Sala Stampa

www.vatican.va

Sala Stampa Back Top Print Pdf
Sala Stampa


Viaggio Apostolico di Sua Santità Francesco in Armenia (24-26 giugno 2016) - Visita alle Cattedrali Armeno-Apostolica e Cattolica di Gyumri e Incontro Ecumenico e Preghiera per la Pace a Yerevan, 25.06.2016


Visita alla Cattedrale Armeno-Apostolica di Gyumri

Visita alla Cattedrale Cattolica di Gyumri

Incontro Ecumenico e Preghiera per la Pace, nella Piazza della Repubblica a Yerevan

 

Visita alla Cattedrale Armena Apostolica di Gyumri

Alle ore 16.30 di questo pomeriggio, preso congedo dal Convento “Nostra Signora dell’Armenia”, il Santo Padre Francesco si è trasferito in auto alla Cattedrale Armeno-Apostolica “Yot Verk” di Gyumri nella Piazza Vartanants.

Accolto dal Catholicos, il Papa è entrato processionalmente con lui in Cattedrale dove erano presenti alcuni Vescovi Armeno-Apostolici e un piccolo gruppo di disabili e di rifugiati siriani. Il Santo Padre Francesco e Sua Santità Karekin II si sono soffermati in silenziosa preghiera davanti all’Icona mariana delle sette piaghe, quindi hanno venerato il Crocifisso. Infine il Papa ha impartito la benedizione.

All’uscita il Santo Padre ha ricevuto un dono da una benefattrice argentina e ha raggiunto la Cattedrale Armeno-Cattolica di Gyumri, sempre in Piazza Vartenants.

[01085-IT.01]

Visita alla Cattedrale Cattolica di Gyumri

Alle ore 17.15, il Santo Padre e il Catholicos di tutti gli Armeni si sono recati in visita alla Cattedrale Armeno-Cattolica dei Santi Martiri di Gyumri nella Piazza Vartanants.
All’ingresso principale della Cattedrale sono stati accolti dall’Ordinario per gli Armeni Cattolici dell’Europa Orientale, l’Arcivescovo Raphael François Minassian, e dal Parroco. Erano presenti all’interno della Cattedrale alcuni benefattori della Chiesa Armeno-Cattolica. Dopo l’ingresso in processione e la preghiera del Papa, il Catholicos ha impartito la benedizione.

Papa Francesco si è trasferito quindi in auto all’aeroporto di Gyumri da dove, alle ore 18, è decollato – a bordo di un A321 dell’Alitalia – per rientrare a Yerevan. Sul volo papale si trovava anche il Catholicos con alcuni dignitari di Etchmiadzin.
All’arrivo a Yerevan il Santo Padre si è trasferito in auto a Piazza della Repubblica per l’Incontro Ecumenico e la preghiera per la pace.

[01092-IT.01]

Incontro Ecumenico e Preghiera per la Pace, nella Piazza della Repubblica a Yerevan

Discorso del Santo Padre

Traduzione in lingua armena

Traduzione in lingua inglese

Traduzione in lingua spagnola

Traduzione in lingua francese

Traduzione in lingua tedesca

Traduzione in lingua portoghese

Alle ore 19 di oggi, nella Piazza della Repubblica a Yerevan, ha avuto luogo l’Incontro Ecumenico con la Preghiera per la Pace, al quale hanno preso parte oltre 50mila persone. Era presente il Presidente della Repubblica.

Nel corso della celebrazione che si è svolta in armeno e in italiano, dopo la recita del “Padre Nostro” (ognuno nella propria lingua) e le letture, Sua Santità Karekin II ha pronunciato un discorso a cui ha fatto seguito quello del Santo Padre Francesco.

Pubblichiamo di seguito il discorso di Papa Francesco:

Discorso del Santo Padre

Venerato e carissimo Fratello, Supremo Patriarca e Catholicos di Tutti gli Armeni,
Signor Presidente,
cari fratelli e sorelle,

la benedizione e la pace di Dio siano con tutti voi!

Ho tanto desiderato visitare questa terra amata, il vostro Paese che per primo abbracciò la fede cristiana. È una grazia per me trovarmi su queste alture, dove, sotto lo sguardo del monte Ararat, anche il silenzio sembra parlarci; dove i khatchkar – le croci di pietra – raccontano una storia unica, intrisa di fede rocciosa e di sofferenza immane, una storia ricca di magnifici testimoni del Vangelo, di cui voi siete gli eredi. Sono venuto pellegrino da Roma per incontrarvi e per esprimervi un sentimento che sale dalle profondità del cuore: è l’affetto del vostro fratello, è l’abbraccio fraterno della Chiesa Cattolica intera, che vi vuole bene e vi è vicina.

Negli anni scorsi le visite e gli incontri tra le nostre Chiese, sempre tanto cordiali e spesso memorabili, si sono, grazie a Dio, intensificati; la Provvidenza vuole che, proprio nel giorno in cui qui si ricordano i santi Apostoli di Cristo, siamo nuovamente insieme per rinforzare la comunione apostolica fra di noi. Sono molto grato a Dio per la «reale ed intima unità» fra le nostre Chiese (cfr Giovanni Paolo II, Celebrazione ecumenica, Yerevan, 26 settembre 2001: Insegnamenti XXIV, 2 [2001], 466) e vi ringrazio per la vostra fedeltà al Vangelo, spesso eroica, che è un dono inestimabile per tutti i cristiani. Il nostro ritrovarci non è uno scambio di idee, è uno scambio di doni (cfr Id., Lett. enc. Ut unum sint, 28): raccogliamo quello che lo Spirito ha seminato in noi, come un dono per ciascuno (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 246). Condividiamo con grande gioia i tanti passi di un cammino comune già molto avanzato, e guardiamo davvero con fiducia al giorno in cui, con l’aiuto di Dio, saremo uniti presso l’altare del sacrificio di Cristo, nella pienezza della comunione eucaristica. Verso quella meta tanto desiderata «siamo pellegrini, e peregriniamo insieme […] affidando il cuore al compagno di strada senza sospetti, senza diffidenze» (ibid., 244).

In questo tragitto ci precedono e accompagnano molti testimoni, in particolare i tanti martiri che hanno sigillato col sangue la comune fede in Cristo: sono le nostre stelle in cielo, che risplendono su di noi e indicano il cammino che ci resta da percorrere in terra, verso la comunione piena. Tra i grandi Padri, vorrei riferirmi al santo Catholicos Nerses Shnorhali. Egli nutriva un amore grande e straordinario nei confronti del suo popolo e delle sue tradizioni, ed era al contempo proteso verso le altre Chiese, instancabile nella ricerca dell’unità, desideroso di attuare la volontà di Cristo: che i credenti «siano una sola cosa» (Gv 17,21). L’unità non è infatti un vantaggio strategico da ricercare per mutuo interesse, ma quello che Gesù ci chiede e che sta a noi adempiere con la buona volontà e con tutte le forze, per realizzare la nostra missione: donare al mondo, con coerenza, il Vangelo.

Per realizzare la necessaria unità non basta, secondo san Nerses, la buona volontà di qualcuno nella Chiesa: è indispensabile la preghiera di tutti. È bello essere qui radunati per pregare gli uni per gli altri, gli uni con gli altri. Ed è anzitutto il dono della preghiera che io sono venuto stasera a domandarvi. Da parte mia, vi assicuro che, nell’offrire il Pane e il Calice all’altare, non manco di presentare al Signore la Chiesa di Armenia e il vostro caro popolo.

San Nerses avvertiva il bisogno di accrescere l’amore reciproco, perché solo la carità è in grado di sanare la memoria e guarire le ferite del passato: solo l’amore cancella i pregiudizi e permette di riconoscere che l’apertura al fratello purifica e migliora le proprie convinzioni. Per quel santo Catholicos, nel cammino verso l’unità è essenziale imitare lo stile dell’amore di Cristo, che «da ricco che era» (2 Cor 8,9), «umiliò sé stesso» (Fil 2,8). Sul suo esempio, siamo chiamati ad avere il coraggio di lasciare i convincimenti rigidi e gli interessi propri, in nome dell’amore che si abbassa e si dona, in nome dell’amore umile: esso è l’olio benedetto della vita cristiana, l’unguento spirituale prezioso che risana, fortifica e santifica. «Alle mancanze suppliamo con carità unanime», scriveva san Nerses (Lettere del signore Nerses Shnorhali, Catholicos degli Armeni, Venezia 1873, 316), e persino – faceva intendere – con una particolare dolcezza d’amore, che ammorbidisca la durezza dei cuori dei cristiani, anch’essi non di rado ripiegati su sé stessi e sui propri tornaconti. Non i calcoli e i vantaggi, ma l’amore umile e generoso attira la misericordia del Padre, la benedizione di Cristo e l’abbondanza dello Spirito Santo. Pregando e «amandoci intensamente, di vero cuore, gli uni gli altri» (cfr 1 Pt 1,22), con umiltà e apertura d’animo disponiamoci a ricevere il dono divino dell’unità. Proseguiamo il nostro cammino con determinazione, anzi corriamo verso la piena comunione tra noi!

«Vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi» (Gv 14,27). Abbiamo ascoltato queste parole del Vangelo, che ci dispongono a implorare da Dio quella pace che il mondo tanto fatica a trovare. Quanto sono grandi oggi gli ostacoli sulla via della pace, e quanto tragiche le conseguenze delle guerre! Penso alle popolazioni costrette ad abbandonare tutto, in particolare in Medio Oriente, dove tanti nostri fratelli e sorelle soffrono violenza e persecuzione, a causa dell’odio e di conflitti sempre fomentati dalla piaga della proliferazione e del commercio di armi, dalla tentazione di ricorrere alla forza e dalla mancanza di rispetto per la persona umana, specialmente per i deboli, per i poveri e per coloro che chiedono solo una vita dignitosa.

Non riesco a non pensare alle prove terribili che il vostro popolo ha sperimentato: un secolo è appena passato dal “Grande Male” che si è abbattuto sopra di voi. Questo «immane e folle sterminio» (Saluto all’inizio della Santa Messa per i fedeli di rito armeno, 12 aprile 2015), questo tragico mistero di iniquità che il vostro popolo ha provato nella sua carne, rimane impresso nella memoria e brucia nel cuore. Voglio ribadire che le vostre sofferenze ci appartengono: «sono le sofferenze delle membra del Corpo mistico di Cristo» (Giovanni Paolo II, Lettera Apostolica in occasione del 1700° anniversario del Battesimo del Popolo armeno: Insegnamenti XXIV, 1 [2001], 275); ricordarle non è solo opportuno, è doveroso: siano un monito in ogni tempo, perché il mondo non ricada mai più nella spirale di simili orrori!

