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Celebrazione della Domenica delle Palme e della Passione del Signore, 25.03.2018


Omelia del Santo Padre

Traduzione in lingua francese

Traduzione in lingua inglese

Traduzione in lingua tedesca

Traduzione in lingua spagnola

Traduzione in lingua portoghese

Alle ore 10.00 di questa mattina il Santo Padre Francesco ha presieduto, in Piazza San Pietro, la solenne celebrazione liturgica della Domenica delle Palme e della Passione del Signore.

Al centro della piazza, presso l’obelisco, il Papa ha benedetto le palme e gli ulivi e, al termine della processione che raggiunge il sagrato, ha celebrato la Santa Messa della Passione del Signore.

Alla celebrazione hanno preso parte giovani di Roma e di altre diocesi in occasione della ricorrenza diocesana della XXXIII Giornata Mondiale della Gioventù, sul tema: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio» (Lc 1,30).

Al termine della Celebrazione Eucaristica, prima della Benedizione Apostolica, sono state consegnate al Santo Padre le conclusioni della Riunione pre-sinodale in preparazione alla XV Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi in programma per l’ottobre 2018, sul tema: I giovani, la fede e il discernimento vocazionale”.

Pubblichiamo di seguito l’omelia che Papa Francesco ha pronunciato dopo la proclamazione della Passione del Signore secondo Marco:

Omelia del Santo Padre

Gesù entra in Gerusalemme. La liturgia ci ha invitato a intervenire e partecipare alla gioia e alla festa del popolo che è capace di gridare e lodare il suo Signore; gioia che si appanna e lascia un sapore amaro e doloroso dopo aver finito di ascoltare il racconto della Passione. In questa celebrazione sembrano incrociarsi storie di gioia e di sofferenza, di errori e di successi che fanno parte del nostro vivere quotidiano come discepoli, perché riesce a mettere a nudo sentimenti e contraddizioni che oggi appartengono spesso anche a noi, uomini e donne di questo tempo: capaci di amare molto… e anche di odiare – e molto –; capaci di sacrifici valorosi e anche di saper “lavarcene le mani” al momento opportuno; capaci di fedeltà ma anche di grandi abbandoni e tradimenti.

E si vede chiaramente in tutta la narrazione evangelica che la gioia suscitata da Gesù è per alcuni motivo di fastidio e di irritazione.

Gesù entra in città circondato dalla sua gente, circondato da canti e grida chiassose. Possiamo immaginare che è la voce del figlio perdonato, quella del lebbroso guarito, o il belare della pecora smarrita che risuonano forti in questo ingresso, tutti insieme. E’ il canto del pubblicano e dell’impuro; è il grido di quello che viveva ai margini della città. E’ il grido di uomini e donne che lo hanno seguito perché hanno sperimentato la sua compassione davanti al loro dolore e alla loro miseria… E’ il canto e la gioia spontanea di tanti emarginati che, toccati da Gesù, possono gridare: «Benedetto colui che viene nel nome del Signore!». Come non acclamare Colui che aveva restituito loro la dignità e la speranza? E’ la gioia di tanti peccatori perdonati che hanno ritrovato fiducia e speranza. E questi gridano. Gioiscono. E’ la gioia.

Questa gioia osannante risulta scomoda e diventa assurda e scandalosa per quelli che si considerano giusti e “fedeli” alla legge e ai precetti rituali.[1] Gioia insopportabile per quanti hanno bloccato la sensibilità davanti al dolore, alla sofferenza e alla miseria. Ma tanti di questi pensano: “Guarda che popolo maleducato!”. Gioia intollerabile per quanti hanno perso la memoria e si sono dimenticati di tante opportunità ricevute. Com’è difficile comprendere la gioia e la festa della misericordia di Dio per chi cerca di giustificare sé stesso e sistemarsi! Com’è difficile poter condividere questa gioia per coloro che confidano solo nelle proprie forze e si sentono superiori agli altri![2]

E così nasce il grido di colui a cui non trema la voce per urlare: “Crocifiggilo!”. Non è un grido spontaneo, ma il grido montato, costruito, che si forma con il disprezzo, con la calunnia, col provocare testimonianze false. E’ il grido che nasce nel passaggio dal fatto al resoconto, nasce dal resoconto. E’ la voce di chi manipola la realtà e crea una versione a proprio vantaggio e non ha problemi a “incastrare” altri per cavarsela. Questo è un [falso] resoconto. Il grido di chi non ha scrupoli a cercare i mezzi per rafforzare sé stesso e mettere a tacere le voci dissonanti. E’ il grido che nasce dal “truccare” la realtà e dipingerla in maniera tale che finisce per sfigurare il volto di Gesù e lo fa diventare un “malfattore”. E’ la voce di chi vuole difendere la propria posizione screditando specialmente chi non può difendersi. E’ il grido fabbricato dagli “intrighi” dell’autosufficienza, dell’orgoglio e della superbia che proclama senza problemi: “Crocifiggilo, crocifiggilo!”.

E così alla fine si fa tacere la festa del popolo, si demolisce la speranza, si uccidono i sogni, si sopprime la gioia; così alla fine si blinda il cuore, si raffredda la carità. E’ il grido del “salva te stesso” che vuole addormentare la solidarietà, spegnere gli ideali, rendere insensibile lo sguardo… Il grido che vuole cancellare la compassione, quel “patire con”, la compassione, che è la debolezza di Dio.

