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Lettera “Placuit Deo” della Congregazione per la Dottrina della Fede ai Vescovi della Chiesa cattolica su alcuni aspetti della salvezza cristiana, 01.03.2018


Testo in lingua italiana

Traduzione in lingua francese

Traduzione in lingua inglese

Traduzione in lingua tedesca

Traduzione in lingua spagnola

Traduzione in lingua portoghese

Testo in lingua italiana

CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE

Lettera Placuit Deo
ai Vescovi della Chiesa cattolica
su alcuni aspetti della salvezza cristiana

I. Introduzione

1. «Piacque a Dio nella sua bontà e sapienza rivelare se stesso e far conoscere il mistero della sua volontà (cf. Ef 1,9), mediante il quale gli uomini per mezzo di Cristo, Verbo fatto carne, nello Spirito hanno accesso al Padre e sono resi partecipi della divina natura (cf. Ef 2,18; 2 Pt 1,4). [...] La profonda verità [...] su Dio e sulla salvezza degli uomini, per mezzo di questa rivelazione risplende a noi nel Cristo, il quale è insieme il mediatore e la pienezza di tutta la rivelazione».[1] L’insegnamento sulla salvezza in Cristo esige di essere sempre nuovamente approfondito. Tenendo fisso lo sguardo sul Signore Gesù, la Chiesa si volge con amore materno a tutti gli uomini, per annunciare loro l’intero disegno d’Alleanza del Padre che, mediante lo Spirito Santo, vuole «ricondurre al Cristo, unico capo, tutte le cose» (Ef 1,10). La presente Lettera intende mettere in evidenza, nel solco della grande tradizione della fede e con particolare riferimento all’insegnamento di Papa Francesco, alcuni aspetti della salvezza cristiana che possono essere oggi difficili da comprendere a causa delle recenti trasformazioni culturali.

II. L’incidenza delle odierne trasformazioni culturali sul significato della salvezza cristiana

2. Il mondo contemporaneo avverte non senza difficoltà la confessione di fede cristiana, che proclama Gesù unico Salvatore di tutto l’uomo e dell’umanità intera (cf. At 4,12; Rom 3,23-24; 1 Tm 2,4-5; Tit 2,11-15).[2] Da una parte, l’individualismo centrato sul soggetto autonomo tende a vedere l’uomo come essere la cui realizzazione dipende dalle sole sue forze.[3] In questa visione, la figura di Cristo corrisponde più ad un modello che ispira azioni generose, con le sue parole e i suoi gesti, che non a Colui che trasforma la condizione umana, incorporandoci in una nuova esistenza riconciliata con il Padre e tra noi mediante lo Spirito (cf. 2 Cor 5,19; Ef 2,18). D’altra parte, si diffonde la visione di una salvezza meramente interiore, la quale suscita magari una forte convinzione personale, oppure un intenso sentimento, di essere uniti a Dio, ma senza assumere, guarire e rinnovare le nostre relazioni con gli altri e con il mondo creato. Con questa prospettiva diviene difficile cogliere il senso dell’Incarnazione del Verbo, per cui Egli si è fatto membro della famiglia umana, assumendo la nostra carne e la nostra storia, per noi uomini e per la nostra salvezza.

3. Il Santo Padre Francesco, nel suo magistero ordinario, ha fatto spesso riferimento a due tendenze che rappresentano le due deviazioni appena accennate e che assomigliano in taluni aspetti a due antiche eresie, il pelagianesimo e lo gnosticismo.[4] Nei nostri tempi prolifera un neo-pelagianesimo per cui l’individuo, radicalmente autonomo, pretende di salvare sé stesso, senza riconoscere che egli dipende, nel più profondo del suo essere, da Dio e dagli altri. La salvezza si affida allora alle forze del singolo, oppure a delle strutture puramente umane, incapaci di accogliere la novità dello Spirito di Dio.[5] Un certo neo-gnosticismo, dal canto suo, presenta una salvezza meramente interiore, rinchiusa nel soggettivismo.[6] Essa consiste nell’elevarsi «con l’intelletto al di là della carne di Gesù verso i misteri della divinità ignota».[7] Si pretende così di liberare la persona dal corpo e dal cosmo materiale, nei quali non si scoprono più le tracce della mano provvidente del Creatore, ma si vede solo una realtà priva di senso, aliena dall’identità ultima della persona, e manipolabile secondo gli interessi dell’uomo.[8] È chiaro, d’altronde, che la comparazione con le eresie pelagiana e gnostica intende solo evocare dei tratti generali comuni, senza entrare in giudizi sull’esatta natura degli antichi errori. Grande è, infatti, la differenza tra il contesto storico odierno secolarizzato e quello dei primi secoli cristiani, in cui queste eresie sono nate.[9] Tuttavia, in quanto lo gnosticismo e il pelagianesimo rappresentano pericoli perenni di fraintendimento della fede biblica, è possibile trovare una certa familiarità con i movimenti odierni appena descritti.

4. Sia l’individualismo neo-pelagiano che il disprezzo neo-gnostico del corpo sfigurano la confessione di fede in Cristo, Salvatore unico e universale. Come potrebbe Cristo mediare l’Alleanza dell’intera famiglia umana, se l’uomo fosse un individuo isolato, il quale si autorealizza con le sole sue forze, come propone il neo-pelagianesimo? E come potrebbe arrivarci la salvezza mediante l’Incarnazione di Gesù, la sua vita, morte e risurrezione nel suo vero corpo, se quel che conta fosse solo liberare l’interiorità dell’uomo dai limiti del corpo e dalla materia, secondo la visione neo-gnostica? Davanti a queste tendenze la presente Lettera vuole ribadire che la salvezza consiste nella nostra unione con Cristo, il quale, con la sua Incarnazione, vita, morte e risurrezione, ha generato un nuovo ordine di relazioni con il Padre e tra gli uomini, e ci ha introdotto in quest’ordine grazie al dono del suo Spirito, affinché possiamo unirci al Padre come figli nel Figlio, e diventare un solo corpo nel «primogenito tra molti fratelli» (Rom 8,29).

III. L’aspirazione umana alla salvezza

5. L’uomo percepisce, direttamente o indirettamente, di essere un enigma: Chi sono io che esisto, ma non ho in me il principio del mio esistere? Ogni persona, a suo modo, cerca la felicità, e tenta di conseguirla facendo ricorso alle risorse che ha a disposizione. Tuttavia, questa aspirazione universale non è necessariamente espressa o dichiarata; anzi, essa è più segreta e nascosta di quanto possa apparire, ed è pronta a rivelarsi dinanzi a particolari emergenze. Molto spesso essa coincide con la speranza della salute fisica, talvolta assume la forma dell’ansia per un maggior benessere economico, diffusamente si esprime mediante il bisogno di pace interiore e di una serena convivenza col prossimo. D’altra parte, mentre la domanda di salvezza si presenta come un impegno verso un bene maggiore, essa conserva anche il carattere di resistenza e di superamento del dolore. Alla lotta di conquista del bene si affianca la lotta di difesa dal male: dall’ignoranza e dall’errore, dalla fragilità e dalla debolezza, dalla malattia e dalla morte.

6. Riguardo a queste aspirazioni la fede in Cristo ci insegna, rifiutando ogni pretesa di auto-realizzazione, che esse solo si possono compiere pienamente se Dio stesso lo rende possibile, attirandoci verso di Sé. La salvezza piena della persona non consiste nelle cose che l’uomo potrebbe ottenere da sé, come il possesso o il benessere materiale, la scienza o la tecnica, il potere o l’influsso sugli altri, la buona fama o l’autocompiacimento.[10] Niente di creato può soddisfare del tutto l’uomo, perché Dio ci ha destinati alla comunione con Lui e il nostro cuore sarà inquieto finché non riposi in Lui.[11] «La vocazione ultima dell’uomo è effettivamente una sola, quella divina».[12] La rivelazione, in questo modo, non si limita ad annunciare la salvezza come risposta all’attesa contemporanea. «Se la redenzione, al contrario, dovesse essere giudicata o misurata secondo i bisogni esistenziali degli esseri umani, come si potrebbe evitare il sospetto di avere semplicemente creato un Dio Redentore fatto a immagine del nostro bisogno?».[13]

7. Inoltre è necessario affermare che, secondo la fede biblica, l’origine del male non si trova nel mondo materiale e corporeo, sperimentato come un limite o come una prigione dalla quale dovremmo essere salvati. Al contrario, la fede proclama che tutto il cosmo è buono, in quanto creato da Dio (cf. Gen 1,31; Sap 1,13-14; 1Tim 4,4), e che il male che più danneggia l’uomo è quello che procede dal suo cuore (cf. Mt 15,18-19; Gen 3,1-19). Peccando, l’uomo ha abbandonato la sorgente dell’amore, e si perde in forme spurie di amore, che lo chiudono sempre di più in sé stesso. È questa separazione da Dio –– da Colui che è fonte di comunione e di vita –– che porta alla perdita dell’armonia tra gli uomini e degli uomini con il mondo, introducendo il dominio della disgregazione e della morte (cf. Rom 5,12). In conseguenza, la salvezza che la fede ci annuncia non riguarda soltanto la nostra interiorità, ma il nostro essere integrale. È tutta la persona, infatti, in corpo e anima, che è stata creata dall’amore di Dio a sua immagine e somiglianza, ed è chiamata a vivere in comunione con Lui.

IV. Cristo, Salvatore e Salvezza

8. In nessun momento del cammino dell’uomo Dio ha smesso di offrire la sua salvezza ai figli di Adamo (cf. Gen 3,15), stabilendo un’alleanza con tutti gli uomini in Noè (cf. Gen 9,9) e, più tardi, con Abramo e la sua discendenza (cf. Gen 15,18). La salvezza divina assume così l’ordine creaturale condiviso da tutti gli uomini e percorre il loro cammino concreto nella storia. Scegliendosi un popolo, al quale ha offerto i mezzi per lottare contro il peccato e per avvicinarsi a Lui, Dio ha preparato la venuta di «un Salvatore potente, nella casa di Davide, suo servo» (Lc 1,69). Nella pienezza dei tempi, il Padre ha inviato al mondo suo Figlio, il quale ha annunciato il regno di Dio, guarendo ogni sorta di malattie (cf. Mt 4,23). Le guarigioni operate da Gesù, nelle quali si rendeva presente la provvidenza di Dio, erano un segno che rinviava alla sua persona, a Colui che si è pienamente rivelato come Signore della vita e della morte nel suo evento pasquale. Secondo il Vangelo, la salvezza per tutti i popoli ha inizio con l’accoglienza di Gesù: «Oggi per questa casa è venuta la salvezza» (Lc 19,9). La buona notizia della salvezza ha un nome e un volto: Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore. «All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e, con ciò, la direzione decisiva».[14]

9. La fede cristiana, lungo la sua secolare tradizione, ha illustrato, mediante molteplici figure, quest’opera salvifica del Figlio incarnato. Lo ha fatto senza mai separare l’aspetto sanante della salvezza, per cui Cristo ci riscatta dal peccato, dall’aspetto elevante, per cui Egli ci rende figli di Dio, partecipi della sua natura divina (cf. 2 Pt 1,4). Considerando la prospettiva salvifica in senso discendente (a partire da Dio che viene a riscattare gli uomini), Gesù è illuminatore e rivelatore, redentore e liberatore, Colui che divinizza l’uomo e lo giustifica. Assumendo la prospettiva ascendente (a partire dagli uomini che si rivolgono a Dio), Egli è Colui che, quale Sommo Sacerdote della Nuova Alleanza, offre al Padre, in nome degli uomini, il culto perfetto: si sacrifica, espia i peccati e rimane sempre vivo per intercedere a nostro favore. In questo modo appare, nella vita di Gesù, una mirabile sinergia dell’agire divino con l’agire umano, che mostra l’infondatezza della prospettiva individualista. Da una parte, infatti, il senso discendente testimonia la primazia assoluta dell’azione gratuita di Dio; l’umiltà di ricevere i doni di Dio, prima di ogni nostro operare, è essenziale per poter rispondere al suo amore salvifico. D’altra parte, il senso ascendente ci ricorda che, mediante l’agire pienamente umano del suo Figlio, il Padre ha voluto rigenerare il nostro agire, affinché, assimilati a Cristo, possiamo compiere «le opere buone, che Dio ha preparato perché in esse camminassimo» (Ef 2,10).

10. È chiaro, inoltre, che la salvezza che Gesù ha portato nella sua stessa persona non avviene in modo soltanto interiore. Infatti, per poter comunicare ad ogni persona la comunione salvifica con Dio, il Figlio si è fatto carne (cf. Gv 1,14). È proprio assumendo la carne (cf. Rom 8,3; Eb 2,14; 1 Gv 4,2), nascendo da donna (cf. Gal 4,4), che «il Figlio di Dio si è fatto figlio dell’uomo»[15] e nostro fratello (cf. Eb 2,14). Così, in quanto Egli è entrato a far parte della famiglia umana, «si è unito, in certo modo, ad ogni uomo»[16] e ha stabilito un nuovo ordine di rapporti con Dio, suo Padre, e con tutti gli uomini, in cui possiamo essere incorporati per partecipare alla sua stessa vita. In conseguenza, l’assunzione della carne, lungi dal limitare l’azione salvifica di Cristo, gli permette di mediare in modo concreto la salvezza di Dio per tutti i figli di Adamo.

11. In conclusione, per rispondere, sia al riduzionismo individualista di tendenza pelagiana, sia a quello neo-gnostico che promette una liberazione meramente interiore, bisogna ricordare il modo in cui Gesù è Salvatore. Egli non si è limitato a mostrarci la via per incontrare Dio, una via che potremmo poi percorrere per conto nostro, obbedendo alle sue parole e imitando il suo esempio. Cristo, piuttosto, per aprirci la porta della liberazione, è diventato Egli stesso la via: «Io sono la via» (Gv 14,6).[17] Inoltre, questa via non è un percorso meramente interiore, al margine dei nostri rapporti con gli altri e con il mondo creato. Al contrario, Gesù ci ha donato una «via nuova e vivente che Egli ha inaugurato per noi attraverso [...] la sua carne» (Eb 10,20). Insomma, Cristo è Salvatore in quanto ha assunto la nostra umanità integrale e ha vissuto una vita umana piena, in comunione con il Padre e con i fratelli. La salvezza consiste nell’incorporarci a questa sua vita, ricevendo il suo Spirito (cf. 1 Gv 4,13). Egli è diventato così, «in certo qual modo, il principio di ogni grazia secondo l’umanità».[18] Egli è, allo stesso tempo, il Salvatore e la Salvezza.

V. La Salvezza nella Chiesa, corpo di Cristo

12. Il luogo dove riceviamo la salvezza portata da Gesù è la Chiesa, comunità di coloro che, essendo stati incorporati al nuovo ordine di relazioni inaugurato da Cristo, possono ricevere la pienezza dello Spirito di Cristo (cf. Rom 8,9). Comprendere questa mediazione salvifica della Chiesa è un aiuto essenziale per superare ogni tendenza riduzionista. La salvezza che Dio ci offre, infatti, non si ottiene con le sole forze individuali, come vorrebbe il neo-pelagianesimo, ma attraverso i rapporti che nascono dal Figlio di Dio incarnato e che formano la comunione della Chiesa. Inoltre, dato che la grazia che Cristo ci dona non è, come pretende la visione neo-gnostica, una salvezza meramente interiore, ma che ci introduce nelle relazioni concrete che Lui stesso ha vissuto, la Chiesa è una comunità visibile: in essa tocchiamo la carne di Gesù, in modo singolare nei fratelli più poveri e sofferenti. Insomma, la mediazione salvifica della Chiesa, «sacramento universale di salvezza»,[19] ci assicura che la salvezza non consiste nell’auto-realizzazione dell’individuo isolato, e neppure nella sua fusione interiore con il divino, ma nell’incorporazione in una comunione di persone, che partecipa alla comunione della Trinità.

13. Sia la visione individualistica sia quella meramente interiore della salvezza contraddicono anche l’economia sacramentale tramite la quale Dio ha voluto salvare la persona umana. La partecipazione, nella Chiesa, al nuovo ordine di rapporti inaugurati da Gesù avviene tramite i sacramenti, tra i quali il Battesimo è la porta,[20] e l’Eucaristia la sorgente e il culmine.[21] Si vede così, da una parte, l’inconsistenza delle pretese di auto-salvezza, che contano sulle sole forze umane. La fede confessa, al contrario, che siamo salvati tramite il Battesimo, il quale ci imprime il carattere indelebile dell’appartenenza a Cristo e alla Chiesa, da cui deriva la trasformazione del nostro modo concreto di vivere i rapporti con Dio, con gli uomini e con il creato (cf. Mt 28,19). Così, purificati dal peccato originale e da ogni peccato, siamo chiamati ad una nuova esistenza conforme a Cristo (cf. Rom 6,4). Con la grazia dei sette sacramenti, i credenti continuamente crescono e si rigenerano, soprattutto quando il cammino si fa più faticoso e non mancano le cadute. Quando essi, peccando, abbandonano il loro amore per Cristo, possono essere reintrodotti, mediante il sacramento della Penitenza, all’ordine di rapporti inaugurato da Gesù, per camminare come ha camminato Lui (cf. 1 Gv 2,6). In questo modo guardiamo con speranza l’ultimo giudizio, in cui ogni persona sarà giudicata sulla concretezza del suo amore (cf. Rom 13,8-10), specialmente verso i più deboli (cf. Mt 25,31-46).

14. L’economia salvifica sacramentale si oppone anche alle tendenze che propongono una salvezza meramente interiore. Lo gnosticismo, infatti, si associa ad uno sguardo negativo sull’ordine creaturale, compreso come limitazione della libertà assoluta dello spirito umano. Di conseguenza, la salvezza è vista come liberazione dal corpo e dalle relazioni concrete in cui vive la persona. In quanto siamo salvati, invece, «per mezzo dell’offerta del corpo di Gesù Cristo» (Eb 10,10; cf. Col 1,22), la vera salvezza, lungi dall’essere liberazione dal corpo, include anche la sua santificazione (cf. Rom 12,1). Il corpo umano è stato modellato da Dio, il quale ha inscritto in esso un linguaggio che invita la persona umana a riconoscere i doni del Creatore e a vivere in comunione con i fratelli.[22] Il Salvatore ha ristabilito e rinnovato, con la sua Incarnazione e il suo mistero pasquale, questo linguaggio originario e ce lo ha comunicato nell’economia corporale dei sacramenti. Grazie ai sacramenti i cristiani possono vivere in fedeltà alla carne di Cristo e, in conseguenza, in fedeltà all’ordine concreto di rapporti che Egli ci ha donato. Quest’ordine di rapporti richiede, in modo particolare, la cura dell’umanità sofferente di tutti gli uomini, tramite le opere di misericordia corporali e spirituali.[23]

VI. Conclusione: comunicare la fede, in attesa del Salvatore

15. La consapevolezza della vita piena in cui Gesù Salvatore ci introduce spinge i cristiani alla missione, per annunciare a tutti gli uomini la gioia e la luce del Vangelo.[24] In questo sforzo saranno anche pronti a stabilire un dialogo sincero e costruttivo con i credenti di altre religioni, nella fiducia che Dio può condurre verso la salvezza in Cristo «tutti gli uomini di buona volontà, nel cui cuore lavora invisibilmente la grazia».[25] Mentre si dedica con tutte le sue forze all’evangelizzazione, la Chiesa continua ad invocare la venuta definitiva del Salvatore, poiché «nella speranza siamo stati salvati» (Rom 8,24). La salvezza dell’uomo sarà compiuta solo quando, dopo aver vinto l’ultimo nemico, la morte (cf. 1 Cor 15,26), parteciperemo compiutamente alla gloria di Gesù risorto, che porterà a pienezza la nostra relazione con Dio, con i fratelli e con tutto il creato. La salvezza integrale, dell’anima e del corpo, è il destino finale al quale Dio chiama tutti gli uomini. Fondati nella fede, sostenuti dalla speranza, operanti nella carità, sull’esempio di Maria, la Madre del Salvatore e la prima dei salvati, siamo certi che «la nostra cittadinanza è nei cieli e di là aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo, il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso, in virtù del potere che egli ha di sottomettere a sé tutte le cose» (Fil 3,20-21).

