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Santa Messa a conclusione della XIV Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, 25.10.2015


Omelia del Santo Padre

Traduzione in lingua francese

Traduzione in lingua inglese

Traduzione in lingua tedesca

Traduzione in lingua spagnola

Traduzione in lingua portoghese

Alle ore 10 di oggi, XXX domenica del Tempo Ordinario, nella Basilica Vaticana, il Santo Padre Francesco ha celebrato la Santa Messa in occasione della chiusura della XIV Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi sul tema: “La vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo”.

Hanno concelebrato con il Santo Padre Cardinali, Patriarchi, Arcivescovi Maggiori, Arcivescovi, Vescovi e Presbiteri membri del Sinodo.

Pubblichiamo di seguito l’omelia che il Papa ha pronunciato nel corso della Celebrazione Eucaristica:

Omelia del Santo Padre

Tutte e tre le Letture di questa domenica ci presentano la compassione di Dio, la sua paternità, che si rivela definitivamente in Gesù.

Il profeta Geremia, in pieno disastro nazionale, mentre il popolo è deportato dai nemici, annuncia che «il Signore ha salvato il suo popolo, il resto d’Israele» (31,7). E perché lo ha fatto? Perché Lui è Padre (cfr v. 9); e come Padre si prende cura dei suoi figli, li accompagna nel cammino, sostiene «il cieco e lo zoppo, la donna incinta e la partoriente» (31,8). La sua paternità apre loro una via accessibile, una via di consolazione dopo tante lacrime e tante amarezze. Se il popolo resta fedele, se persevera a cercare Dio anche in terra straniera, Dio cambierà la sua prigionia in libertà, la sua solitudine in comunione: ciò che oggi il popolo semina nelle lacrime, domani lo raccoglierà nella gioia (cfr Sal 125,6).

Con il Salmo abbiamo manifestato anche noi la gioia che è frutto della salvezza del Signore: «La nostra bocca si riempì di sorriso, la nostra lingua di gioia» (v. 2). Il credente è una persona che ha sperimentato l’azione salvifica di Dio nella propria vita. E noi, Pastori, abbiamo sperimentato che cosa significhi seminare con fatica, a volte nelle lacrime, e gioire per la grazia di un raccolto che sempre va oltre le nostre forze e le nostre capacità.

Il brano della Lettera agli Ebrei ci ha presentato la compassione di Gesù. Anche Lui “si è rivestito di debolezza” (cfr 5,2), per sentire compassione per quelli che sono nell’ignoranza e nell’errore. Gesù è il sommo sacerdote grande, santo, innocente, ma al tempo stesso è il sommo sacerdote che ha preso parte alle nostre debolezze ed è stato messo alla prova in ogni cosa come noi, escluso il peccato (cfr 4,15). Per questo è il mediatore della nuova e definitiva alleanza che ci dà la salvezza.

Il Vangelo odierno si collega direttamente alla prima Lettura: come il popolo d’Israele è stato liberato grazie alla paternità di Dio, così Bartimeo è stato liberato grazie alla compassione di Gesù. Gesù è appena uscito da Gerico. Nonostante abbia appena iniziato il cammino più importante, quello verso Gerusalemme, si ferma ancora per rispondere al grido di Bartimeo. Si lascia toccare dalla sua richiesta, si fa coinvolgere dalla sua situazione. Non si accontenta di fargli l’elemosina, ma vuole incontrarlo di persona. Non gli dà né indicazioni né risposte, ma pone una domanda: «Che cosa vuoi che io faccia per te?» (Mc 10,51). Potrebbe sembrare una richiesta inutile: che cosa potrebbe desiderare un cieco se non la vista? Eppure, con questo interrogativo fatto “a tu per tu”, diretto ma rispettoso, Gesù mostra di voler ascoltare le nostre necessità. Desidera con ciascuno di noi un colloquio fatto di vita, di situazioni reali, che nulla escluda davanti a Dio. Dopo la guarigione il Signore dice a quell’uomo: «La tua fede ti ha salvato» (v. 52). È bello vedere come Cristo ammira la fede di Bartimeo, fidandosi di lui. Lui crede in noi, più di quanto noi crediamo in noi stessi.

