Sala Stampa

www.vatican.va

Sala Stampa Back Top Print Pdf
Sala Stampa


Viaggio Apostolico del Santo Padre Francesco in Egitto (28-29 aprile 2017) – Visita di cortesia a Sua Santità Papa Tawadros II, 28.04.2017


Visita di cortesia a Sua Santità Papa Tawadros II

Discorso del Santo Padre

Traduzione in lingua francese

Traduzione in lingua inglese

Traduzione in lingua tedesca

Traduzione in lingua spagnola

Traduzione in lingua portoghese

Traduzione in lingua polacca

Traduzione in lingua araba

Alle ore 18.20 di questo pomeriggio, il Santo Padre Francesco si è recato in visita di cortesia a Sua Santità Papa Tawadros II.

Al Suo arrivo al Patriarcato Copto-Ortodosso del Cairo, il Papa è stato accolto da Sua Santità Papa Tawadros II. Dopo la presentazione delle rispettive Delegazioni, il Santo Padre Francesco è stato accompagnato da Papa Tawadros II nel suo ufficio dove ha avuto luogo l’incontro privato.

Al termine si sono trasferiti nella Sala attigua dove si trovavano riunite le Delegazioni.

Quindi, dopo il discorso di Sua Santità Papa Tawadros II, il Santo Padre Francesco ha pronunciato un discorso.

Subito dopo, il Santo Padre Francesco e Sua Santità Papa Tawadros II hanno firmato una Dichiarazione comune. Quindi ha avuto luogo lo scambio dei doni e la consegna di un dono alle Delegazioni. Il Santo Padre Francesco e Sua Santità Papa Tawadros II si sono poi recati a piedi, in processione, alla vicina Chiesa di San Pietro “Al-Boutrosiyya” per un momento di preghiera ecumenica alla presenza di Leader di altre confessioni cristiane.

In Chiesa, dopo le letture e le preghiere di Papa Francesco e di Papa Tawadros II, ha avuto luogo lo scambio del segno della pace e la recita del “Padre Nostro”. Quindi è stata deposta una corona di fiori ed è stato acceso un cero.

All’uscita della Chiesa, nell’atrio, Papa Francesco ha reso omaggio al luogo che ricorda le vittime dell’attentato dell’11 dicembre 2016 che provocò numerosi morti e feriti tra i fedeli lì riuniti.

Quindi, il Santo Padre si è trasferito in auto alla Nunziatura Apostolica. Al Suo arrivo è accolto da un gruppo di bambini della Scuola Comboniana del Cairo. Dopo la cena in privato, benedice un gruppo di circa 300 giovani in pellegrinaggio dal nord e dal sud del Paese, che si trovano riuniti nel piazzale d’ingresso della Nunziatura Apostolica.

Pubblichiamo di seguito il discorso del Santo Padre Francesco, l’invocazione spontanea pronunciata nell'incontro di preghiera ecumenico nel Patriarcato e i saluti rivolti ai giovani egiziani fuori la Nunziatura Apostolica:

Discorso del Santo Padre

Il Signore è risorto, è veramente risorto! [Al Massih kam, bilhakika kam!]

Santità, carissimo Fratello,

è da poco trascorsa la grande Solennità di Pasqua, centro della vita cristiana, che quest’anno abbiamo avuto la grazia di celebrare nello stesso giorno. Abbiamo così proclamato all’unisono l’annuncio della Risurrezione, rivivendo, in un certo senso, l’esperienza dei primi discepoli, che in quel giorno insieme «gioirono al vedere il Signore» (Gv 20,20). Questa gioia pasquale è oggi impreziosita dal dono di adorare insieme il Risorto nella preghiera e di scambiarci nuovamente, nel suo nome, il bacio santo e l’abbraccio di pace. Sono tanto grato di questo: giungendo qui come pellegrino, ero certo di ricevere la benedizione di un Fratello che mi aspettava. Grande era l’attesa di ritrovarci: mantengo infatti ben vivo il ricordo della visita di Vostra Santità a Roma, poco dopo la mia elezione, il 10 maggio 2013, una data che è felicemente diventata l’occasione per celebrare ogni anno la Giornata di amicizia copto-cattolica.

Nella gioia di proseguire fraternamente il nostro cammino ecumenico, desidero ricordare anzitutto quella pietra miliare nelle relazioni tra la sede di Pietro e quella di Marco che è la Dichiarazione Comune firmata dai nostri Predecessori più di quarant’anni prima, il 10 maggio 1973. In quel giorno, dopo «secoli di storia difficili», nei quali «si sono manifestate differenze teologiche, alimentate e accentuate da fattori di carattere non teologico» e da una sempre più generalizzata sfiducia nei rapporti, con l’aiuto di Dio si è arrivati a riconoscere insieme che Cristo è «Dio perfetto riguardo alla Sua Divinità e perfetto uomo riguardo alla Sua umanità» (Dichiarazione Comune firmata dal Santo Padre Paolo VI e da Sua Santità Amba Shenouda III, 10 maggio 1973). Ma non meno importanti e attuali sono le parole immediatamente precedenti, con le quali abbiamo riconosciuto «il nostro Signore e Dio e Salvatore e Re di tutti noi, Gesù Cristo». Con queste espressioni la sede di Marco e quella di Pietro hanno proclamato la signoria di Gesù: insieme abbiamo confessato che a Gesù apparteniamo e che Egli è il nostro tutto.

Di più, abbiamo compreso che, essendo suoi, non possiamo più pensare di andare avanti ciascuno per la sua strada, perché tradiremmo la sua volontà: che i suoi siano «tutti […] una sola cosa […] perché il mondo creda» (Gv 17,21). Al cospetto del Signore, che ci desidera «perfetti nell’unità» (v. 23) non ci è più possibile nasconderci dietro i pretesti di divergenze interpretative e nemmeno dietro secoli di storia e di tradizioni che ci hanno reso estranei. Come qui disse Sua Santità Giovanni Paolo II: «Non c’è tempo da perdere al riguardo! La nostra comunione nell’unico Signore Gesù Cristo, nell’unico Spirito Santo e nell’unico Battesimo rappresenta già una realtà profonda e fondamentale» (Discorso durante l’incontro ecumenico, 25 febbraio 2000). Vi è, in questo senso, non solo un ecumenismo fatto di gesti, parole e impegno, ma una comunione già effettiva, che cresce ogni giorno nel rapporto vivo con il Signore Gesù, si radica nella fede professata e si fonda realmente sul nostro Battesimo, sull’essere “nuove creature” (cfr 2 Cor 5,17) in Lui: insomma, «un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo» (Ef 4,5). Da qui ripartiamo sempre, per affrettare il giorno tanto desiderato in cui saremo in piena e visibile comunione all’altare del Signore.

In questo appassionante cammino che – come la vita – non è sempre facile e lineare, ma nel quale il Signore ci esorta ad andare avanti, non siamo soli. Ci accompagna un’enorme schiera di Santi e di Martiri che, già pienamente uniti, ci spinge a essere quaggiù un’immagine vivente della «Gerusalemme di lassù» (Gal 4,26). Tra costoro, certamente oggi si rallegrano in modo particolare del nostro incontro i Santi Pietro e Marco. È grande il legame che li unisce. Basti pensare al fatto che san Marco collocò al cuore del suo Vangelo la professione di fede di Pietro: «Tu sei il Cristo». Fu la risposta alla domanda, sempre attuale, di Gesù: «Ma voi, chi dite che io sia?» (Mc 8,29). Anche oggi tanta gente non sa dare risposta a questo interrogativo; manca persino chi lo susciti e soprattutto chi offra in risposta la gioia di conoscere Gesù, quella stessa gioia con cui abbiamo la grazia di confessarlo insieme.

Insieme siamo dunque chiamati a testimoniarlo, a portare al mondo la nostra fede, prima di tutto nel modo che alla fede è proprio: vivendola, perché la presenza di Gesù si trasmette con la vita e parla il linguaggio dell’amore gratuito e concreto. Copti ortodossi e Cattolici, possiamo sempre più parlare insieme questa lingua comune della carità: prima di intraprendere una iniziativa di bene, sarebbe bello chiederci se possiamo farla con i nostri fratelli e sorelle che condividono la fede in Gesù. Così, edificando la comunione nella concretezza quotidiana della testimonianza vissuta, lo Spirito non mancherà di aprire vie provvidenziali e impensate di unità.

È con questo costruttivo spirito apostolico che Vostra Santità continua a riservare un’attenzione genuina e fraterna nei confronti della Chiesa copta cattolica: una vicinanza di cui sono tanto grato e che ha trovato lodevole espressione nel Consiglio Nazionale delle Chiese Cristiane, al quale ha dato vita perché i credenti in Gesù possano operare sempre più insieme, a beneficio dell’intera società egiziana. Ho tanto apprezzato anche la generosa ospitalità offerta al 13° incontro della Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa Cattolica e le Chiese Ortodosse Orientali, che qui ha avuto luogo lo scorso anno su vostro invito. È un bel segno che l’incontro seguente si sia svolto quest’anno a Roma, quasi a dire una particolare continuità tra le sedi di Marco e di Pietro. Nelle Sacre Scritture, Pietro sembra in qualche modo ricambiare l’affetto di Marco chiamandolo «figlio mio» (1 Pt 5,13). Ma i legami fraterni dell’Evangelista e la sua attività apostolica riguardano anche san Paolo che, prima di morire martire a Roma, parla della provvida utilità di Marco nel ministero (cfr 2 Tm 4,11) e lo cita più volte (cfr Fm 24;Col 4,10). Carità fraterna e comunione di missione: questi i messaggi che la Parola divina e le nostre origini ci consegnano. Sono i semi evangelici che abbiamo la gioia di continuare a irrigare e, con l’aiuto di Dio, far crescere insieme (cfr 1 Cor 3,6-7).

La maturazione del nostro cammino ecumenico è sostenuta, in modo misterioso e quanto mai attuale, anche da un vero e proprio ecumenismo del sangue. San Giovanni scrive che Gesù è venuto «con acqua e sangue» (1 Gv 5,6); chi crede in Lui, così «vince il mondo» (1 Gv 5,5). Con acqua e sangue: vivendo una vita nuova nel nostro comune Battesimo, una vita di amore sempre e per tutti, anche a costo del sacrificio del sangue. Quanti martiri in questa terra, fin dai primi secoli del Cristianesimo, hanno vissuto la fede eroicamente e fino in fondo, versando il sangue piuttosto che rinnegare il Signore e cedere alle lusinghe del male o anche solo alla tentazione di rispondere con il male al male. Ben lo testimonia il venerabile Martirologio della Chiesa Copta. Ancora recentemente, purtroppo, il sangue innocente di fedeli inermi è stato crudelmente versato. Carissimo Fratello, come unica è la Gerusalemme celeste, unico è il nostro martirologio, e le vostre sofferenze sono anche le nostre sofferenze, il loro sangue innocente ci unisce. Rinforzati dalla vostra testimonianza, adoperiamoci per opporci alla violenza predicando e seminando il bene, facendo crescere la concordia e mantenendo l’unità, pregando perché tanti sacrifici aprano la via a un avvenire di comunione piena tra noi e di pace per tutti.