Il Sommo Pontefice Francesco, in data 16 febbraio 2018, ha approvato questa Lettera, decisa nella Sessione Plenaria di questa Congregazione il 24 gennaio 2018, e ne ha ordinato la pubblicazione.

Dato a Roma, dalla Sede della Congregazione per la Dottrina della Fede, il 22 febbraio 2018, Festa della Cattedra di San Pietro.

+ Luis F. Ladaria, S.I.
Arcivescovo titolare di Thibica
Prefetto

+ Giacomo Morandi
Arcivescovo titolare di Cerveteri
Segretario

_______________________

[1] Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Dei Verbum, n. 2.
[2]
Cf. Congregazione per la Dottrina della Fede, Dich. Dominus Iesus (6 agosto 2000), nn. 5-8: AAS 92 (2000), 745-749.
[3]
Cf. Francesco, Esort. apost. Evangelii gaudium (24 novembre 2013), n. 67: AAS 105 (2013), 1048.
[4]
Cf. Id., Lett. enc. Lumen fidei (29 giugno 2013), n. 47: AAS 105 (2013), 586-587; Esort. apost. Evangelii gaudium, nn. 93-94: AAS (2013), 1059; Discorso ai rappresentanti del V Convegno nazionale della Chiesa italiana, Firenze (10 novembre 2015): AAS 107 (2015), 1287.
[5]
Cf. Id., Discorso ai rappresentanti del V Convegno nazionale della Chiesa italiana, Firenze (10 novembre 2015): AAS 107 (2015), 1288.
[6]
Cf. Id., Esort. apost. Evangelii gaudium, n. 94: AAS 105 (2013), 1059: «il fascino dello gnosticismo, una fede rinchiusa nel soggettivismo, dove interessa unicamente una determinata esperienza o una serie di ragionamenti e conoscenze che si ritiene possano confortare e illuminare, ma dove il soggetto in definitiva rimane chiuso nell’immanenza della sua propria ragione o dei suoi sentimenti»; Pontificio Consiglio della Cultura –– Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso, Gesù Cristo, portatore dell’acqua viva. Una riflessione cristiana sul “New Age” (gennaio 2003), Città del Vaticano 2003.
[7]
Francesco, Lett. enc. Lumen fidei, n. 47: AAS 105 (2013), 586-587.
[8]
Cf. Id., Discorso ai partecipanti al pellegrinaggio della diocesi di Brescia (22 giugno 2013): AAS 95 (2013), 627: «in questo mondo dove si nega l’uomo, dove si preferisce andare sulla strada dello gnosticismo, [...] del “niente carne” - un Dio che non si è fatto carne [...]».
[9]
Secondo l’eresia pelagiana, sviluppatasi durante il secolo V intorno a Pelagio, l’uomo, per compiere i comandamenti di Dio ed essere salvato, ha bisogno della grazia solo come un aiuto esterno alla sua libertà (a modo di luce, esempio, forza), ma non come una sanazione e rigenerazione radicale della libertà, senza merito previo, affinché egli possa operare il bene e raggiungere la vita eterna.
Più complesso è il movimento gnostico, sorto nei secoli I e II, e che conosce forme molto diverse tra di loro. In linea generale gli gnostici credevano che la salvezza si ottiene attraverso una conoscenza esoterica o “gnosi”. Tale gnosi rivela allo gnostico la sua vera essenza, vale a dire, una scintilla dello Spirito divino che abita nella sua interiorità, la quale deve essere liberata dal corpo, estraneo alla sua vera umanità. Solo in questo modo lo gnostico ritorna al suo essere originario in Dio, da cui si era allontanato per una caduta primordiale.
[10]
Cf. Tommaso, Summa theologiae, I-II, q. 2.
[11]
Cf. Agostino, Confessioni, I, 1: Corpus Christianorum, 27,1.
[12]
Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. Gaudium et spes, n. 22.
[13]
Commissione Teologica Internazionale, Alcune questioni sulla teologia della redenzione, 1995, n. 2: Commissione Teologica Internazionale Documenti 1969 –– 2004 (Bologna 2006), 500.
[14]
Benedetto XVI, Lett. enc. Deus caritas est (25 dicembre 2005), n. 1: AAS 98 (2006), 217; cf. Francesco, Esort. apost. Evangelii gaudium, n. 3: AAS 105 (2013), 1020.
[15]
Ireneo, Adversus haereses, III, 19,1: Sources Chrétiennes, 211, 374.
[16]
Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. Gaudium et spes, n. 22.
[17]
Cf. Agostino, Tractatus in Ioannem, 13, 4: Corpus Christianorum, 36, 132: «Io sono la via, la verità e la vita (Gv 14,6). Se cerchi la verità segui la via; perché la via è lo stesso che la verità. La meta cui tendi e la via che devi percorrere, sono la stessa cosa. Non puoi giungere alla meta seguendo un’altra via; per altra via non puoi giungere a Cristo: a Cristo puoi giungere solo per mezzo di Cristo. In che senso arrivi a Cristo per mezzo di Cristo? Arrivi a Cristo Dio per mezzo di Cristo uomo; per mezzo del Verbo fatto carne arrivi al Verbo che era in principio Dio presso Dio».
[18]
Tommaso, Quaestio de veritate, q. 29, a. 5, co.
[19]
Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 48.
[20]
Cf. Tommaso, Summa theologiae, III, q. 63, a. 3.
[21]
Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 11; Cost. Sacrosanctum Concilium, n. 10.
[22]
Cf. Francesco, Lett. enc. Laudato si’ (24 maggio 2015), n. 155: AAS 107 (2015), 909-910.
[23]
Cf. Id., Lett. apost. Misericordia et misera (20 novembre 2016) , n. 20: AAS 108 (2016), 1325-1326.
[24]
Cf. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptoris missio (7 dicembre 1990), n. 40: AAS 83 (1991), 287-288; Francesco, Esort. apost. Evangelii gaudium, nn. 9-13: AAS 105 (2013), 1022-1025.
[25]
Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. Gaudium et spes, n. 22.

[00317-IT.01] [Testo originale: Italiano]

Testo in lingua francese

CONGREGATION POUR LA DOCTRINE DE LA FOI

Lettre Placuit Deo
aux Évêques de l’Église catholique
sur certains aspects du salut chrétien

I. Introduction

1. « Il a plu à Dieu dans sa bonté et sa sagesse de se révéler en personne et de faire connaître le mystère de sa volonté (cf. Ep 1, 9) grâce auquel les hommes, par le Christ, le Verbe fait chair, accèdent dans l’Esprit Saint auprès du Père et sont rendus participants de la nature divine (cf. Ep 2, 18 ; 2 P 1, 4). La profonde vérité [...] sur Dieu et sur le salut de l’homme, resplendit pour nous dans le Christ, qui est à la fois le Médiateur et la plénitude de toute la Révélation ».[1] L’enseignement sur le salut dans le Christ demande à être toujours à nouveau approfondi. En tenant le regard fixé sur le Seigneur Jésus, l’Église se tourne avec amour maternel vers tous les hommes, pour leur annoncer l’ensemble du dessein d’alliance du Père qui, par l’Esprit Saint, veut « ramener toutes choses au Christ, chef unique » (Ep 1, 10). Dans le sillon de la grande tradition de la foi et en se référant particulièrement à l’enseignement du Pape François, la présente Lettre entend mettre en évidence quelques aspects du salut chrétien, qui peuvent être aujourd’hui difficiles à comprendre à cause des récentes transformations culturelles.

II. L’incidence des transformations culturelles contemporaines sur le sens du salut chrétien

2. Le monde contemporain n’entend pas sans mal la confession de foi chrétienne, qui proclame Jésus comme l’unique Sauveur de tout l’homme et de l’humanité entière (cf. Ac 4, 12 ; Rm 3, 23-24 ; 1 Tm 2, 4-5 ; Tt 2, 11-15).[2] D’une part, l’individualisme centré sur le sujet autonome tend à voir l’homme comme un être dont la réalisation dépend de ses seules forces.[3] Dans cette vision, la figure du Christ correspond plus à celle d’un modèle qui inspire des actions généreuses, avec ses paroles et ses gestes, qu’à celle de Celui qui transforme la condition humaine, en nous incorporant à une nouvelle existence réconciliée par l’Esprit avec le Père et entre nous (cf. 2 Co 5, 19 ; Ep 2,18). D’autre part, on voit se diffuser la vision d’un salut purement intérieur, qui suscite peut-être une forte conviction personnelle ou le sentiment intense d’être uni à Dieu, mais sans que soient assumées, guéries et renouvelées nos relations avec les autres et avec le monde créé. Dans cette perspective, il devient difficile de saisir le sens de l’Incarnation du Verbe, qui L’a fait membre de la famille humaine, en assumant notre chair et notre histoire, pour nous les hommes et pour notre salut.

3. Dans son magistère ordinaire, le Pape François s’est souvent référé à deux tendances qui représentent les deux déviances mentionnées ci-dessus, lesquelles ressemblent par certains aspects à deux hérésies de l’Antiquité, le pélagianisme et le gnosticisme.[4] Notre époque est envahie par un néo-pélagianisme, qui donne à l’individu, radicalement autonome, la prétention de se sauver lui-même, sans reconnaître qu’au plus profond de son être, il dépend de Dieu et des autres. Le salut repose alors sur les forces personnelles de chacun ou sur des structures purement humaines, incapables d’accueillir la nouveauté de l’Esprit de Dieu.[5] De son côté, un certain néo-gnosticisme présente un salut purement intérieur, enfermé dans le subjectivisme.[6] Ce salut consiste à s’élever « par l’intelligence au-delà de la chair de Jésus jusqu’aux mystères de la divinité inconnue ».[7] On prétend libérer la personne du corps et du monde matériel, où ne se voient plus les traces de la main secourable du Créateur, mais seulement une réalité privée de sens, étrangère à l’identité ultime de la personne et manipulable au gré des intérêts de l’homme.[8] Il est clair, d’autre part, que la comparaison avec les hérésies pélagienne et gnostique ne peut évoquer que des traits communs généraux, sans entrer dans des jugements sur la nature exacte des erreurs antiques. En effet, il existe une grande différence entre le contexte sécularisé d’aujourd’hui et celui des premiers siècles chrétiens au cours desquels sont nées ces hérésies.[9] Toutefois, dans la mesure où le gnosticisme et le pélagianisme représentent des dangers permanents de déformation de la foi biblique, il est possible de leur trouver une certaine ressemblance avec les mouvements contemporains que l’on vient de décrire.

4. L’individualisme néo-pélagien et le mépris néo-gnostique du corps défigurent la confession de foi au Christ, Sauveur unique et universel. Comment le Christ pourrait-il être le médiateur de l’Alliance avec toute la famille humaine, si l’homme est un individu isolé qui s’auto-réalise par ses seules forces, tel que le présente le néo-pélagianisme ? Comment le salut pourrait-il nous parvenir par l’Incarnation de Jésus, sa vie, sa mort et sa résurrection dans son véritable corps, s’il ne s’agissait que de libérer l’intériorité de l’homme des limites du corps et de la matière, selon la vision néo-gnostique ? Face à ces tendances, la présente Lettre veut redire que le salut consiste dans notre union avec le Christ qui, par son Incarnation, sa vie, sa mort et sa résurrection, a fait naître un nouvel ordre de relations avec le Père et entre les hommes, et nous a introduits dans cet ordre grâce au don de son Esprit, afin que nous puissions nous unir au Père comme fils dans le Fils, et devenir un seul corps dans « le premier-né de nombreux frères » (Rm 8, 29).

III. L’aspiration humaine au salut

5. L’homme perçoit, directement ou indirectement, qu’il est une énigme : qui suis-je, moi qui existe sans avoir en moi le principe de mon être ? Toute personne recherche le bonheur à sa manière et tente de l’atteindre en ayant recours aux ressources dont elle dispose. Toutefois, cette aspiration universelle n’est pas nécessairement exprimée ou déclarée ; au contraire, elle est plus secrète et cachée qu’il n’y paraît, prête à se révéler face à des urgences particulières. Très souvent, elle coïncide avec l’espoir de la santé physique ; parfois, elle prend la forme du désir anxieux d’un plus grand bien-être économique ; de manière diffuse, elle s’exprime par le besoin d’une paix intérieure et d’une vie pacifique avec le prochain. D’autre part, tout en se présentant comme le désir d’un bien plus grand, la recherche du salut garde aussi un caractère de résistance et de dépassement de la douleur. À la lutte pour la conquête du bien se joint la lutte contre le mal, mal de l’ignorance et de l’erreur, mal de la fragilité et de la faiblesse, mal de la maladie et de la mort.

6. Par son refus de toute prétention à l’auto-réalisation, la foi au Christ nous l’apprend, ces aspirations ne peuvent trouver leur accomplissement plénier que si Dieu lui-même les rend possibles, en nous attirant à Lui. Le salut total de la personne ne consiste pas en ce que l’homme pourrait obtenir par lui-même, comme la richesse ou le bien-être matériel, la science ou la technique, le pouvoir ou l’influence sur les autres, la bonne réputation ou l’auto-satisfaction.[10] Rien de créé ne peut satisfaire entièrement l’homme, parce que Dieu nous a destinés à être en communion avec Lui, et notre cœur sera sans repos tant qu’il ne reposera pas en Lui.[11] « La vocation dernière de l’homme est réellement unique, à savoir divine ».[12] Ainsi la révélation ne se limite-t-elle pas à annoncer le salut comme une réponse à l’attente contemporaine. « S’il fallait, à l’inverse, juger ou évaluer la rédemption d’après les besoins existentiels des hommes, comment pourrions-nous échapper au soupçon d’avoir simplement créé un Dieu-Rédempteur à l’image de nos propres besoins ? »[13]

7. En outre, il est nécessaire d’affirmer que, pour la foi biblique, l’origine du mal ne se trouve pas dans le monde matériel et corporel, vu comme une limite ou comme une prison auxquelles nous devrions échapper. Au contraire, la foi proclame que tout le cosmos, créé par Dieu (cf. Gn 1, 31 ; Sg 1, 13-14 ; 1 Tm 4, 4), est bon, et que le mal le plus nuisible à l’homme est celui qui procède de son cœur (cf. Mt 15, 18-19 ; Gn 3, 1-19). En péchant, l’homme a abandonné la source de l’amour, et il se perd dans des formes corrompues de l’amour, qui l’enferment toujours plus en lui. Cette séparation de Dieu –– de Celui qui est la source de communion et de vie –– porte à la perte de l’harmonie des hommes avec le monde et entre eux, en introduisant la domination de la désagrégation et de la mort (cf. Rm 5, 12). Par conséquent, le salut que la foi nous annonce ne concerne pas seulement notre intériorité, mais l’intégralité de notre être. C’est toute la personne, en effet, corps et âme, qui a été créée par l’amour de Dieu à son image et à sa ressemblance, et qui est appelée à vivre en communion avec Lui.

IV. Le Christ, Sauveur et Salut

8. À aucun moment du chemin de l’homme Dieu n’a cessé d’offrir son salut aux fils d’Adam (cf. Gn 3, 15), en établissant une alliance avec tous les hommes en Noé (cf. Gn 9, 9) et, plus tard, avec Abraham et sa descendance (cf. Gn 15, 18). Le salut donné par Dieu assume ainsi l’ordre du créé que partagent tous les hommes, et il parcourt leur chemin concret dans l’histoire. En se choisissant un peuple auquel il a offert les moyens nécessaires pour lutter contre le péché et s’approcher de Lui, Dieu a préparé la venue d’« une force qui nous sauve, dans la maison de David, son serviteur » (Lc 1, 69). À la plénitude des temps, le Père a envoyé au monde son Fils, qui a annoncé le Royaume de Dieu, en guérissant toute sorte de maladie (cf. Mt 4, 23). Les guérisons opérées par Jésus, manifestations de la Providence de Dieu, étaient des signes qui renvoyaient à sa personne, à Celui qui s’est pleinement révélé comme Seigneur de la vie et de la mort dans son événement pascal. Selon l’Évangile, le salut pour tous les peuples commence avec l’accueil de Jésus : « Aujourd’hui, le salut est arrivé pour cette maison » (Lc 19, 9). La bonne nouvelle du salut a un nom et un visage : Jésus Christ, Fils de Dieu Sauveur. « À l’origine du fait d’être chrétien, il n’y a pas une décision éthique ou une grande idée, mais la rencontre avec un événement, avec une Personne, qui donne à la vie un nouvel horizon et, par-là, son orientation décisive ».[14]

9. Au long de sa tradition séculaire, par le biais de multiples figures, la foi chrétienne a mis en lumière cette œuvre salvifique du Fils incarné. Elle l’a fait sans jamais séparer l’aspect de guérison que procure le salut, par où le Christ nous rachète du péché, de l’aspect d’élévation, par où Il nous rend fils de Dieu, participants de sa nature divine (cf. 2 P 1, 4). Si l’on considère la perspective salvifique en un sens descendant (à partir de Dieu qui vient racheter les hommes), Jésus illumine et révèle, rachète et libère, divinise l’homme et le justifie. Si l’on prend la perspective ascendante (à partir des hommes qui s’adressent à Dieu), Il est Celui qui, en Souverain Prêtre de la Nouvelle Alliance, offre au Père le culte parfait au nom des hommes : Il se sacrifie, expie les péchés et reste toujours vivant pour intercéder en notre faveur. Ainsi apparaît, dans la vie de Jésus, une admirable synergie de l’agir divin avec l’agir humain, qui montre que la perspective individualiste est sans fondement. D’une part, en effet, le sens descendant témoigne de la primauté absolue de l’action gratuite de Dieu ; avant toute action de notre part, il est essentiel de recevoir les dons de Dieu avec humilité, pour pouvoir répondre à son amour salvifique. D’autre part, le sens ascendant nous rappelle que, par le biais de l’agir pleinement humain de son Fils, le Père a voulu régénérer notre agir, afin qu’assimilés au Christ, nous puissions accomplir « les bonnes œuvres, que Dieu a préparées d'avance, afin que nous cheminions en elles » (Ep 2, 10).