Desidero, al tempo stesso, ricordare con ammirazione come la fede cristiana, «anche nei momenti più tragici della storia armena, è stata la molla propulsiva che ha segnato l’inizio della rinascita del popolo provato» (ibid., 276). Essa è la vostra vera forza, che permette di aprirsi alla via misteriosa e salvifica della Pasqua: le ferite rimaste aperte e causate dall’odio feroce e insensato, possono in qualche modo conformarsi a quelle di Cristo risorto, a quelle ferite che gli furono inferte e che porta ancora impresse nella sua carne. Egli le mostrò gloriose ai discepoli la sera di Pasqua (cfr Gv 20,20): quelle terribili piaghe di dolore patite sulla croce, trasfigurate dall’amore, sono divenute sorgenti di perdono e di pace. Così, anche il dolore più grande, trasformato dalla potenza salvifica della Croce, di cui gli Armeni sono araldi e testimoni, può diventare un seme di pace per il futuro.

La memoria, attraversata dall’amore, diventa infatti capace di incamminarsi per sentieri nuovi e sorprendenti, dove le trame di odio si volgono in progetti di riconciliazione, dove si può sperare in un avvenire migliore per tutti, dove sono «beati gli operatori di pace» (Mt 5,9). Farà bene a tutti impegnarsi per porre le basi di un futuro che non si lasci assorbire dalla forza ingannatrice della vendetta; un futuro, dove non ci si stanchi mai di creare le condizioni per la pace: un lavoro dignitoso per tutti, la cura dei più bisognosi e la lotta senza tregua alla corruzione, che va estirpata.

Cari giovani, questo futuro vi appartiene, ma facendo tesoro della grande saggezza dei vostri anziani. Ambite a diventare costruttori di pace: non notai dello status quo, ma promotori attivi di una cultura dell’incontro e della riconciliazione. Dio benedica il vostro avvenire e «conceda che si riprenda il cammino di riconciliazione tra il popolo armeno e quello turco, e la pace sorga anche nel Nagorno Karabakh» (Messaggio agli Armeni, 12 aprile 2015).

In quest’ottica vorrei infine evocare un altro grande testimone e artefice della pace di Cristo, san Gregorio di Narek, che ho proclamato Dottore della Chiesa. Egli potrebbe essere definito anche “Dottore della pace”. Così ha scritto in quello straordinario Libro che mi piace pensare come la “costituzione spirituale del popolo armeno”: «Ricordati, [Signore,…] di quelli che nella stirpe umana sono nostri nemici, ma per il loro bene: compi in loro perdono e misericordia. [...] Non sterminare coloro che mi mordono: trasformali! Estirpa la viziosa condotta terrena e radica quella buona in me e in loro» (Libro delle Lamentazioni, 83,1-2). Narek, «partecipe profondamente consapevole di ogni necessità» (ibid., 3,2), ha voluto persino identificarsi con i deboli e i peccatori di ogni tempo e luogo, per intercedere a favore di tutti (cfr ibid., 31,3; 32,1; 47,2): si è fatto «l’offripreghiera di tutto il mondo» (ibid., 28,2). Questa sua solidarietà universale con l’umanità è un grande messaggio cristiano di pace, un grido accorato che implora misericordia per tutti. Gli Armeni, presenti in tanti Paesi e che desidero da qui abbracciare fraternamente, siano messaggeri di questo anelito di comunione. Il mondo intero ha bisogno di questo vostro annuncio, ha bisogno della vostra presenza, ha bisogno della vostra testimonianza più pura. Pace a voi!

[01067-IT.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua armena

Մեծարգո՛ և հո՛ւյժ սիրելի Եղբայր, Ծայրագո՛ւյն Պատրիարք և Ամենայն Հայոց Կաթողիկոս,
Պարո՛ն Նախագահ,
Սիրելի՛ եղբայրներ և քույրեր,

Թող որ Աստծո օրհնությունն ու խաղաղությունը լինեն ձեզ հետ:

Շատ էի փափագում այցելել այս սիրելի երկիրը, ձեր Աշխարհը, որ առաջինն ընդունեց քրիստոնեական հավատը: Ինձ համար առանձնաշնորհություն է գտնվել այս բարձունքների վրա, որտեղ Արարատ լեռան հայացքի ներքո նույնիսկ լռությունը մեզ խոսուն է թվում. խաչքարերը մեզ պատմում են անկրկնելի մի պատմություն՝ ամրակուռ հավատով և սոսկալի տառապանքներով հյուսված, մի պատմություն՝ հարուստ Ավետարանի սքանչելի վկաներով, որոնց ժառանգներն եք դուք: Գալիս եմ Հռոմից ուխտավոր՝ ձեզ հետ հանդիպելու և սրտի խորքից բխող իմ զգացումը արտահայտելու. այն ձեր եղբոր սերն է, եղբայրական գրկախառնումն է ամբողջ Կաթողիկե Եկեղեցու, որ ձեզ սիրում է և ձեր կողքին է:

Անցյալ տարիներին մեր եկեղեցիների միջև միշտ շատ հարգալից և հույժ հիշարժան այցերն ու հանդիպումները Աստծո շնորհիվ սերտացան. Նախախնամությունը կամենում է, որ հենց այս օրը, երբ այստեղ Քրիստոսի սուրբ Առաքյալների հիշատակն է նշվում, կրկին միասին լինենք՝ ամրապնդելու առաքելական հաղորդությունը մեր միջև: Շատ երախտապարտ եմ Աստծուն մեր եկեղեցիների «իսկական և ներքին միության համար» (ՀՈՎՀԱՆՆԵՍ ՊՈՂՈՍ Բ, «Համամիութենական ծիսակատարություն», Երևան, 26 սեպտեմբերի 2001թ., «Ուսուցումներ ԻԴ», 2 [2001], 466) և շնորհակալ եմ ձեզ Ավետարանին շատ անգամ հերոսական հավատարմության համար, որ անգնահատելի պարգև է բոլոր քրիստոնյաների համար: Մեր հանդիպումը «գաղափարների փոխանակում չէ, ընծաների փոխանակում է» (հմմտ. Նույն, Շրջաբերական նամակ «Զի եղիցին մի», 28). Հնձենք այն, ինչ Հոգին է մեր մեջ ցանել, որպես յուրաքանչյուրին նվեր (հմմտ. Առաքելական հորդոր «Ավետարանական ցնծություն», 246): Մեծ ուրախությամբ կիսում ենք միասին կտրած արդեն շատ հառաջացած ճանապարհի բազում քայլերը և, իրոք, լիահույս նայում ենք այն օրերին, երբ Աստծո օգնությամբ միացած կլինենք Քրիստոսի զոհասեղանի շուրջ՝ հաղորդության ամբողջական միությամբ: Դեպի այդ բազմատենչ նպատակը «ուխտավորներ ենք, և ճամփորդում [...] ենք միասին՝ մեր սրտերը անկասկած ու անվարան վստահելով ուղեկցին» (Նույն, 244):

Այդ ճանապարհին մեզ նախորդում և ընկերակցում են բազում վկաներ, հատկապես բազմաթիվ նահատակները, որ արյամբ կնքեցին հասարակաց հավատը ի Քրիստոս. նրանք մեր աստղերն են երկնքում, որ փայլում են մեր գլխավերևում և նշում են ճանապարհը, որ մեզ մնում է կտրել այս աշխարհում դեպի ամբողջական հաղորդություն: Մեծ Հայրերի շարքին ուզում եմ ակնարկել սուրբ Ներսես Շնորհալի Կաթողիկոսին: Նա արտակարգ սեր էր տածում իր ժողովրդի և նրա ավանդությունների հանդեպ և միաժամանակ հակված էր մյուս եկեղեցիներին, անխոնջ միության փնտրտուքին՝ Քրիստոսի կամքը իրականացնելու փափագով, որպեսզի հավատացողները «մեկ լինեն» (Հովհ., 17,21): Արդարև, միությունը ռազմավարական առավելություն չէ՝ փոխադարձ շահերի փնտրտուքով, այլ այն, ինչ Հիսուսը խնդրում է մեզնից, և որ մեզ է մնում իրագործել բարի կամքով և բոլոր ուժերով՝ իրականացնելու համար մեր առաքելությունը. աշխարհին հետևողականորեն պարգևելու Ավետարանը:

Անհրաժեշտ միությունը իրականացնելու համար, ըստ սուրբ Ներսեսի, բավարար չէ որևէ մեկի բարի կամքը Եկեղեցում, անհրաժեշտ է բոլորի աղոթքը: Գեղեցիկ է այստեղ հավաքված լինելը՝ մեկս մյուսի համար, մեկս մյուսի հետ աղոթելու: Եվ հատկապես աղոթքի նվերն է, որ եկել եմ այս երեկո ձեզնից խնդրելու: Իմ կողմից վստահեցնում եմ, որ Հացն ու Բաժակը սուրբ սեղանի վրա ընծայելիս չեմ դադարում ներկայացնել Տիրոջը Հայ Եկեղեցուն եւ ձեր սիրելի ժողովրդին:

Սուրբ Ներսեսը զգում էր նաև փոխադարձ սերը կրկնապատկելու անհրաժեշտությունը, որովհետև միայն սերն է ի վիճակի դարմանելու հիշողությունը և բուժելու անցյալի վերքերը. միայն սերն է ջնջում նախապաշարումները և թույլ տալիս ընդունել, որ եղբոր հանդեպ բաց լինելը մաքրում և բարվոքում է սեփական համոզումները: Այդ սուրբ Կաթողիկոսի համար դեպի միության ճանապարհին էական է ընդօրինակել Քրիստոսի սիրո ոճը՝ «նա, որ հարուստ էր» (Բ Կոր. 8-9), «խոնարհեցրեց ինքն իրեն» (Փիլ. 2, 8): Իր օրինակով՝ կանչված ենք քաջությունն ունենալու ձերբազատվելու քարացած համոզումներից և սեփական շահերից՝ հանուն սիրո, որ խոնարհվում է և նվիրվում, հանուն խոնարհ սիրո. այն քրիստոնեական կյանքի օրհնյալ յուղն է, հոգևոր թանկարժեք բալասանը, որ առողջացնում է, զորացնում և սրբացնում: «Թերությունները ծածկենք միասնական սիրով» (Ներսես Շնորհալի Կաթողիկոս Հայոց, «Նամակք», Վենետիկ, 1873, 316). և նույնիսկ հասկացնում էր սիրո յուրահատուկ քաղցրությամբ, որ փափկացնում է սրտի կարծրությունը նաև քրիստոնյաների, որ շատ հաճախ եսակենտրոն և սեփական շահերի հետևից են ընկած: Ոչ թե հաշիվները և օգուտը, այլ խոնարհ և անձնուրաց սերը Հոր բարեգթությունն է շարժում, Քրիստոսի օրհնությունը և Սուրբ Հոգու առատությունը: Աղոթելով և «սրտանց իրար բուռն սիրելով» (հմմտ. Պետ. 1, 22), խոնարհությամբ և հոգու բացվածքով տրամադրվենք ստանալու միության աստվածային ընծան: Վճռականությամբ շարունակենք մեր ընթացքը, ավելին, վազենք դեպի մեր միջև ամբողջական հաղորդությունը:

«Ձեզ եմ թողնում իմ խաղաղությունը: Ոչ ինչպես աշխարհն է տալիս, ես ձեզ եմ տալիս» (Հովհ. 14, 27): Լսեցինք Ավետարանի այս խոսքերը, որոնք մեզ տրամադրում են Աստծուց պաղատելու այն խաղաղությունը, որն աշխարհն այդքան դժվարանում է գտնել: Որքան մեծ են այսօր խաղաղության ճանապարհին կանգնած խոչընդոտները, և որքան ողբերգական՝ պատերազմների հետևանքները: Մտածում եմ այն ժողովուրդների մասին, որոնք ստիպված են թողնել ամեն ինչ, հատկապես Միջին Արևելքում, որտեղ բազմաթիվ եղբայրներ և քույրեր ենթարկվում են բռնության և հալածանքի՝ ատելության և հակամարտությունների պատճառով, որոնք շարունակ հրահրվում են զենքի տարածման և վաճառքի խարանի, ուժի դիմելու փորձության և մարդու՝ հատկապես տկարների, աղքատների և նրանց, ովքեր խնդրում են միայն պատվարժան կյանք, նկատմամբ հարգանքի պակասի պատճառով:

Չեմ կարողանում չմտածել այն սոսկալի փորձությունների մասին, որոնց միջով անցել է ձեր ժողովուրդը. ընդամենը մի դար է անցել Մեծ Եղեռնից, որ ձեզ պատուհասեց: Այս «սոսկալի եւ խելագար ջարդը» (Ուղերձ Սուրբ Պատարագի սկզբին հայածես հավատացյալների, 12 ապրիլի 2015թ.), այս անարդարության ողբերգական խորհուրդը, որ ձեր ժողովուրդը իր մարմնի վրա կրեց, միշտ տպավորված է մնում հիշողության մեջ և այրում է սիրտը: Ուզում եմ շեշտել, որ ձեր տառապանքները մեզ են պատկանում, «Քրիստոսի խորհդավոր մարմնի անդամների տառապանքներն են» (ՀՈՎՀԱՆՆԵՍ ՊՈՂՈՍ Բ, «Առաքելական նամակ հայ ժողովրդի Մկրտութեան 1700-ամեակի առիթով», «Ուսուցումներ ԻԴ», 1 [2001], 275); դրանք հիշելը ոչ միայն պատեհ է, այլև՝ պարտավորություն. բոլոր ժամանակների համար թող ազդակ դառնան, որպեսզի աշխարհը այլևս երբեք չընկնի այդպիսի սխալների հորձանքի մեջ:

Ցանկանում եմ միաժամանակ հիացմունքնով հիշել, թե ինչպես քրիստոնեական հավատը, «նույնիսկ հայոց պատմության ամենաողբերգական պահերին, մղիչ զսպանակ է դարձել, որը արձանագրել է տառապյալ ժողովրդի վեածնունդը (Նույն, 276): Այդ է ձեր իսկական ուժը, որ թույլատրում է Զատկի խորհրդավոր և փրկարար ճանապարհին բացվելու. բաց մնացած և կատաղի ու անիմաստ ատելության պատճառված վերքերը կարող են որոշ կերպով հարուցյալ Քրիստոսի վերքերին համեմատվել, այն վերքերին, որ նրան պատճառեցին և որ դեռ դրոշմված են նրա մարմնի վրա: Նա փառավորված ցույց տվեց դրանք աշակերտներին՝ Զատկի երեկոյին (հմմտ. Հովհ. 20, 20). խաչի վրա կրած ցավերի այդ սարսափելի վերքերը սիրուց փոխակերպված դարձել էին ներումի և խաղաղության սկզբնաղբյուրներ: Այդպիսով, նույնիսկ ամենամեծ ցավը՝ խաչի փրկագործ զորությունից փոխակերպված, որի մունետիկն ու վկաներն են հայերը, կարող է խաղաղության սերմ դառնալ ապագայի համար:

Հիշողությունը՝ սիրուց ներթափանցված, արդարև նոր և զարմանալի արահետներով գնալու ունակ է դառնում, որտեղ ատելության դավերը փոխակերպվում են հաշտության ծրագրերի, ուր կարելի է հուսալ լավագույն ապագա բոլորի համար, ուր «երանի խաղարարարներին» (Մթ. 5, 9): Բոլորի համար լավ կլինի աջակցել ապագայի հիմքերը դնելու, այնպես, որ թույլ չտրվի վրեժի խաբեական ուժին ներծծվելու. մի ապագա, որտեղ երբեք չհոգնեն ստեղծելու խաղաղության պայմաններ՝ բոլորի համար արժանավայել աշխատանք, առավել կարիքավորներին խնամատարություն և անխոնջ պայքար կաշառակերության դեմ, որը պետք է արմատախիլ անել:

Սիրելի՛ երիտասարդներ, այս ապագան ձեզ է պատկանում. Ձեր մեծերի իմաստությունն ամբարելով՝ խաղաղարարներ դառնալու հնարավորությունն եք ունենում, ոչ թե ստատուս-քվոյի նոտարներ, այլ հանդիպման և հաշտության մշակույթի դրական գործիչներ: Աստված օրհնի ձեր ապագան և «պարգևի, որ հայ և թուրք ժողովուրդների հաշտության ուղին կրկին ձեռք առնվի, և խաղաղությունը տիրի Ղարաբաղում» (Պատգամ հայերին, 12 ապրիլի 2015թ.):

Այս տեսանկյունից կցանկանայի վերջապես հիշել Քրիստոսի խաղաղության մեծ վկային և գործչին՝ սուրբ Գրիգոր Նարեկացուն, որին Եկեղեցու Վարդապետ հռչակեցի: Նա կարող էր հայտարարվել նաև «Խաղաղության Վարդապետ»: Նա այսպես է գրել այդ արտասովոր Գրքում, որ սիրում եմ անվանել որպես «հայ ժողովրդի հոգևոր սահմանադրություն». «Հիշի՛ր, [Տեր,...] նրանց, ովքեր մարդկային ցեղում մեր թշնամիներն են, սակայն նրանց բարիքի համար. նրանց մեջ իրագործիր ներում և ողորմություն [...] Մի՛ վերացնիր նրանց, ովքեր ինձ կծոտում են. կերպարանափոխի՛ր: Արմատախիլ արա աշխարհիկ ախտավոր ընթացքը և տնկիր բարին իմ և նրանց մեջ» («Մատյան ողբերգության», 83, 1-2): Նարեկացին, «խորապես գիտակից մասնակից ամեն կարիքի (Նույն, 3, 2), կամեցավ մինչև ամեն ժամանակի և տեղանքի տկարների և մեղավորների հետ նույնանալ, միջնորդելու համար բոլորի օգտին (Նույն, 31,3; 32,1; 47,2). նա դարձավ «ամբողջ աշխարհի աղոթամատույցը» (Նույն, 28,2): Նրա այսպիսի ընդհանրական զորակցությունը մարդկության հետ քրիստոնեական մեծ պատգամ է խաղաղության, ներդաշնակ ճիչ, որ բոլորի համար ողորմություն է հայցում: Տարբեր երկրներում ներկա հայերը, որոնց եղբայրաբար գրկում եմ այստեղից, այս հաղորդության իղձին լինեն պատգամաբերներ: Ողջ աշխարհը ձեր այս քարոզության կարիքն ունի, ձեր ներկայության կարիքն ունի, ձեր ամենաջինջ վկայության կարիքն ունի: Խաղաղություն ամենեցուն:

[01067-AA.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua inglese

Venerable and Dear Brother, Supreme Patriarch-Catholicos of All Armenians,
Mr President,
Dear Brothers and Sisters,

God’s blessing and peace be with all of you!

I have greatly desired to visit this beloved land, your country, the first to embrace the Christian faith. It is a grace for me to find myself here on these heights where, beneath the gaze of Mount Ararat, the very silence seems to speak. Here the khatchkar – the stone crosses – recount a singular history bound up with rugged faith and immense suffering, a history replete with magnificent testimonies to the Gospel, to which you are heir. I have come as a pilgrim from Rome to be with you and to express my heartfelt affection: the affection of your brother and the fraternal embrace of the whole Catholic Church, which esteems you and is close to you.

In recent years the visits and meetings between our Churches, always cordial and often memorable, have, thank God, increased. Providence has willed that on this day commemorating the Holy Apostles of Christ we meet once again to confirm the apostolic communion between us. I am most grateful to God for the “real and profound unity” between our Churches (cf. JOHN PAUL II, Ecumenical Celebration, Yerevan, 26 September 2001: Insegnamenti XXIV/2 [2001], 466), and I thank you for your often heroic fidelity to the Gospel, which is a priceless gift for all Christians. Our presence here is not an exchange of ideas, but of gifts (cf. ID., Ut Unum Sint, 28): we are reaping what the Spirit has sown in us as a gift for each (cf. Evangelii Gaudium, 246). With great joy, we are walking together on a journey that has already taken us far, and we look confidently towards the day when by God’s help we shall be united around the altar of Christ’s sacrifice in the fullness of Eucharistic communion. As we pursue that greatly desired goal, we are joined in a common pilgrimage; we walk with one another with “sincere trust in our fellow pilgrims, putting aside all suspicion and mistrust” (ibid., 244).