La meravigliosa storia di santità di questa terra non è particolare solo per il sacrificio dei martiri. Appena terminate le antiche persecuzioni, sorse una forma nuova di vita che, donata al Signore, nulla tratteneva per sé: nel deserto iniziò il monachesimo. Così, ai grandi segni che in passato Dio aveva operato in Egitto e nel Mar Rosso (cfr Sal 106,21-22), seguì il prodigio di una vita nuova, che fece fiorire di santità il deserto. Con venerazione per questo patrimonio comune sono venuto pellegrino in questa terra, dove il Signore stesso ama recarsi: qui, glorioso scese sul monte Sinai (cfr Es 24,16); qui, umile trovò rifugio da bambino (cfr Mt 2,14).

Santità, carissimo Fratello, lo stesso Signore ci conceda di ripartire oggi, insieme, pellegrini di comunione e annunciatori di pace. In questo cammino ci prenda per mano Colei che qui ha accompagnato Gesù e che la grande tradizione teologica egiziana ha acclamato fin dall’antichità Theotokos, Genitrice di Dio. In questo titolo si uniscono mirabilmente l’umanità e la divinità, perché nella Madre Dio si è fatto per sempre uomo. La Vergine Santa, che sempre ci conduce a Gesù, sinfonia perfetta del divino con l’umano, porti ancora un po’ di Cielo sulla nostra terra.

[00620-IT.01] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua francese

Le Seigneur est ressuscité, il est vraiment ressuscité! [Al Massih kam, bihakika kam!]

Sainteté, très cher Frère,

C’est depuis peu qu’a eu lieu la grande Solennité de Pâques, centre de la vie chrétienne, que nous avons eu la grâce de célébrer cette année le même jour. Nous avons ainsi proclamé à l’unisson l’annonce de la Résurrection, en revivant, en un certain sens, l’expérience des premiers disciples, qui ce jour-là, ensemble, «furent remplis de joie en voyant le Seigneur» (Jn 20, 20). Cette joie pascale est aujourd’hui enrichie par le don d’adorer ensemble le Ressuscité dans la prière et d’échanger de nouveau, en son nom, le saint baiser et l’accolade de la paix. J’en suis très reconnaissant: en arrivant ici comme pèlerin, j’étais certain de recevoir la bénédiction d’un Frère qui m’attendait. Grande était l’attente de nous retrouver: en effet, je garde bien vivant le souvenir de la visite de Votre Sainteté à Rome, peu après mon élection, le 10 mai 2013, une date qui est heureusement devenue l’occasion de célébrer chaque année la Journée d’amitié copte-catholique.

Dans la joie de poursuivre fraternellement notre route œcuménique, je voudrais rappeler avant tout ce jalon dans les relations entre le siège de Pierre et celui de Marc qu’est la Déclaration commune signée par nos prédécesseurs il y a plus de quarante ans, le 10 mai 1973. Ce jour-là, après des « siècles d’histoire difficiles», au cours desquels «ont surgi des divergences théologiques qui ont été entretenues et aggravées par des facteurs de caractère non théologique » et par une méfiance toujours plus généralisée dans les relations, grâce à Dieu on est arrivé à reconnaître ensemble que le Christ est «Dieu parfait pour ce qui est de sa divinité, et homme parfait pour ce qui est de son humanité» (Déclaration commune signée par le Saint-Père Paul VI et par Sa Sainteté Amba Shenouda III, 10 mai 1973). Mais non moins importants et non moins actuels sont les mots qui précèdent immédiatement, par lesquels nous avons reconnu «notre Seigneur et Dieu et Sauveur et Roi de nous tous, Jésus Christ». Par ces expressions, le siège de Marc et celui de Pierre ont proclamé la seigneurie de Jésus: ensemble, nous avons confessé que nous appartenons à Jésus et qu’il est notre tout.

De plus, nous avons compris qu’étant siens, nous ne pouvons plus penser aller chacun son chemin, car nous trahirions sa volonté: que les siens soient «tous […] un […] pour que le monde croie» (Jn 17, 21). Devant le Seigneur, qui nous veut «parfaitement un» (v. 23), il ne nous est plus possible de nous cacher derrière les prétextes des divergences d’interprétation ni non plus derrière des siècles d’histoire et de traditions qui nous ont rendus étrangers. Comme l’a dit ici Sa Sainteté Jean-Paul II: «Il n'y a pas de temps à perdre à ce sujet. Notre communion dans l'unique Seigneur Jésus Christ, dans l'unique Esprit Saint et dans l'unique Baptême constitue déjà une réalité profonde et fondamentale» (Discours lors de la rencontre œcuménique, 25 février 2000). Il y a, en ce sens, non seulement un œcuménisme fait de gestes, de paroles et d’engagement, mais une communion déjà effective, qui grandit chaque jour dans la relation vivante avec le Seigneur Jésus, qui s’enracine dans la foi professée et se fonde réellement sur notre baptême, sur le fait d’être des ‘‘créatures nouvelles’’ (cf. 2 Co 5, 17) en lui: en somme, «un seul Seigneur, une seule foi, un seul baptême» (Ep 4, 5). D’ici, nous repartons toujours, pour préparer le jour si désiré où nous serons en pleine et visible communion à l’autel du Seigneur.

Sur ce chemin passionnant qui, - comme la vie- n’est pas toujours facile et linéaire, mais sur lequel le Seigneur nous exhorte à aller de l’avant, nous ne sommes pas seuls. Nous accompagne une foule immense de saints et de martyrs, qui déjà pleinement unis, nous poussent à être ici-bas une image vivante de la «Jérusalem céleste» (Ga 4, 26). Parmi eux, se réjouissent certainement aujourd’hui de notre rencontre, à titre particulier, les saints Pierre et Marc. Le lien qui les unit est grand. Qu’il suffise de penser au fait que saint Marc a placé au cœur de son Évangile la profession de foi de Pierre: «Tu es le Christ». Ce fut la réponse à la question, toujours actuelle, de Jésus: «Mais vous, qui dites-vous que je suis?» (Mc 8, 29). Aujourd’hui également beaucoup de gens ne savent pas répondre à cette interrogation; il manque même quelqu’un pour la susciter et surtout pour offrir en réponse la joie de connaître Jésus, cette même joie avec laquelle nous avons la grâce de le confesser ensemble.

Ensemble, nous sommes donc appelés à témoigner de lui, à porter au monde notre foi, avant tout de la manière propre à la foi: en la vivant, car la présence de Jésus se transmet avec la vie et parle le langage de l’amour gratuit et concret. Coptes orthodoxes et Catholiques, nous pouvons toujours plus parler ensemble cette langue commune de la charité: avant d’entreprendre une initiative pour le bien, il serait beau de nous demander si nous pouvons la faire avec nos frères et sœurs qui partagent la foi en Jésus. Ainsi, en édifiant la communion dans le concret quotidien du témoignage vécu, l’Esprit ne manquera pas d’ouvrir des voies providentielles et imprévues d’unité.

C’est avec cet esprit apostolique constructif que Votre Sainteté continue de réserver une attention authentique et fraternelle à l’Église copte catholique: une proximité dont je suis très reconnaissant et qui a trouvé une admirable expression dans le Conseil National des Églises Chrétiennes, auquel elle a donné naissance pour que ceux qui croient en Jésus puissent œuvrer toujours davantage ensemble, au bénéfice de la société égyptienne tout entière. J’ai beaucoup apprécié également la généreuse hospitalité offerte à la 13ème rencontre de la Commission mixte internationale pour le dialogue théologique entre l’Église catholique et les Églises orthodoxes orientales, qui s’est tenue ici l’année dernière à votre invitation. C’est un beau signe que la rencontre suivante se soit déroulée cette année à Rome, presque pour exprimer une continuité particulière entre les sièges de Marc et de Pierre.

Dans les Saintes Écritures, Pierre semble de quelque manière répondre à l’affection de Marc en l’appelant «mon fils» ( 1P 5, 13). Mais les liens fraternels de l’Évangéliste et son activité apostolique concernent aussi saint Paul qui, avant de mourir martyr à Rome, parle de l’utilité prévenante de Marc dans son ministère (cf. 2 Tm 4, 11) et le cite plus d’une fois (cf. Phm 24; Col 4, 10). Charité fraternelle et communion de mission: voici les messages que la Parole divine et nos origines nous livrent. Ce sont les semences évangéliques que nous avons la joie de continuer à irriguer et, par la grâce de Dieu, à faire croître ensemble (cf. 1 Co 3, 6-7).

La maturation de notre chemin œcuménique est soutenue, de manière mystérieuse et plus que jamais actuelle, également par un vrai et authentique œcuménisme du sang. Saint Jean écrit que Jésus est venu «par l’eau et par le sang» (1 Jn 5, 6); qui croit en lui, ainsi «est vainqueur du monde» (1 Jn 5, 5). Par l’eau et le sang: en vivant une vie nouvelle dans notre Baptême commun, une vie d’amour toujours et pour tous, y compris au prix du sacrifice du sang. Que de martyrs dans ce pays, depuis les premiers siècles du christianisme, ont vécu la foi héroïquement et jusqu’au fond, en versant leur sang plutôt que de renier le Seigneur et de céder aux illusions du mal ou seulement à la tentation de répondre au mal par le mal. Le vénérable Martyrologue de l’Église copte en témoigne bien. Encore récemment, malheureusement, le sang innocent de fidèles sans défense a été cruellement versé: leur sang innocent nous unit. Très cher Frère, tout comme la Jérusalem céleste est unique, unique est notre martyrologe, et vos souffrances sont aussi nos souffrances. Fortifiés par votre témoignage, œuvrons pour nous opposer à la violence en prêchant et en semant le bien, en faisant grandir la concorde et en maintenant l’unité, en priant afin que tant de sacrifices ouvrent la voie à un avenir de pleine communion entre nous et de paix pour tous.

La merveilleuse histoire de sainteté de cette terre n’est pas particulière uniquement à cause du sacrifice des martyrs. À peine terminées les persécutions antiques, a émergé une forme nouvelle de vie qui, donnée au Seigneur, ne retenait rien pour elle: dans le désert a commencé le monachisme. Ainsi, aux grands signes que Dieu, par le passé, avait accomplis en Égypte et dans la Mer rouge (cf. Ps 106, 21-22), a fait suite le prodige d’une vie nouvelle, qui a fait fleurir de sainteté le désert. Avec vénération pour ce patrimoine commun, je suis venu en pèlerin sur cette terre, où le Seigneur lui-même aime se rendre: ici, glorieux, il est descendu sur le mont Sinaï (cf. Ex 24, 16); ici, humble, il a trouvé refuge en tant qu’enfant (cf. Mt 2, 14).

