Sala Stampa

www.vatican.va

Sala Stampa Back Top Print Pdf
Sala Stampa


Messaggio del Santo Padre per la I Giornata Mondiale dei Poveri, 13.06.2017


Messaggio del Santo Padre

Traduzione in lingua francese

Traduzione in lingua inglese

Traduzione in lingua tedesca

Traduzione in lingua spagnola

Traduzione in lingua portoghese

Traduzione in lingua araba

Traduzione in lingua polacca

Pubblichiamo di seguito il testo del Messaggio del Santo Padre Francesco per la I Giornata Mondiale dei Poveri, che si celebrerà la XXXIII Domenica del Tempo Ordinario – quest’anno il 19 novembre 2017 – sul tema Non amiamo a parole ma con i fatti:

Messaggio del Santo Padre

Non amiamo a parole ma con i fatti

1. «Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e nella verità» (1 Gv 3,18). Queste parole dell’apostolo Giovanni esprimono un imperativo da cui nessun cristiano può prescindere. La serietà con cui il “discepolo amato” trasmette fino ai nostri giorni il comando di Gesù è resa ancora più accentuata per l’opposizione che rileva tra le parole vuote che spesso sono sulla nostra bocca e i fatti concreti con i quali siamo invece chiamati a misurarci. L’amore non ammette alibi: chi intende amare come Gesù ha amato, deve fare proprio il suo esempio; soprattutto quando si è chiamati ad amare i poveri. Il modo di amare del Figlio di Dio, d’altronde, è ben conosciuto, e Giovanni lo ricorda a chiare lettere. Esso si fonda su due colonne portanti: Dio ha amato per primo (cfr 1 Gv 4,10.19); e ha amato dando tutto sé stesso, anche la propria vita (cfr 1 Gv 3,16).

Un tale amore non può rimanere senza risposta. Pur essendo donato in maniera unilaterale, senza richiedere cioè nulla in cambio, esso tuttavia accende talmente il cuore che chiunque si sente portato a ricambiarlo nonostante i propri limiti e peccati. E questo è possibile se la grazia di Dio, la sua carità misericordiosa viene accolta, per quanto possibile, nel nostro cuore, così da muovere la nostra volontà e anche i nostri affetti all’amore per Dio stesso e per il prossimo. In tal modo la misericordia che sgorga, per così dire, dal cuore della Trinità può arrivare a mettere in movimento la nostra vita e generare compassione e opere di misericordia per i fratelli e le sorelle che si trovano in necessità.

2. «Questo povero grida e il Signore lo ascolta» (Sal 34,7). Da sempre la Chiesa ha compreso l’importanza di un tale grido. Possediamo una grande testimonianza fin dalle prime pagine degli Atti degli Apostoli, là dove Pietro chiede di scegliere sette uomini «pieni di Spirito e di sapienza» (6,3) perché assumessero il servizio dell’assistenza ai poveri. È certamente questo uno dei primi segni con i quali la comunità cristiana si presentò sulla scena del mondo: il servizio ai più poveri. Tutto ciò le era possibile perché aveva compreso che la vita dei discepoli di Gesù doveva esprimersi in una fraternità e solidarietà tali, da corrispondere all’insegnamento principale del Maestro che aveva proclamato i poveri beati ed eredi del Regno dei cieli (cfr Mt 5,3).

«Vendevano le loro proprietà e sostanze e le dividevano con tutti, secondo il bisogno di ciascuno» (At 2,45). Questa espressione mostra con evidenza la viva preoccupazione dei primi cristiani. L’evangelista Luca, l’autore sacro che più di ogni altro ha dato spazio alla misericordia, non fa nessuna retorica quando descrive la prassi di condivisione della prima comunità. Al contrario, raccontandola intende parlare ai credenti di ogni generazione, e quindi anche a noi, per sostenerci nella testimonianza e provocare la nostra azione a favore dei più bisognosi. Lo stesso insegnamento viene dato con altrettanta convinzione dall’apostolo Giacomo, che, nella sua Lettera, usa espressioni forti ed incisive: «Ascoltate, fratelli miei carissimi: Dio non ha forse scelto i poveri agli occhi del mondo, che sono ricchi nella fede ed eredi del Regno, promesso a quelli che lo amano? Voi invece avete disonorato il povero! Non sono forse i ricchi che vi opprimono e vi trascinano davanti ai tribunali? [...] A che serve, fratelli miei, se uno dice di avere fede, ma non ha le opere? Quella fede può forse salvarlo?Se un fratello o una sorella sono senza vestiti e sprovvisti del cibo quotidianoe uno di voi dice loro: “Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi”, ma non date loro il necessario per il corpo, a che cosa serve?Così anche la fede: se non è seguita dalle opere, in se stessa è morta» (2,5-6.14-17).

3. Ci sono stati momenti, tuttavia, in cui i cristiani non hanno ascoltato fino in fondo questo appello, lasciandosi contagiare dalla mentalità mondana. Ma lo Spirito Santo non ha mancato di richiamarli a tenere fisso lo sguardo sull’essenziale. Ha fatto sorgere, infatti, uomini e donne che in diversi modi hanno offerto la loro vita a servizio dei poveri. Quante pagine di storia, in questi duemila anni, sono state scritte da cristiani che, in tutta semplicità e umiltà, e con la generosa fantasia della carità, hanno servito i loro fratelli più poveri!

Tra tutti spicca l’esempio di Francesco d’Assisi, che è stato seguito da numerosi altri uomini e donne santi nel corso dei secoli. Egli non si accontentò di abbracciare e dare l’elemosina ai lebbrosi, ma decise di andare a Gubbio per stare insieme con loro. Lui stesso vide in questo incontro la svolta della sua conversione: «Quando ero nei peccati mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi, e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia. E allontanandomi da loro, ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza di animo e di corpo» (Test 1-3: FF 110). Questa testimonianza manifesta la forza trasformatrice della carità e lo stile di vita dei cristiani.

Non pensiamo ai poveri solo come destinatari di una buona pratica di volontariato da fare una volta alla settimana, o tanto meno di gesti estemporanei di buona volontà per mettere in pace la coscienza. Queste esperienze, pur valide e utili a sensibilizzare alle necessità di tanti fratelli e alle ingiustizie che spesso ne sono causa, dovrebbero introdurre ad un vero incontro con i poveri e dare luogo ad una condivisione che diventi stile di vita. Infatti, la preghiera, il cammino del discepolato e la conversione trovano nella carità che si fa condivisione la verifica della loro autenticità evangelica. E da questo modo di vivere derivano gioia e serenità d’animo, perché si tocca con mano la carne di Cristo. Se vogliamo incontrare realmente Cristo, è necessario che ne tocchiamo il corpo in quello piagato dei poveri, come riscontro della comunione sacramentale ricevuta nell’Eucaristia. Il Corpo di Cristo, spezzato nella sacra liturgia, si lascia ritrovare dalla carità condivisa nei volti e nelle persone dei fratelli e delle sorelle più deboli. Sempre attuali risuonano le parole del santo vescovo Crisostomo: «Se volete onorare il corpo di Cristo, non disdegnatelo quando è nudo; non onorate il Cristo eucaristico con paramenti di seta, mentre fuori del tempio trascurate quest’altro Cristo che è afflitto dal freddo e dalla nudità» (Hom. in Matthaeum, 50, 3: PG 58).

Siamo chiamati, pertanto, a tendere la mano ai poveri, a incontrarli, guardarli negli occhi, abbracciarli, per far sentire loro il calore dell’amore che spezza il cerchio della solitudine. La loro mano tesa verso di noi è anche un invito ad uscire dalle nostre certezze e comodità, e a riconoscere il valore che la povertà in sé stessa costituisce.

4. Non dimentichiamo che per i discepoli di Cristo la povertà è anzitutto una vocazione a seguire Gesù povero. È un cammino dietro a Lui e con Lui, un cammino che conduce alla beatitudine del Regno dei cieli (cfr Mt 5,3; Lc 6,20). Povertà significa un cuore umile che sa accogliere la propria condizione di creatura limitata e peccatrice per superare la tentazione di onnipotenza, che illude di essere immortali. La povertà è un atteggiamento del cuore che impedisce di pensare al denaro, alla carriera, al lusso come obiettivo di vita e condizione per la felicità. E’ la povertà, piuttosto, che crea le condizioni per assumere liberamente le responsabilità personali e sociali, nonostante i propri limiti, confidando nella vicinanza di Dio e sostenuti dalla sua grazia. La povertà, così intesa, è il metro che permette di valutare l’uso corretto dei beni materiali, e anche di vivere in modo non egoistico e possessivo i legami e gli affetti (cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 25-45).

Facciamo nostro, pertanto, l’esempio di san Francesco, testimone della genuina povertà. Egli, proprio perché teneva fissi gli occhi su Cristo, seppe riconoscerlo e servirlo nei poveri. Se, pertanto, desideriamo offrire il nostro contributo efficace per il cambiamento della storia, generando vero sviluppo, è necessario che ascoltiamo il grido dei poveri e ci impegniamo a sollevarli dalla loro condizione di emarginazione. Nello stesso tempo, ai poveri che vivono nelle nostre città e nelle nostre comunità ricordo di non perdere il senso della povertà evangelica che portano impresso nella loro vita.

5. Conosciamo la grande difficoltà che emerge nel mondo contemporaneo di poter identificare in maniera chiara la povertà. Eppure, essa ci interpella ogni giorno con i suoi mille volti segnati dal dolore, dall’emarginazione, dal sopruso, dalla violenza, dalle torture e dalla prigionia, dalla guerra, dalla privazione della libertà e della dignità, dall’ignoranza e dall’analfabetismo, dall’emergenza sanitaria e dalla mancanza di lavoro, dalle tratte e dalle schiavitù, dall’esilio e dalla miseria, dalla migrazione forzata. La povertà ha il volto di donne, di uomini e di bambini sfruttati per vili interessi, calpestati dalle logiche perverse del potere e del denaro. Quale elenco impietoso e mai completo si è costretti a comporre dinanzi alla povertà frutto dell’ingiustizia sociale, della miseria morale, dell’avidità di pochi e dell’indifferenza generalizzata!

Ai nostri giorni, purtroppo, mentre emerge sempre più la ricchezza sfacciata che si accumula nelle mani di pochi privilegiati, e spesso si accompagna all’illegalità e allo sfruttamento offensivo della dignità umana, fa scandalo l’estendersi della povertà a grandi settori della società in tutto il mondo. Dinanzi a questo scenario, non si può restare inerti e tanto meno rassegnati. Alla povertà che inibisce lo spirito di iniziativa di tanti giovani, impedendo loro di trovare un lavoro; alla povertà che anestetizza il senso di responsabilità inducendo a preferire la delega e la ricerca di favoritismi; alla povertà che avvelena i pozzi della partecipazione e restringe gli spazi della professionalità umiliando così il merito di chi lavora e produce; a tutto questo occorre rispondere con una nuova visione della vita e della società.

Tutti questi poveri – come amava dire il Beato Paolo VI – appartengono alla Chiesa per «diritto evangelico» (Discorso di apertura della II sessione del Concilio Ecumenico Vaticano II, 29 settembre 1963) e obbligano all’opzione fondamentale per loro. Benedette, pertanto, le mani che si aprono ad accogliere i poveri e a soccorrerli: sono mani che portano speranza. Benedette le mani che superano ogni barriera di cultura, di religione e di nazionalità versando olio di consolazione sulle piaghe dell’umanità. Benedette le mani che si aprono senza chiedere nulla in cambio, senza “se”, senza “però” e senza “forse”: sono mani che fanno scendere sui fratelli la benedizione di Dio.

6. Al termine del Giubileo della Misericordia ho voluto offrire alla Chiesa la Giornata Mondiale dei Poveri, perché in tutto il mondo le comunità cristiane diventino sempre più e meglio segno concreto della carità di Cristo per gli ultimi e i più bisognosi. Alle altre Giornate mondiali istituite dai miei Predecessori, che sono ormai una tradizione nella vita delle nostre comunità, desidero che si aggiunga questa, che apporta al loro insieme un elemento di completamento squisitamente evangelico, cioè la predilezione di Gesù per i poveri.

Invito la Chiesa intera e gli uomini e le donne di buona volontà a tenere fisso lo sguardo, in questo giorno, su quanti tendono le loro mani gridando aiuto e chiedendo la nostra solidarietà. Sono nostri fratelli e sorelle, creati e amati dall’unico Padre celeste. Questa Giornata intende stimolare in primo luogo i credenti perché reagiscano alla cultura dello scarto e dello spreco, facendo propria la cultura dell’incontro. Al tempo stesso l’invito è rivolto a tutti, indipendentemente dall’appartenenza religiosa, perché si aprano alla condivisione con i poveri in ogni forma di solidarietà, come segno concreto di fratellanza. Dio ha creato il cielo e la terra per tutti; sono gli uomini, purtroppo, che hanno innalzato confini, mura e recinti, tradendo il dono originario destinato all’umanità senza alcuna esclusione.

7. Desidero che le comunità cristiane, nella settimana precedente la Giornata Mondiale dei Poveri, che quest’anno sarà il 19 novembre, XXXIII domenica del Tempo Ordinario, si impegnino a creare tanti momenti di incontro e di amicizia, di solidarietà e di aiuto concreto. Potranno poi invitare i poveri e i volontari a partecipare insieme all’Eucaristia di questa domenica, in modo tale che risulti ancora più autentica la celebrazione della Solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’universo, la domenica successiva. La regalità di Cristo, infatti, emerge in tutto il suo significato proprio sul Golgota, quando l’Innocente inchiodato sulla croce, povero, nudo e privo di tutto, incarna e rivela la pienezza dell’amore di Dio. Il suo abbandonarsi completamente al Padre, mentre esprime la sua povertà totale, rende evidente la potenza di questo Amore, che lo risuscita a vita nuova nel giorno di Pasqua.

In questa domenica, se nel nostro quartiere vivono dei poveri che cercano protezione e aiuto, avviciniamoci a loro: sarà un momento propizio per incontrare il Dio che cerchiamo. Secondo l’insegnamento delle Scritture (cfr Gen 18,3-5; Eb 13,2), accogliamoli come ospiti privilegiati alla nostra mensa; potranno essere dei maestri che ci aiutano a vivere la fede in maniera più coerente. Con la loro fiducia e disponibilità ad accettare aiuto, ci mostrano in modo sobrio, e spesso gioioso, quanto sia decisivo vivere dell’essenziale e abbandonarci alla provvidenza del Padre.

8. A fondamento delle tante iniziative concrete che si potranno realizzare in questa Giornata ci sia sempre la preghiera. Non dimentichiamo che il Padre nostro è la preghiera dei poveri. La richiesta del pane, infatti, esprime l’affidamento a Dio per i bisogni primari della nostra vita. Quanto Gesù ci ha insegnato con questa preghiera esprime e raccoglie il grido di chi soffre per la precarietà dell’esistenza e per la mancanza del necessario. Ai discepoli che chiedevano a Gesù di insegnare loro a pregare, Egli ha risposto con le parole dei poveri che si rivolgono all’unico Padre in cui tutti si riconoscono come fratelli. Il Padre nostro è una preghiera che si esprime al plurale: il pane che si chiede è “nostro”, e ciò comporta condivisione, partecipazione e responsabilità comune. In questa preghiera tutti riconosciamo l’esigenza di superare ogni forma di egoismo per accedere alla gioia dell’accoglienza reciproca.

9. Chiedo ai confratelli vescovi, ai sacerdoti, ai diaconi – che per vocazione hanno la missione del sostegno ai poveri –, alle persone consacrate, alle associazioni, ai movimenti e al vasto mondo del volontariato di impegnarsi perché con questa Giornata Mondiale dei Poveri si instauri una tradizione che sia contributo concreto all’evangelizzazione nel mondo contemporaneo.

Questa nuova Giornata Mondiale, pertanto, diventi un richiamo forte alla nostra coscienza credente affinché siamo sempre più convinti che condividere con i poveri ci permette di comprendere il Vangelo nella sua verità più profonda. I poveri non sono un problema: sono una risorsa a cui attingere per accogliere e vivere l’essenza del Vangelo.