On this journey, we have been preceded by, and walk with, many witnesses, particularly all those martyrs who sealed our common faith in Christ by their blood. They are our stars in heaven, shining upon us here below and pointing out the path towards full communion. Among the great Fathers, I would mention the saintly Catholicos Nerses Shnorhali. He showed great and extraordinary love for his people and their traditions, as well as a lively concern for other Churches. Tireless in seeking unity, he sought to achieve Christ’s will that those who believe “may all be one” (Jn 17:21). Unity does not have to do with strategic advantages sought out of mutual self-interest. Rather, it is what Jesus requires of us and what we ourselves must strive to attain with good will, constant effort and consistent witness, in the fulfilment of our mission of bringing the Gospel to the world.

To realize this necessary unity, Saint Nerses tells us that in the Church more is required than the good will of a few: everyone’s prayer is needed. It is beautiful that we have gathered here to pray for one another and with one another. It is above all the gift of prayer that I come this evening to ask of you. For my part, I assure you that, in offering the bread and cup at the altar, I will not fail to present to the Lord the Church of Armenia and your dear people.

Saint Nerses spoke of the need to grow in mutual love, since charity alone can heal memories and bind up past wounds. Memory alone erases prejudices and makes us see that openness to our brothers and sisters can purify and elevate our own convictions. For the sainted Catholicos, the journey towards unity necessarily involves imitating the love of Christ, who, “though he was rich” (2 Cor 8:9), “humbled himself” (Phil 2:8). Following Christ’s example, we are called to find the courage needed to abandon rigid opinions and personal interests in the name of the love that bends low and bestows itself, in the name of the humble love that is the blessed oil of the Christian life, the precious spiritual balm that heals, strengthens and sanctifies. “Let us make up for our shortcomings in harmony and charity”, wrote Saint Nerses (Lettere del Signore Nerses Shnorhali, Catholicos degli Armeni, Venice, 1873, 316), and even – he suggested – with a particular gentleness of love capable of softening the hardness of the heart of Christians, for they too are often concerned only with themselves and their own advantage. Humble and generous love, not the calculation of benefits, attracts the mercy of the Father, the blessing of Christ and the outpouring of the Holy Spirit. By praying and “loving one another deeply from the heart” (cf. 1 Pet 1:22), in humility and openness of spirit, we prepare ourselves to receive God’s gift of unity. Let us pursue our journey with determination; indeed, let us race towards our full communion!

“Peace I give to you. Not as the world gives it, do I give it to you” (Jn 14:27). We have heard these words of the Gospel, which invite us to implore from God that peace that the world struggles to achieve. How many obstacles are found today along the path of peace, and how tragic the consequences of wars! I think of all those forced to leave everything behind, particularly in the Middle East, where so many of our brothers and sisters suffer violence and persecution on account of hatred and interminable conflicts. Those conflicts are fueled by the proliferation of weapons and by the arms trade, by the temptation to resort to force and by lack of respect for the human person, especially for the weak, the poor and those who seek only a dignified life.

Nor can I fail to think of the terrible trials that your own people experienced. A century has just passed from the “Great Evil” unleashed upon you. This “immense and senseless slaughter” (Greeting, Mass for Faithful of the Armenian Rite, 12 April 2015), this tragic mystery of iniquity that your people experienced in the flesh, remains impressed in our memory and burns in our hearts. Here I would again state that your sufferings are our own: “they are the sufferings of the members of Christ’s Mystical Body” (JOHN PAUL II, Apostolic Letter on the 1700th Anniversary of the Baptism of the Armenian People, 4: Insegnamenti XXIV/1 [2001], 275). Not to forget them is not only right, it is a duty. May they be a perennial warning lest the world fall back into the maelstrom of similar horrors!

At the same time, I recall with admiration how the Christian faith, “even at the most tragic moments of Armenian history, was the driving force that marked the beginning of your suffering people’s rebirth” (ibid., 276). That is your true strength, which enables you to be open to the mysterious and saving path of Easter. Wounds still open, caused by fierce and senseless hatred, can in some way be configured to the wounds of the risen Christ, those wounds that were inflicted upon him and that he bears even now impressed on his flesh. He showed those glorious wounds to the disciples on the evening of Easter (cf. Jn 20:20). Those terrible, painful wounds suffered on the cross, transfigured by love, have become a wellspring of forgiveness and peace. Even the greatest pain, transformed by the saving power of the cross, of which Armenians are heralds and witnesses, can become a seed of peace for the future.

Memory, infused with love, becomes capable of setting out on new and unexpected paths, where designs of hatred become projects of reconciliation, where hope arises for a better future for everyone, where “blessed are the peacemakers” (Mt 5:9). We would all benefit from efforts to lay the foundations of a future that will resist being caught up in the illusory power of vengeance, a future of constant efforts to create the conditions for peace: dignified employment for all, care for those in greatest need, and the unending battle to eliminate corruption.

Dear young people, this future belongs to you, but cherish the great wisdom of your elders and strive to be peacemakers: not content with the status quo, but actively engaged in building the culture of encounter and reconciliation. May God bless your future and “grant that the people of Armenia and Turkey take up again the path of reconciliation, and may peace also spring forth in Nagorno Karabakh (Message to the Armenians, 12 April 2015).

In this perspective, I would like lastly to mention another great witness and builder of Christ’s peace, Saint Gregory of Narek, whom I have proclaimed a Doctor of the Church. He could also be defined as a “Doctor of Peace”. Thus he wrote in the extraordinary Book that I like to consider the “spiritual constitution of the Armenian people”: “Remember [Lord,] those of the human race who are our enemies as well, and for their benefit accord them pardon and mercy… Do not destroy those who persecute me, but reform them; root out the vile ways of this world, and plant the good in me and them” (Book of Lamentations, 83, 1-2). Narek, “profoundly conscious of sharing in every need” (ibid., 3, 2), sought also to identify with the weak and sinners of every time and place in order to intercede on behalf of all (cf. ibid., 31, 3; 32, 1; 47, 2). He became “the intercessor of the whole world” (ibid., 28, 2). This, his universal solidarity with humanity, is a great Christian message of peace, a heartfelt plea of mercy for all. Armenians are present in so many countries of the world; from here, I wish fraternally to embrace everyone. I encourage all of you, everywhere, to give voice to this desire for fellowship. The whole world needs this message, it needs your presence, it needs your purest witness. Peace to you!

[01067-EN.02] [Original text: Italian]

Traduzione in lingua spagnola

Venerado y querido hermano, Patriarca supremo y Catholicós de todos los armenios,
Señor Presidente,
Queridos hermanos y hermanas

La bendición y la paz de Dios estén con todos vosotros.

Mucho he deseado visitar esta querida tierra, vuestro País que fue el primero en abrazar la fe cristiana. Es una gracia para mí encontrarme en estas montañas, donde, bajo la mirada del monte Ararat, también el silencio parece que nos habla; donde los khatchkar —las cruces de piedra— narran una historia única, impregnada de fe sólida y sufrimiento enorme, una historia rica de grandes testigos del Evangelio, de los que sois herederos. He venido como peregrino desde Roma para encontrarme con vosotros y para manifestaros un sentimiento que brota desde la profundidad del corazón: es el afecto de vuestro hermano, es el abrazo fraterno de toda la Iglesia Católica, que os quiere y que está cerca de vosotros.

En los años pasados, se han intensificado, gracias a Dios, las visitas y los encuentros entre nuestras Iglesias, siendo siempre muy cordiales y con frecuencia memorables. La Providencia ha querido que, en el mismo día en el que se recuerdan los santos Apóstoles de Cristo, estemos juntos nuevamente para reforzar la comunión apostólica entre nosotros. Estoy muy agradecido a Dios por la «real e íntima unidad» entre nuestras Iglesias (cf. Juan Pablo II, Celebración ecuménica, Ereván, 26 septiembre 2001) y os agradezco vuestra fidelidad al Evangelio, frecuentemente heroica, que es un don inestimable para todos los cristianos. Nuestro reencuentro no es un intercambio de ideas, sino un intercambio de dones (cf. Id., Carta enc. Ut unum sint, 28): recojamos lo que el Espíritu ha sembrado en nosotros, como un don para cada uno (cf. Exhort. ap. Evangelii gaudium, 246). Compartamos con gran alegría los muchos pasos de un camino común que ya está muy avanzado, y miremos verdaderamente con confianza al día en que, con la ayuda de Dios, estaremos unidos junto al altar del sacrificio de Cristo, en la plenitud de la comunión eucarística. Hacia esa meta tan deseada «somos peregrinos, y peregrinamos juntos […] hay que confiar el corazón al compañero de camino sin recelos, sin desconfianzas» (ibíd., 244).

En este trayecto nos preceden y acompañan muchos testigos, de modo particular tantos mártires que han sellado con la sangre la fe común en Cristo: son nuestras estrellas en el cielo, que resplandecen sobre nosotros e indican el camino que nos falta por recorrer en la tierra hacia la comunión plena. Entre los grandes Padres, deseo mencionar al santo Catholicós Nerses Shnorhali. Él manifestaba un amor grande y extraordinario por su pueblo y sus tradiciones, y, al mismo tiempo, estaba abierto a las otras Iglesias, incansable en la búsqueda de la unidad, deseoso de realizar la voluntad de Cristo: que los creyentes «sean uno» (Jn 17,21). En efecto, la unidad no es un beneficio estratégico para buscar mutuos intereses, sino lo que Jesús nos pide y que depende de nosotros cumplir con buena voluntad y con todas las fuerzas, para realizar nuestra misión: ofrecer al mundo, con coherencia, el Evangelio.

Para lograr la unidad necesaria no basta, según san Nerses, la buena voluntad de alguien en la Iglesia: es indispensable la oración de todos. Es hermoso estar aquí reunidos para rezar unos por otros, unos con otros. Y es sobre todo el don de la oración que he venido a pediros esta tarde. Por mi parte, os aseguro que, al ofrecer el Pan y el Cáliz en el altar, no dejo de presentar al Señor a la Iglesia de Armenia y a vuestro querido pueblo.