Di fronte a tutte queste voci urlate, il miglior antidoto è guardare la croce di Cristo e lasciarci interpellare dal suo ultimo grido. Cristo è morto gridando il suo amore per ognuno di noi: per giovani e anziani, santi e peccatori, amore per quelli del suo tempo e per quelli del nostro tempo. Sulla sua croce siamo stati salvati affinché nessuno spenga la gioia del vangelo; perché nessuno, nella situazione in cui si trova, resti lontano dallo sguardo misericordioso del Padre. Guardare la croce significa lasciarsi interpellare nelle nostre priorità, scelte e azioni. Significa lasciar porre in discussione la nostra sensibilità verso chi sta passando o vivendo un momento di difficoltà. Fratelli e sorelle, che cosa vede il nostro cuore? Gesù continua a essere motivo di gioia e lode nel nostro cuore oppure ci vergogniamo delle sue priorità verso i peccatori, gli ultimi, e i dimenticati?

E a voi, cari giovani, la gioia che Gesù suscita in voi è per alcuni motivo di fastidio e anche di irritazione, perché un giovane gioioso è difficile da manipolare. Un giovane gioioso è difficile da manipolare!

Ma esiste in questo giorno la possibilità di un terzo grido: «Alcuni farisei tra la folla gli dissero: “Maestro, rimprovera i tuoi discepoli”; ed Egli rispose: “Io vi dico che, se questi taceranno, grideranno le pietre”» (Lc 19,39-40).

Far tacere i giovani è una tentazione che è sempre esistita. Gli stessi farisei se la prendono con Gesù e gli chiedono di calmarli e farli stare zitti.

Ci sono molti modi per rendere i giovani silenziosi e invisibili. Molti modi di anestetizzarli e addormentarli perché non facciano “rumore”, perché non si facciano domande e non si mettano in discussione. “State zitti voi!”. Ci sono molti modi di farli stare tranquilli perché non si coinvolgano e i loro sogni perdano quota e diventino fantasticherie rasoterra, meschine, tristi.

In questa Domenica delle Palme, celebrando la Giornata Mondiale della Gioventù, ci fa bene ascoltare la risposta di Gesù ai farisei di ieri e di tutti i tempi, anche quelli di oggi: «Se questi taceranno, grideranno le pietre» (Lc 19,40).

Cari giovani, sta a voi la decisione di gridare, sta a voi decidervi per l’Osanna della domenica così da non cadere nel “crocifiggilo!” del venerdì… E sta a voi non restare zitti. Se gli altri tacciono, se noi anziani e responsabili – tante volte corrotti – stiamo zitti, se il mondo tace e perde la gioia, vi domando: voi griderete?

Per favore, decidetevi prima che gridino le pietre.

_______________________

[1] Cfr R. Guardini, Il Signore, Brescia-Milano 2005, 344-345.
[2]
Cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 94.

[00475-IT.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua francese

Jésus entre à Jérusalem. La liturgie nous a invités à intervenir et à participer à la joie ainsi qu’à la fête du peuple qui est capable de crier et de louer son Seigneur; une joie qui se ternit et laisse un goût amer et douloureux lorsqu’on a fini d’écouter le récit de la Passion. Dans cette célébration semblent s’entrecroiser des histoires de joie et de souffrance, d’erreurs et de succès qui font partie de notre vie quotidienne de disciples, car elles parviennent à mettre à nu des sentiments et des contradictions que nous aussi nous éprouvons souvent aujourd’hui, hommes et femmes de ce temps: capables de beaucoup aimer… mais aussi de haïr – et beaucoup -; capables de courageux sacrifices, mais aussi capables de savoir ‘‘se laver les mains’’ au moment opportun; capables de fidélité mais aussi de grands abandons et de grandes trahisons.

Et on voit clairement dans tout le récit évangélique que la joie suscitée par Jésus est, pour certains, un motif de gêne et d’agacement.

Entouré de ses gens, Jésus entre dans la ville, parmi les chants et les cris bruyants. Nous pouvons imaginer que c’est la voix du fils pardonné, celle du lépreux guéri ou le bêlement de la brebis égarée qui, tous ensemble, résonnent fortement lors de cette entrée. C’est le chant du publicain et de l’homme impur; c’est le cri de celui qui vivait en marge de la ville. C’est le cri des hommes et des femmes qui l’ont suivi parce qu’ils ont fait l’expérience de sa compassion face à leur douleur et à leur misère… C’est le chant et la joie spontanés de tant de personnes marginalisées qui, touchées par Jésus, peuvent crier : “Béni soit celui qui vient au nom du Seigneur !”. Comment ne pas acclamer celui qui leur avait redonné la dignité et l’espérance? C’est la joie de tant de pécheurs pardonnés qui ont retrouvé confiance et espérance. Et ils crient. Ils se réjouissent. C’est la joie!

Cette joie de l’hosanna se révèle gênante et devient absurde et scandaleuse pour ceux qui se considèrent justes et ‘‘fidèles’’ à la loi et aux préceptes rituels.[1] Joie insupportable pour ceux qui sont restés insensibles à la douleur, à la souffrance et à la misère. Et beaucoup d’entre ceux-ci pensent: ‘‘Regarde, quel peuple mal éduqué!’’. Joie intolérable pour ceux qui ont perdu la mémoire et oublié les nombreuses faveurs reçues. Pour celui qui cherche à se justifier lui-même et à s’installer, comme il est difficile de comprendre la joie et la fête de la miséricorde de Dieu! Pour ceux qui ne mettent leur confiance qu’en leurs propres forces et qui se sentent supérieurs aux autres[2], comme il est difficile de pouvoir partager cette joie!

