Sala Stampa

www.vatican.va

Sala Stampa Back Top Print Pdf
Sala Stampa


Viaggio Apostolico di Sua Santità Francesco in Armenia (24-26 giugno 2016) – Visita al Complesso del Memoriale di Tzitzernakaberd e Santa Messa a Gyumri, 25.06.2016


Visita al Complesso del Memoriale di Tzitzernakaberd

Santa Messa nella Piazza Vartanants di Gyumri

Sosta al Convento “Nostra Signora dell’Armenia” a Gyumri

 

Visita al Complesso del Memoriale di Tzitzernakaberd

Questa mattina il Santo Padre Francesco ha lasciato il Palazzo Apostolico di Etchmiadzin e si è trasferito in auto a Tzitzernakaberd per la visita al Complesso dedicato alla memoria delle vittime del Metz Yeghérn, il massacro del popolo armeno sotto l’impero ottomano del 1915.
Alle ore 8.40, il Santo Padre e il Catholicos Karekin II che lo accompagnava sono stati accolti dal Presidente della Repubblica Serzh Sargsyan, e insieme hanno percorso a piedi l’ultimo tratto del viale che porta al Memoriale, tra due ali di bambini e giovani che mostravano ricordi e immagini dei martiri del 1915. All’esterno del monumento il Papa ha deposto una corona di fiori, soffermandosi in raccoglimento.
Nella camera della fiamma perenne, il Santo Padre ha deposto una rosa bianca e pregato in silenzio, quindi tutti i presenti hanno recitato il Padre Nostro ognuno nella propria lingua. Il Papa e il Catholicos hanno benedetto l’incenso mentre il coro cantava l’Hrashapar. Dopo alcune letture bibliche il Santo Padre ha pronunciato una preghiera di intercessione.
Papa Francesco, il Catholicos e il Presidente si sono quindi trasferiti alla terrazza del Museo. Lungo il percorso del giardino il Papa ha benedetto e innaffiato un albero posto a memoria della visita. Sulla terrazza erano presenti alcuni discendenti di perseguitati armeni che furono messi in salvo e ospitati a suo tempo a Castel Gandolfo da Papa Benedetto XV e poi da Papa Pio XI.

Prima di congedarsi il Santo Padre ha firmato il Libro d’Onore del Memoriale, apponendo le seguenti parole:

Parole scritte da Papa Francesco sul Libro d’Onore
“Qui prego, col dolore nel cuore, perché mai più vi siano tragedie come questa, perché l’umanità non dimentichi e sappia vincere con il bene il male; Dio conceda all’amato popolo armeno e al mondo intero pace e consolazione.
Dio custodisca la memoria del popolo armeno. La memoria non va annacquata né dimenticata; la memoria è fonte di pace e di futuro."

[01084-IT.01]    

Lasciato il Complesso del Memoriale, il Papa si è trasferito poi in auto all’aeroporto di Yerevan da dove alle ore 10 è decollato - a bordo di un A321 dell’Alitalia - alla volta di Gyumri.

 

Santa Messa nella Piazza Vartanants di Gyumri

Omelia del Santo Padre e parole al termine della celebrazione

Traduzione in lingua armena

Traduzione in lingua inglese

Traduzione in lingua spagnola

Traduzione in lingua francese

Traduzione in lingua tedesca

Traduzione in lingua portoghese

 

Verso le 10.30 di questa mattina, il Santo Padre Francesco è giunto all’aeroporto Internazionale “Shirak” di Gyumri, accolto dal Sindaco della città, dall’Arcivescovo Ordinario per gli Armeni Cattolici dell’Europa Orientale e dal Vescovo Armeno-Apostolico del luogo. A salutare l’arrivo del Papa anche un gruppo di bambini orfani, con un coro.

Il Papa si è trasferito quindi in piazza Vartanants dove, alle ore 11, ha celebrato la Santa Messa votiva della Misericordia di Dio, secondo il rito latino.
Era presente il Catholicos Karekin II, che in apertura di celebrazione ha rivolto un saluto al Santo Padre. Al termine della Santa Messa è stato S.E. Mons. Raphael François Minassian, Arcivescovo titolare di Cesarea di Cappadocia degli Armeni e Ordinario per gli Armeni Cattolici dell’Europa Orientale, con sede a Gyumri, a rivolgere al Papa un indirizzo di saluto.

Di seguito riportiamo il testo dell’omelia che Papa Francesco ha pronunciato dopo la proclamazione del Santo Vangelo e le parole da lui rivolte ai fedeli al termine della Celebrazione Eucaristica:

Omelia del Santo Padre e parole al termine della celebrazione

«Riedificheranno le rovine antiche, restaureranno le città desolate» (Is 61,4). In questi luoghi, cari fratelli e sorelle, possiamo dire che si sono realizzate le parole del profeta Isaia che abbiamo ascoltato. Dopo le terribili devastazioni del terremoto, ci troviamo oggi qui a rendere grazie a Dio per tutto quanto è stato ricostruito.

Potremmo però anche domandarci: che cosa il Signore ci invita a costruire oggi nella vita, e soprattutto: su che cosa ci chiama a costruire la nostra vita? Vorrei proporvi, nel cercare di rispondere a questa domanda, tre basi stabili cu cui possiamo edificare e riedificare la vita cristiana, senza stancarci.

Il primo fondamento è la memoria. Una grazia da chiedere è quella di saper recuperare la memoria, la memoria di quello che il Signore ha compiuto in noi e per noi: richiamare alla mente che, come dice il Vangelo odierno, Egli non ci ha dimenticato, ma «si è ricordato» (Lc 1,72) di noi: ci ha scelti, amati, chiamati e perdonati; ci sono stati grandi avvenimenti nella nostra personale storia di amore con Lui, che vanno ravvivati con la mente e con il cuore. Ma c’è anche un’altra memoria da custodire: la memoria del popolo. I popoli hanno infatti una memoria, come le persone. E la memoria del vostro popolo è molto antica e preziosa. Nelle vostre voci risuonano quelle dei sapienti santi del passato; nelle vostre parole c’è l’eco di chi ha creato il vostro alfabeto allo scopo di annunciare la Parola di Dio; nei vostri canti si fondono i gemiti e le gioie della vostra storia. Pensando a tutto questo potete riconoscere certamente la presenza di Dio: Egli non vi ha lasciati soli. Anche fra tremende avversità, potremmo dire con il Vangelo di oggi, il Signore ha visitato il vostro popolo (cfr Lc 1,68): si è ricordato della vostra fedeltà al Vangelo, della primizia della vostra fede, di tutti coloro che hanno testimoniato, anche a costo del sangue, che l’amore di Dio vale più della vita (cfr Sal 63,4). È bello per voi poter ricordare con gratitudine che la fede cristiana è diventata il respiro del vostro popolo e il cuore della sua memoria.

La fede è anche la speranza per il vostro avvenire, la luce nel cammino della vita, ed è il secondo fondamento di cui vorrei parlarvi. C’è sempre un pericolo, che può far sbiadire la luce della fede: è la tentazione di ridurla a qualcosa del passato, a qualcosa di importante ma che appartiene ad altri tempi, come se la fede fosse un bel libro di miniature da conservare in un museo. Tuttavia, se rinchiusa negli archivi della storia, la fede perde la sua forza trasformante, la sua bellezza vivace, la sua positiva apertura verso tutti. La fede, invece, nasce e rinasce dall’incontro vivificante con Gesù, dall’esperienza della sua misericordia che dà luce a tutte le situazioni della vita. Ci farà bene ravvivare ogni giorno questo incontro vivo con il Signore. Ci farà bene leggere la Parola di Dio e aprirci nella preghiera silenziosa al suo amore. Ci farà bene lasciare che l’incontro con la tenerezza del Signore accenda la gioia nel cuore: una gioia più grande della tristezza, una gioia che resiste anche di fronte al dolore, trasformandosi in pace. Tutto questo rinnova la vita, la rende libera e docile alle sorprese, pronta e disponibile per il Signore e per gli altri. Può succedere anche che Gesù chiami a seguirlo più da vicino, a donare la vita a Lui e ai fratelli: quando invita, specialmente voi giovani, non abbiate paura, ditegli di “sì”! Egli ci conosce, ci ama davvero, e desidera liberare il cuore dai pesi del timore e dell’orgoglio. Facendo spazio a Lui, diventiamo capaci di irradiare amore. Potrete in questo modo dar seguito alla vostra grande storia di evangelizzazione, di cui la Chiesa e il mondo hanno bisogno in questi tempi tribolati, che sono però anche i tempi della misericordia.

Il terzo fondamento, dopo la memoria e la fede, è proprio l’amore misericordioso: è su questa roccia, sulla roccia dell’amore ricevuto da Dio e offerto al prossimo, che si basa la vita del discepolo di Gesù. Ed è vivendo la carità che il volto della Chiesa ringiovanisce e diventa attraente. L’amore concreto è il biglietto da visita del cristiano: altri modi di presentarsi possono essere fuorvianti e persino inutili, perché da questo tutti sapranno che siamo suoi discepoli: se abbiamo amore gli uni per gli altri (cfr Gv 13,35). Siamo chiamati anzitutto a costruire e ricostruire vie di comunione, senza mai stancarci, a edificare ponti di unione e a superare le barriere di separazione. Che i credenti diano sempre l’esempio, collaborando tra di loro nel rispetto reciproco e nel dialogo, sapendo che «l’unica competizione possibile tra i discepoli del Signore è quella di verificare chi è in grado di offrire l’amore più grande!» (Giovanni Paolo II, Omelia, 27 settembre 2001: Insegnamenti XXIV,2 [2001], 478).

