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Conferenza stampa di presentazione di un Documento della Commissione per i rapporti religiosi con l’Ebraismo in occasione del 50.mo anniversario di “Nostra aetate”, 10.12.2015


Intervento del Card. Kurt Koch

Intervento di P. Norbert Hofmann, S.D.B.

Intervento del Rabbino David Rosen

Intervento del Dr. Edward Kessler

Alle ore 11.30 di questa mattina, nell’Aula Giovanni Paolo II della Sala Stampa della Santa Sede, ha luogo la conferenza stampa di presentazione di un nuovo Documento della Commissione per i rapporti religiosi con l’Ebraismo dal titolo “Perché i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili” (Rm 11,29). Riflessioni su questioni teologiche attinenti alle relazioni cattolico-ebraiche in occasione del 50º Anniversario di Nostra aetate (n. 4).

Intervengono l’Em.mo Card. Kurt Koch, Presidente della Commissione per i rapporti religiosi con l’Ebraismo; P. Norbert Hofmann, S.D.B., Segretario della Commissione per i Rapporti Religiosi con l’Ebraismo; Rabbi David Rosen, International Director of Interreligious Affairs, American Jewish Committee (AJC), Jerusalem (Israel) e il Dr. Edward Kessler, Founder Director of the Woolf Institute, Cambridge (United Kingdom).

Ne pubblichiamo di seguito gli interventi:

Intervento del Card. Kurt Koch

Mercoledì 28 ottobre di quest’anno, secondo il desiderio di Papa Francesco, è stata organizzata un’udienza generale del tutto speciale, perché nello stesso giorno, cinquant’anni prima, veniva promulgata la Dichiarazione “Nostra aetate” del Concilio Vaticano Secondo. A tale udienza hanno assistito anche numerosi rappresentanti di altre religioni. La loro presenza si spiega per il fatto che il testo conciliare ha segnato una svolta nell’atteggiamento della Chiesa cattolica verso le altre religioni e va dunque inteso come un plaidoyer a favore del dialogo interreligioso. La celebrazione del 50º anniversario di “Nostra aetate” ha avuto luogo dal 26 al 28 ottobre scorso, con una grande conferenza internazionale presso la Pontificia Università Gregoriana. Le oltre quattrocento persone ivi presenti hanno poi assistito all’udienza papale del 28 ottobre, che ha dunque rappresentato il culmine della commemorazione. In tale occasione, il Santo Padre ha sottolineato l’importanza del dialogo interreligioso e della collaborazione tra le varie religioni davanti ai gravi problemi ed alle grandi sfide del tempo presente: “Il mondo guarda a noi credenti, ci esorta a collaborare tra di noi e con gli uomini e le donne di buona volontà che non professano alcuna religione, ci richiede risposte effettive su numerosi temi: la pace, la fame, la miseria che affligge milioni di persone, la crisi ambientale, la violenza, in particolare quella commessa in nome della religione, la corruzione, il degrado morale, le crisi della famiglia, dell’economia, della finanza, e soprattutto della speranza”.

Per la Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo, la ricorrenza di questo anniversario è una buona occasione per presentare un nuovo documento, che riprende i principi teologici del quarto punto di “Nostra aetate”, li amplia e li approfondisce, laddove essi interessano le relazioni tra la Chiesa cattolica e l’ebraismo. Se è vero che, nel corso della storia della Chiesa, non sono mancate dichiarazioni ufficiali in merito all’ebraismo o alla convivenza tra cattolici ed ebrei, è altrettanto vero che “Nostra aetate” (n. 4) presenta, per la prima volta, la decisa posizione teologica di un Concilio nei confronti dell’ebraismo. La dichiarazione ricorda espressamente le radici ebraiche del cristianesimo. Gesù e i suoi primi discepoli erano ebrei, segnati dalla tradizione ebraica del loro tempo; solo in tale contesto è dunque possibile comprenderli correttamente.

Il documento che oggi desidero presentare s’intitola “Perché i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili. Riflessioni su questioni teologiche attinenti alle relazioni cattolico-ebraiche”. Si tratta di un documento esplicitamente teologico, che intende riprendere e chiarire le questioni che sono affiorate negli ultimi decenni nel dialogo ebraico-cattolico. Prima di questo testo, nessun altro documento di stampo teologico in senso stretto era stato pubblicato dalla nostra Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo. I tre documenti precedenti riguardavano piuttosto tematiche concrete, utili al dialogo con l’ebraismo da un punto di vista essenzialmente pratico.