C’è un particolare interessante. Gesù chiede ai suoi discepoli di andare a chiamare Bartimeo. Essi si rivolgono al cieco usando due espressioni, che solo Gesù utilizza nel resto del Vangelo. In primo luogo gli dicono: “Coraggio!”, con una parola che letteralmente significa “abbi fiducia, fatti animo!”. In effetti, solo l’incontro con Gesù dà all’uomo la forza per affrontare le situazioni più gravi. La seconda espressione è “Alzati!”, come Gesù aveva detto a tanti malati, prendendoli per mano e risanandoli. I suoi non fanno altro che ripetere le parole incoraggianti e liberatorie di Gesù, conducendo direttamente a Lui, senza prediche. A questo sono chiamati i discepoli di Gesù, anche oggi, specialmente oggi: a porre l’uomo a contatto con la Misericordia compassionevole che salva. Quando il grido dell’umanità diventa, come in Bartimeo, ancora più forte, non c’è altra risposta che fare nostre le parole di Gesù e soprattutto imitare il suo cuore. Le situazioni di miseria e di conflitto sono per Dio occasioni di misericordia. Oggi è tempo di misericordia!

Ci sono però alcune tentazioni per chi segue Gesù. Il Vangelo di oggi ne evidenzia almeno due. Nessuno dei discepoli si ferma, come fa Gesù. Continuano a camminare, vanno avanti come se nulla fosse. Se Bartimeo è cieco, essi sono sordi: il suo problema non è il loro problema. Può essere il nostro rischio: di fronte ai continui problemi, meglio andare avanti, senza lasciarci disturbare. In questo modo, come quei discepoli, stiamo con Gesù, ma non pensiamo come Gesù. Si sta nel suo gruppo, ma si smarrisce l’apertura del cuore, si perdono la meraviglia, la gratitudine e l’entusiasmo e si rischia di diventare “abitudinari della grazia”. Possiamo parlare di Lui e lavorare per Lui, ma vivere lontani dal suo cuore, che è proteso verso chi è ferito. Questa è la tentazione: una “spiritualità del miraggio”: possiamo camminare attraverso i deserti dell’umanità senza vedere quello che realmente c’è, bensì quello che vorremmo vedere noi; siamo capaci di costruire visioni del mondo, ma non accettiamo quello che il Signore ci mette davanti agli occhi. Una fede che non sa radicarsi nella vita della gente rimane arida e, anziché oasi, crea altri deserti.

C’è una seconda tentazione, quella di cadere in una “fede da tabella”. Possiamo camminare con il popolo di Dio, ma abbiamo già la nostra tabella di marcia, dove tutto rientra: sappiamo dove andare e quanto tempo metterci; tutti devono rispettare i nostri ritmi e ogni inconveniente ci disturba. Rischiamo di diventare come quei “molti” del Vangelo che perdono la pazienza e rimproverano Bartimeo. Poco prima avevano rimproverato i bambini (cfr 10,13), ora il mendicante cieco: chi dà fastidio o non è all’altezza è da escludere. Gesù invece vuole includere, soprattutto chi è tenuto ai margini e grida a Lui. Costoro, come Bartimeo, hanno fede, perché sapersi bisognosi di salvezza è il miglior modo per incontrare Gesù.

E alla fine Bartimeo si mette a seguire Gesù lungo la strada (cfr v. 52). Non solo riacquista la vista, ma si unisce alla comunità di coloro che camminano con Gesù. Carissimi Fratelli sinodali, noi abbiamo camminato insieme. Vi ringrazio per la strada che abbiamo condiviso con lo sguardo rivolto al Signore e ai fratelli, nella ricerca dei sentieri che il Vangelo indica al nostro tempo per annunciare il mistero di amore della famiglia. Proseguiamo il cammino che il Signore desidera. Chiediamo a Lui uno sguardo guarito e salvato, che sa diffondere luce, perché ricorda lo splendore che lo ha illuminato. Senza farci mai offuscare dal pessimismo e dal peccato, cerchiamo e vediamo la gloria di Dio, che risplende nell’uomo vivente.