Il profeta Isaia, nella prima lettura, ci ha ricordato che lo spirito del Signore è sempre con chi porta il lieto annuncio ai miseri, fascia le piaghe dei cuori spezzati e consola gli afflitti (cfr 61,1-2). Dio dimora nel cuore di chi ama; Dio abita dove si ama, specialmente dove ci si prende cura, con coraggio e compassione, dei deboli e dei poveri. C’è tanto bisogno di questo: c’è bisogno di cristiani che non si lascino abbattere dalle fatiche e non si scoraggino per le avversità, ma siano disponibili e aperti, pronti a servire; c’è bisogno di uomini di buona volontà, che di fatto e non solo a parole aiutino i fratelli e le sorelle in difficoltà; c’è bisogno di società più giuste, nelle quali ciascuno possa avere una vita dignitosa e in primo luogo un lavoro equamente retribuito.

Potremmo però chiederci: come si può diventare misericordiosi, con tutti i difetti e le miserie che ciascuno vede dentro di sé e attorno a sé? Vorrei ispirarmi a un esempio concreto, ad un grande araldo della misericordia divina, che ho voluto proporre all’attenzione di tutti annoverandolo tra i Dottori della Chiesa universale: san Gregorio di Narek, parola e voce dell’Armenia. È difficile trovare qualcuno pari a lui nello scandagliare le abissali miserie che si possono annidare nel cuore dell’uomo. Egli, però, ha sempre posto in dialogo le miserie umane e la misericordia di Dio, elevando un’accorata supplica fatta di lacrime e fiducia al Signore, «datore dei doni, bontà per natura […], voce di consolazione, notizia di conforto, slancio di gioia, […] tenerezza impareggiabile, misericordia traboccante, […] bacio salvifico» (Libro delle lamentazioni, 3,1), nella certezza che «mai è adombrata dalle tenebre della rabbia la luce della [sua] misericordia» (ibid., 16,1). Gregorio di Narek è un maestro di vita, perché ci insegna che è anzitutto importante riconoscerci bisognosi di misericordia e poi, di fronte alle miserie e alle ferite che percepiamo, non chiuderci in noi stessi, ma aprirci con sincerità e fiducia al Signore, «Dio vicino, tenerezza di bontà» (ibid., 17,2), «pieno d’amore per l’uomo, […] fuoco che consuma la sterpaglia del peccato» (ibid., 16,2).

Con le sue parole vorrei infine invocare la misericordia divina e il dono di non stancarci mai di amare: Spirito Santo, «potente protettore, intercessore e pacificatore, noi ti rivolgiamo le nostre suppliche […] Accordaci la grazia di incoraggiarci alla carità e alle opere buone […] Spirito di dolcezza, di compassione, di amore per l’uomo e di misericordia, […] Tu che non sei altro che misericordia, […] abbi pietà di noi, Signore nostro Dio, secondo la tua grande misericordia» (Inno di Pentecoste).

Saluto alla fine della Messa

Al termine di questa Celebrazione desidero esprimere viva gratitudine al Catholicos Karekin II e all’Arcivescovo Minassian per le cortesi parole che mi hanno rivolto, come pure al Patriarca Ghabroyan e ai Vescovi presenti, ai sacerdoti e alle Autorità che ci hanno accolto.

Ringrazio tutti voi che avete partecipato, giungendo a Gyumri anche da diverse regioni e dalla vicina Georgia. Vorrei in particolare salutare chi, con tanta generosità e amore concreto, aiuta quanti si trovano nel bisogno. Penso soprattutto all’ospedale di Ashotsk, inaugurato venticinque anni fa e conosciuto come l’“Ospedale del Papa”: nato dal cuore di san Giovanni Paolo II, è ancora una presenza tanto importante e vicina a chi soffre; penso alle opere portate avanti dalla comunità cattolica locale, dalle Suore Armene dell’Immacolata Concezione e delle Missionarie della Carità della beata Madre Teresa di Calcutta.

La Vergine Maria, nostra Madre, vi accompagni sempre e guidi i passi di tutti sulla via della fraternità e della pace.

[01065-IT.01] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua armena

«Կը վերակարուցեն հին աւերակները, կը վերանորոգեն անբնակ քաղաքները» (Ես 61,4): Այս վայրերում, սիրելի եղբայրներ եւ քոյրեր, իրականացել են Եսայի մարգարէի խօսքերը որ լսեցինք: Անաստուածութեան երկար տարիների հոգեւոր կործանումէն ետք, երկրաշարժի սարսափելի նիւթական աւերածութիւններից յետոյ, այսօր գտնւում ենք այստեղ՝ Աստծոյ շնորհակալութիւն յայտնելու հաւատը դաւանելու ազատութեան եւ առատաձեռնութեան համար, որ բազում մարդկանց օգնեց վերականգնելու համար իրենց կեանքը, հսկայական դժուարութիւններով հանդերձ: Սոյն վերածննդեան նշաններից ուզում եմ յիշեցնել Աշոցքի հիւանդանոցը, 25 տարի առաջ եւ ճանաչուած որպէս «Պապի հիւանդանոցը»: Ծնած սուրբ Յովհաննէս Պօղոս Բ-ի սրտից, որ սրտանց փափաքած էր, շարունակում է մնալ որպէս շատ կարեւոր եւ տառապեալներին մօտիկ ներկայութիւն, սիրոյ նշան, որ տեղական կաթողիկէ հասարակութեան եւ կրօնաւորական Միաբանութիւնների կատարած գործունէութիւնների հետ միասին, գերազանցօրէն ուսուցողական է:

Արդարեւ, սէր է՝ Աստծուց ստացած եւ ընկերոջ ընծայուած սէրն է – ինչպէս վկայում է օրինակի համար Կալկաթայի երանելի Մայր Թերեզան -, ժայռը՝ որի վրայ կարուցել եւ վերակարուցել մեր ապագան: Այս հիմքի վրայ է, որ հաստատուած է Յիսուսի աշակերտի կեանքը. սիրոյ միջոցով է, որ Եկեղեցու դէմքը երիտասարդանում եւ հմայիչ է դառնում: Գթառատ եւ թանձրացեալ սէրը քրիստոնեայի այցեքարտն է. ներկայանալու այլ կերպեր կարող է շեղիչ եւ նոյնիսկ անօգուտ լինեն, որովհետեւ – Յիսուս ասում է - «սրանից բոլորը իմանում են, որ իմ աշակերտներն էք. եթէ սիրէք իրար» (Յվ 13,35): Կոչուած ենք միշտ կառուցելու եւ վերակառուցելու հաղորդութիւնը, առանց երբեք հոգնելու, կամուրջներ սարքելու, ոչ թէ պարիսպներ կամ բաժանարար պատնէշներ: Հայ ժողովուրդը միշտ աւելի միացած լինի հաւատի եւ սիրոյ մէջ, եւ հաւատացեալները լաւագոյն օրինակը կարողանան տալ, համագործակցելով իրար հետ, փոխադարձ յարգանքով եւ երկխօսութեամբ, իմանալով որ «միակ մրցոյթը որ հնարաւոր է Տիրոջ աշակերտների միջեւ՝ ստուգելն է թէ ո՛վ ի վիճակի է առաւել մեծ սէրը նուիրելու» (ՅՈՎՀԱՆՆԷՍ ՊՕՂՈՍ Բ, Քարոզ, 27 սեպտեմբեր 2001. Ուսուցումներ ԻԴ, 2 [2001], 478):

Աստուած բնակւում է սիրողի մէջ. Աստուած բնակւում է որտեղ սիրում են իրար, յատկապէս որտեղ տկարներին եւ աղքատներին են խնամում: Նա միշտ օրհնում եւ պաշտպանում է նրան ով «բարի լուրն է տանում թշուառներին, կոտրուած սրտերի վէրքերն է պատում եւ մխիթարում է վշտացածներին» (հմմտ. 1-2 համարները): Շատ կարիքն ունենք սրան. կարիքն ունենք քրիստոնեաների, որ յոգնութիւնից չխորտակուեն եւ չյուսալքուեն փոխադարձ անհասկացողութիւններից, այլ բացուեն Աստծոյ սիրոյ ծրագիրներին. բարի կամքով մարդկանց կարիքը կայ, որ գործնականին եւ ոչ թէ խօսքերով օգնեն դժուարութեան մէջ գտնուող եղբայրներին եւ քոյրերին. կարիքը կայ աւելի արդար հասարակութեան, որտեղ իւրաքանչիւրը կարողանայ արժանավայել կեանք վարել եւ արդարօրէն հատուցուող աշխատանք:

Եկել եմ որպէս ուխտաւոր այս օրհնեալ երկիրը. հանդիպելով ձեզ հետ, որ ժամանել էք տարբեր շրջաններից եւ մօտակայ Վրաստանից, տեսնում եմ որ Աստուած ձեզ մենակ չի թողել. Նա այցելած է ձեր ժողովրդին (հմմտ. Ղկ (1,68): Աստուած յիշեց ձեր հաւատարմութիւնը Աւետարանին, ձեր հաւատի անդրանկութեան, հիմնուած Առաքեալների քարոզութեան վրայ, որոնց յիշատակն էք տօնում այսօր: Այս հողի վրայ, հուսկ, ձեր սուրբերից եւ վարդապետներից ոմանք ստեղծեցին այբուբենը ժողովրդի համար եւ ժողովուրդը Աւետարանի պատգամը քարոզեց, բոլորը միասին վկայելով, նոյնիսկ արեան եւ ծանր փորձունիւնների գնով, որ «Աստծոյ սէրը կեանքից աւել արժէ» (հմմտ. Սղ 63,4): Քրիստոնէական հաւատը այսպէս դարձաւ հայ ժողովրդի շունչը եւ նրա պատմութեան սիրտը: Այն ձեր ապագային յոյսն է նաեւ:

Սակայն, միշտ առկայ է փորձութիւնը՝ հաւատը վերածելու անցեալի պատկանող գեղեցիկ մի բանի, կարծես լինէր սքանչելի մանրանկարուած մի մատեան, թանգարանում պահելիք: Սակայն, եթէ պատմութեան դիւաններում պահուի, հաւատը կորցնում է հաղորդակցական ոյժը, կենսունակ եւ փոխակերպող իր գեղեցկութիւնը, բոլորի հանդէպ իր դրական բացուածքը: Մինչդեռ, հաւատը ծնւում եւ վերածնւում է Տիրոջ, Յիսուսի հետ կենդանի հանդիպումից, իր փրկող եւ կեանքի բոլոր պարագաներում լուսաւորող գթասրտութեան փորձառութեամբ: Օգտակար է ամէն օր վերանորոգել այս հանդիպումը, Աստծոյ Խօսքի ընթերցումով եւ աղօթքով բացուելով իր սիրուն, որ երջանկութիւնն է սնուցում: Իսկ երբ Յիսուս կանչի հետեւելու իրեն, յատկապէս երբ ձեզ՝ երիտասարդներիդ հրաւիրի, մի՛ տատամսէք քաջութեամբ պատասխանելու նրան «այո՛»: Նա մեզ ճանաչում է, մեզ իսկապէս սիրում է, եւ ուզում է ազատել սիրտը վախի եւ հպարտութեան ծանրութիւններից: Նրան տեղ տալով, կարող ենք սէր ճառագայթել եւ Աւետարանը քարոզել: Այսպէս կարողանալու էք ձեր աւետարանող մեծ պատմութեան սկիզբ տալ, որին Եկեղեցին եւ աշխարհը կարիքն ունեն այս նեղութեան ժամանակներին, որ միաժամանակ նաեւ ողորմութեան ժամանակներ են:

Հենց անցած տարուան Աստուածային Ողորմութեան Կիրակի օրուան ծիսակատարութեամբ, որին մասնակցեց իմ սիրելի եղբայրը՝ Գարեգինը, որին շնորհակալութիւն եմ յայտնում ինձ ազնուօրէն ընդունելւո համար եւ իր ներկայութեամբ եւ խօսքով մեզ պատուեց, ուզեցի բոլորի ուշադրութեան յանձնել Գրիգոր Նարեկացու կերպարը, ընդհանրական Եկեղեցու Վարդապետ: Նա կարապետ եւ մարգարէն էր աստուածային ողորմութեան: Դժուար է գտնել որեւէ մէկին, որ հաւասարի նրան, քննելու անդնդային թշուառութիւնները, որ կարող են մարդկային սրտում տնաւորուել. սակայն նա վերածում է դրանց աստուածային սիրոյ անդադրուն, արտասուալի եւ վստահ պաղատանքի, հաստատելով որ Աստուած «պարգեւների բաշխողն է, բնութեամբ բարի [...], մխիթարութեան ձայն, քաջալերանքի լուր, ուրախութեան թռիչք, [...] անհամեմատելի քնքշութիւն, յորդառատ ողորմութիւն, [...] փրկարար համբոյր» (Մատեան ողբերգութեան, 3,1), յայտարարելով որ «երբեք բարկութեան խաւարից չի մթաքնել նրա ողորմութեան լոյսը» (նոյն, 16,1): Նարեկացին ոչ միայն վարդապետ է ուսուցման, այլ յատկապէս կեանքի, որովհետեւ սովորեցնում է, թէ ինչքան կարեւոր է ճանաչել մենք մեզ ողորմութեան կարօտ, եւ մեր թշուառութիւնների եւ վէրքերի առաջ, բացուել Տիրոջ, «Աստուած մերձաւոր, բարութեան փափկութիւն» (նոյն, 17,2), «սիրով լի մարդկանց նկատմամբ, [...] հուր որ մեղքի խռիւն է սպառում» (նոյն 16,2): Այս սուրբ վկան մարգարէաբար ներկայացնում է ձեր ժողովրդին, որ պատմութեան ընթացքում մեկնաբանել է շատ անգամ ողբերգական սեփական դէպքերը՝ նրա գրութիւնների լոյսի տակ: Նա, սակայն, ընդհանրական Եկեղեցու Վարդապետ է արդէն. ձեր սիրելի ժողովուրդը եւս, տառապելու քաջատեղեակ եւ Յարութեան զօրութեամբ, կարողանայ հաւատի վկայ եւ վարդապետ լինել մեզ բոլորիս:

Աստուածամօր բարեխօսութեամբ, Թագուհի եւ «ցնծութիւն մեր տառապեալ բնութեան» (Շարակնոց, Աւետման կանոն), խնդրում եմ, սուրբ Գրիգորի խօսքերով իսկ, աստուածային ողորմութիւնը եւ սիրելուց երբեք չյոգնելու պարգեւը. Սուրբ Հոգի «հզօր պաշտպան, բարեխօս եւ խաղարարար, քեզ ենք ուղղում մեր աղաչանքները: [...] Պարգեւիր մեզ շնորհը՝ սիրոյ եւ բարի գործերի քաջալերման [...] Հոգի քաղցրութեան, գթութեան, մարդասիրութեան եւ ողորմութեան, [...] ողորմեա՛ մեզ, Տէր Աստուած մեր, ըստ մեծի ողորմութեան քում» (Շարական Պենտեկոստէի):

* * *

Այս ծիսակատարութեան աւարտին ուզում եմ իմ խորին շնորհակալութիւնը յայտնել Գարեգին Բ Կաթողիկոսին եւ Մինասեան Արքեպիսկոպոսին, ազնիւ խօսքերի համար, որ ինձ ուղղեցին, ինչպէս նաեւ Ղապրոեան Պատրիարքին եւ ներկայ եպիսկոպոսներին, քահանաներին եւ պետական այրերին որ մեզ հիւրընկալեցին:

Շնորհակալ եմ ձեզ բոլորիդ որ մասնակցեցիք, Գիւմրի հասնելով նաեւ տարբեր գաւառներից եւ մօտակայ Վրաստանից: Կամենում եմ յատկապէս ողջունել նրանց, ովքեր մեծ առատաձեռնութեամբ եւ շոշափելի սիրով, օգնում են կարիքաւորներին: Մտածում եմ յատկապէս քսանհինգ տարի առաջ բացուած Աշոցքի հիւանդանոցի մասին եւ որ ճանաչուած է որպէս «Պապի հիւանդանոցը», սուրբ Յովհաննէս Պօղոս Բ-ի սրտից ծնուած, առ այսօր յոյժ կարեւոր եւ մօտիկ ներկայութիւն է, նրան համար որ տառապում է. մտածում եմ տեղական կաթողիկէ հասարակութեան գործունէութեան մասին, Անարատ Յղութեան քոյրերից մինչեւ Կալկաթայի երանելի Մայր Թերեզայի Սիրոյ Առաքեալներին:

Սուրբ Կոյս Մարիամը, մեր Մայրը, միշտ ձեզ ընկերանայ եւ առաջնորդի բոլորի քայլերը եղբայրութեան եւ խաղաղութեան ուղիով:

[01065-AA.01] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua inglese

“They shall build up the ancient ruins… they shall repair the ruined cities” (Is 61:4). In this place, dear brothers and sisters, we can say that the words of the Prophet Isaiah have come to pass. After the terrible devastation of the earthquake, we gather today to give thanks to God for all that has been rebuilt.

Yet we might also wonder: what is the Lord asking us to build today in our lives, and even more importantly, upon what is he calling us to build our lives? In seeking an answer to this question, I would like to suggest three stable foundations upon which we can tirelessly build and rebuild the Christian life.

