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Santa Messa in occasione del Giubileo delle persone socialmente escluse, 13.11.2016


Omelia del Santo Padre

Traduzione in lingua francese

Traduzione in lingua inglese

Traduzione in lingua tedesca

Traduzione in lingua spagnola

Traduzione in lingua portoghese

Traduzione in lingua polacca

Alle ore 10 di questa mattina, nella Basilica Vaticana, il Santo Padre Francesco ha presieduto la Celebrazione Eucaristica in occasione del “Giubileo delle persone socialmente escluse”, indetto dall’11 al 13 novembre nel contesto dell’Anno della Misericordia.

Pubblichiamo di seguito l’omelia che Papa Francesco ha pronunciato dopo la proclamazione del Vangelo:

Omelia del Santo Padre

«Per voi […] sorgerà con raggi benefici il sole di giustizia» (Ml 3,20). Le parole del profeta Malachia, che abbiamo ascoltato nella prima lettura, illuminano la celebrazione di questa giornata giubilare. Si trovano all’ultima pagina dell’ultimo profeta dell’Antico Testamento e sono rivolte a coloro che hanno fiducia nel Signore, che ripongono la loro speranza in lui, scegliendolo come sommo bene della vita e rifiutando di vivere solo per sé e per i propri interessi. Per costoro, poveri di sé ma ricchi di Dio, sorgerà il sole della sua giustizia: essi sono i poveri in spirito, cui Gesù promette il regno dei cieli (cfr Mt 5,3) e che Dio, per bocca del profeta Malachia, chiama «mia proprietà particolare» (Ml 3,17). Il profeta li oppone ai superbi, a coloro che hanno posto nella loro autosufficienza e nei beni del mondo la sicurezza della vita. Di fronte a questa pagina finale dell’Antico Testamento, nascono domande che interpellano il senso ultimo della vita: dove cerco io la mia sicurezza? Nel Signore o in altre sicurezze che non piacciono a Dio? Dov’è diretta la mia vita, dove punta il mio cuore? Verso il Signore della vita o verso cose che passano e non saziano?

Questioni simili appaiono nell’odierno brano evangelico. Gesù si trova a Gerusalemme, per l’ultima e più importante pagina della sua vita terrena: la sua morte e risurrezione. È nei pressi del tempio, «ornato di belle pietre e di doni votivi» (Lc 21,5). La gente sta proprio parlando delle bellezze esteriori del tempio, quando Gesù dice: «Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra» (v. 6). Aggiunge che non mancheranno conflitti, carestie, sconvolgimenti nella terra e nel cielo. Gesù non vuole impaurire, ma dirci che tutto quel che vediamo, inesorabilmente, passa. Anche i regni più potenti, gli edifici più sacri e le realtà più stabili del mondo, non durano per sempre; prima o poi, cadono.

Di fronte a queste affermazioni, la gente pone subito due domande al Maestro: «Quando accadranno queste cose e quale sarà il segno»? (v. 7). Quando e quale… Sempre siamo spinti dalla curiosità: si vuole sapere quando e ricevere dei segni. Ma a Gesù questa curiosità non piace. Al contrario, Egli esorta a non lasciarci ingannare dai predicatori apocalittici. Chi segue Gesù non presta ascolto ai profeti di sventura, alle vanità degli oroscopi, alle predicazioni e alle predizioni che ingenerano paure, distraendo da ciò che conta. Tra le tante voci che si sentono, il Signore invita a distinguere ciò che viene da Lui e ciò che viene dallo spirito falso. È importante: distinguere l’invito sapiente che Dio ci rivolge ogni giorno dal clamore di chi si serve del nome di Dio per spaventare, alimentare divisioni e paure.

Gesù invita fermamente a non avere paura di fronte agli sconvolgimenti di ogni epoca, nemmeno di fronte alle prove più gravi e ingiuste che capitano ai suoi discepoli. Egli chiede di perseverare nel bene e di porre piena fiducia in Dio, che non delude: «Nemmeno un capello del vostro capo sarà perduto» (v. 18). Dio non dimentica i suoi fedeli, la sua proprietà preziosa, che siamo noi.

Ma ci interpella oggi sul senso della nostra esistenza. Con un’immagine, si potrebbe dire che queste letture si pongono come un “setaccio” in mezzo al fluire della nostra vita: ci ricordano che quasi tutto in questo mondo passa, come l’acqua che scorre via; ma ci sono realtà preziose che rimangono, come una pietra preziosa in un setaccio. Che cosa resta, che cosa ha valore nella vita, quali ricchezze non svaniscono? Sicuramente due: il Signore e il prossimo. Queste due ricchezze non svaniscono! Questi sono i beni più grandi, da amare. Tutto il resto – il cielo, la terra, le cose più belle, anche questa Basilica – passa; ma non dobbiamo escludere dalla vita Dio e gli altri.

Eppure proprio oggi, quando si parla di esclusione, vengono subito in mente persone concrete; non cose inutili, ma persone preziose. La persona umana, posta da Dio al culmine del creato, viene spesso scartata, perché si preferiscono le cose che passano. E questo è inaccettabile, perché l’uomo è il bene più prezioso agli occhi di Dio. Ed è grave che ci si abitui a questo scarto; bisogna preoccuparsi, quando la coscienza si anestetizza e non fa più caso al fratello che ci soffre accanto o ai problemi seri del mondo, che diventano solo ritornelli già sentiti nelle scalette dei telegiornali.

Oggi, cari fratelli e sorelle, è il vostro Giubileo, e con la vostra presenza ci aiutate a sintonizzarci sulla lunghezza d’onda di Dio, a guardare quello che guarda Lui: Egli non si ferma all’apparenza (cfr 1 Sam 16,7), ma rivolge lo sguardo «sull’umile e su chi ha lo spirito contrito» (Is 66,2), sui tanti poveri Lazzaro di oggi. Quanto ci fa male fingere di non accorgerci di Lazzaro che viene escluso e scartato (cfr Lc 16,19-21)! È voltare la faccia a Dio. È voltare la faccia a Dio! È un sintomo di sclerosi spirituale quando l’interesse si concentra sulle cose da produrre, invece che sulle persone da amare. Così nasce la tragica contraddizione dei nostri tempi: quanto più aumentano il progresso e le possibilità, il che è un bene, tanto più vi sono coloro che non possono accedervi. È una grande ingiustizia che deve preoccuparci, molto più di sapere quando e come sarà la fine del mondo. Perché non si può stare tranquilli in casa mentre Lazzaro giace alla porta; non c’è pace in casa di chi sta bene, quando manca giustizia nella casa di tutti.

Oggi, nelle cattedrali e nei santuari di tutto il mondo si chiudono le Porte della Misericordia. Chiediamo la grazia di non chiudere gli occhi davanti a Dio che ci guarda e dinanzi al prossimo che ci interpella. Apriamo gli occhi a Dio, purificando la vista del cuore dalle rappresentazioni ingannevoli e paurose, dal dio della potenza e dei castighi, proiezione della superbia e del timore umani. Guardiamo con fiducia al Dio della misericordia, con la certezza che «la carità non avrà mai fine» (1 Cor 13,8). Rinnoviamo la speranza della vita vera cui siamo chiamati, quella che non passerà e che ci attende in comunione con il Signore e con gli altri, in una gioia che durerà per sempre, e senza fine.