Et c’est ainsi que naît le cri de celui dont la voix ne tremble pas pour hurler: ‘‘Crucifie-le!’’ Il ne s’agit pas d’un cri spontané, mais c’est le cri artificiel, construit, fait du mépris, de la calomnie, de faux témoignages suscités. C’est le cri qui naît dans le passage du fait au compte-rendu, qui naît dans le compte-rendu. C’est la voix de celui qui manipule la réalité, crée une version à son avantage et ne se pose aucun problème pour ‘‘coincer” les autres afin de s’en sortir. C’est un [faux] compte-rendu! C’est le cri de celui qui n’a pas de scrupules à chercher les moyens de se renforcer et à faire taire les voix dissonantes. C’est le cri qui naît de la réalité ‘‘truquée’’ et présentée de telle sorte qu’elle finit par défigurer le visage de Jésus et le transformer en ‘‘malfaiteur’’. C’est la voix de celui qui veut défendre sa propre position en discréditant spécialement celui qui ne peut pas se défendre. C’est le cri, fabriqué par les ‘‘intrigues’’ de l’autosuffisance, de l’orgueil et de l’arrogance, qui proclame sans problèmes: ‘‘Crucifie-le, crucifie-le!’’.

Et on finit ainsi par faire taire la fête du peuple, on détruit l’espérance, on tue les rêves, on supprime la joie; on finit ainsi par blinder le cœur, on refroidit la charité. C’est le cri du ‘‘sauve-toi toi-même’’ qui veut endormir la solidarité, éteindre les idéaux, rendre le regard insensible… le cri qui veut effacer la compassion, ce ‘‘pâtir avec’’, la compassion, qui est la faiblesse de Dieu.

Face à toutes ces voix qui hurlent, le meilleur antidote, c’est de regarder la croix du Christ et de nous laisser interpeller par son dernier cri. Le Christ est mort en criant son amour pour chacun d’entre nous: pour les jeunes et pour les personnes âgées, pour les saints et les pécheurs, son amour pour ceux de son temps et pour ceux de notre temps. Nous avons été sauvés sur sa croix pour que personne n’éteigne la joie de l’Évangile; pour que personne, dans la situation où il se trouve, ne reste éloigné du regard miséricordieux du Père. Regarder la croix signifie se laisser interpeller dans nos priorités, nos choix et nos actions. Cela signifie laisser notre sensibilité être interpelée par celui qui passe ou vit un moment difficile. Chers frères et sœurs, que voit notre cœur? Jésus continue-t-il d’être un motif de joie et de louange dans notre cœur ou bien avons-nous honte de ses priorités pour les pécheurs, les derniers, ceux qui sont oubliés?

Et vous, chers jeunes, la joie que Jésus suscite en vous est un motif de gêne et également d’agacement pour certains, parce qu’il est difficile de manipuler jeune joyeux. Il est difficile de manipuler jeune joyeux!

Mais il y a aujourd’hui la possibilité d’un troisième cri: «Quelques pharisiens qui se trouvaient dans la foule dirent à Jésus: “Maître, réprimande tes disciples”. Mais il prit la parole en disant: “Je vous le dis, si eux se taisent, les pierres crieront”» (Lc 19, 39-40).

Faire taire les jeunes est une tentation qui a toujours existé. Les mêmes pharisiens s’en prennent à Jésus et lui demandent de les calmer et de les faire taire.

Il y a de nombreuses manières de rendre les jeunes silencieux et invisibles. De nombreuses manières de les anesthésier et de les endormir pour qu’ils ne fassent pas de bruit, pour qu’ils ne s’interrogent pas et ne se remettent pas en question. ‘‘Vous, taisez-vous!’’ Il y a de nombreuses manières de les faire tenir tranquilles pour qu’ils ne s’impliquent pas et que leurs rêves perdent de la hauteur et deviennent des rêvasseries au ras du sol, mesquines, tristes.

En ce Dimanche des Rameaux, célébrant la Journée Mondiale de la Jeunesse, il nous est bon d’entendre la réponse de Jésus aux pharisiens d’hier et de tous les temps, également à ceux d’aujourd’hui : «Si eux se taisent, les pierres crieront» (Lc 19, 40).

Chers jeunes, c’est à vous de prendre la décision de crier, c’est à vous de vous décider pour l’Hosanna du dimanche, pour ne pas tomber dans le “crucifie-le!” du vendredi… et cela dépend de vous de ne pas rester silencieux. Si les autres se taisent, si nous, les aînés et les responsables – bien des fois corrompus – restons silencieux, si le monde se tait et perd la joie, je vous le demande: vous, est-ce que vous crierez?

S’il vous plaît, décidez-vous avant que les pierres ne crient!

_________________________

[1] Cf. R. Guardini, Il Signore, Brescia-Milano 2005, 344-345.
[2]
Cfr. Exhort. ap. Evangelii gaudium, n. 94.

[00475-FR.02] [Texte original: Italien]

Traduzione in lingua inglese

Jesus enters Jerusalem. The liturgy invites us to share in the joy and celebration of the people who cry out in praise of their Lord; a joy that will fade and leaves a bitter and sorrowful taste by the end of the account of the Passion. This celebration seems to combine stories of joy and suffering, mistakes and successes, which are part of our daily lives as disciples. It somehow expresses the contradictory feelings that we too, the men and women of today, experience: the capacity for great love… but also for great hatred; the capacity for courageous self-sacrifice, but also the ability to “wash our hands” at the right moment; the capacity for loyalty, but also for great abandonment and betrayal.