Accennando brevemente alla storia della Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo, desidero ricordare che essa fu istituita dal beato Papa Paolo VI il 22 ottobre del 1974. L’anno stesso della sua fondazione, la Commissione della Santa Sede pubblicò, il 1° dicembre 1974, il suo primo documento ufficiale, intitolato “Orientamenti e Suggerimenti per l’Applicazione della Dichiarazione Conciliare Nostra aetate (n. 4)”. L’obiettivo principale ed innovatore di questo documento era quello di avvicinarsi all’ebraismo per conoscerlo nel modo in cui esso si auto-concepisce. Il documento intendeva principalmente occuparsi del modo in cui “Nostra aetate” (n. 4) può essere tradotta nella pratica adeguatamente, nei diversi contesti. A distanza di undici anni, il 24 giugno 1985, la Commissione della Santa Sede ha pubblicato un secondo documento intitolato “Circa una corretta presentazione degli Ebrei e dell’Ebraismo nella Predicazione e nella Catechesi della Chiesa cattolica”. Seppure il testo sia già connotato esegeticamente e teologicamente, esso ha uno stampo prevalentemente pratico: s’incentra infatti sul modo in cui l’ebraismo viene presentato nella predicazione e nella catechesi cattoliche. Un terzo documento della Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo è stato presentato al pubblico il 16 marzo 1998. Esso si occupa della Shoah ed è intitolato “Noi ricordiamo: una riflessione sulla Shoah”. Questo documento è stato soprattutto voluto dai nostri partner ebrei, data l’importanza che la tragedia della Shoah riveste nella loro lunga storia di persecuzioni.

Rispetto a questi tre primi documenti, il documento presente ha un carattere ed un orientamento ben diversi. Il contesto che ha fornito la giusta occasione per la sua redazione è già stato menzionato: il 50º anniversario della promulgazione di “Nostra aetate” (n. 4). Qual è però la ragione che ha motivato la sua stesura? Cosa si prefigge questo documento?

Il preambolo sottolinea che non si tratta di un documento ufficiale del Magistero della Chiesa cattolica, ma di un documento di studio della nostra Commissione, il cui intento è quello di approfondire la dimensione teologica del dialogo ebraico-cattolico. Il documento non vuole dunque presentare affermazioni dottrinali definitive, ma fornire uno spunto ed un impulso per ulteriori discussioni teologiche. Un importante obiettivo di Papa Francesco e della nostra Commissione è infatti l’approfondimento del dialogo religioso e teologico tra ebrei e cattolici. Già “Nostra aetate” (n. 4) aveva menzionato questioni teologiche che richiedevano un’ulteriore riflessione. Ed è precisamente a questa riflessione che il presente documento vuole apportare il proprio contributo. Esso invita i teologici e, più in generale, tutti coloro che sono interessati al dialogo ebraico-cristiano a recepire, a considerare e a discutere i vari punti esposti nel documento.

Il documento si articola intorno a sette sezioni: 1. Breve storia dell’impatto di “Nostra aetate” (n. 4) nel corso degli ultimi 50 anni; 2. Lo statuto teologico speciale del dialogo ebraico-cattolico; 3. La rivelazione nella storia come “Parola di Dio” nell’ebraismo e nel cristianesimo; 4. La relazione tra Antico e Nuovo Testamento e tra Antica e Nuova Alleanza; 5. L’universalità della salvezza in Gesù Cristo e l’alleanza mai revocata di Dio con Israele; 6. Il mandato evangelizzatore della Chiesa in relazione all’ebraismo; 7. Gli obiettivi del dialogo con l’ebraismo.

Nella prima sezione, viene esposta brevemente la storia del dialogo ebraico-cattolico negli ultimi cinquant’anni, sintetizzata al n. 10 con le seguenti parole: “In questo arco di tempo, molto è stato realizzato; dalla contrapposizione di una volta si è passati ad una proficua collaborazione, dal potenziale di conflitto ad un’efficiente gestione dei conflitti, da una coesistenza contrassegnata dalle tensioni ad una convivenza solida e fruttuosa. I legami di amicizia sviluppatisi negli anni hanno dimostrato la loro robustezza ed hanno permesso così di affrontare insieme persino temi controversi senza il rischio di arrecare al dialogo un danno permanente.” Queste parole corrispondono a quanto affermato da Papa Francesco durante l’udienza generale del 28 ottobre: “Una speciale gratitudine a Dio merita la vera e propria trasformazione che ha avuto in questi 50 anni il rapporto tra cristiani ed ebrei. Indifferenza e opposizione si sono mutate in collaborazione e benevolenza. Da nemici ed estranei, siamo diventati amici e fratelli”. A testimonianza di questo aspetto, la prima sezione menziona le attività e le iniziative intraprese dagli ultimi tre Pontefici nel campo del dialogo ebraico-cattolico, come pure quelle della Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo, sulle quali non è possibile soffermarsi nel dettaglio.

La seconda sezione, da un punto di vista teologico, ripete in realtà un concetto non nuovo, ovvero il fatto che il cristianesimo deriva dall’ebraismo, ha radici ebraiche e può essere compreso adeguatamente soltanto tenendo presente tale contesto. Gesù nasce, vive e muore come ebreo; anche i suoi primi discepoli e gli apostoli, quali colonne della Chiesa cristiana, si situano in continuità con la tradizione religiosa ebraica del loro tempo. Tuttavia, Gesù la trascende, poiché, secondo la fede cristiana, egli non può essere considerato soltanto come ebreo, ma anche e soprattutto come Messia e Figlio di Dio. Il documento afferma pertanto: “La differenza di fondo tra ebraismo e cristianesimo consiste nel modo in cui si ritiene di dover valutare la figura di Gesù. Gli ebrei possono vedere Gesù come un appartenente al loro popolo, un maestro ebraico che ha sentito di essere chiamato in modo particolare ad annunciare il Regno di Dio. Il fatto però che il Regno di Dio sia venuto con lui quale rappresentante di Dio è al di fuori dell’orizzonte ebraico di attese messianiche” (n. 14). Anche se l’ebreo Gesù è percepito in maniera diversa da cristiani e da ebrei, da un punto di vista teologico si può tuttavia parlare, per quanto riguarda le relazioni tra cristiani ed ebrei, di un legame di parentela strettissimo e imprescindibile. Il documento descrive infatti il dialogo tra ebrei e cristiani con le seguenti parole: “Pertanto, solo con le dovute riserve, il dialogo ebraico-cristiano può essere definito ‘dialogo interreligioso’ in senso stretto; si dovrebbe piuttosto parlare di un tipo di ‘dialogo intra-religioso’ o ‘intra-familiare’ sui generis” (n. 20).