10. En outre, il est clair que le salut apporté par Jésus en sa personne même n’advient pas de manière purement intérieure. En effet, pour pouvoir communiquer à toute personne la communion salvifique avec Dieu, le Fils s’est fait chair (cf. Jn 1, 14). C’est précisément en assumant la chair (cf. Rm 8, 3 ; He 2, 14 ; 1 Jn 4, 2) et en naissant d’une femme (cf. Ga 4, 4) que « le Fils de Dieu s’est fait fils de l’homme »[15] et notre frère (cf. He 2, 14). Ainsi, en tant qu’Il est venu faire partie de la famille humaine, « Il s’est uni en quelque sorte à tout homme »[16] et Il a établi, avec Dieu, son Père, et avec tous les hommes, un nouvel ordre de rapports, dans lequel nous pouvons être incorporés pour participer à sa vie même. Par conséquent, l’assomption de la chair, loin de limiter l’action salvifique du Christ, lui permet d’être concrètement médiateur du salut de Dieu pour tous les fils d’Adam.

11. En conclusion, pour répondre tant au réductionnisme individualiste de tendance pélagienne qu’au néo-gnosticisme qui promet une libération purement intérieure, il faut reconnaître la manière dont Jésus est Sauveur. Il ne s’est pas borné à nous montrer le chemin de la rencontre de Dieu, un chemin que nous pourrions parcourir ensuite par nous-mêmes, en obéissant à ses paroles et en imitant son exemple. Pour nous ouvrir la porte de la libération, le Christ a préféré devenir Lui-même le chemin : « Je suis le chemin » (Jn 14, 6).[17] En outre, ce chemin n’est pas un parcours purement intérieur, en marge de nos rapports avec les autres et avec le monde créé. Au contraire, Jésus nous a donné un « chemin nouveau et vivant qu’Il a inauguré pour nous à travers [...] sa chair » (He 10, 20). En somme, le Christ est Sauveur dans la mesure où Il a assumé l’intégralité de notre humanité et a vécu une vie humaine en pleine communion avec le Père et avec ses frères. Le salut consiste à nous incorporer à cette vie qui est la sienne, en recevant Son Esprit (cf. 1 Jn 4, 13). Il est devenu ainsi, « d’une certaine manière, le principe de toute grâce selon l’humanité ».[18] Il est en même temps le Sauveur et le Salut.

V. Le salut dans l’Église, corps du Christ

12. Le lieu où nous recevons le salut apporté par Jésus est l’Église, communauté de ceux qui, incorporés au nouvel ordre de relations inauguré par le Christ, peuvent recevoir la plénitude de son Esprit (cf. Rm 8, 9). Comprendre cette médiation salvifique de l’Église aide puissamment à dépasser toute tendance réductionniste. En effet, le salut que Dieu nous offre ne s’obtient pas par les seules forces de l’individu, comme le voudrait le néo-pélagianisme, mais à travers les rapports qui naissent du Fils de Dieu incarné et qui forment la communion de l’Église. En outre, puisque la grâce que nous donne le Christ n’est pas, comme le prétend la vision néo-gnostique, un salut purement intérieur, mais qu’elle nous introduit dans les relations concrètes qu’Il a lui-même vécues, l’Église est une communauté visible : en elle, nous touchons la chair de Jésus, surtout dans les frères qui subissent le plus la pauvreté et la souffrance. En somme, la médiation salvifique de l’Église, « sacrement universel du salut »,[19] nous assure que le salut ne consiste ni dans l’auto-réalisation de l’individu isolé, ni non plus dans sa fusion intérieure avec le divin, mais dans l’incorporation à une communion de personnes, qui participe à la communion de la Trinité.

13. La vision individualiste et la vision purement intérieure du salut contredisent toutes deux l’économie sacramentelle par l’intermédiaire de laquelle Dieu a voulu sauver la personne humaine. Dans l’Église, la participation au nouvel ordre de rapports inaugurés par Jésus advient par les sacrements, dont le baptême est la porte,[20] et l’Eucharistie la source et le sommet.[21] On voit ainsi, d’une part, l’inconsistance des prétentions à l’auto-salut qui comptent sur les seules forces humaines. La foi confesse, au contraire, que nous sommes sauvés par le baptême, qui nous imprime le caractère indélébile de l’appartenance au Christ et à l’Église, d’où dérive la transformation de notre mode concret de vivre les rapports avec Dieu, avec les hommes et avec le créé (cf. Mt 28, 19). Ainsi, purifiés du péché originel et de tout péché, nous sommes appelés à une nouvelle existence conforme au Christ (cf. Rm 6, 4). Avec la grâce des sept sacrements, les croyants grandissent et se régénèrent continuellement, surtout quand le chemin se fait plus ardu et les chutes plus nombreuses. Quand, en péchant, ils cessent d’aimer le Christ, ils peuvent être réintroduits, par le sacrement de la Pénitence, dans l’ordre de rapports inaugurés par Jésus, pour cheminer comme Il l’a fait Lui-même (cf. 1 Jn 2, 6). Ainsi, nous tournons notre regard avec espérance vers le jugement dernier, où toute personne sera jugée sur la réalité de son amour (cf. Rm 13, 8-10), surtout à l’égard des plus faibles (cf. Mt 25, 31-46).

14. L’économie salvifique sacramentelle s’oppose aussi aux tendances qui proposent un salut purement intérieur. Le gnosticisme, en effet, s’associe à un regard négatif sur l’ordre du créé, qu’il comprend comme une limitation de la liberté absolue de l’esprit humain. Par conséquent, le salut est vu comme une libération du corps et des relations concrètes dans lesquelles vit la personne. Au contraire, dans la mesure où nous sommes sauvés « par le moyen de l’offrande du corps de Jésus Christ » (He 10, 10 ; cf. Col 1, 22), le véritable salut, loin d’être une libération du corps, inclut aussi sa sanctification (cf. Rm 12, 1). Le corps humain a été modelé par Dieu, qui a inscrit en lui un langage qui invite la personne humaine à reconnaître les dons du Créateur et à vivre en communion avec ses frères.[22] Par son Incarnation et son mystère pascal, le Sauveur a rétabli et renouvelé ce langage originaire, et Il nous l’a communiqué dans l’économie corporelle des sacrements. Grâce aux sacrements, les chrétiens peuvent vivre en fidélité à la chair du Christ et, par conséquent, en fidélité à l’ordre concret de rapports qu’Il nous a donné. Cet ordre de rapports requiert, de manière particulière, le soin de l’humanité souffrante de tous les hommes, par l’intermédiaire des œuvres de miséricorde corporelles et spirituelles.[23]

VI. Conclusion : communiquer la foi, en attente du Sauveur

15. La conscience de la vie en plénitude à laquelle nous introduit Jésus Sauveur pousse les chrétiens à la mission, pour annoncer à tous les hommes la joie et la lumière de l’Évangile.[24] Dans ce but, « tous les hommes de bonne volonté, dans le cœur desquels la grâce agit de manière invisible »[25], seront prêts à établir un dialogue sincère et constructif avec les croyants d’autres religions, confiants que Dieu peut conduire au salut dans le Christ. Tout en se donnant de toutes ses forces à l’évangélisation, l’Église continue à invoquer la venue définitive du Sauveur, puisque « nous avons été sauvés en espérance » (Rm 8, 24). Le salut de l’homme ne sera accompli qu’à partir du moment où, après avoir vaincu le dernier ennemi, la mort (cf. 1 Co 15, 26), nous participerons complètement à la gloire de Jésus ressuscité, qui portera à sa plénitude notre relation avec Dieu, avec nos frères et avec tout le créé. Le salut intégral, de l’âme et du corps, est le destin final auquel Dieu appelle tous les hommes. Fondés dans la foi, soutenus par l’espérance, opérant par la charité, à l’exemple de Marie, Mère du Sauveur et première des sauvés, nous sommes certains que « nous avons notre citoyenneté dans les cieux, d’où nous attendons comme sauveur le Seigneur Jésus Christ, lui qui transformera nos pauvres corps à l’image de son corps glorieux, avec la puissance active qui le rend même capable de tout mettre sous son pouvoir » (Ph 3, 20-21).

Le 16 février 2018, le Souverain Pontife François a approuvé cette Lettre, décidée au cours de la Session Plénière de cette Congrégation le 24 janvier 2018, et il en a ordonné la publication.

Donné à Rome, au siège de la Congrégation pour la Doctrine de la Foi, le 22 février 2018, en la Fête de la Chaire de saint Pierre.

+ Luis F. Ladaria, S.I.
Archevêque titulaire de Thibica
Préfet

+ Giacomo Morandi
Archevêque titulaire de Cerveteri
Secrétaire

_______________________

[1] Conc. Œcum. Vat. II, Const. dogm. Dei Verbum, n. 2.
[2]
Cf. Congrégation pour la Doctrine de la Foi, Décl. Dominus Iesus (6 août 2000), nn. 5-8: AAS 92 (2000), 745-749.
[3]
Cf. François, Exhort. apost. Evangelii gaudium (24 novembre 2013), n. 67: AAS 105 (2013), 1048.
[4]
Cf. Id., Lett. enc. Lumen fidei (29 juin 2013), n. 47: AAS 105 (2013), 586-587; Exhort. apost. Evangelii gaudium, nn. 93-94: AAS (2013), 1059; Discours aux participants au Ve Congrès national de l’Église en Italie, Florence (10 novembre 2015): AAS 107 (2015), 1287.
[5]
Cf. Id., Discours aux participants au Ve Congrès national de l’Église en Italie, Florence (10 novembre 2015): AAS 107 (2015), 1288.
[6]
Cf. Id., Exhort. apost. Evangelii gaudium, n. 94: AAS 105 (2013), 1059: « … l’attrait du gnosticisme, une foi renfermée dans le subjectivisme, où seule compte une expérience déterminée ou une série de raisonnements et de connaissances que l’on considère comme pouvant réconforter et éclairer, mais où le sujet reste en définitive fermé dans l’immanence de sa propre raison ou de ses sentiments »; Conseil Pontifical de la Culture –– Conseil Pontifical pour le dialogue interreligieux, Jésus-Christ le porteur d’eau vive. Une réflexion chrétienne sur le “Nouvel Âge” (janvier 2003), Cité du Vatican 2003.
[7]
François, Lett. enc. Lumen fidei, n. 47: AAS 105 (2013), 586-587.
[8]
Cf. Id., Discours aux participants au pèlerinage du diocèse de Brescia (22 juin 2013): AAS 95 (2013), 627: « dans ce monde où l’on nie l’homme, où l’on préfère marcher sur la route du gnosticisme, [...] ou du “pas de chair” - un Dieu qui ne s’est pas fait chair [...] ».
[9]
Selon l’hérésie pélagienne, qui s’est développée au cours du Ve siècle dans le cercle de Pélage, l’homme, pour accomplir les commandements de Dieu et être sauvé, a besoin de la grâce comme d’une simple aide extérieure à sa liberté (une sorte de lumière, d’exemple, de force), mais non comme d’une guérison et régénération radicale de la liberté, sans mérite préalable, afin de pouvoir faire le bien et obtenir la vie éternelle.
Plus complexe est le mouvement gnostique, né aux Ier et IIe siècles, et qui connaît des formes très diverses. En règle générale, les gnostiques croyaient que le salut s’obtient par une connaissance ésotérique ou “gnose”. Cette gnose révèle au gnostique sa véritable essence, autrement dit l’étincelle de l’Esprit divin qui habite dans son intériorité, laquelle doit être libérée du corps, étranger à sa véritable humanité. C’est seulement ainsi que le gnostique revient à son être originaire en Dieu, dont une chute originelle l’avait éloigné.
[10]
Cf. Thomas, Summa theologiae, I-II, q. 2.
[11]
Cf. Augustin, Confessions, I, 1: Corpus Christianorum, 27,1.
[12]
Conc. Œcum. Vat. II, Const. past. Gaudium et spes, n. 22.
[13]
Commission Théologique Internationale, Le Dieu rédempteur : questions choisies, 1995, n. 2.
[14]
Benoît XVI, Lett. enc. Deus caritas est (25 décembre 2005), n. 1: AAS 98 (2006), 217; cf. François, Exhort. apost. Evangelii gaudium, n. 3: AAS 105 (2013), 1020.
[15]
Irénée, Adversus haereses, III, 19,1: Sources Chrétiennes, 211, 374.
[16]
Conc. Œcum. Vat. II, Const. past. Gaudium et spes, n. 22.
[17]
Cf. Augustin, Tractatus in Ioannem, 13, 4: Corpus Christianorum, 36, 132: « Je suis le Chemin, la Vérité et la Vie (Jn 14, 6). Si tu cherches la vérité, suis le chemin, car le chemin est la vérité même. Le but auquel tu tends et le chemin que tu dois parcourir sont identiques. Tu ne peux parvenir au but si tu suis un autre chemin ; par un autre chemin, tu ne peux parvenir au Christ : au Christ tu ne peux parvenir que par le moyen du Christ. En quel sens arrives-tu au Christ par le moyen du Christ ? Tu arrives au Christ Dieu par le moyen du Christ homme ; par le moyen du Verbe fait chair, tu arrives au Verbe qui était au commencement, Dieu auprès de Dieu ».
[18]
Thomas, Quaestio de veritate, q. 29, a. 5, co.
[19]
Conc. Œcum. Vat. II, Const. dogm. Lumen gentium, n. 48.
[20]
Cf. Thomas, Summa theologiae, III, q. 63, a. 3.
[21]
Cf. Conc. Œcum. Vat. II, Const. dogm. Lumen gentium, n. 11; Const. Sacrosanctum Concilium, n. 10.
[22]
Cf. François, Lett. enc. Laudato si’ (24 mai 2015), n. 155: AAS 107 (2015), 909-910.
[23]
Cf. Id., Lett. apost. Misericordia et misera (20 novembre 2016), n. 20; AAS 108 (2016), 1325-1326.
[24]
Cf. Jean Paul II, Lett. enc. Redemptoris missio (7 décembre 1990), n. 40: AAS 83 (1991), 287-288; François, Exhort. apost. Evangelii gaudium, nn. 9-13: AAS 105 (2013), 1022-1025.
[25]
Conc. Œcum. Vat. II, Const. past. Gaudium et spes, n. 22.

[00317-FR.01] [Texte original: Italien]

Traduzione in lingua inglese

CONGREGATION FOR THE DOCTRINE OF THE FAITH

Letter Placuit Deo
To the Bishops of the Catholic Church
On Certain Aspects of Christian Salvation

I. Introduction

1. “In His goodness and wisdom God chose to reveal Himself and to make known to us the hidden purpose of His will (cf. Eph 1:9) by which through Christ, the Word made flesh, man might in the Holy Spirit have access to the Father and come to share in the divine nature (cf. Eph 2:18; 2 Pt 1:4). The deepest truth about God and the salvation of man shines out for our sake in Christ, who is both the mediator and the fullness of all revelation”.[1] The teaching on salvation in Christ must always be deepened. Holding fast to the gaze of the Lord Jesus, the Church turns toward all persons with a maternal love, to announce to them the plan of the Covenant of the Father, mediated by the Holy Spirit, “to sum up all things in Christ, the one head” (Eph 1:10). The present Letter is intended, in light of the greater tradition of the faith and with particular reference to the teachings of Pope Francis, to demonstrate certain aspects of Christian salvation that can be difficult to understand today because of recent cultural changes.

II. The effect of current cultural changes on the meaning of Christian salvation

2. The contemporary world perceives not without difficulty the confession of the Christian faith, which proclaims Jesus as the only Savior of the whole human person and of all humanity (cf. Acts 4:12; Rom 3:23-24; 1 Tm 2:4-5; Tit 2:11-15).[2] On one hand, individualism centered on the autonomous subject tends to see the human person as a being whose sole fulfilment depends only on his or her own strength.[3] In this vision, the figure of Christ appears as a model that inspires generous actions with his words and his gestures, rather than as He who transforms the human condition by incorporating us into a new existence, reconciling us with the Father and dwelling among us in the Spirit (cf. 2 Cor 5:19; Eph 2:18). On the other hand, a merely interior vision of salvation is becoming common, a vision which, marked by a strong personal conviction or feeling of being united to God, does not take into account the need to accept, heal and renew our relationships with others and with the created world. In this perspective, it becomes difficult to understand the meaning of the Incarnation of the Word, by which He was made a member of the human family, assuming our flesh and our history, for us and for our salvation.

3. Pope Francis, in his ordinary magisterium, often has made reference to the two tendencies described above, that resemble certain aspects of two ancient heresies, Pelagianism and Gnosticism.[4] A new form of Pelagianism is spreading in our days, one in which the individual, understood to be radically autonomous, presumes to save oneself, without recognizing that, at the deepest level of being, he or she derives from God and from others. According to this way of thinking, salvation depends on the strength of the individual or on purely human structures, which are incapable of welcoming the newness of the Spirit of God.[5] On the other hand, a new form of Gnosticism puts forward a model of salvation that is merely interior, closed off in its own subjectivism.[6] In this model, salvation consists of improving oneself, of being “intellectually capable of rising above the flesh of Jesus towards the mysteries of the unknown divinity.” [7] It presumes to liberate the human person from the body and from the material universe, in which traces of the provident hand of the Creator are no longer found, but only a reality deprived of meaning, foreign to the fundamental identity of the person, and easily manipulated by the interests of man.[8] Clearly, the comparison with the Pelagian and Gnostic heresies intends only to recall general common features, without entering into judgments on the exact nature of the ancient errors. There is a great difference between modern, secularized society and the social context of early Christianity, in which these two heresies were born.[9] However, insofar as Gnosticism and Pelagianism represent perennial dangers for misunderstanding Biblical faith, it is possible to find similarities between the ancient heresies and the modern tendencies just described.

4. Both neo-Pelagian individualism and the neo-Gnostic disregard of the body deface the confession of faith in Christ, the one, universal Savior. How would Christ be able to mediate the Covenant of the entire human family, if human persons were isolated individuals, who fulfil themselves by their own efforts, as proposed by neo-Pelagianism? Also, how could it be possible for the salvation mediated by the Incarnation of Jesus, his life, death and Resurrection in his true body, to come to us, if the only thing that mattered were liberating the inner reality of the human person from the limits of the body and the material, as described by the neo-Gnostic vision? In the face of these two trends, the present Letter wants to reaffirm that salvation consists in our union with Christ, who, by his Incarnation, death and Resurrection has brought about a new kind of relationship with the Father and among human persons, and has introduced us into these relationships, thanks to the gift of the Spirit, so that we are able to unite ourselves to the Father as sons in the Son, and become one body in the “firstborn among many brothers” (Rom 8:29).

III. The human desire for salvation

5. Man perceives himself, directly or indirectly, as a mystery: ‘Who am I? I exist, and yet do not have the principle of my existence within myself.’ Every person, in his or her own way, searches for happiness and attempts to obtain it by making recourse to the resources one has available. However, this universal aspiration is not necessarily expressed or declared; rather, it is often more secret and hidden than it may appear, and is ready to reveal itself in the face of particular crises. Often it coincides with a hope for physical health; sometimes it takes the form of worrying about greater economic well-being; it expresses itself widely as the need for interior peace and for a peaceful coexistence with one’s neighbour. On the other hand, while the question of salvation presents itself as dedicated toward a higher good, it also maintains the character of endurance and of overcoming pain. Together with the struggle to attain the good comes the fight to ward of evil: ignorance and error, fragility and weakness, sickness and death.