We also see clearly throughout the Gospel account that the joy Jesus awakens is, for some, a source of anger and irritation.

Jesus enters the city surrounded by his people and by a cacophony of singing and shouting. We can imagine that amid the outcry we hear, all at the same time, the voice of the forgiven son, the healed leper, or the bleating of the lost sheep. Then too, the song of the publican and the unclean man; the cry of those living on the edges of the city. And the cry of those men and women who had followed Jesus because they felt his compassion for their pain and misery… That outcry is the song and the spontaneous joy of all those left behind and overlooked, who, having been touched by Jesus, can now shout: “Blessed is he who comes in the name of the Lord”. How could they not praise the one who had restored their dignity and hope? Theirs is the joy of so many forgiven sinners who are able to trust and hope once again. And they cry out. They rejoice. This is joy.

All this joy and praise is a source of unease, scandal and upset for those who consider themselves righteous and “faithful” to the law and its ritual precepts.[1] A joy unbearable for those hardened against pain, suffering and misery. Many of these think to themselves: “Such ill-mannered people!” A joy intolerable for those who have forgotten the many chances they themselves had been given. How hard it is for the comfortable and the self-righteous to understand the joy and the celebration of God’s mercy! How hard it is for those who trust only in themselves, and look down on others, to share in this joy.[2]

And so here is where another kind of shouting comes from, the fierce cry of those who shout out: “Crucify him!” It is not spontaneous but already armed with disparagement, slander and false witness. It is a cry that emerges in moving from the facts to an account of the facts; it comes from this “story”. It is the voice of those who twist reality and invent stories for their own benefit, without concern for the good name of others. This is a false account. The cry of those who have no problem in seeking ways to gain power and to silence dissonant voices. The cry that comes from “spinning” facts and painting them such that they disfigure the face of Jesus and turn him into a “criminal”. It is the voice of those who want to defend their own position, especially by discrediting the defenceless. It is the cry born of the show of self-sufficiency, pride and arrogance, which sees no problem in shouting: “Crucify him, crucify him”.

And so the celebration of the people ends up being stifled. Hope is demolished, dreams are killed, joy is suppressed; the heart is shielded and charity grows cold. It is cry of “save yourself”, which would dull our sense of solidarity, dampen our ideals, and blur our vision... the cry that wants to erase compassion, that “suffering with” that is compassion, that is the weakness of God.

Faced with such people, the best remedy is to look at Christ’s cross and let ourselves be challenged by his final cry. He died crying out his love for each of us: young and old, saints and sinners, the people of his times and of our own. We have been saved by his cross, and no one can repress the joy of the Gospel; no one, in any situation whatsoever, is far from the Father’s merciful gaze. Looking at the cross means allowing our priorities, choices and actions to be challenged. It means questioning ourselves about our sensitivity to those experiencing difficulty. Brothers and sisters, where is our heart focused? Does Jesus Christ continue to be a source of joy and praise in our heart, or does its priorities and concerns make us ashamed to look at sinners, the least and forgotten?

And you, dear young people, the joy that Jesus awakens in you is a source of anger and even irritation to some, since a joyful young person is hard to manipulate. A joyful young person is hard to manipulate!

But today, a third kind of shouting is possible: “And some of the Pharisees in the crowd said to him, “Teacher, rebuke your disciples.” He replied, “I tell you, if these were silent, the very stones would cry out”” (Lk 19: 39-40).

The temptation to silence young people has always existed. The Pharisees themselves rebuke Jesus and ask him to silence them.

There are many ways to silence young people and make them invisible. Many ways to anaesthetize them, to make them keep quiet, ask nothing, question nothing. “Keep quiet, you!” There are many ways to sedate them, to keep them from getting involved, to make their dreams flat and dreary, petty and plaintive.

On this Palm Sunday, as we celebrate World Youth Day, we do well to hear Jesus’ answer to all those Pharisees past and present, even the ones of today: “If these were silent, the very stones would cry out” (Lk 19:40).

Dear young people, you have it in you to shout. It is up to you to opt for Sunday’s “Hosanna!”, so as not to fall into Friday’s “Crucify him!”... It is up to you not to keep quiet. Even if others keep quiet, if we older people and leaders – so often corrupt – keep quiet, if the whole world keeps quiet and loses its joy, I ask you: Will you cry out?

Please, make that choice, before the stones themselves cry out.

_______________________

[1] Cf. R. Guardini, El Señor, 383.
[2]
Cf. Apsotolic Exhortation Evangelii Gaudium, 94.

[00475-EN.02] [Original text: Italian]

Traduzione in lingua tedesca

Jesus zieht in Jerusalem ein. Die Liturgie hat uns eingeladen, an der Festfreude des Volkes teilzuhaben und zu ihr beizutragen. Das Volk ist fähig, zu jubeln und seinen Herrn zu preisen. Die Freude wird getrübt und hinterlässt einen bitteren und schmerzhaften Nachgeschmack, nachdem wir die Leidensgeschichte gehört haben. Es scheint, als würden sich in dieser Feier Geschichten der Freude und des Leidens, der Fehler und der Erfolge, die Teil unseres Alltags als Jünger sind, miteinander verflechten. Denn sie schafft es, die widersprüchlichen Gefühle, die den Menschen auch heute zu eigen sind, offenzulegen: Sie sind im Stande, viel zu lieben… und auch viel zu hassen; fähig zu wertvollen Unternehmungen und auch sich im passenden Augenblick „die Hände zu waschen“; fähig zur Treue, aber auch zu großer Nachlässigkeit und zum Verrat.