Sainteté, très cher Frère, que le même Seigneur nous accorde de repartir aujourd’hui, ensemble, en pèlerins de communion et en messagers de paix. Sur ce chemin, que nous prenne par la main Celle qui a accompagné ici Jésus et que la grande tradition théologique égyptienne a déclarée depuis l’antiquité Theotokos, Mère de Dieu. À ce titre, s’unissent admirablement l’humanité et la divinité, car dans la Mère, Dieu s’est fait pour toujours homme. Que la Vierge Sainte, qui nous conduit toujours à Jésus, symphonie parfaite du divin avec l’humain, apporte encore un peu du Ciel sur notre terre!

[00620-FR.01] [Texte original: Italien]

Traduzione in lingua inglese

The Lord is risen, he is truly risen! [Al Massih kam, bilhakika kam!]

Your Holiness, Dear Brother,

Only a short time has passed since the great Solemnity of Easter, the heart of the Christian life, which we were blessed this year to celebrate on the same day. We thus joined in proclaiming the Easter message and, in a sense, relived the experience of the first disciples who together “rejoiced when they saw the Lord” that day (Jn 20:20). This paschal joy is today made all the more precious by the gift of our joining to worship the Risen One in prayer and by our renewed exchange, in his name, of the holy kiss and embrace of peace. For this, I am deeply grateful: in coming here as a pilgrim, I was sure of receiving the blessing of a brother who awaited me. I have eagerly looked forward to this new meeting, for I vividly recall the visit Your Holiness made to Rome shortly after my election, on 10 May 2013. That date has happily become the occasion for celebrating an annual Day of Friendship between Copts and Catholics.

As we joyfully progress on our ecumenical journey, I wish particularly to recall that milestone in relations between the See of Peter and Mark which is the Common Declaration signed by our predecessors more than forty years ago, on 10 May 1973. After “centuries of difficult history” marked by increasing “theological differences, nourished and widened by non-theological factors”, and growing mistrust, we were able that day, with God’s help, to acknowledge together that Christ is “perfect God with respect to his divinity and perfect man with respect to his humanity” (Common Declaration of Pope Paul VI and Pope Shenouda III, 10 May 1973). Yet equally important and timely are the words that immediately precede this statement, in which we acknowledge Jesus Christ as “our Lord and God and Saviour and King”. With these words, the See of Mark and the See of Peter proclaimed the lordship of Jesus: together we confessed that we belong to Jesus and that he is our all.

What is more, we realized that, because we belong to him, we can no longer think that each can go his own way, for that would betray his will that his disciples “all be one… so that the world may believe” (Jn 17:21). In the sight of God, who wishes us to be “perfectly one” (v. 23), it is no longer possible to take refuge behind the pretext of differing interpretations, much less of those centuries of history and traditions that estranged us one from the other. In the words of His Holiness John Paul II, “there is no time to lose in this regard! Our communion in the one Lord Jesus Christ, in the one Holy Spirit and in one baptism already represents a deep and fundamental reality” (Address at the Ecumenical Meeting, 25 February 2000). Consequently, not only is there an ecumenism of gestures, words and commitment, but an already effective communion that grows daily in living relation with the Lord Jesus, is rooted in the faith we profess and is truly grounded on our baptism and our being made a “new creation” (cf. 2 Cor 5:17) in him. In a word, there is “one Lord, one faith, one baptism” (Eph 4:5). Hence, we constantly set out anew, in order to hasten that eagerly awaited day when we will be in full and visible communion around the altar of the Lord.

In this exciting journey, which – like life itself – is not always easy and straightforward, but on which the Lord exhorts us to persevere, we are not alone. We are accompanied by a great host of saints and martyrs who, already fully one, impel us here below to be a living image of the “Jerusalem above” (Gal 4:26). Among them, surely Peter and Mark in particular rejoice in our encounter today. Great is the bond uniting them. We need only think of the fact that Saint Mark put at the heart of his Gospel Peter’s profession of faith: “You are the Christ”. It was the answer to Jesus ever urgent question: “But who do you say that I am?” (Mk 8:29). Today too, many people cannot answer this question; there are even few people who can raise it, and above all few who can answer it with the joy of knowing Jesus, that same joy with which we have the grace of confessing him together.

Together, then, we are called to bear witness to him, to carry our faith to the world, especially in the way it is meant to be brought: by living it, so that Jesus’ presence can be communicated with life and speak the language of gratuitous and concrete love. As Coptic Orthodox and Catholics, we can always join in speaking this common language of charity: before undertaking a charitable work, we would do well to ask if we can do it together with our brothers and sisters who share our faith in Jesus. Thus, by building communion in the concreteness of a daily lived witness, the Spirit will surely open providential and unexpected paths to unity.

It is with this constructive apostolic spirit that Your Holiness continues to show a genuine and fraternal attention for the Coptic Catholic Church. I am most grateful for this closeness, which has found praiseworthy expression in the National Council of Christian Churches, which you have established so that believers in Jesus can work together more closely for the benefit of Egyptian society as a whole. I also greatly appreciated the generous hospitality offered to the thirteenth Meeting of the International Joint Commission for Theological Dialogue between the Catholic Church and the Oriental Orthodox Churches, which took place here last year at your invitation. It is a promising sign that the following meeting took place this year in Rome, as if to bespeak a particular continuity between the See of Mark and Peter.

In the sacred Scriptures, Peter seems in some way to reciprocate the affection of Mark by calling him “my son” (1 Pet 5:13). But the Evangelist and his apostolic activity are also fraternally associated with Saint Paul, who, before dying a martyr in Rome, mentions Mark’s great usefulness in his ministry (cf. 2 Tim 4:11) and speaks of him frequently (cf. Philem 24; Col 4:10). Fraternal charity and communion in mission: these are the messages that the word of God and our own origins have bequeathed to us. They are the evangelical seeds that we rejoice to water together and, with God’s help, to make grow (cf. 1 Cor 3:6-7).

The deepening progress of our ecumenical journey is also sustained, in mysterious and quite relevant way, by a genuine ecumenism of blood. Saint John tells us that Jesus came “with water and blood” (1 Jn 5:6); whoever believes in him thus “overcomes the world” (1 Jn 5:5). With water and blood: by living a new life in our common baptism, a life of love always and for all, even at the cost of the sacrifice of one’s life. How many martyrs in this land, from the first centuries of Christianity, have lived their faith heroically to the end, shedding their blood rather than denying the Lord and yielding to the enticements of evil, or merely to the temptation of repaying evil with evil! The venerable Martyrology of the Coptic Church bears eloquent witness to this. Even in recent days, tragically, the innocent blood of defenceless Christians was cruelly shed: their innocent blood unites us. Most dear brother, just as the heavenly Jerusalem is one, so too is our martyrology; your sufferings are also our sufferings. Strengthened by this witness, let us strive to oppose violence by preaching and sowing goodness, fostering concord and preserving unity, praying that all these sacrifices may open the way to a future of full communion between us and of peace for all.

The impressive history of holiness of this land is distinguished not only by the sacrifice of the martyrs. No sooner had the ancient persecutions ended, than a new and selfless form of life arose as a gift of the Lord: monasticism originated in the desert. Thus, the great signs that God had once worked in Egypt and at the Red Sea (cf. Ps 106:21-22) were followed by the miracle of a new life that made the desert blossom with sanctity. With veneration for this shared patrimony, I have come as a pilgrim to this land that the Lord himself loves to visit. For here, in his glory he came down upon Mount Sinai (cf. Ex 24:16), and here, in his humility, he found refuge as a child (cf. Mt 2:14).

Your Holiness, dearest brother, may the same Lord today grant us to set out together as pilgrims of communion and messengers of peace. On this journey, may the Virgin Mary take us by the hand, she who brought Jesus here, and whom the great Egyptian theological tradition has from of old acclaimed as Theotokos, the Mother of God. In this title, humanity and divinity are joined, for in his Mother, God became forever man. May the Blessed Virgin, who constantly leads us to Jesus, the perfect symphony of divine and human, bring yet once more a bit of heaven to our earth.

[00620-EN.02] [Original text: Italian]

Traduzione in lingua tedesca

Der Herr ist auferstanden, er ist wahrhaft auferstanden! [Al Massih kam, bilhakika kam!]

Eure Heiligkeit, lieber Bruder,

vor kurzem haben wir das große Hochfest Ostern begangen, die Mitte des christlichen Lebens. Dieses Jahr hatten wir die Gnade, es am selben Tag zu feiern. Wir haben so im Gleichklang die Botschaft der Auferstehung verkündet und dabei auf gewisse Weise wieder die Erfahrung der ersten Jünger gemacht: An jenem Tag »freuten sich die Jünger, als sie den Herrn sahen« (Joh 20,20). Diese Osterfreude wird heute durch das Geschenk vermehrt, im Gebet gemeinsam den Auferstandenen anbeten zu können und in seinem Namen einander erneut den heiligen Friedenskuss und den Friedensgruß zu geben. Dafür danke ich sehr: Auf meinem Weg hierher als Pilger war ich gewiss, den Segen eines Bruders zu empfangen, der mich erwartet hat. Groß war die Vorfreude, uns wieder zu treffen: Ich habe nämlich den Besuch Eurer Heiligkeit in Rom kurz nach meiner Wahl, am 10. Mai 2013, in lebendiger Erinnerung. Dieses Datum wurde zum glücklichen Anlass, jedes Jahr den Tag der koptisch-katholischen Freundschaft zu begehen.

In der Freude darüber, unseren ökumenischen Weg brüderlich fortzusetzen, möchte ich vor allem an jenen Meilenstein in den Beziehungen zwischen dem Stuhl Petri und dem Stuhl des Markus erinnern, nämlich die Gemeinsame Erklärung, die vor über vierzig Jahren von unseren Vorgängern am 10. Mai 1973 unterzeichnet wurde. »Nach einer jahrhundertelangen, schwierigen geschichtlichen Entwicklung«, in der »theologische Unterschiede entstanden sind, die von nichttheologischen Faktoren« und von einem zunehmend allgemeinen Misstrauen »genährt und verstärkt wurden«, ist man an jenem Tag mit Gottes Hilfe dazu gelangt, gemeinsam anzuerkennen, dass Christus »vollkommener Gott in Bezug auf seine Gottheit und vollkommener Mensch in Bezug auf seine Menschheit ist« (Gemeinsame Erklärung des Heiligen Vaters Paul VI. und Seiner Heiligkeit Amba Shenouda III., 10. Mai 1973). Aber nicht weniger aktuell und weniger wichtig sind die unmittelbar vorausgehenden Worte, mit denen wir »unseren Herrn und Gott, der unser aller Erlöser und König ist, bekannt haben, Jesus Christus«. Mit diesen Aussagen haben der Stuhl des Markus und der Stuhl Petri die Herrschaft Jesu feierlich verkündet: Gemeinsam haben wir bekannt, dass wir alle Jesus angehören und Er unser alles ist.