Dal Vaticano, 13 giugno 2017

Memoria di Sant’Antonio di Padova

FRANCESCO

[00907-IT.01] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua francese

Message du Saint-Pere

Pour la Journee Mondiale des Pauvres

33ème Dimanche du Temps Ordinaire

19 novembre 2017

 

N’aimons pas en paroles, mais par des actes

1. «Petits enfants, n’aimons pas en paroles ni par des discours, par des actes et en vérité» (1 Jn 3, 18). Ces paroles de l’apôtre Jean expriment un impératif dont aucun chrétien ne peut faire abstraction. La gravité avec laquelle le ‘‘disciple bien-aimé’’ transmet, jusqu’à nos jours, le commandement de Jésus s’accentue encore davantage par l’opposition qu’elle révèle entre les paroles vides qui sont souvent sur nos lèvres et les actes concrets auxquels nous sommes au contraire appelés à nous mesurer. L’amour n’admet pas d’alibi: celui qui entend aimer comme Jésus a aimé doit faire sien son exemple; surtout quand on est appelé à aimer les pauvres. La façon d’aimer du Fils de Dieu, par ailleurs, est bien connue, et Jean le rappelle clairement. Elle se fonde sur deux pierres angulaires: Dieu a aimé le premier (cf. 1 Jn 4, 10.19); et il a aimé en se donnant tout entier, y compris sa propre vie (cf. 1 Jn 3, 16).

Un tel amour ne peut rester sans réponse. Même donné de manière unilatérale, c’est-à-dire sans rien demander en échange, il enflamme cependant tellement le cœur que n'importe qui se sent porté à y répondre malgré ses propres limites et péchés. Et cela est possible si la grâce de Dieu, sa charité miséricordieuse sont accueillies, autant que possible, dans notre cœur, de façon à stimuler notre volonté ainsi que nos affections à l’amour envers Dieu lui-même et envers le prochain. De cette façon, la miséricorde qui jaillit, pour ainsi dire, du cœur de la Trinité peut arriver à mettre en mouvement notre vie et créer de la compassion et des œuvres de miséricorde en faveur des frères et des sœurs qui sont dans le besoin.

2. «Un pauvre crie; le Seigneur l’entend» (Ps 33, 7). Depuis toujours, l’Église a compris l’importance de ce cri. Nous avons un grand témoignage dès les premières pages des Actes des Apôtres, où Pierre demande de choisir sept hommes «remplis d’Esprit Saint et de sagesse» (6, 3), afin qu’ils assument le service de l’assistance aux pauvres. C’est certainement l’un des premiers signes par lesquels la communauté chrétienne s’est présentée sur la scène du monde: le service des plus pauvres. Tout cela lui était possible parce qu’elle avait compris que la vie des disciples de Jésus devait s’exprimer dans une fraternité et une solidarité telles qu’elles doivent correspondre à l’enseignement principal du Maître qui avait proclamé heureux et héritiers du Royaume des cieux les pauvres (cf. Mt 5, 3).

«Ils vendaient leurs biens et leurs possessions, et ils en partageaient le produit entre tous en fonction des besoins de chacun» (Ac 2, 45). Cette expression montre clairement la vive préoccupation des premiers chrétiens. L’évangéliste Luc, l’auteur sacré qui, plus que tout autre, a réservé une large place à la miséricorde, ne fait pas de rhétorique lorsqu’il décrit la pratique de partage de la première communauté. Au contraire, en la recommandant, il entend s’adresser aux croyants de toute génération, et donc à nous aussi, pour nous soutenir dans le témoignage et susciter notre action en faveur de ceux qui sont le plus dans le besoin. Le même enseignement est donné avec autant de conviction par l’apôtre Jacques, qui, dans sa Lettre, utilise des expressions fortes et incisives: «Écoutez, donc, mes frères bien-aimés! Dieu, lui, n’a-t-il pas choisi ceux qui sont pauvres aux yeux du monde pour en faire des riches dans la foi, et des héritiers du Royaume promis par lui à ceux qui l’auront aimé? Mais vous, vous avez privé le pauvre de sa dignité. Or n’est-ce pas les riches qui vous oppriment, et vous traînent devant les tribunaux? […] Mes frères, si quelqu’un prétend avoir la foi, sans la mettre en œuvre, à quoi cela sert-il? Sa foi peut-elle le sauver? Supposons qu’un frère ou une sœur n’ait pas de quoi s’habiller, ni de quoi manger tous les jours; si l’un de vous leur dit: ‘‘Allez en paix! Mettez-vous au chaud, et mangez à votre faim!’’ sans leur donner le nécessaire pour vivre, à quoi cela sert-il? Ainsi donc, la foi, si elle n’est pas mise en œuvre, est bel et bien morte» (2, 5-6.14-17).

3. Il y a eu, cependant, des moments où les chrétiens n’ont pas écouté jusqu’au bout cet appel, en se laissant contaminer par la mentalité mondaine. Mais l’Esprit Saint n’a pas manqué de leur rappeler de maintenir le regard fixé sur l’essentiel. Il a fait surgir, en effet, des hommes et des femmes qui, de diverses manières, ont offert leur vie au service des pauvres. Que de pages d’histoire, en ces deux mille ans, ont été écrites par des chrétiens qui en toute simplicité et humilité, et par la généreuse imagination de la charité, ont servi leurs frères plus pauvres!

Parmi ceux-ci, se détache l’exemple de François d’Assise, qui a été suivi par de nombreux hommes et femmes saints au cours des siècles. Il ne s’est pas contenté d’embrasser et de faire l’aumône aux lépreux, mais il a décidé d’aller à Gubbio pour rester avec eux. Lui-même a vu dans cette rencontre le tournant de sa conversion: «Comme j’étais dans les péchés, il me semblait extrêmement amer de voir des lépreux. Et le Seigneur lui-même me conduisit parmi eux et je fis miséricorde avec eux. Et en m’en allant de chez eux, ce qui me semblait amer fut changé pour moi en douceur de l’esprit et du corps» (Test. 1-3: SF 308). Ce témoignage manifeste la force transformante de la charité et le style de vie des chrétiens.

Ne pensons pas aux pauvres uniquement comme destinataires d’une bonne action de volontariat à faire une fois la semaine, ou encore moins de gestes improvisés de bonne volonté pour apaiser notre conscience. Ces expériences, même valables et utiles pour sensibiliser aux besoins de nombreux frères et aux injustices qui en sont souvent la cause, devraient introduire à une rencontre authentique avec les pauvres et donner lieu à un partage qui devient style de vie. En effet, la prière, le chemin du disciple et la conversion trouvent, dans la charité qui se fait partage, le test de leur authenticité évangélique. Et de cette façon de vivre dérivent joie et sérénité d’esprit, car on touche de la main la chair du Christ. Si nous voulons rencontrer réellement le Christ, il est nécessaire que nous touchions son corps dans le corps des pauvres couvert de plaies, comme réponse à la communion sacramentelle reçue dans l’Eucharistie. Le Corps du Christ, rompu dans la liturgie sacrée, se laisse retrouver, par la charité partagée, dans les visages et dans les personnes des frères et des sœurs les plus faibles. Toujours actuelles, résonnent les paroles du saint évêques Chrysostome: «Si vous voulez honorer le corps du Christ, ne le méprisez pas lorsqu’il est nu; n’honorez pas le Christ eucharistique avec des ornements de soie, tandis qu’à l’extérieur du temple vous négligez cet autre Christ qui souffre du froid et de la nudité» (Hom. In Matthaeum, 50, 3: PG, 58).

Nous sommes appelés, par conséquent, à tendre la main aux pauvres, à les rencontrer, à les regarder dans les yeux, à les embrasser, pour leur faire sentir la chaleur de l’amour qui rompt le cercle de la solitude. Leur main tendue vers nous est aussi une invitation à sortir de nos certitudes et de notre confort, et à reconnaître la valeur que constitue en soi la pauvreté.

4. N’oublions pas que pour les disciples du Christ, la pauvreté est avant tout une vocation à suivre Jésus pauvre. C’est un chemin derrière lui et avec lui, un chemin qui conduit à la béatitude du Royaume des cieux (cf. Mt 5, 3; Lc 6, 20). Pauvreté signifie un cœur humble qui sait accueillir sa propre condition de créature limitée et pécheresse pour surmonter la tentation de toute-puissance, qui fait croire qu’on est immortel. La pauvreté est une attitude du cœur qui empêche de penser à l’argent, à la carrière, au luxe comme objectif de vie et condition pour le bonheur. C’est la pauvreté, plutôt, qui crée les conditions pour assumer librement les responsabilités personnelles et sociales, malgré les limites de chacun, comptant sur la proximité de Dieu et soutenu par sa grâce. La pauvreté, ainsi entendue, est la mesure qui permet de juger de l’utilisation correcte des biens matériels, et également de vivre de manière non égoïste et possessive les liens et affections (cf. Catéchisme de l’Église catholique, nn. 25-45).

Faisons nôtre, par conséquent, l’exemple de saint François, témoin de l’authentique pauvreté. Précisément parce qu’il avait les yeux fixés sur le Christ, il a su le reconnaître et le servir dans les pauvres. Si, par conséquent, nous voulons offrir une contribution efficace pour le changement de l’histoire, en promouvant un vrai développement, il est nécessaire d’écouter le cri des pauvres et de nous engager à les faire sortir de leur condition de marginalisation. En même temps, je rappelle aux pauvres qui vivent dans nos villes et dans nos communautés de ne pas perdre le sens de la pauvreté évangélique qu’ils portent imprimé dans leur vie.

5. Nous savons la grande difficulté qui émerge dans le monde contemporain de pouvoir identifier clairement la pauvreté. Cependant, elle nous interpelle chaque jour par ses mille visages marqués par la douleur, par la marginalisation, par l’abus, par la violence, par les tortures et par l’emprisonnement, par la guerre, par la privation de la liberté et de la dignité, par l’ignorance et par l’analphabétisme, par l’urgence sanitaire et par le manque de travail, par les traites et par les esclavages, par l’exil et par la misère, par la migration forcée. La pauvreté a le visage de femmes, d’hommes et d’enfants exploités pour de vils intérêts, piétinés par des logiques perverses du pouvoir et de l’argent. Quelle liste impitoyable et jamais complète se trouve-t-on obligé d’établir face à la pauvreté fruit de l’injustice sociale, de la misère morale, de l’avidité d’une minorité et de l’indifférence généralisée!

De nos jours, malheureusement, tandis qu’émerge toujours davantage la richesse insolente qui s’accumule dans les mains de quelques privilégiés et souvent est accompagnée de l’inégalité et de l’exploitation offensant la dignité humaine, l’expansion de la pauvreté à de grands secteurs de la société dans le monde entier fait scandale. Face à cette situation, on ne peut demeurer inerte et encore moins résigné. À la pauvreté qui inhibe l’esprit d’initiative de nombreux jeunes, en les empêchant de trouver un travail; à la pauvreté qui anesthésie le sens de responsabilité conduisant à préférer la procuration et la recherche de favoritismes; à la pauvreté qui empoisonne les puits de la participation et restreint les espaces du professionnalisme en humiliant ainsi le mérite de celui qui travaille et produit; à tout cela, il faut répondre par une nouvelle vision de la vie et de la société.

Tous ces pauvres – comme aimait le dire le Pape Paul VI – appartiennent à l’Église par «droit évangélique» (Discours d’ouverture de la 2ème session du Concile Œcuménique Vatican II, 29 septembre 1963) et exigent l’option fondamentale pour eux. Bénies, par conséquent, les mains qui s’ouvrent pour accueillir les pauvres et pour les secourir: ce sont des mains qui apportent l’espérance. Bénies, les mains qui surmontent toutes les barrières de culture, de religion et de nationalité en versant l’huile de consolation sur les plaies de l’humanité. Bénies, les mains qui s’ouvrent sans rien demander en échange, sans ‘‘si’’, sans ‘‘mais’’ et sans ‘‘peut-être’’: ce sont des mains qui font descendre sur les frères la bénédiction de Dieu.

6. Au terme du Jubilé de la Miséricorde, j’ai voulu offrir à l’Église la Journée Mondiale des Pauvres, afin que dans le monde entier les communautés chrétiennes deviennent toujours davantage et mieux signe concret de la charité du Christ pour les derniers et pour ceux qui sont le plus dans le besoin. Aux autres Journées mondiales instituées par mes Prédécesseurs, qui sont désormais une tradition dans la vie de nos communautés, je voudrais que s’ajoute celle-ci, qui apporte à leur ensemble un complément typiquement évangélique, c’est-à-dire la prédilection de Jésus pour les pauvres.

J’invite l’Église tout entière ainsi que les hommes et les femmes de bonne volonté à avoir le regard fixé, en cette journée, sur tous ceux qui tendent les mains en criant au secours et en sollicitant notre solidarité. Ce sont nos frères et sœurs, créés et aimés par l’unique Père céleste. Cette Journée entend stimuler, en premier lieu, les croyants afin qu’ils réagissent à la culture du rebut et du gaspillage, en faisant leur la culture de la rencontre. En même temps, l’invitation est adressée à tous, indépendamment de l’appartenance religieuse, afin qu’ils s’ouvrent au partage avec les pauvres, sous toutes les formes de solidarité, en signe concret de fraternité. Dieu a créé le ciel et la terre pour tous; ce sont les hommes, malheureusement, qui ont créé les frontières, les murs et les clôtures, en trahissant le don originel destiné à l’humanité sans aucune exclusion.

7. Je souhaite que les communautés chrétiennes, au cours de la semaine qui précède la Journée Mondiale des Pauvres, qui cette année sera le 19 novembre, 33ème dimanche du Temps Ordinaire, œuvrent pour créer de nombreux moments de rencontre et d’amitié, de solidarité et d’aide concrète. Ils pourront, ensuite, inviter les pauvres et les volontaires à participer ensemble à l’Eucharistie de ce dimanche, en sorte que la célébration de la Solennité de Notre Seigneur Jésus Christ Roi de l’univers se révèle encore plus authentique, le dimanche suivant. La royauté du Christ, en effet, émerge dans toute sa signification précisément sur le Golgotha, lorsque l’Innocent cloué sur la croix, pauvre, nu et privé de tout, incarne et révèle la plénitude de l’amour de Dieu. Son abandon complet au Père, tandis qu’il exprime sa pauvreté totale, rend évident la puissance de cet Amour, qui le ressuscite à une vie nouvelle le jour de Pâques.

En ce dimanche, si dans notre quartier vivent des pauvres qui cherchent protection et aide, approchons-nous d’eux: ce sera un moment propice pour rencontrer le Dieu que nous cherchons. Selon l’enseignement des Écritures (cf. Gn 18, 3-5; He 13, 2), accueillons-les comme des hôtes privilégiés à notre table; ils pourront être des maîtres qui nous aident à vivre la foi de manière plus cohérente. Par leur confiance et leur disponibilité à accepter de l’aide, ils nous montrent de manière sobre, et souvent joyeuse, combien il est important de vivre de l’essentiel et de nous abandonner à la providence du Père.

8. À la base des nombreuses initiatives qui peuvent se réaliser lors de cette Journée, qu’il y ait toujours la prière. N’oublions pas que le Notre Père est la prière des pauvres. La demande du pain, en effet, exprime la confiance en Dieu pour les besoins primaires de notre vie. Ce que Jésus nous a enseigné par cette prière exprime et recueille le cri de celui qui souffre de la précarité de l’existence et du manque du nécessaire. Aux disciples qui demandaient à Jésus de leur apprendre à prier, il a répondu par les paroles des pauvres qui s’adressent au Père unique dans lequel tous se reconnaissent comme frères. Le Notre Père est une prière qui s’exprime au pluriel: le pain demandé est ‘‘notre’’, et cela comporte partage, participation et responsabilité commune. Dans cette prière, nous reconnaissons tous l’exigence de surmonter toute forme d’égoïsme pour accéder à la joie de l’accueil réciproque.

9. Je demande aux confrères évêques, aux prêtres, aux diacres – qui par vocation ont la mission du soutien aux pauvres -, aux personnes consacrées, aux associations, aux mouvements et au vaste monde du volontariat d’œuvrer afin que par cette Journée Mondiale des Pauvres s’instaure une tradition qui soit une contribution concrète à l’évangélisation dans le monde contemporain.

Que cette nouvelle Journée Mondiale, par conséquent, devienne un appel fort à notre conscience de croyants pour que nous soyons plus convaincus que partager avec les pauvres nous permet de comprendre l’Évangile dans sa vérité la plus profonde. Les pauvres ne sont un problème: ils sont une ressource où il faut puiser pour accueillir et vivre l’essence de l’Évangile.

Du Vatican, le 13 juin 2017

Mémoire de saint Antoine de Padoue

FRANÇOIS

[00907-FR.01] [Texte original: Italien]

Traduzione in lingua inglese

Message of His Holiness Pope Francis

for the First World Day of the Poor

Thirty-third Sunday in Ordinary Time

19 November 2017

Let us love, not with words but with deeds

1. “Little children, let us not love in word or speech, but in deed and in truth” (1 Jn 3:18). These words of the Apostle John voice an imperative that no Christian may disregard. The seriousness with which the “beloved disciple” hands down Jesus’ command to our own day is made even clearer by the contrast between the empty words so frequently on our lips and the concrete deeds against which we are called to measure ourselves. Love has no alibi. Whenever we set out to love as Jesus loved, we have to take the Lord as our example; especially when it comes to loving the poor. The Son of God’s way of loving is well-known, and John spells it out clearly. It stands on two pillars: God loved us first (cf. 1 Jn 4:10.19), and he loved us by giving completely of himself, even to laying down his life (cf. 1 Jn 3:16).