E apriamo gli occhi al prossimo, soprattutto al fratello dimenticato ed escluso, al “Lazzaro” che giace davanti alla nostra porta. Lì punta la lente d’ingrandimento della Chiesa. Che il Signore ci liberi dal rivolgerla verso di noi. Ci distolga dagli orpelli che distraggono, dagli interessi e dai privilegi, dagli attaccamenti al potere e alla gloria, dalla seduzione dello spirito del mondo. La nostra Madre Chiesa guarda «in particolare a quella parte dell’umanità che soffre e piange, perché sa che queste persone le appartengono per diritto evangelico» (PAOLO VI, Allocuzione all’inizio della II Sessione del Concilio Vaticano II, 29 settembre 1963). Per diritto, e anche per dovere evangelico, perché è nostro compito prenderci cura della vera ricchezza che sono i poveri. Alla luce di queste riflessioni, vorrei che oggi fosse la “giornata dei poveri”. Ce lo ricorda bene un’antica tradizione, riguardante il santo martire romano Lorenzo. Egli, prima di sostenere un atroce martirio per amore del Signore, distribuì i beni della comunità ai poveri, da lui qualificati come veri tesori della Chiesa. Ci conceda il Signore di guardare senza paura a ciò che conta, di dirigere il cuore verso di Lui e verso i nostri veri tesori.

[01830-IT.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua francese

«Pour vous […] le Soleil de justice se lèvera: il apportera la guérison dans son rayonnement» (Ml 3, 20). Les paroles du prophète Malachie, que nous avons entendues dans la première lecture, éclairent la célébration cette journée jubilaire. Elles se trouvent à la dernière page du dernier prophète de l’Ancien Testament et sont adressées à ceux qui ont confiance dans le Seigneur, qui mettent leur espérance en lui, en le choisissant comme le bien suprême de la vie et en refusant de vivre uniquement pour soi et pour ses intérêts personnels. Pour ceux-là, pauvres de soi mais riches de Dieu, se lèvera le soleil de sa justice: ils sont les pauvres en esprit, à qui Jésus promet le royaume des cieux (cf. Mt 5, 3) et que Dieu, par la bouche du prophète Malachie, appelle «mon domaine particulier» (Ml 3, 17). Le prophète les oppose aux superbes, à ceux qui ont mis la sécurité de la vie dans leur autosuffisance et dans les biens du monde. Derrière cette page finale de l’Ancien Testament, se cachent des questions qui interpellent sur le sens dernier de la vie: où est-ce que moi je cherche ma sécurité? Dans le Seigneur ou dans d’autres sécurités qui ne plaisent pas à Dieu? Vers où s’oriente ma vie, vers où se dirige mon cœur? Vers le Seigneur de la vie ou vers des choses qui passent et ne comblent pas?

Des questions similaires apparaissent dans le passage de l’Évangile d’aujourd’hui. Jésus se trouve à Jérusalem, pour la dernière et la plus importante page de sa vie terrestre: sa mort et sa résurrection. C’est aux alentours du temple, orné «de belles pierres et d’ex-voto» (Lc 21, 5). Les gens sont précisément en train de parler des beautés extérieures du temple, lorsque Jésus dit: «Ce que vous voyez, des jours viendront où il n’en restera pas pierre sur pierre» (v. 6). Il ajoute qu’il ne manquera pas de conflits, de famines, de bouleversements sur la terre et dans le ciel. Jésus ne veut pas effrayer, mais nous dire que tout ce que nous voyons passe inexorablement. Même les royaumes les plus puissants, les édifices les plus sacrés et les réalités les plus stables du monde ne durent pas pour toujours. Tôt tout tard, ils s’effondrent.

Face à ces affirmations, les gens posent immédiatement deux questions au Maître: «Quand cela arrivera-t-il? Et quel sera le signe que cela est sur le point d’arriver?» (v. 7). Quand et quel… Nous sommes toujours poussés par la curiosité: on veut savoir quand et avoir des signes. Mais cette curiosité ne plaît pas à Jésus. Au contraire, il exhorte à ne pas se laisser tromper par les prédicateurs apocalyptiques. Celui qui suit Jésus ne prête pas l’oreille aux prophètes de malheur, aux vanités des horoscopes, aux prédications et aux prédictions qui suscitent peur, en distrayant de ce qui compte. Parmi les nombreuses voix qui se font entendre, le Seigneur invite à distinguer ce qui vient de lui et ce qui vient de l’esprit faux. C’est important: distinguer l’invitation sage que Dieu nous adresse chaque jour de la clameur de celui qui se sert du nom de Dieu pour effrayer, alimenter des divisions et des peurs.

Jésus invite fermement à ne pas avoir peur face aux bouleversements de chaque époque, même pas face aux plus graves et plus injustes épreuves qui arrivent à ces disciples. Il demande de persévérer dans le bien et dans la pleine confiance mise en Dieu, qui ne déçoit pas: «Mais pas un cheveu de votre tête ne sera perdu» (v. 18). Dieu n’oublie pas ses fidèles, son précieux domaine, que nous sommes.

Mais il nous interpelle aujourd’hui sur le sens de notre existence. Par une image, on pourrait dire que ces lectures se présentent comme un ‘‘tamis’’ dans le déroulement de notre vie: elles nous rappellent que presque tout en ce monde passe, comme l’eau qui coule; mais il y a de précieuses réalités qui demeurent, comme une pierre précieuse sur le tamis. Qu’est-ce qui reste, qu’est-ce qui a de la valeur dans la vie, quelles richesses ne s’évanouissent pas? Sûrement deux: le Seigneur et le prochain. Ces deux richesses ne s’évanouissent pas. Voilà les plus grands biens à aimer. Tout le reste – le ciel, la terre, les choses les plus belles, même cette Basilique – passe, mais nous ne devons pas exclure de notre vie Dieu et les autres.

Néanmoins, précisément aujourd’hui, lorsqu’on parle d’exclusion, viennent à l’esprit immédiatement des personnes concrètes; pas des choses inutiles, mais des personnes précieuses. La personne humaine, placée par Dieu au sommet de la création, est souvent rejetée, car on préfère les choses qui passent. Et cela est inacceptable, parce que l’homme est le bien le plus précieux aux yeux de Dieu. Et c’est grave qu’on s’habitue à ce rejet; il faut s’inquiéter, lorsque la conscience est anesthésiée et ne prête plus attention au frère qui souffre à côté de nous ou aux problèmes sérieux du monde, qui deviennent seulement des refrains entendus dans les revues de presse des journaux télévisés.

Aujourd’hui, chers frères et sœurs, c’est votre jubilé, et par votre présence, vous nous aidez à nous harmoniser sur la longueur d’onde de Dieu, à regarder ce que lui regarde: il ne s’arrête pas à l’apparence (cf. 1 Sam 16, 7), mais dirige son regard vers «le pauvre, celui qui a l’esprit abattu» (Is 66, 2), vers les nombreux pauvres Lazare d’aujourd’hui. Que cela nous fait mal de feindre de ne pas apercevoir Lazare qui est exclu et rejeté (cf. Lc 16, 19-21)! C’est tourner le dos à Dieu. C’est tourner le dos à Dieu! C’est un symptôme de sclérose spirituelle lorsque l’intérêt se concentre sur les choses à produire plutôt que sur les personnes à aimer. Ainsi naît la contradiction tragique de nos temps: plus augmentent le progrès et les possibilités, ce qui est un bien, plus il y a de gens qui ne peuvent pas y accéder. C’est une grande injustice qui doit nous préoccuper, beaucoup plus que de savoir quand et comment il y aura la fin du monde. En effet, on ne peut pas rester tranquille chez soi tandis que Lazare se trouve à la porte; il n’y a pas de paix chez celui qui vit bien, lorsque manque la justice dans la maison de tout le monde.