Und man sieht deutlich im ganzen Evangeliumsbericht, dass die Freude, die Jesus erweckt, in den Augen einiger Grund zu Unmut und Ärger ist.

Jesus betritt die Stadt umgeben von seinem Volk, umgeben vom Singen und Rufen des Trubels. Wir können uns vorstellen, dass es die Stimme des Sohnes ist, dem vergeben wurde, die des geheilten Aussätzigen oder das Blöken des verlorenen Schafes, die bei diesem Einzug kraftvoll alle zusammen erschallen. Es ist das Singen des Zöllners und des Unreinen; es ist der Schrei dessen, der an den Rändern der Stadt lebte. Es ist der Schrei der Männer und Frauen, die ihm gefolgt sind, weil sie sein Erbarmen angesichts ihres Schmerzes und ihres Elends erfahren haben… Es ist das Singen und die spontane Freude so vieler Verstoßener, die von Jesus angerührt rufen können: „Gesegnet sei er, der kommt im Namen des Herrn“. Wie nicht denjenigen lobpreisen, der ihnen die Würde und die Hoffnung zurückgegeben hat? Es ist die Freude so vieler Sünder, denen vergeben wurde und die erneut vertrauen und hoffen können. Und diese schreien. Sie freuen sich. Es ist die Freude.

Denjenigen, die sich selbst für gerecht und dem Gesetz und den rituellen Geboten „treu“ halten, erscheint dieser Freudenjubel als aufmüpfig. Er wird als Ärgernis erregender Unfug empfunden.[1] Eine unerträgliche Freude für diejenigen, die sich angesichts des Leidens, des Schmerzes und des Elends dem Mitgefühl versperrt haben. Aber viele von ihnen denken: „Schau, was für ein unerzogenes Volk!“. Eine nicht zu duldende Freude für diejenigen, die die Erinnerung verloren haben und so viele Möglichkeiten, die sie erhalten haben, vergessen haben. Wie schwierig ist es für denjenigen, der sich selbst rechtfertigen und selbst auskommen will, die Festfreude der Barmherzigkeit Gottes zu verstehen. Wie schwierig ist es für diejenigen, die nur auf ihre eigenen Kräfte vertrauen und sich den anderen überlegen fühlen, diese Freude zu teilen![2]

Und so erhebt sich der Schrei dessen, der sich nicht scheut, „Kreuzige ihn!“ zu rufen. Es ist nicht ein spontaner Schrei, sondern ein aufgesetzter und inszenierter Schrei, der die Erniedrigung und die Verleumdung begleitet, die durch falsche Zeugenaussagen herbeigeführt werden. Es ist der Schrei, der aus dem Übergang von der Tatsache zur Berichterstattung entsteht, er entsteht aus der Berichterstattung. Es ist die Stimme dessen, der die Realität manipuliert, eine Geschichte zu seinem Vorteil erfindet und kein Problem damit hat, andere „in den Dreck zu ziehen“, um selbst davonzukommen. Dies ist eine [falsche] Berichterstattung. Der Schrei dessen, der kein Problem damit hat, die Mittel zu suchen, um sich selbst zu stärken und die dissonanten Stimmen zum Schweigen zu bringen. Es ist der Schrei, der aus dem „Frisieren“ und Schönfärben der Wirklichkeit entsteht, so dass sie schließlich das Antlitz Jesu entstellt und ihn zu einem „Missetäter“ macht. Es ist die Stimme dessen, der die eigene Position verteidigen will, indem er insbesondere denjenigen in Verruf bringt, der sich nicht verteidigen kann. Es ist der Schrei der in Szene gesetzten Selbstgefälligkeit, des Stolzes und des Hochmuts, der problemlos ausruft: „Kreuzige ihn, kreuzige ihn!“.

Und so bringt man das Fest des Volkes schließlich zum Schweigen, indem man die Hoffnung niederschmettert, die Träume tötet, die Freude unterdrückt; so endet man darin, das Herz zu verhärten und die Liebe erkalten zu lassen. Es ist der Schrei des „rette dich selbst“, der die Solidarität einlullen will, die Ideale auslöschen, den Blick gefühllos werden lässt… der Schrei, der das Erbarmen ausradieren will, dieses Mitleiden, das Mitleid, das die Schwäche Gottes ist.

Angesichts all dieser Schreie ist es das beste Gegenmittel, das Kreuz Christi anzuschauen und uns von seinem letzten Schrei in Frage stellen zu lassen. Christus starb, indem er seine Liebe für jeden von uns herausschrie: für die jungen Menschen und die Älteren, für die Heiligen und die Sünder, Liebe für die Menschen seiner Zeit wie auch der heutigen Zeit. Durch sein Kreuz wurden wir gerettet, damit niemand die Freude des Evangeliums auslösche; damit niemand, in welcher Situation auch immer er sich befindet, dem barmherzigen Blick des Vaters fernbleibt. Auf das Kreuz zu schauen bedeutet, unsere Prioritäten, Entscheidungen und Handlungen in Frage zu stellen. Es bedeutet, unser Mitgefühl gegenüber demjenigen auf den Prüfstand zu stellen, der momentan Schwierigkeiten durchlebt. Brüder und Schwestern, was sieht unser Herz? Ist Jesus Christus weiterhin Grund der Freude und des Lobpreises in unserem Herzen oder beschämen uns seine Prioritäten für die Sünder, die Letzten, die Vergessenen?