[01827-IT.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua francese

Les trois lectures de ce dimanche nous présentent la compassion de Dieu, sa paternité, qui se révèle définitivement en Jésus.

Le prophète Jérémie, en plein désastre national, tandis que le peuple est déporté par ses ennemis, annonce que «le Seigneur sauve son peuple, le reste d’Israël» (31,7). Et pourquoi le fait-il? Parce qu’il est un Père (cf. v. 9): et comme Père, il prend soin de ses enfants, les accompagne sur le chemin, soutient «l’aveugle et le boiteux, la femme enceinte et la jeune accouchée» (31, 8). Sa paternité leur ouvre une route accessible, une route de consolation après beaucoup de larmes et beaucoup d’amertume. Si le peuple reste fidèle, s’il persévère à chercher Dieu même dans une terre étrangère, Dieu changera sa prison en liberté, sa solitude en communion: ce qu’aujourd’hui le peuple sème dans les larmes, demain, il le récoltera dans la joie (cf.Ps 125, 6).

Avec le psaume, nous avons exprimé nous aussi la joie qui est un fruit du salut du Seigneur: «Notre bouche était pleine de rires, nous poussions des cris de joie» (v. 2). Le croyant est une personne qui a fait l’expérience de l’action salvifique de Dieu dans sa propre vie. Et nous, Pasteurs, nous avons fait l’expérience de ce que signifie semer avec peine, parfois dans les larmes, et de se réjouir pour la grâce d’une récolte qui va toujours au-delà de nos forces et de nos capacités.

Le passage de la Lettre aux Hébreux nous a présenté la compassion de Jésus. Lui aussi s’est «revêtu de faiblesse» (cf. 5, 2), pour éprouver de la compassion pour ceux qui sont dans l’ignorance et dans l’erreur. Jésus est le Grand Prêtre, saint, innocent, mais en même temps, il est le Grand Prêtre qui a pris part à nos faiblesses et a été mis à l’épreuve en toutes choses, comme nous, excepté le péché (cf. 4, 15). Pour cela, il est médiateur de l’alliance nouvelle et définitive qui nous donne le salut.

L’Évangile d’aujourd’hui est lié directement à la première Lecture: comme le peuple d’Israël a été libéré grâce à la paternité de Dieu, de même Bartimée a été libéré grâce à la compassion de Jésus. Jésus vient de sortir de Jéricho. Bien qu’il vienne de commencer le chemin le plus important, celui qui va vers Jérusalem, il s’arrête encore pour répondre au cri de Bartimée. Il se laisse toucher par sa demande, il se laisse impliquer dans sa situation. Il ne se contente pas de lui faire l’aumône, mais il veut le rencontrer en personne. Il ne lui donne ni indications, ni réponses, mais il lui pose une question: «Que veux-tu que je fasse pour toi?» (Mc 10, 51). Cela pourrait sembler une question inutile: que pourrait désirer un aveugle si ce n’est la vue? Pourtant, avec cette demande faite en tête à tête, directe mais respectueuse, Jésus montre qu’il veut écouter nos besoins. Il désire avec chacun de nous un échange fait de vie, de situations réelles, que rien n’exclut devant Dieu. Après la guérison, le Seigneur dit à cet homme: «Ta foi t’a sauvé» (v. 52). Il est beau de voir comment le Christ admire la foi de Bartimée, ayant confiance en lui. Il croit en nous, beaucoup plus que nous croyons en nous-mêmes.