Aujourd’hui, dans les cathédrales et dans les sanctuaires du monde entier, se ferment les Portes de la Miséricorde. Demandons la grâce de ne pas fermer les yeux face à Dieu qui nous regarde et devant le prochain qui nous interpelle. Ouvrons les yeux sur Dieu, en purifiant la vue du cœur des représentations trompeuses et effrayantes, du dieu du pouvoir et des châtiments, projections de l’orgueil et de la crainte des hommes. Regardons avec confiance le Dieu de la miséricorde, avec la certitude que «l’amour ne passera jamais» (1 Co 13, 8). Renouvelons l’espérance de la vraie vie à laquelle nous sommes appelés, celle qui ne passera pas et qui nous attend en communion avec le Seigneur et avec les autres, dans une joie qui durera pour toujours, sans fin.

Et ouvrons nos yeux sur le prochain, surtout sur le frère oublié et exclu, sur le «Lazare» qui gît devant notre porte. Sur eux pointe la loupe d’agrandissement de l’Église. Que le Seigneur nous libère du fait de diriger cette loupe vers nous-mêmes. Qu’il nous détache des oripeaux qui distraient, des intérêts et des privilèges, de l’attachement au pouvoir et à la gloire, de la séduction de l’esprit du monde. Notre Mère l’Église regarde «en particulier cette partie de l’humanité qui souffre et pleure, car elle sait que ces personnes lui appartiennent par droit évangélique» (Paul VI, Allocution inaugurale de la 2ème Session du Concile Vatican II, 29 septembre 1963). Par droit et aussi par devoir évangélique, car c’est notre tâche de prendre soin de la vraie richesse que sont les pauvres. A la lumière de ces réflexions, je voudrais qu’aujourd’hui soit la «journée des pauvres». Une antique tradition, concernant le saint martyr romain Laurent, nous le rappelle bien. Avant de subir un atroce martyre par amour pour le Seigneur, il a distribué les biens de la communauté aux pauvres, qu’il a qualifiés de vrais trésors de l’Église. Que le Seigneur nous accorde de regarder sans peur ce qui compte, de diriger notre cœur vers lui et vers nos vrais trésors.

[01830-FR.02] [Texte original: Italien]

Traduzione in lingua inglese

“For you… the sun of justice shall rise, with healing in its wings” (Mal 4:2). The words of the Prophet Malachi, which we heard in the first reading, shed light on today’s Jubilee. They come to us from the last page of the last Old Testament prophet. They are words directed to those who trust in the Lord, who place their hope in him, who see in him life’s greatest good and refuse to live only for themselves and their own interests. For those who are materially poor but rich in God, the sun of justice will rise. These are the poor in spirit, to whom Jesus promised the kingdom of heaven (cf. Mt 5:3) and whom God, through the words of the Prophet Malachi, calls “my special possession” (Mal 3:17). The prophet contrasts them with the proud, those who seek a secure life in their self-sufficiency and their earthly possessions. This last page of the Old Testament raises challenging questions about the ultimate meaning of life: where do I look for security? In the Lord or in other forms of security not pleasing to God? Where is my life headed, what does my heart long for? The Lord of life or ephemeral things that cannot satisfy?

Similar questions appear in today’s Gospel. Jesus is in Jerusalem for the last and most important page of his earthly life: his death and resurrection. He is in the precincts of the Temple, “adorned with noble stones and offerings” (Lk 21:5). People were speaking of the beautiful exterior of the temple, when Jesus says: “The days will come when there shall not be left here one stone upon another” (v. 6). He adds that there will be no lack of conflicts, famine, convulsions on earth and in the heavens. Jesus does not want to frighten us, but to tell us that everything we now see will inevitably pass away. Even the strongest kingdoms, the most sacred buildings and the surest realities of this world do not last for ever; sooner or later they fall.

In response, people immediately put two questions to the Master: “When will this be, and what will be the sign?” (v. 7). When and what… We are constantly driven by curiosity: we want to know when and we want to see signs. Yet Jesus does not care for such curiosity. On the contrary, he exhorts us not to be taken in by apocalyptic preachers. Those who follow Jesus pay no heed to prophets of doom, the nonsense of horoscopes, or terrifying sermons and predictions that distract from the truly important things. Amid the din of so many voices, the Lord asks us to distinguish between what is from him and what is from the false spirit. This is important: to distinguish the word of wisdom that the God speaks to us each day from the shouting of those who seek in God’s name to frighten, to nourish division and fear.

Jesus firmly tells us not to be afraid of the upheavals in every period of history, not even in the face of the most serious trials and injustices that may befall his disciples. He asks us to persevere in the good and to place all our trust in God, who does not disappoint: “Not a hair of your head will perish” (v. 18). God does not forget his faithful ones, his precious possession. He does not forget us.

Today, however, he questions us about the meaning of our lives. Using an image, we could say that these readings serve as a “strainer” through which our life can be poured: they remind us that almost everything in this world is passing away, like running water. But there are treasured realities that remain, like a precious stone in a strainer. What endures, what has value in life, what riches do not disappear? Surely these two: the Lord and our neighbour. These two riches do no disappear! These are the greatest goods; these are to be loved. Everything else – the heavens, the earth, all that is most beautiful, even this Basilica – will pass away; but we must never exclude God or others from our lives.

Today, though, when we speak of exclusion, we immediately think of concrete people, not useless objects but precious persons. The human person, set by God at the pinnacle of creation, is often discarded, set aside in favour of ephemeral things. This is unacceptable, because in God’s eyes man is the most precious good. It is ominous that we are growing used to this rejection. We should be worried when our consciences are anaesthetized and we no longer see the brother or sister suffering at our side, or notice the grave problems in our world, which become a mere refrain familiar from the headlines on the evening news.

Dear brothers and sisters, today is your Jubilee. Your presence here helps us to be attuned to God’s wavelength, to see what he sees. He sees not only appearances (cf. 1 Sam 16:7), but turns his gaze to the “humble and contrite in spirit” (Is 66:2), to the many poor Lazaruses of our day. What harm we do to ourselves when we fail to notice Lazarus, excluded and cast out (cf. Lk 16:19-21)! It is turning away from God himself. It is the symptom of a spiritual sclerosis when we are only interested in objects to be produced rather than on persons to be loved. This is the origin of the tragic contradiction of our age: as progress and new possibilities increase, which is a good thing, less and less people are able to benefit from them. This is a great injustice that should concern us much more than knowing when or how the world will end. Because we cannot go about our business quietly at home while Lazarus lies at the door. There is no peace in the homes of the prosperous as long as justice is lacking in the home of everyone.

Today, in the cathedrals and sanctuaries throughout the world, the Doors of Mercy are being closed. Let us ask for the grace not to close our eyes to God who sees us and to our neighbour who asks something of us. Let us open our eyes to God, purifying the eye of our hearts of deceitful and fearful images, from the god of power and retribution, the projection of human pride and fear. Let us look with trust to the God of mercy, with the certainty that “love never ends” (1 Cor 13:8). Let us renew our hope in the true life to which we are called, the life that will not pass away and that awaits us in communion with the Lord and with others, in a joy that will last forever, without end.

