre los grandes desafíos socio-políticos, económicos y eclesiales que amenazan a esta región, pero sin perder la esperanza en la presencia de Dios, alimentada por la creatividad y la perseverancia tenaz de sus habitantes.

En las últimas décadas, y con un gran impulso del Documento de Aparecida, la Iglesia de la Amazonía supo reconocer que, por causa de las inmensas extensiones territoriales, la gran diversidad de sus pueblos y los rápidos cambios en los escenarios socio-económicos, su pastoral tenía una presencia precaria. Era (y sigue siendo) necesario una mayor presencia, es decir, intentar responder a todo aquello que es específico en esta región desde los valores del Evangelio, reconociendo, entre otros elementos, la inmensa extensión geográfica, muchas veces de difícil acceso, la gran diversidad cultural, y la fuerte influencia de intereses nacionales e internacionales en busca de un enriquecimiento económico fácil por los recursos que tiene esta región. Una misión encarnada implica un repensar la presencia escasa de la Iglesia con relación a la inmensidad del territorio y su diversidad cultural.

La Iglesia con rostro amazónico debe «buscar un modelo de desarrollo alternativo, integral y solidario, basado en una ética que incluya la responsabilidad por una auténtica ecología natural y humana, que se fundamenta en el evangelio de la justicia, la solidaridad y el destino universal de los bienes, y que supere la lógica utilitarista e individualista, que no somete a criterios éticos los poderes económicos y tecnológicos» (DAp 474, c). Por tanto, es preciso alentar a que todo el Pueblo de Dios, partícipe de la misión de Cristo, Sacerdote, Profeta y Rey (cf. LG 9), a que no permanezca indiferente a las injusticias de la región para poder descubrir, en la escucha del Espíritu, los deseados nuevos caminos.

Estos nuevos caminos para la pastoral de la Amazonía exigen «relanzar la obra de la Iglesia» (DAp 11) en el territorio y profundizar el «proceso de inculturación» (EG 126) que exige que la Iglesia en la Amazonía haga propuestas «valientes», que supone tener «osadía» y «no tener miedo», como nos pide el Papa Francisco. El perfil profético de la Iglesia, hoy, se muestra a través de su perfil ministerial participativo, capaz de hacer de los pueblos indígenas y comunidades amazónicas los «principales interlocutores» (LS 146) en todos los asuntos pastorales y socio-ambientales en el territorio.

Para modificar la presencia precaria y transformarla en una presencia más amplia y encarnada, se necesita establecer una jerarquía de las urgencias de la Amazonía. El documento de Aparecida menciona la necesidad de una «coherencia eucarística» (DAp 436) para la región amazónica, es decir, que exista no sólo la posibilidad de que todos los bautizados puedan participar de la Misa dominical, sino también que vayan creciendo cielos nuevos y tierra nueva como anticipación del Reino de Dios en la Amazonía.

En este sentido el Vaticano II nos recuerda que todo el Pueblo de Dios participa del sacerdocio de Cristo, aunque distinguiendo sacerdocio común y sacerdocio ministerial (cf. LG 10). De allí que urge evaluar y repensar los ministerios que hoy son necesarios para responder a los objetivos de «una Iglesia con rostro Amazónico y una Iglesia con rostro indígena» (Fr. PM). Una prioridad es precisar los contenidos, métodos y actitudes para una pastoral inculturada, capaz de responder a los grandes desafíos en el territorio. Otra es proponer nuevos ministerios y servicios para los diferentes agentes de pastoral que respondan a las tareas y responsabilidades de la comunidad. En ésta línea, es preciso identificar el tipo de ministerio oficial que puede ser conferido a la mujer, tomando en cuenta el papel central que hoy desempeñan las mujeres en la Iglesia amazónica. También es necesario promover el clero indígena y nacido en el territorio, afirmando su propia identidad cultural y sus valores. Finalmente, es necesario repensar nuevos caminos para que el Pueblo de Dios tenga mejor y frecuente acceso a la Eucaristía, centro de la vida cristiana (cf. DAp 251).

15. Nuevos caminos
En el proceso de pensar una Iglesia con rostro amazónico soñamos con los pies puestos en la tierra de nuestros orígenes, y con los ojos abiertos pensamos cómo será esa Iglesia a partir de la vivencia de la diversidad cultural de los pueblos. Los nuevos caminos tendrán una incidencia en los ministerios, la liturgia y la teología (teología india).[4]

La Iglesia llegó a los pueblos, movida por el mandato de Jesús y por la fidelidad a su Evangelio. Hoy, necesita descubrir «con gozo y respeto las semillas de la Palabra» (AG 11) en la región.

Todo el Pueblo de Dios, con sus Obispos y sacerdotes, religiosos y religiosas, misioneros y misioneras religiosos y laicos, está llamado a entrar con un corazón abierto en este nuevo camino eclesial. Todos están llamados a convivir con las comunidades, y comprometerse con la defensa de sus vidas, amarlos y amar sus culturas. Los misioneros autóctonos y los que vienen de fuera, deben cultivar la espiritualidad de contemplación y de gratuidad, sentir con el corazón y ver con los ojos de Dios a los pueblos amazónicos e indígenas.

La espiritualidad práctica, con los pies en la tierra, ofrece la posibilidad de encontrar la alegría y el gusto de convivir con los pueblos amazónicos, y así poder valorar sus riquezas culturales en las que Dios sembró la semilla de la Buena Nueva. Debemos ser capaces también de percibir las cosas que están presentes en las culturas, y que por ser históricas, necesitan de purificación, trabajar por la conversión individual y comunitaria, cultivando el diálogo en los distintos niveles. La espiritualidad profética y del martirio nos hace más comprometidos con la vida de los pueblos y sus historias pasadas, con el presente, y mirando hacia adelante para construir una nueva historia.

Estamos llamados como Iglesia a fortalecer el protagonismo de los propios pueblos: precisamos una espiritualidad intercultural que nos ayude a interactuar con la diversidad de los pueblos y sus tradiciones. Debemos sumar fuerzas para cuidar juntos de nuestra Casa Común.

Se requiere una espiritualidad de comunión entre los misioneros autóctonos y los que vienen de fuera, para aprender juntos a acompañar a las personas, escuchando sus historias, participando de sus proyectos de vida, compartiendo su espiritualidad y asumiendo sus luchas. Una espiritualidad con el estilo de Jesús: simple, humano, dialogante, samaritano, que permita celebrar la vida, la liturgia, la Eucaristía, las fiestas, siempre respetando los ritmos propios de cada pueblo.

Animar una Iglesia con rostro amazónico implica, para los misioneros, la capacidad de descubrir las semillas y frutos del Verbo ya presentes en la cosmovisión de sus pueblos. Para esto, es necesario una presencia estable, de conocimiento de la lengua autóctona, de su cultura y de su experiencia espiritual. Solo así la Iglesia hará presente la vida de Cristo en estos pueblos.

Para finalizar, y recordando las palabras del Papa Francisco, quisiéramos «pedir, por favor, a todos los que ocupan puestos de responsabilidad en el ámbito económico, político o social, a todos los hombres y mujeres de buena voluntad: [que] seamos “custodios” de la creación, del designio de Dios inscrito en la naturaleza, guardianes del otro, del medio ambiente; no dejemos que los signos de destrucción y de muerte acompañen el camino de este mundo nuestro» (Homilía en la Misa del inicio del ministerio petrino, 19.03.2013).

Además, también quisiéramos pedir a los pueblos de la Amazonía, que «ayuden a sus Obispos, ayuden a sus misioneros y misioneras, para que se hagan uno con ustedes, y de esa manera dialogando entre todos, puedan plasmar una Iglesia con rostro amazónico y una Iglesia con rostro indígena. Con este espíritu convoqué el Sínodo para la Amazonia en el año 2019» (Fr. PM).

CUESTIONARIO

La finalidad del cuestionario es escuchar a la Iglesia de Dios sobre los «nuevos caminos para la Iglesia y para una ecología integral» en la Amazonía. El Espíritu habla a través de todo el Pueblo de Dios. Escuchándolo se pueden conocer los desafíos, las esperanzas, las propuestas y reconocer los nuevos caminos que Dios pide a la Iglesia en este territorio. Este cuestionario está destinado a los pastores para que ellos lo respondan consultando al Pueblo de Dios. Para ello son animados a buscar los medios más adecuados según las propias realidades locales. El cuestionario está estructurado en tres partes que corresponden a las diferentes secciones del Documento Preparatorio: ver, discernir-juzgar, actuar.

I PARTE

1. ¿Cuáles son los problemas más importantes en su comunidad: las amenazas y dificultades a la vida, al territorio y a la cultura?
2. A la luz de la Laudato si’, ¿cómo se configura la bio-diversidad y la socio-diversidad en su territorio?
3. ¿Cómo inciden o no inciden estas diversidades en su trabajo pastoral?
4. A la luz de los valores del Evangelio, ¿qué tipo de sociedad debemos promover e de qué medios podemos disponer para ello, teniendo en cuenta lo rural y lo             urbano y sus diferencias socio culturales?
5. Dada la enorme riqueza de su identidad cultural, ¿cuáles son los aportes, aspiraciones e desafíos de los pueblos amazónicos en relación a la Iglesia y al mundo?
6. ¿De qué manera estos aportes pueden ser incorporados en una Iglesia con rostro amazónico?
7. ¿Cómo debe acompañar la Iglesia los procesos de organización de los propios pueblos con respecto a su identidad, defensa de sus territorios y derechos en una         pastoral integral?
8. ¿Cuáles serían las respuestas de la Iglesia a los desafíos de la pastoral urbana en territorio amazónico?
9. Si existen en su territorio PIAV ¿cuál debería ser el actuar de la Iglesia para defender la vida y los derechos de los mismos?