Il y a un détail intéressant. Jésus demande à ses disciples d’aller appeler Bartimée. Ils s’adressent à l’aveugle en utilisant deux expressions, que seul Jésus utilise dans le reste de l’Évangile. D’abord, ils disent: “ Courage! ”, avec un mot qui signifie littéralement “ aies confiance, arme-toi de courage ! ”. En effet, seule la rencontre avec Jésus donne à l’homme la force pour affronter les situations les plus graves. La seconde expression est “ Lève-toi ! ”, comme Jésus avait dit à beaucoup de malades, les prenant par la main et les guérissant. Les siens ne font rien d’autre que de répéter les paroles encourageantes et libératrices de Jésus, conduisant directement à lui, sans sermons. Les disciples de Jésus sont appelés à cela, aujourd’hui aussi, spécialement aujourd’hui: placer l’homme au contact de la miséricorde compatissante qui sauve. Quand le cri de l’humanité devient, comme en Bartimée, encore plus fort, il n’y a pas d’autre réponse que de faire nôtres les paroles de Jésus et surtout d’imiter son cœur. Les situations de misère et de conflit sont pour Dieu des occasions de miséricorde. Aujourd’hui est un temps de miséricorde!

Mais il y a certaines tentations pour celui qui suit Jésus. L’Évangile de ce jour en met au moins deux en évidence. Aucun des disciples ne s’arrête, comme fait Jésus. Ils continuent à marcher, ils avancent comme si de rien n’était. Si Bartimée est aveugle, eux ils sont sourds: son problème n’est pas leur problème. Ce peut être notre risque: devant les problèmes continuels, il vaut mieux avancer, sans nous laisser déranger. De cette façon, comme ces disciples, nous sommes avec Jésus, mais nous ne pensons pas comme Jésus. On est dans son groupe, mais on perd l’ouverture du cœur, on perd l’émerveillement, la gratitude et l’enthousiasme et on risque de devenir “ des routiniers de la grâce ”. Nous pouvons parler de lui et travailler pour lui, mais vivre loin de son cœur, qui est penché vers celui qui est blessé. Là est la tentation: une “spiritualité du mirage ” : nous pouvons marcher à travers les déserts de l’humanité sans voir ce qu’il y a réellement, mais bien ce que nous voudrions voir, nous; nous sommes capables de construire des visions du monde, mais nous n’acceptons pas ce que le Seigneur nous met devant les yeux. Une foi qui ne sait pas s’enraciner dans la vie des gens demeure aride et, au lieu d’oasis, elle crée d’autres déserts.

Il y a une seconde tentation, celle de tomber dans une “ foi programmée ”. Nous pouvons marcher avec le peuple de Dieu, mais nous avons déjà notre plan de marche, où tout rentre: nous savons où aller et combien de temps y mettre; tous doivent respecter nos rythmes et chaque inconvénient nous dérange. Nous risquons de devenir comme “ beaucoup de ces gens ” de l’Évangile qui perdent patience et rabrouent Bartimée. Peu avant, ils avaient rabroué les enfants (cf. 10, 13), maintenant le mendiant aveugle: celui qui gêne ou n’est pas à la hauteur est à exclure. Jésus au contraire veut inclure, surtout celui qui est tenu aux marges et qui crie vers lui. Ceux-là, comme Bartimée, ont la foi, parce que savoir qu’on a besoin de salut est la meilleure façon de rencontrer Jésus.

Et à la fin Bartimée se met à suivre Jésus le long du chemin (cf. v. 52). Non seulement il retrouve la vue, mais il s’unit à la communauté de ceux qui marchent avec Jésus. Chers Frères synodaux, nous avons marché ensemble. Je vous remercie pour la route que nous avons partagée, le regard fixé sur le Seigneur et sur nos frères, à la recherche des sentiers que l’Évangile indique à notre temps pour annoncer le mystère d’amour de la famille. Poursuivons le chemin que le Seigneur désire. Demandons-lui un regard guéri et sauvé, qui sait répandre de la lumière, parce qu’il rappelle la splendeur qui l’a illuminé. Sans nous laisser jamais offusquer par le pessimisme et par le péché, cherchons et voyons la gloire de Dieu qui resplendit dans l’homme vivant.

[01827-FR.02] [Texte original: Italien]

Traduzione in lingua inglese

The three Readings for this Sunday show us God’s compassion, his fatherhood, definitively revealed in Jesus.