The first foundation is memory. One grace we can implore is that of being able to remember: to recall what the Lord has done in and for us, and to remind ourselves that, as today’s Gospel says, he has not forgotten us but “remembered” us (Lk 1:72). God has chosen us, loved us, called us and forgiven us. Great things have happened in our personal love story with him, and these must be treasured in our minds and hearts. Yet there is another memory we need to preserve: it is the memory of a people. Peoples, like individuals, have a memory. Your own people’s memory is ancient and precious. Your voices echo those of past sages and saints; your words evoke those who created your alphabet in order to proclaim God’s word; your songs blend the afflictions and the joys of your history. As you ponder these things, you can clearly recognize God’s presence. He has not abandoned you. Even in the face of tremendous adversity, we can say in the words of today’s Gospel that the Lord has visited your people (cf. Lk 1:68). He has remembered your faithfulness to the Gospel, the first-fruits of your faith, and all those who testified, even at the price of their blood, that God’s love is more precious than life itself (cf. Ps 63:4). It is good to recall with gratitude how the Christian faith became your people’s life breath and the heart of their historical memory.

Faith is also hope for your future and a light for life’s journey. Faith is the second foundation I would like to mention. There is always a danger that can dim the light of faith, and that is the temptation to reduce it to something from the past, something important but belonging to another age, as if the faith were a beautiful illuminated book to be kept in a museum. Once it is locked up in the archives of history, faith loses its power to transform, its living beauty, its positive openness to all. Faith, however, is born and reborn from a life-giving encounter with Jesus, from experiencing how his mercy illumines every situation in our lives. We would do well to renew this living encounter with the Lord each day. We would do well to read the word of God and in silent prayer to open our hearts to his love. We would do well to let our encounter with the Lord’s tenderness enkindle joy in our hearts: a joy greater than sadness, a joy that even withstands pain and in turn becomes peace. All of this renews our life, makes us free and open to surprises, ready and available for the Lord and for others.

It can happen too that Jesus calls us to follow him more closely, to give our lives to him and to our brothers and sisters. When he calls – and I say this especially to you young people – do not be afraid; tell him “Yes!” He knows us, he really loves us, and he wants to free our hearts from the burden of fear and pride. By making room for him, we become capable of radiating his love. Thus you will be able to carry on your great history of evangelization. This is something the Church and the world need in these troubled times, which are also a time of mercy.

The third foundation, after memory and faith, is merciful love: on this rock, the rock of the love we receive from God and offer to our neighbour, the life of a disciple of Jesus is based. In the exercise of charity, the Church’s face is rejuvenated and made beautiful. Concrete love is the Christian’s visiting card; any other way of presenting ourselves could be misleading and even unhelpful, for it is by our love for one another that everyone will know that we are his disciples (cf. Jn 13:35). We are called above all to build and rebuild paths of communion, tirelessly creating bridges of unity and working to overcome our divisions. May believers always set an example, cooperating with one another in mutual respect and a spirit of dialogue, knowing that “the only rivalry possible among the Lord’s disciples is to see who can offer the greater love!” (JOHN PAUL II, Homily, 27 September 2001: Insegnamenti XXIV/2 [2001], 478).

In today’s first reading, the prophet Isaiah reminds us that the Spirit of the Lord is always with those who carry glad tidings to the poor, who bind up the brokenhearted and console the afflicted (cf. 61:1-2). God dwells in the hearts of those who love him. God dwells wherever there is love, shown especially by courageous and compassionate care for the weak and the poor. How much we need this! We need Christians who do not allow themselves to be overcome by weariness or discouraged by adversity, but instead are available, open and ready to serve. We need men and women of good will, who help their brothers and sisters in need, with actions and not merely words. We need societies of greater justice, where each individual can lead a dignified life and, above all, be fairly remunerated for his or her work.

All the same, we might ask ourselves: how can we become merciful, with all the faults and failings that we see within ourselves and all about us? I would like to appeal to one concrete example, a great herald of divine mercy, one to whom I wished to draw greater attention by making him a Doctor of the Universal Church: Saint Gregory of Narek, word and voice of Armenia. It is hard to find his equal in the ability to plumb the depths of misery lodged in the human heart. Yet he always balanced human weakness with God’s mercy, lifting up a heartfelt and tearful prayer of trust in the Lord who is “giver of gifts, root of goodness… voice of consolation, news of comfort, joyful impulse… unparalleled compassion, inexhaustible mercy… the kiss of salvation” (Book of Lamentations, 3, 1). He was certain that “the light of God’s mercy is never clouded by the shadow of indignation” (ibid., 16, 1). Gregory of Narek is a master of life, for he teaches us that the most important thing is to recognize that we are in need of mercy. Despite our own failings and the injuries done to us, we must not become self-centred but open our hearts in sincerity and trust to the Lord, to “the God who is ever near, loving and good” [ibid., 17, 2), “filled with love for mankind … a fire consuming the chaff of sin (ibid., 16, 2).

In the words of Saint Gregory, I would like now to invoke God’s mercy and his gift of unfailing love: Holy Spirit, “powerful protector, intercessor and peace-maker, we lift up our prayers to you… Grant us the grace to support one another in charity and good works… Spirit of sweetness, compassion, loving kindness and mercy… You who are mercy itself… Have mercy on us, Lord our God, in accordance with your great mercy” (Hymn of Pentecost).

Greeting at the end of the Mass

At the conclusion of this celebration, I wish to express my deep gratitude to Catholicos Karekin II and to Archbishop Minassian for their gracious words. I also thank Patriarch Ghabroyan and the Bishops present, as well as the priests and the Authorities who have warmly welcomed us.

I thank all of you here present, who have come to Gyumri from different regions and from nearby Georgia. I especially greet all those who with such generosity and practical charity are helping our brothers and sisters in need. I think in particular of the hospital in Ashotsk, opened twenty-five years ago and known as “the Pope’s Hospital”. It was born of the heart of Saint John Paul II, and it continues to be an important presence close to those who are suffering. I think too of the charitable works of the local Catholic community, and those of the Armenian Sisters of the Immaculate Conception and the Missionaries of Charity of Blessed Mother Teresa of Calcutta.

May the Virgin Mary, our Mother, accompany you always and guide your steps in the way of fraternity and peace.

[01065-EN.01] [Original text: Italian]

Traduzione in lingua spagnola

«Reconstruirán sobre ruinas antiguas […] renovarán ciudades devastadas» (Is 61,4). En estos lugares, queridos hermanos y hermanas, podemos decir que se han cumplido las palabras del profeta Isaías que hemos escuchado. Después de la terrible devastación del terremoto, estamos hoy aquí para dar gracias a Dios por todo lo que ha sido reconstruido.

Pero también podríamos preguntarnos: ¿Qué es lo que el Señor quiere que construyamos hoy en la vida?, y ante todo: ¿Sobre qué cimiento quiere que construyamos nuestras vidas? Quisiera responder a estas preguntas proponiendo tres bases estables sobre las que edificar y reconstruir incansablemente la vida cristiana.

La primera base es la memoria. Una gracia que tenemos que pedir es la de saber recuperar la memoria, la memoria de lo que el Señor ha hecho en nosotros y por nosotros: recordar que, como dice el Evangelio de hoy, él no nos ha olvidado, sino que se «acuerda» (cf. Lc 1,72) de nosotros: nos ha elegido, amado, llamado y perdonado; hay momentos importantes de nuestra historia personal de amor con él que debemos reavivar con la mente y el corazón. Pero hay también otra memoria que se ha de custodiar: la memoria del pueblo. Los pueblos, en efecto, tienen una memoria, como las personas. Y la memoria de vuestro pueblo es muy antigua y valiosa. En vuestras voces resuenan la de los santos sabios del pasado; en vuestras palabras se oye el eco del que ha creado vuestro alfabeto con el fin de anunciar la Palabra de Dios; en vuestros cantos se mezclan los llantos y las alegrías de vuestra historia. Pensando en todo esto, podéis reconocer sin duda la presencia de Dios: él no os ha dejado solos. Incluso en medio de tremendas dificultades, podríamos decir con el Evangelio de hoy que el Señor ha visitado a su pueblo (cf. Lc 1,68): se ha acordado de vuestra fidelidad al Evangelio, de las primicias de vuestra fe, de todos los que han dado testimonio, aun a costa de la sangre, de que el amor de Dios vale más que la vida (cf. Sal 63,4). Qué bueno es recordar con gratitud que la fe cristiana se ha convertido en el aliento de vuestro pueblo y el corazón de su memoria.