Und ihr, liebe Jugendliche, die Freude, die Jesus in euch erweckt, ist Grund zu Ärger und auch zu Entrüstung bei einigen Leuten, da es schwierig ist, einen frohen jungen Menschen zu manipulieren. Ein junger Mensch ist schwer zu manipulieren!

Aber es gibt nun die Möglichkeit zu einem dritten Schrei: »Da riefen ihm einige Pharisäer aus der Menge zu: Meister, weise deine Jünger zurecht! Er erwiderte: Ich sage euch: Wenn sie schweigen, werden die Steine schreien« (Lk 19,39-40).

Die jungen Menschen zum Schweigen zu bringen, ist eine Versuchung, die es immer gegeben hat. Die Pharisäer selbst tadeln Jesus und bitten ihn, sie zu beruhigen und zum Schweigen zu bringen.

Es gibt viele Formen, zum Schweigen zu bringen oder die jungen Menschen auszuschalten. Viele Wege, um sie zu betäuben und einzulullen, damit sie keinen „Krach“ machen, damit sie sich nicht selbst Fragen stellen und hinterfragen. „Seid ihr doch still!“. Es gibt viele Möglichkeiten, sie zu beruhigen, so dass sie sich nicht einmischen und ihre Träume den Schwung verlieren und zu flachen, kleinen, traurigen Phantastereien werden.

An diesem Palmsonntag, an dem wir den Weltjugendtag begehen, tut es uns gut, auf die Antwort Jesu an alle Pharisäer von gestern und aus allen Zeiten, auch an die von heute, zu hören: »Wenn sie schweigen, werden die Steine schreien« (Lk 19,40).

 Liebe junge Menschen: Bei euch liegt die Entscheidung zu schreien. An euch liegt es, euch für das Hosanna des Sonntags zu entscheiden, um nicht dem „Kreuzige ihn!“ des Freitags zu verfallen... Und es liegt an euch, nicht zu schweigen. Wenn die anderen schweigen, wenn wir, die oftmals verdorbenen Ältesten und Verantwortlichen, schweigen, wenn die Welt schweigt und ihre Freude verliert, frage ich euch: Wollt ihr schreien?

Bitte entscheidet euch, bevor die Steine schreien.

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[1] Vgl. R. Guardini, Der Herr, Würzburg 81991, S. 369f.

[2] Vgl. Apostolisches Schreiben Evangelii gaudium, 94.

[00475-DE.02] [Originalsprache: Italienisch]

Traduzione in lingua spagnola

Jesús entra en Jerusalén. La liturgia nos invitó a hacernos partícipes y tomar parte de la alegría y fiesta del pueblo que es capaz de gritar y alabar a su Señor; alegría que se empaña y deja un sabor amargo y doloroso al terminar de escuchar el relato de la Pasión. Pareciera que en esta celebración se entrecruzan historias de alegría y sufrimiento, de errores y aciertos que forman parte de nuestro vivir cotidiano como discípulos, ya que logra desnudar los sentimientos contradictorios que también hoy, hombres y mujeres de este tiempo, solemos tener: capaces de amar mucho… y también de odiar ―y mucho―; capaces de entregas valerosas y también de saber «lavarnos las manos» en el momento oportuno; capaces de fidelidades pero también de grandes abandonos y traiciones.

Y se ve claro en todo el relato evangélico que la alegría que Jesús despierta es motivo de enojo e irritación en manos de algunos.

Jesús entra en la ciudad rodeado de su pueblo, rodeado por cantos y gritos de algarabía. Podemos imaginar que es la voz del hijo perdonado, la del leproso sanado o el balar de la oveja perdida, que resuena resuenan a la vez con fuerza en ese ingreso. Es el canto del publicano y del impuro; es el grito del que vivía en los márgenes de la ciudad. Es el grito de hombres y mujeres que lo han seguido porque experimentaron su compasión ante su dolor y su miseria… Es el canto y la alegría espontánea de tantos postergados que tocados por Jesús pueden gritar: «Bendito el que llega en nombre del Señor». ¿Cómo no alabar a Aquel que les había devuelto la dignidad y la esperanza? Es la alegría de tantos pecadores perdonados que volvieron a confiar y a esperar. Y estos gritan. Se alegran. Es la alegría.

Esta alegría y alabanza resulta incómoda y se transforma en sinrazón escandalosa para aquellos que se consideran a sí mismos justos y «fieles» a la ley y a los preceptos rituales.[1] Alegría insoportable para quienes han bloqueado la sensibilidad ante el dolor, el sufrimiento y la miseria. Muchos de estos piensan: «¡Mira que pueblo más maleducado!». Alegría intolerable para quienes perdieron la memoria y se olvidaron de tantas oportunidades recibidas. ¡Qué difícil es comprender la alegría y la fiesta de la misericordia de Dios para quien quiere justificarse a sí mismo y acomodarse! ¡Qué difícil es poder compartir esta alegría para quienes solo confían en sus propias fuerzas y se sienten superiores a otros![2]

Y así nace el grito del que no le tiembla la voz para gritar: «¡Crucifícalo!». No es un grito espontáneo, sino el grito armado, producido, que se forma con el desprestigio, la calumnia, cuando se levanta falso testimonio. Es el grito que nace cuando se pasa del hecho a lo que se cuenta, nace de lo que se cuenta. Es la voz de quien manipula la realidad y crea un relato a su conveniencia y no tiene problema en «manchar» a otros para salirse con la suya acomodarse. Esto es un falso relato. El grito del que no tiene problema en buscar los medios para hacerse más fuerte y silenciar las voces disonantes. Es el grito que nace de «trucar» la realidad y pintarla de manera tal que termina desfigurando el rostro de Jesús y lo convierte en un «malhechor». Es la voz del que quiere defender la propia posición desacreditando especialmente a quien no puede defenderse. Es el grito fabricado por la «tramoya» de la autosuficiencia, el orgullo y la soberbia que afirma sin problemas: «Crucifícalo, crucifícalo».