II PARTE

1. ¿Qué esperanzas ofrece la presencia de la Iglesia a las comunidades amazónicas para la vida, el territorio y la cultura?
2. ¿Cómo promover una ecología integral, es decir, ambiental, económica, social, cultural y de la vida cuotidiana (cf. LS 137-162) en la Amazonía?
3. En el contexto de su Iglesia local, ¿de qué manera es Jesús Buena Noticia en la vida en la familia, la comunidad y la sociedad amazónicas?
4. ¿Cómo puede la comunidad cristiana responder ante las situaciones de injusticia, pobreza, desigualdad, violencias (droga, trata de personas, violencia hacia la mujer,     explotación sexual, discriminación de los pueblos indígenas y migrantes entre otras) y de exclusión en Amazonía?
5. ¿Cuáles son los elementos propios de las identidades culturales que pueden facilitar el anuncio del Evangelio en la novedad del misterio de Jesús?
6. ¿Qué caminos se pueden seguir para inculturar nuestra practica sacramental en la experiencia vivencial de los pueblos indígenas?
7. ¿Cómo participa la comunidad de creyentes, que es «misionera por su propia naturaleza», y a su modo específico, en el magisterio concreto y cotidiano de la Iglesia     en la Amazonía?

III PARTE

1. ¿Qué Iglesia soñamos para la Amazonía?
2. ¿Cómo imagina una Iglesia en salida y con rostro amazónico e que características debería tener?
3. ¿Hay espacios de expresión autóctona y de participación activa en la práctica litúrgica de sus comunidades?
4. Uno de los grandes desafíos en la Amazonía es la imposibilidad de celebrar la Eucaristía con frecuencia y en todos los lugares ¿Cómo responder a ello?
5. ¿Cómo reconocer y valorar el papel de los laicos en los distintos ámbitos pastorales (catequesis, liturgia y caridad)?
6. ¿Qué papel deben tener los laicos en los distintos ámbitos socio ambientales en el territorio?
7. ¿Qué debe caracterizar el anuncio y la denuncia proféticos en la Amazonía?
8. ¿Qué características deben tener las personas que lleven el anuncio de la Buena Noticia en la Amazonía?
9. ¿Cuáles son los servicios y los ministerios con rostro amazónico en su jurisdicción eclesiástica, y qué características tienen?
10. ¿Cuáles son los servicios y los ministerios con rostro amazónico que usted considera se deberían crear y promover?
11. ¿De qué manera la vida consagrada puede contribuir con sus carismas en la construcción de una Iglesia con rostro amazónico?
12. El papel de las mujeres en nuestras comunidades es de suma importancia, ¿cómo reconocerlo y valorizarlo en el horizonte de los nuevos caminos?
13. ¿Cómo se integra y cómo puede contribuir la religiosidad popular, y en particular la devoción mariana, para los nuevos caminos de la Iglesia en la Amazonía?
14. ¿Cuál podría ser la contribución de los medios de comunicación para ayudar a la edificación de una Iglesia con rostro amazónico?

 

* * *

SIGLAS Y ABREVIACIONES

AG: Concilio Ecuménico Vaticano II, Decreto Ad Gentes, sobre la Actividad Misionera de la Iglesia (7.12.1965).
CCC: Catecismo de la Iglesia Católica (11.10.1992).
CIC: Código de Derecho Canónico (25.01.1983).
CD: Concilio Ecuménico Vaticano II, Decreto Christus Dominus sobre el ministerio pastoral de los Obispos (28.10.1965).
DAp: Documento de Aparecida. Texto conclusivo de la V Conferencia General del Episcopado Latino-Americano y del Caribe (2007).
DP: Documento de Puebla. III Conferencia General del Episcopado Latino-Americano (1979).
DSD:Documento de Santo Domingo. IV Conferencia General del Episcopado Latino-Americano (1992).
DV: Concilio Ecuménico Vaticano II, Constitución Dogmática Dei Verbum sobre la Revelación Divina (18.11.1965).
EG :Francisco, Exhortación Apostólica Evangelii Gaudium, (24.11.2013).
EN: Pablo VI, Exhortación Apostólica Evangelii Nuntiandi, (8.12.1975).
Fr. PM: Francisco, Discurso en Puerto Maldonado (Perú), Encuentro con los pueblos de la Amazonía (19.01.2018).
Fr. EP: Francisco, Saludo en el Encuentro con la Población de Puerto Maldonado (19.01.2018).
Fr. FPI:Francisco, Discurso a los participantes en el III Foro de los Pueblos Indígenas (15.02.2017).
GS:Concilio Ecuménico Vaticano II, Constitución pastoral sobre la Iglesia en el mundo contemporáneo Gaudium et Spes (07.12.1965).
LG: Concilio Ecuménico Vaticano II, Constitución Dogmática Lumen Gentium sobre la Iglesia (21.11.1964).
LS: Francisco, Carta Encíclica sobre el cuidado de la Casa Común, Laudato si’, (24.05.2015).
NMI:Juan Pablo II, Carta Apostólica Novo Millennio Ineunte (06.01.2001).
PIAV: Pueblos Indígenas en Aislamiento Voluntario.
PO: Concilio Ecuménico Vaticano II, Decreto Presbyterorum Ordinis, sobre el Ministerio y la Vida de los Presbíteros (7.12.1965).
PP: Pablo VI, Carta Encíclica Populorum Progressio sobre la necesidad de promover el desarrollo de los pueblos (26.03.1967).
REPAM:Informe ejecutivo del Encuentro Fundacional de la Red Eclesial Panamazónica (12.09.2014, Brasilia CNBB).
SC: Concilio Ecuménico Vaticano II, Constitución sobre la Sagrada Liturgia Sacrosanctum Concilium (04.12.1963).
UR: Concilio Ecuménico Vaticano II, Decreto Unitatis redintegratio sobre el ecumenismo (21.11.1964).

________________________

1 En este documento se usan los términos “indígenas”, “aborígenes” y “pueblos originarios” en forma indistinta.
2 Se entiende por Panamazonía todos los territorios que van más allá de la cuenca de los ríos.
3 Fuente: Red Eclesial Panamazónica, Memorias del Encuentro “Iglesia con rostro amazónico e indígena” (Quito, Ecuador, 28-30.11.2017).
4 Cf. CELAM, VI Simposio de Teología India (Asunción, Paraguay, 18-23.09.2017).

[00914-ES.01] [Texto original: Español]

Testo in lingua portoghese

AMAZÔNIA: NOVOS CAMINHOS
PARA A IGREJA
E PARA UMA ECOLOGIA INTEGRAL

Documento Preparatório

Preâmbulo
De acordo com o anúncio do Papa Francisco, no dia 15 de outubro de 2017, a Assembleia Especial do Sínodo dos Bispos para refletir sobre o tema: Novos caminhos para a Igreja e para uma ecologia integral se realizará em outubro de 2019. Esses novos caminhos de evangelização devem ser elaborados para e com o povo de Deus que habita nessa região: habitantes de comunidades e zonas rurais, de cidades e grandes metrópoles, ribeirinhos, migrantes e deslocados e, especialmente, para e com os povos indígenas.1

Na selva amazônica, que é de vital importância para o planeta Terra, desencadeou-se uma profunda crise, devido uma prolongada intervenção humana na qual predomina a «cultura do descarte» (LS 16) e a mentalidade extrativista. A Amazônia, uma região com rica biodiversidade, é multiétnica, pluricultural e plurirreligiosa, um espelho de toda a humanidade que, em defesa da vida, exige mudanças estruturais e pessoais de todos os seres humanos, dos Estados e da Igreja.

As reflexões do Sínodo Especial superam o âmbito estritamente eclesial amazônico, por serem relevantes para a Igreja universal e para o futuro de todo o planeta. Partimos de um território específico, do qual se quer fazer uma ponte para outros biomas essenciais do nosso mundo: Bacia Fluvial do Congo, corredor biológico mesoamericano, florestas tropicais da Ásia Pacífica e Aquífero Guarani, entre outros.

Também para a Igreja universal é de vital importância escutar os povos indígenas e todas as comunidades que vivem na Amazônia, como os primeiros interlocutores deste Sínodo. Por causa disso, precisamos de convivência mais próxima. Queremos saber como imaginam um “futuro tranquilo” e o “bem viver” para as futuras gerações. Como podemos colaborar na construção de um mundo capaz de romper com as estruturas que sacrificam a vida e com as mentalidades de colonização para construir redes de solidariedade e interculturalidade? Sobretudo queremos saber: Qual é a missão específica da Igreja, hoje, diante desta realidade?

Este Documento Preparatório está dividido em três partes correspondentes ao método “ver, julgar (discernir) e agir”. Ao final do texto, encontram-se perguntas que permitem o diálogo e a progressiva aproximação à realidade e à expectativa regional de uma «cultura do encontro» (EG 220). Os novos caminhos para a evangelização e para modelar uma Igreja com rosto amazônico passam pelas veredas dessa «cultura do encontro» na vida cotidiana, «em uma harmonia pluriforme» (EG 220) e «sobriedade feliz» (LS 224-225), como contribuições para a construção do Reino.

I. VER.
IDENTIDADE E CLAMORES DA PAN-AMAZÔNIA2

1. O território

A bacia amazônica representa para nosso planeta uma das maiores reservas de biodiversidade (30 a 50% da flora e fauna do mundo), de água doce (20% da água doce não congelada de todo o planeta), e possui mais de um terço das florestas primárias do planeta. Também a captação do carbono pela Amazônia é significativa, embora os oceanos sejam os maiores captadores de carbono. São mais de sete milhões e meio de quilômetros quadrados, com nove países que fazem parte deste grande bioma que é a Amazônia (Brasil, Bolívia, Colômbia, Equador, Guiana, Peru, Suriname, Venezuela, incluindo a Guiana Francesa como território ultramar).

A denominada “Ilha Guiana”, delimitada pelos rios Orinoco e Negro, pelo Amazonas e pelas costas Atlânticas da América do Sul, entre as desembocaduras do Orinoco e do Amazonas, faz também parte deste território. Outros espaços compõem igualmente o território porque se encontram, por causa de sua proximidade, sob a influência climática e geográfica da Amazônia.

