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Udienza ai rappresentanti di diverse religioni, 03.11.2016


 

Discorso del Santo Padre

Traduzione in lingua inglese

Alle ore 10, nella Sala Clementina, il Santo Padre Francesco ha ricevuto in udienza i rappresentanti di diverse religioni. Si tratta di circa 200 membri appartenenti a religioni diverse (cristiana, ebraica, musulmana, buddista, induista ed altre), impegnati nel campo delle opere di carità e di misericordia. L’udienza si è tenuta nel contesto dell’Anno Giubilare.

Di seguito, riportiamo il discorso che il Papa ha pronunciato nel corso dell’udienza:

Discorso del Santo Padre

Cari amici,

vi do un cordiale benvenuto. Mi rallegro di incontrarvi e vi ringrazio per aver accolto l’invito a riflettere insieme sul tema della misericordia.

Come ben sapete, sta per volgere al termine l’Anno santo, durante il quale la Chiesa Cattolica ha guardato intensamente al cuore del messaggio cristiano nella prospettiva della misericordia. Essa, infatti, è per noi rivelatrice del nome di Dio, è «l’architrave che sorregge la vita della Chiesa» (Misericordiae Vultus, 10), ed è la chiave per accedere al mistero stesso dell’uomo, anche oggi tanto bisognoso di perdono e di pace.

Tuttavia, il mistero della misericordia non è da celebrare solo a parole, ma soprattutto con le opere, con uno stile di vita realmente misericordioso, fatto di amore disinteressato, servizio fraterno, condivisione sincera. È lo stile che la Chiesa desidera maggiormente assumere, anche «nel suo compito di favorire l’unità e la carità tra gli uomini» (Conc. Vat. II, Dich. Nostra aetate, 1). È lo stile a cui sono chiamate pure le religioni per essere, particolarmente in questo nostro tempo, messaggere di pace e artefici di comunione; per proclamare, diversamente da chi alimenta scontri, divisioni e chiusure, che oggi è tempo di fraternità. Perciò è importante ricercare l’incontro tra di noi, un incontro che, senza sincretismi concilianti, «ci renda più aperti al dialogo per meglio conoscerci e comprenderci; elimini ogni forma di chiusura e di disprezzo ed espella ogni forma di violenza e di discriminazione» (Misericordiae Vultus, 23). Ciò è gradito a Dio ed è un compito urgente, in risposta non solo alle necessità di oggi, ma soprattutto all’appello all’amore, anima di ogni autentica espressione religiosa.

Il tema della misericordia è familiare a molte tradizioni religiose e culturali, dove la compassione e la nonviolenza sono essenziali e indicano la via della vita: «Il rigido e il duro appartengono alla morte; il molle e il tenero appartengono alla vita», attesta un antico detto sapienziale (Tao-Te-Ching, 76). Chinarsi con compassionevole tenerezza verso l’umanità debole e bisognosa appartiene a un animo veramente religioso, che respinge la tentazione di prevaricare con la forza, che rifiuta di mercificare la vita umana e vede negli altri dei fratelli, mai dei numeri. Farsi vicini a quanti vivono situazioni che richiedono una maggiore cura, come la malattia, la disabilità, la povertà, l’ingiustizia, le conseguenze dei conflitti e delle migrazioni, è una chiamata che viene dal cuore di ogni tradizione autenticamente religiosa. È l’eco della voce divina, che parla alla coscienza di ciascuno, invitando a superare il ripiegamento su sé stessi e ad aprirsi: aprirsi all’Altro sopra di noi, che bussa alla porta del cuore; aprirsi all’altro accanto a noi, che bussa alla porta di casa, chiedendo attenzione e aiuto.

Ad avere un cuore aperto e compassionevole ci richiama il significato del termine “misericordia”. Nella sua etimologia in lingua latina, esso evoca un cuore sensibile alle miserie e soprattutto al misero, un cuore che vince l’indifferenza perché si lascia coinvolgere dalla sofferenza altrui. Nelle lingue semitiche, come l’arabo e l’ebraico, la radice r(a)h(a)m, che esprime anche la misericordia divina, chiama in causa il grembo materno, le viscere di affetto più intime dell’essere umano, i sentimenti della madre per il figlio che sta per dare alla luce.

A questo proposito il profeta Isaia trasmette un messaggio stupendo, che è insieme una promessa di amore e una sorta di sfida da parte di Dio nei confronti dell’uomo: «Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se costoro si dimenticassero,io invece non ti dimenticherò mai» (Is 49,15). L’uomo – è triste constatarlo – troppo spesso dimentica, “s-corda”, ovvero, come indica la parola, allontana dal cuore. Tiene a distanza Dio, il prossimo e pure la memoria del passato e così ripete, anche in forma più efferata, tragici errori commessi in altri tempi.