La terza sezione si occupa della rivelazione nella storia come “Parola di Dio”. Sia ebrei che cristiani credono che il Dio di Israele si è rivelato attraverso la sua Parola, offrendo così agli uomini un insegnamento su come vivere in maniera riuscita nel giusto rapporto con Dio e con il prossimo. Questa Parola di Dio è individuabile per gli ebrei nella Torah; per i cristiani, essa si è incarnata in Gesù Cristo (cfr. Gv 1,14). Al riguardo, Papa Francesco ha affermato: “Le confessioni cristiane trovano la loro unità in Cristo; l’ebraismo trova la sua unità nella Torah. I cristiani credono che Gesù Cristo è la Parola di Dio fattasi carne nel mondo; per gli Ebrei la Parola di Dio è presente soprattutto nella Torah. Entrambe le tradizioni di fede hanno per fondamento il Dio Unico, il Dio dell’Alleanza, che si rivela agli uomini attraverso la sua Parola. Nella ricerca di un giusto atteggiamento verso Dio, i cristiani si rivolgono a Cristo quale fonte di vita nuova, gli Ebrei all’insegnamento della Torah” (Discorso ai membri dell’International Council of Christians and Jews, 30 giugno 2015).

La quarta sezione verte sul rapporto tra Antico e Nuovo Testamento e tra Antica e Nuova Alleanza. “Per il fatto che l’Antico Testamento è parte integrante dell’unica Bibbia cristiana, vi è un senso di appartenenza profondamente radicato ed un intrinseco legame tra ebraismo e cristianesimo” (n. 28). Certamente, i cristiani interpretano le Scritture dell’Antico Testamento in modo diverso rispetto agli ebrei, poiché l’evento di Cristo rappresenta per loro la nuova chiave d’interpretazione per comprenderle. Sant’Agostino riassume così questo concetto: “L’Antico Testamento si mostra nel Nuovo, mentre il Nuovo è nascosto nell’Antico.” E Papa Gregorio Magno definisce l’Antico Testamento “profezia del Nuovo“ (cfr. n. 29). I cristiani partono fondamentalmente dal presupposto che l’arrivo di Gesù Cristo quale Messia era già contenuto nelle profezie dell’Antico Testamento. Alla luce di questa “concordia testamentorum”, ovvero dell’imprescindibile concordia tra i due Testamenti, si comprende anche il rapporto del tutto speciale tra Antica e Nuova Alleanza: “L’Alleanza offerta da Dio a Israele è irrevocabile… La Nuova Alleanza non revoca le precedenti alleanze, ma le porta a compimento… Per i cristiani, la Nuova Alleanza in Cristo è il punto culminante delle promesse di salvezza dell’Antica Alleanza ed, in tale misura, non è mai indipendente da essa. La Nuova Alleanza ha per base e fondamento l’Antica, poiché è il Dio di Israele che stringe l’Antica Alleanza con il popolo di Israele e rende possibile la Nuova Alleanza in Gesù Cristo” (n. 27). Va dunque tenuto presente che può esserci soltanto un’unica storia dell’alleanza tra Dio e il suo popolo, e che Dio ha sempre rinnovato la sua alleanza con il suo popolo Israele. In questo quadro s’iscrive anche la Nuova Alleanza, seppure essa si ponga in un rapporto speciale con le precedenti: “La Nuova Alleanza, per i cristiani, non è né l’annullamento né la sostituzione, ma il compimento delle promesse dell’Antica Alleanza” (n. 32).

Nella quinta sezione viene menzionata la spinosa questione di come comprendere il fatto che gli ebrei sono salvati senza che essi credano esplicitamente in Gesù Cristo quale Messia di Israele e Figlio di Dio. “Poiché Dio non ha mai revocato la sua alleanza con il suo popolo Israele, non possono esserci vie o approcci diversi alla salvezza di Dio… Confessare la mediazione salvifica universale e dunque anche esclusiva di Gesù Cristo fa parte del fulcro della fede cristiana tanto quanto confessare il Dio uno e unico, il Dio di Israele che, rivelandosi in Gesù Cristo” (n. 35). “Dalla confessione cristiana di un’unica via di salvezza non consegue, però, che gli ebrei sono esclusi dalla salvezza di Dio perché non credono in Gesù Cristo quale Messia di Israele e Figlio di Dio… Dio ha affidato a Israele una missione unica e non porterà a compimento il suo misterioso piano di salvezza rivolto a tutti i popoli (cfr. 1 Tm 2,4) senza coinvolgere il suo ‘figlio primogenito’ (Es 4,22)… Il fatto che gli ebrei abbiano parte alla salvezza di Dio è teologicamente fuori discussione, ma come questo sia possibile senza una confessione esplicita di Cristo è e rimane un mistero divino insondabile” (n. 36).