Such love cannot go unanswered. Even though offered unconditionally, asking nothing in return, it so sets hearts on fire that all who experience it are led to love back, despite their limitations and sins. Yet this can only happen if we welcome God’s grace, his merciful charity, as fully as possible into our hearts, so that our will and even our emotions are drawn to love both God and neighbour. In this way, the mercy that wells up – as it were – from the heart of the Trinity can shape our lives and bring forth compassion and works of mercy for the benefit of our brothers and sisters in need.

2. “This poor man cried, and the Lord heard him” (Ps 34:6). The Church has always understood the importance of this cry. We possess an outstanding testimony to this in the very first pages of the Acts of the Apostles, where Peter asks that seven men, “full of the Spirit and of wisdom” (6:3), be chosen for the ministry of caring for the poor. This is certainly one of the first signs of the entrance of the Christian community upon the world’s stage: the service of the poor. The earliest community realized that being a disciple of Jesus meant demonstrating fraternity and solidarity, in obedience to the Master’s proclamation that the poor are blessed and heirs to the Kingdom of heaven (cf. Mt 5:3).

“They sold their possessions and goods and distributed them to all, as any had need” (Acts 2:45). In these words, we see clearly expressed the lively concern of the first Christians. The evangelist Luke, who more than any other speaks of mercy, does not exaggerate when he describes the practice of sharing in the early community. On the contrary, his words are addressed to believers in every generation, and thus also to us, in order to sustain our own witness and to encourage our care for those most in need. The same message is conveyed with similar conviction by the Apostle James. In his Letter, he spares no words: “Listen, my beloved brethren. Has not God chosen those who are poor in the world to be rich in faith and heirs of the kingdom that he has promised to those who love him? But you have dishonoured the poor man. Is it not the rich who oppress you, and drag you into court? ... What does it profit, my brethren, if a man says he has faith but has not works? Can his faith save him? If a brother or sister is poorly clothed and in lack of daily food, and one of you says to them, ‘Go in peace, be warmed and filled”, without giving them the things needed for the body; what does it profit? So faith by itself, if it has not works, is dead’ (2:5-6.14-17).

3. Yet there have been times when Christians have not fully heeded this appeal, and have assumed a worldly way of thinking. Yet the Holy Spirit has not failed to call them to keep their gaze fixed on what is essential. He has raised up men and women who, in a variety of ways, have devoted their lives to the service of the poor. Over these two thousand years, how many pages of history have been written by Christians who, in utter simplicity and humility, and with generous and creative charity, have served their poorest brothers and sisters!

The most outstanding example is that of Francis of Assisi, followed by many other holy men and women over the centuries. He was not satisfied to embrace lepers and give them alms, but chose to go to Gubbio to stay with them. He saw this meeting as the turning point of his conversion: “When I was in my sins, it seemed a thing too bitter to look on lepers, and the Lord himself led me among them and I showed them mercy. And when I left them, what had seemed bitter to me was changed into sweetness of mind and body” (Text 1-3: FF 110). This testimony shows the transformative power of charity and the Christian way of life.

We may think of the poor simply as the beneficiaries of our occasional volunteer work, or of impromptu acts of generosity that appease our conscience. However good and useful such acts may be for making us sensitive to people’s needs and the injustices that are often their cause, they ought to lead to a true encounter with the poor and a sharing that becomes a way of life. Our prayer and our journey of discipleship and conversion find the confirmation of their evangelic authenticity in precisely such charity and sharing. This way of life gives rise to joy and peace of soul, because we touch with our own hands the flesh of Christ. If we truly wish to encounter Christ, we have to touch his body in the suffering bodies of the poor, as a response to the sacramental communion bestowed in the Eucharist. The Body of Christ, broken in the sacred liturgy, can be seen, through charity and sharing, in the faces and persons of the most vulnerable of our brothers and sisters. Saint John Chrysostom’s admonition remains ever timely: “If you want to honour the body of Christ, do not scorn it when it is naked; do not honour the Eucharistic Christ with silk vestments, and then, leaving the church, neglect the other Christ suffering from cold and nakedness” (Hom. in Matthaeum, 50.3: PG 58).

We are called, then, to draw near to the poor, to encounter them, to meet their gaze, to embrace them and to let them feel the warmth of love that breaks through their solitude. Their outstretched hand is also an invitation to step out of our certainties and comforts, and to acknowledge the value of poverty in itself.

4. Let us never forget that, for Christ’s disciples, poverty is above all a call to follow Jesus in his own poverty. It means walking behind him and beside him, a journey that leads to the beatitude of the Kingdom of heaven (cf. Mt 5:3; Lk 6:20). Poverty means having a humble heart that accepts our creaturely limitations and sinfulness and thus enables us to overcome the temptation to feel omnipotent and immortal. Poverty is an interior attitude that avoids looking upon money, career and luxury as our goal in life and the condition for our happiness. Poverty instead creates the conditions for freely shouldering our personal and social responsibilities, despite our limitations, with trust in God’s closeness and the support of his grace. Poverty, understood in this way, is the yardstick that allows us to judge how best to use material goods and to build relationships that are neither selfish nor possessive (cf. Catechism of the Catholic Church, Nos. 25-45).

Let us, then, take as our example Saint Francis and his witness of authentic poverty. Precisely because he kept his gaze fixed on Christ, Francis was able to see and serve him in the poor. If we want to help change history and promote real development, we need to hear the cry of the poor and commit ourselves to ending their marginalization. At the same time, I ask the poor in our cities and our communities not to lose the sense of evangelical poverty that is part of their daily life.

5. We know how hard it is for our contemporary world to see poverty clearly for what it is. Yet in myriad ways poverty challenges us daily, in faces marked by suffering, marginalization, oppression, violence, torture and imprisonment, war, deprivation of freedom and dignity, ignorance and illiteracy, medical emergencies and shortage of work, trafficking and slavery, exile, extreme poverty and forced migration. Poverty has the face of women, men and children exploited by base interests, crushed by the machinations of power and money. What a bitter and endless list we would have to compile were we to add the poverty born of social injustice, moral degeneration, the greed of a chosen few, and generalized indifference!

Tragically, in our own time, even as ostentatious wealth accumulates in the hands of the privileged few, often in connection with illegal activities and the appalling exploitation of human dignity, there is a scandalous growth of poverty in broad sectors of society throughout our world. Faced with this scenario, we cannot remain passive, much less resigned. There is a poverty that stifles the spirit of initiative of so many young people by keeping them from finding work. There is a poverty that dulls the sense of personal responsibility and leaves others to do the work while we go looking for favours. There is a poverty that poisons the wells of participation and allows little room for professionalism; in this way it demeans the merit of those who do work and are productive. To all these forms of poverty we must respond with a new vision of life and society.

All the poor – as Blessed Paul VI loved to say – belong to the Church by “evangelical right” (Address at the Opening of the Second Session of the Second Vatican Ecumenical Council, 29 September 1963), and require of us a fundamental option on their behalf. Blessed, therefore, are the open hands that embrace the poor and help them: they are hands that bring hope. Blessed are the hands that reach beyond every barrier of culture, religion and nationality, and pour the balm of consolation over the wounds of humanity. Blessed are the open hands that ask nothing in exchange, with no “ifs” or “buts” or “maybes”: they are hands that call down God’s blessing upon their brothers and sisters.

6. At the conclusion of the Jubilee of Mercy, I wanted to offer the Church a World Day of the Poor, so that throughout the world Christian communities can become an ever greater sign of Christ’s charity for the least and those most in need. To the World Days instituted by my Predecessors, which are already a tradition in the life of our communities, I wish to add this one, which adds to them an exquisitely evangelical fullness, that is, Jesus’ preferential love for the poor.

I invite the whole Church, and men and women of good will everywhere, to turn their gaze on this day to all those who stretch out their hands and plead for our help and solidarity. They are our brothers and sisters, created and loved by the one Heavenly Father. This Day is meant, above all, to encourage believers to react against a culture of discard and waste, and to embrace the culture of encounter. At the same time, everyone, independent of religious affiliation, is invited to openness and sharing with the poor through concrete signs of solidarity and fraternity. God created the heavens and the earth for all; yet sadly some have erected barriers, walls and fences, betraying the original gift meant for all humanity, with none excluded.

7. It is my wish that, in the week preceding the World Day of the Poor, which falls this year on 19 November, the Thirty-third Sunday of Ordinary Time, Christian communities will make every effort to create moments of encounter and friendship, solidarity and concrete assistance. They can invite the poor and volunteers to take part together in the Eucharist on this Sunday, in such a way that there be an even more authentic celebration of the Solemnity of Our Lord Jesus Christ, Universal King, on the following Sunday. The kingship of Christ is most evident on Golgotha, when the Innocent One, nailed to the cross, poor, naked and stripped of everything, incarnates and reveals the fullness of God’s love. Jesus’ complete abandonment to the Father expresses his utter poverty and reveals the power of the Love that awakens him to new life on the day of the Resurrection.

This Sunday, if there are poor people where we live who seek protection and assistance, let us draw close to them: it will be a favourable moment to encounter the God we seek. Following the teaching of Scripture (cf. Gen 18:3-5; Heb 13:2), let us welcome them as honoured guests at our table; they can be teachers who help us live the faith more consistently. With their trust and readiness to receive help, they show us in a quiet and often joyful way, how essential it is to live simply and to abandon ourselves to God’s providence.

8. At the heart of all the many concrete initiatives carried out on this day should always be prayer. Let us not forget that the Our Father is the prayer of the poor. Our asking for bread expresses our entrustment to God for our basic needs in life. Everything that Jesus taught us in this prayer expresses and brings together the cry of all who suffer from life’s uncertainties and the lack of what they need. When the disciples asked Jesus to teach them to pray, he answered in the words with which the poor speak to our one Father, in whom all acknowledge themselves as brothers and sisters. The Our Father is a prayer said in the plural: the bread for which we ask is “ours”, and that entails sharing, participation and joint responsibility. In this prayer, all of us recognize our need to overcome every form of selfishness, in order to enter into the joy of mutual acceptance.

9. I ask my brother Bishops, and all priests and deacons who by their vocation have the mission of supporting the poor, together with all consecrated persons and all associations, movements and volunteers everywhere, to help make this World Day of the Poor a tradition that concretely contributes to evangelization in today’s world.

This new World Day, therefore, should become a powerful appeal to our consciences as believers, allowing us to grow in the conviction that sharing with the poor enables us to understand the deepest truth of the Gospel. The poor are not a problem: they are a resource from which to draw as we strive to accept and practise in our lives the essence of the Gospel.

From the Vatican, 13 June 2017

Memorial of Saint Anthony of Padua

FRANCIS

[00907-EN.01] [Original text: Italian]

Traduzione in lingua tedesca

Botschaft von Papst Franziskus

zum Ersten Welttag der Armen

33. Sonntag im Jahreskreis

19. November 2017

 

Liebt nicht mit Worten sondern in Taten

1. „Meine Kinder, wir wollen nicht mit Wort und Zunge lieben, sondern in Tat und Wahrheit“ (1 Joh 3,18). Diese Worte des Apostels Johannes stellen einen Imperativ dar, dem sich kein Christ entziehen kann. Die Ernsthaftigkeit, mit der der “Lieblingsjünger” bis in unsere Tage hinein das Gebot Jesu verkündet, wird besonders deutlich durch den Gegensatz zwischen den leeren Worten, die wir oftmals im Mund führen, und den konkreten Taten, an denen wir eigentlich gerufen sind, uns zu messen. Die Liebe erlaubt kein Alibi: Wer lieben will, wie Jesus geliebt hat, muss ganz und gar seinem Beispiel folgen. Das gilt besonders, wenn es um die Armen geht. Die Art und Weise, wie der Sohn Gottes geliebt hat, ist wohl bekannt, und Johannes ruft uns mit klaren Worten ihre tragenden Säulen in Erinnerung: Gott hat uns zuerst geliebt (vgl. 1 Joh 4,10.19); und er hat uns so geliebt, dass er sein Leben für uns hingegeben hat (vgl. 1 Joh 3,16).

Eine solche Liebe kann nicht ohne Antwort bleiben. Auch wenn sie einseitig und bedingungslos geschenkt wird, ohne eine Gegenleistung zu erwarten, entzündet sie doch die Herzen derart, dass diese trotz aller persönlichen Grenzen und Sünden dazu geführt werden, diese Liebe zu erwidern. Das gelingt, wenn wir die Gnade Gottes, seine barmherzige Liebe, im Rahmen unserer Möglichkeiten in unseren Herzen aufnehmen, so dass unser Wille und auch unsere Gefühle zur Liebe zu Gott selbst und zum Nächsten bewegt werden. Auf diese Weise kann die Barmherzigkeit, die sozusagen aus dem Herzen der Dreifaltigkeit entspringt, unser Leben in Bewegung bringen und Mitgefühl und Werke der Barmherzigkeit für unsere Brüder und Schwestern in Not hervorbringen.

2. „Da rief ein Armer und der Herr erhörte ihn“ (Ps 34,7). Immer schon hat die Kirche die Bedeutung eines solchen Schreis begriffen. Die ersten Seiten der Apostelgeschichte geben Zeugnis davon, wenn Petrus aufruft, sieben Männer auszuwählen „voll Geist und Weisheit“ (6,3), um ihnen den Dienst an den Armen zu übertragen. Das ist gewiss eines der ersten Zeichen, durch das die christliche Gemeinschaft auf der Bühne dieser Welt in Erscheinung tritt: der Dienst an den Ärmsten. All dies war ihr möglich, weil sie begriffen, dass das Leben der Jünger Jesu in einer solchen Brüderlichkeit und Solidarität Ausdruck finden musste, die der grundsätzlichen Lehre des Meisters entsprechen, der die Armen selig und zu Erben des Himmelreiches erklärt hatte (vgl. Mt 5,3).

„Sie verkauften Hab und Gut und teilten davon allen zu, jedem so viel, wie er nötig hatte“ (Apg 2,45). Hier wird die aufrichtige Sorge der ersten Christen deutlich. Der Evangelist Lukas, jener biblische Autor, der mehr als alle anderen dem Thema der Barmherzigkeit Raum gegeben hat, macht nicht etwa nur schöne Worte, wenn er berichtet, wie die ersten Christen ihre Güter geteilt haben. Ganz im Gegenteil, wenn er davon erzählt, beabsichtigt er, zu den Gläubigen aller Zeiten zu sprechen, und damit auch zu uns, um uns im Zeugnis zu ermutigen und uns zum Einsatz für die Bedürftigsten anzuspornen. Das Gleiche lehrt uns der Apostel Jakobus mit ebensolcher Überzeugung. In seinem Brief wählt er starke und eindrückliche Worte: „Hört, meine geliebten Brüder und Schwestern! Hat nicht Gott die Armen in der Welt zu Reichen im Glauben und Erben des Reiches erwählt, das er denen verheißen hat, die ihn lieben? Ihr aber habt den Armen entehrt. Sind es nicht die Reichen, die euch unterdrücken und euch vor die Gerichte schleppen? [...] Was nützt es, meine Brüder und Schwestern, wenn einer sagt, er habe Glauben, aber es fehlen die Werke? Kann etwa der Glaube ihn retten? Wenn ein Bruder oder eine Schwester ohne Kleidung sind und ohne das tägliche Brot und einer von euch zu ihnen sagt: Geht in Frieden, wärmt und sättigt euch!, ihr gebt ihnen aber nicht, was sie zum Leben brauchen – was nützt das? So ist auch der Glaube für sich allein tot, wenn er nicht Werke vorzuweisen hat“ (Jak 2,5-6.14-17).

3. Allerdings gab es auch Momente, in denen die Christen diesen Aufruf nicht wirklich bis in die Tiefe befolgt haben und sich stattdessen von einer weltlichen Denkweise anstecken ließen. Aber der Heilige Geist hat es nie versäumt, sie daran zu erinnern, den Blick auf das Wesentliche gerichtet zu halten. Denn er hat immer wieder Männer und Frauen erweckt, die ihr Leben für den Dienst an den Armen hingegeben haben. Wie viele Seiten Geschichte wurden in den letzten 2000 Jahren von Christen geschrieben, die in aller Schlichtheit und Demut sowie mit dem großzügigen Erfindungsreichtum, wie sie nur die Nächstenliebe schenken kann, ihren ärmsten Brüdern und Schwestern gedient haben!