6. Regarding these aspirations, faith in Christ teaches, rejecting all claims of self-realization, that these can be fulfilled completely only if God himself makes it possible, by drawing us toward Himself. The total salvation of the person does not consist of the things that the human person can obtain by himself, such as possessions, material well-being, knowledge or abilities, power or influence on others, good reputation or self-satisfaction[10]. No created thing can totally satisfy us, because God has destined us for communion with Him; our hearts will be restless until they rest in Him.[11] “The ultimate vocation of man is in fact one, and divine”.[12] Revelation, in this manner, does not limit itself to announcing salvation as an answer to any particular contemporary desire. “If redemption, on the contrary, were to be judged or measured according to the existential needs of human beings, how could we avoid the suspicion of having simply created a Redeemer God in the image of our own need?”[13]

7. It is also necessary to affirm that, according to biblical faith, the origin of evil is not found in the material, corporeal world experienced as a boundary or a prison from which we need to be saved. On the contrary, this faith proclaims that all the universe is good because it was created by God (cf. Gen 1:31; Wis 1:13-14; 1 Tim 4:4), and that the evil that is most damaging to man is that which comes from his heart (cf. Mt 15:18-19; Gen 3:1-19). By sinning, man abandoned the source of love, and loses himself in false forms of love that close him ever more into himself. It is this separation from God – He who is the font of communion and life – that brings about the loss of harmony among human persons, and between humanity and the world, introducing the dominion of disintegration and death (cf. Rom 5:12). As a result, the salvation that faith announces to us does not only pertain to our inner reality, but to our entire being. In fact, it is the whole person, body and soul, that was created by the love of God, in his image and likeness, and is called to live in communion with Him.

IV. Christ, Savior and Salvation

8. At no moment in history did God stop offering his salvation to the sons and daughters of Adam (cf. Gen 3:15), establishing his covenant with all of humanity in Noah (cf. Gen 9:9) and, later, with Abraham and his descendants (cf. Gen 15:18). Therefore, Divine salvation takes on the creaturely order shared by all humanity and accompanies their concrete journey in history. By choosing a people to whom He offered the means to fight against sin and to draw close to him, God prepared the coming of “a powerful Savior, in the house of David, his servant” (Lk 1:69). In the fullness of time, the Father sent to the world his Son, who proclaimed the Kingdom of God, curing every disease and illness (cf. Mt 4:23). The healings performed by Jesus, in which he makes present the providence of God, were a sign that pointed back to his own person, He who is fully revealed as Lord of life and of death in his paschal event. According to the Gospel, salvation for all people begins with welcoming Jesus: “Today salvation has come to this house” (Lk 19:9). The good news of salvation has a name and a face: Jesus Christ, Son of God, Savior. “Being a Christian is not the result of an ethical choice or a lofty idea, but the encounter with an event, a person, which gives life a new horizon and a decisive direction.”[14]

9. The Christian faith has illustrated, throughout its centuries-long history, by means of multiple figures, this salvific work of the Son incarnate. It has done so without ever separating the healing dimension of salvation, by which Christ redeems us from sin, from the elevating dimension, by which he makes us sons and daughters of God, participants in his divine nature (cf. 2 Pt 1:4). Considering the salvific perspective in a descending manner, that is, beginning with God who comes to redeem humanity, Jesus is the illuminator and revealer, the redeemer and liberator, the One who divinizes and justifies the human person. According to an ascending vision, that is, beginning with the human person turning towards God, Christ is the High Priest of the New Covenant, offering perfect worship to the Father, in the name of all humanity: He sacrifices Himself, expiates sins, and remains forever alive to intercede on our behalf. In this manner, an incredible synergy between divine and human action appears in the life of Jesus, a synergy that shows how baseless the individualist perspective is. The descending perspective bears witness to the absolute primacy of the gratuitous acts of God; humility is essential to respond to his salvific love and is required to receive the gifts of God, prior to all of our works. At the same time, the ascending perspective recalls that, by means of the fully human action of his Son, the Father wanted to renew our actions, so that, conformed to Christ, we are able to fulfil “the good works that God has prepared in advance, that we should live in them” (Eph 2:10).

10. Moreover it is clear that the salvation that Jesus brought in his person does not occur only in an interior manner. In fact, the Son was made flesh, in order to communicate to every person the salvific communion with God (cf. Jn 1:14). By assuming flesh (cf. Rom 8:3; Heb 2:14; 1 Jn 4:2), and being born of a woman (cf. Gal 4:4), “the Son of God was made the son of man”[15] and our brother (cf. Heb 2:14). Thus, inasmuch as He became part of the human family, “he has united himself in some fashion with every man and woman”[16] and has established a new kind of relationship with God, his Father, and with all humanity; we can be incorporated in this new kind of relationship and participate in the Son of God’s own life. As a result, rather than limiting the salvific action, assuming flesh allows Christ to mediate the salvation of God for all of the sons and daughters of Adam.

11. In conclusion, to respond both to the individualist reductionism of Pelagian tendency, and to the neo-Gnostic promise of a merely interior salvation, we must remember the way in which Jesus is Savior. He did not limit himself to showing us the way to encounter God, a path we can walk on our own by being obedient to his words and by imitating his example. Rather, Christ opens for us the door of freedom, and becomes, himself, the way: “I am the way” (Jn 14:6).[17] Furthermore, this path is not merely an interior journey at the margins of our relationships with others and with the created world. Rather, Jesus gave us a “new and living way that he inaugurated for us through his flesh” (Heb 10:20). Therefore, Christ is Savior in as much as he assumed the entirety of our humanity and lived a fully human life in communion with his Father and with others. Salvation, then, consists in incorporating ourselves into his life, receiving his Spirit (cf. 1 Jn 4:13). He became, “in a particular way, the origin of all grace according to his humanity.”[18] He is at the same time Savior and Salvation.

V. Salvation in the Church, Body of Christ

12. The place where we receive the salvation brought by Jesus is the Church, the community of those who have been incorporated into this new kind of relationship begun by Christ (cf. Rom 8:9). Understanding this salvific mediation of the Church is an essential help in overcoming all reductionist tendencies. The salvation that God offers us is not achieved with our own individual efforts alone, as neo-Pelagianism would contend. Rather, salvation is found in the relationships that are born from the incarnate Son of God and that form the communion of the Church. Because the grace that Christ gives us is not a merely interior salvation, as the neo-Gnostic vision claims, and introduces us into concrete relationships that He himself has lived, the Church is a visible community. In her we touch the flesh of Jesus, especially in our poorest and most suffering brothers and sisters. Hence, the salvific mediation of the Church, “the universal sacrament of salvation”,[19] assures us that salvation does not consist in the self-realization of the isolated individual, nor in an interior fusion of the individual with the divine. Rather, salvation consists in being incorporated into a communion of persons that participates in the communion of the Trinity.

13. Both the individualistic and the merely interior visions of salvation contradict the sacramental economy through which God wants to save the human person. The participation in the new kind of relationships begun by Jesus occurs in the Church by means of the sacraments, of which Baptism is the door,[20] and the Eucharist is the source and the summit.[21] In this, the inconsistency of the claims to self-salvation that depend on human efforts alone can be seen. Faith confesses that we are saved by means of Baptism, which seals upon us the indelible mark of belonging to Christ and to the Church. The transformation of the way of living our relationships with God, with humanity, and with creation derives from Baptism (cf. Mt 28:19). Thus, purified from original, and all other sins, we are called to a new existence conforming to Christ (cf. Rom 6:4). With the grace of the seven sacraments, believers continually grow and are spiritually renewed, especially when the journey becomes more difficult. When they abandon their love for Christ by sinning, believers can be re-introduced into the kind of relationships begun by Christ in the sacrament of Penance, allowing them to again walk as He did (cf. 1 Jn 2:6). In this way, we look with hope toward the Last Judgement, in which each person will be judged on the authenticity of one’s love (cf. Rom 13:8-10), especially regarding the weakest (cf. Mt 25:31-46).

14. The salvific economy is also opposed to trends that propose a merely interior salvation. Gnosticism, indeed, associates itself with a negative view of the created order, which is understood as a limitation on the absolute freedom of the human spirit. Consequently, salvation is understood as freedom from the body and from the concrete relationships in which a person lives. In as much as we are saved “by means of offering the body of Jesus Christ” (Heb 10:10; cf. Col 1:22), true salvation, contrary to being a liberation from the body, also includes its sanctification (cf. Rom 12:1). The human body was shaped by God, who inscribed within it a language that invites the human person to recognize the gifts of the Creator and to live in communion with one’s brothers and sisters.[22] The Savior re-established and renewed this original language by his Incarnation and his paschal mystery and communicated it in the economy of the sacraments. Thanks to the sacraments, Christians are able to live faithful to the flesh of Christ and, as a result, in fidelity to the kind of relationships that he gave us. This type of relationality particularly calls for the care of all suffering humanity through the spiritual and corporal works of mercy.[23]

VI. Conclusion: communicating the faith, in expectation of the Savior

15 The knowledge of the fullness of life into which Christ the Savior introduces us propels Christians onward in the mission of announcing to all the joy and light of the Gospel.[24] In this work, Christians must also be prepared to establish a sincere and constructive dialogue with believers of other religions, confident that God can lead “all men of good will in whose hearts grace works in an unseen way”[25] towards salvation in Christ. While dedicating herself with all of her efforts to evangelization, the Church continues to invoke the definitive coming of the Savior, since it is “in hope that we are saved” (Rom 8:24). The salvation of men and women will be complete only when, after having conquered the last enemy, death (cf. 1 Cor 15:26), we will participate fully in the glory of the risen Jesus, who will bring our relationship with God, with our brothers and sisters, and with all of creation to fullness. Total salvation of the body and of the soul is the final destiny to which God calls all of humanity. Founded in faith, sustained by hope, and working in charity, with the example of Mary, Mother of the Savior and first among the saved, we are certain that “our citizenship is in heaven, and from it we also await a savior, the Lord Jesus Christ. He will change our lowly body to conform with his glorified body by the power that enables him also to bring all things into subjection to himself” (Phil 3:20-21).

The Sovereign Pontiff Francis, on February 16, 2018, approved this Letter, adopted in the Plenary Session of this Congregation on January 24, 2018, and ordered its publication.

Rome, from the Offices of the Congregation for the Doctrine of the Faith, February 22, 2018, on the Feast of the Chair of Saint Peter.

+ Luis F. Ladaria, S.I.
Titular Archbishop of Thibica
Prefect

+ Giacomo Morandi
Titular Archbishop of Cerveteri
Secretary

_______________________

[1] Second Vatican Ecumenical Council, Dogmatic Constitution on Divine Revelation Dei Verbum, 2.
[2]
Cf. Congregation for the Doctrine of the Faith, Declaration Dominus Iesus (6 August 2000), 5-8: AAS 92 (2000), 745-749.
[3]
Cf. Francis, Apostolic Exhortation Evangelii gaudium (24 November 2013), 67: AAS 105 (2013), 1048.
[4]
Cf. Id., Encyclical Letter Lumen fidei (29 June 2013), 47: AAS 105 (2013), 586-587; Apostolic Exhortation Evangelii gaudium, 93-94: AAS (2013), 1059; Address to the Participants in the Fifth Convention of the Italian Church (10 November 2015), Florence: AAS 107 (2015), 1287.
[5]
Cf. Id., Address to the Participants in the Fifth Convention of the Italian Church (10 November 2015), Florence: AAS 107 (2015), 1288
[6]
Cf. Id., Apostolic Exhortation Evangelii gaudium, 94: AAS 105 (2013), 1059: “the attraction of gnosticism, a purely subjective faith whose only interest is a certain experience or a set of ideas and bits of information which are meant to console and enlighten, but which ultimately keep one imprisoned in his or her own thoughts and feelings”; Pontifical Council for Culture-Pontifical Council for interreligious Dialogue, Jesus Christ, the Bearer of the water of life. A Christian reflection on the “New Age” (January 2003), Vatican City, 2003.
[7]
Francis, Encyclical Letter Lumen fidei, 47: AAS 105 (2013), 586-587.
[8]
Cf. Id., Address to the Participants in the Pilgrimage from the Diocese of Brescia (22 June 2013): AAS 95 (2013), 627: “in this world where man is denied, where people prefer to take the road of Gnosticism, […] of the “no flesh” — a God who did not take flesh […].”
[9]
According to the Pelagian heresy, developed during the fifth century around Pelagius, the man, in order to fulfil the commandments of God and to be saved, needs grace only as an external help to his freedom (like light, for example, power), not like a radical healing and regeneration of the freedom, without prior merit, until he can do good and reach the eternal life.
More complex is the gnostic movement, sprung up in the first and second centuries, which has many different forms among themselves. In general, the gnostics believed that the salvation is obtained through an esoteric knowledge or gnosis. Such gnosis reveals to the gnostic his true essence, i.e., a spark of the divine Spirit that lives inside him, which has to be liberated from the body, external to his true humanity. Only in this manner, the gnostic returns to his original being in God from whom he has turned away due to a primordial fall.
[10]
Cf. Thomas Aquinas, Summa theologiae, I-II, q. 2.
[11]
Cf. Augustine, Confessions, I, 1: Corpus Christianorum, 27, 1.
[12]
Second Vatican Ecumenical Council, Pastoral Constitution on the Church in the modern world Gaudium et spes, 22.
[13]
International Theological Commission, Select questions on the theology of God the Redeemer (1995), 2.
[14]
Benedict XVI, Encyclical Letter Deus caritas est (25 December 2005), 1: AAS 98 (2006), 217; cf. Francis, Apostolic Exhortation Evangelii gaudium, 3: AAS 105 (2013), 1020.
[15]
Irenaeus, Adversus haereses, III, 19, 1: Sources Chrétiennes, 211, 374.
[16]
Second Vatican Ecumenical Council, Pastoral Constitution on the Church in the modern world Gaudium et spes, 22.
[17]
Cf. Augustine, Tractatus in Ioannem, 13, 4: Corpus Christianorum, 36, 132: “‘I am the way and the truth and the life’ (Jn 14, 6). If you search for the truth, follow the way, because the way is the same as the truth. The goal you aim for and the way you must tread are the same. You cannot reach your goal following another way, for you cannot reach Christ through another way. You can reach Christ only through Christ. In what sense do you come to Christ through Christ? You reach Christ the God through Christ the man. Through the Word made flesh, you reach the Word that was in the beginning God with God.”
[18]
Thomas Aquinas, Quaestio de veritate, q. 29, a. 5, co.
[19]
Second Vatican Ecumenical Council, Dogmatic Constitution on the Church Lumen gentium, 48.
[20]
Cf. Thomas Aquinas, Summa theologiae, III, q. 63, a. 3.
[21]
Cf. Second Vatican Ecumenical Council, Dogmatic Constitution on the Church Lumen gentium, 11; Constitution on the Sacred Liturgy Sacrosanctum concilium, 10.
[22]
Cf. Francis, Encyclical Letter Laudato si’ (24 May 2015), 155: AAS 107 (2015), 909-910.
[23]
Cf. Id., Apostolic Letter Misericordia et misera (20 November 2016), 20: AAS 108 (2016), 1325-1326.
[24]
Cf. John Paul II, Encyclical Letter Redemptoris missio (7 December 1990), 40: AAS 83 (1991), 287-288; Francis, Apostolic Exhortation Evangelii gaudium, 9-13: AAS 105 (2013), 1022-1025.
[25]
Second Vatican Ecumenical Council, Pastoral Constitution on the Church in the modern world Gaudium et spes, 22.

[00317-EN.01] [Original text: Italian]

Traduzione in lingua tedesca

KONGREGATION FÜR DIE GLAUBENSLEHRE

Schreiben Placuit Deo
an die Bischöfe der katholischen Kirche
über einige Aspekte des christlichen Heils

I. Einleitung

1. «Es hat Gott in seiner Güte und Weisheit gefallen, sich selbst zu offenbaren und das Geheimnis seines Willens bekannt zu machen (vgl. Eph 1,9), dass die Menschen durch Christus, das Fleisch gewordene Wort, im Heiligen Geist Zugang zum Vater haben und der göttlichen Natur teilhaftig werden (vgl. Eph 2,18; 2 Petr 1,4). [...] Die Tiefe der durch diese Offenbarung über Gott und über das Heil des Menschen erschlossenen Wahrheit leuchtet uns auf in Christus, der zugleich der Mittler und die Fülle der ganzen Offenbarung ist».[1] Die Lehre über das Heil in Christus muss immer wieder neu vertieft werden. Den Blick fest auf den Herrn Jesus gerichtet, wendet sich die Kirche in mütterlicher Liebe an alle Menschen, um ihnen den ganzen Bundesplan des Vaters zu verkünden. Dieser hat beschlossen, durch den Heiligen Geist «das All in Christus als dem Haupt zusammenzufassen» (Eph 1,10). Das vorliegende Schreiben möchte auf der Linie der großen Tradition des Glaubens und unter besonderer Bezugnahme auf die Lehre von Papst Franziskus einige Aspekte des christlichen Heils hervorheben, deren Verständnis heute aufgrund der jüngsten kulturellen Wandlungen erschwert sein kann.

II. Der Einfluss der aktuellen kulturellen Wandlungen auf das christliche Heilsverständnis

2. Die Welt von heute vernimmt nicht ohne Schwierigkeit das christliche Glaubensbekenntnis, das Jesus als einzigen Erlöser des ganzen Menschen und der ganzen Menschheit verkündet (vgl. Apg 4,12; Röm 3,23-24; 1 Tim 2,4-5; Tit 2,11-15).[2] Auf der einen Seite neigt der auf das autonome Subjekt konzentrierte Individualismus dazu, den Menschen als ein Wesen zu betrachten, dessen Verwirklichung allein von seinen eigenen Kräften abhängt.[3] In dieser Sichtweise entspricht die Gestalt Christi eher einem Vorbild, das durch Worte und Taten zu guten Werken anspornt, als demjenigen, der die menschliche Verfasstheit wandelt und durch den Geist in ein neues mit dem Vater und untereinander versöhntes Dasein hineinnimmt (vgl. 2 Kor 5,19; Eph 2,18). Auf der anderen Seite breitet sich die Sichtweise eines rein innerlichen Heils aus, die vielleicht eine starke persönliche Überzeugung oder ein intensives Gefühl der Vereinigung mit Gott weckt, ohne aber unsere Beziehungen mit den anderen und mit der geschaffenen Welt anzunehmen, zu heilen und zu erneuern. In dieser Perspektive wird es schwierig, den Sinn der Menschwerdung des Wortes zu erfassen, durch die der Herr – für uns Menschen und zu unserem Heil – ein Glied der Menschheitsfamilie geworden ist und unser Fleisch sowie unsere Geschichte angenommen hat.