Ad un’altra tematica spinosa si riferisce la sesta sezione: quale deve essere l’atteggiamento dei cristiani sulla questione dell’evangelizzazione in relazione agli ebrei? Al riguardo, troviamo nel documento le seguenti affermazioni: “La Chiesa deve dunque comprendere l’evangelizzazione rivolta agli ebrei, che credono nell’unico Dio, in maniera diversa rispetto a quella diretta a coloro che appartengono ad altre religioni o hanno altre visioni del mondo. Ciò significa concretamente che la Chiesa cattolica non conduce né incoraggia alcuna missione istituzionale rivolta specificamente agli ebrei. Fermo restando questo rifiuto -per principio- di una missione istituzionale diretta agli ebrei, i cristiani sono chiamati a rendere testimonianza della loro fede in Gesù Cristo anche davanti agli ebrei; devono farlo però con umiltà e sensibilità, riconoscendo che gli ebrei sono portatori della Parola di Dio e tenendo presente la grande tragedia della Shoah” (n. 40).

Infine, nella settima sezione, sono enunciati, da un punto di vista cattolico, gli obiettivi del dialogo ebraico-cattolico, che non erano ancora mai stati espressi in un documento in modo così esplicito. Naturalmente, l’intento principale è quello di permettere a cattolici e ad ebrei di conoscersi e di apprezzarsi in maniera più approfondita. Tra gli obiettivi da perseguire, vi è però anche la collaborazione nel campo dell’esegesi, ovvero dell’interpretazione delle Sacre Scritture, che ebrei e cristiani hanno in comune. E ancora: “Un importante obiettivo del dialogo ebraico-cristiano consiste indubbiamente nell’impegno comune a favore della giustizia, della pace, della salvaguardia del creato e della riconciliazione in tutto il mondo” (n. 46). “Giustizia e pace non dovrebbero comunque essere concetti astratti nel dialogo, ma dovrebbero concretizzarsi in modo tangibile. La sfera sociale-umanitaria offre un ricco campo di attività, poiché sia l’etica ebraica che l’etica cristiana comprendono l’imperativo di assistere i poveri, i deboli e i malati” (n. 48). Il documento aggiunge poi che, nell’ambito della formazione delle giovani generazioni, ci si dovrebbe sforzare di rendere noti i risultati ed i progressi compiuti nel dialogo ebraico-cattolico. Infine, si fa riferimento all’antisemitismo: “Un altro importante obiettivo nel dialogo ebraico-cattolico consiste nella lotta comune contro ogni manifestazione di discriminazione razziale verso gli ebrei e contro ogni forma di antisemitismo” (n. 47).

Con questa breve panoramica sul contenuto del nuovo documento, ho tentato di mettere in evidenza il fatto che il dialogo con l’ebraismo, dopo cinquant’anni, poggia ora su un solido terreno, poiché molto è stato realizzato in questo arco di tempo. Di ciò dobbiamo essere riconoscenti a Dio, senza il cui aiuto non saremmo giunti dove ci troviamo adesso: “Se il Signore non costruisce la casa, invano vi faticano i costruttori” (Sal 127,1). Siamo naturalmente grati per ogni sforzo compiuto sia da parte ebraica che da parte cattolica a favore della promozione del nostro dialogo. Altrettanto importante è però ricordare, come sottolinea il documento, che, soprattutto dal punto di vista teologico, siamo solo ad un nuovo inizio: molte questioni rimangono aperte e richiedono un ulteriore studio. Per questo, mi auguro che il presente documento sia ben recepito da tutti coloro che sono impegnati nel dialogo ebraico-cristiano o che ad esso sono interessati, e possa fornire loro uno stimolante spunto per la riflessione, per le conversazioni e per gli scambi futuri.

[02131-IT.01] [Testo originale: Italiano]

Intervento di P. Norbert Hofmann, S.D.B.

Già per il 40º anniversario della promulgazione della Dichiarazione conciliare “Nostra aetate” si era pensato originariamente di pubblicare un documento della Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo della Santa Sede. Per diversi motivi, questo non è stato possibile nel 2005. Riflettendo in maniera retrospettiva, possiamo dire che è stato meglio aver atteso fino ad oggi, poiché le questioni teologiche presenti nell’attuale documento sono state discusse in maniera dettagliata ed appassionata soprattutto negli ultimi dieci anni.

Il documento non intende assolutamente mettere un punto conclusivo a queste discussioni. Esso vuole essere piuttosto uno stimolo al proseguimento ed all’approfondimento della dimensione teologica del dialogo ebraico-cattolico. La Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo si richiama all’obiettivo che lo stesso Papa Francesco si è posto, ovvero far sì che il dialogo ebraico-cattolico acquisisca una maggiore profondità ed ampiezza dal punto di vista teologico. Ecco delinearsi anche uno dei motivi principali per cui il presente documento viene pubblicato in questo momento: il dialogo teologico tra ebrei e cattolici deve ricevere nuovi impulsi.