Sem dúvida, esses dados não representam uma região homogênea. Observamos que a Amazônia abriga muitos tipos de “Amazônia”. Nesse contexto, é a água, através de suas cachoeiras, rios e lagos, que representa o elemento articulador e integrador, tendo como eixo principal o Amazonas, o rio mãe e pai de todos. Num território tão diverso, pode-se imaginar que os diferentes grupos humanos que o habitam precisavam adaptar-se às distintas realidades geográficas, ecossistêmicas e políticas.

Durante muitos séculos, o trabalho da Igreja Católica na Amazônia procurou dar respostas a esses diferentes contextos humanos e ambientais.

2. Diversidade sociocultural

Dadas as proporções geográficas, a Amazônia é uma região na qual vivem e convivem povos e culturas diversas, e com modos de vida diferentes.

A ocupação demográfica da Amazônia antecede o processo colonizador por milênios. Por uma questão de sobrevivência que incluía as atividades de caça, pesca e o cultivo na várzea, até a colonização, o predomínio demográfico na Amazônia concentrava-se às margens dos grandes rios e lagos. Com a colonização, e com a escravidão indígena, muitos povos abandonaram esses sítios e se refugiaram no interior da selva. Desta maneira, teve início durante a primeira fase da colonização um processo de substituição populacional, com uma nova concentração demográfica às margens dos rios e lagos.

Além das circunstâncias históricas, os povos das águas, neste caso, da Amazônia, sempre tiveram em comum a relação de interdependência com os recursos hídricos. Por isso, os camponeses da Amazônia e suas famílias utilizam as várzeas, em sintonia com o movimento cíclico de seus rios – inundação, refluxo e período de seca –, numa relação de respeito por entenderem que “a vida dirige o rio” e “o rio dirige a vida”. Ademais, os povos da selva, recolhedores e caçadores por excelência, sobrevivem com aquilo que a terra e a floresta lhes oferecem. Esses povos vigiam os rios e cuidam da terra, da mesma maneira que a terra cuida deles. São os protetores da selva e de seus recursos.

Sem embargo, hoje, a riqueza da selva e dos rios da Amazônia está ameaçada pelos grandes interesses econômicos que se alastram sobre diferentes regiões do território. Tais interesses provocam, entre outras coisas, a intensificação do desmatamento indiscriminado na selva, a contaminação dos rios, lagos e afluentes (por causa do uso indiscriminado de agrotóxicos, derrame de petróleo, mineração legal e ilegal, e dos derivados da produção de drogas). A tudo isso, soma-se o narcotráfico, pondo em risco a sobrevivência dos povos que, nesses territórios, dependem de recursos animais e vegetais.

Por outro lado, as cidades da Amazônia cresceram muito rapidamente, e integraram muitos migrantes, forçosamente deslocados de suas terras, empurrados até as periferias dos grandes centros urbanos que avançam selva adentro. Em sua maioria são povos indígenas, ribeirinhos e afrodescendentes expulsos pela mineração ilegal e legal ou pela indústria de extração petroleira; são encurralados pela expansão da exploração da madeira e representam os mais flagelados pelos conflitos agrários e socioambientais. As cidades também se caracterizam pelas desigualdades sociais. A pobreza produzida ao largo da história gerou relações de subordinação, de violência política e institucional, aumento do consumo de álcool e drogas – tanto nas cidades como nas comunidades –, e representa uma ferida profunda nos corpos dos povos amazônicos.

Os movimentos migratórios mais recentes na região amazônica estão caracterizados sobretudo pela mobilização de indígenas de seus territórios originários para as cidades. Atualmente, entre 70% e 80% da população da Pan-Amazônia vive nas cidades. Muitos indígenas estão sem documentos ou irregulares; são refugiados, ribeirinhos, ou pertencem a outros grupos de pessoas vulneráveis. Em consequência desse fluxo migratório, cresce em toda a Amazônia uma atitude de xenofobia e de criminalização dos migrantes e deslocados. Tudo isso dá lugar à exploração dos povos da Amazônia, vítimas de mudança de valores decorrentes da economia mundial, na qual prevalece o valor lucrativo sobre a dignidade humana. Um exemplo disso é o crescimento dramático do tráfico de pessoas, especialmente o de mulheres, para fins de exploração sexual e comercial. Elas perdem seu protagonismo nos processos de transformação social, econômica, cultural, ecológica, religiosa e política em suas comunidades.

Em resumo, o crescimento desmedido das atividades agropecuárias, extrativistas e madeireiras da Amazônia, não só danificou a riqueza ecológica da região, de suas florestas e de suas águas, mas também empobreceu sua riqueza social e cultural, forçando um desenvolvimento urbano não “integral” nem “inclusivo” da bacia Amazônica. Como resposta a essa situação, nota-se um crescimento das capacidades de organização e um avanço da sociedade civil, com atenção particular às problemáticas ambientais. No campo das relações sociais, apesar de limitações, a Igreja Católica desenvolveu em geral um trabalho significativo, fortalecendo seus próprios caminhos a partir de sua presença encarnada e de sua criatividade pastoral e social.

3. Identidade dos povos indígenas
Nos nove países que compõem a Pan-Amazônia, registra-se uma presença aproximada de três milhões indígenas, constituída por cerca de 390 povos e nacionalidades diferentes. Vivem nesse território também, segundo dados de instituições especializadas da Igreja (por exemplo, o Conselho Indigenista Missionário do Brasil/CIMI) e outras, entre 110 e 130 “povos livres”, ou “Povos Indígenas em Situação de Isolamento Voluntário”. Além disso, nos últimos tempos, surge uma nova situação, constituída pelos indígenas que vivem no tecido urbano; alguns reconhecidos como tais, e outros, que desaparecem nesse contexto e, por isso, são chamados “invisíveis”. Cada um desses povos representa uma identidade cultural particular, uma riqueza histórica específica e um modo próprio de ver o mundo, e de relacionar-se com este, a partir de sua cosmovisão e territorialidade específica.

Além das ameaças que emergem do interior de suas próprias culturas, os povos indígenas viveram desde os primeiros contatos com os colonizadores fortes ameaças externas (cf. LS 143, DAp 90). Para enfrentá-las, os povos indígenas e comunidades amazônicas se organizaram e se organizam, lutam em defesa de suas vidas e culturas, seus territórios e direitos, da vida do universo e de toda a criação. Os mais vulneráveis são, sem dúvida, os “Povos Indígenas em Situação de Isolamento Voluntário”, que não têm instrumentos de diálogo e negociação com os atores externos que invadem seus territórios.

Alguns “não indígenas” têm dificuldade de compreender a alteridade indígena e, muitas vezes, não respeitam a diferença do outro. Diz o Documento de Aparecida sobre a falta de respeito aos indígenas e afro-americanos: «A sociedade tende a menosprezá-los, desconhecendo o porquê de suas diferenças. Sua situação social está marcada pela exclusão e a pobreza » (DAp 89). No entanto, segundo a afirmação do Papa Francisco em Puerto Maldonado: «A sua visão do mundo, a sua sabedoria, têm muito para ensinar a nós que não pertencemos à sua cultura. Todos os esforços que fizermos para melhorar a vida dos povos amazônicos serão sempre poucos» (Fr.PM).

Nos últimos anos, os povos indígenas começaram a escrever sua própria história e a descrever de maneira mais formal suas próprias culturas, costumes, tradições e saberes. Escreveram sobre o ensino que receberam da parte de seus antepassados, pais e avós, que são memórias pessoais e coletivas. Hoje, o ser indígena não se deduz somente da pertença étnica. Esse ser se refere também à capacidade de manter a identidade sem se isolar das sociedades que o rodeiam e com as quais interage.

Face a esse processo de interação, surgem organizações indígenas que buscam o fortalecimento da história de seus povos, para orientar a luta pela autonomia e autodeterminação: «é justo reconhecer a existência de esperançosas iniciativas que surgem das vossas próprias bases e organizações, procurando fazer com que os próprios povos originários e as comunidades sejam os guardiões das florestas e que os recursos produzidos pela sua conservação revertam em benefício das vossas famílias, na melhoria das vossas condições de vida, da saúde e da instrução das vossas comunidades» (Fr. PM). Por conseguinte, nenhuma iniciativa pode ignorar que a relação de pertença e participação que os habitantes amazônicos estabelecem com a criação faz parte de sua identidade e contrasta com uma visão mercantilista dos bens da criação (cf. LS 38).

Em muitos desses contextos, a Igreja Católica está presente através de missionários e missionárias comprometidos com as causas dos povos indígenas e amazônicos.

4. Memória histórica eclesial
O início da memória histórica da presença da Igreja na Amazônia situa-se no cenário da ocupação colonial da Espanha e de Portugal. A incorporação do imenso território amazônico na sociedade colonial, com sua posterior apropriação por parte dos Estados nacionais, transcorreu num longo processo, de mais de quatro séculos. Até o início do século XX, as vozes em defesa dos povos indígenas eram frágeis, embora não ausentes (cf. Pio X, Carta Encíclica Lacrimabili Statu 7.6.1912). Com o Concílio Vaticano II, essas vozes se fortaleceram. Para estimular “o processo de mudança através dos valores evangélicos”, a II Conferência do Episcopado Latino-Americano, realizada em Medellín (1968), em sua Mensagem aos Povos da América Latina, lembrou que «apesar de suas limitações », a Igreja «viveu com nossos povos o problema da colonização, libertação e organização». E a III Conferência do Episcopado Latino-Americano, realizada em Puebla (1979), nos lembrou que a ocupação e colonização do território de Ameríndia foi «um agigantado processo de dominações», cheio de «contradições e dilacerações» (DP 6). E, mais tarde, a IV Conferência de Santo Domingo (1992) nos advertiu sobre «um dos episódios mais tristes da história latino-americana e caribenha», que «foi o translado forçado, como escravos, de um enorme número de africanos». São João Paulo II chamou este deslocamento de um «holocausto desconhecido do qual participaram batizados que não viveram a sua fé» (DSD 20; cf. João Paulo II, Discurso à comunidade católica da Ilha de Gorée, Senegal, 22.02.1992, n.3; Mensagem aos Afro-americanos, Santo Domingo, 13.10.1992, n.2). Por essa «ofensa escandalosa para a história da humanidade» (DSD 20), o Papa e os delegados em Santo Domingo pediram perdão.