3. Papst Franziskus hat in seinem ordentlichen Lehramt oft auf zwei Tendenzen Bezug genommen, die mit den eben angedeuteten Abweichungen zusammenhängen und die in einigen Punkten Ähnlichkeiten mit zwei alten Häresien, nämlich dem Pelagianismus und dem Gnostizismus, aufweisen.[4] In unseren Tagen gedeiht ein Neu-Pelagianismus, gemäß dem das radikal autonome Individuum vorgibt, sich selbst zu erlösen, ohne anzuerkennen, dass es im Tiefsten seines Seins von Gott und von den anderen abhängig ist. Das Heil wird deshalb von den Kräften des Einzelnen oder von rein menschlichen Strukturen erwartet, die aber nicht imstande sind, die Neuheit des Geistes Gottes aufzunehmen.[5] Eine Art von Neu-Gnostizismus propagiert ihrerseits ein rein innerliches, im Subjektivismus eingeschlossenes Heil,[6] das darin bestünde, dass sich der Verstand «über das Fleisch Christi hinaus zu den Geheimnissen der unbekannten Gottheit erhebt».[7] So wird der Anspruch erhoben, die Person vom Leib und von der materiellen Welt zu befreien, in denen man nicht mehr die Spuren der Vorsehung des Schöpfers erkennt, sondern nur eine Wirklichkeit ohne Sinn, die der eigentlichen Identität der Person fremd wäre und gemäß dem Gutdünken des Menschen manipuliert werden könnte.[8] Es ist freilich klar, dass der Vergleich mit den Häresien des Pelagianismus und des Gnostizismus nur allgemeine gemeinsame Merkmale andeuten will, ohne eine Beurteilung der genauen Art der alten Irrtümer vorzunehmen. Groß ist nämlich der Unterschied zwischen dem heutigen historischen Kontext, der von der Säkularisierung geprägt ist, und der Situation der ersten christlichen Jahrhunderte, in denen diese Häresien entstanden sind.[9] Doch weil der Gnostizismus und der Pelagianismus bleibende Gefahren für ein falsches Verständnis des biblischen Glaubens darstellen, ist es möglich, eine gewisse Ähnlichkeit mit den eben beschriebenen Tendenzen unserer Zeit zu finden.

4. Der Individualismus des Neu-Pelagianismus sowie die Leibverachtung des Neu-Gnostizismus entstellen das Bekenntnis des Glaubens an Christus, den einzigen und universalen Retter. Wie könnte Christus den Bund mit der ganzen Menschheitsfamilie aufrichten, wenn der Mensch ein isoliertes Individuum wäre, das sich nur mit eigenen Kräften selbstverwirklichen könnte, wie der Neu-Pelagianismus vorgibt? Und wie könnte das Heil durch die Menschwerdung Jesu, sein Leben und Sterben und die Auferstehung in seinem wahren Leib zu uns kommen, wenn nur das wichtig wäre, was das Innere des Menschen von den Begrenzungen des Leibes und der Materie befreit, wie der Neu-Gnostizismus meint? In Anbetracht dieser Strömungen möchte das vorliegende Schreiben bekräftigen, dass das Heil in unserer Vereinigung mit Christus besteht, der durch seine Menschwerdung, sein Leben und Sterben und seine Auferstehung eine neue Ordnung von Beziehungen mit dem Vater und unter den Menschen gestiftet und uns dank der Gabe seines Geistes in diese Ordnung hineingenommen hat. So können wir uns als Söhne und Töchter im Sohn mit dem Vater vereinen und ein Leib im «Erstgeborenen unter vielen Brüdern» (Röm 8,29) werden.

III. Die menschliche Sehnsucht nach Heil

5. Der Mensch erfährt sich direkt oder indirekt als ein Rätsel: Wer bin ich, der ich lebe, aber das Prinzip meines Daseins nicht in mir habe? Jede Person sucht auf ihre Weise das Glück und strebt danach, es durch den Einsatz der ihr zur Verfügung stehenden Mittel zu erlangen. Diese allgemeine Sehnsucht kommt aber nicht notwendig zur Sprache oder zum Ausdruck. Sie ist viel geheimer und verborgener, als es scheinen mag, sie zeigt sich vor allem in Situationen der Not. Sehr oft deckt sie sich mit der Hoffnung auf körperliche Gesundheit. Manchmal nimmt sie die Form der Sorge um größeren wirtschaftlichen Wohlstand an. Häufig zeigt sie sich im Wunsch nach innerem Frieden und unbeschwertem Zusammenleben mit dem Nächsten. Das Streben nach Heil zeigt sich als Mühen um ein höheres Gut, trägt aber immer wieder auch das Merkmal des Widerstands und der Überwindung des Schmerzes an sich. Zum Kampf um die Erlangung des Guten kommt das Mühen um Schutz vor dem Bösen: vor Unwissenheit und Irrtum, vor Gebrechlichkeit und Schwäche, vor Krankheit und Tod.

6. Im Blick auf diese Sehnsucht lehrt uns der Glaube an Christus, der jeden Anspruch auf Selbstverwirklichung zurückweist, dass sie ganz nur dann in Erfüllung gehen kann, wenn Gott selbst dies möglich macht und uns an sich zieht. Das wahre Heil des Menschen besteht nicht in Dingen, die er von sich aus erlangen könnte, wie etwa in Besitz oder materiellem Wohlstand, in Wissenschaft oder Technik, Macht oder Einfluss auf andere, gutem Ruf oder Selbstgefälligkeit.[10] Nichts Geschaffenes kann den Menschen ganz erfüllen, weil Gott uns zur Gemeinschaft mit ihm bestimmt hat und unser Herz ruhelos ist bis es ruht in ihm.[11] «In Wahrheit gibt es nur eine letzte Berufung des Menschen, die göttliche».[12] Die Offenbarung beschränkt sich darum nicht darauf, das Heil als Antwort auf unsere jeweiligen Erwartungen zu verkünden. «Wenn die Erlösung nach den existentiellen Bedürfnissen der Menschen beurteilt oder gemessen werden müsste, wie könnte man dann den Verdacht zurückweisen, einfach einen Erlösergott geschaffen zu haben, der nach dem Bild unserer Bedürfnisse gemacht ist?».[13]

7. Darüber hinaus muss bekräftigt werden, dass sich der Ursprung des Bösen nach dem biblischen Glauben nicht in der materiellen, körperlichen Welt findet, die als Begrenzung oder Gefängnis erfahren würde, woraus wir gerettet werden müssten. Der Glaube verkündet im Gegenteil, dass die ganze Welt gut ist, weil sie von Gott erschaffen wurde (vgl. Gen 1,31; Weish 1,13-14; 1Tim 4,4), und dass das Böse, das dem Menschen am meisten schadet, aus seinem Herzen kommt (vgl. Mt 15,18-19; Gen 3,1-19). Durch die Sünde hat der Mensch die Quelle der Liebe verlassen. So verliert er sich in Scheinformen der Liebe, die ihn immer mehr in sich selbst verschließen. Diese Trennung von Gott – von dem, der die Quelle der Gemeinschaft und des Lebens ist – zerstört die Harmonie unter den Menschen sowie zwischen den Menschen und der Welt und führt zur Herrschaft der Zerrissenheit und des Todes (vgl. Röm 5,12). Das Heil, das der Glaube uns verkündet, betrifft deshalb nicht nur unser Inneres, sondern unser ganzes Menschsein. Die ganze Person, Leib und Seele, ist nämlich durch die Liebe Gottes nach seinem Bild und Gleichnis erschaffen, und sie ist berufen, in Gemeinschaft mit ihm zu leben.

IV. Christus, Heiland und Heil

8. In keinem Augenblick des Weges der Menschheit hat Gott aufgehört, den Kindern Adams sein Heil anzubieten (vgl. Gen 3,15). In Noach richtet er mit allen Menschen einen Bund auf (vgl. Gen 9,9), später mit Abraham und seinen Nachkommen (vgl. Gen 15,18). Das göttliche Heil nimmt so die geschaffene Ordnung auf, die von allen Menschen geteilt wird, und geht seinen konkreten Weg in der Geschichte. Gott erwählt sich ein Volk, dem er die Mittel anbietet, um gegen die Sünde zu kämpfen, und sich ihm zu nähern. So bereitet er den Weg für das Kommen «eines starken Retters im Hause seines Knechtes David» (Lk 1,69). In der Fülle der Zeiten sendet der Vater seinen Sohn in die Welt, der das Reich Gottes verkündet und alle Krankheiten heilt (vgl. Mt 4,23). Die von Jesus gewirkten Heilungen, in denen die Vorsehung Gottes sichtbar wird, sind Zeichen, die auf seine Person verweisen, auf denjenigen, der sich im Osterereignis in Fülle als Herr über Leben und Tod offenbart. Nach dem Evangelium nimmt das Heil für alle Völker seinen Anfang, wenn Jesus aufgenommen wird: «Heute ist diesem Haus Heil geschenkt worden» (Lk 19,9). Die Frohbotschaft vom Heil hat einen Namen und ein Gesicht: Jesus Christus, der Sohn Gottes, der Retter. «Am Anfang des Christseins steht nicht ein ethischer Entschluss oder eine große Idee, sondern die Begegnung mit einem Ereignis, mit einer Person, die unserem Leben einen neuen Horizont und damit seine entscheidende Richtung gibt».[14]

9. Der christliche Glaube hat das Heilswerk des Fleisch gewordenen Sohnes Gottes in seiner jahrhundertelangen Tradition durch verschiedene Bilder dargelegt. Er trennte dabei nie die heilende Dimension – Christus hat uns von der Sünde erlöst – von der Dimension der Erhöhung – er hat uns zu Söhnen und Töchtern Gottes gemacht, die seiner göttlichen Natur teilhaftig werden (vgl. 2 Petr 1,4). Wenn wir auf die Gabe des Heils in ihrer absteigenden Perspektive schauen (von Gott her, der kommt, um die Menschen zu erlösen), ist Jesus Lichtbringer und Offenbarer, Erlöser und Befreier, derjenige, der den Menschen vergöttlicht und rechtfertigt. Insofern wir die aufsteigende Perspektive einnehmen (vom Menschen her, der sich Gott zuwendet), ist Jesus derjenige, der als der Hohepriester des Neuen Bundes dem Vater im Namen der Menschheit das vollkommene Opfer darbringt: Er opfert sich selbst, er sühnt für die Sünden, er lebt allezeit, um für uns einzutreten. So wird im Leben Jesu eine wunderbare Synthese zwischen göttlichem und menschlichem Wirken offenbar, welche die Haltlosigkeit der individualistischen Sichtweise zeigt. Einerseits bezeugt nämlich die absteigende Perspektive den absoluten Primat des freien Wirkens Gottes. Die Demut, die Gaben Gottes anzunehmen, bevor wir irgendetwas tun, ist wesentlich, um auf seine Erlöserliebe antworten zu können. Andererseits erinnert uns die aufsteigende Perspektive daran, dass der Vater durch das ganz menschliche Handeln seines Sohnes unser Tun erneuern wollte, damit wir – Christus gleichgestaltet – «die guten Werke» tun können, «die Gott für uns im Voraus bestimmt hat» (Eph 2,10).

10. Es ist zudem klar, dass das Heil, das Jesus in seiner eigenen Person gewirkt hat, nicht nur das Innere des Menschen betrifft. Um nämlich die heilbringende Gemeinschaft mit Gott jedem Menschen bringen zu können, ist der Sohn Fleisch geworden (vgl. Joh 1,14). Eben weil er Fleisch angenommen hat (vgl. Röm 8,3; Hebr 2,14; 1 Joh 4,2) und von einer Frau geboren wurde (vgl. Gal 4,4), ist «der Sohn Gottes zum Menschensohn»[15] und zu unserem Bruder (vgl. Hebr 2,14) geworden. Indem er so ein Glied der Menschheitsfamilie geworden ist, hat er sich «gewissermaßen mit jedem Menschen vereinigt»[16]. Er hat eine neue Ordnung von Beziehungen mit Gott, seinem Vater, und allen Menschen gestiftet, in die wir eingefügt werden können, um an seinem eigenen Leben teilzuhaben. Die Annahme des Fleisches ist folglich weit davon entfernt, das Heilswirken Christi einzugrenzen, sondern macht es ihm konkret möglich, das Heil Gottes allen Kindern Adams zu vermitteln.

11. Als Antwort auf die individualistische Verkürzung des Neu-Pelagianismus sowie auf das Versprechen einer bloß innerlichen Befreiung von Seiten des Neu-Gnostizismus muss schließlich daran erinnert werden, wie Jesus als Retter wirkt. Er hat sich nicht darauf beschränkt, uns den Weg zur Begegnung mit Gott zu zeigen – einen Weg, den wir dann mit eigener Kraft im Gehorsam gegenüber seinen Worten und in Nachahmung seines Beispiels gehen könnten. Um uns die Tür zur Erlösung aufzutun, ist Christus vielmehr selbst der Weg geworden: «Ich bin der Weg» (Joh 14,6).[17] Dieser Weg ist zudem nicht ein bloß innerlicher Weg am Rand unserer Beziehungen zu den anderen und zur geschaffenen Welt. Im Gegenteil, Jesus «hat uns den neuen und lebendigen Weg erschlossen [...] durch sein Fleisch» (Hebr 10,20). Christus ist also Retter, weil er unsere ganze menschliche Natur angenommen und ein wirklich menschliches Leben in Gemeinschaft mit dem Vater und den Brüdern und Schwestern geführt hat. Das Heil besteht darin, dass wir uns in dieses Leben Christi einfügen lassen, indem wir seinen Geist empfangen (vgl. 1 Joh 4,13). So ist er «in gewisser Weise das Prinzip jeder Gnade gemäß der menschlichen Natur» geworden.[18] Er ist zugleich Heiland und Heil.

V. Das Heil in der Kirche, dem Leib Christi

12. Der Ort, wo uns das von Christus gebrachte Heil geschenkt wird, ist die Kirche, die Gemeinschaft derer, die in die von Christus gestiftete neue Ordnung der Beziehungen eingegliedert werden und die Fülle des Geistes Christi empfangen können (vgl. Röm 8,9). Das Verständnis für diese Heilsmittlung der Kirche ist eine wesentliche Hilfe, um jedwede Tendenz zu verkürzten Auffassungen zu überwinden. Denn das Heil, das Gott uns anbietet, ist nicht mit eigenen Kräften zu erlangen, wie der Neu-Pelagianismus möchte, sondern mittels der Beziehungen, die dem Fleisch gewordenen Sohn Gottes entspringen und die Gemeinschaft der Kirche formen. Weil die Gnade, die Christus uns schenkt, darüber hinaus nicht ein bloß innerliches Heil bringt, wie die neu-gnostische Sichtweise vorgibt, sondern uns in konkrete Beziehungen hineinnimmt, die er selbst gelebt hat, ist die Kirche eine sichtbare Gemeinschaft: In ihr berühren wir das Fleisch Jesu, in herausragender Weise in den ärmsten und leidenden Brüdern und Schwestern. Die Heilsvermittlung der Kirche, dem «allumfassenden Heilssakrament»,[19] versichert uns, dass das Heil weder in der Selbstverwirklichung des isolierten Individuums noch in seiner inneren Verschmelzung mit dem Göttlichen besteht, sondern in der Eingliederung in eine Gemeinschaft von Personen, die an der Gemeinschaft der Dreifaltigkeit teilhat.

13. Die individualistische Sichtweise sowie die rein innerliche Heilsperspektive widersprechen zudem der sakramentalen Heilsordnung, durch die Gott den Menschen retten will. Die in der Kirche mögliche Teilhabe an der neuen Ordnung der Beziehungen, die von Jesus gestiftet wurden, geschieht durch die Sakramente, unter denen die Taufe die Tür[20] und die Eucharistie die Quelle und der Höhepunkt ist.[21] So wird auf der einen Seite sichtbar, dass die Anmaßung einer Selbsterlösung, die nur auf die eigenen menschlichen Kräfte zählt, haltlos ist. Der Glaube bekennt im Gegenteil, dass wir durch die Taufe gerettet werden, die uns das unauslöschliche Siegel der Zugehörigkeit zu Christus und zur Kirche einprägt. Darin wurzelt die Wandlung unserer konkreten Weise, die Beziehungen mit Gott, mit den Menschen und mit den geschaffenen Dingen zu leben (vgl. Mt 28,19). Gereinigt von der Erbsünde und jeder persönlichen Sünde, sind wir so zu einem neuen Leben gerufen, das Christus entspricht (vgl. Röm 6,4). Die Gläubigen wachsen und erneuern sich beständig durch die Gnade der sieben Sakramente, vor allem wenn der Weg schwerer wird und Rückfälle nicht ausbleiben. Wenn sie durch die Sünde von ihrer Liebe zu Christus ablassen, können sie durch das Sakrament der Buße wieder in die Ordnung der von Jesus gestifteten Beziehungen aufgenommen werden, um einen Lebenswandel zu führen, wie er ihn geführt hat (vgl. 1 Joh 2,6). Auf diese Weise blicken sie voll Hoffnung auf das Letzte Gericht, in dem jeder Mensch nach den konkreten Taten der Liebe (vgl. Röm 13,8-10), besonders zu den Schwächsten (vgl. Mt 25,31-46), gerichtet wird.

14. Der sakramentalen Heilsordnung widersprechen auch die Strömungen, die ein bloß innerliches Heil propagieren. Der Gnostizismus verbindet sich nämlich mit einer negativen Sicht auf die geschaffene Ordnung, die als Begrenzung der absoluten Freiheit des menschlichen Geistes verstanden wird. Folglich wird das Heil als Befreiung vom Leib und von den konkreten Beziehungen, in denen der Mensch lebt, gesehen. Für uns als Erlöste ist das wahre Heil «durch die Hingabe des Leibes Jesu Christi» (Hebr 10,10; vgl. Kol 1,22) jedoch weit davon entfernt, Befreiung vom Leib zu sein. Es schließt vielmehr auch dessen Heiligung ein (vgl. Röm 12,1). In den menschlichen Leib, der von Gott geformt wurde, ist eine Sprache eingeschrieben, welche den Menschen einlädt, die Gaben des Schöpfers zu erkennen und in Gemeinschaft mit den Brüdern und Schwestern zu leben.[22] Durch seine Menschwerdung und sein Ostergeheimnis hat der Retter diese ursprüngliche Sprache wiederhergestellt, erneuert und uns in der leibhaften Ordnung der Sakramente vermittelt. Dank der Sakramente können die Christen in Treue zum Fleisch Christi und folglich in Treue zur konkreten Ordnung der von ihm geschenkten Beziehungen leben. Diese Ordnung von Beziehungen erfordert in besonderer Weise die Sorge um alle Menschen in ihren Leiden, vor allem durch die leiblichen und geistlichen Werke der Barmherzigkeit.[23]

VI. Schluss: den Glauben verkünden in der Erwartung des Retters

15. Das Bewusstsein der Lebensfülle, in die uns Jesus, der Retter, hineinnimmt, drängt die Christen zur Mission, um allen Menschen die Freude und das Licht des Evangeliums zu verkünden.[24] In diesem Bemühen sind sie auch bereit, einen aufrichtigen und konstruktiven Dialog mit den Anhängern anderer Religionen aufzubauen im Vertrauen, dass Gott «alle Menschen guten Willens, in deren Herzen die Gnade unsichtbar wirkt»[25], zum Heil in Christus führen kann. Während sich die Kirche mit allen ihren Kräften der Evangelisierung widmet, hört sie nicht auf, das endgültige Kommen des Retters zu erflehen, denn «auf Hoffnung hin sind wir gerettet» (Röm 8,24). Das Heil des Menschen wird erst dann vollendet sein, wenn wir nach dem Sieg über den letzten Feind, den Tod (vgl. 1 Kor 15,26), ganz an der Herrlichkeit des auferstandenen Jesus teilhaben, der unsere Beziehung mit Gott, mit den Brüdern und Schwestern sowie mit den geschaffenen Dingen zur Vollendung führen wird. Das umfassende Heil, das Heil der Seele und des Leibes, ist die endgültige Bestimmung, zu der Gott alle Menschen ruft. Gegründet im Glauben, gestützt auf die Hoffnung, tätig in der Liebe nach dem Beispiel Marias, der Mutter des Retters, der Ersterlösten, haben wir die Gewissheit: «Unsere Heimat ist im Himmel. Von dorther erwarten wir auch Jesus Christus, den Herrn, als Retter, der unseren armseligen Leib verwandeln wird in die Gestalt seines verherrlichten Leibes, in der Kraft, mit der er sich auch alles unterwerfen kann» (Phil 3,20-21).