È nostro auspicio che i teologi cattolici impegnati da molto tempo nel dialogo ebraico-cattolico accolgano e sviluppino ulteriormente le riflessioni contenute nel documento. Di fatti, il documento si rivolge primariamente a tutti coloro che sono attivi in questo dialogo. Tuttavia, esso può essere utile anche a chi si interessa, più in generale, alle relazioni ebraico-cattoliche.

Il documento è stato elaborato non solo sulla base delle affermazioni di fede cattoliche, ma anche tenendo conto delle posizioni dei nostri partner di dialogo. Ad un certo punto della redazione del documento, sono stati infatti coinvolti anche consultori ebrei ai quali è stato chiesto un parere sull’adeguatezza di quanto esposto nel testo circa l’ebraismo. Nel testo si trovano riferimenti non solo all’Antico ed al Nuovo Testamento, ma anche alla Mishna ed al Talmud. La redazione del documento è durata complessivamente due anni e mezzo, poiché le prime bozze risalgono al 2013. Già Papa Benedetto XVI si era detto favorevole alla stesura di un simile documento, ma soltanto con il “placet” dato da Papa Francesco poco dopo la sua elezione, il lavoro è potuto iniziare.

Fin dall’inizio, c’è stata una stretta collaborazione con la Congregazione per la dottrina della fede, che naturalmente è sempre interpellata quando si tratta di testi teologici in Vaticano. Al riguardo, desideriamo ringraziare di cuore Sua Eminenza il Cardinale Gerhard Müller ed i suoi collaboratori per la loro competenza e disponibilità in questo lavoro congiunto.

Essendo il Cardinale Koch, il Cardinale Müller ed il sottoscritto di madrelingua tedesca, la prima bozza del documento è stata elaborata in tedesco. Un piccolo gruppo di quattro persone, due rappresentanti della nostra Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo e due rappresentanti della Congregazione per la dottrina della fede, hanno preparato la prima versione del documento, prima che venisse tradotto in inglese. Il testo è stato letto da entrambi i cardinali, che hanno proposto alcune modifiche, dopodiché è stata organizzata una consultazione internazionale di consultori della nostra Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo. Questi consultori, sulla base del testo inglese, hanno avanzato suggerimenti per migliorare il documento. Alla luce di tali osservazioni, il testo è stato modificato ed inviato alla Congregazione per la dottrina della fede, la quale, a sua volta, ha interpellato i propri consultori. La versione inglese del documento è stata ulteriormente cambiata tenendo conto di questi suggerimenti. Ciò significa che il documento è il risultato di un lavoro collettivo, a cui molte persone competenti hanno contribuito. A tutte loro siamo sinceramente riconoscenti.

Dopo il nulla osta concesso nel settembre 2015 dalla Congregazione per la dottrina della fede, il testo è stato presentato alla Segretaria di Stato, che, poco dopo, nell’ottobre del 2015, dava il via libera per la pubblicazione. Nel dicembre del 2014, Papa Francesco aveva già dato il suo benestare per la pubblicazione di un documento della Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo per il 50º anniversario della promulgazione di “Nostra aetate” (n. 4).

Il giorno preciso della commemorazione di “Nostra aetate” è stato il 28 ottobre scorso, giorno in cui, cinquant’anni fa, fu promulgata la Dichiarazione dal Concilio Vaticano Secondo. Questo stesso giorno, Papa Francesco ha dedicato l’udienza generale alla Dichiarazione conciliare. Fin dall’inizio era stato deciso di non pubblicare questo documento -che è il quarto documento della Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo- nel quadro delle celebrazioni del 28 ottobre scorso, ma di riservargli un momento a parte, distinto. La prima data possibile era per noi quella odierna, il 10 dicembre, dato che nel mese di novembre stavamo ancora ultimando le traduzioni del testo. Come è stato già detto, il testo originale è in inglese, ma sono disponibili versioni anche in italiano, francese, spagnolo e tedesco.

Alla presentazione del documento, abbiamo invitato oggi due amici ebrei, che sono stati coinvolti anche nel processo di preparazione del testo: il Rabbino David Rosen di Gerusalemme dell’American Jewish Committee ed il Dott. Edward Kessler di Cambridge del Woolf Institute. Mi pare un segno eloquente e positivo il fatto che alla presentazione di questo documento siano presenti anche esponenti ebraici con i quali conduciamo il dialogo ebraico-cattolico. L’opinione pubblica sarà sicuramente interessata a sapere come i nostri interlocutori ebraici accolgono il documento.

Naturalmente, e tengo a ripeterlo, la presente Dichiarazione è un testo cattolico, formulato da una prospettiva cattolica, poiché è normale che, come cristiani credenti, noi affermiamo la nostra identità di fede in maniera chiara anche nel dialogo con l’ebraismo, così come ci aspettiamo che facciano i nostri partner di dialogo ebrei. Soltanto così il rispetto reciproco ed il mutuo apprezzamento potranno crescere, soltanto così potremo conoscerci sempre meglio e diventare insieme una benedizione per gli altri.