È il dramma del male, degli abissi oscuri nei quali la nostra libertà può immergersi, tentata dal male, che è sempre appostato in silenzio per colpirci e farci affondare. Ma proprio qui, di fronte al grande enigma del male, che interroga ogni esperienza religiosa, risiede l’aspetto più sorprendente dell’amore misericordioso. Esso non lascia l’uomo in balia del male o di sé stesso; non si scorda, ma si ricorda, e si china verso ogni miseria per risollevare. Proprio come fa una madre, che davanti al peggior male commesso dal figlio, riconosce sempre, al di là del peccato, il volto che ha portato in grembo.

In un mondo agitato e con poca memoria, che va di corsa lasciando indietro molti e senza accorgersi di rimanere senza fiato e senza meta, abbiamo oggi bisogno, come dell’ossigeno, di questo amore gratuito che rinnova la vita. L’uomo ha sete di misericordia e non vi è tecnologia che possa dissetarlo: cerca un affetto che vada oltre le consolazioni del momento, un porto sicuro dove approdi il suo navigare inquieto, un abbraccio infinito che perdona e riconcilia.

Questo è tanto importante, di fronte al timore, oggi diffuso, che non sia possibile essere perdonati, riabilitati e riscattati dalle proprie fragilità. Per noi cattolici, tra i riti più significativi dell’Anno giubilare c’è quello di attraversare con umiltà e fiducia una porta – la porta santa – per essere pienamente riconciliati dalla misericordia divina, che rimette i nostri debiti. Ma ciò richiede che anche noi perdoniamo i nostri debitori (cfr Mt 6,12), i fratelli e le sorelle che ci hanno offeso: si riceve il perdono di Dio per condividerlo con gli altri. Il perdono è certamente il più grande dono che possiamo fare agli altri, perché è quello che costa di più, ma allo stesso tempo quello che ci rende più simili a Dio.

La misericordia si estende anche al mondo che ci circonda, alla nostra casa comune, che siamo chiamati a custodire e a preservare dal consumo sfrenato e vorace. Occorre il nostro impegno per educare alla sobrietà e al rispetto, a un modo di vivere più semplice e ordinato, dove si utilizzino le risorse del creato con saggezza e moderazione, pensando all’umanità intera e alle generazioni future, non solo agli interessi del proprio gruppo e ai vantaggi del proprio tempo. Oggi specialmente, «la gravità della crisi ecologica esige da tutti di pensare al bene comune e di andare avanti sulla via del dialogo che richiede pazienza, ascesi e generosità» (Lett. enc. Laudato si’, 201).

Questa via sia la nostra via maestra; siano rigettate le strade senza meta della contrapposizione e della chiusura. Non accada più che le religioni, a causa del comportamento di alcuni loro seguaci, trasmettano un messaggio stonato, dissonante da quello della misericordia. Purtroppo, non passa giorno che non si senta parlare di violenze, conflitti, rapimenti, attacchi terroristici, vittime e distruzioni. Ed è terribile che per giustificare tali barbarie sia a volte invocato il nome di una religione o di Dio stesso. Siano condannati in modo chiaro questi atteggiamenti iniqui, che profanano il nome di Dio e inquinano la ricerca religiosa dell’uomo. Siano invece favoriti, ovunque, l’incontro pacifico tra i credenti e una reale libertà religiosa. In questo la nostra responsabilità di fronte a Dio, all’umanità e all’avvenire è grande e richiede ogni sforzo, senza alcun infingimento. È una chiamata che ci coinvolge, un cammino da percorrere insieme per il bene di tutti, con speranza. Siano le religioni grembi di vita, che portino la tenerezza misericordiosa di Dio all’umanità ferita e bisognosa; siano porte di speranza, che aiutino a varcare i muri eretti dall’orgoglio e dalla paura. Grazie!

[01769-IT.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua inglese

Dear Friends,

I offer you a warm welcome. I am pleased to meet you and I thank you for accepting this invitation to reflect together on the theme of mercy.

As you are well aware, we are approaching the end of the Holy Year, in which the Catholic Church has pondered the heart of the Christian message from the viewpoint of mercy. For us, mercy reveals the name of God; it is “the very foundation of the Church’s life” (Misericordiae Vultus, 10). It is also the key to understanding the mystery of man, of that humanity which, today too, is in great need of forgiveness and peace.

Yet the mystery of mercy is not to be celebrated in words alone, but above all by deeds, by a truly merciful way of life marked by disinterested love, fraternal service and sincere sharing. The Church increasingly desires to adopt this way of life, also as part of her “duty to foster unity and charity” among all men and women (Nostra Aetate, 1). The religions are likewise called to this way of life, in order to be, particularly in our own day, messengers of peace and builders of communion, and to proclaim, in opposition to all those who sow conflict, division and intolerance, that ours is a time of fraternity. That is why it is important for us to seek occasions of encounter, an encounter which, while avoiding a superficial syncretism, “makes us more open to dialogue, the better to know and understand one another; eliminates every form of closed-mindedness and disrespect; and drives out every form of violence and discrimination” (Misericordiae Vultus, 23). This is pleasing to God and constitutes an urgent task, responding not only to today’s needs but above all to the summons to love which is the soul of all authentic religion.