In the midst of a national disaster, the people deported by their enemies, the prophet Jeremiah proclaims that “the Lord has saved his people, the remnant of Israel” (31:7). Why did he save them? Because he is their Father (cf. v. 9); and as a Father, he takes care of his children and accompanies them on the way, sustaining “the blind and the lame, the women with child and those in labour” (31:8). His fatherhood opens up for them a path forward, a way of consolation after so many tears and great sadness. If the people remain faithful, if they persevere in their search for God even in a foreign land, God will change their captivity into freedom, their solitude into communion: what the people sow today in tears, they will reap tomorrow in joy (cf. Ps 125:6).

We too have expressed, with the Psalm, the joy which is the fruit of the Lord’s salvation: “our mouth was filled with laughter, and our tongues with shouts of joy” (v. 2). A believer is someone who has experienced God’s salvific action in his life. We pastors have experienced what it means to sow with difficulty, at times in tears, and to rejoice for the grace of a harvest which is beyond our strength and capacity.

The passage from the Letter to the Hebrews shows us Jesus’ compassion. He also “is beset with weakness” (5:2), so that he can feel compassion for those in ignorance and error. Jesus is the great high priest, holy and innocent, but also the high priest who has taken on our weakness and been tempted like us in all things, save sin (cf. 4:15). For this reason he is the mediator of the new and definitive covenant which brings us salvation.

Today’s Gospel is directly linked to the First Reading: as the people of Israel were freed thanks to God’s fatherhood, so too Bartimaeus is freed thanks to Jesus’ compassion. Jesus has just left Jericho. Even though he has only begun his most important journey, which will take him to Jerusalem, he still stops to respond to Bartimaeus’ cry. Jesus is moved by his request and becomes involved in his situation. He is not content to offer him alms, but rather wants to personally encounter him. He does not give him any instruction or response, but asks him: “What do you want me to do for you?” (Mk 10:51). It might seem a senseless question: what could a blind man wish for if not his sight? Yet, with this question made face to face, direct but respectful, Jesus shows that he wants to hear our needs. He wants to talk with each of us about our lives, our real situations, so that nothing is kept from him. After Bartimaeus’ healing, the Lord tells him: “Your faith has made you well” (v. 52). It is beautiful to see how Christ admires Bartimaeus’ faith, how he has confidence in him. He believes in us, more than we believe in ourselves.

There is an interesting detail. Jesus asks his disciples to go and call Bartimaeus. They address the blind man with two expressions, which only Jesus uses in the rest of the Gospel. First they say to him: “Take heart!”, which literally means “have faith, strong courage!”. Indeed, only an encounter with Jesus gives a person the strength to face the most difficult situations. The second expression is “Rise!”, as Jesus said to so many of the sick, whom he took by the hand and healed. His disciples do nothing other than repeat Jesus’ encouraging and liberating words, leading him directly to Jesus, without lecturing him. Jesus’ disciples are called to this, even today, especially today: to bring people into contact with the compassionate Mercy that saves. When humanity’s cry, like Bartimaeus’, becomes stronger still, there is no other response than to make Jesus’ words our own and, above all, imitate his heart. Moments of suffering and conflict are for God occasions of mercy. Today is a time of mercy!

There are, however, some temptations for those who follow Jesus. Today’s Gospel shows at least two of them. None of the disciples stopped, as Jesus did. They continued to walk, going on as if nothing were happening. If Bartimaeus was blind, they were deaf: his problem was not their problem. This can be a danger for us: in the face of constant problems, it is better to move on, instead of letting ourselves be bothered. In this way, just like the disciples, we are with Jesus but we do not think like him. We are in his group, but our hearts are not open. We lose wonder, gratitude and enthusiasm, and risk becoming habitually unmoved by grace. We are able to speak about him and work for him, but we live far from his heart, which is reaching out to those who are wounded. This is the temptation: a “spirituality of illusion”: we can walk through the deserts of humanity without seeing what is really there; instead, we see what we want to see. We are capable of developing views of the world, but we do not accept what the Lord places before our eyes. A faith that does not know how to root itself in the life of people remains arid and, rather than oases, creates other deserts.