Unter ihnen sticht das Beispiel des Heiligen Franz von Assisi hervor, dem zahllose andere heilige Männer und Frauen durch die Jahrhunderte gefolgt sind. Er gab sich nicht damit zufrieden, die Aussätzigen zu umarmen und ihnen Almosen zu geben, sondern er entschied sich, nach Gubbio zu gehen und mit ihnen zu leben. Er selbst sieht in dieser Begegnung sein großes Bekehrungserlebnis: „Als ich in Sünden war, kam es mir sehr bitter vor, Aussätzige zu sehen. Und der Herr selbst hat mich unter sie geführt, und ich habe ihnen Barmherzigkeit erwiesen. Und da ich fortging von ihnen, wurde mir das, was mir bitter vorkam, in Süßigkeit der Seele und des Leibes verwandelt" (Testament 1-3). Dieses Zeugnis bringt die verwandelnde Kraft der Nächstenliebe und auch den christlichen Lebensstil zum Ausdruck.

Denken wir also an die Armen nicht nur als Empfänger eines wohltätigen, einmal in der Woche zu verrichtenden Freiwilligendienstes oder von improvisierten Gesten des guten Willens, um unser Gewissen zu beruhigen. Diese Taten sind zwar wertvoll und helfen uns durchaus, auf die Bedürfnisse unserer Brüder und Schwestern sowie auch auf die Ungerechtigkeiten, die oftmals zu ihrer Situation führt, zu achten. Letztendlich sollten sie uns jedoch zu einer wirklichen Begegnung mit den Armen führen und der Haltung des Teilens Raum geben, die zum Lebensstil werden soll. Das Gebet, der Weg der Jüngerschaft und die Bekehrung finden in der Nächstenliebe, die bereit ist zu teilen, eine Bestätigung ihrer evangelischen Glaubwürdigkeit. Aus dieser Lebensweise kommen Freude und Seelenfrieden, denn sie erlaubt uns, mit den eigenen Händen das Fleisch Christi zu berühren. Wenn wir wirklich Christus begegnen wollen, dann müssen wir seinen Leib auch im gemarterten Leib der Armen berühren – gleichsam als Antwort auf die sakramentale Kommunion in der Eucharistie. Der Leib Christi, der in der Eucharistie gebrochen wird, lässt sich, wenn wir die Liebe weiterschenken, im Angesicht und in den Personen der schwächsten Brüder und Schwestern wiederfinden. Zeitlos gültig erklingen die Worte des heiligen Bischofs Johannes Chrysostomos: „Willst du den Leib Christi ehren? Dann übersieh nicht, dass dieser Leib nackt ist. Ehre den Herrn nicht im Haus der Kirche mit seidenen Gewändern, während du ihn draußen vernachlässigst, wo er unter Kälte und Blöße leidet“ (Predigt zum Matthäusevangelium, 50, 3: PG 58).

Wir sind also gerufen, den Armen die Hand zu reichen, ihnen zu begegnen, in ihre Augen zu schauen, sie zu umarmen, sie die Wärme der Liebe spüren zu lassen, die den Teufelskreis der Einsamkeit zerbricht. Die Hand, die sie ihrerseits uns entgegenstrecken, ist eine Einladung, aus unserer Sicherheit und Bequemlichkeit auszubrechen. Sie lädt uns ein, den Reichtum zu erkennen, den die Armut in sich selbst bereithält.

4. Vergessen wir nicht, dass für die Jünger Christi die Armut vor allem in der Berufung besteht, dem armen Christus nachzufolgen. Sie ist der Weg, auf dem wir ihm nachfolgen und auf dem wir mit ihm unterwegs sind, ein Weg, der zur Seligkeit des Himmelreiches führt (vgl. Mt 5,3; Lk 6,20). Wahre Armut bedeutet, ein demütiges Herz zu haben, das als Geschöpf um die eigene Begrenztheit und Sündhaftigkeit weiß und darum der Versuchung von Allmachtsvorstellungen, die Unsterblichkeit vortäuscht, widerstehen kann. Die Armut ist eine Herzenshaltung, die verhindert, dass wir Geld, Karriere und Luxus als Lebensziel und Grundvoraussetzungen des Glücks betrachten. Es ist vielmehr die Armut, die die Voraussetzungen schafft, um trotz unserer Grenzen im Vertrauen auf die Nähe Gottes und getragen von seiner Gnade in Freiheit die persönliche und gesellschaftliche Verantwortung wahrzunehmen. Die so verstandene Armut wird zum Maßstab, der es erlaubt, den korrekten Umgang mit den materiellen Dingen einzuschätzen und auch in selbstloser und nicht besitzergreifender Weise die eigenen Beziehungen und Willensantriebe zu leben (vgl. Katechismus der Katholischen Kirche Nr. 2545).

Folgen wir also dem Beispiel des heiligen Franziskus, dem Zeugen der wahren Armut. Gerade weil er die Augen auf Christus gerichtet hatte, war er in der Lage, diesen in den Armen zu erkennen und ihm zu dienen. Wenn wir also einen Beitrag leisten wollen, um die Geschichte wirksam zu verändern und wirkliche Entwicklung zu ermöglichen, dann müssen wir auf den Schrei der Armen hören und uns einsetzen, um sie aus der Ausgrenzung herauszuholen. Gleichzeitig erinnere ich die Armen in unseren Städten und in unseren Gemeinden, dass sie nicht den Sinn für die Armut des Evangeliums verlieren, der ihrem Leben eingeprägt ist.

5. Uns ist die große Schwierigkeit bekannt, in der heutigen Welt die Armut auf klare Weise zu identifizieren. Und doch fordert sie uns tagtäglich heraus, indem sie uns mit tausenden Gesichtern anschaut, die gezeichnet sind von Schmerz, Ausgrenzung, Missbrauch, Gewalt, Folter, Gefängnis, von Krieg, vom Entzug von Freiheit und Würde, fehlenden Bildungschancen und Analphabetismus, Gesundheitsnotlagen und Arbeitslosigkeit, Menschenhandel, Sklaverei, Exil, Elend und erzwungener Migration. Die Armut hat das Gesicht von Frauen, Männern und Kindern, die aus niederträchtigen Interessen ausgebeutet werden, niedergetrampelt von der perversen Logik der Macht und des Geldes. Diese grausame und nie vollständige Liste ist man gezwungen, angesichts einer Armut zusammenzustellen, die die Frucht sozialer Ungerechtigkeit sowie moralischen Elends, der Habgier weniger und der allgemein verbreiteten Gleichgültigkeit ist.

Wenn heutzutage immer mehr ein unverschämter Reichtum zutage tritt, der sich in den Händen weniger Privilegierter ansammelt und der nicht selten mit Illegalität und der beleidigenden Ausbeutung der menschlichen Würde einhergeht, erregt die Ausbreitung der Armut in großen Teilen der weltweiten Gesellschaft Ärgernis. Angesichts dieser Entwicklung ist es unmöglich, untätig zu bleiben oder gar aufzugeben. Auf eine Armut, die den Unternehmungsgeist so vieler Jugendlicher auslöscht und verhindert, dass sie Arbeit finden; auf eine Armut, die den Verantwortungssinn einschläfert und die zu einem System des Abwälzens von Verantwortung und der Suche nach Begünstigung führt; auf eine Armut, die die gemeinschaftlichen Brunnen vergiftet und die Räume der Arbeitswelt eingrenzt und damit das Verdienst derjenigen schmälert, die arbeiten und produzieren; – auf all das gilt es mit einer neuen Sicht des Lebens und der Gesellschaft zu antworten.

All diese Armen gehören – wie der selige Paul VI. zu sagen pflegte – aufgrund des „evangeliumsgemäßen Rechts“ zur Kirche (Ansprache zur Eröffnung der zweiten Session des Zweiten Vatikanischen Konzils, 29. September 1963) und sie verpflichten auf eine grundlegende Option für sie. Gepriesen sind also die Hände, die sich den Armen entgegenstrecken, um zu helfen, denn es sind Hände, die Hoffnung bringen. Gepriesen die Hände, die jegliche Schranke der Kultur, der Religion und der Nationalität überwinden, indem sie das Öl des Trostes in die Wunden der Menschheit gießen. Gepriesen die Hände, die sich öffnen ohne eine Gegenleistung zu erwarten, ohne Wenn und Aber und ohne Vielleicht: Solche Hände lassen über die Brüder und Schwestern den Segen Gottes herabkommen!

6. Zum Abschluss des Heiligen Jahres der Barmherzigkeit wollte ich der Kirche den Welttag der Armen schenken, damit in der ganzen Welt die christlichen Gemeinden immer mehr und immer besser zum konkreten Zeichen der Liebe Christi für die Letzten und Bedürftigsten werden. Ich möchte, dass dieser Welttag zur Liste der anderen hinzugefügt wird, die meine Vorgänger eingerichtet haben und die zu einer Tradition in unseren Gemeinden geworden sind. Er vervollständigt das Gesamtbild, indem er ein zutiefst evangeliumsgemäßes Element hinzufügt: die besondere Vorliebe Jesu für die Armen.

Ich lade die gesamte Kirche sowie alle Menschen guten Willens ein, an diesem Tag ihren Blick auf die zu richten, die mit ausgestreckter Hand um Hilfe bitten und auf unsere Solidarität hoffen. Es sind unsere Brüder und Schwestern, geschaffen und geliebt vom einzigen Vater im Himmel. Dieser Welttag will zuerst die Gläubigen anspornen, damit sie der Wegwerfkultur und der Kultur des Überflusses eine wahre Kultur der Begegnung entgegenstellen. Gleichzeitig ist die Einladung an alle Menschen gerichtet, unabhängig von der religiösen Zugehörigkeit, damit sie sich als konkretes Zeichen der Brüderlichkeit für das Teilen mit den Armen in jeder Form der Solidarität öffnen. Gott hat den Himmel und die Erde für alle geschaffen. Es sind die Menschen, die leider Grenzen, Mauern und Absperrungen aufgerichtet haben, und die dabei die ursprüngliche für die ganze Menschheit bestimmte Gabe ohne jeden Ausschluss verraten haben.

7. Der Welttag der Armen fällt dieses Jahr auf den 19. November, den 33. Sonntag im Jahreskreis. Ich wünsche, dass die christlichen Gemeinden sich in der vorausgehenden Woche dafür einsetzen, viele Gelegenheiten zur Begegnung und zur Freundschaft, aber auch zur Solidarität und zur konkreten Hilfe zu schaffen. Anschließend können sie die Armen gemeinsam mit den Ehrenamtlichen, die sich um diese kümmern, zur Eucharistiefeier an diesem Sonntag einladen, so dass die Feier des darauffolgenden Christkönigssonntags noch authentischer wird. Die Bedeutung des Königtums Christi tritt nämlich gerade auf dem Berg Golgota zutage, wo der Unschuldige ans Kreuz genagelt, arm, nackt und von allem beraubt, die Fülle der Liebe Gottes Fleisch werden lässt und offenbart. Seine völlige Hingabe an den Vater bringt einerseits seine völlige Armut zum Ausdruck; andererseits wird dadurch die Macht dieser Liebe deutlich, die ihn am Ostertag zu neuem Leben auferweckt.

Wenn in unserer Nachbarschaft Arme leben, die Schutz und Hilfe suchen, gehen wir an diesem Sonntag auf sie zu: Dies wird eine günstige Gelegenheit sein, um dem Gott zu begegnen, den wir suchen. Laden wir sie gemäß der Lehre der Heiligen Schrift (vgl. Gen 18,3-5; Heb 13,2) als Ehrengäste an unseren Tisch. Sie können zu Lehrmeistern werden, die uns helfen, unseren Glauben konsequenter zu leben. Mit ihrem Vertrauen und der Bereitschaft Hilfe anzunehmen, zeigen sie uns auf nüchterne, aber oft frohe Weise, wie wichtig es ist, aus dem Wesentlichen zu leben und sich ganz der Vorsehung Gottes zu überlassen.

8. Die Grundlage der vielen Initiativen zu diesem Welttag soll stets das Gebet sein. Vergessen wir nicht, dass das Vaterunser das Gebet der Armen ist. Die Bitte um das Brot bringt das Vertrauen auf Gott in den Grundbedürfnissen unseres Lebens zum Ausdruck. Wie Jesus uns mit diesem Gebet gelehrt hat, bringt sie den Schrei derer zum Ausdruck und nimmt ihn auf, die unter ihrer mangelnden Existenzsicherung leiden und denen es am Lebensnotwendigen fehlt. Als die Jünger Jesus baten, er möge sie beten lehren, hat er ihnen mit den Worten der Armen geantwortet, die sich an den einen Vater richten, vor dem alle sich als Geschwister erkennen. Das Vaterunser ist ein Gebet im Plural: Das Brot, um das wir bitten, ist „unser“ Brot und dies bringt Teilen, Teilhabe und gemeinsame Verantwortung mit sich. In diesem Gebet erkennen wir alle die Forderung, jede Form von Egoismus zu überwinden, um so zur Freude der gegenseitigen Aufnahme zu gelangen.

9. Ich bitte die Brüder im bischöflichen, priesterlichen und diakonalen Dienst – deren besondere Berufung es ist, den Armen beizustehen –, die Ordensleute, die Vereinigungen und Bewegungen sowie die weite Welt der Ehrenamtlichen, sich dafür einzusetzen, damit dieser Welttag der Armen eine Tradition werde, die ganz konkret zur Evangelisierung der Welt von heute beiträgt.

Dieser neue Welttag möge daher ein starker Aufruf für unser gläubiges Gewissen werden, damit wir immer mehr überzeugt sein mögen, dass das Teilen mit den Armen es uns ermöglicht, das Evangelium in seiner tiefsten Wahrheit zu verstehen. Die Armen sind kein Problem. Sie sind vielmehr eine Ressource, aus der wir schöpfen können, um das Wesen des Evangeliums in uns aufzunehmen und zu leben.

Aus dem Vatikan, am 13. Juni 2017,

Gedenktag des heiligen Antonius von Padua

FRANZISKUS

[00907-DE.01] [Originalsprache: Italienisch]

Traduzione in lingua spagnola

Mensaje del Santo Padre

I Jornada Mundial de los Pobres

Domingo XXXIII del Tiempo Ordinario

19 noviembre 2017

 

No amemos de palabra sino con obras

1. «Hijos míos, no amemos de palabra y de boca, sino de verdad y con obras» (1 Jn 3,18). Estas palabras del apóstol Juan expresan un imperativo que ningún cristiano puede ignorar. La seriedad con la que el «discípulo amado» ha transmitido hasta nuestros días el mandamiento de Jesús se hace más intensa debido al contraste que percibe entre las palabras vacías presentes a menudo en nuestros labios y los hechos concretos con los que tenemos que enfrentarnos. El amor no admite excusas: el que quiere amar como Jesús amó, ha de hacer suyo su ejemplo; especialmente cuando se trata de amar a los pobres. Por otro lado, el modo de amar del Hijo de Dios lo conocemos bien, y Juan lo recuerda con claridad. Se basa en dos pilares: Dios nos amó primero (cf. 1 Jn 4,10.19); y nos amó dando todo, incluso su propia vida (cf. 1 Jn 3,16).

Un amor así no puede quedar sin respuesta. Aunque se dio de manera unilateral, es decir, sin pedir nada a cambio, sin embargo inflama de tal manera el corazón que cualquier persona se siente impulsada a corresponder, a pesar de sus limitaciones y pecados. Y esto es posible en la medida en que acogemos en nuestro corazón la gracia de Dios, su caridad misericordiosa, de tal manera que mueva nuestra voluntad e incluso nuestros afectos a amar a Dios mismo y al prójimo. Así, la misericordia que, por así decirlo, brota del corazón de la Trinidad puede llegar a mover nuestras vidas y generar compasión y obras de misericordia en favor de nuestros hermanos y hermanas que se encuentran necesitados.

2. «Si el afligido invoca al Señor, él lo escucha» (Sal 34,7). La Iglesia desde siempre ha comprendido la importancia de esa invocación. Está muy atestiguada ya desde las primeras páginas de los Hechos de los Apóstoles, donde Pedro pide que se elijan a siete hombres «llenos de espíritu y de sabiduría» (6,3) para que se encarguen de la asistencia a los pobres. Este es sin duda uno de los primeros signos con los que la comunidad cristiana se presentó en la escena del mundo: el servicio a los más pobres. Esto fue posible porque comprendió que la vida de los discípulos de Jesús se tenía que manifestar en una fraternidad y solidaridad que correspondiese a la enseñanza principal del Maestro, que proclamó a los pobres como bienaventurados y herederos del Reino de los cielos (cf. Mt 5,3).