San Nerses advertía la necesidad de acrecentar el amor recíproco, porque sólo la caridad es capaz de sanar la memoria y curar las heridas del pasado: sólo el amor borra los prejuicios y permite reconocer que la apertura al hermano purifica y mejora las propias convicciones. Para el santo Catholicós, es esencial imitar en el camino hacia la unidad el estilo del amor de Cristo, que «siendo rico» (2 Co 8,9), «se humilló a sí mismo» (Flp 2,8). Siguiendo su ejemplo, estamos llamados a tener la valentía de dejar las convicciones rígidas y los intereses propios, en nombre del amor que se abaja y se da, en nombre del amor humilde: este es el aceite bendecido de la vida cristiana, el ungüento espiritual precioso que cura, fortifica y santifica. «Suplimos las faltas con caridad unánime», escribía san Nerses (Cartas de Nerses Shnorhali, Catholicós de los Armenios, Venecia 1873, 316), e incluso —hacía entender— con una particular dulzura de amor, que ablande la dureza de los corazones de los cristianos, también de los que a veces están replegados en sí mismos y en sus propios beneficios. No los cálculos ni los intereses, sino el amor humilde y generoso atrae la misericordia del Padre, la bendición de Cristo y la abundancia del Espíritu Santo. Rezando y «amándonos intensamente unos a otros con corazón puro» (cf. 1 P 1, 22), con humildad y apertura de ánimo, dispongámonos a recibir el don de la unidad. Sigamos nuestro camino con determinación, más aún corramos hacia la plena comunión entre nosotros.

«La paz os dejo, mi paz os doy; no os la doy yo como la da el mundo» (Jn 14,27). Hemos escuchado estas palabras del Evangelio, que nos disponen a implorar de Dios esa paz que el mundo tanto se esfuerza por encontrar. ¡Qué grandes son hoy los obstáculos en el camino de la paz y qué trágicas las consecuencias de las guerras! Pienso en las poblaciones forzadas a abandonar todo, de modo particular en Oriente Medio, donde muchos de nuestros hermanos y hermanas sufren violencia y persecución a causa del odio y de conflictos, fomentados siempre por la plaga de la proliferación y del comercio de armas, por la tentación de recurrir a la fuerza y por la falta de respeto a la persona humana, especialmente a los débiles, a los pobres y a los que piden sólo una vida digna.

No dejo de pensar en las pruebas terribles que vuestro pueblo ha experimentado: Apenas ha pasado un siglo del “Gran Mal” que se abatió sobre vosotros. Ese «exterminio terrible y sin sentido» (Saludo al comienzo de la Santa Misa para los fieles de rito armenio, 12 abril 2015), este trágico misterio de iniquidad que vuestro pueblo ha experimentado en su carne, permanece impreso en la memoria y arde en el corazón. Quiero reiterar que vuestros sufrimientos nos pertenecen: «son los sufrimientos de los miembros del Cuerpo místico de Cristo» (Juan Pablo II, Carta apostólica en ocasión del XVII centenario del bautismo del pueblo armenio, 7); recordarlos no es sólo oportuno, sino necesario: que sean una advertencia en todo momento, para que el mundo no caiga jamás en la espiral de horrores semejantes.

Al mismo tiempo, deseo recordar con admiración cómo la fe cristiana, «incluso en los momentos más trágicos de la historia armenia, ha sido el estímulo que ha marcado el inicio del renacimiento del pueblo probado» (ibíd., 276). Esta es vuestra verdadera fuerza, que permite abrirse a la vía misteriosa e salvífica de la Pascua: las heridas que permanecen abiertas y que han sido producidas por el odio feroz e insensato, pueden en cierto modo conformarse a las de Cristo resucitado, a esas heridas que le fueron infligidas y que tiene impresas todavía en su carne. Él las mostró gloriosas a los discípulos la noche de Pascua (cf. Jn 20,20): esas heridas terribles de dolor padecidas en la cruz, transfiguradas por el amor, son fuente de perdón y de paz. Del mismo modo, también el dolor más grande, transformado por el poder salvífico de la cruz, de la cual los Armenios son heraldos y testigos, puede ser una semilla de paz para el futuro.

La memoria, traspasada por el amor, es capaz de adentrarse por senderos nuevos y sorprendentes, donde las tramas del odio se transforman en proyectos de reconciliación, donde se puede esperar en un futuro mejor para todos, donde son «dichosos los que trabajan por la paz» (Mt 5,9). Hará bien a todos comprometerse para poner las bases de un futuro que no se deje absorber por la fuerza engañosa de la venganza; un futuro, donde no nos cansemos jamás de crear las condiciones por la paz: un trabajo digno para todos, el cuidado de los más necesitados y la lucha sin tregua contra la corrupción, que tiene que ser erradicada.

Queridos jóvenes, este futuro os pertenece, pero sabiendo aprovechar la gran sabiduría de vuestros ancianos. Desead ser constructores de paz, no notarios del status quo, sino promotores activos de una cultura del encuentro y de la reconciliación. Que Dios bendiga vuestro futuro y «haga que se retome el camino de reconciliación entre el pueblo armenio y el pueblo turco, y que la paz brote también en el Nagorno Karabaj» (Mensaje a los Armenios, 12 abril 2015).

Por último, quiero evocar en esta perspectiva a otro gran testigo y artífice de la paz de Cristo, san Gregorio de Narek, que he proclamado Doctor de la Iglesia. Podría ser definido también «Doctor de la paz». Así escribía en ese extraordinario Libro que me gusta considerar como la «constitución espiritual del pueblo armenio»: «Recuérdate, [Señor, …] de los que en la estirpe humana son nuestros enemigos, pero por el bien de ellos: concede a ellos perdón y misericordia. […] No extermines a los que me muerden, transfórmalos. Extirpa la viciosa conducta terrena y planta la buena en mí y en ellos» (Libro de las Lamentaciones, 83, 1-2). Narek, «partícipe profundamente consciente de toda necesidad» (ibíd., 3,2), ha querido identificarse incluso con los débiles y los pecadores de todo tiempo y lugar, para interceder en favor de todos (cf. ibíd., 31,3; 32,1; 47,2): se ha hecho «“ofrenda de oración” de todo el mundo» (ibíd., 28,2). Su solidaridad universal con la humanidad es un gran mensaje cristiano de paz, un grito vehemente que implora misericordia para todos. Los armenios, presentes en muchos países y a quienes deseo abrazar fraternalmente desde aquí, son mensajeros de este deseo de comunión. Todo el mundo necesita de vuestro mensaje, necesita de vuestra presencia, necesita de vuestro testimonio más puro. Que la paz esté con vosotros.

[01067-ES.01] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua francese

Vénérable et cher Frère, Patriarche Suprême et Catholicos de tous les Arméniens,
Monsieur le Président,
Chers frères et sœurs,

La bénédiction et la paix de Dieu soient avec voustous !

J’ai tant désiré visiter cette terre aimée, votre pays qui le premier a embrassé la foi chrétienne. C’est une grâce pour moi de me trouver sur ces hauteurs, où, sous le regard du mont Ararat, même le silence semble nous parler; où les khatchkar – les croix de pierre – racontent une histoire unique, imprégnée d’une foi solide comme le roc et d’une souffrance effroyable, une histoire riche en magnifiques témoignages de l’Évangile, dont vous êtes les héritiers. Je suis venu de Rome en pèlerin pour vous rencontrer et pour vous exprimer un sentiment qui jaillit des profondeurs du cœur: c’est l’affection de votre frère, c’est l’accolade fraternelle de l’Église catholique entière, qui vous aime et qui vous est proche.

Au cours des années écoulées les visites et les rencontres entre nos Églises, toujours si cordiales et souvent mémorables, se sont, grâce à Dieu, intensifiées; la Providence veut que, exactement le jour où l’on célèbre ici les saints Apôtres du Christ, nous soyons de nouveau ensemble pour renforcer la communion apostolique entre nous. Je suis très reconnaissant à Dieu pour l’«unité réelle et intime» entre nos Églises (cf. Jean-Paul II, Homélie à l’occasion de la célébration œcuménique, Yerevan, 26 septembre 2001: Insegnamenti XXIV, 2 [2001], p. 466) et je vous remercie pour votre fidélité à l’Évangile, souvent héroïque, qui est un don inestimable pour tous les chrétiens. Le fait de nous retrouver n’est pas un échange d’idées, c’est un échange de dons (cf. Id., Lett. enc. Ut unum sint, n. 28): nous recueillons ce que l’Esprit a semé en nous comme un don pour chacun (cf. Exhort. Ap. Evangelii gaudium, n. 246). Nous partageons avec grande joie les nombreux pas d’un cheminement commun déjà très avancé, et nous regardons vraiment avec confiance vers le jour où, avec l’aide de Dieu, nous serons unis à l’autel du sacrifice du Christ, dans la plénitude de la communion eucharistique. Vers ce but tant désiré «nous sommes pèlerins, et […] nous pérégrinons ensemble. Pour cela il faut confier son cœur au compagnon de route sans soupçons, sans méfiance » (ibid., n. 244).

Sur ce parcours nous précèdent et nous accompagnent beaucoup de témoins, en particulier les nombreux martyrs qui ont scellé par le sang la foi commune dans le Christ: ils sont nos étoiles au ciel, qui resplendissent sur nous et indiquent le chemin qu’il nous reste à parcourir sur la terre, vers la pleine communion. Parmi les Pères importants, je voudrais me référer au saint Catholicos Nersès Shnorhali. Il nourrissait un grand amour extraordinaire envers son peuple et envers ses traditions, et il était en même temps porté vers les autres Églises, inlassable dans la recherche de l’unité, désireux d’accomplir la volonté du Christ: que les croyants «soient un» (Jn 17, 21). L’unité n’est pas, en effet, un avantage stratégique à rechercher pour un intérêt mutuel, mais ce que Jésus nous demande et qu’il nous revient d’accomplir avec notre bonne volonté et de toutes nos forces, pour réaliser notre mission: donner au monde, avec cohérence, l’Évangile.

Pour réaliser l’unité nécessaire, selon saint Nersès, la bonne volonté d’une personne dans l’Église ne suffit pas: la prière de tous est indispensable. Il est beau d’être ici rassemblés pour prier les uns pour les autres, les uns avec les autres. Et c’est avant tout le don de la prière que je suis venu vous demander ce soir. Pour ma part, je vous assure que, en offrant le Pain et le Calice à l’autel, je ne manque pas de présenter au Seigneur l’Église d’Arménie et votre cher peuple.