Darüber hinaus haben wir verstanden, dass wir als die Seinen nicht mehr daran denken können, jeder für sich auf seinem Weg voranzuschreiten. Denn so würden wir seinen Willen verraten, dass die Seinen »alle [...] eins sein« sollen, »damit die Welt glaubt« (Joh 17,21). Im Angesicht des Herrn, der wünscht, dass wir »vollendet« sind »in der Einheit« (17,23), ist es uns nicht mehr möglich, uns hinter den Vorwänden unterschiedlicher Interpretationen und auch nicht hinter Jahrhunderten einer Geschichte und von Traditionen, die uns einander entfremdet haben, zu verstecken. Wie Seine Heiligkeit Johannes Paul II. hier sagte: »In dieser Hinsicht dürfen wir keine Zeit verlieren! Unsere Gemeinschaft in dem einen Herrn Jesus Christus, in dem einen Heiligen Geist und in der einen Taufe ist bereits eine tiefe und fundamentale Wirklichkeit« (Ansprache bei der ökumenischen Begegnung, Kairo, 25. Februar 2000). Es gibt in diesem Sinn nicht nur eine Ökumene der Gesten, Worte und Bemühungen, sondern eine schon wirksame Gemeinschaft, die jeden Tag in der lebendigen Beziehung mit dem Herrn Jesus wächst und im Glauben, den wir bekennen, verwurzelt ist sowie in unserer Taufe wahrhaft begründet ist und darin, dass wir in ihm »neue Schöpfung« (2Kor 5,17) sind: kurzum, es ist »ein Herr, ein Glaube, eine Taufe« (Eph 4,5). Von hier gehen wir immer aus, um das Kommen des so ersehnten Tags zu beschleunigen, an dem wir in voller und sichtbarer Gemeinschaft am Altar des Herrn versammelt sein werden.

Auf diesem leidenschaftlichen Weg, der, wie das Leben, nicht immer einfach und geradlinig ist – der Herr aber fordert uns auf, darauf weiter zu gehen –, sind wir nicht allein. Es begleitet uns eine unermessliche Schar von Heiligen und Märtyrern, die schon in voller Einheit uns dazu drängt, hier unten ein lebendiges Abbild des »Jerusalem oben« (Gal 4,26) zu sein. Unter ihnen freuen sich heute gewiss auf besondere Weise die Heiligen Petrus und Markus über unsere Begegnung. Das Band, das sie vereint, ist groß. Es genügt, daran zu denken, dass der heilige Markus das Glaubensbekenntnis des Petrus in die Mitte seines Evangeliums stellte: »Du bist der Christus!« Es war die Antwort auf die immer aktuelle Frage Jesu: »Ihr aber, für wen haltet ihr mich?« (Mk 8,29). Auch heute wissen viele Menschen keine Antwort auf diese Frage zu geben; es fehlt selbst an denen, die sie stellen, und vor allem an denen, die sie mit der Freude, Jesus zu kennen, beantworten – dieselbe Freude, mit der wir in der Gnade ihn gemeinsam bekennen.

Gemeinsam sind wir also gerufen, den Herrn zu bezeugen und der Welt unseren Glauben zu bringen, vor allem in der Weise, die dem Glauben eigen ist: das heißt den Glauben leben, weil die Gegenwart Jesu im Leben vermittelt wird und die Sprache der unentgeltlichen und konkreten Liebe spricht. Als orthodoxe Kopten und Katholiken können wir immer mehr diese gemeinsame Sprache der Liebe sprechen: Bevor wir eine wohltätige Initiative ergreifen, wäre es schön, uns zu fragen, ob wir sie mit unseren Brüdern und Schwestern unternehmen können, mit denen wir den Glauben an Jesus teilen. Wenn wir die Gemeinschaft im konkreten Alltag durch unser gelebtes Zeugniss aufbauen, so wird der Geist es nicht versäumen, von der Vorhersehung bestimmte ungeahnte Wege zur Einheit zu eröffnen.

Eben mit diesem konstruktiven apostolischen Geist fahren Eure Heiligkeit fort, der koptisch-katholischen Kirche eine echte und brüderliche Aufmerksamkeit entgegenzubringen. Für diese Nähe danke ich sehr. Sie hat ihren lobenswerten Ausdruck im Nationalen Rat der Christlichen Kirchen Ausdruck gefunden, den Sie ins Leben gerufen haben, damit die an Christus Glaubenden immer mehr gemeinsam wirken können zum Wohl der gesamten Gesellschaft Ägyptens. Ich habe auch die großzügige Gastfreundschaft bei der 13. Begegnung der Gemischten Internationalen Kommission für den theologischen Dialog zwischen der Katholischen Kirche und den Orthodoxen Orientalischen Kirchen sehr geschätzt, die auf Ihre Einladung hin letztes Jahr hier stattgefunden hat. Es ist ein schönes Zeichen, dass die nächste Begegnung dieses Jahr in Rom abgehalten wird, gleichsam als Ausdruck einer besonderen Kontinuität zwischen den Stühlen des Markus und des Petrus.

In der Heiligen Schrift scheint Petrus irgendwie die Zuneigung des Markus zu erwidern, indem er ihn »mein[en] Sohn« (1Petr 5,13) nennt. Aber die brüderliche Verbundenheit des Evangelisten und seine apostolische Tätigkeit betreffen auch den heiligen Paulus, der vor seinem Märtyrertod in Rom von der nützlichen Hilfe des Markus zum Dienst spricht (vgl. 2Tim 4,11) und ihn mehrfach erwähnt (vgl. Phlm 24; Kol 4,10). Brüderliche Liebe und gemeinsame Sendung: das ist die Botschaft, die uns das Wort Gottes und unsere Anfänge übermitteln. Wir haben die Freude, die Saat des Evangeliums weiterhin zu begießen und mit Gottes Hilfe gemeinsam wachsen zu lassen (vgl. 1Kor 3,6-7).

Das Reifen unseres ökumenischen Weges wird auf geheimnisvolle und mehr denn je aktuelle Weise auch von einer wahren und eigentlichen Ökumene des Blutes getragen. Der heilige Johannes schreibt, dass Jesus »durch Wasser und Blut gekommen ist« (1Joh 5,6); wer an ihn glaubt, »besiegt die Welt« (1Joh 5,5). Durch Wasser und Blut: wenn wir ein neues Leben in unserer gemeinsamen Taufe leben, ein Leben in beständiger Liebe für alle, auch auf Kosten der Hingabe des Blutes. Wie viele Märtyrer in diesem Land haben von den ersten Jahrhunderten des Christentums an den Glauben auf heroische Weise bis zum Äußersten gelebt, indem sie lieber ihr Blut vergossen, als den Herrn zu verleugnen und den Verlockungen des Bösen oder auch nur der Versuchung nachzugeben, dem Bösen mit dem Bösen zu antworten. Das ehrwürdige Martyrologium der Koptischen Kirche bezeugt dies gut. Erst kürzlich ist leider das unschuldige Blut wehrloser Gläubiger auf grausame Weise vergossen worden. Lieber Bruder, wie das himmlische Jerusalem eines ist, so ist unser Martyrologium eines; eure Leiden sind auch unsere Leiden, und ihr unschuldiges Blut vereint uns. Setzen wir uns, gestärkt durch euer Zeugnis, dafür ein, uns der Gewalt zu widersetzen, indem wir das Gute predigen und säen und so die Eintracht wachsen lassen und die Einheit bewahren. Beten wir, dass die vielen Opfer den Weg in eine Zukunft in der vollen Einheit untereinander und des Friedens aller auftun.

Die wunderbare Geschichte der Heiligkeit dieses Landes ist nicht nur aufgrund des Opfers der Märtyrer eine besondere. Als kaum die Verfolgungen der Antike zu Ende gegangen waren, kam eine Lebensform auf, die in Hingabe an den Herrn nichts für sich zurückhielt: In der Wüste nahm das Mönchtum seinen Anfang. So folgte auf die großen Zeichen, die Gott in der Vergangenheit in Ägypten und am Roten Meer gewirkt hatte (vgl. Ps 106,21-22), das Wunder eines neuen Lebens, das die Wüste in Heiligkeit erblühen ließ. In Verehrung für dieses gemeinsame Erbe bin ich als Pilger in dieses Land gekommen, wohin der Herr selbst sich gerne hinbegibt: Hier kam er in Herrlichkeit auf den Berg Sinai hinab (vgl. Ex 24,16); hier fand er in Demut Zuflucht als Kind (vgl. Mt 2,14).

Eure Heiligkeit, lieber Bruder, derselbe Herr schenke uns, dass wir uns heute gemeinsam als Pilger der Gemeinschaft und als Verkünder des Friedens aufmachen. Auf diesem Weg möge uns diejenige an der Hand nehmen, die Jesus hierher begleitet hat und die seit dem Altertum von der großen theologischen Tradition Ägyptens als Theotokos – Gottesgebärerin – angerufen wurde. In diesem Ehrentitel verbinden sich auf wunderbare Weise die Menschheit und die Gottheit, denn in der Mutter ist Gott für immer Mensch geworden. Die heilige Jungfrau Maria, die uns immer zu Jesus führt, die vollkommene Symphonie des Göttlichen mit dem Menschlichen, möge weiter ein Stück Himmel auf unsere Erde bringen.

[00620-DE.01] [Originalsprache: Italienisch]

Traduzione in lingua spagnola

¡El Señor ha resucitado, verdaderamente ha resucitado! [Al Massih kam, bilhakika kam!]

Santidad, querido Hermano:

Hace poco que ha concluido la gran Solemnidad de la Pascua, centro de la vida cristiana, que este año hemos tenido la gracia de celebrar en el mismo día. Así hemos proclamado al unísono el anuncio de la Resurrección, viviendo de nuevo, en un cierto sentido, la experiencia de los primeros discípulos, que en ese día «se llenaron de alegría al ver al Señor» (Jn 20,20). Esta alegría pascual se ha incrementado hoy por el don que se nos ha concedido de adorar juntos al Resucitado en la oración y de darnos nuevamente, en su nombre, el beso santo y el abrazo de paz. Esto me llena de alegría: llegando aquí como peregrino, estaba seguro de recibir la bendición de un Hermano que me esperaba. Era grande el deseo de encontrarnos otra vez: mantengo muy vivo el recuerdo de la visita que Vuestra Santidad realizó a Roma, poco después de mi elección, el 10 de mayo de 2013, una fecha que se ha convertido felizmente en la oportunidad para celebrar cada año la Jornada de Amistad copto-católica.

Con la alegría de continuar fraternalmente nuestro camino ecuménico, deseo recordar ante todo ese momento crucial que supuso en las relaciones entre la sede de Pedro y la de Marcos la Declaración Común, firmada por nuestros Predecesores hace más de cuarenta años, el 10 de mayo de 1973. En ese día, después de «siglos de una historia complicada», en los que «se han manifestado diferencias teológicas, fomentadas y acentuadas por factores de carácter no teológico» y por una creciente desconfianza en las relaciones, con la ayuda de Dios hemos llegado a reconocer juntos que Cristo es «Dios perfecto en su Divinidad y hombre perfecto en su humanidad» (Declaración Común firmada por el Santo Padre Pablo VI y por Su Santidad Amba Shenouda III, 10 mayo 1973). Pero no menos importantes y actuales son las palabras que la precedían inmediatamente, con las que hemos reconocido a «Nuestro Señor y Dios y Salvador y Rey de todos nosotros, Jesucristo». Con estas expresiones la sede de Marcos y la de Pedro han proclamado la señoría de Jesús: juntos hemos confesado que pertenecemos a Jesús y que él es nuestro todo.