And let us open our eyes to our neighbour, especially to our brothers and sisters who are forgotten and excluded, to the “Lazarus” at our door. That is where the Church’s magnifying glass is pointed. May the Lord free us from turning it towards ourselves. May he turn us away from the trappings that distract us, from interests and privileges, from attachment to power and glory, from being seduced by the spirit of the world. Our Mother the Church looks “in particular to that portion of humanity that is suffering and crying out, because she knows that these people belong to her by evangelical right” (PAUL VI, Address at the beginning of the Second Session of the Second Vatican Council, 29 September 1963).

By right but also by evangelical duty, for it is our responsibility to care for the true riches which are the poor. In the light of these reflections, I would like today to be the “day of the poor”. We are reminded of this by an ancient tradition according to which the Roman martyr Lawrence, before suffering a cruel martyrdom for the love of the Lord, distributed the goods of the community to the poor, whom he described as the true treasure of the Church. May the Lord grant that we may look without fear to what truly matters, and turn our hearts to our true treasure.

[01830-EN.02] [Original text: Italian]

Traduzione in lingua tedesca

»Für euch […] wird die Sonne der Gerechtigkeit aufgehen und ihre Flügel bringen Heilung« (Mal 3,20). Die Worte des Propheten Maleachi, die wir in der ersten Lesung gehört haben, werfen ein Licht auf die Feier dieses Jubiläumstages. Sie stehen im letzten Kapitel des letzten Propheten des Alten Testaments und sind an diejenigen gerichtet, die auf den Herrn vertrauen, die ihre Hoffnung auf ihn setzen, indem sie ihn als das höchste Gut ihres Lebens wählen und sich weigern, nur für sich selbst und die eigenen Interessen zu leben. Für diese, die arm an sich selbst, aber reich an Gott sind, wird die Sonne der Gerechtigkeit aufgehen: Sie sind die Armen vor Gott, denen Jesus das Himmelreich verspricht (vgl. Mt 5,3) und die Gott durch den Propheten Maleachi »mein besonderes Eigentum« nennt (3,17). Der Prophet stellt sie den Überheblichen entgegen, denen, die die Sicherheit für ihr Leben auf ihre Selbständigkeit und die Güter der Welt gegründet haben. Angesichts dieses letzten Abschnitts des Alten Testaments kommen Fragen auf, die den eigentlichen Sinn des Lebens angehen: Wo suche ich meine Sicherheit? Im Herrn oder in anderen Sicherheiten, die Gott nicht gefallen? Wohin ist mein Leben ausgerichtet, wohin strebt mein Herz? Zum Herrn des Lebens oder zu Dingen, die vergehen und nicht sättigen?

Ähnliche Fragen erscheinen im heutigen Evangelium. Jesus ist in Jerusalem, und zwar für die letzte und wichtigste Etappe seines Erdenlebens: seinen Tod und seine Auferstehung. Er befindet sich in der Nähe des Tempels, der »mit schönen Steinen und Weihegeschenken geschmückt« ist (Lk 21,5). Die Leute sprechen gerade von der äußeren Schönheit des Tempels, als Jesus sagt: »Es wird eine Zeit kommen, da wird von allem, was ihr hier seht, kein Stein auf dem andern bleiben« (Lk 21,6). Und er fügt hinzu, dass Konflikte, Hungersnöte sowie umwälzende Ereignisse auf der Erde und am Himmel nicht ausbleiben werden. Jesus will nicht Angst schüren, sondern er will uns sagen, dass alles, was wir sehen, unabwendbar vergehen wird. Auch die mächtigsten Reiche, die heiligsten Bauten und die stabilsten Realitäten der Welt dauern nicht ewig fort; irgendwann gehen sie unter und fallen zusammen.

Angesichts dieser Behauptungen stellen die Leute dem Meister sofort zwei Fragen: »Wann wird das geschehen und an welchem Zeichen wird man erkennen, dass es beginnt?« (V. 7) Wann und welches Zeichen… Immer werden wir von Neugier getrieben: Man will das Wann erfahren und Zeichen erhalten. Aber Jesus gefällt diese Neugier nicht. Im Gegenteil, er fordert uns auf, uns nicht von den apokalyptischen Predigern täuschen zu lassen. Wer Jesus nachfolgt, schenkt den Unheilspropheten, den Nutzlosigkeiten der Horoskope und den Angst einflößenden Predigten und Weissagungen, die von dem ablenken, worauf es ankommt, kein Gehör. Der Herr lädt uns ein, unter den vielen Stimmen, die man hört, zu unterscheiden, was von ihm und was vom Geist der Lüge kommt. Es ist wichtig, die weise Einladung, die Gott jeden Tag an uns richtet, von dem Lärm derer zu unterscheiden, die sich des Namens Gottes bedienen, um Schrecken zu verbreiten und Spaltungen und Ängste zu schüren.

Jesus fordert uns nachdrücklich auf, keine Angst zu haben vor den Erschütterungen jeglicher Epoche, nicht einmal vor den schwersten und ungerechtesten Prüfungen, die seinen Jüngern widerfahren. Er verlangt, im Guten auszuharren und volles Vertrauen auf Gott zu setzen, der nicht enttäuscht: »Und doch wird euch kein Haar gekrümmt werden« (V. 18). Gott vergisst seine Gläubigen, sein kostbares Eigentum, das wir sind, nicht.

Aber er befragt uns heute über den Sinn unseres Lebens. Mit einem Bild könnte man sagen, dass diese Lesungen sich wie ein „Sieb“ mitten in das Dahinfließen unseres Lebens setzen: Sie erinnern uns daran, dass fast alles in dieser Welt vergeht wie das Wasser, das verrinnt, dass es aber kostbare Wirklichkeiten gibt, die bleiben – wie ein kostbarer Stein in einem Sieb. Was bleibt, was ist wertvoll im Leben, welche Reichtümer schwinden nicht dahin? Sicher zwei: der Herr und der Nächste. Diese beiden Reichtümer schwinden nicht dahin! Das sind die größten Güter, die man lieben soll; alles andere – der Himmel, die Erde, die schönsten Dinge, auch diese Basilika – all das vergeht, aber Gott und die anderen dürfen wir nicht aus unserem Leben ausschließen.

Und doch kommen einem gerade heute, wenn von Ausschließung die Rede ist, sofort konkrete Menschen in den Sinn – nicht nutzlose Dinge, sondern wertvolle Menschen. Die menschliche Person, die Gott an die Spitze der Schöpfung gestellt hat, wird oft ausgesondert, weil man den vergänglichen Dingen den Vorzug gibt. Und das ist unannehmbar, denn der Mensch ist in Gottes Augen das kostbarste Gut. Und es ist gravierend, dass man sich an diese Aussonderung gewöhnt. Es ist Anlass zur Sorge, wenn das Gewissen taub wird und den Mitmenschen, der neben uns leidet, nicht mehr wahrnimmt oder die ernsten Probleme der Welt nicht mehr beachtet und diese zu bloßen, in den Nachrichtensendungen immer wieder gehörten Refrains werden.