Lamentavelmente, ainda hoje existem restos do projeto colonizador que criou manifestações de inferiorização e demonização das culturas indígenas. Tais resquícios debilitam as estruturas sociais indígenas e permitem o desprezo de seus saberes intelectuais e de seus meios de expressão. O que assusta é que até hoje, 500 anos depois da conquista e depois de mais ou menos 400 anos de missão e evangelização organizada, e depois de 200 anos da independência dos países que configuram a Pan-Amazônia, processos semelhantes continuam-se alastrando sobre o território e seus habitantes, hoje vítimas de um novo colonialismo feroz com máscara de progresso. Com razão, o Papa Francisco afirmou em Puerto Maldonado: «Provavelmente, nunca os povos originários amazônicos estiveram tão ameaçados nos seus territórios com o estão agora». Hoje, por causa da ofensa escandalosa desses novos colonialismos, «a Amazônia é uma terra disputada em várias frentes» (Fr.PM).

Em sua história missionária, a Amazônia tem sido lugar de testemunho concreto de estar na cruz, inclusive, muitas vezes, lugar de martírio. A Igreja também aprendeu que, nesse território, habitado por mais de dez mil anos por uma grande diversidade de povos, suas culturas se construíram em harmonia com o meio ambiente. As culturas pré-colombianas ofereceram ao cristianismo ibérico que acompanhava os conquistadores múltiplas pontes e conexões possíveis «como a abertura à ação de Deus, o sentido da gratidão pelos frutos da terra, o caráter sagrado da vida humana e a valorização da família, o sentido de solidariedade e a corresponsabilidade no trabalho comum, a importância do culto, a crença em uma vida ultraterrena e tantos outros valores» (DSD 17).

5. Justiça e direitos dos povos
Em sua visita a Puerto Maldonado, o Papa Francisco pediu que se transforme o paradigma histórico em que os Estados veem a Amazônia como despensa de recursos naturais, “sem ter em conta os seus habitantes” (Fr.PM) e sem se preocupar com a destruição da natureza. As relações harmoniosas entre o Deus Criador, os seres humanos e a natureza estão quebradas por causa dos efeitos nocivos do neoextrativismo e por pressão dos grandes interesses econômicos que exploram o petróleo, o gás, a madeira, o ouro, e pela construção de obras de infraestrutura (por exemplo: megaprojetos hidrelétricos, eixos viários, como rodoviárias interoceânicas) e pelas monoculturas agroindustriais (cf. Fr.PM).

A cultura dominante de consumo e de descarte converte o planeta num lixão. O Papa denuncia esse modelo de desenvolvimento anônimo, asfixiante, sem mãe, com sua obsessão pelo consumo e seus ídolos de dinheiro e poder. Impõem-se novos colonialismos ideológicos disfarçados pelo mito do progresso que destroem as identidades culturais próprias. Francisco apela à defesa das culturas e à apropriação de sua herança, que é portadora da sabedoria ancestral. Essa herança propõe uma relação harmoniosa entre a natureza e o Criador e expressa com clareza que «a defesa da terra não tem outra finalidade senão a defesa da vida» (Fr.PM). A terra deve conservar-se terra santa: «Esta não é uma terra órfã! Tem Mãe!» (Fr.EP).

Por outra parte, a ameaça contra os territórios amazônicos «também vem da perversão de certas políticas que promovem a `conservação´ da natureza sem ter em conta o ser humano, nomeadamente vós, irmãos amazônicos que a habitais» (Fr.PM). A orientação do Papa Francisco é cristalina: «Acho que o problema essencial é como reconciliar o direito ao desenvolvimento, inclusive o social e cultural, com a proteção das características próprias dos indígenas e dos seus territórios. [...] Nesse sentido, deveria prevalecer sempre o direito ao consenso prévio e informado» (Fr.FPI).

Paralelamente, os povos indígenas, campesinos e outros setores populares em nível regional na Amazônia e em nível nacional em cada país, organizaram processos políticos em torno de agendas baseadas em seus direitos humanos. A situação do direito ao território dos povos indígenas na Pan-Amazônia gira em torno de um problema constante, que é a falta de regularização de terras e do reconhecimento de sua propriedade ancestral e coletiva. Em consequência disso, não existe no território em questão uma interpretação integralmente articulada com a dimensão da cultura e cosmovisão de cada povo ou comunidade indígena.

Proteger os povos indígenas e seus territórios é uma exigência ética fundamental e um compromisso básico dos direitos humanos. Para a Igreja, esse compromisso é um imperativo moral coerente com o enfoque da “ecologia integral” de Laudato si’ (cf. LS, cap. IV).

6. Espiritualidade e sabedoria
Para os povos indígenas da Amazônia, o bem viver existe quando estão em comunhão com as outras pessoas, com o mundo, com os seres de seu entorno e com o Criador. Os povos indígenas, realmente, vivem no interior da casa que Deus mesmo criou e lhes deu como presente: a Terra. Suas diversas espiritualidades e crenças os motivam a viver uma comunhão com a terra, a água, as árvores, os animais, com o dia e a noite. Os anciãos sábios, segundo as diferentes culturas chamados pajé, curandeiro, mestre, wayanga ou xamã – entre outros – promovem a harmonia das pessoas entre si e com o cosmo. Todos eles são «memória viva da missão que Deus nos confiou a todos: cuidar da Casa Comum» (Fr.PM).

Os indígenas amazônicos cristãos entendem a proposta do bem viver como vida plena no horizonte da colaboração na criação do Reino de Deus. Esse bem viver será alcançado somente quando se realizar o projeto comunitário em defesa da vida, do mundo e de todos os seres vivos.

«Mas somos chamados a tornar-nos os instrumentos de Deus Pai para que o nosso planeta seja o que Ele sonhou ao criá-lo e corresponda ao seu projeto de paz, beleza e plenitude» (LS 53). Esse sonho começa a ser construído dentro da família, que é a primeira comunidade da nossa existência: «A família é e sempre foi a instituição social que mais contribuiu para manter vivas as nossas culturas. Em períodos de crises passadas, face aos diferentes imperialismos, a família dos povos indígenas foi a melhor defesa da vida» (Fr.PM).

No entanto, é necessário reconhecer que na região amazônica existe uma grande diversidade cultural e religiosa. Se por um lado, em sua maioria, promovem o bem viver como um projeto de harmonia entre Deus, os povos e a natureza, por outro lado existem também algumas seitas que, motivadas por interesses alheios ao território e a seus habitantes, nem sempre favorecem uma ecologia integral.

II. DISCERNIR.
PARA UMA CONVERSÃO PASTORAL E ECOLÓGICA

7. Anunciar o Evangelho de Jesus na Amazônia: dimensão bíblico-teológica
Hoje, a realidade específica da Amazônia e de sua sorte interpela cada pessoa de boa vontade sobre a identidade do cosmo, sua harmonia vital e seu futuro. Os Bispos da América Latina e do Caribe reconhecem «a natureza como herança gratuita» e, «como profetas da vida» (ibid.) assumem seu compromisso de proteger a Casa Comum da criação (cf. DAp 471).

Os relatos bíblicos contêm algumas afirmações teológicas portadoras de valores universais. Sobre tudo, cada realidade criada existe para a vida e tudo que conduz à morte se opõe à vontade divina. Em segundo lugar, Deus estabelece uma relação de comunhão com o ser humano «criado segundo a sua imagem e semelhança» (Gn 1,26), e lhe confia a proteção da criação (cf. Gn 1,28;2,15): «Dar graças pelo dom da criação, reflexo da sabedoria e da beleza do Logos criador [...] que encomendou ao ser humano sua obra criadora para que a cultivasse e a guardasse´ (Gn 2,15)» (DAp 470). Finalmente, contra a harmonia da relação entre Deus, o ser humano e o cosmo, se põe a desarmonia da desobediência e do pecado (cf. Gn 3,1-7), que produz o medo (cf. Gn 3,8-10) e a rejeição do outro (cf. Gn 3,12), a maldição da terra (cf. Gn 3,17), a exclusão do Jardim (cf. Gn 3,23-24), até chegar à experiência do fratricídio (cf. Gn 4,1-16).

Ao mesmo tempo, os relatos bíblicos testemunham que na criação ferida está plantado o embrião da promessa e a semente da esperança, porque Deus não abandona a obra de suas mãos. Na história da salvação, Ele renova o propósito de “fazer uma aliança” entre o ser humano e a Terra, renovando através do dom da Torá a beleza da criação. Tudo isso culmina na pessoa e na missão de Jesus. Enquanto mostra compaixão pela humanidade e sua fragilidade (cf. Mt 9,35-36), Ele confirma a bondade de todas as coisas criadas (cf. Mc 7,14-15). Os milagres realizados sobre os enfermos e sobre a natureza revelam, ao mesmo tempo, a providência do Pai e a bondade da criação (cf. Mt 6,9-15.25-34).

O mundo criado nos convida a louvar a beleza e a harmonia das criaturas e do Criador (cf. LS 12). Como aponta o Catecismo da Igreja Católica: «Cada criatura possui sua bondade e sua perfeição próprias», e em seu próprio ser reflete «um raio da sabedoria e da bondade infinitas de Deus» (CCC n. 339). «O solo, a água […]: tudo é carícia de Deus» (LS 84), canto divino, cujas letras estão conformadas pela «multidão das criaturas presentes no universo», como se expressou São João Paulo II (Catequese, 30/1/2002). Quando qualquer uma dessas criaturas é extinta por causas humanas, já não pode mais cantar seu louvor ao Criador (cf. LS 33).