La fe es también la esperanza para vuestro futuro, la luz en el camino de la vida, y es la segunda base de la que quisiera hablaros. Existe siempre un peligro que puede ensombrecer la luz de la fe: es la tentación de considerarla como algo del pasado, como algo importante, pero perteneciente a otra época, como si la fe fuera un libro miniado para conservar en un museo. Sin embargo, si se la relega a los anales de la historia, la fe pierde su fuerza transformadora, su intensa belleza, su apertura positiva a todos. La fe, en cambio, nace y renace en el encuentro vivificante con Jesús, en la experiencia de su misericordia que ilumina todas las situaciones de la vida. Es bueno que revivamos todos los días este encuentro vivo con el Señor. Nos vendrá bien leer la Palabra de Dios y abrirnos a su amor en el silencio de la oración. Nos vendrá bien dejar que el encuentro con la ternura del Señor ilumine el corazón de alegría: una alegría más fuerte que la tristeza, una alegría que resiste incluso ante el dolor, transformándose en paz. Todo esto renueva la vida, que se vuelva libre y dócil a las sorpresas, lista y disponible para el Señor y para los demás. También puede suceder que Jesús llame para seguirlo más de cerca, para entregar la vida por él y por los hermanos: cuando os invite, especialmente a vosotros jóvenes, no tengáis miedo, dadle vuestro «sí». Él nos conoce, nos ama de verdad, y desea liberar nuestro corazón del peso del miedo y del orgullo. Dejándole entrar, seremos capaces de irradiar amor. De esta manera, podréis dar continuación a vuestra gran historia de evangelización, que la Iglesia y el mundo necesitan en esta época difícil, pero que es también tiempo de misericordia.

La tercera base, después de la memoria y de la fe, es el amor misericordioso: la vida del discípulo de Jesús se basa en esta roca, la roca del amor recibido de Dios y ofrecido al prójimo. El rostro de la Iglesia se rejuvenece y se vuelve atractivo viviendo la caridad. El amor concreto es la tarjeta de visita del cristiano: otras formas de presentarse son engañosas e incluso inútiles, porque todos conocerán que somos sus discípulos si nos amamos unos a otros (cf. Jn 13,35). Estamos llamados ante todo a construir y reconstruir, sin desfallecer, caminos de comunión, a construir puentes de unión y superar las barreras que separan. Que los creyentes den siempre ejemplo, colaborando entre ellos con respeto mutuo y con diálogo, a sabiendas de que «la única competición posible entre los discípulos del Señor es buscar quién es capaz de ofrecer el amor más grande» (Juan Pablo II, Homilía, 27 septiembre 2001).

El profeta Isaías, en la primera lectura, nos ha recordado que el espíritu del Señor está siempre con el que lleva la buena noticia a los pobres, cura los corazones desgarrados y consuela a los afligidos (cf. 61,1-2). Dios habita en el corazón del que ama; Dios habita donde se ama, especialmente donde se atiende, con fuerza y compasión, a los débiles y a los pobres. Hay mucha necesidad de esto: se necesitan cristianos que no se dejen abatir por el cansancio y no se desanimen ante la adversidad, sino que estén disponibles y abiertos, dispuestos a servir; se necesitan hombres de buena voluntad, que con hechos y no sólo con palabras ayuden a los hermanos y hermanas en dificultad; se necesitan sociedades más justas, en las que cada uno tenga una vida digna y ante todo un trabajo justamente retribuido.

Tal vez podríamos preguntarnos: ¿Cómo se puede ser misericordiosos con todos los defectos y miserias que cada uno ve dentro de sí y a su alrededor? Quiero fijarme en el ejemplo concreto de un gran heraldo de la misericordia divina, cuya figura he querido resaltar declarándolo Doctor de la Iglesia universal: san Gregorio de Narek, palabra y voz de Armenia. Nadie como él ha sabido penetrar en el abismo de miseria que puede anidar en el corazón humano. Sin embargo, él ha puesto siempre en relación las miserias humanas con la misericordia de Dios, elevando una súplica insistente hecha de lágrimas y confianza en el Señor, «dador de los dones, bondad por naturaleza […], voz de consolación, noticia de consuelo, impulso de gozo, […] ternura inigualable, misericordia desbordante, […] beso salvífico» (Libro de las Lamentaciones, 3,1), con la seguridad de que «la luz de [su] misericordia nunca será oscurecida por las tinieblas de la rabia» (ibíd., 16,1). Gregorio de Narek es un maestro de vida, porque nos enseña que lo más importante es reconocerse necesitados de misericordia y después, frente a la miseria y las heridas que vemos, no encerrarnos en nosotros mismos, sino abrirnos con sinceridad y confianza al Señor, «Dios cercano, ternura de bondad» (ibíd., 17,2), «lleno de amor por el hombre, […] fuego que consume los abrojos del pecado» (ibíd., 16,2).

Por último, me gustaría invocar con sus palabras la misericordia divina y el don de no cansarse nunca de amar: Espíritu Santo, «poderoso protector, intercesor y pacificador, te dirigimos nuestras súplicas [...] Concédenos la gracia de animarnos a la caridad y a las buenas obras [...] Espíritu de mansedumbre, de compasión, de amor al hombre y de misericordia, [...] tú que eres todo misericordia, [...] ten piedad de nosotros, Señor Dios nuestro, según tu gran misericordia» (Himno de Pentecostés).

Saludo al final de la misa

Al final de esta celebración, deseo expresar vivo agradecimiento al Catholicós Karekin II y al Arzobispo Minassian por las amables palabras que me han dirigido, así como al Patriarca Ghabroyan y a los obispos presentes, a los sacerdotes y a las autoridades que nos han recibido.

Doy las gracias a todos los que habéis participado, viniendo a Gyumri incluso de diferentes regiones y de la vecina Georgia. Quisiera saludar en particular a los que con tanta generosidad y amor concreto ayudan a los necesitados. Pienso especialmente en el hospital de Ashotsk, inaugurado hace veinticinco años, y conocido como el «Hospital del Papa»: nacido del corazón de san Juan Pablo II, sigue siendo una presencia muy importante y cercana a los que sufren; pienso en las obras que llevan a cabo la comunidad católica local, las Hermanas Armenias de la Inmaculada Concepción y las Misioneras de la Caridad de la beata Madre Teresa de Calcuta.

Que la Virgen María, nuestra Madre, os acompañe siempre y guíe los pasos de todos en el camino de la fraternidad y de la paz.

[01065-ES.01] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua francese

«Ils rebâtiront les ruines antiques, ils relèveront les demeures dévastées» (Is 61, 4). En ces lieux, chers frères et sœurs, nous pouvons dire que se sont réalisées les paroles du prophète Isaïe que nous venons d’écouter. Après les terribles destructions du tremblement de terre, nous nous trouvons ici aujourd’hui pour rendre grâce à Dieu pour tout ce qui a été reconstruit.

Nous pourrions cependant nous demander aussi: qu’est-ce que le Seigneur nous invite à construire aujourd’hui dans la vie, et surtout: sur quoi nous appelle-t-il à construire notre vie? Je voudrais vous proposer, en cherchant à répondre à cette question, trois fondements stables sur lesquels nous pouvons édifier et réédifier notre vie chrétienne, sans nous lasser.

Le premier fondement est la mémoire. Une grâce à demander est celle de savoir récupérer la mémoire, la mémoire de ce que le Seigneur a accompli en nous et pour nous: se rappeler que, comme dit l’Évangile d’aujourd’hui, lui ne nous pas oubliés, mais qu’il «s’est souvenu» (Lc 1, 72) de nous: il nous a choisis, aimés, appelés et pardonnés; il y a eu de grands événements dans notre histoire personnelle d’amour avec lui, qui doivent être ravivés par l’esprit et par le cœur. Mais il y a aussi une autre mémoire à garder: la mémoire du peuple. Les peuples ont en effet une mémoire, comme les personnes. Et la mémoire de votre peuple est très ancienne et précieuse. Dans vos voix résonnent celles des saints sages du passé; dans vos paroles il y a l’écho de celui qui a créé votre alphabet en vue d’annoncer la parole de Dieu; dans vos chants fusionnent les gémissements et les joies de votre histoire. En pensant à tout cela, vous pouvez reconnaître certainement la présence de Dieu: il ne vous a pas laissés seuls. Même dans les adversités redoutables, nous pourrions dire avec l’Évangile d’aujourd’hui, le Seigneur a visité votre peuple (cf. Lc 1, 68): il s’est souvenu de votre fidélité à l’Évangile, de la primeur de votre foi, de tous ceux qui ont témoigné, même au prix du sang, que l’amour de Dieu vaut plus que la vie (cf. Ps 63, 4). Il est beau pour vous de pouvoir vous souvenir avec gratitude que la foi chrétienne est devenue la respiration de votre peuple et le cœur de sa mémoire.

La foi est aussi l’espérance pour votre avenir, la lumière sur le chemin de la vie et c’est le deuxième fondement dont je voudrais vous parler. Il y a toujours un danger, qui peut faire pâlir la lumière de la foi: c’est la tentation de la réduire à quelque chose du passé, à quelque chose d’important mais qui appartient à d’autres temps, comme si la foi était un beau livre de miniatures à conserver dans un musée. Or, enfermée dans les archives de l’histoire, la foi perd sa force transformatrice, sa beauté vivante, son ouverture positive envers tous. La foi, au contraire, naît et renaît de la rencontre vivifiante avec Jésus, de l’expérience de sa miséricorde qui éclaire toutes les situations de la vie. Raviver chaque jour cette rencontre vivante avec le Seigneur nous fera du bien. Lire la parole de Dieu et nous ouvrir à son amour dans la prière silencieuse nous fera du bien. Permettre à la rencontre avec la tendresse du Seigneur d’allumer la joie dans notre cœur nous fera du bien: une joie plus grande que la tristesse, une joie qui résiste même face à la souffrance, en se transformant en paix. Tout cela renouvelle la vie, la rend libre et docile aux surprises, prête et disponible au Seigneur et aux autres. Il peut également arriver que Jésus appelle à le suivre de plus près, à lui consacrer la vie ainsi qu’aux frères: quand il invite, surtout vous les jeunes, n’ayez pas peur, dites-lui ‘‘oui’’! Il nous connaît, il nous aime vraiment, et il désire libérer le cœur du poids de la crainte et de l’orgueil. En lui faisant place, nous devenons capables de rayonner d’amour. Vous pourrez ainsi donner une suite à votre grande histoire d’évangélisation, dont l’Église et le monde ont besoin en ces temps difficiles, qui cependant sont aussi les temps de la miséricorde.