Aún más, hemos comprendido que, siendo suyos, no podemos seguir pensando en ir adelante cada uno por su camino, porque traicionaríamos su voluntad: que los suyos sean «todos […] uno […] para que el mundo crea» (Jn 17,21). Delante del Señor, que quiere que seamos «perfectos en la unidad» (v. 23) no es posible escondernos más detrás de los pretextos de divergencias interpretativas ni tampoco detrás de siglos de historia y de tradiciones que nos han convertido en extraños. Como dijo aquí Su Santidad Juan Pablo II: «A este respecto no hay tiempo que perder. Nuestra comunión en el único Señor Jesucristo, en el único Espíritu Santo y en el único bautismo, ya representa una realidad profunda y fundamental» (Discurso durante el encuentro ecuménico, 25 febrero 2000). En este sentido, no sólo existe un ecumenismo realizado con gestos, palabras y esfuerzo, sino también una comunión ya efectiva, que crece cada día en la relación viva con el Señor Jesús, se fundamenta en la fe profesada y se basa realmente en nuestro Bautismo, en el ser «criaturas nuevas» en él (cf. 2 Co 5,17): en definitiva, «un solo Señor, una sola fe, un solo bautismo» (Ef 4,5). De aquí tenemos que comenzar siempre, para apresurar el día tan esperado en el que estaremos en comunión plena y visible junto al altar del Señor.

En este camino apasionante, que —como la vida— no es siempre fácil ni lineal, pero que el Señor nos exhorta a seguir recorriendo, no estamos solos. Nos acompaña una multitud de Santos y Mártires que, ya plenamente unidos, nos animan a que seamos aquí en la tierra una imagen viviente de la «Jerusalén celeste» (Ga 4,26). Entre ellos, seguro que los que hoy se alegran de manera especial de nuestro encuentro son los santos Pedro y Marcos. Es grande el vínculo que los une. Basta pensar en el hecho de que san Marcos puso en el centro de su Evangelio la profesión de fe de Pedro: «Tu eres el Cristo». Fue la respuesta a la pregunta, siempre actual, de Jesús: «Y vosotros, ¿quién decís que soy?» (Mc 8,29). También hoy hay mucha gente que no sabe dar una respuesta a esta pregunta; faltan incluso personas que la propongan y sobre todo quien ofrezca como respuesta la alegría de conocer a Jesús, la misma alegría con la que tenemos la gracia de confesarlo juntos.

Estamos llamados a testimoniarlo juntos, a llevar al mundo nuestra fe, sobre todo, como es proprio de la fe: viviéndola, porque la presencia de Jesús se transmite con la vida y habla el lenguaje del amor gratuito y concreto. Coptos ortodoxos y Católicos podemos hablar cada vez más esta lengua común de la caridad: antes de comenzar un proyecto para hacer el bien, sería hermoso preguntarnos si podemos hacerlo con nuestros hermanos y hermanas que comparten la fe en Jesús. Así, edificando la comunión con el testimonio vivido en lo concreto de la vida cotidiana, el Espíritu no dejará de abrir caminos providenciales e inimaginables de unidad.

Con este espíritu apostólico constructivo, Vuestra Santidad sigue brindando una atención genuina y fraterna a la Iglesia copta católica: una cercanía que agradezco tanto y que se ha concretado en la creación del Consejo Nacional de las Iglesias Cristianas, para que los creyentes en Jesús puedan actuar siempre más unidos, en beneficio de toda la sociedad egipcia. Además, he apreciado mucho la generosa hospitalidad con la que acogió el XIII Encuentro de la Comisión mixta internacional para el diálogo teológico entre la Iglesia Católica y las Iglesias Ortodoxas Orientales, que tuvo lugar aquí el año pasado siguiendo vuestra invitación. Es un bonito signo que el encuentro siguiente se haya celebrado en Roma, como queriendo señalar una continuidad particular entre la sede de Marcos y la de Pedro.

En la Sagrada Escritura, Pedro corresponde en cierto modo al afecto de Marcos llamándolo «mi hijo» (1 P 5,13). Pero los vínculos fraternos del Evangelista y su actividad apostólica se extienden también a san Pablo el cual, antes de morir mártir en Roma, habla de lo útil que es Marcos para el ministerio (cf. 2 Tm 4,11) y lo menciona varias veces (cf. Flm 24; Col 4, 10). Caridad fraterna y comunión de misión: estos son los mensajes que la Palabra divina y nuestros orígenes nos transmiten. Son las semillas evangélicas que con alegría seguimos cultivando y juntos, con la ayuda de Dios, procuramos que crezcan (cf. 1 Co 3,6-7).

Nuestro camino ecuménico crece de manera misteriosa y sin duda actual, gracias a un verdadero y propio ecumenismo de la sangre. San Juan escribe que Jesús vino «con agua y sangre» (1 Jn 5,6); quien cree en él, «vence al mundo» (1 Jn 5,5). Con agua y sangre: viviendo una vida nueva en nuestro mismo Bautismo, una vida de amor, siempre y por todos, también a costa de derramar la sangre. Cuántos mártires en esta tierra, desde los primeros siglos del Cristianismo, han vivido la fe de manera heroica y hasta el final, prefiriendo derramar su sangre antes que renegar del Señor y ceder a las lisonjas del mal o a la tentación de responder al mal con el mal. Así lo testimonia el venerable Martirologio de la Iglesia Copta. Aun recientemente, por desgracia, la sangre inocente de fieles indefensos ha sido derramada cruelmente: su sangre inocente nos une. Querido Hermano, igual que la Jerusalén celeste es una, así también nuestro martirologio es uno, y vuestros sufrimientos son también nuestros sufrimientos. Fortalecidos por vuestro testimonio, esforcémonos en oponernos a la violencia predicando y sembrando el bien, haciendo crecer la concordia y manteniendo la unidad, rezando para que los muchos sacrificios abran el camino a un futuro de comunión plena entre nosotros y de paz para todos.

La maravillosa historia de santidad de esta tierra no se debe sólo al sacrificio de los mártires. Apenas terminadas las antiguas persecuciones, surgió una nueva forma de vida que, ofrecida al Señor, nada retenía para sí: en el desierto inició el monaquismo. Así, a los grandes signos que Dios obró en el pasado en Egipto y en el Mar Rojo (cf. Sal 106,21-22), siguió el prodigio de una vida nueva, que hizo florecer de santidad el desierto. Con veneración por este patrimonio común, he venido como peregrino a esta tierra, donde el Señor mismo ama venir: aquí, glorioso, bajó al monte Sinaí (cf. Ex 24,16); aquí, humilde, encontró refugio cuando era niño (cf. Mt 2,14).

Santidad, querido Hermano: que el mismo Señor nos conceda hoy seguir caminando juntos, como peregrinos de comunión y anunciadores de paz. Que en este camino nos lleve de la mano Aquella que acompañó aquí a Jesús y que la gran tradición teológica egipcia ha aclamado desde la antigüedad como Theotokos, Madre de Dios. En este título se unen admirablemente la humanidad y la divinidad, porque, en la Madre, Dios se hizo hombre para siempre. Que la Virgen Santa, que siempre nos conduce a Jesús, sinfonía perfecta de lo divino con lo humano, siga trayendo un poco de Cielo a nuestra tierra.

[00620-ES.01] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua portoghese

O Senhor ressuscitou; ressuscitou verdadeiramente! Al Massih kam, bilhakika kam!

Santidade, Irmão caríssimo!

Ocorreu há poucos dias a grande solenidade da Páscoa, centro da vida cristã, que, este ano, tivemos a graça de celebrar no mesmo dia. Assim proclamamos em uníssono o anúncio da Ressurreição, revivendo de certo modo a experiência dos primeiros discípulos, que naquele dia, juntos, «se encheram de alegria por verem o Senhor» (Jo 20, 20). Hoje, esta alegria pascal é enriquecida pelo dom de adorarmos, juntos, o Ressuscitado na oração e por trocarmos novamente, em seu nome, o ósculo santo e o abraço de paz. Sinto-me muito grato por isto: ao chegar aqui como peregrino, tinha a certeza de receber a bênção dum Irmão que me esperava. Grande era a expectativa de nos encontrarmos: com efeito conservo bem viva a lembrança da visita de Vossa Santidade a Roma, pouco depois da minha eleição no dia 10 de maio de 2013, uma data que felizmente se tornou ocasião para celebrar anualmente o Dia da Amizade Copto-Católica.

Na alegria de continuar fraternalmente o nosso caminho ecuménico, desejo recordar, antes de mais nada, aquele marco nas relações entre a Sé de Pedro e a de Marcos que é a Declaração Comum assinada pelos nossos Predecessores, há mais de quarenta anos, em 10 de maio de 1973. Naquele dia, depois de «séculos de história difícil», em que «surgiram diferenças teológicas, que foram alimentadas e acentuadas por fatores de caráter não-teológico» e por uma difidência cada vez mais generalizada nas relações, com a ajuda de Deus chegou-se a reconhecer, juntos, que Cristo é «perfeito Deus, quanto à sua divindade, e perfeito homem, quanto à sua humanidade» (Declaração Comum, assinada pelo Santo Padre Paulo VI e por Sua Santidade Amba Shenouda III, 10 de maio 1973). Mas, não menos importantes e atuais são as palavras imediatamente anteriores, com que reconhecemos «Nosso Senhor e Deus e Salvador e Rei de todos nós, Jesus Cristo». Com estas expressões, a Sé de Marcos e a de Pedro proclamaram o domínio de Jesus: juntos, confessamos que pertencemos a Jesus e que Ele é o nosso tudo.

Além disso compreendemos que, sendo seus, já não podemos pensar em avançar cada um pela sua estrada, porque trairíamos a sua vontade: que os seus «sejam todos um só (...), para que o mundo creia» (Jo 17, 21). Na presença do Senhor, que nos deseja «perfeitos na unidade» (Jo 17, 23), já não podemos esconder-nos atrás de desculpas de divergências de interpretação, nem atrás de séculos de história e tradições que nos tornaram estranhos. Como aqui disse Sua Santidade João Paulo II: «Não devemos perder tempo a este propósito! A nossa comunhão no único Senhor Jesus Cristo, no único Espírito Santo e no único Batismo já representa uma realidade profunda e essencial» (Discurso durante o Encontro Ecuménico, 25 de fevereiro de 2000, 4-5). Neste sentido, há não só um ecumenismo feito de gestos, palavras e compromisso, mas uma comunhão já efetiva, que cresce dia-a-dia no relacionamento vivo com o Senhor Jesus, está enraizada na fé professada e funda-se realmente no nosso Batismo, em sermos n’Ele «novas criaturas» (cf. 2 Cor 5, 17): em suma, «um só Senhor, uma só fé, um só Batismo» (Ef 4, 5). Daqui havemos de partir sempre de novo, para apressar o dia tão desejado em que estaremos em comunhão plena e visível no altar do Senhor.