[02132-IT.01] [Testo originale: Italiano]

Intervento del Rabbino David Rosen

Firstly let me express my profound gratitude to Cardinal Koch, Bishop Farrell and Father Hofmann, for the invitation to share the podium at this press conference. As Father Hofmann has noted, the presence here of Jewish representatives is itself a powerful and eloquent testimony of the rediscovered fraternity between Catholics and Jews. And even though the document released is addressed to and for the Catholic faithful, in as much as it concerns the relationship of the Church to the Jewish People, it is graciously respectful to the latter to have a Jewish presence at such a press conference. This is most heartening, reflecting the truly revolutionary change in the Catholic approach towards Jews and Judaism.

Indeed as this document notes, section 4 of the Second Vatican Council’s Declaration on the Relation of the Church with Non-Christian Religions which deals with the Church’s relationship to the Jewish People (and which this document describes as the “heart” of Nostra Aetate), was remarkable above all precisely for ushering in this new positive approach of “fundamental esteem” and which has been described as a Copernican revolution in the Church’s attitude towards Judaism and Jewry.

As Cardinal Koch noted in his presentation at the official celebration of the 50th anniversary of Nostra Aetate here in Rome six weeks ago "For the first time in history, (an) ecumenical council expressed itself explicitly and positively with regard to the relationship between the Catholic Church and Judaism", serving as a "compass toward reconciliation between Christians and Jews, valid both for the present and for the future."

Nostra Aetate opened up the way for subsequent Popes to further affirm the unique bond between the Church and the Jewish People which this text documents, and to see Jewry as a living source of Divine inspiration for the Church. In the words of Pope Francis “God continues to work among the people of the Old Covenant and to bring forth treasures of wisdom which flow from their encounter with His word”. (Evangelii Gaudium 249)

The upshot of this positive regard for the Jewish people is the clear repudiation affirmed in this document of any “replacement or supersession theology which sets against one another a Church of the Gentiles (against a) rejected Synagogue whose place it takes.”

What this document reveals accordingly is not only the advancement of the recommendations of the 1974 Guidelines on Nostra Aetate, to appreciate and respect Jewish self-understanding; but also a deepening recognition of the place of Torah in the life of the Jewish people; and (in accordance with the Pontifical Biblical Commission’s work) an acknowledgement of the integrity of Jewish reading of the Bible that is different from the Christian one. Indeed the very fact that the document also quotes extensively from Jewish rabbinical sources is further testimony of this respect.

Allow me to reiterate again the point that both Cardinal Koch and Father Hofmann have made, that this is a Catholic document reflecting Catholic theology. Inevitably then, there are passages in it that do not and cannot resonate with a Jewish theology. However as already mentioned, to its great credit, this document seeks to reflect a sincere comprehension of Jewish self-understanding.

Perhaps then I may be permitted in the spirit of our mutual respect and friendship to point out that to fully respect Jewish self-understanding, it is also necessary to appreciate the centrality that the Land of Israel plays in the historic and contemporary religious life of the Jewish People, and that appears to be missing.

Indeed even in terms of the historical survey of the milestones along this remarkable journey since Nostra Aetate, the establishment of full bilateral relations between the State of Israel and the Holy See (very much guided and promoted by Saint Pope John Paul II) was one of the historic highlights. Moreover, the preamble and the first article of the Fundamental Agreement between the two parties, precisely acknowledges this significance. Without Nostra Aetate, the establishment of these relations would surely not have been feasible. The Fundamental Agreement not only paved the way for the historic papal pilgrimages to the Holy Land and thus to the establishment of the bilateral commission with the Chief Rabbinate of Israel, but arguably reflected more than anything else the fact that the Catholic Church had truly repudiated its portrayal of the Jewish people as condemned wanderers to be homeless until the final advent.

The document’s reference to the state of religious minorities as the litmus test regarding Religious Freedom, is particularly pertinent in the Middle East today; and thus the situation of Christians in Israel to which the document refers, stands in marked contrast to most other places in the region.

However, allow me to observe that the importance of the Jewish-Christian relationship in the Holy Land is not simply to prove the question of Religious Freedom. It is also a litmus test of the degree to which Nostra Aetate and the subsequent teaching of the Magisterium are internalized precisely where Christians are a minority and Jews are a majority and not only vice-versa; and in this regard there still remains much educational work to be done.

The reference to peace in the Holy land as pertinent to the Catholic-Jewish relationship is also important. The peoples there live in mutual alienation and disappointment, and I believe that the Catholic Church can play an important role in rebuilding trust, such as the initiative of prayer for peace taken by Pope Francis. Let me express the hope that there soon will be further initiatives to enable religion to be a source of healing rather than conflict; and to ensure that these are coordinated with those who have the political authority to pave the way to enable the land and the city of peace to fulfil its name.

Let me express my particular appreciation for the document’s emphasis on the responsibility of “educational institutions, particularly (those for) the training of priests, (to) integrate into their curricula both Nostra Aetate and the subsequent documents of the Holy See regarding the implementation of the Conciliar declaration”. Arguably this remains the most notable challenge in taking the achievements from their Olympian heights down to the grass roots universally.