Papst Franziskus hat dieses Schreiben, das von der Vollversammlung dieser Kongregation am 24. Januar 2018 beschlossen worden war, am 16. Februar 2018 gutgeheißen und seine Veröffentlichung angeordnet.

Gegeben zu Rom, am Sitz der Kongregation für die Glaubenslehre, am 22. Februar 2018, dem Fest Kathedra Petri.

+ Luis F. Ladaria, S.I.
Titularerzbischof von Thibica
Präfekt

+ Giacomo Morandi
Titularerzbischof von Cerveteri
Sekretär

_______________________

[1] II. Ökumenisches Vatikanisches Konzil, Dogmatische Konstitution Dei Verbum, Nr. 2.
[2]
Vgl. Kongregation für die Glaubenslehre, Erklärung Dominus Iesus (6. August 2000), Nr. 5-8: AAS 92 (2000), 745-749.
[3]
Vgl. Franziskus, Apostolisches Schreiben Evangelii gaudium (24. November 2013), Nr. 67: AAS 105 (2013), 1048.
[4]
Vgl. Ders., Enzyklika Lumen fidei (29. Juni 2013), Nr. 47: AAS 105 (2013), 586-587; Apostolisches Schreiben Evangelii gaudium, Nr. 93-94: AAS (2013), 1059; Ansprache an die Vertreter des fünften Nationalen Kongresses der Kirche in Italien, Florenz (10. November 2015): AAS 107 (2015), 1287.
[5]
Vgl. Ders., Ansprache an die Vertreter des fünften Nationalen Kongresses der Kirche in Italien, Florenz (10. November 2015): AAS 107 (2015), 1288.
[6]
Vgl. Ders., Apostolisches Schreiben Evangelii gaudium, Nr. 94: AAS 105 (2013), 1059: «die Faszination des Gnostizismus, eines im Subjektivismus eingeschlossenen Glaubens, bei dem einzig eine bestimmte Erfahrung oder eine Reihe von Argumentationen und Kenntnissen interessiert, von denen man meint, sie könnten Trost und Licht bringen, wo aber das Subjekt letztlich in der Immanenz seiner eigenen Vernunft oder seiner Gefühle eingeschlossen bleibt»; Päpstlicher Rat für die Kultur – Päpstlicher Rat für den interreligiösen Dialog, Jesus Christ. The Bearer of the Water of Life. A Christian Reflection on the “New Age” (Januar 2003), Vatikanstadt 2003.
[7]
Franziskus, Enzyklika Lumen fidei, Nr. 47: AAS 105 (2013), 586-587.
[8]
Vgl. Ders., Ansprache an die Teilnehmer der Pilgerfahrt der Diözese Brescia (22. Juni 2013): AAS 95 (2013), 627: «in dieser Welt, [...] wo man lieber den Weg des Gnostizismus geht, [...] des „kein Fleisch“ – ein Gott, der nicht Fleisch geworden ist [...]».
[9]
Gemäß der Häresie des Pelagianismus, die sich im fünften Jahrhundert um Pelagius entwickelt hat, braucht der Mensch die Gnade zur Erfüllung der Gebote Gottes und zu seiner Rettung nur im Sinn einer äußerlichen Hilfe für seine Freiheit (etwa wie ein Licht, ein Beispiel, eine Kraft), nicht aber im Sinn einer gänzlich unverdienten Heilung und radikalen Erneuerung seiner Freiheit, die es ihm möglich macht, das Gute zu tun und das ewige Leben zu erlangen.
Komplizierter ist die gnostische Bewegung, die im ersten und zweiten Jahrhundert entstanden ist und viele unterschiedliche Formen kennt. Im Allgemeinen glaubten die Gnostiker, dass man das Heil durch eine esoterische Kenntnis oder “Gnosis” erlangt. Diese Kenntnis macht dem Gnostiker sein wahres Wesen bekannt, nämlich einen Funken des göttlichen Geistes, der in seinem Inneren wohnt, das vom Leib befreit werden muss, weil dieser seinem wahren Menschsein fremd ist. Nur auf diese Weise kehrt der Gnostiker zu seinem ursprünglichen Sein in Gott zurück, von dem er sich durch den Sündenfall entfernt hatte.
[10]
Vgl. Thomas von aquin, Summa theologiae, I-II, q. 2.
[11]
Vgl. Augustinus, Bekenntnisse, I, 1: Corpus Christianorum, 27,1.
[12]
II. Ökumenisches Vatikanisches Konzil, Pastoralkonstitution Gaudium et spes, Nr. 22.
[13]
Internationale Theologische Kommission, Gott der Erlöser. Zu einigen ausgewählten Fragen, 1995, Nr. 2.
[14]
Benedikt XVI., Enzyklika Deus caritas est (25. Dezember 2005), Nr. 1: AAS 98 (2006), 217; vgl. Franziskus, Apostolisches Schreiben Evangelii gaudium, Nr. 3: AAS 105 (2013), 1020.
[15]
Irenäus, Adversus haereses, III, 19,1: Sources Chrétiennes, 211, 374.
[16]
II. Ökumenisches Vatikanisches Konzil, Pastoralkonstitution Gaudium et spes, Nr. 22.
[17]
Vgl. Augustinus, Tractatus in Ioannem, 13, 4: Corpus Christianorum 36, 132: «Ich bin der Weg und die Wahrheit und das Leben (Joh 14,6). Wenn du die Wahrheit suchst, folge dem Weg, denn der Weg ist auch die Wahrheit. Das Ziel, dem du zustrebst, und der Weg, den zu einschlagen musst, sind dasselbe. Du kannst nicht zum Ziel gelangen, wenn du einem anderen Weg folgst; auf einem anderen Weg kannst du nicht zu Christus gelangen: Zu Christus kannst du nur durch Christus kommen. In welcher Hinsicht gelangst du durch Christus zu Christus? Du kommst zu Christus, der Gott ist, durch Christus, der Mensch ist. Durch das Wort, das Fleisch geworden ist, kommst du zum Wort, das am Anfang Gott bei Gott war».
[18]
Thomas von Aquin, Quaestio de veritate, q. 29, a. 5, co.
[19]
II. Ökumenisches Vatikanisches Konzil, Dogmatische Konstitution Lumen gentium, Nr. 48.
[20]
Vgl. Thomas von Aquin, Summa theologiae, III, q. 63, a. 3.
[21]
Vgl. II. Ökumenisches Vatikanisches Konzil, Dogmatische Konstitution Lumen gentium, Nr. 11; Konstitution Sacrosanctum Concilium, Nr. 10.
[22]
Vgl. Franziskus, Enzyklika Laudato si’ (24. Mai 2015), Nr. 155, AAS 107 (2015), 909-910.
[23]
Vgl. Ders., Schreiben Misericordia et misera (20. November 2016), Nr. 20: AAS 108 (2016), 1325-1326.
[24]
Vgl. Johannes Paul II., Enzyklika Redemptoris missio (7. Dezember 1990), Nr. 40: AAS 83 (1991), 287-288; Franziskus, Apostolisches Schreiben Evangelii gaudium, Nr. 9-13: AAS 105 (2013), 1022-1025.
[25]
II. Ökumenisches Vatikanisches Konzil, Pastoralkonstitution Gaudium et spes, Nr. 22.

[00317-DE.01] [Originalsprache: Italienisch]

Testo in lingua spagnola

CONGREGACIÓN PARA LA DOCTRINA DE LA FE

Carta Placuit Deo
a los Obispos de la Iglesia Católica
sobre algunos aspectos de la salvación cristiana

I. Introducción

1. «Dispuso Dios en su sabiduría revelarse a Sí mismo y dar a conocer el misterio de su voluntad (cf. Ef 1, 9), mediante el cual los hombres, por medio de Cristo, Verbo encarnado, tienen acceso al Padre en el Espíritu Santo y se hacen consortes de la naturaleza divina (cf. Ef 2, 18; 2 P 1, 4). […] Pero la verdad íntima acerca de Dios y acerca de la salvación humana se nos manifiesta por la revelación en Cristo, que es a un tiempo mediador y plenitud de toda la revelación»[1]. La enseñanza sobre la salvación en Cristo requiere siempre ser profundizada nuevamente. Manteniendo fija la mirada en el Señor Jesús, la Iglesia se dirige con amor materno a todos los hombres, para anunciarles todo el designio de la Alianza del Padre que, a través del Espíritu Santo, quiere «recapitular en Cristo todas las cosas» (cf. Ef 1,1 0). La presente Carta pretende resaltar, en el surco de la gran tradición de la fe y con particular referencia a la enseñanza del Papa Francisco, algunos aspectos de la salvación cristiana que hoy pueden ser difíciles de comprender debido a las recientes transformaciones culturales.

II. El impacto de las transformaciones culturales de hoy en el significado de la salvación cristiana

2. El mundo contemporáneo percibe no sin dificultad la confesión de la fe cristiana, que proclama a Jesús como el único Salvador de toda el hombre y de toda la humanidad (cf. Hch 4, 12; Rm 3, 23-24; 1 Tm 2, 4-5; Tt 2, 11-15).[2] Por un lado, el individualismo centrado en el sujeto autónomo tiende a ver al hombre como un ser cuya realización depende únicamente de su fuerza.[3] En esta visión, la figura de Cristo corresponde más a un modelo que inspira acciones generosas, con sus palabras y gestos, que a Aquel que transforma la condición humana, incorporándonos en una nueva existencia reconciliada con el Padre y entre nosotros a través del Espíritu (cf. 2 Co 5, 19; Ef 2, 18). Por otro lado, se extiende la visión de una salvación meramente interior, la cual tal vez suscite una fuerte convicción personal, o un sentimiento intenso, de estar unidos a Dios, pero no llega a asumir, sanar y renovar nuestras relaciones con los demás y con el mundo creado. Desde esta perspectiva, se hace difícil comprender el significado de la Encarnación del Verbo, por la cual se convirtió miembro de la familia humana, asumiendo nuestra carne y nuestra historia, por nosotros los hombres y por nuestra salvación.

3. El Santo Padre Francisco, en su magisterio ordinario, se ha referido a menudo a dos tendencias que representan las dos desviaciones que acabamos de mencionar y que en algunos aspectos se asemejan a dos antiguas herejías: el pelagianismo y el gnosticismo.[4] En nuestros tiempos, prolifera una especia de neo-pelagianismo para el cual el individuo, radicalmente autónomo, pretende salvarse a sí mismo, sin reconocer que depende, en lo más profundo de su ser, de Dios y de los demás. La salvación es entonces confiada a las fuerzas del individuo, o las estructuras puramente humanas, incapaces de acoger la novedad del Espíritu de Dios.[5] Un cierto neo-gnosticismo, por su parte, presenta una salvación meramente interior, encerrada en el subjetivismo,[6] que consiste en elevarse «con el intelecto hasta los misterios de la divinidad desconocida».[7] Se pretende, de esta forma, liberar a la persona del cuerpo y del cosmos material, en los cuales ya no se descubren las huellas de la mano providente del Creador, sino que ve sólo una realidad sin sentido, ajena de la identidad última de la persona, y manipulable de acuerdo con los intereses del hombre.[8] Por otro lado, está claro que la comparación con las herejías pelagiana y gnóstica solo se refiere a rasgos generales comunes, sin entrar en juicios sobre la naturaleza exacta de los antiguos errores. De hecho, la diferencia entre el contexto histórico secularizado de hoy y el de los primeros siglos cristianos, en el que nacieron estas herejías, es grande[9]. Sin embargo, en la medida en que el gnosticismo y el pelagianismo son peligros perennes de una errada comprensión de la fe bíblica, es posible encontrar cierta familiaridad con los movimientos contemporáneos apenas descritos.

4. Tanto el individualismo neo-pelagiano como el desprecio neo-gnóstico del cuerpo deforman la confesión de fe en Cristo, el Salvador único y universal. ¿Cómo podría Cristo mediar en la Alianza de toda la familia humana, si el hombre fuera un individuo aislado, que se autorrealiza con sus propias fuerzas, como lo propone el neo-pelagianismo? ¿Y cómo podría llegar la salvación a través de la Encarnación de Jesús, su vida, muerte y resurrección en su verdadero cuerpo, si lo que importa solamente es liberar la interioridad del hombre de las limitaciones del cuerpo y la materia, según la nueva visión neo-gnóstica? Frente a estas tendencias, la presente Carta desea reafirmar que la salvación consiste en nuestra unión con Cristo, quien, con su Encarnación, vida, muerte y resurrección, ha generado un nuevo orden de relaciones con el Padre y entre los hombres, y nos ha introducido en este orden gracias al don de su Espíritu, para que podamos unirnos al Padre como hijos en el Hijo, y convertirnos en un solo cuerpo en el «primogénito entre muchos hermanos» (Rm 8, 29).

III. Aspiración humana a la salvación

5. El hombre se percibe a sí mismo, directa o indirectamente, como un enigma: ¿Quién soy yo que existo, pero no tengo en mí el principio de mi existir? Cada persona, a su modo, busca la felicidad, e intenta alcanzarla recurriendo a los recursos que tiene a disposición. Sin embargo, esta aspiración universal no necesariamente se expresa o se declara; más bien, es más secreta y oculta de lo que parece, y está lista para revelarse en situaciones particulares. Muy a menudo coincide con la esperanza de la salud física, a veces toma la forma de ansiedad por un mayor bienestar económico, se expresa ampliamente a través de la necesidad de una paz interior y una convivencia serena con el prójimo. Por otro lado, si bien la cuestión de la salvación se presenta como un compromiso por un bien mayor, también conserva el carácter de resistencia y superación del dolor. A la lucha para conquistar el bien, se une la lucha para defenderse del mal: de la ignorancia y el error, de la fragilidad y la debilidad, de la enfermedad y la muerte.

6. Con respecto a estas aspiraciones, la fe en Cristo nos enseña, rechazando cualquier pretensión de autorrealización, que solo se pueden realizar plenamente si Dios mismo lo hace posible, atrayéndonos hacia Él mismo. La salvación completa de la persona no consiste en las cosas que el hombre podría obtener por sí mismo, como la posesión o el bienestar material, la ciencia o la técnica, el poder o la influencia sobre los demás, la buena reputación o la autocomplacencia.[10] Nada creado puede satisfacer al hombre por completo, porque Dios nos ha destinado a la comunión con Él y nuestro corazón estará inquieto hasta que descanse en Él.[11] «La vocación suprema del hombre en realidad es una sola, es decir, la divina».[12] La revelación, de esta manera, no se limita a anunciar la salvación como una respuesta a la expectativa contemporánea. «Si la redención, por el contrario, hubiera de ser juzgada o medida por la necesidad existencial de los seres humanos, ¿cómo podríamos soslayar la sospecha de haber simplemente creado un Dios Redentor a imagen de nuestra propia necesidad?».[13]

7. Además es necesario afirmar que, de acuerdo con la fe bíblica, el origen del mal no se encuentra en el mundo material y corpóreo, experimentada como un límite o como una prisión de la que debemos ser salvados. Por el contrario, la fe proclama que todo el cosmos es bueno, en cuanto creado por Dios (cf. Gn 1, 31; Sb 1, 13-14; 1 Tm 4 4), y que el mal que más daña al hombre es el que procede de su corazón (cf. Mt 15, 18-19; Gn 3, 1-19). Pecando, el hombre ha abandonado la fuente del amor y se ha perdido en formas espurias de amor, que lo encierran cada vez más en sí mismo. Esta separación de Dios – de Aquel que es fuente de comunión y de vida – que conduce a la pérdida de la armonía entre los hombres y de los hombres con el mundo, introduciendo el dominio de la disgregación y de la muerte (cf. Rm 5, 12). En consecuencia, la salvación que la fe nos anuncia no concierne solo a nuestra interioridad, sino a nuestro ser integral. Es la persona completa, de hecho, en cuerpo y alma, que ha sido creada por el amor de Dios a su imagen y semejanza, y está llamada a vivir en comunión con Él.

IV. Cristo, Salvador y Salvación

8. En ningún momento del camino del hombre, Dios ha dejado de ofrecer su salvación a los hijos de Adán (cf. Gn 3, 15), estableciendo una alianza con todos los hombres en Noé (cf. Gn 9, 9) y, más tarde, con Abraham y su descendencia (cf. Gn15, 18). La salvación divina asume así el orden creativo compartido por todos los hombres y recorre su camino concreto a través de la historia. Eligiéndose un pueblo, a quien ha ofrecido los medios para luchar contra el pecado y acercarse a Él, Dios ha preparado la venida de «un poderoso Salvador en la casa de David, su servidor» (Lc 1, 69). En la plenitud de los tiempos, el Padre ha enviado a su Hijo al mundo, quien anunció el reino de Dios, curando todo tipo de enfermedades (cf. Mt4, 23). Las curaciones realizadas por Jesús, en las cuales se hacía presente la providencia de Dios, eran un signo que se refería a su persona, a Aquel que se ha revelado plenamente como el Señor de la vida y la muerte en su evento pascual. Según el Evangelio, la salvación para todos los pueblos comienza con la aceptación de Jesús: «Hoy ha llegado la salvación a esta casa» (Lc 19, 9). La buena noticia de la salvación tienen nombre y rostro: Jesucristo, Hijo de Dios, Salvador. «No se comienza a ser cristiano por una decisión ética o una gran idea, sino por el encuentro con un acontecimiento, con una Persona, que da un nuevo horizonte a la vida y, con ello, una orientación decisiva».[14]

9. La fe cristiana, a través de su tradición centenaria, ha ilustrado, a través de muchas figuras, esta obra salvadora del Hijo encarnado. Lo ha hecho sin nunca separar el aspecto curativo de la salvación, por el que Cristo nos rescata del pecado, del aspecto edificante, por el cual Él nos hace hijos de Dios, partícipes de su naturaleza divina (cf. 2 P 1, 4). Teniendo en cuenta la perspectiva salvífica que desciende (de Dios que viene a rescatar a los hombres), Jesús es iluminador y revelador, redentor y liberador, el que diviniza al hombre y lo justifica. Asumiendo la perspectiva ascendiente (desde los hombres que acuden a Dios), Él es el que, como Sumo Sacerdote de la Nueva Alianza, ofrece al Padre, en el nombre de los hombres, el culto perfecto: se sacrifica, expía los pecados y permanece siempre vivo para interceder a nuestro favor. De esta manera aparece, en la vida de Jesús, una admirable sinergia de la acción divina con la acción humana, que muestra la falta de fundamento de la perspectiva individualista. Por un lado, de hecho, el sentido descendiente testimonia la primacía absoluta de la acción gratuita de Dios; la humildad para recibir los dones de Dios, antes de cualquier acción nuestra, es esencial para poder responder a su amor salvífico. Por otra parte, el sentido ascendiente nos recuerda que, por la acción humana plenamente de su Hijo, el Padre ha querido regenerar nuestras acciones, de modo que, asimilados a Cristo, podamos hacer «buenas obras, que Dios preparó de antemano para que las practicáramos» (Ef 2, 10).