A providência do Pai e a bondade da criação alcançam seu ponto culminante no mistério da encarnação do Filho de Deus, que se aproxima e abraça todos os contextos humanos, mas sobretudo o dos mais pobres. O Concílio Vaticano II menciona esta proximidade contextual com palavras como adaptação e diálogo (cf. GS 4, 11; CD 11; UR 4; SC 37ss) e encarnação e solidariedade (cf. GS 32). Mais tarde, em particular na América Latina, essas palavras foram traduzidas como opção pelos pobres e libertação (Medellín 1968), participação e comunidades de base (Puebla 1979), inserção e inculturação (Santo Domingo 1992), missão e serviço de uma Igreja samaritana e advogada dos pobres (Aparecida 2007).

Com a morte e ressurreição de Jesus se ilumina o destino da criação inteira, impregnado do poder do Espírito Santo, já evocada na tradição sapiencial (cf. Sb 1,7). A Páscoa leva ao cumprimento o projeto de uma “criação nova” (cf. Ef 2,15; 4,24), revelando Cristo como Palavra criadora de Deus (cf. Jn 1,1-18) porque «tudo foi criado por ele e para ele» (Cl 1,16). «Segundo a compreensão cristã da realidade, o destino da criação inteira passa pelo mistério de Cristo, que nela está presente desde a origem» (LS 99).

A tensão entre o “já” e o “ainda não” envolve a família humana e o mundo inteiro: «De fato, toda a criação espera ansiosamente a revelação dos filhos de Deus; pois a criação foi sujeita ao que é vão e ilusório, não por seu querer, mas por dependência daquele que a sujeitou. Também a própria criação espera ser libertada da escravidão da corrupção, em vista da liberdade que é a glória dos filhos de Deus. Com efeito, sabemos que toda a criação, até o presente, está gemendo como que em dores de parto» (Rm 8,19-22). No mistério pascal de Cristo, a criação inteira se estende até um cumprimento final, quando «as criaturas deste mundo já não nos aparecem como uma realidade meramente natural, porque o Ressuscitado as envolve misteriosamente e guia para um destino de plenitude. As próprias flores do campo e as aves que Ele, admirado, contemplou com os seus olhos humanos agora estão cheias da sua presença luminosa» (LS 100).

8. Anunciar o Evangelho de Jesus na Amazônia: dimensão social
A missão evangelizadora tem sempre um «conteúdo inevitavelmente social» (EG 177). Crer em um Deus Trino nos convida sempre a ter presente «que somos criados à imagem desta comunhão divina, pelo que não podemos realizar-nos nem nos salvar sozinhos» (EG 178). De fato, «a partir do coração do Evangelho reconhecemos a conexão íntima que existe entre evangelização e promoção humana» (EG 178), entre a aceitação e a transmissão do amor divino. Destarte, se aceitamos o amor de Deus Pai Criador, que nos conferiu uma dignidade infinita, o amor de Deus Filho, que nos enobreceu com sua redenção, e o amor do Espírito Santo, que permeia e liberta todos os vínculos humanos, não podemos senão comunicar tal amor trinitário respeitando e promovendo a dignidade, a nobreza e a liberdade de cada ser humano em cada ação evangelizadora (cf. EG 178). Em outras palavras, a tarefa evangelizadora de receber e transmitir o amor de Deus começa com o desejo, a procura e o cuidado dos outros (cf. EG 178).

Portanto, evangelizar implica comprometer-se com nossos irmãos e irmãs, melhorar a vida comunitária, e assim «tornar o Reino de Deus presente no mundo» (EG 176), promovendo por e para todo o mundo (cf. Mc 16, 15) não «uma caridade por receita» (EG 180), senão um verdadeiro desenvolvimento humano integral, ou seja, para todas as pessoas e para a pessoa toda (cf. PP 14 e EG 181). Isso é o que se conhece como o «critério de universalidade» da tarefa evangelizadora, «dado que o Pai quer que todos os homens se salvem; e o seu plano de salvação consiste em `submeter tudo a Cristo, reunindo Nele o que há no céu e na terra´ (Ef 1,10).[…] Toda a criação significa também todos os aspectos da vida humana» (EG 181), todas as suas relações.

Já nas histórias bíblicas da criação consta que a existência humana se caracteriza por «três relações fundamentais intimamente ligadas: as relações com Deus, com o próximo e com a Terra. [...] Estas três relações vitais romperam-se não só exteriormente, mas também dentro de nós. Esta ruptura é o pecado» (LS 66). A redenção de Cristo, que venceu o pecado, oferece a possibilidade de harmonizar tais relações. A «missão do anúncio da Boa-Nova de Jesus Cristo», portanto, promove esperança não só no fim da história, senão no curso mesmo da história dos povos, numa história que valoriza e recompõe todas as relações de nossa existência (cf. EG 181). Com este ponto de partida, a tarefa evangelizadora nos convida a trabalhar contra as desigualdades sociais e a falta de solidariedade através da promoção da caridade e da justiça, da compaixão e do cuidado, entre nós, sim, mas também com os outros seres, animais e plantas, e com toda a criação. A Igreja é chamada a acompanhar e partilhar a dor do povo amazônico, e a colaborar para a cura de suas feridas, assim realizando sua identidade de Igreja samaritana, segundo a expressão do Episcopado Latino-Americano e do Caribe (cf. DAp 26).

Esta dimensão social – e até cósmica – da missão evangelizadora é particularmente relevante no território amazônico, onde a articulação entre vida humana, ecossistemas e vida espiritual foi e continua sendo evidente para a grande maioria de seus habitantes. A destruição, que é «um rastro de dilapidação, inclusive de morte por toda a região […] coloca em perigo milhões de pessoas, em especial do hábitat dos camponeses e indígenas» (DAp 473). Não cuidar da Casa Comum «é uma ofensa ao Criador, um atentado contra a biodiversidade e, definitivamente, contra a vida» (DAp 125).

Ao colocarmos cada verdade do Evangelho «em relação com a totalidade harmoniosa da mensagem cristã”, nos lembra o Papa Francisco, «não é preciso mutilar a integridade da mensagem do Evangelho» (EG 39). Sua integralidade harmoniosa, precisamente, «requer do evangelizador certas atitudes que ajudam a acolher o anúncio: proximidade, abertura ao diálogo, paciência, acolhida cordial» (EG 165), e, sobretudo, assumir e assimilar o fato de que «tudo está interligado» (LS 91, 117, 138, 240). Isso implica que o evangelizador deve promover projetos de vida pessoal, social e cultural que permitam nutrir a integralidade de nossas relações vitais com os outros, com a criação e com o Criador. Esse chamado necessita de forma conjunta a escuta atenta do clamor dos pobres e da Terra (cf. LS 49).

Hoje, o grito da Amazônia ao Criador é semelhante ao grito do Povo de Deus no Egito (cf. Ex 3,7). É um grito desde a escravidão e o abandono, que clama por liberdade e pela escuta de Deus. É um grito que pede a presença de Deus, especialmente quando os povos amazônicos, ao defenderem suas terras, se confrontam com a criminalização de seu protesto, tanto por parte das autoridades como pela opinião pública; ou quando são testemunhas da destruição da floresta tropical, que constitui seu hábitat milenar; ou quando as águas de seus rios se enchem com espécies de morte em lugar de vida.

9. Anunciar o Evangelho de Jesus na Amazônia: dimensão ecológica
«O Reino que se antecipa e cresce entre nós abrange tudo» (EG 181), e nos recorda de que «tudo está estreitamente interligado no mundo» (LS 16). Portanto, o «princípio de discernimento» de evangelização está vinculado a um processo integral de desenvolvimento humano (cf. EG 181). Esse processo está caracterizado, como o descreve Laudato si (cf. n. LS 137-142), por um paradigma relacional denominado ecologia integral, que articula os vínculos fundamentais que possibilitam um verdadeiro desenvolvimento.

O primeiro grau de articulação para um autêntico progresso é o vínculo intrínseco entre o campo social e o ambiental. O fato de nós seres humanos fazermos parte dos ecossistemas que facilitam as relações que dão vida a nosso planeta, o cuidado desses ecossistemas – nos quais tudo está interligado –, é fundamental para promover a dignidade de cada indivíduo e o bem comum da sociedade, tanto no progresso social quanto no cuidado ambiental.

Na Amazônia, a noção de ecologia integral é chave para responder ao desafio de cuidar da imensa riqueza de sua biodiversidade ambiental e cultural. Desde o ponto de vista ambiental, a Amazônia, além de ser «fonte de vida no coração da Igreja» (REPAM), é um pulmão do planeta e a região de maior biodiversidade do mundo (cf. LS 38). De fato, a bacia Amazônica possui a última floresta tropical que, apesar das intervenções que sofreu e está sofrendo, abrange a maior superfície florestal existente nos trópicos da nossa Terra. Reconhecer o território amazônico como bacia além das fronteiras dos países facilita a visão integral da região, o que é essencial para a promoção de seu desenvolvimento e de uma ecologia integral.

Do ponto de vista cultural, como foi descrito na primeira parte (Ver), a Amazônia é particularmente rica pelas ancestrais e contemporâneas cosmovisões de seus povos. Este patrimônio cultural, que faz «parte da identidade comum» da região, se encontra tão «ameaçado» quanto seu patrimônio ambiental (cf. LS 143). As ameaças têm sua origem – principalmente – numa «visão consumista do ser humano, incentivada pelos mecanismos da economia globalizada atual, [que] tende a homogeneizar as culturas e a debilitar a imensa variedade cultural, que é um tesouro da humanidade» (LS 144).

Portanto, o processo de evangelização da Igreja na Amazônia não pode ser separado da promoção do cuidado do seu território (natureza) e de seus povos (culturas). Por causa disso, esse processo necessita estabelecer pontes que podem articular os saberes ancestrais aos conhecimentos contemporâneos (cf. LS 143-146), particularmente àqueles que se referem ao manejo sustentável do território e ao desenvolvimento de acordo com os próprios sistemas de valores e culturas dos habitantes desse espaço. Estes devem ser reconhecidos como seus genuínos guardiões, e até como seus proprietários.