Y así se termina silenciando la fiesta del pueblo, derribando la esperanza, matando los sueños, suprimiendo la alegría; así se termina blindando el corazón, enfriando la caridad. Es el grito del «sálvate a ti mismo» que quiere adormecer la solidaridad, apagar los ideales, insensibilizar la mirada… el grito que quiere borrar la compasión, ese «padecer con», la compasión, que es la debilidad de Dios.

Frente a todos estos titulares, el mejor antídoto es mirar la cruz de Cristo y dejarnos interpelar por su último grito. Cristo murió gritando su amor por cada uno de nosotros; por jóvenes y mayores, santos y pecadores, amor a los de su tiempo y a los de nuestro tiempo. En su cruz hemos sido salvados para que nadie apague la alegría del evangelio; para que nadie, en la situación que se encuentre, quede lejos de la mirada misericordiosa del Padre. Mirar la cruz es dejarse interpelar en nuestras prioridades, opciones y acciones. Es dejar cuestionar nuestra sensibilidad ante el que está pasando o viviendo un momento de dificultad. Hermanos y hermanas: ¿Qué mira nuestro corazón? ¿Jesucristo sigue siendo motivo de alegría y alabanza en nuestro corazón o nos avergüenzan sus prioridades hacia los pecadores, los últimos, y los olvidados?

Y a ustedes, queridos jóvenes, la alegría que Jesús despierta en ustedes es para algunos motivo de enojo e y también de irritación en manos de algunos, ya que un joven alegre es difícil de manipular. ¡Un joven alegre es difícil de manipular!

Pero existe en este día la posibilidad de un tercer grito: «Algunos fariseos de entre la gente le dijeron: Maestro, reprende a tus discípulos» y él responde: «Yo les digo que, si éstos callan, gritarán las piedras» (Lc 19,39-40).

Hacer callar a los jóvenes es una tentación que siempre ha existido. Los mismos fariseos increpan a Jesús y le piden que los calme y silencie.

Hay muchas formas de silenciar y de volver invisibles a los jóvenes. Muchas formas de anestesiarlos y adormecerlos para que no hagan «ruido», para que no se pregunten y cuestionen. «¡Estad callados!». Hay muchas formas de tranquilizarlos para que no se involucren y sus sueños pierdan vuelo y se vuelvan ensoñaciones rastreras, pequeñas, tristes.

En este Domingo de ramos, festejando la Jornada Mundial de la Juventud, nos hace bien escuchar la respuesta de Jesús a los fariseos de ayer y de todos los tiempos, también a los de hoy: «Si ellos callan, gritarán las piedras» (Lc 19,40).

Queridos jóvenes: Está en ustedes la decisión de gritar, está en ustedes decidirse por el Hosanna del domingo para no caer en el «crucifícalo» del viernes... Y está en ustedes no quedarse callados. Si los demás callan, si nosotros los mayores y responsables los dirigentes ―Tantas veces corruptos― callamos, si el mundo calla y pierde alegría, les pregunto: ¿Ustedes gritarán?

Por favor, decídanse antes de que griten las piedras.

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[1] Cf. R. Guardini, El Señor, 383.
[2]
Cf. Exhort. ap. Evangelii gaudium, 94.

[00475-ES.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua portoghese

Jesus entra em Jerusalém. A liturgia convidou-nos a intervir e participar na alegria e na festa do povo que é capaz de aclamar e louvar o seu Senhor; alegria que esmorece, dando lugar a um sabor amargo e doloroso depois que acabamos de ouvir a narração da Paixão. Nesta celebração, parecem cruzar-se histórias de alegria e sofrimento, de erros e sucessos que fazem parte da nossa vida diária como discípulos, porque consegue revelar sentimentos e contradições que hoje em dia, com frequência, aparecem também em nós, homens e mulheres deste tempo: capazes de amar muito... mas também de odiar (e muito!); capazes de sacrifícios heroicos mas também de saber «lavar-se as mãos» no momento oportuno; capazes de fidelidade, mas também de grandes abandonos e traições.

Vê-se claramente em toda a narração evangélica que, para alguns, a alegria suscitada por Jesus é motivo de fastídio e irritação.

Jesus entra na cidade rodeado pelos seus, rodeado por cânticos e gritos rumorosos. Podemos imaginar que são a voz do filho perdoado, a do leproso curado ou o balir da ovelha extraviada que ressoam, intensamente e todos juntos, nesta entrada. É o cântico do publicano e do impuro; é o grito da pessoa que vivia marginalizada da cidade. É o grito de homens e mulheres que O seguiram, porque experimentaram a sua compaixão à vista do sofrimento e miséria deles... É o cântico e a alegria espontânea de tantos marginalizados que, tocados por Jesus, podem gritar: «Bendito seja o que vem em nome do Senhor!» (Mc 11, 9). Como deixar de aclamar Aquele que lhes restituíra a dignidade e a esperança? É a alegria de tantos pecadores perdoados que reencontraram ousadia e esperança. E eles gritam. Rejubilam. É a alegria.