Neste caminho apaixonante, que – como a vida – nem sempre é fácil e linear, mas no qual o Senhor nos exorta a prosseguir, não estamos sozinhos. Acompanha-nos uma série enorme de Santos e Mártires que, já plenamente unidos, nos impelem a sermos aqui na terra uma imagem viva da «Jerusalém do Alto» (Gl 4, 26). Dentre eles, hoje certamente se alegram de modo particular com o nosso encontro São Pedro e São Marcos. Grande é o vínculo que os une. Basta pensar no facto de São Marcos ter colocado no coração do seu Evangelho a profissão de fé de Pedro: «Tu és o Messias». Foi a resposta à pergunta, sempre atual, de Jesus: «E vós quem dizeis que Eu sou?» (Mc 8, 29). Ainda hoje há muitas pessoas que não sabem responder a esta pergunta; falta até mesmo quem a suscite e sobretudo quem ofereça, em resposta, a alegria de conhecer Jesus, a mesma alegria com que temos a graça de O confessarmos juntos.

Assim, juntos, somos chamados a testemunhá-Lo, a levar ao mundo a nossa fé, antes de tudo segundo o modo que é próprio da fé: vivendo-a, porque a presença de Jesus transmite-se com a vida e fala a linguagem do amor gratuito e concreto. Possam coptas ortodoxos e católicos falar juntos, sempre mais, esta língua comum da caridade: antes de empreender uma iniciativa benfazeja, seria bom perguntar-nos se a poderemos realizar com os nossos irmãos e irmãs que compartilham a fé em Jesus. Assim, construindo a comunhão com o testemunho vivido na existência diária concreta, o Espírito não deixará de abrir caminhos providenciais e inesperados de unidade.

É com este espírito apostólico construtivo que Vossa Santidade continua a reservar uma atenção genuína e fraterna para com a Igreja Copta Católica: uma proximidade de que lhe estou muito grato e que encontrou louvável expressão no Conselho Nacional das Igrejas Cristãs, que criou a fim de os crentes em Jesus poderem agir cada vez mais unidos em benefício de toda a sociedade egípcia. Muito apreciei também a generosa hospitalidade oferecida ao 13º encontro da Comissão Mista Internacional para o Diálogo Teológico entre a Igreja Católica e as Igrejas Ortodoxas Orientais, que aqui teve lugar no ano passado por vosso convite. É um bom sinal que o sucessivo encontro se tenha realizado este ano em Roma, como que a expressar uma particular continuidade entre as Sés de Marcos e de Pedro.

Na Sagrada Escritura, Pedro parece retribuir de algum modo o afeto de Marcos designando-o por «meu filho» (1 Ped 5, 13). Mas os laços fraternos do Evangelista e a sua atividade apostólica têm a ver também com São Paulo, que, antes de morrer martirizado em Roma, fala de Marcos como prestando grande ajuda no ministério (cf. 2 Tm 4, 11) e cita-o mais de uma vez (cf. Flm 24; Col 4, 10). Caridade fraterna e comunhão de missão: tais são as mensagens que nos confiam a Palavra divina e as nossas origens. São as sementes do Evangelho, que temos a alegria de continuar a regar e, com a ajuda de Deus, fazer crescer juntos (cf. 1 Cor 3, 6-7).

A maturação do nosso caminho ecuménico é sustentada, de modo misterioso e muito atual, também por um verdadeiro e próprio ecumenismo do sangue. São João escreve que Jesus veio «com água e com sangue» (1 Jo 5, 6); quem acredita n’Ele, assim «vence o mundo» (1 Jo 5, 5). Com água e sangue: vivendo uma vida nova no nosso Batismo comum, uma vida de amor incessante e por todos, mesmo à custa do sacrifício do sangue. Desde os primeiros séculos do cristianismo, nesta terra, quantos mártires viveram a fé heroicamente e até ao extremo, preferindo derramar o sangue que negar o Senhor e ceder às adulações do mal ou mesmo só à tentação de responder ao mal com o mal! Bem o testemunha o venerável Martirológio da Igreja Copta. Ainda há pouco, infelizmente, o sangue inocente de fiéis inermes foi cruelmente derramado: o seu sangue inocente nos une. Caríssimo Irmão, assim como é única a Jerusalém celeste, assim também é único o nosso martirológio, e os vossos sofrimentos são também os nossos sofrimentos. Fortalecidos pelo vosso testemunho, trabalhemos por nos opor à violência, pregando e semeando o bem, fazendo crescer a concórdia e mantendo a unidade, rezando a fim de que tantos sacrifícios abram o caminho para um futuro de plena comunhão entre nós e de paz para todos.

A maravilhosa história de santidade desta terra não é peculiar só pelo sacrifício dos mártires. Logo que terminaram as perseguições antigas, surgiu uma forma nova de vida que, doada ao Senhor, nada retinha para si: no deserto, começou o monaquismo. Assim, aos grandes sinais que antigamente Deus realizara no Egito e no Mar Vermelho (cf. Sal 106/105, 21-22), seguiu-se o prodígio duma vida nova, que fez o deserto florir de santidade. Com veneração por este património comum, vim como peregrino a esta terra, onde o próprio Senhor gosta de vir: aqui, glorioso, desceu sobre o Monte Sinai (cf. Ex 24, 16); aqui, humilde, encontrou refúgio quando era criança (cf. Mt 2, 14).

Santidade, Irmão caríssimo, o mesmo Senhor nos conceda a graça de recomeçar hoje, juntos, como peregrinos de comunhão e arautos de paz. Neste caminho, tome-nos pela mão Aquela que aqui acompanhou Jesus e que a grande tradição teológica egípcia aclamou, desde a antiguidade, como Theotokos, Mãe de Deus. Neste título, unem-se admiravelmente a humanidade e a divindade, porque, na Mãe, Deus fez-Se para sempre homem. A Virgem Santa, que sempre nos leva a Jesus, sinfonia perfeita do divino com o humano, traga ainda um pouco de Céu sobre a nossa terra.

[00620-PO.01] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua polacca

Pan zmartwychwstał, prawdziwie zmartwychwstał! [Al Massih kam, kam bilhakika!]

Wasza Świątobliwość, najdroższy Bracie,

Niedawno obchodziliśmy wspaniałą uroczystość Wielkanocy, będącą centrum życia chrześcijańskiego, którą w tym roku mieliśmy szczęście obchodzić tego samego dnia. Zatem jednogłośnie proklamowaliśmy orędzie zmartwychwstania, przeżywając w pewnym sensie na nowo doświadczenie pierwszych uczniów, którzy w tym dniu wspólnie „uradowali się ujrzawszy Pana” (J 20,20). Ta paschalna radość jest dziś ubogacona darem wspólnego adorowania Zmartwychwstałego na modlitwie oraz ponownym przekazaniem sobie w Jego imię świętego pocałunku i uścisku pokoju. Jestem za to bardzo wdzięczny: przybywając tutaj jako pielgrzym, byłem pewny, że otrzymam błogosławieństwo Brata, który mnie oczekiwał. Wielkie było oczekiwanie spotkania: mam bowiem bardzo żywo w pamięci wizytę Waszej Świątobliwości w Rzymie, tuż po moim wyborze, 10 maja 2013 roku. Data ta szczęśliwie stała się okazją, by świętować co roku Dzień Przyjaźni Koptyjsko-Katolickiej.

W radości braterskiego kontynuowania naszej pielgrzymki ekumenicznej pragnę przypomnieć przede wszystkim ów kamień milowy w stosunkach między Stolicą św. Piotra a Stolicą św. Marka, jakim jest wspólna deklaracja podpisana przez naszych poprzedników ponad czterdzieści lat temu, w dniu 10 maja 1973 roku. Tego dnia po „wiekach trudnej historii”, w której „ujawniły się różnice teologiczne, podsycane i podkreślone przez czynniki poza teologiczne”, oraz coraz bardziej ogólny brak zaufania w relacjach, z Bożą pomocą doszliśmy do wspólnego uznania, że Chrystus jest „co do boskości w pełni Bogiem i co do człowieczeństwa w pełni człowiekiem” (Deklaracja Wspólna podpisana przez papieża Pawła VI i Jego Świątobliwość Patriarchę Szenudę III, 10 maja 1973). Ale nie mniej ważne i aktualne są słowa bezpośrednio poprzedzające, w których uznaliśmy „Jezusa Chrystusa za naszego Pana i Boga, Zbawiciela i Króla nas wszystkich”. Poprzez te słowa stolica św. Marka i stolica św. Piotra proklamowały panowanie Jezusa: wspólnie wyznaliśmy, że należymy do Jezusa, że ​​On jest dla nas wszystkim.

Ponadto, zdaliśmy sobie sprawę, że należąc do Niego, nie możemy już myśleć o tym, aby każdy z nas szedł dalej swoją własną drogą, bo zdradzilibyśmy Jego wolę, „aby wszyscy stanowili jedno […] aby świat uwierzył” (J 17,21). Przed obliczem Pana, który chce abyśmy byli „doskonałą jednością” (w. 23), nie możemy już dłużej skrywać się za wykrętami różnic interpretacyjnych ani też wieków historii i tradycji, które uczyniły nas sobie obcymi. Jak tutaj powiedział Jego Świątobliwość Jan Paweł II: „Nie mamy czasu do stracenia! Nasza komunia w jednym Panu Jezusie Chrystusie, jednym Duchu Świętym, w jednym chrzcie już jest głęboką i fundamentalną rzeczywistością” (Przemówienie podczas spotkania ekumenicznego, 25 luty 2000). W tym sensie jest to nie tylko ekumenizm gestów, słów i zaangażowania, ale już komunia rzeczywista, która wzrasta każdego dnia w żywej relacji z Panem Jezusem, jest zakorzeniona w wyznawanej wierze i ma swój rzeczywisty fundament w naszym chrzcie, w byciu w Nim „nowym stworzeniem” (por. 2 Kor 5,17): w sumie „Jeden jest Pan, jedna wiara, jeden chrzest” (Ef 4,5). Stąd zawsze wychodzimy na nowo, aby przyspieszyć ten tak bardzo wytęskniony dzień, gdy będziemy w pełnej i widzialnej komunii przy ołtarzu Pańskim.