Saint Nersès sentait le besoin de faire grandir l’amour réciproque, car seule la charité est en mesure d’assainir la mémoire et de guérir les blessures du passé: seul l’amour efface les préjugés et permet de reconnaître que l’ouverture au frère purifie et rend meilleures les convictions personnelles. Pour ce saint Catholicos, sur le chemin vers l’unité il est essentiel d’imiter le style de l’amour du Christ, lui qui «est riche» (2 Co 8, 9) «s’est abaissé» (Ph 2, 8). À son exemple, nous sommes appelés à avoir le courage de laisser les convictions rigides et les intérêts particuliers, au nom de l’amour qui s’abaisse et se donne, au nom de l’amour humble: voilà l’huile bénie de la vie chrétienne, le précieux onguent spirituel qui guérit, fortifie et sanctifie. «Suppléons aux manquements par la charité unanime», écrivait saint Nersès (Lettere del signor Nersès Shnorhali, Catholicos degli Armeni, Venise 1873, p. 316), et même – faisait-il comprendre – avec une douceur particulière d’amour, qui adoucit la dureté des cœurs des chrétiens, eux aussi souvent repliés sur eux-mêmes et sur leurs propres intérêts. Ce ne sont pas les calculs ni les avantages, mais c’est l’amour humble et généreux qui attire la miséricorde du Père, la bénédiction du Christ et l’abondance de l’Esprit Saint. En priant et «en nous aimant intensément, d’un cœur pur, les uns les autres» (cf.1 P 1, 22), avec humilité et ouverture d’esprit, disposons-nous à recevoir le don divin de l’unité. Poursuivons notre chemin avec détermination, et même courrons vers la pleine communion entre nous!

«Je vous donne ma paix; ce n’est pas à la manière du mondeque je vous la donne » (Jn 14, 27). Nous avons écouté ces paroles de l’Évangile, qui nous prédisposent à implorer de Dieu cette paix que le monde peine tant à trouver. Combien grands sont aujourd’hui les obstacles sur la voie de la paix, et que les conséquences des guerres sont tragiques! Je pense aux populations contraintes à tout abandonner, en particulier au Moyen Orient, où beaucoup de nos frères et sœurs souffrent violence et persécution, à cause de la haine et de conflits toujours fomentés par le fléau de la prolifération et du commerce des armes, par la tentation de recourir à la force et par le manque de respect envers la personne humaine, spécialement envers les faibles, envers les pauvres et ceux qui ne demandent qu’une vie digne.

Je n’arrive pas à ne pas penser aux épreuves terribles dont votre peuple a fait l’expérience: à peine un siècle s’est-il écoulé depuis le ‘‘Grand Mal’’ qui s’est abattu sur vous! Cette «effroyable et folle extermination» (Salut au commencement de la Sainte Messe pour les fidèles de rite arménien, 12 avril 2015), ce tragique mystère d’iniquité que votre peuple a vécu dans sa chair, demeure imprimé dans la mémoire et brûle dans le cœur. Je veux réaffirmer que vos souffrances nous appartiennent: « ce sontles blessures douloureuses infligées au Corps du Christ qui souffre » (Jean-Paul II, Lettre apostolique à l’occasion du 1700ème anniversaire du Baptême du peuple arménien: Insegnamenti XXIV, 1 [2001], p. 275); le rappeler n’est pas seulement opportun, c’est un devoir: qu’elles soient un avertissement en tout temps, pour que le monde ne retombe plus jamais dans la spirale de pareilles horreurs!

Je voudrais, en même temps, rappeler avec admiration comment la foi chrétienne «même lors des moments les plus tragiques de l'histoire arménienne, a été le moteur qui a marqué le début de la renaissance de ce peuple éprouvé» (ibid., p. 276). Elle est votre vraie force, qui permet de s’ouvrir à la voie mystérieuse et salvatrice de la Pâques: les blessures restées ouvertes et causées par la haine féroce et insensée, peuvent d’une certaine manière se configurer à celles du Christ ressuscité, à ces blessures qui lui ont été infligées et qu’il porte encore imprimées dans sa chair. Il les a montrées glorieuses à ses disciples le soir de Pâques (cf. Jn 20, 20): ces terribles plaies de souffrance subie sur la croix, transfigurées par l’amour, sont devenues sources de pardon et de paix. Ainsi, même la douleur la plus grande, transformée par la puissance salvifique de la Croix, dont les Arméniens sont des hérauts et des témoins, peut devenir une semence de paix pour l’avenir.

La mémoire, imprégnée d’amour, devient en effet capable d’emprunter des sentiers nouveaux et surprenants, où les trames de haine se transforment en projets de réconciliation, où on peut espérer un avenir meilleur pour tous, où sont «heureux les artisans de paix» (Mt 5, 9). S’engager à poser les bases d’un avenir qui ne se laisse pas absorber par la force trompeuse de la vengeance fera du bien à tous; un avenir où on ne se lasse jamais de créer les conditions pour la paix: un travail digne pour tous, le soin de ceux qui sont le plus dans le besoin et la lutte sans trêve contre la corruption, qui doit être extirpée.

Chers jeunes, cet avenir vous appartient, mais en tirant profit de la grande sagesse de vos personnes âgées. Ayez l’ambition de devenir des constructeurs de paix: non pas des notaires du status quo, mais des promoteurs actifs d’une culture de la rencontre et de la réconciliation. Que Dieu bénisse votre avenir et vous «accorde que soit repris le chemin de la réconciliation entre le peuple arménien et le peuple turc, et que la paix advienne aussi au Nagorno Karabakh» (Message aux Arméniens, 12 avril 2015).

Dans cette optique, je voudrais enfin évoquer un autre grand témoin et artisan de la paix du Christ, saint Grégoire de Narek, que j’ai proclamé Docteur de l’Église. Il pourrait être aussi qualifié de ‘‘Docteur de la paix’’. Ainsi, il a écrit dans ce Livre extraordinaire que j’aime à considérer comme la ‘‘constitution spirituelle du peuple arménien’’: «Souviens-Toi [Seigneur] de ceux aussi qui, parmi la race humaine, sont nos ennemis, mais pour leur faire du bien: accorde-leur pardon et miséricorde […] N’extermine pas ceux qui me mordent, mais change-les; arrache-leur la mauvaise conduite terrestre, enracine la bonne en moi et en eux » (Livre de prières, 83, 1-2). Narek «par une connaissance profonde participe aux faiblesses de chacun» (ibid., 3, 2), il a même voulu s’identifier avec les faibles et les pécheurs de chaque époque et lieu, pour intercéder en faveur de tous (cf. ibid., 31, 3; 32, 1; 47, 2): il s’est fait un «délégué pour offrir la prière du monde entier» (ibid., 28, 2). Sa solidarité universelle avec l’humanité est un grand message chrétien de paix, un cri plein de tristesse qui implore miséricorde pour tous. Que les Arméniens, présents dans de nombreux pays et que je voudrais d’ici embrasser fraternellement, soient des messagers de ce désir de communion. Le monde entier a besoin de votre annonce, il a besoin de votre présence, il a besoin de votre plus pur témoignage. Paix à vous!

[01067-FR.02] [Texte original: Italien]

Traduzione in lingua tedesca

Verehrter, lieber Bruder, Oberster Patriarch und Katholikos aller Armenier,
Herr Präsident,
liebe Brüder und Schwestern,

der Segen und der Friede Gottes seien mit euch allen!

Ich habe mir so sehr gewünscht, dieses geschätzte Land zu besuchen, euer Land, das als erstes den christlichen Glauben annahm. Es ist eine Gnade für mich, hier auf diesen Höhenzügen zu sein, wo unter dem Blick des Berges Ararat auch das Schweigen zu uns zu sprechen scheint; wo die Chatschkar – die steinernen Kreuze – eine einzigartige Geschichte erzählen, durchdrungen von felsenfestem Glauben und ungeheurem Leiden, eine Geschichte, reich an großartigen Zeugen des Evangeliums, deren Erben ihr seid. Ich bin als Pilger von Rom gekommen, um euch zu begegnen und um euch eine Empfindung kundzutun, die aus der Tiefe meines Herzens aufsteigt: Es ist die Liebe eures Bruders, es ist die brüderliche Umarmung der ganzen katholischen Kirche, die euch liebt und euch nahe ist.

In den vergangenen Jahren haben sich die immer sehr herzlichen und oft denkwürdigen Besuche und Begegnungen zwischen unseren Kirchen, Gott sei Dank, intensiviert; die Vorsehung will, dass wir gerade an dem Tag, an dem hier der heiligen Apostel Christi gedacht wird, erneut beisammen sind, um die apostolische Gemeinschaft unter uns zu stärken. Ich bin Gott sehr dankbar für die »wahre und enge Einheit« zwischen unseren Kirchen (vgl. Johannes Paul II., Ökumenisches Gebetstreffen [Jerewan, 26. September 2001], 3: L’Osservatore Romano [dt.] Jg. 31, Nr. 41 [12. Oktober 2001], S. 7) und ich danke euch für eure oft heldenhafte Treue zum Evangelium; sie ist ein unschätzbares Geschenk für alle Christen. Unser Zusammenkommen ist kein Gedankenaustausch, sondern ein Austausch von Gaben (vgl. Ders., Enzyklika Ut unum sint, 28): Wir ernten, was der Geist in uns gesät hat, als ein Geschenk für jeden (vgl. Apost. Schreiben Evangelii gaudium, 246). Mit großer Freude teilen wir miteinander die vielen Schritte eines schon weit vorangekommenen gemeinsamen Weges und schauen wirklich zuversichtlich auf den Tag, an dem wir mit Gottes Hilfe am Altar des Opfers Christi vereint sein werden, in der Fülle der eucharistischen Gemeinschaft. Zu diesem so ersehnten Ziel sind wir als Pilger unterwegs, und wir pilgern gemeinsam, indem wir »das Herz ohne Ängstlichkeit dem Weggefährten anvertrauen, ohne Misstrauen« (ebd., 244).

Auf diesem Weg gehen uns viele Zeugen voran und begleiten uns, besonders die vielen Märtyrer, die den gemeinsamen Glauben an Christus mit ihrem Blut besiegelt haben: Sie sind unsere Sterne am Himmel, die über uns leuchten und uns den Weg zur vollen Gemeinschaft weisen, der auf Erden noch zurückzulegen ist. Unter den großen Vätern möchte ich mich auf den heiligen Katholikos Nerses Shnorhali beziehen. Er hatte eine große und außerordentliche Liebe zu seinem Volk und seinen Traditionen und streckte sich zugleich in unermüdlicher Suche nach der Einheit den anderen Kirchen entgegen, in dem Wunsch, Christi Willen zu erfüllen, dass die Gläubigen »alle eins sein« sollten (Joh 17,21). Die Einheit ist ja nicht ein strategischer Vorteil, der aus gegenseitigem Interesse anzustreben ist, sondern sie ist das, was Jesus von uns verlangt und was wir mit gutem Willen und mit aller Kraft erfüllen sollen, um unsere Mission zu verwirklichen: der Welt durch unsere Kohärenz das Evangelium nahezubringen.