There is a second temptation, that of falling into a “scheduled faith”. We are able to walk with the People of God, but we already have our schedule for the journey, where everything is listed: we know where to go and how long it will take; everyone must respect our rhythm and every problem is a bother. We run the risk of becoming the “many” of the Gospel who lose patience and rebuke Bartimaeus. Just a short time before, they scolded the children (cf. 10:13), and now the blind beggar: whoever bothers us or is not of our stature is excluded. Jesus, on the other hand, wants to include, above all those kept on the fringes who are crying out to him. They, like Bartimaeus, have faith, because awareness of the need for salvation is the best way of encountering Jesus.

In the end, Bartimaeus follows Jesus on his path (cf. v. 52). He did not only regain his sight, but he joined the community of those who walk with Jesus. Dear Synod Fathers, we have walked together. Thank you for the path we have shared with our eyes fixed on Jesus and our brothers and sisters, in the search for the paths which the Gospel indicates for our times so that we can proclaim the mystery of family love. Let us follow the path that the Lord desires. Let us ask him to turn to us with his healing and saving gaze, which knows how to radiate light, as it recalls the splendour which illuminates it. Never allowing ourselves to be tarnished by pessimism or sin, let us seek and look upon the glory of God, which shines forth in men and women who are fully alive.

[01827-EN.02] [Original text: Italian]

Traduzione in lingua tedesca

Alle drei Lesungen dieses Sonntags zeigen uns das Mitleid Gottes, seine Väterlichkeit, die sich endgültig in Jesus offenbart.

Der Prophet Jeremia verkündet mitten im nationalen Unheil, als das Volk von den Feinden deportiert worden ist: »Der Herr hat sein Volk gerettet, den Rest Israels« (31,7). Und warum hat er das getan? Weil er Vater ist (vgl. V. 9), und als Vater kümmert er sich um seine Kinder, begleitet sie auf ihrem Weg, unterstützt »Blinde und Lahme, Schwangere und Wöchnerinnen« (31,8). Seine Väterlichkeit öffnet ihnen einen gangbaren Weg, einen Weg des Trostes nach so vielen Tränen und so viel Bitterkeit. Wenn das Volk treu bleibt, wenn es auch in einem fremden Land beharrlich weiter nach Gott sucht, wird Gott seine Gefangenschaft in Freiheit und seine Einsamkeit in Gemeinschaft verwandeln: Was das Volk heute unter Tränen sät, wird es morgen in Freude ernten (vgl. Ps 126,6).

Mit dem Psalm haben auch wir die Freude kundgetan, die eine Frucht des Heils des Herrn ist: »Da war unser Mund voll Lachen und unsere Zunge voll Jubel« (V. 2). Der Gläubige ist ein Mensch, der das Heilshandeln Gottes in seinem eigenen Leben erfahren hat. Und wir Hirten haben erfahren, was es heißt, unter Mühen, manchmal mit Tränen zu säen und sich über die Gnade einer Ernte zu freuen, die immer über unsere Kräfte und unsere Fähigkeiten hinausgeht.

Der Abschnitt aus dem Hebräerbrief hat uns das Mitgefühl Jesu vor Augen geführt. Auch er hat sich »der Schwachheit unterworfen« (5,2), um für die Unwissenden und Irrenden Verständnis aufzubringen. Jesus ist der erhabene, heilige, unschuldige Hohepriester, aber zugleich ist er der Hohepriester, der mitfühlen kann mit unserer Schwäche und der in allem wie wir in Versuchung geführt worden ist, aber nicht gesündigt hat. (vgl. 4,15). Darum ist er der Mittler des neuen und ewigen Bundes, der uns das Heil schenkt.