W tej fascynującej pielgrzymce, która - jak życie - nie zawsze jest łatwa i prosta, ale w której Pan zachęca nas, byśmy szli naprzód, nie jesteśmy sami. Towarzyszy nam ogromna ilość świętych i męczenników, którzy już w pełni zjednoczeni pobudzają nas, abyśmy tu na ziemi byli żywym obrazem „górnego Jeruzalem” (Ga 4,26). Wśród nich, na pewno z naszego spotkania radują się teraz w sposób szczególny święci Piotr i Marek. Wielka jest łącząca ich więź. Wystarczy pomyśleć o tym, że św. Marek umieścił w samym sercu swojej Ewangelii Piotrowe wyznanie wiary: „Ty jesteś Mesjasz”. Była to odpowiedź na zawsze aktualne pytanie Jezusa: „A wy za kogo Mnie uważacie?” (Mk 8,29). Również dzisiaj wiele osób nie potrafi odpowiedzieć na to pytanie; brakuje nawet tych, którzy by je wzbudzili, a zwłaszcza tych, którzy dadzą w odpowiedzi radość poznania Jezusa, tę samą radość, z jaką mamy łaskę wyznawania Go wspólnie.

Wspólnie jesteśmy wezwani, aby o Nim świadczyć, aby zanieść światu naszą wiarę, przede wszystkim w sposób właściwy wierze: żyjąc nią, bo obecność Jezusa przekazuje się życiem i wyraża językiem bezinteresownej i konkretnej miłości. Jako ortodoksyjni Koptowie i katolicy możemy coraz bardziej razem przemawiać tym wspólnym językiem miłości: zanim podejmiemy dobrą inicjatywę, dobrze byłoby postawić sobie pytanie, czy możemy ją wypełnić z naszymi braćmi i siostrami, którzy podzielają wiarę w Jezusa. W ten sposób budując komunię w codziennej konkretności przeżywanego świadectwa, Duch Święty z pewnością otworzy opatrznościowe i nieoczekiwane drogi jedności.

Wasza Świątobliwość właśnie z tym konstruktywnym duchem apostolskim nieustannie zachowuje autentyczną i braterską sympatię wobec Kościoła katolickiego obrządku koptyjskiego: jest to bliskość, za którą jestem ogromnie wdzięczny i która znalazła godny pochwały wyraz w Narodowej Radzie Kościołów Chrześcijańskich, którą Wasza Świątobliwość powołał do istnienia, aby wierzący w Jezusa mogli coraz bardziej działać razem, z korzyścią dla całego społeczeństwa egipskiego. Z dużym zadowoleniem przyjąłem także szczodrą gościnność oferowaną z okazji 13. posiedzenia Międzynarodowej Komisji Mieszanej ds. Dialogu Teologicznego między Kościołem Katolickim a Wschodnimi Kościołami Ortodoksyjnymi, które odbyło się tutaj w zeszłym roku na zaproszenie Waszej Świątobliwości. To dobry znak, że kolejne spotkanie odbyło się w tym roku w Rzymie, jakby wyrażając szczególną spójność między stolicą Marka a stolicą Piotra.

W Piśmie Świętym, Piotr zdaje się w jakiś sposób odwzajemnić uczucia Marka, nazywając go „mój syn” (1 P 5,13). Ale więzy braterskie Ewangelisty i jego działalność apostolska dotyczą także świętego Pawła, który zanim zmarł męczeńską śmiercią w Rzymie, mówi o przydatności Marka do posługiwania (por. 2 Tm 4,11) i wielokrotnie go cytuje (por. Flm 24; Kol 4,10). Miłość braterska i komunia misji: te przesłania przekazują nam Słowo Boże i nasze początki. Są to ewangeliczne ziarna, które z radością stale podlewamy i z Bożą pomocą wspólnie sprawiamy wzrost (por. 1 Kor 3,6-7).

Dojrzewanie naszej drogi ekumenicznej jest wspierane w sposób tajemniczy i niezwykle aktualny również przez prawdziwy i w pełnym tego słowa znaczeniu ekumenizm krwi. Święty Jan pisze, że Jezus przyszedł „w wodzie i we krwi” (1 J 5,6). Ci, którzy w Niego wierzą, w ten sposób „zwyciężają świat” (1 J 5,5). Z wodą i krwią: żyjąc nowym życiem w naszym wspólnym Chrzcie, życiem miłości zawsze i do wszystkich, nawet za cenę ofiary krwi. Jakże wielu męczenników tej ziemi, począwszy od pierwszych wieków chrześcijaństwa, żyło wiarą heroicznie i aż do końca, woląc raczej przelać swoją krew, niż zaprzeć się Pana i poddać się ułudom zła lub jedynie pokusie, by odpowiedzieć złem na zło. Dobrze o tym świadczy czcigodne Martyrologium Kościoła Koptyjskiego. Niestety niedawno została okrutnie przelana niewinna krew bezbronnych wiernych: ich niewinna krew nas jednoczy. Drogi Bracie, tak jak jedno jest Jeruzalem niebieskie, tak też jedno jest nasze martyrologium, a wasze cierpienia są także naszymi cierpieniami. Umocnieni waszym świadectwem, zróbmy wszystko, aby przeciwstawić się przemocy, głosząc i rozsiewając dobro, sprawiając wzrost zgody i utrzymując jedność, modląc się, aby tak wiele ofiar otworzyło drogę do przyszłości pełnej komunii między nami i pokoju dla wszystkich.

Wspaniała historia świętości tej ziemi nie jest specyficzna jedynie ze względu na ofiarę męczenników. Skoro tylko zakończyły się prześladowania starożytne, powstała nowa forma życia, które oddane Panu nic nie zatrzymywało dla siebie: na pustyni zaczął się monastycyzm. W ten sposób po wielkich znakach, jakich w przeszłości Bóg dokonał w Egipcie i w Morzu Czerwonym (por. Ps 106,21-22), nastąpił cud nowego życia, które sprawiło, że pustynia zakwitła świętością. Z czcią dla tego wspólnego dziedzictwa przybyłem jako pielgrzym do tej ziemi, gdzie sam Pan lubi się udawać: tutaj, chwalebny zstąpił na górę Synaj (por. Wj 24,16); tutaj pokorny znalazł schronienie jako dziecko (por. Mt 2,14).

Wasza Świątobliwość, drogi Bracie, sam Pan niech nam pozwoli, byśmy wyruszyli dzisiaj razem na nowo jako pielgrzymi komunii i głosiciele pokoju. W tej pielgrzymce niech weźmie nas za rękę Ta, która towarzyszyła tutaj Jezusowi, a którą wspaniała egipska tradycja teologiczna od starożytności głosiła jako Theotokos, Bożą Rodzicielkę. W tym tytule cudownie łączy się człowieczeństwo i boskość, bo w Matce Bóg stał się na zawsze człowiekiem. Niech Najświętsza Dziewica, która zawsze prowadzi nas do Jezusa, będącego doskonałą symfonią boskości z człowieczeństwem, przyniesie nieco więcej jeszcze nieba na naszą ziemię.

[00620-PL.01] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua araba

 

المسيح قام، حقّا قام!

قداسة البابا، أيها الأخ الحبيب للغاية،

لقد احتفلنا مؤخّرًا بعيد القيامة المجيد، محور الحياة المسيحيّة، وحظينا هذه السنة بنعمة الاحتفال به في نفس اليوم. فقمنا هكذا وبتآلف بإعلان بشارة القيامة، إذ عشنا، بشكلٍ ما، تجربة التلاميذ الأولين، الذين معًا في ذاك اليوم "ابتهجوا لرؤية الربّ" (يو 20، 20). وقد اغتنى هذا الفرح الفصحيّ اليوم بنعمة السجود سويًّا للربّ القائم من بين الأموات بالصلاة، وبتبادل قبلة المحبّة المقدّسة وعناق السلام مجدّدًا، باسمه. وإني ممتنٌّ للغاية لهذا: فبمجيئي إلى هنا كزائر، كنت على يقين، من أنّي سأحصل على بركة أخ ينتظرني. عظيما كان التطلع إلى أن نلتقي مجدّدًا: في الواقع، إني أحتفظ في قلبي بذكرى حيّة لزيارة قداستكم إلى روما، بعد فترة وجيزة من انتخابي، يوم 10 مايو 2013، هذا التاريخ الذي أصبح، على نحو سعيد، مناسبة نحتفل فيها كلّ عام بيوم الصداقة القبطيّة-الكاثوليكيّة.

في فرح الاستمرار بأخوّة في مسيرتنا المسكونيّة، أود أن أتذكر، وقبل كل شيء، تلك العلامة الفارقة في تاريخ العلاقات بين كرسي القديس بطرس وكرسي القديس مرقس، أي "البيان المشترك" الذي وقّعه أسلافنا قبل أكثر من أربعين عامًا، في 10 مايو 1973. ففي ذلك اليوم، بعد "قرون عصيبة من التاريخ"، حيث "ظهرت اختلافات لاهوتية، غذّتها وألهبتها عوامل ذات طابعٍ غير لاهوتي"، وكذلك غياب عام للثقة في التعامل، فقد حان الوقت، بمعونة الله، لاعترافنا معًا بأنّ المسيح هو "إلهٌ حقٌّ نسبةً لألوهيّته، وإنسانٌ حقٌّ نسبةً لبشريّته‏" (البيان المشترك الموقع من قداسة البابا بولس السادس وقداسة البابا الأنبا شنودة الثالث، 10 مايو 1973). وليست أقل أهميّة، وملائمة لزمننا الحالي، الكلمات التي تسبق هذا الإقرار مباشرة، أي تلك التي من خلالها اعترفنا "بربّنا وإلهنا ومخلّصنا وملكنا كلّنا، يسوع المسيح". بهذه العبارات، أعلن الكرسي المرقسي والكرسي البطرسي ربوبيّة يسوع: واعترفنا معا بأننا ننتمي إلى يسوع، وبأنه كل شيء بالنسبة إلينا.

علاوة على ذلك، أدركنا أننا، ولكوننا ملكًا له، لا يمكننا بعد الآن أن يسير كلّ منّا في طريقه، لأننا هكذا نخون إرادته: بأن يكونوا "جميعًا [...] شيئًا واحدًا [...] كي يؤمن العالم" (يو 17، 21). فأمام عيني الرب، الذي يريدنا "كاملين في الوَحَدة" (آية 23)، لم يعد بإمكاننا الاختباء وراء ذرائع وجود اختلافات في التفسير، ولا حتى خلف قرون التاريخ والتقاليد التي جعلتنا غرباء. فكما قال هنا قداسة البابا يوحنا بولس الثاني: "لم يعد لدينا وقت نضيّعه في هذا الصدد! وحدتنا في الربّ يسوع المسيح الواحد، وفي الروح القدس الواحد، وفي المعمودية الواحدة، تمثّل بالفعل واقعًا عميقًا وأساسيًا" (حديث أثناء اللقاء المسكوني، 25 فبراير / شباط 2000). لا وجود، بهذا المعنى، لمسكونيّة قائمة على الأفعال والكلمات والالتزام وحسب، بل هناك مسكونية قائمة بالفعل، تنمو يوميًّا في العلاقة الحيّة مع ربّنا يسوع، وتتجذّر في الإيمان المعلن، وتقوم فعليًّا على سرّ معوديّتنا، أي على كوننا في المسيح "خليقة جديدة" (را. 2 قور 5، 17): باختصار، "رَبٌّ وَاحِدٌ، إِيمَانٌ وَاحِدٌ، مَعْمُودِيَّةٌ وَاحِدَةٌ‏" (أف 4، 5). من هنا ننطلق دائمًا، لاستعجال ذاك اليوم المنشود للغاية، والذي فيه سنكون في وحدة مرئيّة وكاملة على مذبح الربّ.