Le troisième fondement, après la mémoire et la foi, est justement l’amour miséricordieux: c’est sur ce roc, sur le roc de l’amour reçu de Dieu et offert au prochain, que se fonde la vie du disciple de Jésus. Et c’est en vivant la charité que le visage de l’Église rajeunit et devient attrayant. L’amour concret est la carte de visite du chrétien: d’autres manières de se présenter peuvent être trompeuses, voire inutiles, parce que c’est à cela que tous sauront que nous sommes ses disciples: si nous nous aimons les uns les autres (cf. Jn 13, 35). Nous sommes appelés avant tout à construire et reconstruire des voies de communion, sans jamais nous lasser, à édifier des ponts d’union et à surmonter les barrières de séparation. Que les croyants donnent toujours l’exemple, en collaborant entre eux dans le respect réciproque et dans le dialogue, en sachant que « l’unique concurrence possible entre les disciples du Seigneur est celle de voir qui est en mesure d'offrir l'amour le plus grand!» (Jean-Paul II, Homélie, 27 septembre 2001: Insegnamenti XXIV, 2 [2001], p. 478).

Le prophète Isaïe, dans la première lecture, nous a rappelé que l’esprit du Seigneur est toujours avec celui qui porte la bonne nouvelle aux humbles, qui guérit les plaies des cœurs brisés et console les affligés (cf. 61, 1-2). Dieu demeure dans le cœur de celui qui aime; Dieu habite là où on aime, surtout là où on prend soin, avec courage et compassion, des faibles et des pauvres. On en a tant besoin: on a besoin de chrétiens qui ne se laissent pas abattre par les fatigues et ne se découragent pas à cause des adversités, mais qui soient disponibles et ouverts, prêts à servir; il faut des hommes de bonne volonté, qui de fait et non seulement par les paroles aident les frères et les sœurs en difficulté; il faut des sociétés plus justes, où chacun puisse avoir une vie digne et en premier lieu un travail équitablement rémunéré.

Nous pourrions cependant nous demander: comment peut-on devenir miséricordieux, avec tous les défauts et les misères que chacun voit en soi et autour de soi? Je voudrais m’inspirer d’un exemple concret, d’un grand héraut de la miséricorde divine, que j’ai voulu proposer à l’attention de tous en le comptant parmi les Docteurs de l’Église universelle: saint Grégoire de Narek, parole et voix de l’Arménie. Il est difficile de trouver quelqu’un qui soit son égal lorsqu’il s’agit de sonder les misères abyssales qui peuvent se nicher dans le cœur de l’homme. Lui, cependant, a toujours mis en dialogue les misères humaines et la miséricorde de Dieu, en élevant une supplication pleine de tristesse, faite de larmes et de confiance, vers le Seigneur « dispensateur, dont l’essence est d’être bon […], voix consolante, annonce apaisante, message d’allégresse, […] compassion qui n’a pas de pareil, miséricorde débordante, […] baiser sauveur » (Livre de prières, 3, 1), avec la certitude que «jamais les ténèbres de la colère n’obscurcissent la lumière de [sa] miséricorde» (ibid., 16, 1). Grégoire de Narek est un maître de vie, parce qu’il nous enseigne qu’il est avant tout important de reconnaître que nous avons besoin de miséricorde et puis, face aux misères et aux blessures que nous percevons, de ne pas nous replier sur nous-mêmes, mais de nous ouvrir avec sincérité et confiance au Seigneur «Dieu miséricordieux et proche» (ibid., 17, 2), «ami des hommes, […] feu qui dévore[…] les broussailles des péchés» (ibid., 16, 2).

Avec ses paroles, je voudrais enfin invoquer la miséricorde divine et le don de ne jamais nous lasser d’aimer: Esprit Saint, «puissant protecteur, intercesseur et pacificateur, nous t’adressons nos suppliques […]. Accorde-nous la grâce de nous exhorter à la charité et aux œuvres bonnes […]. Esprit de douceur, de compassion, d’amour pour l’homme et de miséricorde, […] Toi qui n’es que miséricorde […] prends-nous en pitié, Seigneur notre Dieu, selon ta grande miséricorde» (Hymne de Pentecôte).

Salutation à la fin de la messe

Au terme de cette célébration, je voudrais exprimer ma vive gratitude au Catholicos Karekin II et à l’Archevêque Minassian pour les aimables paroles qu’ils m’ont adressées, ainsi qu’au Patriarche Ghabroyan et aux Évêques présents, aux prêtres, ainsi qu’aux Autorités qui nous ont accueillis.

Je vous remercie vous tous qui avez participé [à cette célébration], venus à Gyumri également de diverses régions et de la Géorgie voisine. Je voudrais, en particulier, saluer les personnes qui, avec beaucoup de générosité et d’amour concret, aident ceux qui se trouvent dans le besoin. Je pense surtout à l’hôpital d’Ashotsk, inauguré il y a vingt-cinq ans et connu comme l’‘‘Hôpital du Pape’’: né du cœur de saint Jean-Paul II, il est encore une présence si importante et proche de quiconque souffre; je pense aux œuvres promues par la communauté catholique locale, par les Sœurs arméniennes de l’Immaculée Conception et par les Missionnaires de la Charité de la bienheureuse Mère Teresa de Calcutta.

Que la Vierge Marie, notre Mère, vous accompagne toujours et guide les pas de tous sur la voie de la fraternité et de la paix.

[01065-FR.01] [Texte original: Italien]

Traduzione in lingua tedesca

»Dann bauen sie die uralten Trümmerstätten wieder auf […] Die verödeten Städte erbauen sie neu« (Jes 61,4). An diesen Orten, liebe Brüder und Schwestern, können wir sagen, dass sich die Worte des Propheten Jesaja, die wir eben hörten, verwirklicht haben. Nach den schrecklichen Zerstörungen des Erdbebens sind wir heute hier, um Gott Dank zu sagen für alles, was wieder aufgebaut worden ist.

Wir könnten uns aber auch fragen: Wozu fordert der Herr uns auf; was sollen wir heute in unserem Leben aufbauen? Und vor allem: Worauf sollen wir unser Leben aufbauen? Im Versuch, auf diese Frage zu antworten, möchte ich euch drei tragfeste Fundamente vorschlagen, auf denen wir das christliche Leben aufbauen und immer wieder neu errichten können.

Das erste Fundament ist das Gedächtnis. Eine Gnade, die man erbitten muss, ist die Fähigkeit, das Gedächtnis aufzufrischen, die Erinnerung an das, was der Herr in und für uns vollbracht hat. Sich ins Gedächtnis rufen, dass – wie das heutige Evangelium sagt – er uns nicht vergessen hat, dass er an uns »gedacht« hat (Lk 1,72): Er hat uns erwählt, geliebt, berufen und uns vergeben; es hat große Ereignisse gegeben in unserer persönlichen Liebesgeschichte mit ihm, die im Geist und im Herzen neu mit Leben erfüllt werden müssen. Doch es gibt auch ein anderes Gedächtnis, das gehütet werden muss: das Gedächtnis des Volkes. Die Völker haben nämlich ebenso ein Gedächtnis wie die einzelnen Menschen. Und das Gedächtnis eures Volkes reicht in ferne Zeiten zurück und ist kostbar. In euren Stimmen klingen die der heiligen Weisen der Vergangenheit nach; in euren Worten liegt der Widerhall derer, die euer Alphabet geschaffen haben, um das Wort Gottes zu verkünden; in euren Liedern verschmelzen die Seufzer und die Freuden eurer Geschichte miteinander. Wenn ihr an all das denkt, könnt ihr sicher die Gegenwart Gottes erkennen: Er hat euch nicht alleingelassen. Auch unter schrecklichen Widerwärtigkeiten – könnten wir mit dem heutigen Evangelium sagen – hat der Herr euer Volk besucht (vgl. Lk 1,68): Er hat an eure Treue zum Evangelium gedacht, an die Erstlingsfrucht eures Glaubens, an alle, die – auch um den Preis des eigenen Blutes – bezeugt haben, dass die Liebe Gottes besser ist als das Leben (vgl. Ps 63,4). Es ist schön für euch, dass ihr euch dankbar daran erinnern könnt, dass der christliche Glaube zum Atem eures Volkes und zum eigentlichen Kern seines Gedächtnisses geworden ist.