Heute, liebe Brüder und Schwestern, ist euer Jubiläum, und mit eurer Anwesenheit helft ihr uns, uns auf die Wellenlänge Gottes einzustellen und das in den Blick zu nehmen, auf das er schaut: Er bleibt nicht beim äußeren Schein stehen (vgl. 1Sam 16,7), sondern schaut »auf den Armen und Zerknirschten« (Jes 66,2), auf die vielen armen „Lazarusse“ von heute. Wie sehr ist es doch zu unserem eigenen Schaden, wenn wir so tun, als bemerkten wir Lazarus nicht, der ausgeschlossen und „weggeworfen“ wird (vgl. Lk 16,19-21)! Das bedeutet, das Gesicht von Gott abzuwenden. Das bedeutet, das Gesicht von Gott abzuwenden! Es ist ein Symptom von geistiger Sklerose, wenn das Interesse sich auf die Dinge konzentriert, die man produzieren will, anstatt auf die Menschen, die man lieben sollte. So entsteht der tragische Widerspruch unserer Zeit: Je mehr der Fortschritt und die Chancen wachsen, was an sich etwas Gutes ist, umso mehr Menschen gibt es, die dazu keinen Zugang haben. Das ist eine große Ungerechtigkeit, um die wir uns weit mehr sorgen müssen, als darum, zu wissen, wann und wie das Ende der Welt sein wird. Denn man darf nicht ruhig im Hause bleiben, während Lazarus vor der Tür liegt; es gibt keinen Frieden im Hause des Wohlhabenden, wenn es im Hause aller an Gerechtigkeit fehlt.

Heute werden in den Kathedralen und Heiligtümern der ganzen Welt die Pforten der Barmherzigkeit geschlossen. Bitten wir um die Gnade, dass wir nicht unsere Augen verschließen vor Gott, der uns anschaut, und vor dem Nächsten, der uns auf den Plan ruft. Öffnen wir die Augen für Gott, indem wir den Blick unseres Herzens reinigen von den trügerischen und erschreckenden Vorstellungen, vom „Gott“ der Macht und der Strafen, einer Projektion menschlicher Überheblichkeit und Furcht. Schauen wir vertrauensvoll auf den Gott des Erbarmens, in der Gewissheit, dass »die Liebe niemals aufhört« (vgl. 1Kor 13,8). Erneuern wir unsere Hoffnung auf das wahre Leben, zu dem wir berufen sind, jenes Leben, das nicht vergeht und das uns in der Gemeinschaft mit dem Herrn und mit den anderen erwartet, in einer Freude, die ewig anhalten wird und ohne Ende.

Und öffnen wir die Augen für den Nächsten, vor allem für den vergessenen und ausgeschlossenen Mitmenschen. Für den „Lazarus“, der vor unserer Tür liegt. Er steht im Brennpunkt der Lupe der Kirche. Und der Herr bewahre uns davor, diese Lupe auf uns selber zu richten. Er bringe uns von zerstreuendem Blendwerk ab, von Eigennutz und Privilegien, vom Streben nach Macht und Ruhm, von der Verlockung durch den Geist der Welt. Unsere Mutter Kirche schaut »besonders auf den leidenden und weinenden Teil der Menschheit, weil sie weiß, dass diese Menschen ihr aufgrund eines im Evangelium verbuchten Rechtes angehören« (Paul VI., Ansprache zu Beginn der zweiten Sitzung des Zweiten Vatikanischen Konzils, 29. September 1963). Aufgrund eines Rechtes und auch aufgrund einer im Evangelium verankerten Pflicht, denn es ist unsere Aufgabe, uns um unseren wahren Reichtum, nämlich die Armen, zu kümmern. Im Licht dieser Gedanken möchte ich, dass heute der „Tag der Armen“ ist. Daran erinnert uns eine alte Überlieferung vom heiligen römischen Märtyrer Laurentius. Bevor er aus Liebe zum Herrn ein grausames Martyrium erlitt, verteilte er die Güter der Gemeinde an die Armen, die er als die wahren Schätze der Kirche bezeichnete. Möge uns der Herr gewähren, dass wir furchtlos auf das blicken, worauf es ankommt, und unser Herz auf ihn und auf unsere wahren Schätze ausrichten.

[01830-DE.02] [Originalsprache: Italienisch]

Traduzione in lingua spagnola

«Os iluminará un sol de justicia que lleva la salud en las alas» (Ml 3,20). Las palabras del profeta Malaquías, que hemos escuchado en la primera lectura, iluminan la celebración de esta jornada jubilar. Se encuentran en la última página del último profeta del Antiguo Testamento y están dirigidas a aquellos que confían en el Señor, que ponen su esperanza en él, que ponen nuevamente su esperanza en él, eligiéndolo como el bien más alto de sus vidas y negándose a vivir sólo para sí mismos y su intereses personales. Para ellos, pobres de sí mismos pero ricos de Dios, amanecerá el sol de su justicia: ellos son los pobres en el espíritu, a los que Jesús promete el reino de los cielos (cf. Mt 5,3), y Dios, por medio del profeta Malaquías, llama mi «propiedad personal» (Ml 3,17). El profeta los contrapone a los arrogantes, a los que han puesto la seguridad de su vida en su autosuficiencia y en los bienes del mundo. La lectura de esta última página del Antiguo Testamento suscita preguntas que nos interrogan sobre el significado último de la vida: ¿En dónde pongo yo mi seguridad? ¿En el Señor o en otras seguridades que no le gustan a Dios? ¿Hacia dónde se dirige mi vida, hacia dónde está orientado mi corazón? ¿Hacia el Señor de la vida o hacia las cosas que pasan y no llenan?

Preguntas similares se encuentran en el pasaje del Evangelio de hoy. Jesús está en Jerusalén para escribir la última y más importante página de su vida terrena: su muerte y resurrección. Está cerca del templo, «adornado de bellas piedras y ofrendas votivas» (Lc 21,5). La gente estaba hablando de la belleza exterior del templo, cuando Jesús dice: «Esto que contempláis, llegará un día en que no quedará piedra sobre piedra» (v. 6). Añade que habrá conflictos, hambre, convulsión en la tierra y en el cielo. Jesús no nos quiere asustar, sino advertirnos de que todo lo que vemos pasa inexorablemente. Incluso los reinos más poderosos, los edificios más sagrados y las cosas más estables del mundo, no duran para siempre; tarde o temprano caerán.

Ante estas afirmaciones, la gente inmediatamente plantea dos preguntas al Maestro: «¿Cuándo va a ser eso?, ¿y cuál será la señal de que todo eso está para suceder?» (v. 7). Cuando y cuál… Siempre nos mueve la curiosidad: se quiere saber cuándo y recibir señales. Pero esta curiosidad a Jesús no le gusta. Por el contrario, él nos insta a no dejarnos engañar por los predicadores apocalípticos. El que sigue a Jesús no hace caso a los profetas de desgracias, a la frivolidad de los horóscopos, a las predicaciones y a las predicciones que generan temores, distrayendo la atención de lo que sí importa. Entre las muchas voces que se oyen, el Señor nos invita a distinguir lo que viene de Él y lo que viene del falso espíritu. Es importante distinguir la llamada llena de sabiduría que Dios nos dirige cada día del clamor de los que utilizan el nombre de Dios para asustar, alimentar divisiones y temores.