فنحن لسنا وحدنا، في هذه المسيرة المشوقة والتي – على مثال الحياة – ليست دائمًا سهلة وواضحة، والتي من خلالها يحثنا الربّ للمضي قدمًا. ترافقنا جوقة هائلة من القدّيسين والشهداء، -المتّحدين فيما بينهم اتحادًا تامًا - وتدفعنا لأن نكون، منذ الآن، صورةً حيِّةً "لأورشليم السماوية" (غل 4، 26). ومن بين هؤلاء، يفرح اليوم بشكل خاص بلقائنا، القديسان بطرس ومرقس. فالرباط الذي يجمعهما هو عظيم. يكفي أن نفكّر في أن القدّيس مرقس قد وضع في قلب إنجيله فعل إيمان بطرس: "أَنْتَ هو الْمَسِيحُ!". والتي كانت إجابته على سؤال يسوع – سؤال ما زال حاليًّا-، "وَأَنْتُمْ، مَنْ تَقُولُونَ إِنِّي أَنَا؟" (مر 8، 29). وما زال هناك اليوم أيضًا الكثير من الأشخاص الذين لا يعرفون الإجابة على هذا السؤال؛ بل وقلّ أيضًا حتى مَنْ يطرح هذا السؤال، وخصوصًا مَنْ يقدم، من خلال إجابته، فرحَ معرفة يسوع، هذا الفرح الذي حظينا بنعمة إعلانه سويًّا.

نحن مدعوّون إذا لأن نشهد للمسيح معًا، وأن نحمل للعالم إيماننا، قبل كل شيء بأسلوب الإيمان الخاص: أي بعيشه، لأن حضور يسوع ينتقل عبر الحياة ويتكلّم لغة المحبّة المجّانيّة والملموسة. فبإمكاننا دائمًا، أقباطًا أرثوذكسيين وكاثوليكًا، أن نتكلّم معًا أكثر فأكثر لغةَ المحبّة المشتركة هذه: ومن الجميل أن نسأل أنفسنا، قبل القيام بمبادرة خير، إن كان بإمكاننا أن نقوم بها مع إخوتنا وأخواتنا الذين يتشاركون معنا بالإيمان بيسوع. هكذا، ببنائنا الشركة عبر الواقع اليوميّ الملموس لشهادتنا المعاشة، لن يتوانى الروح في جعل العناية الإلهية تفتح أمامنا دروبها بطرق غير متوقعة.

بهذا الروح الرسولي البنَّاء، ما زلتم، يا صاحب القداسة، تعيرون الكنيسة القبطية الكاثوليكية اهتمامًا خاصًّا أصيلًا وأخويًّا: وهو قُرْبٌ –أعبّر عن أمتناني الكبير من أجله– والذي قد تُرجِم بطريقة تستحقّ الثناء من خلال إنشاء المجلس الوطني للكنائس المسيحية الذي أُنشِّئ بهدف أن يتمكّن المؤمنون بيسوع من أن يعملوا معًا أكثر فأكثر، لصالح المجتمع المصري بأسره. كما أعرب عن تقديري الكبير لكرم الضيافة الذي قدمتموه للقاء الثالث عشر للجنة الدولية المشتركة للحوار اللاهوتي بين الكنيسة الكاثوليكية والكنائس الأرثوذكسية الشرقية، والذي عقد هنا العام الماضي تلبية لدعوتكم. إنها لعلامةٌ جيدة أن تكون قد انعقدت الجلسة التالية هذا العام في روما، وكأنه تعبير عن الاستمرارية الخاصة القائمة بين الكرسي المرقسي والكرسي البطرسي.

يبدو القديس بطرس، في الكتاب المقدس، وكأنه، بطريقة ما، يتبادل محبّته مع القديس مرقس، إذ يدعوه "ابني" (1 بط 5، 13). بيد أن العلاقات الأخوية بين الإنجيلي مرقس وأنشطته الرسولية تخصّ أيضًا القديس بولس، الذي، قبل استشهاده في روما، يتكلّم عن مرقس وعن خدمته المفيدة (را. 2 طيم 4، 11) ويستشهد به مرارًا (را. فل 1، 23؛ قول 4، 10). محبة أخوية وشركة الرسالة: إنهما الرسالتان اللتان تستودعنا إياهما كلمة الله وجذورنا. إنهما البذرتان الانجيليتان اللتان يسرّنا أن نستمرّ في إروائهما وجعلهما ينموان معًا، بعون الله (را. 1 قور 3، 6-7).

إن ما يدعم نضوج مسيرتنا المسكونية، وبطريقة سرّية وحاليّة للغاية، هو أيضًا مسكونية الدم الحقيقية والفعليّة. كتب القديس يوحنا أن يسوع "أَتَى بِمَاءٍ وَدَمٍ" (1 يو 5، 6)؛ ومَن يؤمن به، هكذا "يَغْلِبُ الْعَالَمَ" (1 يو 5، 5). بالماء والدم: أي بعيش حياة جديدة في المعمودية المشتركة، حياة محبّة دائمة وللجميع، وحتى بثمن تضحية الدم. وكم مِن الشهداء في هذه الأرض، منذ القرون الأولى للمسيحية، عاشوا الإيمان بطريقة بطوليّة حتى المنتهى، مفضّلين سفك دمهم على إنكار الربّ والاستسلام لإغراءات الشرّ أو حتى لتجربة الردّ على الشرّ بالشرّ. يشهد على ذلك بطريقة جليلة سنكسار الكنيسة القبطية. وقد تمّ مؤخرًا، وللأسف، إراقة دم بريء لمصلّين عزل وبقسوة. أيها الأخ الحبيب للغاية، كما أن أورشليم السماوية هي واحدة، فإن سنكسار شهدائنا هو كذلك واحد، وآلامكم هي أيضًا آلامنا: إن دمائهم الذكية توحدنا. مستمدّين القوّة من شهادتكم، دعونا نعمل على التصدّي للعنف، كارزين بالخير وباذرينه، وعاملين على نموّ التوافق ومحافظين على الوَحَدة، ومصليِّن كيما تفتح التضحيات العديدة الطريقَ أمام مستقبل شركةٍ تامة فيما بيننا وسلامٍ للجميع.

إن تاريخ القداسة الرائع في هذه الأرض ليس فريدًا لارتباطه بتضحية الشهداء وحسب. فما أن وضعت الاضطهادات القديمة اوزارها، نشأ شكلٌ جديدٌ من الحياة، المكرسة للرب، حياة لا تحتفظ بأي شيء لنفسها: فمن قلب الصحراء، أشرقت الحياة الرهبانية. هكذا، فبعد الآيات العظيمة التي صنعها الربّ في الماضي في مصر وفي البحر الأحمر (را. مز 106، 21 -22)، أتت معجزة حياة جديدة، جعلت الصحراء تزهر بالقداسة. وإكرامًا لهذا التراث المشترك جئت كزائر لهذه الأرض، حيث الربّ نفسه أحبّ المجيء: هنا نزل، ببهاءٍ، على جبل سيناء (را. خر 24، 16). وهنا، طفلا، وبكل تواضع، وجد ملجأً (را. متى 2، 14).

يا صاحب القداسة، أيها الأخ الحبيب للغاية، ليهبنا الربّ ذاته أن ننطلق اليوم مجدّدًا كحجّاج شَرِكةٍ وكمبشّري سَلامٍ. ولتأخذ بيدنا، في هذه المسيرة، تلك التي، على هذه الأرض، رافقت يسوع، والتي أطلق عليها التقليد اللاهوتي المصري العريق، منذ القدم، لقب والدة الإله. ففي هذا اللقب تتوحّد بطريقة رائعة الإنسانية والألوهية، لأنه، في والدة الله، قد صار إنسانا إلى الأبد. ولنطلب من العذراء القدّيسة، والتي تقودنا دومًا إلى المسيح، لنطلب من تلك السيمفونية الكاملة بين الإلهي والإنساني، أن تأتي بقليل من السماء على أرضنا.

[00620-AR.01] [Testo originale: Italiano]

Preghiera ecumenica spontanea del Santo Padre nel Patriarcato Copto ortodosso

Señor Jesús, te pido que nos bendigas. Que bendigas a mi hermano el Papa Tawadros II. Que bendigas a todos mis hermanos Obispos que estamos aquí. Que bendigas a todos mis hermanos cristianos, y que nos lleves por el camino de la caridad y del trabajar juntos hacia la mesa de la Eucaristía. Amén.

[00643-ES.01] [Texto original: Español]

Traduzione in lingua italiana

Signore Gesù, ti chiedo di benedirci. Benedici il mio fratello, Papa Tawadros II, e benedici tutti i fratelli Vescovi che sono qui. Benedici tutti i fratelli cristiani. Guidaci sulla via della carità, del lavorare insieme, alla mensa comune dell’Eucaristia. Amen.

[00643-IT.01] [Testo originale: Spagnolo]

Saluto ai giovani egiziani all’ingresso della Nunziatura Apostolica

Buona sera a tutti voi! Sono contento di trovarvi! So che siete venuti in pellegrinaggio: è vero? Se è vero, è perché voi siete coraggiosi!

Domani avremo la Messa nello stadio, tutti insieme, e pregheremo insieme e canteremo insieme e faremo festa insieme!

Prima di ritirarmi, vorrei pregare con voi. Preghiamo insieme il Padre Nostro.

[Recita del Padre Nostro in arabo]

E adesso vorrei darvi la benedizione, ma prima ognuno di voi pensi alle persone che ama di più; pensi anche alle persone a cui non vuole bene e in silenzio ognuno di voi preghi per queste persone: per quelle a cui vuole bene e per quelle a cui non vuole bene. E vi do la benedizione, a voi e a queste persone.

[Benedizione]

Viva l’Egitto!

[00645-IT.01] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua spagnola

¡Buenas tardes a todos! ¡Estoy muy contento de encontraros aquí! Sé que habéis venido en peregrinación: ¿es verdad? ¡Si es verdad, es que sois unos valientes!

Mañana tendremos la Misa en el estadio, todos juntos, ¡y rezaremos juntos y cantaremos juntos y haremos fiesta juntos!

Antes de retirarme, quisiera rezar con vosotros. Recemos juntos el Padre Nuestro.

[Rezo del Padre Nuestro en árabe]

Y ahora me gustaría daros la bendición, pero antes que cada uno de vosotros piense en las personas a las que más ama; que piense en las personas a las que no quiere y, en silencio, que cada uno de vosotros rece por estas personas: por las que quiere y por las que no quiere. Y os doy la bendición, a vosotros y a estas personas.

[Bendición]

¡Viva Egipto!

[00645-ES.01] [Texto original: Italiano - Traducción no oficial]

[B0278-XX.02]