Der Glaube ist auch die Hoffnung für eure Zukunft, das Licht auf dem Lebensweg, und er ist das zweite Fundament, über das ich zu euch sprechen möchte. Es gibt immer eine Gefahr, die das Licht des Glaubens verblassen lassen kann, und das ist die Versuchung, ihn auf etwas aus der Vergangenheit zu reduzieren, auf etwas Wichtiges, das aber anderen Zeiten angehört, als sei der Glaube ein schönes Buch mit Miniaturen, das in einem Museum aufbewahrt werden muss. Wenn aber der Glaube in die Archive der Geschichte eingeschlossen wird, verliert er seine verwandelnde Kraft, seine lebendige Schönheit und seine positive Offenheit allen gegenüber. Dagegen entspringt der Glaube und erblüht immer neu aus der lebendigen Begegnung mit Jesus, aus der Erfahrung seiner Barmherzigkeit, die Licht in alle Lebenssituationen trägt. Es wird uns gut tun, jeden Tag diese lebendige Begegnung mit dem Herrn wieder aufleben zu lassen. Es wird uns gut tun, das Wort Gottes zu lesen und uns im schweigenden Beten seiner Liebe zu öffnen. Es wird uns gut tun zuzulassen, dass die Begegnung mit der Zärtlichkeit des Herrn die Freude im Herzen entzündet – eine Freude, die größer ist als die Traurigkeit, eine Freude, die sogar dem Schmerz standhält, indem sie sich in Frieden verwandelt. All das erneuert das Leben, macht es frei und gefügig angesichts von Überraschungen, bereit und verfügbar für den Herrn und für die anderen. Es kann auch geschehen, dass Jesus jemanden in die engere Nachfolge ruft, dazu, das eigene Leben ihm und den Brüdern und Schwestern zu schenken: Wenn er – speziell euch junge Freunde – dazu einlädt, dann habt keine Angst, sagt ihm: „Ja“! Er kennt uns, er liebt uns wirklich und möchte das Herz von den Lasten der Furcht und des Stolzes befreien. Wenn wir ihm Platz machen, werden wir fähig, Liebe auszustrahlen. Auf diese Weise könnt ihr an eure große Geschichte der Evangelisierung anknüpfen – die Kirche und die Welt brauchen sie in diesen geplagten Zeiten, die aber auch Zeiten der Barmherzigkeit sind.

Das dritte Fundament – nach dem Gedächtnis und dem Glauben – ist gerade die barmherzige Liebe: Auf diesen Fels, den Fels der von Gott empfangenen und dem Nächsten geschenkten Liebe, gründet sich das Leben des Jüngers Jesu. Und wenn die Nächstenliebe gelebt wird, dann verjüngt sich das Antlitz der Kirche und wird anziehend. Die konkrete Liebe ist die Visitenkarte des Christen: Andere Arten, sich zu präsentieren, können irreführend oder sogar nutzlos sein, denn daran werden alle erkennen, dass wir seine Jünger sind: wenn wir einander lieben (vgl. Joh 13,35). Vor allem sind wir berufen, stets unermüdlich Wege der Gemeinschaft zu schaffen und wieder gangbar zu machen, Verbindungsbrücken zu bauen und trennende Barrieren zu überwinden. Mögen die Gläubigen darin immer beispielhaft sein, indem sie in gegenseitiger Achtung und im Dialog zusammenarbeiten, da sie wissen: »Der einzig mögliche Wettstreit zwischen den Jüngern des Herrn besteht darin, festzustellen, welcher von ihnen die größte Liebe zu geben vermag!« (Johannes Paul II., Homilie [27. September 2001]: L’Osservatore Romano [dt.] Jg. 31, Nr. 43 [26. Oktober 2001], S. 12).

Der Prophet Jesaja hat uns in der ersten Lesung daran erinnert, dass der Geist des Herrn immer auf dem ruht, der den Armen eine frohe Botschaft bringt, alle heilt, deren Herz zerbrochen ist, und die Trauernden tröstet (vgl. 61,1-2). Gott hält sich im Herzen dessen auf, der liebt; Gott wohnt, wo Liebe herrscht, besonders da, wo man sich mutig und mitfühlend der Schwachen und der Armen annimmt. Darin besteht ein so großer Bedarf: Es braucht Christen, die sich durch die Mühen nicht deprimieren lassen und wegen der Widrigkeiten nicht den Mut verlieren, sondern offen, verfügbar und dienstbereit sind; es braucht Menschen guten Willens, die den Brüdern und Schwestern, die sich in Schwierigkeiten befinden, in der Tat und nicht bloß mit Worten helfen; es braucht gerechtere Gesellschaften, in denen jeder ein würdiges Leben führen und in erster Linie eine gerecht bezahlte Arbeit haben kann.

Wir könnten uns aber fragen: Wie kann man barmherzig werden mit all den Fehlern und Erbärmlichkeiten, die jeder in und um sich herum sieht? Ich möchte mich an einem konkreten Beispiel orientieren, an einem großen Boten der göttlichen Barmherzigkeit, auf den ich alle aufmerksam machen wollte, indem ich ihn unter die Kirchenlehrer einreihte: Es ist der heilige Gregor von Narek, Wort und Stimme Armeniens. Es ist schwer, jemanden zu finden, der wie er fähig war, die abgrundtiefen Erbärmlichkeiten auszuloten, die sich im Herzen des Menschen einnisten können. Doch er hat die menschlichen Erbärmlichkeiten immer in Dialog mit der göttlichen Barmherzigkeit gebracht, indem er ein herzzerreißendes Bittgebet aus Tränen und Vertrauen an den Herrn richtete, den er als »Geber der Gaben, Güte von Natur aus […], trostreiche Stimme, aufmunternde Botschaft, Aufschwung der Freude, […] heilbringenden Kuss« anrief (Buch der Klagen, 3,1), in der Gewissheit, dass »das Licht [seiner] Barmherzigkeit niemals von der Finsternis des Zorns verdunkelt ist« (ebd., 16,1). Gregor von Narek ist ein Lehrmeister des Lebens, weil er uns lehrt, dass es vor allem wichtig ist zu erkennen, dass wir der Barmherzigkeit bedürfen und dass wir uns dann angesichts der Erbärmlichkeiten und Verwundungen, die wir bemerken, nicht in uns selbst verschließen, sondern uns aufrichtig und vertrauensvoll dem Herrn öffnen, dem »nahen Gott, der Güte voll Zärtlichkeit « (ebd., 17,2), »voller Liebe zum Menschen, […] Feuer, das das Gestrüpp der Sünde verzehrt« (ebd., 16,2).

Mit seinen Worten möchte ich am Schluss die göttliche Barmherzigkeit anrufen und die Gabe erbitten, dass wir nie müde werden zu lieben: Heiliger Geist, »mächtiger Beschützer, Fürsprecher und Friedenstifter, an dich richten wir unser Flehen […] Gewähre uns die Gnade, uns zur Liebe und zu guten Werken zu ermutigen […] Geist der Freundlichkeit, des Mitgefühls, der Menschenliebe und des Erbarmens, […] der du nichts anderes bist als Barmherzigkeit, […] erbarme dich, Herr, unser Gott, in deiner großen Barmherzigkeit« (Pfingsthymnus).

Gruss am Ende der Messe

Zum Abschluss dieser Feier möchte ich dem Katholikos Karekin II. und Erzbischof Minassian meinen herzlichen Dank aussprechen für die freundlichen Worte, die sie an mich gerichtet haben, wie auch dem Patriarchen Ghabroyan und den hier anwesenden Bischöfen, den Priestern und den Vertretern des öffentlichen Lebens, die uns empfangen haben.

Ich danke euch allen, die ihr teilgenommen habt und sogar aus verschiedenen Regionen des benachbarten Georgien nach Gjumri gekommen seid. Im Besonderen möchte ich diejenigen grüßen, die mit viel Großmut und konkreter Liebe allen helfen, die in Not sind. Ich denke vor allem an das Krankenhaus von Ashotsk, das vor fünfundzwanzig Jahren eröffnet wurde und als das „Krankenhaus des Papstes“ bekannt ist: Aus dem Herzen des heiligen Johannes Paul II. geboren, ist es immer noch eine sehr wichtige Einrichtung, die den Leidenden nahe ist. Ich denke an die Werke, die von der örtlichen katholischen Gemeinschaft, von den Armenischen Schwestern der Unbefleckten Empfängnis und von den Missionarinnen der Liebe der seligen Mutter Theresa von Kalkutta vorangebracht werden.

Die Jungfrau Maria, unsere Mutter, begleite euch immer und leite die Schritte aller auf dem Weg der Brüderlichkeit und des Friedens.

[01065-DE.01] [Originalsprache: Italienisch]

Traduzione in lingua portoghese

«Levantarão os antigos escombros, restaurarão as cidades destruídas» (Is 61, 4). Nestes lugares, amados irmãos e irmãs, podemos dizer que se realizaram as palavras do profeta Isaías, que ouvimos. Depois das devastações terríveis do terremoto, estamos aqui hoje para dar graças a Deus por tudo o que foi reconstruído.

Mas poderíamos também questionar-nos: Que nos convida o Senhor a construir hoje na vida? E sobretudo: Sobre que alicerce nos chama a construir a nossa vida? Procurando responder a esta pergunta, gostaria de propor-vos três alicerces estáveis sobre os quais podemos, incansavelmente, edificar e reedificar a vida cristã.