Um die notwendige Einheit zu verwirklichen, genügt nach dem heiligen Nerses nicht der gute Wille von irgendjemandem in der Kirche: Unerlässlich ist das Gebet aller. Es ist schön, hier versammelt zu sein, um füreinander und miteinander zu beten. Und es ist vor allem das Geschenk des Gebetes, das ich heute Abend von euch erbitten möchte; dazu bin ich gekommen. Meinerseits versichere ich euch, dass ich bei der Darbringung von Brot und Wein am Altar nicht versäume, dem Herrn die Kirche Armeniens und euer geliebtes Volk vor Augen zu stellen.

Der heilige Nerses spürte die Notwendigkeit, die gegenseitige Liebe zu mehren, denn nur die Nächstenliebe ist imstande, das Gedächtnis zu heilen und die Wunden der Vergangenheit ausheilen zu lassen: Nur die Liebe tilgt die Vorurteile und ermöglicht zu erkennen, dass die Öffnung für den Mitmenschen die eigenen Überzeugungen läutert und bessert. Für jenen heiligen Katholikos ist es auf dem Weg zur Einheit wesentlich, den Stil der Liebe Jesu nachzuahmen: Er, »der reich war« (2Kor 8,9), »erniedrigte sich« (Phil 2,8). Nach seinem Beispiel sind wir aufgerufen, den Mut zu haben, die starren Überzeugungen und die Eigeninteressen loszulassen, im Namen der Liebe, die sich erniedrigt und sich verschenkt, im Namen der demütigen Liebe: Sie ist das heilige Öl des christlichen Lebens, das kostbare geistliche Salböl, das heilt, stärkt und heiligt. »Die Mängel ersetzen wir mit einmütiger Liebe«, schrieb der heilige Nerses (Lettere del signore Nerses Shnorhali, Catholicos degli Armeni, Venedig 1873, 316) und das sogar – wie er zu verstehen gab – mit einer besonderen Zärtlichkeit der Liebe, welche die Herzenshärte der Christen aufweichen soll; denn auch sie sind nicht selten auf sich selbst und ihren Vorteil fixiert. Nicht die Kalküle und die Vorteile, sondern die demütige und großherzige Liebe ist das, was die Barmherzigkeit des Vaters, den Segen Christi und den Überfluss des Heiligen Geistes anzieht. Indem wir beten und »einander von Herzen lieben« (1Petr 1,22), bereiten wir uns demütig und innerlich offen darauf vor, das göttliche Geschenk der Einheit zu empfangen. Setzen wir unseren Weg mit Entschlossenheit fort, ja, eilen wir der vollen Gemeinschaft unter uns entgegen!

»Meinen Frieden gebe ich euch; nicht einen Frieden, wie die Welt ihn gibt, gebe ich euch« (Joh 14,27). Wir haben diese Worte des Evangeliums gehört, die uns darauf einstimmen, von Gott jenen Frieden zu erflehen, den zu finden die Welt solche Mühe hat. Wie groß sind heute die Hindernisse auf dem Weg des Friedens und wie tragisch die Folgen der Kriege! Ich denke an die Bevölkerungen, die gezwungen sind, alles zu verlassen, besonders im Nahen Osten, wo so viele unserer Brüder und Schwestern unter Gewalt und Verfolgung leiden. Und der Grund dafür sind der Hass und die Konflikte, die ständig geschürt werden durch die Plage der Verbreitung und des Handels von Waffen, durch die Versuchung, Gewalt anzuwenden, und durch den Mangel an Achtung gegenüber der Person, speziell gegenüber den Schwachen, den Armen und denen, die nur ein würdiges Leben verlangen.

Es ist mir unmöglich, nicht an die schrecklichen Prüfungen zu denken, die euer Volk erlebt hat: gerade ein Jahrhundert ist vergangen seit dem „Großen Übel“, das über euch hereingebrochen ist. Diese »ungeheure und wahnsinnige Vernichtung« (Grußwort zu Beginn der Eucharistiefeier für die Gläubigen des armenischen Ritus [12. April 2015]: L‘Osservatore Romano [dt.] Jg. 45, Nr. 16 [17. April 2015], S. 3), dieses tragische Geheimnis der Bosheit, das euer Volk am eigenen Leib erfahren hat, bleibt ins Gedächtnis eingeprägt und brennt im Herzen. Ich möchte bekräftigen, dass eure Leiden die unseren sind: »Sie sind Leiden der Glieder des mystischen Leibes Christi« (Johannes Paul II., Apostolisches Schreiben zur 1700-Jahr-Feier der Taufe des armenischen Volkes [2. Februar 2001], 4: L’Osservatore Romano [dt.] Jg. 31, Nr. 10 [9. März 2001], S. 10). An sie zu erinnern, ist nicht nur angebracht, sondern es ist eine Pflicht: Sie sollen zu allen Zeiten eine Mahnung sein, damit die Welt nie mehr in die Spirale solcher Gräuel gerät!

Zugleich möchte ich mit Bewunderung daran erinnern, wie der christliche Glaube »auch in den dramatischsten Augenblicken der armenischen Geschichte die Triebkraft [war], die den Anfang zur Wiedergeburt des leidgeprüften Volkes setzte« (ebd.). Er ist eure wirkliche Stärke, die ermöglicht, sich dem geheimnisvollen und rettenden Weg des Pascha-Mysteriums zu öffnen: Die offen gebliebenen, vom grausamen und unsinnigen Hass verursachten Wunden können in gewisser Weise denen des auferstandenen Christus ähnlich werden, jenen Wunden, die ihm zugefügt wurden und die er immer noch in sein Fleisch eingeprägt trägt. In verherrlichter Form zeigte er sie am Abend des Ostertages seinen Jüngern (vgl. Joh 20,20): Diese schrecklichen Wundmale des am Kreuz erlittenen Schmerzes sind, verklärt durch die Liebe, zu Quellen von Vergebung und Frieden geworden. So kann auch der größte Schmerz, verwandelt von der rettenden Macht des Kreuzes – deren Boten und Zeugen die Armenier sind –, ein Same des Friedens für die Zukunft werden.

Wenn nämlich das Gedächtnis von der Liebe durchzogen ist, wird es fähig, neue und überraschende Wege einzuschlagen, auf denen die Machenschaften des Hasses sich in Pläne der Versöhnung verwandeln, wo man auf eine bessere Zukunft für alle hoffen kann, wo »selig [sind], die Frieden stiften« (Mt 5,9). Es wird für alle gut sein, sich zu engagieren, um die Fundamente für eine Zukunft zu legen, die sich nicht von der trügerischen Kraft der Rache vereinnahmen lässt; eine Zukunft, in der man nie müde wird, die Bedingungen für den Frieden zu schaffen: eine würdige Arbeit für alle, die Sorge für die Ärmsten und den ununterbrochenen Kampf gegen die Korruption, die ausgerottet werden muss.

Liebe junge Freunde, diese Zukunft gehört euch, aber indem ihr euch die große Weisheit eurer alten Menschen zunutze macht. Strebt danach, Friedenstifter zu werden: nicht Notare des Status quo, sondern aktive Förderer einer Kultur der Begegnung und der Versöhnung. Gott segne eure Zukunft und »gewähre, dass der Weg der Versöhnung zwischen dem armenischen und dem türkischen Volk wiederaufgenommen werde und der Frieden auch im Bergkarabach entstehen möge« (Botschaft an die Armenier [12. April 2015]: L‘Osservatore Romano [dt.] Jg. 45, Nr. 17 [24. April 2015], S. 8).

Unter diesem Gesichtspunkt möchte ich am Schluss an einen anderen großen Zeugen und Stifter des Friedens Christi erinnern, den heiligen Gregor von Narek, den ich zum „Kirchenlehrer“ erhoben habe. Er könnte auch als „Friedenslehrer“ bezeichnet werden. So hat er in jenem außergewöhnlichen Buch, das ich mir gerne als die „geistliche Konstitution des armenischen Volkes“ vorstelle, geschrieben: »Gedenke derer, [Herr, …] die im Menschengeschlecht unsere Feinde sind, doch zu ihrem Wohl: Vollbringe du in ihnen Vergebung und Barmherzigkeit. […] Vernichte nicht, die mich angreifen, sondern verwandle sie! Vernichte das lasterhafte irdische Verhalten und verwurzele in mir und in ihnen das gute Betragen!« (Buch der Klagen, 83,1-2). Narek, der sich »seines Anteils an jeder Notlage zutiefst bewusst war« (ebd., 3,4), hat sich sogar mit den Schwachen und den Sündern aller Zeiten und Orte identifiziert, um für alle betend einzutreten (vgl. ebd., 31,3; 32,1; 47,2): Er machte sich zum »Fürbitter für die ganze Welt« (ebd., 28,2). Diese seine universale Solidarität mit der Menschheit ist eine bedeutende christliche Friedensbotschaft, ein herzzerreißender Ruf, der Erbarmen für alle erfleht. Mögen die Armenier, die in vielen Ländern präsent sind und die ich von hier aus brüderlich umarmen möchte, Boten dieser Sehnsucht nach Gemeinschaft sein. Die ganze Welt braucht diese eure Verkündigung, sie braucht eure Gegenwart, sie braucht euer lauterstes Zeugnis. Friede sei mit euch!

[01067-DE.02] [Originalsprache: Italienisch]

Traduzione in lingua portoghese

Venerado e caríssimo Irmão, Patriarca Supremo e Catholicos de Todos os Arménios,
Senhor Presidente,
Queridos irmãos e irmãs!

A bênção e a paz de Deus estejam com todos vós!

Desejei ardentemente visitar esta amada terra, o vosso país, o primeiro que abraçou a fé cristã. É uma graça para mim poder encontrar-me nestas alturas, onde, sob a vista do Monte Ararat, o próprio silêncio parece falar-nos; onde os khatchkar – as cruzes de pedra – narram uma história única, permeada de fé rochosa e de sofrimento imenso; uma história rica de magníficas testemunhas do Evangelho, de quem vós sois os herdeiros. Vim peregrino de Roma para vos encontrar e exprimir um sentimento que me vem do fundo do coração: é o afeto do vosso irmão, é o abraço fraterno da Igreja Católica inteira, que vos ama e está solidária convosco.