Mas a ecologia integral é mais que a mera articulação entre o social e o ambiental. Compreende a necessidade de se promover uma harmonia pessoal, social e ecológica, para a qual necessitamos de uma conversão pessoal, social e ecológica (cf. LS 210). Por conseguinte, a ecologia integral nos convida a uma conversão integral. «Isto exige [...] reconhecer os próprios erros, pecados, vícios [...] negligências» e omissões com as quais «ofendemos a criação de Deus», e «arrepender-se de coração» (LS 218). Quando tivermos consciência de como nosso estilo de vida e nossa maneira de produzir, comerciar, consumir e desejar afetam a vida do nosso ambiente e de nossas sociedades, só então poderemos iniciar uma transformação com horizonte integral.

Mudar o rumo ou converter-se integralmente não se esgota através de uma conversão individual. Uma mudança profunda do coração, que se expressa em mudanças de hábitos pessoais, é tão necessária quanto uma mudança estrutural que esteja embutida em hábitos sociais, em leis e em programas econômicos convencionados. Na hora de se promover essa transformação radical de que a Amazônia e o planeta necessitam, os processos de evangelização têm muito a contribuir, sobretudo pela profundidade com que o Espírito de Deus atinge a natureza e os corações das pessoas e dos povos.

10. Anunciar o Evangelho de Jesus na Amazônia: dimensão sacramental
Enquanto a Igreja reconhece a grande hipoteca e o poder do pecado, sobretudo na destruição social e ambiental, não se desanima em sua caminhada com o povo amazônico, e se compromete, apoiada na graça de Cristo, a superar a fonte do pecado. Um olhar contemplativo da Igreja e uma prática sacramental correspondente são chaves para a evangelização na Amazônia.

«O universo desenvolve-se em Deus, que o preenche completamente. E, portanto, há um mistério a contemplar numa vereda, no orvalho, no rosto do pobre» (LS 233). Quem sabe contemplar «o que há de bom nas coisas e experiências do mundo» (LS 234) descobre a íntima conexão de todas essas coisas e experiências com Deus. Através dela, a comunidade cristã, especialmente na Amazônia, está convidada a ver a realidade comum com olhar contemplativo, pelo qual se podem perceber a presença e a ação de Deus em toda criação e em toda história.

Além disso, já que «os sacramentos constituem um modo privilegiado em que a natureza é assumida por Deus e transformada em mediação da vida sobrenatural», suas celebrações são um convite permanente a «abraçar o mundo num plano diferente» (LS 235). Por exemplo, a celebração do Batismo nos convida a considerar a importância da “água” como fonte de vida e não só como instrumento ou recurso material. O Batismo responsabiliza a comunidade de fé pelo cuidado deste elemento como dom de Deus para todo o planeta. Ademais, dado que a água do Batismo purifica o batizado de todos os pecados, sua celebração permite à comunidade cristã assumir o valor da água e do rio como fonte de purificação, facilitando a inculturação dos ritos relacionados à água da sabedoria ancestral dos povos amazônicos.

A celebração da Eucaristia nos convida a redescobrir como «no apogeu do mistério da Encarnação, o Senhor quer chegar ao nosso íntimo através de um pedaço de matéria» (LS 236). A Eucaristia, por conseguinte, nos remete ao «centro vital do universo», ao foco «transbordante de amor e de vida sem fim», ao «Filho encarnado», presente nas espécies de pão e vinho, fruto da “terra videira” e do trabalho dos homens (cf. LS 236). Na Eucaristia, a comunidade celebra um amor cósmico, no qual os seres humanos, junto ao Filho de Deus encarnado e a toda a criação, dão graças a Deus pela vida nova em Cristo ressuscitado (cf. LS 236). Dessa forma, a Eucaristia constitui a comunidade – uma comunidade peregrina festiva, que se torna «fonte de luz e motivação para as nossas preocupações pelo meio ambiente, e leva-nos a sermos guardiões da criação inteira» (LS 236). Ao mesmo tempo, o sangue de tantos homens e mulheres que foi derramado, banhando as terras amazônicas, pelo bem de seus habitantes e do território, se une ao Sangue de Cristo, derramado por todos e por toda a criação.

11. Anunciar o Evangelho de Jesus na Amazônia: dimensão eclesial-missionária
Numa «Igreja em saída» (cf. EG 46), «missionária por natureza» (AG 2, DAp 347), todos os batizados têm a responsabilidade de ser discípulos missionários, participando de modo diverso e em âmbitos distintos. De fato, uma das riquezas da consciência magisterial da Igreja é a de «anunciar sempre e por toda a parte os princípios morais, mesmo referentes à ordem social, e pronunciar-se a respeito de qualquer questão humana, enquanto o exigirem os direitos fundamentais da pessoa humana ou a salvação das almas» (CIgC 2032; CDC, cân. 747).

O louvor a Deus precisa estar acompanhado da prática da justiça a favor dos pobres. Como proclama o Salmo 146 (145): «Louva o Senhor, minha alma, louvarei o Senhor enquanto eu for vivo», ao Deus que «livra os prisioneiros», que «dá alimento a quem tem fome», que «ampara o órfão e a viúva». Essa missão necessita da participação de todos, e uma reflexão ampla que permita contemplar as condições históricas concretas tanto sociais, quanto ambientais e eclesiais. Nessa perspectiva, um enfoque missionário na Amazônia requer, mais que nunca, um magistério eclesial exercido na escuta do Espírito santo, que garante unidade e diversidade. Essa unidade na diversidade, seguindo a tradição da Igreja, está estruturalmente permeada pelo que se conhece como sensus fidei do Povo de Deus.

O Papa Francisco retomou esse aspecto enfatizado pelo Concílio Vaticano II (cf. LG 12; DV 10), recordando que «em todos os batizados, desde o primeiro ao último, atua a força santificadora do Espírito que impele a evangelizar. O povo de Deus é santo em virtude desta unção, que o torna infalível «in credendo». Isso significa que «ao crer, não pode enganar-se [...]. Deus dota a totalidade dos fiéis com um instinto da fé – o sensus fidei – que os ajuda a discernir o que vem realmente de Deus» (EG 119).

Esse discernimento deve ser acompanhado pelos pastores, especialmente pelos Bispos. De fato, a preservação da Tradição eclesial, realizada por todo o Povo de Deus, exige a unidade deste Povo com seus pastores (cf. DV 10) para a leitura e o discernimento das novas realidades. É dos bispos, como princípio de unidade do povo de Deus (cf. LG 23), a responsabilidade de manter a unidade da tradição, que tem a sua origem e base nas Sagradas Escrituras (cf. DV 9).

Assim, o sentido religioso da Amazônia, como exemplo de expressão do sensus fidei, necessita do acompanhamento e da presença dos pastores (cf. EN 48). Quando o Papa Francisco se encontrou com os povos da Amazônia em Puerto Maldonado, se expressou assim: «Quis vir visitar-vos e escutar-vos, para estarmos juntos no coração da Igreja, solidarizarmo-nos com os vossos desafios e, convosco, reafirmarmos uma opção sincera em prol da defesa da vida, defesa da terra e defesa das culturas». Os representantes dos povos presentes, por sua parte, responderam ao Papa: «Nós viemos para escutar Sua Santidade, e para estar junto com o Papa no coração da Igreja e participar na edificação desta Igreja para que tenha cada vez mais um rosto amazônico». Nessa escuta recíproca entre o Papa (e autoridades eclesiais) e os representantes do povo amazônico, se alimenta e se fortalece o sensus fidei do Povo e cresce seu ser eclesial: «Precisamos nos exercitar na arte de escutar, que é mais do que ouvir» (EG 171).

A Assembleia Especial para a Região Pan-Amazônica precisa de um grande exercício de escuta recíproca, que se faça especialmente entre o Povo fiel e as autoridades do magistério da Igreja. E um dos pontos principais a ser escutado será o lamento «de milhares dessas comunidades privadas da Eucaristia dominical por longos períodos» (DAp 100e). Confiamos que a Igreja, enraizada em suas dimensões sinodal e missionária (cf. Francisco, Discurso para a comemoração do cinquentenário da instituição do Sínodo dos Bispos, 17.10.2015), possa gerar processos de escuta (ver-escutar) e processos de discernimento (julgar) capazes de responder (atuar) às realidades concretas dos povos amazônicos.

III. AGIR.
NOVOS CAMINHOS PARA UMA IGREJA COM ROSTO AMAZÔNICO3

12. Igreja com rosto amazônico
«Ser Igreja significa ser povo de Deus» (EG 114), encarnado «nos povos da Terra» (EG 115) e em suas culturas. Portanto, a universalidade ou catolicidade da Igreja vê-se enriquecida com «a beleza deste rosto pluriforme» (NMI 40) das diferentes manifestações de suas Igrejas e suas culturas. O Papa Francisco, em seu encontro com comunidades amazônicas em Puerto Maldonado, se expressou assim: «Nós, que não habitamos nestas terras, precisamos da vossa sabedoria e dos vossos conhecimentos para podermos penetrar, sem o destruir, o tesouro que encerra esta região, ouvindo ressoar as palavras do Senhor a Moisés: `Tira as tuas sandálias dos pés, porque o lugar em que estás é uma terra santa´» (Ex 3, 5; Fr.PM).

A Igreja é chamada a aprofundar sua identidade em correspondência às realidades de seu próprio território e a crescer em sua espiritualidade escutando a sabedoria de seus povos. Por isso, a Assembleia Especial para a Região Pan-Amazônica é chamada a encontrar novos caminhos para fazer crescer o rosto amazônico da Igreja e também para responder às situações de injustiça da região, como o neocolonialismo configurado pelas indústrias extrativistas, pelos projetos de infraestrutura que destroem sua biodiversidade e pela imposição de modelos culturais e econômicos estranhos à vida dos povos.