Das heutige Evangelium verbindet sich direkt mit der ersten Lesung: Wie das Volk Israel dank der Väterlichkeit Gottes befreit wurde, so wurde Bartimäus dank Jesu Mitleid befreit. Jesus hat gerade Jericho verlassen. Obwohl er seinen wichtigsten Weg, den nach Jerusalem, eben erst begonnen hat, bleibt er noch einmal stehen, um auf den Ruf des Bartimäus zu antworten. Er lässt sich von dessen Bitte innerlich anrühren, lässt sich gleichsam in seine Situation hineinziehen. Er begnügt sich nicht damit, ihm ein Almosen zu geben, sondern will ihm persönlich begegnen. Er gibt ihm weder Anweisungen, noch Antworten, sondern stellt eine Frage: »Was soll ich dir tun?« (Mk 10,51). Das könnte wie eine nutzlose Frage erscheinen: Was sollte ein Blinder anderes ersehnen als das Augenlicht? Und doch zeigt Jesus mit dieser direkten, aber respektvollen Frage von Mensch zu Mensch, dass er unsere Bedürfnisse anhören will. Er wünscht sich mit jedem von uns ein Gespräch, das um das Leben, um reale Situationen geht und vor Gott nichts ausschließt. Nach der Heilung sagt der Herr zu jenem Mann: »Dein Glaube hat dir geholfen« (V. 52). Es ist schön zu sehen, wie Christus den Glauben des Bartimäus bewundert und ihm „vertraut“. Jesus glaubt an uns – mehr als wir selbst an uns glauben.

Es gibt hier noch ein interessantes Detail. Jesus befiehlt seinen Jüngern, zu gehen und Bartimäus herbeizurufen. Sie wenden sich an den Blinden mit zwei Aufforderungen, die im übrigen Evangelium nur von Jesus gebraucht werden. Als Erstes sagen sie zu ihm: »Hab nur Mut!« – ein Ausdruck, der wörtlich bedeutet: „Hab Vertrauen, fass dir ein Herz!“ Tatsächlich gibt nur die Begegnung mit Jesus dem Menschen die Kraft, die schwersten Situationen anzugehen. Das zweite Wort ist: „Steh auf“! – wie Jesus zu so vielen Kranken gesagt hatte, wenn er sie an die Hand nahm und heilte. Die Seinen tun nichts anderes, als die ermutigenden und befreienden Worte Jesu zu wiederholen, und führen so direkt zu ihm, ohne Predigten. Dazu sind die Jünger Jesu auch heute berufen, besonders heute: den Menschen mit der mitfühlenden, rettenden Barmherzigkeit in Kontakt zu bringen. Wenn der Schrei der Menschheit – wie im Fall von Bartimäus – noch lauter wird, gibt es keine andere Antwort, als uns die Worte Jesu zu Eigen zu machen und vor allem sein Herz nachzuahmen. Die Situationen von Elend und Konflikt sind für Gott Gelegenheiten zur Barmherzigkeit. Heute ist die Zeit der Barmherzigkeit!

Es gibt aber einige Versuchungen für die, welche Jesus folgen. Das heutige Evangelium stellt wenigstens zwei von ihnen heraus. Keiner der Jünger bleibt stehen wie Jesus. Sie setzen ihren Weg fort, gehen weiter, als ob nichts gewesen wäre. Wenn Bartimäus blind ist – sie sind taub: Sein Problem ist nicht ihr Problem. Das kann eine Gefahr für uns sein: angesichts der ständigen Probleme lieber weiterzugehen, ohne uns stören zu lassen. Auf diese Weise sind wir wie die Jünger mit Jesus zusammen, denken aber nicht wie Jesus. Man ist in seiner Gruppe, verliert aber die Offenheit des Herzens; das Staunen, die Dankbarkeit und die Begeisterung gehen verloren, und man läuft Gefahr, ein „Gewohnheitsmensch der Gnade“ zu werden. Wir können über ihn sprechen und für ihn arbeiten, aber weit entfernt von seinem Herzen leben, das sich zu denen ausstreckt, die verletzt sind. Das ist die Versuchung: eine „Spiritualität der Vorspiegelung“: Wir können die Wüsten der Menschheit durchqueren und nicht sehen, was wirklich los ist, sondern nur das, was wir sehen möchten; wir sind fähig, Weltanschauungen zu konstruieren, akzeptieren aber nicht, was der Herr uns vor Augen führt. Ein Glaube, der sich nicht im Leben der Menschen zu verwurzeln weiß, bleibt trocken, und anstatt Oasen zu schaffen, verursacht er weitere Wüsten.