«Vendían posesiones y bienes y los repartían entre todos, según la necesidad de cada uno» (Hch 2,45). Estas palabras muestran claramente la profunda preocupación de los primeros cristianos. El evangelista Lucas, el autor sagrado que más espacio ha dedicado a la misericordia, describe sin retórica la comunión de bienes en la primera comunidad. Con ello desea dirigirse a los creyentes de cualquier generación, y por lo tanto también a nosotros, para sostenernos en el testimonio y animarnos a actuar en favor de los más necesitados. El apóstol Santiago manifiesta esta misma enseñanza en su carta con igual convicción, utilizando palabras fuertes e incisivas: «Queridos hermanos, escuchad: ¿Acaso no ha elegido Dios a los pobres del mundo para hacerlos ricos en la fe y herederos del reino, que prometió a los que le aman? Vosotros, en cambio, habéis afrentado al pobre. Y sin embargo, ¿no son los ricos los que os tratan con despotismo y los que os arrastran a los tribunales? [...] ¿De qué le sirve a uno, hermanos míos, decir que tiene fe, si no tiene obras? ¿Es que esa fe lo podrá salvar? Supongamos que un hermano o una hermana andan sin ropa y faltos del alimento diario, y que uno de vosotros les dice: “Dios os ampare; abrigaos y llenaos el estómago”, y no les dais lo necesario para el cuerpo; ¿de qué sirve? Esto pasa con la fe: si no tiene obras, por sí sola está muerta» (2,5-6.14-17).

3. Ha habido ocasiones, sin embargo, en que los cristianos no han escuchado completamente este llamamiento, dejándose contaminar por la mentalidad mundana. Pero el Espíritu Santo no ha dejado de exhortarlos a fijar la mirada en lo esencial. Ha suscitado, en efecto, hombres y mujeres que de muchas maneras han dado su vida en servicio de los pobres. Cuántas páginas de la historia, en estos dos mil años, han sido escritas por cristianos que con toda sencillez y humildad, y con el generoso ingenio de la caridad, han servido a sus hermanos más pobres.

Entre ellos destaca el ejemplo de Francisco de Asís, al que han seguido muchos santos a lo largo de los siglos. Él no se conformó con abrazar y dar limosna a los leprosos, sino que decidió ir a Gubbio para estar con ellos. Él mismo vio en ese encuentro el punto de inflexión de su conversión: «Cuando vivía en el pecado me parecía algo muy amargo ver a los leprosos, y el mismo Señor me condujo entre ellos, y los traté con misericordia. Y alejándome de ellos, lo que me parecía amargo se me convirtió en dulzura del alma y del cuerpo» (Test 1-3; FF 110). Este testimonio muestra el poder transformador de la caridad y el estilo de vida de los cristianos.

No pensemos sólo en los pobres como los destinatarios de una buena obra de voluntariado para hacer una vez a la semana, y menos aún de gestos improvisados de buena voluntad para tranquilizar la conciencia. Estas experiencias, aunque son válidas y útiles para sensibilizarnos acerca de las necesidades de muchos hermanos y de las injusticias que a menudo las provocan, deberían introducirnos a un verdadero encuentro con los pobres y dar lugar a un compartir que se convierta en un estilo de vida. En efecto, la oración, el camino del discipulado y la conversión encuentran en la caridad, que se transforma en compartir, la prueba de su autenticidad evangélica. Y esta forma de vida produce alegría y serenidad espiritual, porque se toca con la mano la carne de Cristo. Si realmente queremos encontrar a Cristo, es necesario que toquemos su cuerpo en el cuerpo llagado de los pobres, como confirmación de la comunión sacramental recibida en la Eucaristía. El Cuerpo de Cristo, partido en la sagrada liturgia, se deja encontrar por la caridad compartida en los rostros y en las personas de los hermanos y hermanas más débiles. Son siempre actuales las palabras del santo Obispo Crisóstomo: «Si queréis honrar el cuerpo de Cristo, no lo despreciéis cuando está desnudo; no honréis al Cristo eucarístico con ornamentos de seda, mientras que fuera del templo descuidáis a ese otro Cristo que sufre por frío y desnudez» (Hom. in Matthaeum, 50,3: PG 58).

Estamos llamados, por lo tanto, a tender la mano a los pobres, a encontrarlos, a mirarlos a los ojos, a abrazarlos, para hacerles sentir el calor del amor que rompe el círculo de soledad. Su mano extendida hacia nosotros es también una llamada a salir de nuestras certezas y comodidades, y a reconocer el valor que tiene la pobreza en sí misma.

4. No olvidemos que para los discípulos de Cristo, la pobreza es ante todo vocación para seguir a Jesús pobre. Es un caminar detrás de él y con él, un camino que lleva a la felicidad del reino de los cielos (cf. Mt 5,3; Lc 6,20). La pobreza significa un corazón humilde que sabe aceptar la propia condición de criatura limitada y pecadora para superar la tentación de omnipotencia, que nos engaña haciendo que nos creamos inmortales. La pobreza es una actitud del corazón que nos impide considerar el dinero, la carrera, el lujo como objetivo de vida y condición para la felicidad. Es la pobreza, más bien, la que crea las condiciones para que nos hagamos cargo libremente de nuestras responsabilidades personales y sociales, a pesar de nuestras limitaciones, confiando en la cercanía de Dios y sostenidos por su gracia. La pobreza, así entendida, es la medida que permite valorar el uso adecuado de los bienes materiales, y también vivir los vínculos y los afectos de modo generoso y desprendido (cf. Catecismo de la Iglesia Católica, nn. 25-45).

Sigamos, pues, el ejemplo de san Francisco, testigo de la auténtica pobreza. Él, precisamente porque mantuvo los ojos fijos en Cristo, fue capaz de reconocerlo y servirlo en los pobres. Si deseamos ofrecer nuestra aportación efectiva al cambio de la historia, generando un desarrollo real, es necesario que escuchemos el grito de los pobres y nos comprometamos a sacarlos de su situación de marginación. Al mismo tiempo, a los pobres que viven en nuestras ciudades y en nuestras comunidades les recuerdo que no pierdan el sentido de la pobreza evangélica que llevan impresa en su vida.

5. Conocemos la gran dificultad que surge en el mundo contemporáneo para identificar de forma clara la pobreza. Sin embargo, nos desafía todos los días con sus muchas caras marcadas por el dolor, la marginación, la opresión, la violencia, la tortura y el encarcelamiento, la guerra, la privación de la libertad y de la dignidad, por la ignorancia y el analfabetismo, por la emergencia sanitaria y la falta de trabajo, el tráfico de personas y la esclavitud, el exilio y la miseria, y por la migración forzada. La pobreza tiene el rostro de mujeres, hombres y niños explotados por viles intereses, pisoteados por la lógica perversa del poder y el dinero. Qué lista inacabable y cruel nos resulta cuando consideramos la pobreza como fruto de la injusticia social, la miseria moral, la codicia de unos pocos y la indiferencia generalizada.

Hoy en día, desafortunadamente, mientras emerge cada vez más la riqueza descarada que se acumula en las manos de unos pocos privilegiados, con frecuencia acompañada de la ilegalidad y la explotación ofensiva de la dignidad humana, escandaliza la propagación de la pobreza en grandes sectores de la sociedad entera. Ante este escenario, no se puede permanecer inactivos, ni tampoco resignados. A la pobreza que inhibe el espíritu de iniciativa de muchos jóvenes, impidiéndoles encontrar un trabajo; a la pobreza que adormece el sentido de responsabilidad e induce a preferir la delegación y la búsqueda de favoritismos; a la pobreza que envenena las fuentes de la participación y reduce los espacios de la profesionalidad, humillando de este modo el mérito de quien trabaja y produce; a todo esto se debe responder con una nueva visión de la vida y de la sociedad.

Todos estos pobres —como solía decir el beato Pablo VI— pertenecen a la Iglesia por «derecho evangélico» (Discurso en la apertura de la segunda sesión del Concilio Ecuménico Vaticano II, 29 septiembre 1963) y obligan a la opción fundamental por ellos. Benditas las manos que se abren para acoger a los pobres y ayudarlos: son manos que traen esperanza. Benditas las manos que vencen las barreras de la cultura, la religión y la nacionalidad derramando el aceite del consuelo en las llagas de la humanidad. Benditas las manos que se abren sin pedir nada a cambio, sin «peros» ni «condiciones»: son manos que hacen descender sobre los hermanos la bendición de Dios.

6. Al final del Jubileo de la Misericordia quise ofrecer a la Iglesia la Jornada Mundial de los Pobres, para que en todo el mundo las comunidades cristianas se conviertan cada vez más y mejor en signo concreto del amor de Cristo por los últimos y los más necesitados. Quisiera que, a las demás Jornadas mundiales establecidas por mis predecesores, que son ya una tradición en la vida de nuestras comunidades, se añada esta, que aporta un elemento delicadamente evangélico y que completa a todas en su conjunto, es decir, la predilección de Jesús por los pobres.

Invito a toda la Iglesia y a los hombres y mujeres de buena voluntad a mantener, en esta jornada, la mirada fija en quienes tienden sus manos clamando ayuda y pidiendo nuestra solidaridad. Son nuestros hermanos y hermanas, creados y amados por el Padre celestial. Esta Jornada tiene como objetivo, en primer lugar, estimular a los creyentes para que reaccionen ante la cultura del descarte y del derroche, haciendo suya la cultura del encuentro. Al mismo tiempo, la invitación está dirigida a todos, independientemente de su confesión religiosa, para que se dispongan a compartir con los pobres a través de cualquier acción de solidaridad, como signo concreto de fraternidad. Dios creó el cielo y la tierra para todos; son los hombres, por desgracia, quienes han levantado fronteras, muros y vallas, traicionando el don original destinado a la humanidad sin exclusión alguna.

7. Es mi deseo que las comunidades cristianas, en la semana anterior a la Jornada Mundial de los Pobres, que este año será el 19 de noviembre, Domingo XXXIII del Tiempo Ordinario, se comprometan a organizar diversos momentos de encuentro y de amistad, de solidaridad y de ayuda concreta. Podrán invitar a los pobres y a los voluntarios a participar juntos en la Eucaristía de ese domingo, de tal modo que se manifieste con más autenticidad la celebración de la Solemnidad de Cristo Rey del universo, el domingo siguiente. De hecho, la realeza de Cristo emerge con todo su significado más genuino en el Gólgota, cuando el Inocente clavado en la cruz, pobre, desnudo y privado de todo, encarna y revela la plenitud del amor de Dios. Su completo abandono al Padre expresa su pobreza total, a la vez que hace evidente el poder de este Amor, que lo resucita a nueva vida el día de Pascua.

En ese domingo, si en nuestro vecindario viven pobres que solicitan protección y ayuda, acerquémonos a ellos: será el momento propicio para encontrar al Dios que buscamos. De acuerdo con la enseñanza de la Escritura (cf. Gn 18, 3-5; Hb 13,2), sentémoslos a nuestra mesa como invitados de honor; podrán ser maestros que nos ayuden a vivir la fe de manera más coherente. Con su confianza y disposición a dejarse ayudar, nos muestran de modo sobrio, y con frecuencia alegre, lo importante que es vivir con lo esencial y abandonarse a la providencia del Padre.

8. El fundamento de las diversas iniciativas concretas que se llevarán a cabo durante esta Jornada será siempre la oración. No hay que olvidar que el Padre nuestro es la oración de los pobres. La petición del pan expresa la confianza en Dios sobre las necesidades básicas de nuestra vida. Todo lo que Jesús nos enseñó con esta oración manifiesta y recoge el grito de quien sufre a causa de la precariedad de la existencia y de la falta de lo necesario. A los discípulos que pedían a Jesús que les enseñara a orar, él les respondió con las palabras de los pobres que recurren al único Padre en el que todos se reconocen como hermanos. El Padre nuestro es una oración que se dice en plural: el pan que se pide es «nuestro», y esto implica comunión, preocupación y responsabilidad común. En esta oración todos reconocemos la necesidad de superar cualquier forma de egoísmo para entrar en la alegría de la mutua aceptación.

9. Pido a los hermanos obispos, a los sacerdotes, a los diáconos —que tienen por vocación la misión de ayudar a los pobres—, a las personas consagradas, a las asociaciones, a los movimientos y al amplio mundo del voluntariado que se comprometan para que con esta Jornada Mundial de los Pobres se establezca una tradición que sea una contribución concreta a la evangelización en el mundo contemporáneo.

Que esta nueva Jornada Mundial se convierta para nuestra conciencia creyente en un fuerte llamamiento, de modo que estemos cada vez más convencidos de que compartir con los pobres nos permite entender el Evangelio en su verdad más profunda. Los pobres no son un problema, sino un recurso al cual acudir para acoger y vivir la esencia del Evangelio.

Vaticano, 13 de junio de 2017

Memoria de San Antonio de Padua

FRANCISCO

[00907-ES.01] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua portoghese

MENSAGEM DO SANTO PADRE

PARA O I DIA MUNDIAL DOS POBRES

(XXXIII Domingo do Tempo Comum – 19 de novembro de 2017)

Não amemos com palavras, mas com obras

1. «Meus filhinhos, não amemos com palavras nem com a boca, mas com obras e com verdade» (1 Jo 3, 18). Estas palavras do apóstolo João exprimem um imperativo de que nenhum cristão pode prescindir. A importância do mandamento de Jesus, transmitido pelo «discípulo amado» até aos nossos dias, aparece ainda mais acentuada ao contrapor as palavras vazias, que frequentemente se encontram na nossa boca, às obras concretas, as únicas capazes de medir verdadeiramente o que valemos. O amor não admite álibis: quem pretende amar como Jesus amou, deve assumir o seu exemplo, sobretudo quando somos chamados a amar os pobres. Aliás, é bem conhecida a forma de amar do Filho de Deus, e João recorda-a com clareza. Assenta sobre duas colunas mestras: o primeiro a amar foi Deus (cf. 1 Jo 4, 10.19); e amou dando-Se totalmente, incluindo a própria vida (cf. 1 Jo 3, 16).

Um amor assim não pode ficar sem resposta. Apesar de ser dado de maneira unilateral, isto é, sem pedir nada em troca, ele abrasa de tal forma o coração, que toda e qualquer pessoa se sente levada a retribuí-lo não obstante as suas limitações e pecados. Isto é possível, se a graça de Deus, a sua caridade misericordiosa, for acolhida no nosso coração a pontos de mover a nossa vontade e os nossos afetos para o amor ao próprio Deus e ao próximo. Deste modo a misericórdia, que brota por assim dizer do coração da Trindade, pode chegar a pôr em movimento a nossa vida e gerar compaixão e obras de misericórdia em prol dos irmãos e irmãs que se encontram em necessidade.

2. «Quando um pobre invoca o Senhor, Ele atende-o» (Sal 34/33, 7). A Igreja compreendeu, desde sempre, a importância de tal invocação. Possuímos um grande testemunho já nas primeiras páginas do Atos dos Apóstolos, quando Pedro pede para se escolher sete homens «cheios do Espírito e de sabedoria» (6, 3), que assumam o serviço de assistência aos pobres. Este é, sem dúvida, um dos primeiros sinais com que a comunidade cristã se apresentou no palco do mundo: o serviço aos mais pobres. Tudo isto foi possível, por ela ter compreendido que a vida dos discípulos de Jesus se devia exprimir numa fraternidade e numa solidariedade tais, que correspondesse ao ensinamento principal do Mestre que tinha proclamado os pobres bem-aventurados e herdeiros do Reino dos céus (cf. Mt 5, 3).

«Vendiam terras e outros bens e distribuíam o dinheiro por todos, de acordo com as necessidades de cada um» (At 2, 45). Esta frase mostra, com clareza, como estava viva nos primeiros cristãos tal preocupação. O evangelista Lucas – o autor sagrado que deu mais espaço à misericórdia do que qualquer outro – não está a fazer retórica, quando descreve a prática da partilha na primeira comunidade. Antes pelo contrário, com a sua narração, pretende falar aos fiéis de todas as gerações (e, por conseguinte, também à nossa), procurando sustentá-los no seu testemunho e incentivá-los à ação concreta a favor dos mais necessitados. E o mesmo ensinamento é dado, com igual convicção, pelo apóstolo Tiago, usando expressões fortes e incisivas na sua Carta: «Ouvi, meus amados irmãos: porventura não escolheu Deus os pobres segundo o mundo para serem ricos na fé e herdeiros do Reino que prometeu aos que O amam? Mas vós desonrais o pobre. Porventura não são os ricos que vos oprimem e vos arrastam aos tribunais? (…) De que aproveita, irmãos, que alguém diga que tem fé, se não tiver obras de fé? Acaso essa fé poderá salvá-lo? Se um irmão ou uma irmã estiverem nus e precisarem de alimento quotidiano, e um de vós lhes disser: “Ide em paz, tratai de vos aquecer e matar a fome”, mas não lhes dais o que é necessário ao corpo, de que lhes aproveitará? Assim também a fé: se ela não tiver obras, está completamente morta» (2, 5-6.14-17).