O primeiro alicerce é a memória. Uma graça que devemos pedir é a de saber recuperar a memória, a memória daquilo que o Senhor realizou em nós e por nós: trazer à mente que Ele, como diz o Evangelho de hoje, não nos esqueceu, mas «recordou-Se» (Lc 1, 72) de nós: escolheu-nos, amou-nos, chamou-nos e perdoou-nos; na nossa história pessoal de amor com ele, houve grandes acontecimentos que se devem reavivar com a mente e o coração. Mas há também outra memória a salvaguardar: a memória do povo. De facto, os povos têm uma memória, como as pessoas. E a memória do vosso povo é muito antiga e preciosa. Nas vossas vozes, ressoam as dos Santos sábios do passado; nas vossas palavras, há o eco de quem criou o vosso alfabeto, com a finalidade de anunciar a Palavra de Deus; nos vossos cânticos, misturam-se os gemidos e as alegrias da vossa história. Pensando em tudo isto, certamente podereis reconhecer a presença de Deus: Ele não vos deixou sozinhos. Mesmo no meio de adversidades tremendas, poderemos dizer, com o Evangelho de hoje, que o Senhor visitou o vosso povo (cf. Lc 1, 68): recordou-Se da vossa fidelidade ao Evangelho, das primícias da vossa fé, de todos aqueles que testemunharam, mesmo à custa do sangue, que o amor de Deus vale mais que a vida (cf. Sal 63, 4). É bom para vós poderdes lembrar, com gratidão, que a fé cristã se tornou a respiração do vosso povo e o coração da sua memória.

E a fé constitui também a esperança para o vosso futuro, a luz no caminho da vida, sendo ela o segundo alicerce de que gostaria de vos falar. Há sempre um perigo que pode fazer esmorecer a luz da fé: é a tentação de a reduzir a algo do passado, algo importante mas próprio de outros tempos, como se a fé fosse um belo livro de miniaturas que se deve conservar num museu. Mas ela, se for encerrada nos arquivos da história, perde a sua força transformadora, a sua vivacidade, a sua abertura positiva aos outros. Ao contrário, a fé nasce e renasce do encontro vivificante com Jesus, da experiência da sua misericórdia que ilumina todas as situações da vida. Far-nos-á bem reavivar cada dia este encontro vivo com o Senhor. Far-nos-á bem ler a Palavra de Deus e abrir-nos, em silenciosa oração, ao seu amor. Far-nos-á bem deixar que o encontro com a ternura do Senhor acenda a alegria no coração: uma alegria maior do que a tristeza, uma alegria que perdura mesmo no meio da dor, transformando-se em paz. Tudo isto renova a vida, torna-a livre e dócil às surpresas, pronta e disponível para o Senhor e para os outros. E pode acontecer também que Jesus nos chame a segui-Lo mais de perto, a entregar a vida a Ele e aos irmãos: se vos convidar, especialmente a vós jovens, não tenhais medo, dizei-Lhe «sim». Ele conhece-nos, ama-nos de verdade, e deseja libertar o coração dos fardos do medo e do orgulho. Abrindo espaço a Ele, tornamo-nos capazes de irradiar amor. Desta forma, podereis dar continuidade à vossa grande história de evangelização, de que a Igreja e o mundo precisam nestes tempos conturbados, mas que são também os tempos da misericórdia.

O terceiro alicerce, depois da memória e da fé, é precisamente o amor misericordioso: é sobre esta rocha, a rocha do amor recebido de Deus e oferecido ao próximo, que se baseia a vida do discípulo de Jesus. E é vivendo a caridade que rejuvenesce e se torna atraente o rosto da Igreja. O amor concreto é o cartão-de-visita do cristão: outras maneiras de se apresentar podem ser enganadoras e até inúteis, pois todos saberão que somos seus discípulos por isto: se nos amarmos uns aos outros (cf. Jo 13, 35). Somos chamados, antes de mais nada, a construir e reconstruir incansavelmente vias de comunhão, a edificar pontes de união e a superar as barreiras de separação. Que os crentes deem sempre o exemplo, colaborando entre si no respeito recíproco e no diálogo, sabendo que «a única competição possível entre os discípulos do Senhor é a de verificar quem é capaz de oferecer o amor maior» [João Paulo II, Homilia, 27 de setembro de 2001: Insegnamenti, XXIV/2 (2001), 478].

Na primeira leitura, o profeta Isaías recordou-nos que o espírito do Senhor repousa sobre quem leva a boa-nova aos miseráveis, cura as chagas dos corações despedaçados e consola os aflitos (cf. 61, 1-2). Deus habita no coração de quem ama; Deus habita onde se ama, especialmente onde se cuida, com coragem e compaixão, dos frágeis e dos pobres. Há tanta necessidade disto: há necessidade de cristãos que não se deixem abater pelas fadigas nem desanimem com as adversidades, mas estejam disponíveis e abertos, prontos a servir; há necessidade de homens de boa vontade que efetivamente, e não apenas em palavras, ajudem os irmãos e as irmãs em dificuldade; há necessidade de sociedades mais justas, onde cada um possa gozar de vida digna a começar por um trabalho justamente remunerado.

Entretanto poderíamos questionar-nos: Como é possível tornar-se misericordioso, com todos os defeitos e misérias que cada um vê dentro de si e ao seu redor? Gostaria aqui de me inspirar num exemplo concreto, num grande arauto da misericórdia divina, que propus à atenção de todos ao incluí-lo entre os Doutores da Igreja universal: São Gregório de Narek, palavra e voz da Arménia. É difícil encontrar alguém como ele, capaz de medir as misérias abissais que se podem esconder no coração do ser humano. Mas ele sempre colocou em diálogo as misérias humanas e a misericórdia de Deus, elevando uma ardente súplica feita de lágrimas e confiança no Senhor, «dador dos dons, a bondade por natureza (...), voz de consolação, anúncio de conforto, impulso de alegria, (...) ternura incomparável, misericórdia transbordante, (...) beijo de salvação» (Livro das lamentações, 3,1), na certeza de que «jamais é ofuscada pelas trevas da ira a luz da [sua] misericórdia» (ibid., 16, 1). Gregório de Narek é um mestre de vida, porque nos ensina que é importante, em primeiro lugar, reconhecermo-nos necessitados de misericórdia e depois, perante as misérias e as feridas que individuarmos, não nos fecharmos em nós mesmos mas abrir-nos, com sinceridade e confiança, ao Senhor, «Deus vizinho, ternura de Bondade» (ibid., 17, 2), «cheio de amor pelo homem, (...) fogo que queima o restolho do pecado» (ibid., 16, 2).

Por fim gostaria de invocar, com as suas palavras, a misericórdia divina e o dom de nunca nos cansarmos de amar: Espírito Santo, «poderoso protetor, intercessor e pacificador, nós Vos dirigimos as nossas súplicas (...). Concedei-nos a graça de nos estimularmos à caridade e às boas obras (...). Espírito de doçura, de compaixão, de amor pelo ser humano e de misericórdia, (...) Vós que nada mais sois senão misericórdia, (...) tende piedade de nós, Senhor nosso Deus, segundo a vossa grande misericórdia» (Hino de Pentecostes).

Saudação no final da Missa

No final desta Celebração, desejo expressar viva gratidão ao Catholicos Karekin II e ao Arcebispo Minassian pelas amáveis palavras que me dirigiram, bem como ao Patriarca Ghabroyan e aos Bispos presentes, aos sacerdotes e às Autoridades que nos acolheram.

Agradeço a todos vós que viestes participar, chegando a Gyumri de diferentes regiões e mesmo da vizinha Geórgia. Quero, de modo particular, saudar aqueles que, com tanta generosidade e amor concreto, ajudam os necessitados. Penso sobretudo no hospital de Ashotsk, inaugurado há vinte e cinco anos e conhecido como o «Hospital do Papa»: nascido do coração de São João Paulo II, é ainda uma presença muito importante e próxima de quem sofre; penso nas obras animadas pela comunidade católica local, pelas Irmãs Arménias da Imaculada Conceição e pelas Missionárias da Caridade da Beata Madre Teresa de Calcutá.

Que a Virgem Maria, nossa Mãe, sempre vos acompanhe e guie os passos de todos pelo caminho da fraternidade e da paz.

[01065-PO.01] [Texto original: Italiano]

Sosta al Convento “Nostra Signora dell’Armenia” a Gyumri

 Al termine della Messa, il Santo Padre ha compiuto un lungo giro in papamobile – assieme al Catholicos - nella Piazza Vartanants per salutare i fedeli presenti, quindi ha raggiunto il Convento “Nostra Signora dell’Armenia”, delle Suore Armene dell’Immacolata Concezione.

Dopo il pranzo in privato, il Papa ha salutato le religiose, gli orfani che le suore curano nel “Boghossian Educational Centre” annesso al convento e gli studenti della Scuola Professionale “Diramayr” gestita dalla Congregazione.

[01066-IT.01]

[B0472-XX.02]