Jesús invita con fuerza a no tener miedo ante las agitaciones de cada época, ni siquiera ante las pruebas más severas e injustas que afligen a sus discípulos. Él pide que perseveren en el bien y pongan toda su confianza en Dios, que no defrauda: «Ni un cabello de vuestra cabeza perecerá» (v. 18). Dios no se olvida de sus fieles, su valiosa propiedad, que somos nosotros.

Pero hoy nos interpela sobre el sentido de nuestra existencia. Usando una imagen, se podría decir que estas lecturas se presentan como un «tamiz» en medio de la corriente de nuestra vida: nos recuerdan que en este mundo casi todo pasa, como el agua que corre; pero hay cosas importantes que permanecen, como si fueran una piedra preciosa en un tamiz. ¿Qué es lo que queda?, ¿qué es lo que tiene valor en la vida?, ¿qué riquezas son las que no desaparecen? Sin duda, dos: El Señor y el prójimo. Estas dos riquezas no desaparecen. Estos son los bienes más grandes, para amar. Todo lo demás ―el cielo, la tierra, las cosas más bellas, también esta Basílica― pasa; pero no debemos excluir de la vida a Dios y a los demás.

Sin embargo, precisamente hoy, cuando hablamos de exclusión, vienen rápido a la mente personas concretas; no cosas inútiles, sino personas valiosas. La persona humana, colocada por Dios en la cumbre de la creación, es a menudo descartada, porque se prefieren las cosas que pasan. Y esto es inaceptable, porque el hombre es el bien más valioso a los ojos de Dios. Y es grave que nos acostumbremos a este tipo de descarte; es para preocuparse, cuando se adormece la conciencia y no se presta atención al hermano que sufre junto a nosotros o a los graves problemas del mundo, que se convierten solamente en una cantinela ya oída en los titulares de los telediarios.

Hoy, queridos hermanos y hermanas, es vuestro Jubileo, y con vuestra presencia nos ayudáis a sintonizar con Dios, para ver lo que él ve: Él no se queda en las apariencias (cf. 1 S 16,7 ), sino que pone sus ojos «en el humilde y abatido» (Is 66.2), en tantos pobres Lázaros de hoy. Cuánto mal nos hace fingir que no nos damos cuenta de Lázaro que es excluido y rechazado (cf. Lc 16,19-21). Es darle la espalda a Dios. ¡Es darle la espalda a Dios! Cuando el interés se centra en las cosas que hay que producir, en lugar de las personas que hay que amar, estamos ante un síntoma de esclerosis espiritual. Así nace la trágica contradicción de nuestra época: cuanto más aumenta el progreso y las posibilidades, lo cual es bueno, tanto más aumentan las personas que no pueden acceder a ello. Es una gran injusticia que nos tiene que preocupar, mucho más que el saber cuándo y cómo será el fin del mundo. Porque no se puede estar tranquilo en casa mientras Lázaro yace postrado a la puerta; no hay paz en la casa del que está bien, cuando falta justicia en la casa de todos.

Hoy, en las catedrales y santuarios de todo el mundo, se cierran las Puertas de la Misericordia. Pidamos la gracia de no apartar los ojos de Dios que nos mira y del prójimo que nos cuestiona. Abramos nuestros ojos a Dios, purificando la mirada del corazón de las representaciones engañosas y temibles, del dios de la potencia y de los castigos, proyección del orgullo y el temor humano. Miremos con confianza al Dios de la misericordia, con la seguridad de que «el amor no pasa nunca» (1 Co 13,8). Renovemos la esperanza en la vida verdadera a la que estamos llamados, la que no pasará y nos aguarda en comunión con el Señor y con los demás, en una alegría que durará para siempre y sin fin.

Y abramos nuestros ojos al prójimo, especialmente al hermano olvidado y excluido, al Lázaro que yace delante de nuestra puerta. Hacia allí se dirige la lente de la Iglesia. Que el Señor nos libre de dirigirla hacia nosotros. Que nos aparte de los oropeles que distraen, de los intereses y los privilegios, del aferrarse al poder y a la gloria, de la seducción del espíritu del mundo. Nuestra Madre la Iglesia mira «a toda la humanidad que sufre y que llora; ésta le pertenece por derecho evangélico» (Pablo VI, Discurso de apertura de la IIª Sesión del Concilio Vaticano II, 29 septiembre 1963). Por derecho y también por deber evangélico, porque nuestra tarea consiste en cuidar de la verdadera riqueza que son los pobres. A la luz de estas reflexiones, quisiera que hoy sea la «Jornada de los pobres». Nos lo recuerda una antigua tradición, que se refiere al santo mártir romano Lorenzo. Él, antes de sufrir un atroz martirio por amor al Señor, distribuyó los bienes de la comunidad a los pobres, a los que consideraba como los verdaderos tesoros de la Iglesia. Que el Señor nos conceda mirar sin miedo a lo que importa, dirigir el corazón a él y a nuestros verdaderos tesoros.

[01830-ES.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua portoghese

«Para vós (...) brilhará o sol da justiça, trazendo a cura nos seus raios» (Ml 3, 20). As palavras do profeta Malaquias, que ouvimos na primeira leitura, iluminam a celebração desta jornada jubilar. Encontram-se na última página do último profeta do Antigo Testamento e são dirigidas àqueles que têm confiança no Senhor, que depõem a sua esperança n’Ele, escolhendo-O como bem supremo da vida e recusando-se a viver só para si mesmos e seus interesses. Para eles, pobres de si mas ricos de Deus, brilhará o sol da sua justiça: são os pobres em espírito, a quem Jesus promete o reino dos céus (cf. Mt 5, 3) e dos quais Deus, pela boca do profeta Malaquias, declara: «são meus» (Ml 3, 17). O profeta contrapõe-nos aos soberbos, àqueles que puseram na sua autossuficiência e nos bens do mundo a segurança da vida. Perante esta página final do Antigo Testamento, surgem questões que interpelam o sentido último da vida: Onde busco eu a minha segurança? No Senhor ou noutras seguranças que não são do agrado de Deus? Qual é a direção da minha vida, para onde olha o meu coração? Para o Senhor da vida ou para as coisas que passam e não saciam?

Idênticas questões aparecem no trecho evangélico de hoje. Jesus encontra-Se em Jerusalém, para a última e mais importante página da sua vida terrena: a sua morte e ressurreição. Está perto do templo, «adornado de belas pedras e de ofertas votivas» (Lc 21, 5). As pessoas estão precisamente a comentar as belezas exteriores do templo, quando Jesus diz: «Virá o dia em que de tudo isto que estais a contemplar, não ficará pedra sobre pedra» (21, 6). Acrescenta que haverá conflitos, carestias, convulsões na terra e no céu. Jesus não quer assustar, mas dizer-nos que tudo aquilo que vemos passa inexoravelmente. Mesmo os reinos mais poderosos, os edifícios mais sagrados e as realidades mais firmes do mundo não duram para sempre; mais cedo ou mais tarde, caem.