Similarly the call for joint action could not be more timely. The document refers to the International Jewish-Catholic Liaison Committee’s collaboration in Argentina in 2004; and I might add that subsequently there was significant collaboration at the ILC meeting in Cape Town where Jewish and Catholic healthcare organizations and initiatives working particularly with the victims of AIDS, were brought together to facilitate collaboration and become greater than the sum of their different parts. I strongly echo the sentiments in this document that there is much more that we can do together both in addressing the ills of modern society and in combatting prejudice, bigotry and anti-Semitism which the Church has forcefully condemned and which is reiterated in this document.

Finally let me come to the subject of “complementarity” to which the document refers, based on Pope Francis’ own words in Evangelii Gaudium concerning “read(ing) the text of Hebrew Scriptures together … and “min(ing) the riches of God’s word” . This document further expands the notion of complementarity when it declares that “on the one hand … the Church without Israel would be in danger of losing its locus in the history of salvation”; and then adds “by the same token (!) Jews could…arrive at the insight that Israel without the Church would be in danger of remaining too particularist and of failing to grasp the universality of its experience of God.”

Permit me to note that there is hardly a symmetry in these regards. The former expresses an understanding of the intrinsic character of the Church, while the latter warns against a possible misunderstanding and maybe even abuse of the Jewish concept of election and loss of a sense of universal responsibility. Not only is there a profound asymmetry between the two in as much as the Church’s need for Israel is a matter of Christianity’s foundational self-understanding; but the real danger of ethnic insularity is hardly something of which Judaism was unaware before the emergence of Christianity and for which Judaism is specifically in “need” of the Church. This warning is most prominent in Hebrew prophetic scripture, perhaps most dramatically in the writing of Amos, and is articulated throughout Talmudic and mediaeval Jewish literature.

And on the other hand, one might note that an assertively universal doctrine is as in just as much danger, as it can become exclusive, imperialist and triumphalist, even more so.

Nevertheless, Jewish luminaries over the centuries have indeed themselves articulated a concept of complementarity in seeing Christianity as a Divine vehicle by which the universal truths that Judaism brought to the world , can in fact be more effectively disseminated throughout the universe beyond the limitations posed by Jewish Peoplehood.

Rabbi Samson Raphael Hirsch, one of the greatest rabbinical leaders of the nineteenth century, even saw the break between Church and Synagogue as a necessary part of that Divine plan to facilitate Christianity’s universal task.

Some have gone a little further in this regard to understand the concept of complementarity in the parallel role in which the Jewish focus on the communal covenant with God and the Christian focus on the individual relationship with God may serve to balance one another. Indeed there are those who have suggested that the communal autonomy that Judaism affirms, may serve more appropriately as a model for a modern multicultural society, while Christianity may provide a better response for individual alienation in the contemporary world.

Another suggestion of some theologians regarding such complementarity relates to the relationship between the Jewish reminder that the Kingdom of Heaven has not yet fully arrived, and the Christian awareness that in some ways that Kingdom has already rooted itself in the here and now.

However the very fact that we can talk about complementarity is itself a powerful demonstration of how far we have come along this remarkable journey of transformation and reconciliation between Catholics and Jews over the last half century. This has been in no small part due to the quotidian work and leadership of the Pontifical Commission for Religious Relations with the Jewish People, and the document released today is one more significant milestone along this truly wondrous path for which we must all give thanks to the One Creator and Guide of Heaven and Earth.

[02130-EN.01] [Original text: English]

Intervento del Dr. Edward Kessler

Nostra Aetate No 4 marked the beginnings of a fresh approach to Catholic-Jewish relations and the end of the millennial teaching of contempt (l’enseignement du mepris, a term employed by the Holocaust survivor Jules Isaac who met Pope John XXIII) of Jews and Judaism. It unequivocally asserted the Church’s debt to its Jewish heritage and ushered in a new era, fresh attitudes, a new language of discourse never previously heard in the Catholic Church concerning Jews. The concept of a dialogue now entered the relationship.

Now 50 years later, under the leadership of Cardinal Koch, a new document has been issued by the Pontifical Commission for Religious Relations with the Jews, which considers some key theological questions that lie at the heart of an intimate, intricate and unique relationship. Its theological premis is based on the fact that, as Nostra Aetate stated, ‘from the Jewish people sprang the apostles’, the foundation stones and pillars of the Church who ‘draw sustenance from the root of that good olive tree onto which have been grafted the wild olive branches of the Gentiles’. Christians are therefore rightly reminded in this document of the Jewish origins of Christianity and especially that Jesus was a faithful Jew.

As a result of a soul change, epitomised by Nostra Aetate, The Roman Catholic Church shifted from what was, for the most part, a need to condemn Judaism to one of a condemnation of anti-Judaism. This led not to a separation from all things Jewish but in fact, to a closer relationship with ‘the elder brother’. The new document, which I welcome and commend, reminds Christians of this sibling relationship as it sets out a theological agenda for future discussions.

Rabbi Rosen has touched on relations between the Holy See and the State of Israel and the challenges, theological and political, therein. My remarks will therefore focus on topics other than the Holy Land.