Estas aclamações de alegria aparecem incómodas e tornam-se absurdas e escandalosas para aqueles que se consideram justos e «fiéis» à lei e aos preceitos rituais [cf. R. Guardini, Il Signore (Brescia-Milão 2005), 344-345]. Uma alegria insuportável para quantos reprimiram a sensibilidade face à angústia, ao sofrimento e à miséria. Mas, destes, muitos pensam: «Olha que povo mal educado!» Uma alegria intolerável para quantos perderam a memória e se esqueceram das inúmeras oportunidades por eles usufruídas. Como é difícil, para quem procura justificar-se e salvar-se a si mesmo, compreender a alegria e a festa da misericórdia de Deus! Como é difícil, para quantos confiam apenas nas suas próprias forças e se sentem superiores aos outros, poder compartilhar esta alegria! (cf. Francisco, Exort. ap. Evangelii gaudium, 94).

E daqui nasce o grito da pessoa a quem não treme a voz para bradar: «Crucifica-O!» (Mc 15, 13). Não é um grito espontâneo, mas grito pilotado, construído, que se forma com o desprezo, a calúnia, a emissão de testemunhos falsos. É o grito que nasce na passagem dos factos à sua narração, nasce da narração. É a voz de quem manipula a realidade criando uma versão favorável a si próprio e não tem problemas em «tramar» os outros para ele mesmo se ver livre. Trata-se duma [falsa] narração. O grito de quem não tem escrúpulos em procurar os meios para reforçar a sua posição e silenciar as vozes dissonantes. É o grito que nasce de «maquilhar» a realidade, pintando-a de tal maneira que acabe por desfigurar o rosto de Jesus fazendo-O aparecer como um «malfeitor». É a voz de quem deseja defender a sua posição, desacreditando especialmente quem não se pode defender. É o grito produzido pelas «intrigas» da autossuficiência, do orgulho e da soberba, que proclama sem problemas: «crucifica-O, crucifica-O!»

E deste modo, no fim, silencia-se a festa do povo, destrói-se a esperança, matam-se os sonhos, suprime-se a alegria; deste modo, no fim, blinda-se o coração, resfria-se a caridade. É o grito do «salva-te a ti mesmo» que pretende adormecer a solidariedade, apagar os ideais, tornar insensível o olhar... O grito que pretende cancelar a compaixão, aquele «padecer com», a compaixão, que é o «ponto fraco» de Deus.

Perante todas estas vozes que gritam, o melhor antídoto é olhar a cruz de Cristo e deixar-se interpelar pelo seu último grito. Cristo morreu, gritando o seu amor por cada um de nós: por jovens e idosos, santos e pecadores, amor pelos do seu tempo e pelos do nosso tempo. Na sua cruz, fomos salvos para que ninguém apague a alegria do Evangelho; para que ninguém, na própria situação em que se encontra, permaneça longe do olhar misericordioso do Pai. Olhar a cruz significa deixar-nos interpelar nas nossas prioridades, escolhas e ações. Significa deixar-nos interrogar sobre a nossa sensibilidade face a quem está a passar ou a viver momentos de dificuldade. Irmãos e irmãs, que vê o nosso coração? Jesus continua a ser motivo de alegria e louvor no nosso coração ou envergonhamo-nos das suas prioridades para com os pecadores, os últimos, os abandonados?

E no vosso caso, queridos jovens, a alegria que Jesus suscita em vós é, para alguns, motivo de fastídio e também irritação, porque um jovem alegre é difícil de manipular. Um jovem alegre é difícil de manipular.

Neste dia, porém, existe a possibilidade de um terceiro grito: «Alguns fariseus disseram-Lhe, do meio da multidão: “Mestre, repreende os teus discípulos”. Jesus retorquiu: “Digo-vos que, se eles se calarem, gritarão as pedras”» (Lc 19, 39-40).

Calar os jovens é uma tentação que sempre existiu. Os próprios fariseus inculpam Jesus, pedindo-Lhe que os acalme e faça estar calados.

Há muitas maneiras de tornar os jovens silenciosos e invisíveis. Muitas maneiras de os anestesiar e adormecer para que não façam «barulho», para que não se interroguem nem ponham em discussão. «Vós… calai-vos!» Há muitas maneiras de os fazer estar tranquilos, para que não se envolvam, e os seus sonhos percam altura tornando-se fantastiquices rasteiras, mesquinhas, tristes.

Neste Domingo de Ramos, em que celebramos o Dia Mundial da Juventude, faz-nos bem ouvir a resposta de Jesus aos fariseus de ontem e de todos os tempos (também os de hoje): «Se eles se calarem, gritarão as pedras» (Lc 19, 40).

Queridos jovens, cabe a vós a decisão de gritar, cabe a vós decidir-vos pelo Hossana do domingo para não cair no «crucifica-O» de sexta-feira... E cabe a vós não ficar calados. Se os outros calam, se nós, idosos e responsáveis (tantas vezes corruptos), silenciamos, se o mundo se cala e perde a alegria, pergunto-vos: vós gritareis?

Por favor, decidi-vos antes que gritem as pedras.

[00475-PO.02] [Texto original: Italiano]

[B0222-XX.02]