Nos anos passados, graças a Deus, foram-se intensificando as visitas e os encontros entre as nossas Igrejas, sempre muito cordiais e frequentemente memoráveis; quis a Providência que, precisamente no dia em que aqui se recordam os santos Apóstolos de Cristo, estejamos de novo juntos para reforçar a comunhão apostólica entre nós. Estou muito grato a Deus pela «real e íntima unidade» entre as nossas Igrejas [cf. João Paulo II, Homilia na Celebração Ecuménica, Ierevan, 26 de setembro de 2001: Insegnamenti, XXIV/2 (2001), 466) e agradeço-vos pela vossa fidelidade ao Evangelho, muitas vezes heroica, que é um dom inestimável para todos os cristãos. Ao encontrarmo-nos, não temos uma troca de ideias, mas uma troca de dons (cf. Idem, Carta enc. Ut unum sint, 28): recolhemos aquilo que o Espírito semeou em nós, como um dom para cada um (cf. Francisco, Exort. ap. Evangelii gaudium, 246). Partilhamos com grande alegria os numerosos passos dum caminho comum já muito adiantado, e olhamos verdadeiramente com confiança para o dia em que, com a ajuda de Deus, estaremos unidos junto do altar do sacrifício de Cristo, na plenitude da comunhão eucarística. Rumo a esta meta tão desejada «somos peregrinos, e peregrinamos juntos (...) abrindo o coração ao companheiro de estrada sem medos, nem desconfianças» (ibid., 244).

Neste trajeto, precedem-nos e acompanham-nos muitas testemunhas, nomeadamente tantos mártires que selaram com o sangue a fé comum em Cristo: são as nossas estrelas no céu, que brilham sobre nós e indicam o caminho que nos falta percorrer na terra, rumo à plena comunhão. Dentre os grandes Padres, gostaria de referir o santo Catholicos Nerses Shnorhali. Nutria um amor grande e extraordinário pelo seu povo e as suas tradições e, ao mesmo tempo, sentia-se inclinado para as outras Igrejas, incansável na busca da unidade, desejoso de atuar a vontade de Cristo: que os crentes «sejam um só» (Jo 17, 21). Realmente a unidade não é uma espécie de vantagem estratégica que se deve procurar por interesse mútuo, mas aquilo que Jesus nos pede, sendo nossa obrigação cumpri-lo com boa vontade e todas as nossas forças para se realizar a nossa missão: oferecer ao mundo, com coerência, o Evangelho.

Para realizar a unidade necessária, não basta, segundo São Nerses, a boa vontade de alguém na Igreja: é indispensável a oração de todos. É bom estar aqui reunidos para rezarmos uns pelos outros, uns com os outros. E o que vim pedir-vos nesta tarde é, antes de tudo, o dom da oração. Pela minha parte, asseguro-vos que, ao oferecer o Pão e o Cálice no altar, não deixo de apresentar ao Senhor a Igreja da Arménia e o vosso querido povo.

São Nerses sentia a necessidade de aumentar o amor mútuo, porque só a caridade é capaz de sanar a memória e curar as feridas do passado: só o amor cancela os preconceitos e permite reconhecer que a abertura ao irmão purifica e melhora as convicções próprias. Para este santo Catholicos, no caminho rumo à unidade, é essencial imitar o estilo do amor de Cristo, que, «sendo rico» (2 Cor 8, 9), «humilhou-Se a Si próprio» (Flp 2, 8). Seguindo o seu exemplo, somos chamados a ter a coragem de deixar as convicções rígidas e os interesses próprios, em nome do amor que se humilha e entrega, em nome do amor humilde: este é o óleo abençoado da vida cristã, o unguento espiritual precioso que cura, fortalece e santifica. «Às faltas, suprimos com uma caridade unânime», escrevia São Nerses (Cartas do senhor Nerses Shnorhali, Catholicos dos Arménios, Veneza 1873, 316), e mesmo – dava a entender – com uma particular doçura de amor, que abranda a dureza dos corações dos cristãos, também eles não raro fechados sobre si mesmos e os seus próprios interesses. Não são os cálculos nem as vantagens mas o amor humilde e generoso que atrai a misericórdia do Pai, a bênção de Cristo e a abundância do Espírito Santo. Rezando e «amando-nos intensamente uns aos outros do fundo do coração» (cf. 1 Ped 1, 22), com humildade e abertura de espírito, disponhamo-nos a receber o dom divino da unidade. Continuemos, decididos, o nosso caminho, ou melhor, corramos para a plena comunhão entre nós!

«Dou-vos a minha paz. Não é como a dá o mundo que Eu vo-la dou» (Jo 14, 27). Ouvimos estas palavras do Evangelho, que nos predispõem a implorar de Deus aquela paz que o mundo sente tanta dificuldade em encontrar. Como são grandes, hoje, os obstáculos no caminho da paz, e trágicas as consequências das guerras! Penso nas populações forçadas a abandonar tudo, especialmente no Médio Oriente onde muitos dos nossos irmãos e irmãs sofrem violências e perseguição por causa do ódio e de conflitos sempre fomentados pelo flagelo da proliferação e do comércio de armas, pela tentação de recorrer à força e pela falta de respeito pela pessoa humana, especialmente os vulneráveis, os pobres e aqueles que pedem apenas uma vida digna.

Não consigo deixar de pensar nas provações terríveis que o vosso povo experimentou: completou-se há pouco um século do «Grande Mal» que se abateu sobre vós. Este «enorme e louco extermínio» (Francisco, Saudação no início da Santa Missa para os fiéis de rito arménio, 12 de abril de 2015), este trágico mistério de iniquidade que o vosso povo provou na própria carne, permanece impresso na memória e queima no coração. Quero reiterar que os vossos sofrimentos são nossos: «são os sofrimentos dos membros do Corpo místico de Cristo» (João Paulo II, Carta Apostólica por ocasião do 1700° aniversário do Batismo do povo arménio, 4: Insegnamenti, XXIV/1 (2001), 275); recordá-los é não só oportuno, mas também forçoso: são uma advertência em todo o tempo, para que o mundo não volte jamais a cair na espiral de tais horrores.

Ao mesmo tempo desejo lembrar, com admiração, como a fé cristã, «também nos momentos mais trágicos da história arménia, foi a mola propulsora que assinalou o início do renascimento do povo provado» (ibid., 276). A fé é a vossa verdadeira força, que permite abrir-se à via misteriosa e salvífica da Páscoa: as feridas ainda abertas, causadas pelo ódio feroz e insensato, podem de algum modo assemelhar-se às de Cristo ressuscitado, as feridas que Lhe foram infligidas e que traz ainda impressas na sua carne. Mostrou-as, gloriosas, aos discípulos na tarde de Páscoa (cf. Jo 20, 20): aquelas chagas terrivelmente dolorosas recebidas na cruz, transfiguradas pelo amor, tornaram-se fontes de perdão e paz. Assim, mesmo a dor maior, transformada pela força salvífica da Cruz de que os Arménios são arautos e testemunhas, pode tornar-se uma semente da paz para o futuro.

Realmente a memória, permeada pelo amor, torna-se capaz de encaminhar-se por sendas novas e surpreendentes, onde as tramas de ódio se transformam em projetos de reconciliação, onde se pode esperar num futuro melhor para todos, onde são «felizes os obreiros da paz» (Mt 5, 9). Fará bem a todos comprometer-se por colocar as bases dum futuro que não se deixe absorver pela força ilusória da vingança; um futuro, onde nunca nos cansemos de criar as condições para a paz: um trabalho digno para todos, a solicitude pelos mais necessitados e a luta sem tréguas contra a corrupção que deve ser extirpada.

Queridos jovens, este futuro pertence-vos, mas valorizando a grande sabedoria dos vossos idosos. Aspirai a tornar-vos construtores de paz: não notários do status quo, mas ativos promotores duma cultura do encontro e da reconciliação. Deus abençoe o vosso futuro e «conceda que se retome o caminho de reconciliação entre o povo arménio e o povo turco, e possa a paz surgir também no Nagorno Karabakh» (Mensagem aos Arménios, 12 de abril de 2015).

Nesta perspetiva, gostaria enfim de evocar outra grande testemunha e artífice da paz de Cristo, São Gregório de Narek, que proclamei Doutor da Igreja. E poderia ser chamado também «Doutor da paz». Assim escrevia ele naquele Livro extraordinário, que me apraz pensar como a «constituição espiritual do povo arménio»: «Recordai-Vos [Senhor] daqueles que, na estirpe humana, são nossos inimigos, mas para seu bem: cumpri neles perdão e misericórdia. (...) Não extermineis aqueles que me mordem: transformai-os! Extirpai a conduta terrena viciosa, e enraizai a boa em mim e neles» (Livro das Lamentações, 83, 1-2). Narek, «fazendo-se participante profundamente consciente de cada necessidade» (ibid., 3, 2), quis mesmo identificar-se com os vulneráveis e os pecadores de todo o tempo e lugar, para interceder em favor de todos (cf. ibid., 31, 3; 32, 1; 47, 2): fez-se «o “oferece-oração” de todo o mundo» (ibid., 28, 2). Esta sua solidariedade universal com a humanidade é uma grande mensagem cristã de paz, um grito ardente que implora misericórdia para todos. Os arménios, presentes em muitos países e que daqui desejo abraçar fraternalmente, sejam mensageiros deste anseio de comunhão. O mundo inteiro precisa deste vosso anúncio, precisa desta vossa presença, precisa do vosso testemunho mais puro. A paz esteja convosco!

[01067-PO.01] [Texto original: Italiano]

 Al termine della cerimonia, alcuni giovani discendenti di rifugiati armeni dispersi nel mondo hanno presentato delle anfore contenenti terra ed acqua dei loro Paesi. La terra è stata versata attorno alle radici di una piccola pianta, posta in una riproduzione dell’Arca di Noè. Quindi Papa Francesco e il Catholicos Karekin II hanno innaffiato con l’acqua questa piccola pianta.

Concluso l’incontro ecumenico, il Santo Padre e il Catholicos sono rientrati in auto ad Etchmiadzin.

[B0474-XX.02]