In particular, I wish to address a concept which has been deeply troubling to Jewish-Christian relations and one which the new document, commendably, does not avoid: the Christian claim to be the successor covenant people, elected by God to replace Israel because of the latter’s faithlessness, which led to the substitution theory, also known as replacement theology. This is the teaching that, since the time of Jesus, Jews have been replaced by Christians in God’s favour, and that all God’s promises to the Jewish people have been inherited by Christianity.

The new document tackles a dilemma at the heart of today’s Christian understanding of Judaism, demonstrated even by Nostra Aetate. On the one hand, the document states that “the church is the new people of God” while, on the other, “the Jews remain most dear to God because of their fathers, for He does not repent of the gifts He makes nor of the calls He issues (cf. Romans 11:28-29)”.

Discussion of covenantal theology is witnessing a resurgence in contemporary conversations between Christian and Jewish scholars and I welcome the new document’s assertion that “the New Covenant for Christians is therefore neither the annulment nor the replacement, but the fulfillment of the promises of the Old Covenant“. However, please allow me to express a warning: fulfillment easily slides into replacement and substitution theory is alive and well in the pews. As a Jewish partner in the dialogue, I welcome further reflection on what fulfillment means in terms of relations with Judaism and how we can ensure the transformation in relations is not limited to the elite, but extends from the citidals of the Vatican to the pews of the Church as well as from the Offices of the Chief Rabbis to the floors of our synagogues.

Related to this is the need, from a Christian perspective, for reflection on the survival of the Jewish People and of the vitality of Judaism over 2000 years – this is the ‘mystery of Israel’, upon which Paul reflected in his Epistle to the Romans. One of the reasons why Nostra Aetate is rightly seen as a milestone in Christian-Jewish relations is that it began an immensely difficult and costly process - namely, to take the ‘Other’ as seriously as one demands to be taken oneself. In other words, as expressed by the 1975 Guidelines, Judaism and Christianity must be understood on their own terms. The new document still has some way to go before I recognise myself in its portrayal of Judaism. For example, there is little discussion about contemporary Judaism – the focus is biblical and rabbinic Judaism.

Just over a century ago, in 1913, the Jewish philosopher-theologian Franz Rosenzweig wrote about the saying of Jesus in John that 'No-one can reach the Father except through Me'. Rosenzweig does not get round this saying by criticism, indeed he asserts that it is true, particularly when one remembers the millions who have been led to God through Jesus Christ. However he continues, “the situation is quite different for one who does not have to reach the Father because he is already with him. Shall I, he asks, become converted, I who have been chosen? Does the alternative of conversion even exist for me?”

Rosenzweig introduces us to a crucial question in today’s relationship – a question we Jews and Christians need to ponder. To what extent can Christians view Judaism as valid in its own terms (and vice versa). The Pontifical Biblical Commission’s statement (extolled in this new document) may point out the way forward when it states “Christians can and must admit that ‚the Jewish reading of the Bible is a possible one, in continuity with the Jewish Scriptures...’”

Of course, questions also need to be considered from the Jewish perspective. What was the divine purpose behind the creation of Christianity? What are the implications for Jews that as a result of the Jew Jesus, 2 billion Christians now read the Jewish Bible? Martin Buber for instance, considered Jesus as “my elder brother”.

For Jews, the covenant promised to Abraham and revealed to Moses, demonstrates not only the unique and irrevocable relationship between the Jewish people and God but perhaps also allows the theological space for Christians to possess their own special relationship with God and also to see their reflection in a Jewish mirror, which may serve both to deepen Christian faith in Christ and Christian respect for their elder siblings.

These are some of my theological reflections upon reading this new document which I welcome and look forward to further discussions. Indeed, I am very pleased to announce that, in partnership with the Pontifical Commission for Religious Relations with the Jews, the Woolf Institute is convening a meeting of a small number of leading Jewish and Catholic theologians in Cambridge next year to explore these and other theological issues. Perhaps we should begin with the contemporary meaning of the election of Israel and the election of the Church? As Pope Francis said in June, ’In seeking a right attitude towards God, Christians turn to Christ as the fount of new life and Jews to the teaching of the Torah’.

Further reflection on what this all means, for Christians and Jews – indeed, for all men and women of faith – is urgently required.

The last 50 years have seen a demonstrable shift from a pre Nostra Aetate monologue about Jews to an instructive (and sometimes difficult) dialogue with Jews. A monologue generally fails to understand the reality of the Other, while a dialogue requires a respect for the Other as it understands itself. The challenge of making the transition from monologue to dialogue remains immense.

It is clear today that many of the main divisive issues have been either eliminated or taken to the furthest point at which agreement is possible. The efforts of Catholics towards respect of Judaism project attitudes that would have been unthinkable half-a-century ago. During the last 5 decades, Jews and Christians have witnessed a massive change and, as the new document demonstrates, giant strides have been made but we are talking of a dynamic and relentless process. We will never be able to sit back and say, “The work is done. The agenda is completed.”

However, on many major issues, Jews and Catholics find themselves on the same side of the theological fence, faced with the same challenges, and we are in the unusual position of seeking to tackle them together.

May our joint endeavour be blessed by the Almight and in turn may we learn to be a blessing to one another.

[02133-EN.01] [Original text: English]

[B0976-XX.01]