3. Contudo, houve momentos em que os cristãos não escutaram profundamente este apelo, deixando-se contagiar pela mentalidade mundana. Mas o Espírito Santo não deixou de os chamar a manterem o olhar fixo no essencial. Com efeito, fez surgir homens e mulheres que, de vários modos, ofereceram a sua vida ao serviço dos pobres. Nestes dois mil anos, quantas páginas de história foram escritas por cristãos que, com toda a simplicidade e humildade, serviram os seus irmãos mais pobres, animados por uma generosa fantasia da caridade!

Dentre todos, destaca-se o exemplo de Francisco de Assis, que foi seguido por tantos outros homens e mulheres santos, ao longo dos séculos. Não se contentou com abraçar e dar esmola aos leprosos, mas decidiu ir a Gúbio para estar junto com eles. Ele mesmo identificou neste encontro a viragem da sua conversão: «Quando estava nos meus pecados, parecia-me deveras insuportável ver os leprosos. E o próprio Senhor levou-me para o meio deles e usei de misericórdia para com eles. E, ao afastar-me deles, aquilo que antes me parecia amargo converteu-se para mim em doçura da alma e do corpo» (Test 1-3: FF 110). Este testemunho mostra a força transformadora da caridade e o estilo de vida dos cristãos.

Não pensemos nos pobres apenas como destinatários duma boa obra de voluntariado, que se pratica uma vez por semana, ou, menos ainda, de gestos improvisados de boa vontade para pôr a consciência em paz. Estas experiências, embora válidas e úteis a fim de sensibilizar para as necessidades de tantos irmãos e para as injustiças que frequentemente são a sua causa, deveriam abrir a um verdadeiro encontro com os pobres e dar lugar a uma partilha que se torne estilo de vida. Na verdade, a oração, o caminho do discipulado e a conversão encontram, na caridade que se torna partilha, a prova da sua autenticidade evangélica. E deste modo de viver derivam alegria e serenidade de espírito, porque se toca palpavelmente a carne de Cristo. Se realmente queremos encontrar Cristo, é preciso que toquemos o seu corpo no corpo chagado dos pobres, como resposta à comunhão sacramental recebida na Eucaristia. O Corpo de Cristo, repartido na sagrada liturgia, deixa-se encontrar pela caridade partilhada no rosto e na pessoa dos irmãos e irmãs mais frágeis. Continuam a ressoar de grande atualidade estas palavras do santo bispo Crisóstomo: «Queres honrar o corpo de Cristo? Não permitas que seja desprezado nos seus membros, isto é, nos pobres que não têm que vestir, nem O honres aqui no tempo com vestes de seda, enquanto lá fora O abandonas ao frio e à nudez» (Hom. in Matthaeum, 50, 3: PG 58).

Portanto somos chamados a estender a mão aos pobres, a encontrá-los, fixá-los nos olhos, abraçá-los, para lhes fazer sentir o calor do amor que rompe o círculo da solidão. A sua mão estendida para nós é também um convite a sairmos das nossas certezas e comodidades e a reconhecermos o valor que a pobreza encerra em si mesma.

4. Não esqueçamos que, para os discípulos de Cristo, a pobreza é, antes de tudo, uma vocação a seguir Jesus pobre. É um caminhar atrás d’Ele e com Ele: um caminho que conduz à bem-aventurança do Reino dos céus (cf. Mt 5, 3; Lc 6, 20). Pobreza significa um coração humilde, que sabe acolher a sua condição de criatura limitada e pecadora, vencendo a tentação de omnipotência que cria em nós a ilusão de ser imortal. A pobreza é uma atitude do coração que impede de conceber como objetivo de vida e condição para a felicidade o dinheiro, a carreira e o luxo. Mais, é a pobreza que cria as condições para assumir livremente as responsabilidades pessoais e sociais, não obstante as próprias limitações, confiando na proximidade de Deus e vivendo apoiados pela sua graça. Assim entendida, a pobreza é o metro que permite avaliar o uso correto dos bens materiais e também viver de modo não egoísta nem possessivo os laços e os afetos (cf. Catecismo da Igreja Católica, n. 2545).

Assumamos, pois, o exemplo de São Francisco, testemunha da pobreza genuína. Ele, precisamente por ter os olhos fixos em Cristo, soube reconhecê-Lo e servi-Lo nos pobres. Por conseguinte, se desejamos dar o nosso contributo eficaz para a mudança da história, gerando verdadeiro desenvolvimento, é necessário escutar o grito dos pobres e comprometermo-nos a erguê-los do seu estado de marginalização. Ao mesmo tempo recordo, aos pobres que vivem nas nossas cidades e nas nossas comunidades, para não perderem o sentido da pobreza evangélica que trazem impresso na sua vida.

5. Sabemos a grande dificuldade que há, no mundo contemporâneo, para se poder identificar claramente a pobreza. E todavia esta interpela-nos todos os dias com os seus inúmeros rostos vincados pelo sofrimento, a marginalização, a opressão, a violência, as torturas e a prisão, pela guerra, a privação da liberdade e da dignidade, pela ignorância e o analfabetismo, pela emergência sanitária e a falta de trabalho, pelo tráfico de pessoas e a escravidão, pelo exílio e a miséria, pela migração forçada. A pobreza tem o rosto de mulheres, homens e crianças explorados para vis interesses, espezinhados pelas lógicas perversas do poder e do dinheiro. Como é impiedoso e nunca completo o elenco que se é constrangido a elaborar à vista da pobreza, fruto da injustiça social, da miséria moral, da avidez de poucos e da indiferença generalizada!

Infelizmente, nos nossos dias, enquanto sobressai cada vez mais a riqueza descarada que se acumula nas mãos de poucos privilegiados, frequentemente acompanhada pela ilegalidade e a exploração ofensiva da dignidade humana, causa escândalo a extensão da pobreza a grandes sectores da sociedade no mundo inteiro. Perante este cenário, não se pode permanecer inerte e, menos ainda, resignado. À pobreza que inibe o espírito de iniciativa de tantos jovens, impedindo-os de encontrar um trabalho, à pobreza que anestesia o sentido de responsabilidade, induzindo a preferir a abdicação e a busca de favoritismos, à pobreza que envenena os poços da participação e restringe os espaços do profissionalismo, humilhando assim o mérito de quem trabalha e produz: a tudo isso é preciso responder com uma nova visão da vida e da sociedade.

Todos estes pobres – como gostava de dizer o Beato Paulo VI – pertencem à Igreja por «direito evangélico» (Discurso de abertura na II Sessão do Concílio Ecuménico Vaticano II, 29/IX/1963) e obrigam à opção fundamental por eles. Por isso, benditas as mãos que se abrem para acolher os pobres e socorrê-los: são mãos que levam esperança. Benditas as mãos que superam toda a barreira de cultura, religião e nacionalidade, derramando óleo de consolação nas chagas da humanidade. Benditas as mãos que se abrem sem pedir nada em troca, sem «se» nem «mas», nem «talvez»: são mãos que fazem descer sobre os irmãos a bênção de Deus.

6. No termo do Jubileu da Misericórdia, quis oferecer à Igreja o Dia Mundial dos Pobres, para que as comunidades cristãs se tornem, em todo o mundo, cada vez mais e melhor sinal concreto da caridade de Cristo pelos últimos e os mais carenciados. Quero que, aos outros Dias Mundiais instituídos pelos meus Antecessores e sendo já tradição na vida das nossas comunidades, se acrescente este, que completa o conjunto de tais Dias com um elemento requintadamente evangélico, isto é, a predileção de Jesus pelos pobres.

Convido a Igreja inteira e os homens e mulheres de boa vontade a fixar o olhar, neste dia, em todos aqueles que estendem as suas mãos invocando ajuda e pedindo a nossa solidariedade. São nossos irmãos e irmãs, criados e amados pelo único Pai celeste. Este Dia pretende estimular, em primeiro lugar, os crentes, para que reajam à cultura do descarte e do desperdício, assumindo a cultura do encontro. Ao mesmo tempo, o convite é dirigido a todos, independentemente da sua pertença religiosa, para que se abram à partilha com os pobres em todas as formas de solidariedade, como sinal concreto de fraternidade. Deus criou o céu e a terra para todos; foram os homens que, infelizmente, ergueram fronteiras, muros e recintos, traindo o dom originário destinado à humanidade sem qualquer exclusão.

7. Desejo que, na semana anterior ao Dia Mundial dos Pobres – que este ano será no dia 19 de novembro, XXXIII domingo do Tempo Comum –, as comunidades cristãs se empenhem na criação de muitos momentos de encontro e amizade, de solidariedade e ajuda concreta. Poderão ainda convidar os pobres e os voluntários para participarem, juntos, na Eucaristia deste domingo, de modo que, no domingo seguinte, a celebração da Solenidade de Nosso Senhor Jesus Cristo Rei do Universo resulte ainda mais autêntica. Na verdade, a realeza de Cristo aparece em todo o seu significado precisamente no Gólgota, quando o Inocente, pregado na cruz, pobre, nu e privado de tudo, encarna e revela a plenitude do amor de Deus. O seu completo abandono ao Pai, ao mesmo tempo que exprime a sua pobreza total, torna evidente a força deste Amor, que O ressuscita para uma vida nova no dia de Páscoa.

Neste domingo, se viverem no nosso bairro pobres que buscam proteção e ajuda, aproximemo-nos deles: será um momento propício para encontrar o Deus que buscamos. Como ensina a Sagrada Escritura (cf. Gn 18, 3-5; Heb 13, 2), acolhamo-los como hóspedes privilegiados à nossa mesa; poderão ser mestres, que nos ajudam a viver de maneira mais coerente a fé. Com a sua confiança e a disponibilidade para aceitar ajuda, mostram-nos, de forma sóbria e muitas vezes feliz, como é decisivo vivermos do essencial e abandonarmo-nos à providência do Pai.

8. Na base das múltiplas iniciativas concretas que se poderão realizar neste Dia, esteja sempre a oração. Não esqueçamos que o Pai Nosso é a oração dos pobres. De facto, o pedido do pão exprime o abandono a Deus nas necessidades primárias da nossa vida. Tudo o que Jesus nos ensinou com esta oração exprime e recolhe o grito de quem sofre pela precariedade da existência e a falta do necessário. Aos discípulos que Lhe pediam para os ensinar a rezar, Jesus respondeu com as palavras dos pobres que se dirigem ao único Pai, em quem todos se reconhecem como irmãos. O Pai Nosso é uma oração que se exprime no plural: o pão que se pede é «nosso», e isto implica partilha, comparticipação e responsabilidade comum. Nesta oração, todos reconhecemos a exigência de superar qualquer forma de egoísmo, para termos acesso à alegria do acolhimento recíproco.

9. Aos irmãos bispos, aos sacerdotes, aos diáconos – que, por vocação, têm a missão de apoiar os pobres –, às pessoas consagradas, às associações, aos movimentos e ao vasto mundo do voluntariado, peço que se comprometam para que, com este Dia Mundial dos Pobres, se instaure uma tradição que seja contribuição concreta para a evangelização no mundo contemporâneo.

Que este novo Dia Mundial se torne, pois, um forte apelo à nossa consciência crente, para ficarmos cada vez mais convictos de que partilhar com os pobres permite-nos compreender o Evangelho na sua verdade mais profunda. Os pobres não são um problema: são um recurso de que lançar mão para acolher e viver a essência do Evangelho.

Vaticano, Memória de Santo António de Lisboa, 13 de junho de 2017.

FRANCISCO

[00907-PO.01] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua araba

رسالة قداسة البابا فرنسيس

بمناسبة اليوم العالمي للفقير

الأحد الثالث والثلاثون من الزمن العادي

19 نوفمبر / تشرين الثاني 2017

لا تكن محبّتنا بالكلام بل بالعمل

1. "يا بَنِيَّ، لا تَكُنْ مَحبَّتُنا بِالكلام ولا بِاللِّسان بل بالعَمَلِ والحَقّ" (1 يو 3، 18). تعبّر كلمات يوحنّا الرسول هذه عن ضرورة لا يستطيع أيّ مسيحيّ أن يتجاهلها. والجدّية التي يَنقُل بها "التلميذ الحبيب" إلى أيّامنا هذه وصيّة الربّ يسوع، قد تجلت بشكل أوضح بفضل التناقض الذي يظهر بين الكلمات الفارغة التي غالبًا ما تكون في أفواهنا والأعمال الملموسة التي نحن مدعوّون إلى اتخاذها كمعيار لنا. المحبّة لا تقبل الأعذار: من يعتزم أن يحبّ كما قد أحبّ يسوع، عليه أن يتبنّى مثاله؛ ولا سيّما عندما نكون مدعوّين لمحبّة الفقراء. بيد أن طريقة ابن الله في المحبّة هي معروفة خير المعرفة، ويوحنا يذكّر بها بوضوح. وهي تقوم على ركيزتين: الله قد أحبّ أوّلًا (را. يو 4، 10. 19)؛ وقد أحبّ باذلًا نفسه بكاملها، باذلًا حتى حياته (را. 1 يو 3، 16). ولا يمكن لحبٍّ كهذا أن يبقى دون جواب. ورغم أنه مُعطى من طرفٍ واحد، دون أن ينتظر أيّ شيء في المقابل، لكنه يُشعِل قلبَ الذي يشعر أنه مدعوٌّ للإجابة عليه بالرغم من محدوديّاته وخطاياه. وهذا ممكن إن قَبِلنا نعمةَ الله ومحبّته الرحيمة في قلبِنا بقدر المستطاع، لدرجة تحريك إرادتنا ومشاعرنا لمحبّة الله نفسه ومحبّة القريب. وبهذه الطريقة، تتوصّل الرحمة التي تنبع، إذا جاز التعبير، من قلب الثالوث، إلى تحريك حياتنا وتوليد التعاطف وأعمال الرحمة تجاه الإخوة والأخوات المحتاجين.

2. "دَعا بائِسٌ والرَّبُّ سَمِعَه ومِن جَميعِ مَضايِقهِ خَلَّصَه" (مز 34، 7). لقد أدركت الكنيسة أهمّية هذا الدعاء منذ البدء. ولدينا شهادة عظيمة في أوّل صفحات أعمال الرّسل، حيث طلب بطرس أن يتمّ اختيار سبعة رجال "مُمتَلِئينَ مِنَ الرُّوحِ والحِكمَة" (6، 3) كي يقوموا بخدمة مساعدة الفقراء. ويشكّل هذا بالتأكيد أوّل علامة دخلت فيها الكنيسة مسرح العالم: خدمة الفقراء. وكان هذا ممكنا للكنيسة لأنّها أدركت أنّ حياة تلاميذ يسوع كان عليها أن تتجسّد عبر أخوّةٍ وتضامنٍ يتطابقان مع التعليم الأساسيّ للمعلّم الذي أعلن أن الطوبى هي للفقراء وأنّهم سوف يرثون ملكوت السماوات (را. متى 5، 3). كانوا "يَبيعونَ أَملاكَهم وأَمْوالَهم، ويَتَقاسَمونَ الثَّمَنَ على قَدْرِ احتِياجِ كُلٍّ مِنْهُم" (رسل 2، 45). إن هذه العبارة تُظهِر بوضوح قلقَ المسيحيّين الأوائل الكبير. والإنجيليّ لوقا –الكاتب الإنجيلي الذي خصّص مكانًا للرحمة أكثر من أيّ كاتب آخر- لا يبالغ أبدًا حين يصف تقاسم الخيرات الذي كانت تمارسه الجماعة الأولى. بل على العكس، عندما يرويها، إنّما يعتزم مخاطبة المؤمنين في كلّ الأجيال، وبالتالي نحن أيضًا، كي يدعمنا في شهادتنا ويدفعنا إلى العمل من أجل المحتاجين. التعليم ذاته يعطيه، بالقناعة نفسها، الرسول يعقوب الذي يستخدم في رسالته عبارات قويّة وقاطعة: "إِسمَعوا، يا إِخوَتي الأَحِبَّاء: أَلَيسَ اللهُ اختارَ الفُقَراءَ في نَظَرِ النَّاس فجَعَلَهم أَغنِياءَ بِالإِيمان ووَرَثةً لِلمَلَكوتِ الَّذي وَعَدَ بِه مَن يُحِبُّونَه؟ وأَنتُم أَهَنتُمُ الفَقير! أَلَيسَ الأَغنِياءُ همُ الَّذينَ يَظلِمونَكم وَيسوقونَكم إِلى المَحاكِم؟ [...] ماذا يَنفعُ، يا إِخوَتي، أَن يَقولَ أَحَدٌ إِنَّه يُؤمِن، إِن لم يَعمَل؟ أَبِوُسْعِ الإِيمانِ أَن يُخَلِّصَه؟ فإِن كانَ فيكُم أَخٌ عُريانٌ أَو أُختٌ عُريانَةٌ يَنقُصُهما قُوتُ يَومِهِما، وقالَ لَهما أَحدُكم: «اِذْهَبا بِسَلام فاستَدفِئا واشبَعا» ولم تُعطوهما ما يَحتاجُ إِلَيه الجَسَد، ماذا يَنفَعُ قَولُكُم؟ وكَذلِكَ الإِيمان، فإِن لم يَقتَرِنْ بِالأَعمال كانَ مَيْتًا في حَدِّ ذاتِه" (2، 5- 6. 14- 17).