Com a atenção focada no local e na diversidade das microestruturas vivenciais da região, a Igreja se fortalece como contraponto em face da globalização da indiferença e de sua lógica uniformizadora, promovida por muitos meios de comunicação e por um modelo econômico que não respeita os povos amazônicos nem seus territórios em sua diversidade.

Por sua parte, as Igrejas locais, que são também Igrejas missionárias, igrejas em saída, encontram em suas próprias periferias, lugares privilegiados de experiência evangelizadora, «onde fazem mais falta a luz e a vida do Ressuscitado» (EG 30). Nessas periferias os missionários se encontram com os marginalizados, os fugitivos e os refugiados, com os desesperados, os excluídos, portanto com Jesus Cristo crucificado e exaltado, que «quis identificar-se, num gesto de ternura particular, com os mais fracos e os mais pobres» (DP 196).

Durante a preparação mais próxima ao Sínodo, buscar-se-á identificar experiências pastorais locais, tanto positivas como negativas, que podem iluminar o discernimento para as novas linhas de ação.

13. Dimensão profética
Em face da atual crise socioambiental, surgem luzes de orientação e ação para que se possa implementar a transformação de práticas e atitudes.

É necessário superar a miopia, o imediatismo e as soluções a curto prazo. Faz-se necessária uma perspectiva global e a superação dos interesses particulares para que se possa partilhar e assumir com responsabilidade um projeto comum e global.

«Tudo está interligado» (LS 16, 91, 117, 138, 240) é a grande insistência do Papa Francisco para facilitar o diálogo com as raízes espirituais das grandes tradições religiosas e culturais. Desenha-se um consenso em torno de uma agenda mínima, que inclui, entre outros itens: desenvolvimento integral e sustentável, como foi descrito em pontos anteriores, criação de gado e agricultura sustentáveis, energia limpa, respeito às identidades e aos direitos dos povos tradicionais, água potável para todos. Esses direitos são exigências fundamentais, frequentemente ausentes na Pan-Amazônia.

Deve haver um equilíbrio, e a economia deve priorizar a vocação por uma vida humana digna. Isso significa que uma relação equilibrada deve cuidar do ambiente e da vida dos mais vulneráveis. Na atualidade há «uma única e complexa crise socioambiental» (LS 139).

A Encíclica Laudato si’ (cf. LS 216ss.) nos convida a uma conversão ecológica que implica um novo estilo de vida, cujo foco é o outro. Urge praticar a solidariedade global e superar o individualismo, abrir novos caminhos de liberdade, verdade e beleza. Conversão significa libertar-nos da obsessão do consumo. «Comprar é sempre um ato moral, para além de econômico» (LS 206). A conversão ecológica exige assumir a mística da interligação e interdependência de tudo que foi criado e dado. A gratuidade se impõe em nossas atitudes quando entendemos a vida como dom de Deus. Abraçar a vida em solidariedade comunitária pressupõe uma transformação do coração.

Este novo paradigma abre perspectivas de transformação pessoal e social. A felicidade e a paz são possíveis quando não estamos tomados pela obsessão do consumo. O Papa Francisco considera que uma relação harmoniosa com a natureza nos proporciona «sobriedade feliz» (LS 224s), paz consigo mesmo, em relação ao bem comum, e uma serena harmonia que implica contentar-se com o realmente necessário. Isso é algo que as culturas ocidentais podem, e, oxalá, devem aprender das culturas tradicionais amazônicas, assim como de outros territórios e comunidades deste planeta. Eles, os povos tradicionais, «têm muito para nos ensinar» (EG 198). Com seu amor para com sua terra e sua relação com os ecossistemas, amam o Deus Criador, fonte de vida; «nas suas próprias dores conhecem Cristo sofredor» (EG 198). Em sua compreensão da vida social como diálogo, estão inspirados pelo Espírito Santo. Apontando para essa realidade, o Papa Francisco afirmou que «é necessário que todos nos deixemos evangelizar por eles» e por suas culturas, e que a tarefa da nova evangelização nos leva «não só a emprestar-lhes nossa voz nas suas causas, mas também a ser seus amigos, a escutá-los, a compreendê-los e a acolher a misteriosa sabedoria que Deus nos quer comunicar através deles» (EG 198). Seus ensinamentos, em consequência, poderiam marcar o rumo das prioridades para os novos caminhos da Igreja na Amazônia.

14. Ministérios com rostos amazônicos
Através de muitos encontros regionais na Amazônia, a Igreja católica aprofundou a consciência de que sua universalidade se encarna na história e nas culturas locais. Desse modo, manifesta-se e atua a Igreja de Cristo, una, santa, católica e apostólica (cf. CD 11). Graças a essa consciência, hoje a Igreja tem seus olhos voltados para a Amazônia com uma visão de conjunto, que a faz descobrir os grandes desafios sociopolíticos, econômicos e eclesiais que ameaçam essa região, mas sem perder a esperança na presença de Deus, alimentada pela criatividade e perseverança tenaz de seus habitantes.

Nas últimas décadas, e com o grande impulso dado pelo Documento de Aparecida, a Igreja da Amazônia soube reconhecer que, por causa das imensas extensões territoriais, da grande diversidade de seus povos e das rápidas transformações dos cenários socioeconômicos, sua pastoral tinha e tem uma presença precária. No passado e hoje, continua sendo necessária uma maior presença. Isso significa que é preciso, a partir dos valores do Evangelho, tentar responder a tudo aquilo que é específico desta região, reconhecendo, entre outros elementos, a imensa extensão geográfica, muitas vezes de difícil acesso, a grande diversidade cultural e a forte influência de interesses nacionais e internacionais em busca de um enriquecimento econômico fácil, pelos recursos desta região. Uma missão encarnada exige repensar a presença escassa da Igreja em relação à imensidão do território e de sua diversidade cultural.

A Igreja com rosto amazônico deve «Procurar um modelo de desenvolvimento alternativo, integral e solidário, baseado em uma ética que inclua a responsabilidade por uma autêntica ecologia natural e humana, que se fundamente no evangelho da justiça, da solidariedade e do destino universal dos bens, e que supere a lógica utilitarista e individualista, que não submete os poderes econômicos e tecnológicos a critérios éticos» (DAp 474c). Portanto, é preciso animar todo o povo de Deus, que é partícipe da missão de Cristo, Sacerdote, Profeta e Rei (cf. LG 9; CIgC 783), para que não permaneça indiferente diante das injustiças da região e descubra na escuta do Espírito os novos caminhos almejados.

Esses novos caminhos para a pastoral da Amazônia exigem «relançar com fidelidade e audácia sua missão» (DAp 11) no território e «aprofundar o processo de inculturação» (EG 126). Os novos caminhos exigem que a Igreja na Amazônia faça propostas «valentes», que devam ter «ousadia» e «não ter medo», como nos pede o Papa Francisco. O perfil profético da Igreja, hoje, mostra-se através de seu perfil ministerial e participativo, capaz de fazer dos povos indígenas e das comunidades amazônicas «os principais interlocutores» (LS 146) em todos os assuntos pastorais e socioambientais no território.

Para mudar a presença precária e transformá-la numa presença mais aprimorada e encarnada, faz-se necessário estabelecer uma hierarquia de urgências da Amazônia. O Documento de Aparecida menciona a necessidade de uma «coerência eucarística» (DAp 436) para a região amazônica, ou seja, que não exista somente a possibilidade de que todos os batizados possam participar da Missa dominical, mas também que cresçam novos céus e nova terra como antecipação do Reino de Deus na Amazônia.

Nesse sentido, o Vaticano II nos lembra que todo o povo de Deus participa do sacerdócio de Cristo, embora distinguindo sacerdócio comum do sacerdócio ministerial (cf. LG 10). Partindo daí, urge avaliar e repensar os ministérios que hoje são necessários para responder aos objetivos de «uma Igreja com rosto Amazônico e uma Igreja com rosto indígena» (Fr.PM). Uma prioridade é definir os conteúdos, métodos e atitudes para se constituir uma pastoral inculturada, capaz de responder aos grandes desafios no território. Outra é propor novos ministérios e serviços para os diferentes agentes de pastoral que respondem pelas tarefas e responsabilidades da comunidade. Nessa perspectiva, é preciso identificar o tipo de ministério oficial que pode ser conferido à mulher, levando em conta o papel central que hoje desempenham as mulheres na Igreja amazônica. Também é necessário promover o clero indígena e os que nasceram no território, afirmando sua própria identidade cultural e seus valores. Finalmente, é preciso repensar novos caminhos para que o Povo de Deus tenha melhor e frequente acesso à Eucaristia, centro da vida cristã (cf. DAp 251).

15. Novos caminhos
No processo de construir uma Igreja com rosto amazônico, sonhamos com os pés postos na terra dos nossos indígenas, e com os olhos abertos pensamos como será essa Igreja a partir da vivência da diversidade cultural dos povos. Os novos caminhos terão incidência sobre os ministérios, a liturgia e a teologia (Teologia Índia).4

A Igreja chegou aos povos movida pelo mandato de Jesus e pela fidelidade a seu Evangelho. Agora, precisa descobrir «com alegria e respeito as sementes do Verbo » (AG 11) na região.

Todo o povo de Deus, com seus Bispos e sacerdotes, missionários e missionárias, religiosos e leigos, é chamando a entrar com o coração aberto nesse novo caminho eclesial. Todos são chamados a conviver com as comunidades e a comprometer-se com a defesa de suas vidas, a amá-los e amar as suas culturas. Os missionários autóctones, e também os que vieram de fora, devem cultivar a espiritualidade de contemplação e de gratuidade, sentir com o coração e ver com os olhos de Deus os povos amazônicos e indígenas.

A espiritualidade praticada com os pés na terra oferece a possibilidade de encontrar a alegria e o gosto de conviver com os povos amazônicos. Assim, pode-se valorizar as riquezas culturais nas quais Deus semeou as sementes da Boa-Nova. Devemos ser capazes também de perceber as coisas que estão presentes nas culturas, e que, por serem históricas, necessitam de purificação, e capazes de trabalhar pela conversão individual e comunitária, cultivando o diálogo nos diferentes níveis. A espiritualidade profética e do martírio nos faz mais comprometidos com a vida dos povos e suas histórias passadas, e, olhando adiante a partir do tempo presente, com a construção de uma nova história.