10. Está claro, además, que la salvación que Jesús ha traído en su propia persona no ocurre solo de manera interior. De hecho, para poder comunicar a cada persona la comunión salvífica con Dios, el Hijo se ha hecho carne (cf. Jn 1, 14). Es precisamente asumiendo la carne (cf. Rm 8, 3; Hb 2, 14: 1 Jn 4, 2), naciendo de una mujer (cf. Ga 4, 4), que «se hizo el Hijo de Dios Hijo del Hombre»[15] y nuestro hermano (cf. Hb 2, 14). Así, en la medida en que Él ha entrado a formar pare de la familia humana, «se ha unido, en cierto modo, con todo hombre»[16] y ha establecido un nuevo orden de relaciones con Dios, su Padre, y con todos los hombres, en quienes podemos ser incorporado para participar a su propia vida. En consecuencia, la asunción de la carne, lejos de limitar la acción salvadora de Cristo, le permite mediar concretamente la salvación de Dios para todos los hijos de Adán.

11. En conclusión, para responder, tanto al reduccionismo individualista de tendencia pelagiana, como al reduccionismo neo-gnóstico que promete una liberación meramente interior, es necesario recordar la forma en que Jesús es Salvador. No se ha limitado a mostrarnos el camino para encontrar a Dios, un camino que podríamos seguir por nuestra cuenta, obedeciendo sus palabras e imitando su ejemplo. Cristo, más bien, para abrirnos la puerta de la liberación, se ha convertido Él mismo en el camino: «Yo soy el camino» (Jn 14, 6).[17] Además, este camino no es un camino meramente interno, al margen de nuestras relaciones con los demás y con el mundo creado. Por el contrario, Jesús nos ha dado un «camino nuevo y viviente que él nos abrió a través del velo del Templo, que es su carne» (Hb 10, 20). En resumen, Cristo es Salvador porque ha asumido nuestra humanidad integral y vivió una vida humana plena, en comunión con el Padre y con los hermanos. La salvación consiste en incorporarnos a nosotros mismos en su vida, recibiendo su Espíritu (cf. 1 Jn 4, 13). Así se ha convirtió «en cierto modo, en el principio de toda gracia según la humanidad».[18] Él es, al mismo tiempo, el Salvador y la Salvación.

V. La Salvación en la Iglesia, cuerpo de Cristo

12. El lugar donde recibimos la salvación traída por Jesús es la Iglesia, comunidad de aquellos que, habiendo sido incorporados al nuevo orden de relaciones inaugurado por Cristo, pueden recibir la plenitud del Espíritu de Cristo (Rm 8, 9). Comprender esta mediación salvífica de la Iglesia es una ayuda esencial para superar cualquier tendencia reduccionista. La salvación que Dios nos ofrece, de hecho, no se consigue sólo con las fuerzas individuales, como indica el neo-pelagianismo, sino a través de las relaciones que surgen del Hijo de Dios encarnado y que forman la comunión de la Iglesia. Además, dado que la gracia que Cristo nos da no es, como pretende la visión neo-gnóstica, una salvación puramente interior, sino que nos introduce en las relaciones concretas que Él mismo vivió, la Iglesia es una comunidad visible: en ella tocamos el carne de Jesús, singularmente en los hermanos más pobres y más sufridos. En resumen, la mediación salvífica de la Iglesia, «sacramento universal de salvación»,[19] nos asegura que la salvación no consiste en la autorrealización del individuo aislado, ni tampoco en su fusión interior con el divino, sino en la incorporación en una comunión de personas que participa en la comunión de la Trinidad.

13. Tanto la visión individualista como la meramente interior de la salvación contradicen también la economía sacramental a través de la cual Dios ha querido salvar a la persona humana. La participación, en la Iglesia, al nuevo orden de relaciones inaugurado por Jesús sucede a través de los sacramentos, entre los cuales el bautismo es la puerta,[20] y la Eucaristía, la fuente y cumbre.[21] Así vemos, por un lado, la inconsistencia de las pretensiones de auto-salvación, que solo cuentan con las fuerzas humanas. La fe confiesa, por el contrario, que somos salvados por el bautismo, que nos da el carácter indeleble de pertenencia a Cristo y a la Iglesia, del cual deriva la transformación de nuestro modo concreto de vivir las relaciones con Dios, con los hombres y con la creación (cf. Mt 28, 19). Así, limpiados del pecado original y de todo pecado, estamos llamados a una vida nueva existencia conforme a Cristo (cf. Rm 6, 4). Con la gracia de los siete sacramentos, los creyentes crecen y se regeneran continuamente, especialmente cuando el camino se vuelve más difícil y no faltan las caídas. Cuando, pecando, abandonan su amor a Cristo, pueden ser reintroducidos, a través del sacramento de la Penitencia, en el orden de las relaciones inaugurado por Jesús, para caminar como ha caminado Él (cf. 1 Jn 2, 6). De esta manera, miramos con esperanza el juicio final, en el que se juzgará a cada persona en la realidad de su amor (cf. Rm 13, 8-10), especialmente para los más débiles (cf. Mt 25, 31-46).

14. La economía salvífica sacramental también se opone a las tendencias que proponen una salvación meramente interior. El gnosticismo, de hecho, se asocia con una mirada negativa en el orden creado, comprendido como limitación de la libertad absoluta del espíritu humano. Como consecuencia, la salvación es vista como la liberación del cuerpo y de las relaciones concretas en las que vive la persona. En cuanto somos salvados, en cambio, «por la oblación del cuerpo de Jesucristo» (Hb10, 10; cf. Col 1, 22), la verdadera salvación, lejos de ser liberación del cuerpo, también incluye su santificación (cf. Ro 12, 1). El cuerpo humano ha sido modelado por Dios, quien ha inscrito en él un lenguaje que invita a la persona humana a reconocer los dones del Creador y a vivir en comunión con los hermanos.[22] El Salvador ha restablecido y renovado, con su Encarnación y su misterio pascual, este lenguaje originario y nos lo ha comunicado en la economía corporal de los sacramentos. Gracias a los sacramentos, los cristianos pueden vivir en fidelidad a la carne de Cristo y, en consecuencia, en fidelidad al orden concreto de relaciones que Él nos ha dado. Este orden de relaciones requiere, de manera especial, el cuidado de la humanidad sufriente de todos los hombres, a través de las obras de misericordia corporales y espirituales.[23]

VI. Conclusión: comunicar la fe, esperando al Salvador

15. La conciencia de la vida plena en la que Jesús Salvador nos introduce empuja a los cristianos a la misión, para anunciar a todos los hombres el gozo y la luz del Evangelio.[24] En este esfuerzo también estarán listos para establecer un diálogo sincero y constructivo con creyentes de otras religiones, en la confianza de que Dios puede conducir a la salvación en Cristo a «todos los hombres de buena voluntad, en cuyo corazón obra la gracia».[25] Mientras se dedica con todas sus fuerzas a la evangelización, la Iglesia continúa a invocar la venida definitiva del Salvador, ya que «en esperanza estamos salvados» (Rm8, 24). La salvación del hombre se realizará solamente cuando, después de haber conquistado al último enemigo, la muerte (cf. 1 Co 15, 26), participaremos plenamente en la gloria de Jesús resucitado, que llevará a plenitud nuestra relación con Dios, con los hermanos y con toda la creación. La salvación integral del alma y del cuerpo es el destino final al que Dios llama a todos los hombres. Fundados en la fe, sostenidos por la esperanza, trabajando en la caridad, siguiendo el ejemplo de María, la Madre del Salvador y la primera de los salvados, estamos seguros de que «somos ciudadanos del cielo, y esperamos ardientemente que venga de allí como Salvador el Señor Jesucristo. El transformará nuestro pobre cuerpo mortal, haciéndolo semejante a su cuerpo glorioso, con el poder que tiene para poner todas las cosas bajo su dominio» (Flp 3, 20-21).

El Sumo Pontífice Francisco, en la Audiencia concedida el día 16 de febrero de 2018, ha aprobado esta Carta, decidida en la Sesión Ordinaria de esta Congregación el 24 de enero de 2018, y ha ordenado su publicación.

Dado en Roma, en la sede de la Congregación para la Doctrina de la Fe, el 22 de febrero de 2018, Fiesta de la Cátedra de San Pedro.

+ Luis F. Ladaria, S.I.
Arzobispo titular de Thibica
Prefecto

+ Giacomo Morandi
Arzobispo titular de Cerveteri
Secretario

_______________________

[1] Conc. Ecum. Vat. II, Const. dogm. Dei Verbum, n. 2.
[2]
Cf. Congregación para la Doctrina de la Fe, Decl. Dominus Iesus (6 de agosto del 2000), nn. 5-8: AAS 92 (2000), 745-749.
[3]
Cf. Francisco, Exhort. apost. Evangelii gaudium (24 de noviembre de 2013), n. 67: AAS 105 (2013), 1048.
[4]
Cf. Id., Carta enc. Lumen fidei (29 de junio de 2013), n. 47: AAS 105 (2013), 586-587; Exhort. apost. Evangelii gaudium, nn. 93-94: AAS (2013), 1059; Encuentro con los participantes en el V Congreso de la Iglesia Italiana, Florencia (10 de noviembre de 2015): AAS 107 (2015), 1287.
[5]
Cf. Id., Encuentro con los participantes en el V Congreso de la Iglesia Italiana, Florencia (10 de noviembre de 2015): AAS107 (2015), 1288.
[6]
Cf. Id., Exhort. apost. Evangelii gaudium, n. 94: AAS 105 (2013), 1059: «la fascinación del gnosticismo, una fe encerrada en el subjetivismo, donde sólo interesa una determinada experiencia o una serie de razonamientos y conocimientos que supuestamente reconfortan e iluminan, pero en definitiva el sujeto queda clausurado en la inmanencia de su propia razón o de sus sentimientos»; Consejo Pontificio de la Cultura –– Consejo Pontificio para el Diálogo Interreligioso, Jesucristo, portador del agua de la vida. Una reflexión cristiana sobre la “Nueva Era” (enero de 2003), Ciudad del Vaticano 2003.
[7]
Francisco, Carta. enc. Lumen fidei, n. 47: AAS 105 (2013), 586-587.
[8]
Cf. Id., Discurso del Santo Padre Francisco a los participantes en la peregrinación de la diócesis de Brescia (22 de junio de 2013): AAS 95 (2013), 627: «en este mundo donde se niega al hombre, donde se prefiere caminar por la senda del gnosticismo, […] del “nada de carne” —un Dios que no se hizo carne».
[9]
Según la herejía pelagiana, desarrollada durante el siglo V alrededor de Pelagio, el hombre, para cumplir los mandamientos de Dios y ser salvado, necesita de la gracia solo como una ayuda externa a su libertad (a manera de luz, ejemplo, fuerza), pero no como una curación y regeneración radical de la libertad, sin mérito previo, para que pueda hacer el bien y alcanzar la vida eterna.
Más complejo es el movimiento gnóstico, que surgió en los siglos I y II, y que tiene formas muy diferentes entre ellas. En general, los gnósticos creían que la salvación se obtiene a través de un conocimiento esotérico o "gnosis". Esta gnosis revela al gnóstico su verdadera esencia, es decir, una chispa del Espíritu divino que reside en su interioridad, que debe ser liberada del cuerpo, ajeno a su verdadera humanidad. Sólo de esta manera el gnóstico regresa a su ser original en Dios, del cual se había alejado debido a una caída primordial.
[10]
Cf. Santo Tomás de Aquino, Summa theologiae, I-II, q. 2.
[11]
Cf. San Agustín, Confesiones, I, 1: Corpus Christianorum, 27, 1.
[12]
Conc. Ecum. Vat. II, Const. Past. Gaudium et spes, n. 22.
[13]
Comisión Teológica Internacional, Algunas cuestiones sobre la teología de la Redención, 1995, n. 2.
[14]
Benedicto XVI, Carta. enc. Deus caritas est (25 de diciembre de 2005), n. 1: AAS 98 (2006), 217; cf. Francisco, Exhort. apost. Evangelii gaudium, n. 3: AAS 105 (2013), 1020.
[15]
San Ireneo, Adversus haereses, III 19, 1: Sources Chrétiennes, 211, 374.
[16]
Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. Gaudium et spes, n. 22.
[17]
Cf. San Agustín, Tractatus in Ioannem, 13, 4: Corpus Christianorum, 36, 132: «Yo soy el Camino, la Verdad y la Vida (Jn 14, 6). Si buscas la verdad, mantén el camino, porque el Camino es el mismo que la Verdad. Ella en persona es adónde vas, ella en persona es por donde vas; no vas por una realidad a otra, no vienes a Cristo por otra cosa; por Cristo vienes a Cristo. ¿Cómo «por Cristo a Cristo»? Por Cristo hombre a Cristo Dios; por la Palabra hecha carne a la Palabra que en el principio era Dios en Dios».
[18]
Santo Tomás de Aquino, Quaestio de veritate, q. 29, a. 5, co.
[19]
Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 48.
[20]
Cf. Santo Tomás de Aquino, Summa theologiae, III, q. 63, a. 3.
[21]
Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 11; Cost. dogm. Sacrosanctum Concilium, n. 10.
[22]
Cf. Francisco, Carta enc. Laudato si’ (24 de mayo de 2015), n. 155, AAS 107 (2015), 909-910.
[23]
Cf. Id., Carta apost. Misericordia et misera (20 de noviembre de 2016), n. 20: AAS 108 (2016), 1325-1326.
[24]
Cf. Juan Pablo II, Carta enc. Redemptoris missio (7 de diciembre de 1990), n. 40: AA 83 (1991), 287-288; Francisco, Exhort. apost. Evangelii gaudium, nn. 9-13: AAS 105 (2013), 1022-1025.
[25]
Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. Gaudium et spes, n. 22

[00317-ES.01] [Texto original: Italiano]

Testo in lingua portoghese

CONGREGAÇÃO PARA A DOUTRINA DA FÉ

Carta Placuit Deo
aos Bispos da Igreja católica
sobre alguns aspectos da salvação cristã

I. Introdução

1. «Aprouve a Deus na sua bondade e sabedoria, revelar-se a Si mesmo e dar a conhecer o mistério da sua vontade (cfr. Ef 1,9), segundo o qual os homens, por meio de Cristo, Verbo encarnado, têm acesso ao Pai no Espírito Santo e se tornam participantes da natureza divina (cfr. Ef 2,18; 2 Pe 1,4). [...] Porém, a verdade profunda tanto a respeito de Deus como a respeito da salvação dos homens, manifesta-se-nos, por esta revelação, em Cristo, que é, simultâneamente, o mediador e a plenitude de toda a revelação».[1] O ensinamento sobre a salvação em Cristo exige sempre ser aprofundado novamente. A Igreja, tendo o olhar fixo em Cristo Senhor, dirige-se com amor materno a todos os homens, para anunciar-lhes o inteiro desígnio de Aliança do Pai que, mediante o Espírito Santo, deseja «submeter tudo a Cristo» (Ef 1,10). A presente Carta pretende destacar, na linha da grande tradição da fé e com especial referência ao ensinamento de Papa Francisco, alguns aspectos da salvação cristã que possam ser hoje difíceis de compreender por causa das recentes transformações culturais.

II. O impacto das transformações culturais de hoje sobre o significado da salvação cristã

2. O mundo contemporâneo questiona, não sem dificuldade, a confissão de fé cristã, que proclama Jesus o único Salvador de todo o homem e da humanidade inteira (cf. At 4,12; Rom 3,23-24; 1 Tm 2,4-5; Tit 2,11-15).[2] Por um lado, o individualismo centrado no sujeito autônomo, tende a ver o homem como um ser cuja realização depende somente das suas forças.[3] Nesta visão, a figura de Cristo corresponde mais a um modelo que inspira acções generosas, mediante suas palavras e seus gestos, do que Aquele que transforma a condição humana, incorporando-nos numa nova existência reconciliada com o Pai e entre nós, mediante o Espírito (cf. 2 Cor 5,19; Ef 2,18). Por outro lado, difunde-se a visão de uma salvação meramente interior, que talvez suscita uma forte convicção pessoal ou um sentimento intenso de estar unido a Deus, mas sem assumir, curar e renovar as nossas relações com os outros e com o mundo criado. Com esta perspectiva, torna-se difícil compreender o significado da Encarnação do Verbo, através da qual Ele se fez membro da família humana, assumindo a nossa carne e a nossa história, por nós homens e para a nossa salvação.

3. O Santo Padre Francisco, no seu magistério ordinário, referiu-se muitas vezes a duas tendências que representam os dois desvios antes mencionados, e que se assemelham em alguns aspectos a duas antigas heresias, isto é, o pelagianismo e o gnosticismo.[4] Prolifera em nossos tempos um neo-pelagianismo em que o homem, radicalmente autônomo, pretende salvar-se a si mesmo sem reconhecer que ele depende, no mais profundo do seu ser, de Deus e dos outros. A salvação é então confiada às forças do indivíduo ou a estruturas meramente humanas, incapazes de acolher a novidade do Espírito de Deus.[5] Um certo neo-gnosticismo, por outro lado, apresenta uma salvação meramente interior, fechada no subjetivismo.[6] Essa consiste no elevar-se «com o intelecto para além da carne de Jesus rumo aos mistérios da divindade desconhecida».[7] Pretende-se, assim, libertar a pessoa do corpo e do mundo material, nos quais não se descobrem mais os vestígios da mão providente do Criador, mas se vê apenas uma realidade privada de significado, estranha à identidade última da pessoa e manipulável segundo os interesses do homem.[8] Por outro lado, é claro que a comparação com as heresias pelagiana e gnóstica pretende somente evocar traços gerais comuns, sem entrar, nem fazer juízos, sobre a natureza destes erros antigos. De fato, a diferença entre o contexto histórico secularizado de hoje e o contexto dos primeiros séculos cristãos, nos quais estas heresias nasceram, é grande.[9] Todavia, enquanto o gnosticismo e o pelagianismo representam perigos perenes de equívocos da fé bíblica, é possível encontrar uma certa familiaridade com os movimentos de hoje apenas referidos acima.

4. Seja o individualismo neo-pelagiano que o desprezo neo-gnóstico do corpo, descaracterizam a confissão de fé em Cristo, único Salvador universal. Como poderia Cristo mediar a Aliança da família humana inteira, se o homem fosse um indivíduo isolado, que si autorrealiza somente com as suas forças, como propõe o neo-pelagianismo? E como poderia chegar até nós a salvação mediante a Encarnação de Jesus, a sua vida, morte e ressurreição no seu verdadeiro corpo, se aquilo que conta fosse somente libertar a interioridade do homem dos limites do corpo e da matéria, segundo a visão neo-gnóstica? Diante destas tendências, esta Carta pretende reafirmar que, a salvação consiste na nossa união com Cristo, que, com a sua Encarnação, vida, morte e ressurreição, gerou uma nova ordem de relações com o Pai e entre os homens, e nos introduziu nesta ordem graças ao dom do seu Espírito, para que possamos unir-nos ao Pai como filhos no Filho, e formar um só corpo no «primogênito de muitos irmãos» (Rom 8,29).

III. O desejo humano de salvação

5. O homem percebe, direta ou indiretamente, de ser um enigma: eu existo, mas quem sou eu? Tenho em mim o princípio da minha existência? Toda pessoa, a seu modo, procura a felicidade e tenta alcançá-la recorrendo aos meios disponíveis. No entanto, esse desejo universal não é necessariamente expresso ou declarado; ao contrário, esse é mais secreto e oculto do que parece, e está pronto a revelar-se diante de situações específicas. Com frequência, tal desejo coincide com a esperança da saúde física, às vezes assume a forma de ansiedade por um maior bem-estar econômico, mais difusamente expressa-se através da necessidade de uma paz interior e de uma convivência pacífica com o próximo. Por outro lado, enquanto o desejo de salvação se apresenta como um compromisso na direção de um bem maior, esse conserva também uma característica de resistência e de superação da dor. Ao lado da luta pela conquista do bem se coloca a luta de defesa do mal: da ignorância e do erro, da fragilidade e da fraqueza, da doença e da morte.