3. إنما قد كان هناك أوقات لم يسمع فيها المسيحيّون هذا النداء، وسمحوا للعقلية الدنيويّة أن تَعديَهم. لكن الرّوح القدس لم يتأخّر بدعوتهم إلى الإبقاء على نظرهم مركّزا على ما هو أساسيّ. وأقام في الواقع رجالًا ونساءً قدّموا حياتهم بطرق مختلفة في خدمة الفقراء. كم من صفحة في التاريخ، عبر الألفيّ سنة هذه، قد كُتِبَت من قِبَلِ مسيحيّين خدموا إخوتهم الفقراء بكلّ بساطة ووداعة، وبإبداع المحبّة السخيّ!

من بين كلّ الأمثلة يبرز مثل فرنسيس الأسّيزي، الذي اتّبعه الكثير من الرجال والنساء القدّيسين على مرّ القرون. فهو لم يكتفِ بمعانقة البرص والتصدّق إليهم بالمال، إنما قرّر الذهاب إلى غوبيو كي يقيم معهم. ويرى شخصيًّا أن هذا اللقاء قد كان نقطة تحوّل في توبته: "عندما كنت في خطاياي، كانت رؤية البرص تبدو لي مرّة للغاية، فقادني الربّ بنفسه إليهم وأظهرت لهم الرحمة. وعند ابتعادي عنهم، ما قد بدا لي مرًّا تحوّل إلى عذوبة في الروح والجسد" (نص 1- 3: مصادر فرنسيسكانية 110). إن هذه الشهادة تبّين القوّة التحويليّة للمحبّة ونمط حياة المسيحيّين.

إنّنا لا نفكّر بالفقراء كأشخاصٍ علينا أن نقوم تجاههم بأعمالٍ تطوّعية مرّة في الأسبوع، أو ببوادر حُسنَ نيّة مرتجلة كي نريح ضميرنا. يجب على هذه الاختبارات -وإن كانت صالحة ومفيدة للتوعية على حاجات الكثير من الإخوة والظلم الذي غالبًا ما نكون سببه- أن تدخلنا في لقاء حقيقيّ مع الفقراء وتفسح المجال لمشاركةٍ تصبح نمطًا للحياة. في الواقع، إن الصلاة، ومسيرة التلمذة، والتوبة، تتحقّق من صحّتها الإنجيلية عبر المحبّة التي تصير مشاركة. وينبع من طريقة العيش هذه الفرحُ والطمأنينةُ، لأنّنا نلمس بأيدينا جسد المسيح. وإن أردنا أن نلتقي حقّا بالمسيح، من الضروري أن نلمس جسده في جسد الفقراء الجريح، كجواب على الشركة السرّية التي ننالها في الافخارستيّا. جسد المسيح المكسور في الليتورجيا المقدّسة يدعنا نجده مجدّدًا عبر المحبّة التي نشارك بها أوجه إخوتنا وأخواتنا الضعفاء وشخصهم. فما زالت ترنّ حاليّة كلمات الأسقف القديس يوحنا فم الذهب: "إن أردتم تكريم جسد المسيح، لا تزدروا به حين يكون عاريًا؛ لا تكرّموا المسيح الافخارستيّ بأثواب من حرير، بينما، خارج الهيكل، تهملون ذاك المسيح الآخر الذي يعاني من البرد والعري" (عظة في إنجيل متى، 50، 3).

لذا فإنّنا مدعوّون إلى مدّ يدنا للفقراء، إلى ملاقاتهم، إلى النظر إليهم في أعينهم، ومعانقتهم، كي نجعلهم يشعرون بحرارة المحبّة التي تكسر حلقة الوحدة. فيدهم الممدودة نحونا هي أيضًا دعوة للخروج من ضماناتنا وراحتنا، ولنعترف بالقيمة التي يشكّلها الفقر بحدّ ذاته.

4. دعونا لا ننسى أن الفقر بالنسبة لتلاميذ يسوع هي قبل كلّ شيء دعوة لاتباع يسوع فقيرا. إنها مسيرة على خطاه ومعه، مسيرة تقود إلى تطويبات ملكوت السماوات (را. متى 5، 3؛ لو 6، 20). الفقر يعني قلبًا وديعًا يعرف كيف يقبل حالته كخليقة محدودة وخاطئة كي يتخطّى تجربة السلطة المطلقة التي توهم بالخلود. الفقر هو موقف القلب الذي يمنعه من التفكير بالمال، والمهنة، والترف كهدف للحياة وشرط للسعادة. بل هو الفقر الذي يخلق الفرص كي نتحمّل، وبحرّية، المسؤوليّات الشخصيّة والاجتماعيّة، بالرغم من محدوديّتنا، إذ نثق بقرب الله، ونعمته تساندنا. الفقر، بهذا المفهوم، هو المقياس الذي يسمح لنا أن نقيّم استخدامنا السليم للخيرات الماديّة، وأن نحيا أيضًا العلاقات والمشاعر بشكل غير أنانيّ وتملّكيّ (را. التعليم الديني للكنيسة الكاثوليكية، عدد 25- 45).

لذا فلنتبنّى مثال القديس فرنسيس، شاهد الفقر الحقيقي. فقد عرف هو، إذ أبقى عينيه مركّزتين على المسيح، كيف يتعرّف عليه ويخدمه في الفقراء. إن رغبنا بالتالي أن نقدّم مساهمتنا الفعّالة من أجل تغيير التاريخ، وأن نولّد التطور، من الضروري أن نصغي إلى صرخة الفقراء ونتعهّد بانتشالهم من أوضاعهم كمهمّشين. وأذكّر في الوقت عينه الفقراء الذين يعيشون في مدننا وفي جماعاتنا بألّا يفقدوا حسّ الفقر الإنجيليّ الذي يحملونه مطبوعًا في حياتهم.

5. إنّنا ندرك الصعوبة الكبيرة التي ظهرت في العالم المعاصر، صعوبة تحديد الفقر بشكل واضح. وبعد، فهي تستدعي اهتمامنا كلّ يوم في آلاف الوجوه المطبوعة بالألم، والتهميش، وسوء استخدام السلطة، والعنف، والتعذيب، والسجن، والحرب، والحرمان من الحرّية والكرامة، والجهل، والأمّية، والطوارئ الصحيّة، ونقص العمل، والاتّجار والعبوديّة، والنفي والبؤس، والهجرة القصريّة. للفقر أوجه: وجوه نساء، ورجال، وأطفال يُستَغلّون لمصالح حقيرة، ويدوسهم المنطق الملتوي للسلطة والمال. أيّة قائمة لا ترحم ولا تنتهي علينا أن نؤلّف إزاء فقرٍ هو ثمرة الظلم الاجتماعي، والبؤس الأخلاقي، وجشع الأقلّية، واللامبالاة الشاملة!

إن انتشار الفقر في قطاعات واسعة من المجتمع في جميع أنحاء العالم -فيما يظهر أكثر فأكثر الغنى الفاحش الذي يتراكم في أيدي قلّة متميّزة، وغالبًا ما يترافق بعدم الشرعيّة وباستغلال مؤذٍ لكرامة الإنسان- للأسف يشكّل فضيحة في أيّامنا هذه. لا يمكننا تبنّي وقفة خمول إزاء هذا السيناريو، ولا الاستقالة. فأمام الفقر الذي يحول دون روح المبادرة عند العديد من الشباب، ويمنعهم من أن يجدوا عملا؛ وأمام الفقر الذي يخدّر حسّ المسؤوليّة ويؤدّي إلى تفضيل التفويض والبحث عن المحسوبيّات؛ وأمام الفقر الذي يسمّم آبار المشاركة ويضيق مجال الاحتراف ملحقا هكذا الاهانة بمن يعمل وينتج؛ أمام كلّ هذا يجب الاجابة بنظرة جديدة للحياة وللمجتمع.

كلّ هؤلاء الفقراء –على حدّ تعبير الطوباوي بولس السادس- ينتمون إلى الكنيسة "بحكم الإنجيل" (خطاب بمناسبة افتتاح الجلسة الثانية للمجمع الفاتيكاني الثاني، 29 سبتمبر / أيلول 1963) ويلزمونا بالقيام بخيار أساسيّ لصالحهم. مباركة هي بالتالي الأيدي التي تنفتح لتستقبل الفقراء وتعينهم: إنها أيدي تحمل الرجاء. مباركة الأيدي التي تتخطّى كلّ حاجز يتعلّق بالثقافة، والدين والجنسيّة، فتسكب زيت العزاء على جراح البشريّة. مباركة الأيدي التي تنفتح دون أن تطلب شيئا بالمقابل، دون "إذا"، دون "لكن"، ودون "ربّما": إنّها أيادٍ تجعل بركةَ الله تنزل على الإخوة.

6. لقد أردت أن أقدّم للكنيسة في نهاية يوبيل الرحمة اليوم العالمي للفقير، كي تصبح الجماعات المسيحيّة، في جميع أنحاء العالم، أكثر فأكثر وبشكل أفضل علامة حسّية لمحبّة المسيح تجاه أصغر الناس وأكثرهم حاجة. أتمنّى أن يُضاف إلى الأيام العالميّة الأخرى التي أسّسها أسلافي والتي أصبحت الآن تقليدًا في حياة مجتمعاتنا، هذا اليوم العالمي الذي يحمل لمجموعتها عنصرَ اكتمال إنجيلي رائع، أي ميلَ يسوع للفقراء.

إني أدعو الكنيسة جمعاء، والرجال والنساء ذوي الإرادة الصالحة إلى أن يبقوا نظرهم ثابتا، في هذا اليوم، على الذين يمدّون أيديهم وهم يستغيثون ويطلبون تضامننا. إنّهم إخوتنا وأخواتنا، وقد خلقهم الآب السماوي الأوحد وأحبّهم. هذا اليوم العالميّ يهدف أوّلا إلى حثّ المؤمنين للردّ على ثقافة الهدر والتبديد، وتبنّي ثقافة اللقاء. والدعوة هي موجّهة، في الوقت نفسه، إلى الجميع، بغضّ النظر عن الدين، كي ينفتحوا على المشاركة مع الفقراء بأيّ شكل من أشكال التضامن، كعلامة ملموسة للأخوّة. فقد خلق الله السماء والأرض للجميع؛ والبشرُ للأسف هم الذين رسموا الحدود ورفعوا الجدران والأسوار، وغرّروا بالهبة الأصليّة الموجّهة للبشريّة دون أيّ استثناء.

7. أودّ أن تلتزم الجماعات المسيحيّة، خلال الأسبوع الذي يسبق اليوم العالمي للفقراء -والذي يقع هذا العام يوم 19 نوفمبر / تشرين الثاني، الأحد الثالث والثلاثين من الزمن العادي- بخلق أوقات تلاق وصداقة، أوقات تضامن ومساعدة ملموسة. يمكنهم من ثمّ أن يدعوا الفقراء والمتطوّعين إلى المشاركة معًا بالقدّاس الإلهيّ لهذا الأحد، فيكون بهذا الشكل الاحتفالُ بعيد ربّنا يسوع المسيح ملك العالم، الأحد التالي، أكثر أصالة. فملوكيّة المسيح في الواقع، تظهر بكلّ معناها على الجلجلة، عندما يجسّد البريءُ المُسَمَّر على الصليب، الفقير، العار والمحروم من كلّ شيء، ملءَ محبّة الله ويظهرها. إن تسليم ذاته بالكامل للآب، بينما يعبّر عن فقره التام، يجعل قوّة هذه المحبّة واضحة، المحبّة التي أقامته من الموت إلى حياة جديدة يوم عيد الفصح.

وفي هذا الأحد، إن كان هناك فقراء يعيشون في حيّنا ويبحثون عن حماية وعون، فلنقترب منهم: فسيكون وقتًا مناسبًا للقاء الإله الذي نبحث عنه. ووفقًا لتعليم الكتب المقدّسة (را. تك 18، 3- 5؛ عب 13، 2)، لنستقبلهم كضيوف متميّزين على مائدتنا؛ وقد يكونوا معلّمين يساعدوننا على عيش إيماننا بطريقة أكثر تناسقا. بثقتهم واستعدادهم لقبول المساعدة، يبيّنون لنا، بطريقة متّزنة وغالبًا ما تكون بفرح، كم هو حاسم أن نعيش الضروري وأن نسلّم ذواتنا لعناية الآب السماوي.

8. ولتكن الصلاة دومًا هي أساس المبادرات العديدة الملموسة التي يمكن القيام بها في هذا اليوم. ولا ننسى أن صلاة الأبانا هي صلاة الفقراء. طلب الخبز، في الواقع، يعبّر عن الاتّكال على الله من أجل الاحتياجات الأساسيّة لحياتنا. وما قد علّمنا يسوع بهذه الصلاة يلخّص ويعبّر عن صرخة مَن يعاني من هشاشة الوجود وعدم وجود ما هو ضروريّ. والتلاميذ الذين طلبوا من يسوع أن يعلّمهم الصلاة، أجابهم بكلمات الفقراء الذين يتوجّهون إلى الآب الوحيد الذي يدركون به أنهم بمثابة إخوة. إن صلاة الأبانا هي صلاة تُتلى في صيغة الجمع: الخبز الذي نطلبه هو "خبزنا"، وهذا يتضمّن المقاسمة، والمشاركة، والمسؤوليّة المشتركة. ونعترف كلّنا في هذه الصلاة بضرورة تخطّي كلّ نوع من أنواع الأنانيّة كي نتوصّل إلى فرح التقبّل المتبادل.

9. أطلب من زملائي الأساقفة، ومن الكهنة والشمامسة –الذين بحكم دعوتهم لديهم مهمّة دعم الفقراء-، ومن المكرّسين، والجمعيّات، والحركات وعالم التطوّع الواسع، أن يعملوا كي ينشأ عبر هذا اليوم العالمي للفقراء تقليد يكون مساهمة حسّية في تبشير العالم المعاصر.

لذا، فليصبح هذا اليوم العالمي الجديد نداءً قويًّا لضمائرنا كمؤمنين كي نقتنع أكثر فأكثر أن مشاركتنا الفقراء تسمح لنا بأن نفهم الإنجيل في حقيقته الأعمق. الفقراء ليسوا بمشكلة: إنهم منهل نستسقي منه كي نقبل جوهر الإنجيل ونحيا به.

من الفاتيكان، 13 يونيو / حزيران 2017

ذكرى القديس أنطونيوس البادواني

فرنسيس

[00907-AR.01] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua polacca

ORĘDZIE OJCA ŚWIĘTEGO

I Światowy Dzień Ubogich

XXXIII Niedziela Zwykła

19 listopada 2017

Nie miłujmy słowem, ale czynem

1. «Dzieci, nie miłujmy słowem i językiem, ale czynem i prawdą!» (1J 3, 18). Te słowa Apostoła Jana wyrażają nakaz, od którego żaden chrześcijanin nie może się uchylić. Powaga, z jaką umiłowany uczeń przekazuje aż do naszych czasów polecenie Jezusa, jest jeszcze bardziej podkreślona przez kontrast zachodzący pomiędzy pustymi słowami, które często znajdują się w naszych ustach, a konkretnymi faktami, z jakimi mamy się zmierzyć. Miłość nie pozwala sobie na wymówki: kto zamierza kochać tak, jak kochał Jezus, powinien postępować zgodnie z Jego przykładem, i to przede wszystkim wtedy, kiedy jest wezwany do okazania miłości ubogim. Sposób, w jaki kocha Syn Boży, jest dobrze znany i św. Jan jasno o tym pisze. Miłość Syna Bożego opiera się na dwóch kolumnach: Bóg pierwszy nas umiłował (por. 1J 4, 10.19), dając całego siebie, również swoje życie (por. 1J 3, 16).