Na sequência destas afirmações, as pessoas colocam duas questões imediatas ao Mestre: «Quando sucederá isto? E qual será o sinal»? (21, 7). Quando e qual… Sempre somos impelidos pela curiosidade: quer-se saber quando e receber sinais. Esta curiosidade, porém, não agrada a Jesus. Pelo contrário, exorta a não nos deixarmos enganar pelos pregadores apocalíticos. Quem segue Jesus não presta ouvidos aos profetas da desgraça, à futilidade dos horóscopos, às pregações e às previsões que amedrontam, distraindo daquilo que conta. O Senhor convida a distinguir, dentre as muitas vozes que se ouvem, aquilo que vem d’Ele e o que vem do falso espírito. É importante distinguir entre o sábio convite que Deus nos dirige cada dia e o clamor de quem se serve do nome de Deus para assustar, sustentando divisões e medos.

Com firmeza, Jesus convida a não temer perante os cataclismos de cada época, nem mesmo frente às provas mais graves e injustas que acontecem aos seus discípulos. Pede para perseverar no bem e colocar plena confiança em Deus, que não desilude: «Não se perderá um só cabelo da vossa cabeça» (21, 18). Deus não esquece os seus fiéis, a sua propriedade preciosa que somos nós.

Entretanto, hoje, interpela-nos sobre o sentido da nossa existência. Poder-se-ia dizer, com uma imagem, que estas leituras se apresentam como uma «peneira» no meio do fluxo da nossa vida: lembram-nos que, neste mundo, quase tudo passa, como a corrente da água; mas há realidades preciosas que permanecem, como uma pedra preciosa numa peneira. E o que é que resta? O que é que tem valor na vida? Quais são as riquezas que não desaparecem? Seguramente duas: o Senhor e o próximo. Estas duas riquezas não desaparecem. Estes são os bens maiores, que havemos de amar. Tudo o resto – o céu, a terra, as coisas mais belas, mesmo esta Basílica – passa; mas não devemos excluir da vida Deus e os outros.

E todavia neste dia jubilar que nos fala de exclusão, imediatamente vêm à mente pessoas concretas; não coisas inúteis, mas pessoas preciosas. A pessoa humana, colocada por Deus no cume da criação, muitas vezes é descartada, porque se prefere as coisas que passam. Isto é inaceitável, porque o ser humano é o bem mais precioso aos olhos de Deus. E é grave que nos habituemos a este descarte; é preciso preocupar-se quando se anestesia a consciência, já não fazendo caso do irmão que sofre ao nosso lado nem dos problemas sérios do mundo, que se reduzem a um refrão já ouvido nos sumários dos telejornais.

Hoje, queridos irmãos e irmãs, é o vosso Jubileu e, com a vossa presença, ajudais-nos a sintonizar no comprimento de onda de Deus, a ver o que Ele vê: Ele não Se detém nas aparências (cf. 1 Sam 16, 7), mas fixa o seu olhar «nos humildes de coração contrito» (Is 66, 2), em tantos pobres Lázaros de hoje. Como nos faz mal fingir que não nos damos conta do Lázaro que é excluído e descartado (cf. Lc 16, 19-21)! É afastar o rosto de Deus. É voltar o rosto para o outro lado. Temos um sintoma de esclerose espiritual, quando o interesse se concentra nas coisas a produzir, em vez de ser nas pessoas a amar. Assim nasce a dramática contradição dos nossos tempos: quanto mais crescem o progresso e as possibilidades – e isto é bom – tanto maior é o número daqueles que não lhes podem chegar. É uma grande injustiça que nos deve preocupar muito mais do que saber quando e como será o fim do mundo. Com efeito, não se pode estar tranquilo em casa, enquanto Lázaro jazer à porta; não há paz em casa de quem está bem, quando falta justiça na casa de todos.

Hoje, nas catedrais e santuários de todo o mundo, são fechadas as Portas da Misericórdia. Peçamos a graça de não fechar os olhos perante Deus que nos olha e o próximo que nos interpela. Abramos os olhos a Deus, purificando a visão do coração das representações enganadoras e pavorosas, do deus da força e dos castigos, projeção da soberba e dos medos humanos. Olhemos com confiança para o Deus da misericórdia, com a certeza de que «o amor jamais passará» (1 Cor 13, 8). Renovemos a esperança da vida verdadeira a que somos chamados, aquela que não passará e que nos espera em comunhão com o Senhor e com os outros, numa alegria que durará sempre e sem fim.

E abramos os olhos ao próximo, sobretudo ao irmão esquecido e excluído, ao «Lázaro» que jaz à nossa porta. Para ele está apontada a lupa da Igreja; que o Senhor nos livre de a voltarmos para nós. Afaste-nos das quimeras que nos distraem, dos interesses e dos privilégios, do apego ao poder e à glória, da sedução do espírito do mundo. De modo particular a nossa Mãe Igreja «olha para toda a humanidade que sofre e chora, pois ela sabe que esta lhe pertence, por direito evangélico» (Paulo VI, Discurso no início da II Sessão do Concílio Vaticano II, 29 de setembro de 1963); por direito e também por dever evangélico, porque é nossa tarefa cuidar da verdadeira riqueza que são os pobres, como bem no-lo recorda uma antiga tradição referente ao mártir romano São Lourenço. Este, antes de suportar um martírio atroz por amor do Senhor, distribuiu os bens da comunidade aos pobres, por ele designados como verdadeiros tesouros da Igreja. À luz destas reflexões, gostaria que hoje fosse o «dia dos pobres». Que o Senhor nos conceda a graça de olhar sem medo para aquilo que conta, dirigir o coração para Ele e para os nossos verdadeiros tesouros.

[01830-PO.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua polacca

„Dla was, [...] wzejdzie niebawem sprawiedliwości słońce, a jego skrzydła przyniosą wam wybawienie” (Ml 3,20). Słowa proroka Malachiasza, które usłyszeliśmy w pierwszym czytaniu, rzucają światło na celebrację tego dnia jubileuszowego. Znajdują się na ostatniej stronie, ostatniego proroka Starego Testamentu i są skierowane do tych, którzy ufają Panu, którzy pokładają swoją nadzieję w Nim, wybierając Go jako Najwyższe Dobro życia i wyrzekając się życia tylko dla siebie i dla swoich interesów. Dla nich, ubogich w siebie, ale bogatych w Boga, wzejdzie słońce Jego sprawiedliwości: są oni ubogimi w duchu, którym Jezus obiecuje królestwo niebieskie (por. Mt 5,3), i których Bóg przez proroka Malachiasza nazywa „moją szczególną własnością” (Ml 3,17). Prorok przeciwstawia ich pysznym, tym którzy pokładają bezpieczeństwo swego życia w swej samowystarczalności i dobrach tego świata. W obliczu tej ostatniej strony Starego Testamentu, rodzą się pytania dotyczące ostatecznego sensu życia: gdzie ja szukam mojego bezpieczeństwa? W Panu, czy też w innych zabezpieczeniach, które nie podobają się Bogu? Gdzie zmierza moje życie, do czego kieruje się moje serce? Czy do Pana życia, czy też ku rzeczom, które mijają i nie zaspokajają?

Podobne pytania pojawiają się w dzisiejszym fragmencie Ewangelii. Jezus jest w Jerozolimie, gdzie będzie miała miejsce ostatnia i najważniejsza karta Jego ziemskiego życia: śmierć i zmartwychwstanie. Jest w pobliżu świątyni, „przyozdobionej pięknymi kamieniami i darami” (Łk 21,5). Ludzie rozmawiają właśnie o zewnętrznym pięknie świątyni, kiedy Jezus mówi: „Przyjdzie czas, kiedy z tego, na co patrzycie, nie zostanie kamień na kamieniu” (w. 6). Dodaje, że nie zabraknie konfliktów, głodu, wstrząsów na ziemi i w niebie. Jezus nie chce straszyć, ale chce powiedzieć nam, że wszystko, co widzimy nieubłaganie mija. Nawet najbardziej potężne królestwa, najświętsze budynki i najbardziej stabilne rzeczywistości świata nie trwają wiecznie; prędzej czy później upadają.