The theme of mercy is familiar to many religious and cultural traditions, where compassion and nonviolence are essential elements pointing to the way of life; in the words of an ancient proverb: “death is hard and stiff; life is soft and supple” (Tao-Te-Ching, 76). To bow down with compassionate love before the weak and needy is part of the authentic spirit of religion, which rejects the temptation to resort to force, refuses to barter human lives and sees others as brothers and sisters, and never mere statistics. To draw near to all those living in situations that call for our concern, such as sickness, disability, poverty, injustice and the aftermath of conflicts and migrations: this is a summons rising from the heart of every genuine religious tradition. It is the echo of the divine voice heard in the conscience of every person, calling him or her to reject selfishness and to be open. Open to the Other above us, who knocks on the door of our heart, and open to the other at our side, who knocks at the door of our home, asking for attention and assistance.

The very word “mercy” is a summons to an open and compassionate heart. It comes from the Latin world misericordia, which evokes a heart – cor – sensitive to suffering, but especially to those who suffer, a heart that overcomes indifference because it shares in the sufferings of others. In the Semitic languages, like Arabic and Hebrew, the root RHM, which also expresses God’s mercy, has to do with a mother’s womb, the deepest source of human love, the feelings of a mother for the child to whom she will give birth.

In this regard, the prophet Isaiah conveys a magnificent message, which, on God’s part, is both a promise of love and a challenge: “Can a woman forget her nursing child, or show no compassion for the child of her womb? Even though she may forget, yet I will never forget you” (Is 49:15). All too often, sad to say, we forget, our hearts grow heedless and indifferent. We distance ourselves from God, our neighbour and even our historical memory, and we end up repeating, in even more cruel forms, the tragic errors of other times.

This is the drama of evil, of the grim depths to which our freedom can plunge when tempted by evil, ever-present, waiting to strike and bring us down. Yet precisely here, before the great riddle of evil that tests every religious experience, we find the most amazing aspect of merciful love. That love does not leave us prey to evil or to our own frailty; it does not “forget”, but “remembers”, and draws near to every human misery in order to relieve it. Like a mother. Whatever the evil done by her child, a mother always sees past the sin to recognize the face she bore in her womb.

In today’s ever more hectic and forgetful word, which leaves so many men and women behind as it races on, breathlessly and aimlessly, we need the oxygen of this gratuitous and life-giving love. We thirst for mercy and no technology can quench that thirst. We seek a love that endures beyond momentary pleasures, a safe harbour where we can end our restless wanderings, an infinite embrace that forgives and reconciles.

How important this is, when we consider today’s widespread fear that it is impossible to be forgiven, rehabilitated and redeemed from our weaknesses. For us Catholics, among the most meaningful rites of the Holy Year is that of walking with humility and trust through the door – the Holy Door – to find ourselves fully reconciled by the mercy of God, who forgives our trespasses. But this demands that we too forgive those who trespass against us (cf. Mt 6:12), the brothers and sisters who have offended us. We receive God’s forgiveness in order to share it with others. Forgiveness is surely the greatest gift we can give to others, because it is the most costly. Yet at the same time, it is what makes us most like God.

Mercy extends also to the world around us, to our common home, which we are called to protect and preserve from unbridled and rapacious consumption. Our commitment is needed for an education to sobriety and to respect, to a more simple and orderly way of life, in which the resources of creation are used with wisdom and moderation, with concern for humanity as a whole and coming generations, not simply the interests of our particular group and the benefits of the present moment. Today in particular, “the gravity of the ecological crisis demands that we all look to the common good, embarking on a path of dialogue which requires patience, self-discipline and generosity” (Laudato Si’, 201).

May this be the path we take. May we reject the aimless paths of disagreement and closed-mindedness. May it never happen again that the religions, because of the conduct of some of their followers, convey a distorted message, out of tune with that of mercy. Sadly, not a day passes that we do not hear of acts of violence, conflict, kidnapping, terrorist attacks, killings and destruction. It is horrible that at times, to justify such barbarism, the name of a religion or the name of God himself is invoked. May there be clear condemnation of these iniquitous attitudes that profane the name of God and sully the religious quest of mankind. May there instead be fostered everywhere the peaceful encounter of believers and genuine religious freedom. Here, our responsibility before God, humanity and the future is great; it calls for unremitting effort, without dissimulation. It is a call that challenges us, a path to be taken together, for the good of all, and with hope. May the religions be wombs of life, bearing the merciful love of God to a wounded and needy humanity; may they be doors of hope helping to penetrate the walls erected by pride and fear. Thank you.

[01769-EN.02] [Original text: Italian]

[B0792-XX.02]