Taka miłość nie może pozostać bez odpowiedzi. Mimo, iż została ona dana jednostronnie i nie domaga się niczego w zamian, miłość ta rozpala serca tak bardzo, że jeśli ktoś jej doświadczy, to czuje się wezwanym, aby ją odwzajemnić pomimo własnych ograniczeń i grzechów. Jest to możliwe tylko wtedy, gdy łaska Boga, Jego miłość miłosierna, jest przyjęta, na ile jest to tylko możliwe, w naszym sercu tak, że porusza ona naszą wolę oraz uczucia, kierując je w stronę zarówno Boga samego, jak i bliźniego. W ten sposób miłosierdzie, które wypływa z serca Trójcy Świętej, może dotrzeć i poruszyć nasze życie, wzniecając współczucie oraz angażując nas w dzieła miłosierdzia przeznaczone dla braci i sióstr, którzy znajdują się w potrzebie.

2. «Oto biedak zawołał, a Pan go usłyszał» (Ps 34[33], 7). Od zawsze Kościół rozumiał wagę tego wołania. Zaświadczają o tym już pierwsze strony Dziejów Apostolskich, gdy Piotr prosi o wybranie siedmiu mężów «pełnych Ducha i mądrości» (Dz 6, 3), aby zajęli się służbą ubogim. Z całą pewnością służba najbiedniejszym to jeden z pierwszych znaków, za pomocą którego wspólnota chrześcijańska pokazała się światu. Stało się tak dlatego, że wspólnota ta zrozumiała, iż życie uczniów Jezusa powinno wyrazić się poprzez braterstwo i solidarność w taki sposób, aby odpowiadały one głównemu nauczaniu Mistrza, który nazwał ubogich błogosławionymi i dziedzicami Królestwa Bożego (por. Mt 5, 3).

«Sprzedawali majątki i dobra i rozdzielali je każdemu według potrzeby» (Dz 2, 45). To zdanie pokazuje, czym żywo przejmowali się pierwsi chrześcijanie. Ewangelista Łukasz, który pośród wszystkich świętych autorów najwięcej miejsca poświęca miłosierdziu, nie posługuje się żadną retoryką, kiedy opisuje zwyczaj dzielenia się pierwszej wspólnoty. Przeciwnie, opowiadając o tym, stara się przekazać słuchaczom w następnych pokoleniach, a zatem również i nam, abyśmy wspierali się w tym świadectwie i organizowali nasze działania na rzecz najbardziej potrzebujących. Tę samą naukę i z tą samą siłą przekazał nam Apostoł Jakub, który w swoim Liście używa równie mocnych i zdecydowanych wyrażeń: «Posłuchajcie, bracia moi umiłowani! Czy Bóg nie wybrał ubogich tego świata na bogatych w wierze oraz na dziedziców królestwa przyobiecanego tym, którzy Go miłują? Wy zaś odmówiliście ubogiemu poszanowania. Czy to nie bogaci uciskają was bezwzględnie i nie oni ciągną was do sądów? […] Jaki z tego pożytek, bracia moi, skoro ktoś będzie utrzymywał, że wierzy, a nie będzie spełniał uczynków? Czy [sama] wiara zdoła go zbawić? Jeśli na przykład brat lub siostra nie mają odzienia lub brak im codziennego chleba, a ktoś z was powie im: „Idźcie w pokoju, ogrzejcie się i najedzcie do syta!” - a nie dacie im tego, czego koniecznie potrzebują dla ciała - to na co się to przyda? Tak też i wiara, jeśli nie byłaby połączona z uczynkami, martwa jest sama w sobie» (Jk 2, 5-6.14-17).

3. Zdarzały się jednak chwile, w których chrześcijanie nie słuchali uważnie tego wezwania, zarażając się mentalnością światową. Duch Święty nie zaprzestał ich wzywać do tego, by trzymali wzrok utkwiony w tym, co jest istotne. On to powoływał wielu mężczyzn i wiele kobiet, którzy w różny sposób ofiarowali swe życie na służbę ubogim. Ileż to kart historii w ciągu tych 2000 lat zostało zapisanych przez chrześcijan, którzy z prostotą oraz pokorą, a także z wielkoduszną wyobraźnią miłości, służyli najbiedniejszym braciom!

Wśród nich wybija się przykład Franciszka z Asyżu, który doczekał się licznych naśladowców wśród świętych mężczyzn i kobiet na przestrzeni wieków. On nie zadowolił się tylko przytuleniem i daniem jałmużny trędowatym, ale poszedł do Gubbio, aby zamieszkać razem z nimi. On sam widział w tym spotkaniu przełom dla swojego powołania: «gdy żyłem w grzechu, widok trędowatych wydawał mi się bardzo przykry, ale Pan sam zaprowadził mnie do nich, a ja zwróciłem się ku nim z miłością. To, co początkowo wydawało mi się przykre, zamieniło się w słodycz duszy i ciała» (Testament św. Franciszka z Asyżu). Świadectwo to ukazuje przemieniającą siłę miłości oraz styl życia chrześcijańskiego.

Nie powinniśmy myśleć o biednych jako o odbiorcach dobrych działań wolontariuszy, którzy czynią to raz na tydzień, czy też o doraźnych gestach dobrej woli z naszej strony, które mają na celu uspokojenie naszego sumienia. Takie doświadczenia, choć nieraz ważne i pożyteczne dla uwrażliwienia na potrzeby braci oraz dla ukazania niesprawiedliwości, które leżą u ich podstaw, powinny nas jednak prowadzić do prawdziwego spotkania z ubogimi, a także do dzielenia się, które powinno stać się stylem naszego życia. Modlitwa, postępowanie na drodze ucznia oraz nawrócenie znajdują w miłości wspólnej potwierdzenie swojej autentyczności ewangelicznej. Tam też właśnie rodzi się radość oraz pokój ducha, ponieważ dotyka się własną ręką Ciała Chrystusa. Jeśli chcemy naprawdę spotkać Chrystusa, to konieczne jest, abyśmy dotknęli się Jego Ciała w ranach ubogich, w odpowiedzi na Komunię sakramentalną otrzymaną w Eucharystii. Ciało Chrystusa łamane podczas Świętej Liturgii pozwala nam się odnaleźć przez miłość wspólną w obliczach oraz w osobach najbiedniejszych braci i sióstr. Zawsze aktualne są słowa św. Biskupa Chryzostoma: «Jeśli chcecie uczcić Ciało Chrystusa, to nie lekceważcie Go dlatego, że jest nagie. Nie czcijcie Chrystusa Eucharystycznego jedwabnymi ozdobami zapominając o innym Chrystusie, który za murami kościoła jest nagi i cierpi z zimna» (por. Homilia in Matthaeum, n. 50,3-4, PG 58).

Dlatego też jesteśmy wezwani do wyciągnięcia ręki do biednych, do spotkania się z nimi, popatrzenia im w oczy, przytulenia, aby poczuli ciepło miłości, która przełamuje krąg samotności. Ich ręka wyciągnięta w naszą stronę jest również zaproszeniem do wyjścia z naszych pewności i wygód, i do rozpoznania wartości, którą ubóstwo ma samo w sobie.

4. Nie zapominajmy, że dla uczniów Chrystusa ubóstwo jest przede wszystkim powołaniem do naśladowania Jezusa ubogiego. Jest podążaniem za Nim i z Nim, drogą, która prowadzi do szczęśliwości Królestwa niebieskiego (por. Mt 5, 3; Łk 6, 20). Ubóstwo oznacza serce pokorne, które potrafi zaakceptować siebie jako ograniczone i grzeszne stworzenie, aby pokonać pokusę własnej wszechmocy, która zwodzi nas fałszywą obietnicą nieśmiertelności. To właśnie ubóstwo stwarza warunki do nieskrępowanego przyjęcia odpowiedzialności osobistych oraz społecznych, pomimo własnych ograniczeń, zawierzając bliskości Boga i wsparciu Jego łaski. Tak rozumiane ubóstwo jest miarą, która pozwala ocenić poprawne wykorzystanie dóbr materialnych, a także umożliwia przeżywanie relacji i uczuć bez egoizmu oraz zaborczości (por. KKK 2445).

Życie św. Franciszka niech stanie się dla nas przykładem, świadectwem autentycznego ubóstwa. On to właśnie, ponieważ miał wzrok utkwiony w Chrystusie, potrafił rozpoznać Go w biednych. Jeśli wiec pragniemy ofiarować nasz udział w skutecznej przemianie historii, przyczyniając się do prawdziwego rozwoju, to konieczne jest, abyśmy wsłuchali się w wołanie ubogich i zajęli się podnoszeniem ich z marginesu. Przypominam jednocześnie ubogim, którzy żyją w naszych miastach i w naszych wspólnotach, aby nie stracili sensu ubóstwa ewangelicznego, którym naznaczone jest ich życie.

5. Znamy ogromne trudności współczesnego świata, które utrudniają zidentyfikowanie ubóstwa w jasny sposób. A jednak ono staje nam codziennie przed oczami, widoczne w obliczach tysięcy osób naznaczonych bólem, wykluczeniem, nadużyciem, przemocą, torturami i więzieniem, wojną, pozbawieniem wolności i godności, ignorancją i analfabetyzmem, brudem i chorobami, brakiem pracy, handlem ludźmi i niewolnictwem, wygnaniem i biedą, przymusowymi przesiedleniami. Ubóstwo ma oblicze kobiet, mężczyzn oraz dzieci wykorzystywanych do podłych interesów, podeptanych przez przewrotną logikę władzy i pieniądza. Jakąż to bezlitosną listę, a przecież nigdy niekompletną, form ubóstwa jesteśmy tu zmuszeni przedstawić, będących owocem niesprawiedliwości społecznej, biedy moralnej oraz chciwości nielicznych, a także ogólnej obojętności!

Niestety, w naszych czasach, podczas gdy ukazuje się coraz bardziej ewidentne bezczelne bogactwo zgromadzone w rękach nielicznych uprzywilejowanych, któremu często towarzyszy bezprawie i agresywne wykorzystywanie godności ludzkiej, skandalem staje się rozprzestrzenianie się biedy na wielkie połacie społeczne na całym świecie. Wobec tego scenariusza nie można pozostać obojętnym albo, co gorsza, zrezygnowanym. Biedzie, która hamuje ducha inicjatywy tak wielu młodych ludzi, nie pozwalając im na znalezienie pracy; biedzie, która znieczula zmysł odpowiedzialności, doprowadzając do delegowania i szukania faworytyzmów; biedzie, która zatruwa źródła uczestnictwa i ogranicza przestrzenie profesjonalizmu, upokarzając w ten sposób zasługi tych, którzy pracują i produkują; wszystkim tym sytuacjom należy odpowiedzieć nową wizją życia i społeczeństwa.

Wszyscy ci biedni – jak zwykł mawiać Błogosławiony Paweł VI – należą do Kościoła poprzez «prawo ewangeliczne» (Przemówienie z okazji otwarcia II Sesji Soboru Watykańskiego II, 29 września 1963) i zobowiązują do opcji fundamentalnej na ich rzecz. Błogosławione zatem ręce, które otwierają się, by przyjąć biednych i pomóc im: to są ręce, które dają nadzieję. Błogosławione ręce, które pokonują bariery kultury, religii i narodu, wylewając oliwę pocieszenia na rany ludzkości. Błogosławione ręce, które się otwierają, nie prosząc nic w zamian, bez „jeśli”, bez „ale” i bez „być może”: to są ręce, które sprawiają, że na braci spływa Boże błogosławieństwo.

6. Na zakończenie Jubileuszu Miłosierdzia chciałem ofiarować Kościołowi Światowy Dzień Ubogich, aby wspólnoty chrześcijańskie na całym świecie stawały się coraz wyraźniejszym i konkretnym znakiem miłości Chrystusa do tych ostatnich i najbardziej potrzebujących. Pragnę, aby do całości obchodów innych Dni ustanowionych przez moich Poprzedników, które są już tradycją w życiu naszych wspólnot, był dołączony ten Dzień, jako znakomicie dopełniający je element ewangelicznego upodobania Jezusa w ubogich.

Zapraszam cały Kościół, mężczyzn i kobiety dobrej woli, do spojrzenia w tym szczególnym dniu na tych wszystkich, którzy wyciągają ręce wołając o pomoc i przyzywając naszej solidarności. To są nasi bracia i nasze siostry, stworzeni i kochani przez tego samego Ojca Niebieskiego. Dzień ten powinien zwrócić uwagę wierzących, aby przeciwstawili się kulturze odrzucenia i marnotrawstwa, a uczynili kulturę spotkania swoim stylem życia. Jednocześnie chciałbym również poprosić wszystkich, niezależnie od przynależności religijnej, o otwarcie się na wspólnotę z biednymi i na każdą formę solidarności z nimi jako konkretny znak braterstwa. Bóg stworzył niebo i ziemię dla wszystkich, niestety ludzie wznieśli granice, mury i ogrodzenia, zdradzając pierwotny zamysł i dar przeznaczony dla ludzkości, z której nikt nie miał być wykluczony.

7. Pragnę, aby wspólnoty chrześcijańskie, w tygodniu poprzedzającym Światowy Dzień Ubogich, który w tym roku przypada na 19 listopada (XXXIII Niedziela Zwykła w ciągu roku), zaangażowali się w przygotowanie wielu momentów przyjacielskich spotkań, naznaczonych solidarnością i konkretną pomocą. Będzie można zaprosić ubogich oraz wolontariuszy do wspólnego uczestnictwa w Eucharystii podczas tejże niedzieli, tak aby jeszcze bardziej autentyczną stała się celebracja Uroczystości Jezusa Chrystusa, Króla Wszechświata, która przypadnie w kolejną niedzielę. Królowanie Chrystusa ukazuje się w pełni na Golgocie, kiedy to Niewinny jest przybity do krzyża, ubogi, nagi, pozbawiony wszystkiego, wciela i objawia pełnię miłości Boga. Jego totalne powierzenie się Ojcu, podczas gdy wyraża swoje zupełne ubóstwo, podkreśla moc tej Miłości, która go wskrzesi do nowego życia w dniu Paschy.

W tę właśnie niedzielę poświęconą ubogim, jeśli w naszej okolicy żyją biedni, którzy potrzebują pomocy i opieki, zbliżmy się do nich: niech to będzie odpowiednia chwila na spotkanie Boga, którego szukamy. Jak uczy nas Pismo Święte (por. Rdz 18, 3-5; Hbr 13, 2), przyjmijmy ich jako uprzywilejowanych gości przy naszym stole, aby mogli się stać mistrzami, którzy pomogą nam żyć spójnie wiarą. Niech nam pokażą w sposób rzeczowy, a często i radosny, poprzez ich zaufanie i gotowość przyjęcia pomocy, jak bardzo decydujące znaczenie ma życie tym, co istotne oraz umiejętność zdania się na Opatrzność Bożą.

8. U podstaw wielu konkretnych inicjatyw, które będą realizowane w tymże Dniu, niech będzie zawsze modlitwa. Nie zapominajmy, że Ojcze nasz jest modlitwą ubogich. Prośba o chleb wyraża bowiem powierzenie Bogu podstawowych potrzeb naszego życia. To, czego Jezus uczył nas w tej modlitwie, wyraża i zawiera w sobie wołanie tego, kto cierpi z powodu niepewności egzystencji oraz braku tego, co konieczne. Uczniom, którzy prosili Go o to, by nauczył ich modlić się, odpowiedział słowami ubogich, którzy zwracają się do Jedynego Ojca, w którym wszyscy się rozpoznają jako bracia. Ojcze nasz jest modlitwą, która wyraża się w liczbie mnogiej: chleb, o który prosimy, jest „nasz”, a to pociąga za sobą umiejętność dzielenia się, udziału i wspólnej odpowiedzialności. W tejże modlitwie wszyscy rozpoznajemy potrzebę przezwyciężenia każdej formy egoizmu, aby dostąpić radości wzajemnego przyjęcia.

9. Proszę moich Współbraci Biskupów, Kapłanów oraz Diakonów – którzy z powołania mają misję wspierania ubogich – proszę osoby konsekrowane, grupy, stowarzyszenia i ruchy, oraz całą rzeczywistość wolontariatu, aby zaangażowali się w ten Światowy Dzień Ubogich tak, by stał się on tradycją oraz konkretnym wkładem na rzecz ewangelizacji współczesnego świata.

Ten nowy, Światowy Dzień, niech się stanie silnym wezwaniem dla naszego wierzącego sumienia, abyśmy byli coraz bardziej przekonani do tego, że dzielenie się z biednymi pozwala nam zrozumieć Ewangelię w najgłębszej jej prawdzie. Biedni nie są problemem, ale zasobem, z którego możemy zaczerpnąć, aby przyjąć i żyć istotą Ewangelii.

Z Watykanu, 13 czerwca 2017 r., we wspomnienie św. Antoniego z Padwy

FRANCISZEK

[00907-PL.01] [Testo originale: Italiano]

[B0406-XX.02]