Como Igreja, somos chamados a fortalecer o protagonismo dos próprios povos. Precisamos de uma espiritualidade intercultural que nos ajude a interagir com a diversidade dos povos e suas tradições. Devemos somar forças para cuidarmos juntos de nossa Casa Comum.

Entre os missionários autóctones e os que vêm de fora, requer-se uma espiritualidade de comunhão para aprender juntos a acompanhar as pessoas, escutando suas estórias, participando de seus projetos de vida, partilhando sua espiritualidade e assumindo suas lutas. Há de ser uma espiritualidade com o estilo de Jesus: simples, humana, dialogante e samaritana, que permita celebrar a vida, a liturgia, a Eucaristia, as festas, sempre respeitando os ritmos próprios de cada povo.

Animar uma Igreja com rosto amazônico implica, para os missionários, a capacidade de descobrir as sementes e frutos do Verbo já presentes na vida e na cosmovisão desses povos. Para isso, é necessária uma presença estável, o conhecimento da língua autóctone, de suas culturas e de sua experiência espiritual. Só assim a Igreja vai fazer presente a vida de Cristo nesses povos.

Para finalizar e lembrar as palavras do Papa Francisco, queríamos «pedir, por favor, a quantos ocupam cargos de responsabilidade em âmbito econômico, político ou social, a todos os homens e mulheres de boa vontade: sejamos `guardiões´ da criação, do desígnio de Deus inscrito na natureza, guardiões do outro, do ambiente; não deixemos que sinais de destruição e morte acompanhem o caminho deste nosso mundo!» (Homilia na Missa do início do ministério petrino, 19.03.2013).

Também queríamos pedir com as palavras do Papa Francisco aos povos da Amazônia: «Ajudai os vossos Bispos, ajudai os vossos missionários e as vossas missionárias a fazerem-se um só convosco e assim, dialogando com todos, podeis plasmar uma Igreja com rosto amazônico e uma Igreja com rosto indígena. Com esse espírito, convoquei um Sínodo para a Amazônia no ano de 2019» (Fr.PM).

QUESTIONÁRIO

A finalidade deste questionário é escutar a Igreja de Deus sobre os «novos caminhos para a Igreja e para uma ecologia integral» na Amazônia. O Espírito fala através de todo o povo de Deus. Nessa escuta podem-se conhecer os desafios, as esperanças, as propostas e reconhecer os novos caminhos que Deus pede à Igreja nesse território. Este questionário está destinado aos pastores para que eles o respondam consultando o povo de Deus. Para esta finalidade são convidados a buscar os meios mais adequados segundo as respectivas realidades locais. O questionário está estruturado em três partes que correspondem às diferentes partes do “Documento Preparatório”: ver, discernir-julgar, agir.

I PARTE

1. Quais são os problemas mais importantes em sua comunidade: as ameaças e dificuldades para a vida, o território e a cultura?
2. À luz da Laudato si’: Como se configuram a biodiversidade e a sociodiversidade em seu território?
3. Como incidem ou não incidem essas diversidades em seu trabalho pastoral?
4. À luz dos valores do Evangelho: Que tipo de sociedade devemos promover e de que meios podemos dispor para isso, tendo em conta o mundo rural e o urbano e     suas diferenças socioculturais?
5. Dada à enorme riqueza de sua identidade cultural: Quais são as contribuições, aspirações e desafios dos povos amazônicos em relação à Igreja e ao mundo?
6. Como essas contribuições podem ser incorporadas numa Igreja com rosto amazônico?
7. Como a Igreja deve acompanhar numa pastoral integral os processos de organização dos próprios povos, pensando na sua identidade, defensa de seus territórios e     direitos?
8. Quais são as respostas da Igreja aos desafios da pastoral urbana no território amazônico?
9. Se existem em seu território “Povos Indígenas em Situação de Isolamento voluntário”, qual deve ser a atuação da Igreja para defender a vida e os direitos desses     povos?

II PARTE

1. Que esperança oferece a presença da Igreja às comunidades amazônicas para a vida, o território e a cultura?
2. Como promover uma ecologia integral, seja, ambiental, econômica, social, cultural e da vida cotidiana (cf. LS 137-162) na Amazônia?
3. Como Jesus é Boa Notícia na vida, na família, na comunidade e na sociedade amazônicas, no contexto de sua igreja local?
4. Como a comunidade cristã pode responder ante a situações de injustiça, pobreza, desigualdade, violências (droga, exploração sexual, discriminação dos povos             indígenas, migrantes etc.) e de exclusão?
5. Quais são os elementos próprios das identidades culturais que podem facilitar o anúncio do Evangelho na novidade do mistério de Jesus?
6. Quais são os caminhos que se podem seguir para inculturar nossa prática sacramental na experiência vivencial dos povos indígenas?
7. Como participa a comunidade dos fiéis, que é «missionária por sua própria natureza», e a seu modo específico, no magistério concreto e no cotidiano da Igreja na     Amazônia?

III PARTE

1. Que Igreja sonhamos para a Amazônia?
2. Como imagina uma Igreja em saída e com rosto amazônico e que características ela deveria ter?
3. Existem espaços de expressão autóctone e de participação ativa na prática litúrgica de suas comunidades?
4. Um dos grandes desafios pastorais da Amazônia é a impossibilidade de celebrar a Eucaristia com frequência e em todos os lugares. Como responder a essa situação?
5. Como reconhecer e valorizar o papel dos leigos nos diferentes âmbitos pastorais (nos campos catequéticos, litúrgicos e sociais)?
6. Qual é o papel dos leigos nos diferentes âmbitos socioambientais no território?
7. O que deve caracterizar o anúncio e a denúncia proféticos na Amazônia?
8. O que deve caracterizar as pessoas que anunciam a Boa-Nova na Amazônia?
9. Quais são os serviços e os ministérios com rosto amazônico em sua jurisdição eclesiástica, e que características têm?
10. A seu ver, quais são os serviços e os ministérios com rosto amazônico que deveriam ser criados e promovidos?
11. De que maneira a vida consagrada pode contribuir com seus carismas para a construção de uma Igreja com rosto amazônico?
12. A participação das mulheres em nossas comunidades é de suma importância. Como reconhecer e valorizar essa participação no horizonte dos novos caminhos?
13. A religiosidade popular e, em particular, a devoção mariana – como se integram e como podem contribuir para os novos caminhos da Igreja na Amazônia?
14. Em que poderia consistir a contribuição dos meios de comunicação para a edificação de uma Igreja com rosto amazônico?

 

* * *

SIGLAS E ABREVIAÇÕES

AG: Ad gentes, Decreto sobre a atividade missionária da Igreja (07.12.1965).
CCC: Catecismo da Igreja Católica (11.10.1992).
CIC: Código de Direito Canônico (25.01.1983).
CD: Concílio Ecumênico Vaticano II, Decreto sobre o múnus pastoral dos Bispos na Igreja Christus Dominus (28.10.1965).
DAp: Documento de Aparecida. Texto conclusivo da V Conferência Geral do Episcopado Latino-americano e do Caribe (2007).
DP: Documento de Puebla. III Conferência Geral do Episcopado Latino-americano (1979).
DSD: Documento de Santo Domingo. IV Conferência Geral do Episcopado Latino-americano (1992).
DV: Concílio Ecumênico Vaticano II, Constituição Dogmática Dei Verbum, sobre a Revelação Divina 18.11.1965).
EG: Evangelii gaudium, Exortação Apostólica do Papa Francisco (24.11.2013).
EN: Evangelii nuntiandi, Exortação Apostólica do Papa Paulo VI (08.12.1975).
Fr.PM: Discurso do Papa Francisco no Encontro com os povos da Amazônia, em Puerto Maldonado (19.01.2018).
Fr.EP: Discurso do Papa Francisco no Encontro com a População de Puerto Maldonado (19.01.2018).
Fr.FPI: Discurso do Papa Francisco aos participantes do III Fórum dos Povos Indígenas (15.02.2017).
GS: Concílio Ecumênico Vaticano II, Constituição Pastoral sobre a Igreja no Mundo de hoje Gaudium et spes (07.12.1965).
LG: Concílio Ecumênico Vaticano II, Constituição Dogmática sobre a Igreja Lumen gentium (21.11.2015).
LS: Laudato si, Carta Encíclica do Papa Francisco sobre o cuidado da Casa Comum (24.05.2015).
NMI: Novo millennio ineunte, Carta apostólica do Papa João Paulo II (06.01.2001).
PO: Concílio Ecumênico Vaticano II, Decreto sobre o Ministério e a Vida dos Presbíteros Presbyterorum ordinis (07.12.1965).
PP: Carta Encíclica do Papa Paulo VI sobre a necessidade de promover o desenvolvimento dos povos Populorum progressio (26.03.1967).
REPAM: Relatório executivo do Encontro de Fundação da Rede Eclesial Pan-Amazônica (12.09.2014, Brasília CNBB).
SC: Concílio Ecumênico Vaticano II, Constituição sobre a Sagrada Liturgia acrosanctum Concilium (04.12.1963).
UR: Concílio Ecumênico Vaticano II, Decreto sobre o Ecumenismo Unitatis redintegratio (21.11.1964).

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1 Neste documento, os termos “indígenas”, “aborígenes” e “povos originários” são usados indistintamente.
2 Entende-se por Pan-Amazônia todo o território que compõe a região além da bacia dos rios.
3 Fonte: REPAM. Memórias do Encontro “Igreja com rosto amazônico e indígena”. Quito, Equador, 28-30/11/2017.
4 Cf. CELAM, VI Simpósio de Teologia Índia, 18-23 de setembro de 2017, Paraguai.

[00914-PO.01] [Texto original: Português]

[B0422-XX.02]