W obliczu tych stwierdzeń ludzie natychmiast stawiają Nauczycielowi dwa pytania: „Kiedy to nastąpi? i jaki będzie znak”? (w. 7). Kiedy i jaki… Zawsze pobudza nas ciekawość: chcemy wiedzieć kiedy, i otrzymywać znaki. Ale Jezusowi ta ciekawość się nie podoba. Wręcz przeciwnie zachęca On, by nie dać się zwieść przez apokaliptycznych kaznodziejów. Ci, którzy podążają za Jezusem nie zwracają uwagi na proroków nieszczęść, pustkę horoskopów, strofowań i przepowiedni, które rodzą strach, odrywając od tego, co się liczy. Wśród wielu pojawiających się głosów, Pan zachęca nas do odróżniania tego, co pochodzi od Niego, od tego, co pochodzi z ducha fałszywego. Ważne, aby odróżnić mądrą zachętę, jaką każdego dnia kieruje do nas Bóg, od zgiełku tych, którzy posługują się imieniem Bożym, aby przestraszyć, podsycać podziały i lęki.

Jezus nieugięcie zachęca, by nie obawiać się w obliczu wstrząsów każdej epoki, ani też w obliczu najcięższych i niesprawiedliwych prób, jakie przytrafiają się Jego uczniom. Prosi, aby wytrwać w dobru i pokładać pełną ufność w Bogu, który nie zawodzi, „włos z głowy wam nie zginie” (w. 18). Bóg nie zapomina o swoich wiernych, swojej cennej własności, jaką jesteśmy.

Stawia nam jednak dzisiaj pytanie o sens naszej egzystencji. Posługując się obrazem, można powiedzieć, że te czytania nasuwają się jako pewne „sito” pośród upływu naszego życia: przypominają nam, że prawie wszystko na tym świecie przemija, podobnie jak upływająca woda; ale są rzeczy cenne, które pozostają, jak cenny kamień w sicie. Co pozostaje, co jest wartością w życiu, jakie bogactwa nie zanikną? Z pewnością dwa: Pan i bliźni. Te dwa bogactwa nie znikają. To największe dobra, które trzeba umiłować. Wszystko inne – niebo, ziemia, najpiękniejsze rzeczy, nawet ta bazylika – przemija; ale nie możemy wykluczać z życia Boga i innych ludzi.

A jednak właśnie dziś, kiedy mówimy o wykluczeniu, natychmiast przychodzą na myśl konkretne osoby; nie rzeczy zbędne, ale cenne osoby. Osoba ludzka, umieszczona przez Boga na szczycie stworzenia jest często odrzucana, ponieważ przedkładane są nad nią rzeczy, które mijają. Nie można tego zaakceptować, ponieważ człowiek jest najbardziej cennym dobrem w oczach Boga a przyzwyczajenie się do tego rodzaju odrzucenia jest rzeczą groźną. Trzeba się martwić, kiedy sumienie jest znieczulone i nie przejmuje się bratem, który cierpi w pobliżu czy też poważnymi problemami świata, które stają się tylko usłyszanym już kiedyś refrenem w schemacie wiadomości telewizyjnych.

Dzisiaj, drodzy bracia i siostry, jest wasz jubileusz, a poprzez waszą obecność pomagacie nam dostroić się do długości fali Boga, aby spojrzeć na to, co On ogląda: nie zatrzymuje się na pozorach (por. 1 Sm 16,7 ), ale kieruje oczy „ku temu, który jest cichy i skruszony w sercu” (Iz 66,2), na wielu biednych Łazarzy dnia dzisiejszego. Jakże wiele zła wyrządza nam udawanie, że nie zauważamy Łazarza, który jest wykluczony i odrzucony (por. Łk 16,19-21)! Jest to odwracanie się od Boga. Jest to odwracanie twarzy od Boga. Kiedy zainteresowanie koncentruje się na rzeczach, które trzeba wytworzyć, a nie na osobach, które należy miłować, to mamy do czynienia z objawem sklerozy duchowej. W ten sposób rodzi się tragiczna sprzeczność naszych czasów: im bardziej zwiększają się postęp i możliwości, co jest dobrem, tym więcej jest tych, którzy nie mogą mieć do nich dostępu. Jest to wielka niesprawiedliwość, która musi nas niepokoić, znacznie bardziej niż wiadomość, kiedy i jak nastąpi koniec świata. Nie można bowiem spokojnie przebywać w domu, podczas gdy u bramy leży Łazarz; nie ma pokoju w domu kogoś, komu się powodzi, kiedy nie ma sprawiedliwości w domu wszystkich.

Dzisiaj w katedrach i sanktuariach na całym świecie zamykają się Drzwi Miłosierdzia. Prosimy o łaskę, abyśmy nie zamykali oczu wobec Boga, który na nas patrzy i na bliźniego, który jest dla nas wyzwaniem. Otwórzmy oczy na Boga, oczyszczając spojrzenie serca od wyobrażeń zwodniczych i lękliwych, od boga władzy i kar, będącego projekcją ludzkiej pychy i strachu. Spójrzmy z ufnością na Boga miłosierdzia, będąc pewnymi, że „Miłość nigdy nie ustaje” (1 Kor 13,8). Odnówmy nadzieję życia prawdziwego, którą zostaliśmy powołani, tego życia, które nie przeminie i które nas oczekuje w komunii z Panem oraz z innymi, w radości, która będzie trwać wiecznie, bez końca.

I otwórzmy nasze oczy na bliźniego, a zwłaszcza brata zapomnianego i wykluczonego, na „Łazarza”, który leży u naszych drzwi. Tam skupia się szkło powiększające Kościoła. Niech Pan nas chroni od skierowywania go na nas samych. Niech nas odciąga od blichtru, który odwraca uwagę, odciąga od interesów i przywilejów, od przywiązania do władzy i chwały, od powabu ducha świata. Nasza Matka Kościół patrzy „w szczególności na tę część ludzkości, która cierpi i płacze, bo wie, że ci ludzie należą do niego na mocy prawa ewangelicznego” (PAWEŁ VI, Przemówienie na początku drugiej sesji Soboru Watykańskiego II, 29 września 1963). Na mocy prawa, a także obowiązku ewangelicznego, gdyż naszym zadaniem jest zatroszczenie się o prawdziwe bogactwo, którym są ubodzy. W świetle tych refleksji chciałbym, aby dzień dzisiejszy był „dniem ubogich”. Dobrze nam o tym przypomina starożytna tradycja dotycząca świętego rzymskiego męczennika Wawrzyńca. Zanim podjął okrutne męczeństwo w imię Pana, rozdał on majątek wspólnoty ubogim, których uważał za prawdziwy skarb Kościoła. Niech Pan da nam patrzeć bez lęku na to, co się liczy, aby skierować serce do Niego i do naszych prawdziwych skarbów.

[01830-PL.01] [Testo originale: Italiano]

[B0818-XX.02]