6. Com relação a estas aspirações, a fé em Cristo ensina-nos, rejeitando qualquer pretensão de auto-realização, que as mesmas somente podem realizar-se plenamente se Deus mesmo as torna possíveis, atraindo-nos a Ele. A salvação plena da pessoa não consiste nas coisas que o homem poderia obter por si mesmo, como o ter ou o bem-estar material, a ciência ou a técnica, o poder ou a influência sobre os outros, a boa fama ou a auto-realização.[10] Nada da ordem do criado pode satisfazer completamente ao homem, porque Deus nos destinou à comunhão com Ele, e o nosso coração permanecerá inquieto até que não repouse Nele.[11] «A vocação última de todos os homens é realmente uma só, a divina».[12] A revelação, desta forma, não se limita a anunciar a salvação como resposta à expectativa contemporânea. «Se a redenção, ao contrário, devesse ser julgada ou medida pela necessidade existencial dos seres humanos, como poderíamos evitar a suspeita de termos simplesmente criado um Deus-Redentor à imagem de nossas próprias necessidades?» .[13]

7. Além disso, è necessário afirmar que, segundo a fé bíblica, a origem do mal não se encontra no mundo material e corpóreo, experimentado como um limite e como uma prisão da qual deveríamos ser salvos. Pelo contrário, a fé proclama que o mundo inteiro é bom, enquanto criado por Deus (cf. Gen 1,31; Sab 1,13-14; 1Tim 4,4), e que o mal que mais prejudica o homem é aquele que provém do seu coração (cf. Mt 15,18-19; Gen 3,1-19). Pecando, o homem abandonou a fonte do amor, e se perde em falsas formas de amor, que o fecham cada vez mais em si mesmo. É esta separação de Deus – isto é, Daquele que é fonte de comunhão e de vida – que leva à perda de harmonia entre os homens e dos homens com o mundo, introduzindo a desintegração e a morte (cf. Rom 5,12). Consequentemente, a salvação que a fé nos anuncia não diz unicamente respeito à nossa interioridade, mas ao nosso ser integral. De facto, é a pessoa inteira, em corpo e alma, criada pelo amor de Deus à sua imagem e semelhança, que é chamada a viver em comunhão com Ele.

IV. Cristo, Salvador e Salvação

8. Em nenhum momento do caminho do homem, Deus deixou de oferecer a sua salvação aos filhos de Adão (cf. Gen 3,15), estabelecendo uma Aliança com todos os homens em Noé (cf. Gen 9,9) e, mais adiante, com Abraão e a sua descendência (cf. Gn 15,18). Assim, a salvação divina assume a ordem da criação compartilhada por todos os homens e percorre os seus caminhos concretos na história. Escolhendo para Si um povo, a quem ofereceu os meios para lutar contra o pecado e para se aproximar Dele, Deus preparou a vinda de «um poderoso Salvador, na casa de David, seu servidor» (Lc 1,69). Na plenitude dos tempos, o Pai enviou ao mundo seu Filho, o qual anunciou o reino de Deus, curando todo tipo de doenças (cf. Mt 4,23). As curas realizadas por Jesus, através das quais se tornava presente a providência de Deus, eram um sinal que se referia à sua pessoa, Àquele que se revelou plenamente como Senhor da vida e da morte no acontecimento pascal. Segundo o Evangelho, a salvação para todos os povos começa com o acolhimento de Jesus: «Hoje veio a salvação a esta casa» (Lc 19,9). A Boa Nova da salvação tem um nome e um rosto: Jesus Cristo, Filho de Deus Salvador. «No início do ser cristão, não há uma decisão ética ou uma grande ideia, mas o encontro com um acontecimento, com uma Pessoa que dá à vida um novo horizonte e, desta forma, o rumo decisivo».[14]

9. Ao longo da sua tradição secular, a fé cristã tornou presente, através de muitas figuras, a obra salvífica do Filho encarnado. Fê-lo sem nunca separar o aspecto regenerador da salvação, no qual Cristo nos resgata do pecado, do aspecto da elevação, pelo qual Ele nos faz filhos de Deus, participantes da sua natureza divina (cf. 2 Pe 1,4). Considerando a perspectiva salvífica no seu significado descendente, isto é, a partir de Deus que vem para resgatar os homens, Jesus é iluminador e revelador, redentor e libertador; Aquele que diviniza o homem e o justifica. Assumindo a perspectiva ascendente, isto é, a partir dos homens que se dirigem a Deus, Ele é Aquele que, como Sumo Sacerdote da Nova Aliança, oferece ao Pai o culto perfeito em nome dos homens: se sacrifica, repara os nossos pecados e permanece sempre vivo para interceder a nosso favor. Desta forma, verifica-se na vida de Jesus uma sinergia maravilhosa do agir divino com o agir humano, que mostra a falta de fundamento de uma perspectiva individualista. Assim, por um lado, o sentido descendente testemunha a primazia absoluta da acção gratuita de Deus; a humildade em receber os dons de Deus, antes mesmo do nosso agir, é essencial para poder responder ao seu amor salvífico. Por outro lado, o sentido ascendente recorda-nos que, através do agir plenamente humano de seu Filho, o Pai quis regenerar o nosso agir, para que, assemelhados a Cristo, possamos realizar «as boas obras que Deus de antemão preparou para nelas caminharmos» (Ef 2,10).

10. Para além disso, é claro que a salvação que Jesus trouxe na sua própria pessoa não se realiza somente de modo interior. Assim, para poder comunicar a cada pessoa a comunhão salvífica com Deus, o Filho se fez carne (cf. Jo 1,14). É exatamente assumindo a carne (cf. Rom 8,3; Heb 2,14; 1 Jo 4,2), e nascendo de uma mulher (cf. Gal 4,4), que «o Filho de Deus se fez filho do homem»[15] e, também, nosso irmão (cf. Heb 2,14). Assim, entrando a fazer parte da família humana, «uniu-se de certo modo a cada homem»[16] e estabeleceu uma nova ordem nas relações com Deus, seu Pai, e com todos os homens, na qual podemos ser incorporados para participar na sua própria vida. Consequentemente, assumir a carne humana, longe de limitar a acção salvífica de Cristo, permite-Lhe mediar de maneira concreta a salvação de Deus com todos os filhos de Adão.

11. Concluindo, e para responder, quer seja ao reducionismo individualista da tendência pelagiana, quer seja ao reducionismo neo-gnóstico que promete uma libertação interior, é necessário recordar o modo como Jesus é Salvador. Ele não se limitou a mostrar-nos o caminho para encontrar Deus, isto é, um caminho que poderemos percorrer por nós mesmos, obedecendo às suas palavras e imitando o seu exemplo. Cristo, todavia, para abri-nos a porta da libertação, tornou-se Ele mesmo o caminho: «Eu sou o caminho» (Jo 14,6). [17] Além disso, esse caminho não é um percurso meramente interior, à margem das nossas relações com os outros e com o mundo criado. Pelo contrário, Jesus ofereceu-nos um «caminho novo e vivo que Ele abriu para nós através [...] da sua carne» (Heb 10,20). Enfim, Cristo é Salvador porque Ele assumiu a nossa humanidade integral e viveu em plenitude a vida humana, em comunhão com o Pai e com os irmãos. A salvação consiste em incorporar-se nesta vida de Cristo, recebendo o seu Espírito (cf. 1 Jo 4,13). Assim, Ele tornou-se «em certo modo, o princípio de toda graça segundo a humanidade».[18] Ele é, ao mesmo tempo, o Salvador e a Salvação.

V. A Salvação na Igreja, corpo de Cristo

12. O lugar onde recebemos a salvação trazida por Jesus é a Igreja, comunidade daqueles que, tendo sido incorporados à nova ordem de relações inaugurada por Cristo, podem receber a plenitude do Espírito de Cristo (cf. Rom 8,9). Compreender esta mediação salvífica da Igreja é uma ajuda essencial para superar qualquer tendência reducionista. De fato, a salvação que Deus nos oferece não é alcançada apenas pelas forças individuais, como gostaria o neo-pelagianismo, mas através das relações nascidas do Filho de Deus encarnado e que formam a comunhão da Igreja. Além disso, uma vez que a graça que Cristo nos oferece não é, como afirma a visão neo-gnóstica, uma salvação meramente interior, mas que nos introduz nas relações concretas que Ele mesmo viveu, a Igreja é uma comunidade visível: nela tocamos a carne de Jesus, de maneira singular nos irmãos mais pobres e sofredores. Enfim, a mediação salvífica da Igreja, «sacramento universal de salvação»,[19] assegura-nos que a salvação não consiste na auto-realização do indivíduo isolado, e, muito menos, na sua fusão interior com o divino, mas na incorporação em uma comunhão de pessoas, que participa na comunhão da Trindade.

13. Tanto a visão individualista como a visão meramente interior da salvação contradizem a economia sacramental, através da qual Deus quis salvar a pessoa humana. A participação, na Igreja, à nova ordem de relações inauguradas por Jesus realiza-se por meio dos sacramentos, entre eles, o Baptismo que é a porta,[20] e a Eucaristia que é fonte e culmine.[21] Assim, se vê, a inconsistência das pretensões de auto-salvação, que contam apenas com as forças humanas. Pelo contrário, a fé confessa que somos salvos por meio do Baptismo, que imprime o caráter indelével de pertencer a Cristo e à Igreja, do qual deriva a transformação do nosso modo concreto de viver as relações com Deus, com os homens e com a criação (cf. Mt 28,19). Assim, purificados do pecado original e de todo pecado, somos chamados a uma nova vida em conformidade com Cristo (cf. Rom 6,4). Com a graça dos sete sacramentos, os crentes continuamente crescem e se regeneram, sobretudo, quando o caminho se torna mais difícil e as quedas não faltam. Quando eles pecam, abandonam o amor por Cristo, podendo ser reintroduzidos, por meio do sacramento da Penitência, à ordem das relações inaugurada por Jesus, para caminhar como Ele caminhou (cf. 1 Jo 2,6). Desta forma, olhamos com esperança para o juízo final, no qual cada pessoa será julgada pelo amor (cf. Rm 13,8-10), especialmente pelos mais fracos (cf. Mt 25,31-46).

14. A economia salvífica sacramental opõe-se ainda às tendências que propõem uma salvação meramente interior. De facto, o gnosticismo está associado a um olhar negativo sobre a ordem da criação, inclusive, como uma limitação da liberdade absoluta do espírito humano. Consequentemente, a salvação é vista como libertação do corpo e das relações concretas que a pessoa vive. Pelo contrário, como somos salvos «por meio da oferta do corpo de Jesus Cristo» (Heb 10,10; cf. Col 1,22), a verdadeira salvação, longe de ser libertação do corpo, compreende também a sua santificação (cf. Rom 12,1). O corpo humano foi modelado por Deus, que nele inscreveu uma linguagem que convida a pessoa humana a reconhecer os dons do Criador e a viver em comunhão com os irmãos.[22] O Salvador restabeleceu e renovou, com a sua Encarnação e o seu mistério pascal, esta linguagem originária, e comunicou-a na economia corporal dos sacramentos. Graças aos sacramentos, os cristãos podem viver fielmente à carne de Cristo e, consequentemente, em fidelidade à ordem concreta das relações que Ele nos deu. Esta ordem de relações requer, de maneira especial, o cuidado pela humanidade sofredora de todos os homens, através das obras de misericórdia corporais e espirituais.[23]

VI. Conclusão: comunicar a fé, esperando o Salvador

15. A consciência da vida plena, na qual Jesus Salvador nos introduz, impulsiona os cristãos à missão de proclamar a todos os homens a alegria e a luz do Evangelho.[24] Neste esforço, eles estarão também prontos para estabelecer um diálogo sincero e construtivo com os crentes de outras religiões, na confiança que Deus pode conduzir à salvação em Cristo «todos os homens de boa vontade, em cujos corações a graça opera ocultamente».[25] Ao dedicar-se com todas as suas forças à evangelização, a Igreja continua a invocar a vinda definitiva do Salvador, porque «na esperança fomos salvos» (Rom 8,24). A salvação do homem será plena somente quando, depois de ter vencido o último inimigo, a morte (cf 1 Cor 15,26), participaremos plenamente da glória de Cristo ressuscitado, que leva à plenitude a nossa relação com Deus, com os irmãos e com toda a criação. A salvação integral, da alma e do corpo, é o destino final ao qual Deus chama todos os homens. Fundamentados na fé, sustentados pela esperança, operantes na caridade, seguindo o exemplo de Maria, a Mãe do Salvador e a primeira dos que foram salvos, estamos certos de que nossa cidadania "está nos céus, de onde certamente esperamos o Salvador, o Senhor Jesus Cristo. Ele transfigurará o nosso pobre corpo, conformando-o ao seu corpo glorioso, com aquela energia que o torna capaz de a si mesmo sujeitar todas as coisas"(Fil 3,20-21).

O Sumo Pontífice Francisco, no dia 16 de fevereiro de 2018, aprovou esta Carta, decidida na Sessão Plenária desta Congregação no dia 24 de janeiro de 2018, e ordenou a publicação.

Dado em Roma, na Sede da Congregação para a Doutrina da Fé, no dia 22 de fevereiro de 2018, Festa da Cátedra de São Pedro.

+ Luis F. Ladaria, S.I.
Arcebispo titular de Thibica
Prefeito

+ Giacomo Morandi
Arcebispo titular de Cerveteri
Secretário

_______________________

[1] Conc. Ecum. Vat. II, Const. dogm. Dei Verbum, n. 2.
[2]
Cf. Congregação para a Doutrina da Fé, Decl. Dominus Iesus (6 de agosto de 2000), nn. 5-8: AAS 92 (2000), 745-749.
[3]
Cf. Francisco, Exort. apost. Evangelii gaudium (24 de novembro de 2013), n. 67: AAS 105 (2013), 1048.
[4]
Cf. Id., Carta enc. Lumen fidei (29 de junho de 2013), n. 47: AAS 105 (2013), 586-587; Exort. apost. Evangelii gaudium, nn. 93-94: AAS (2013), 1059; Discurso aos representantes do V Congresso nacional da Igreja italiana, Florença (10 de novembro de 2015): AAS 107 (2015), 1287.
[5]
Cf. Id., Discurso aos representantes do V Congresso nacional da Igreja italiana, Florença (10 de novembro de 2015): AAS107 (2015), 1288.
[6]
Cf. Id., Exort. apost. Evangelii gaudium, n. 94: AAS 105 (2013), 1059: «o fascínio do gnosticismo, uma fé fechada no subjetivismo, onde apenas interessa uma determinada experiência ou uma série de raciocínios e conhecimentos que supostamente confortam e iluminam, mas, em última instância, a pessoa fica enclausurada na imanência da sua própria razão ou dos seus sentimentos»; Pontíficio Conselho para a Cultura –– Pontifício Conselho para o diálogo Inte-religioso, Jesus Cristo, portador da água viva. Uma refelexão cristã sobre a “New Age” (janeiro de 2003), Cidade do Vaticano 2003.
[7]
Francisco, Carta enc. Lumen fidei, n. 47: AAS 105 (2013), 586-587.
[8]
Cf. Id., Discurso aos participantes da peregrinação da diocese de Brescia (22 de junho de 2013): AAS 95 (2013), 627: «neste mundo onde nega-se o homem, onde se prefere andar na estrada do gnosticismo, [...] do “sem carne” – um Deus que não se fez carne [...]».
[9]
De acordo com a heresia Pelagiana, desenvolvida durante o século V ao redor de Pelágio, o homem, para cumprir os mandamentos de Deus e ser salvo, precisa da graça apenas como um auxílio externo à sua liberdade (como luz, exemplo, força), mas não como uma sanação e regeneração radical da liberdade, sem mérito prévio, para que ele possa realizar o bem e alcançar a vida eterna.
Mais complexo é o movimento gnóstico, surgido nos séculos I e II, que manifestou-se de formas muito diferentes. Em geral, os gnósticos acreditavam que a salvação é obtida através de um conhecimento esotérico ou "gnose". Esta gnose revela ao gnóstico sua essência verdadeira, isto é, uma centelha do Espírito divino que habita em sua interioridade, que deve ser libertada do corpo, estranho à sua verdadeira humanidade. Somente assim o gnóstico retorna ao seu ser originário em Deus, de quem ele afastou-se pela queda original.
[10]
Cf. Tomás, Summa theologiae, I-II, q. 2.
[11]
Cf. Agostinho, Confissões, I, 1: Corpus Christianorum, 27,1.
[12]
Conc. Ecum. Vat. II, Const. past. Gaudium et spes, n. 22.
[13]
Comissão Teológica Internacional, Algumas questões sobre a teologia da redenção, 1995, n. 2.
[14]
Bento XVI, Carta enc. Deus caritas est (25 de dezembro de 2005), n. 1: AAS 98 (2006), 217; cf. Francisco, Exort. apost. Evangelii gaudium, n. 3: AAS 105 (2013), 1020.
[15]
Irineu, Adversus haereses, III, 19,1: Sources Chrétiennes, 211, 374.
[16]
Conc. Ecum. Vat. II, Const. past. Gaudium et spes, n. 22.
[17]
Cf. Agostinho, Tractatus in Ioannem, 13, 4: Corpus Christianorum, 36, 132: «Eu sou o caminho, a verdade e a vida (Jo 14, 6). Se você busca a verdade, siga o caminho; porque o caminho é o mesmo que a verdade. A meta que se busca e o caminho que se deve percorrer, são a mesma coisa. Não se pode alcançar a meta seguindo um outro caminho; por outro caminho não se pode alcançar a Cristo: a Cristo se pode alcançar somente através de Cristo. Em que sentido se chega a Cristo através de Cristo? Se chega a Cristo Deus através de Cristo homem; por meio do Verbo feito carne se chega ao Verbo que era no princípio Deus junto a Deus.
[18]
Tomás, Quaestio de veritate, q. 29, a. 5, co.
[19]
Conc. Ecum. Vat. II, Const. dogm. Lumen gentium, n. 48.
[20]
Cf. Tomás, Summa theologiae, III, q. 63, a. 3.
[21]
Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Const. dogm. Lumen gentium, n. 11; Const. Sacrosanctum Concilium, n. 10.
[22]
Cf. Francisco, Carta enc. Laudato si’ (24 de maio de 2015), n. 155: AAS 107 (2015), 909-910.
[23]
Cf. Id., Carta apost. Misericordia et misera (20 de novembro de 2016), n. 20: AAS 108 (2016), 1325-1326.
[24]
Cf. João Paulo II, Carta enc. Redemptoris missio (7 de dezembro de 1990), n.40: AAS 83 (1991), 287-288; Francisco, Exort. apost. Evangelii gaudium, nn. 9-13: AAS 105 (2013), 1022-1025.
[25]
Conc. Ecum. Vat. II, Const. past. Gaudium et spes, n. 22.

[00317-PO.01] [Texto original: Italiano]

[B0160-XX.02]