Es gibt noch eine zweite Versuchung, und zwar die, in einen „Planungs-Glauben“ zu verfallen. Wir können mit dem Volk Gottes vorangehen, haben aber schon unseren Zeitplan, in den alles gut eingeordnet ist: Wir wissen, wohin es gehen soll und wieviel Zeit dafür nötig ist; alle müssen unsere Rhythmen einhalten, und jeder Zwischenfall stört uns. Wir laufen Gefahr, zu werden wie die „vielen“ aus dem Evangelium, die die Geduld verlieren und Bartimäus Vorwürfe machen. Kurz zuvor hatten sie die Kinder getadelt (vgl. Mk 10,13) und jetzt den blinden Bettler: Wer lästig wird oder nicht ebenbürtig ist, muss ausgeschlossen werden. Jesus will dagegen einschließen, vor allem die, welche ausgegrenzt sind und zu ihm schreien. Diese haben Glauben – wie Bartimäus –, denn zu wissen, dass man der Rettung bedarf, ist der beste Weg, um Jesus zu begegnen.

Und am Ende folgt Bartimäus Jesus auf seinem Weg (vgl. V. 52). Er erhält nicht nur das Augenlicht zurück, sondern schließt sich der Gemeinschaft derer an, die mit Jesus gehen. Liebe Synodenbrüder, wir sind gemeinsam vorangegangen. Ich danke euch für den Weg, den wir miteinander geteilt haben im Blick auf den Herrn und auf die Mitmenschen, auf der Suche nach den Wegen, die das Evangelium unserer Zeit weist, um das Geheimnis der Liebe zu verkünden, das die Familie betrifft. Gehen wir weiter auf dem Weg, den der Herr wünscht. Erbitten wir von ihm einen geheilten und erlösten Blick, der Licht zu verbreiten weiß, weil er sich an den Lichtglanz erinnert, der ihn erleuchtet hat. Ohne uns je vom Pessimismus und von der Sünde verdunkeln zu lassen, wollen wir die Herrlichkeit Gottes suchen und sehen, die im lebendigen Menschen aufscheint.

[01827-DE.02] [Originalsprache: Italienisch]

Traduzione in lingua spagnola

Las tres lecturas de este domingo nos presentan la compasión de Dios, su paternidad, que se revela definitivamente en Jesús.

El profeta Jeremías, en pleno desastre nacional, mientras el pueblo estaba deportado por los enemigos, anuncia que «el Señor ha salvado a su pueblo, ha salvado al resto de Israel» (31,7). Y ¿por qué lo hizo? Porque él es Padre (cf. v. 9); y como el Padre cuida de sus hijos, los acompaña en el camino, sostiene a los «ciegos y cojos, lo mismo preñadas que paridas» (31,8). Su paternidad les abre una vía accesible, una forma de consolación después de tantas lágrimas y tantas amarguras. Si el pueblo permanece fiel, si persevera en buscar a Dios incluso en una tierra extranjera, Dios cambiará su cautiverio en libertad, su soledad en comunión: lo que hoy siembra el pueblo con lágrimas, mañana lo cosechará con la alegría (cf. Sal 125,6 ).

Con el Salmo, también nosotros hemos expresado la alegría, que es fruto de la salvación del Señor: «La boca se nos llenaba de risas, la lengua de cantares» (v. 2). El creyente es una persona que ha experimentado la acción salvífica de Dios en la propia vida. Y nosotros, los pastores, hemos experimentado lo que significa sembrar con fatiga, a veces llorando, y alegrarnos por la gracia de una cosecha que siempre va más allá de nuestras fuerzas y de nuestras capacidades.

El pasaje de la Carta a los Hebreos nos ha presentado la compasión de Jesús. También él «está envuelto en debilidades» (5,2), para sentir compasión por quienes yacen en la ignorancia y en el error. Jesús es el Sumo Sacerdote grande, santo, inocente, pero al mismo tiempo es el Sumo Sacerdote que ha compartido nuestras debilidades y ha sido puesto a prueba en todo como nosotros, menos en el pecado (cf. 4,15). Por eso es el mediador de la nueva y definitiva alianza que nos da salvación.

El Evangelio de hoy nos remite directamente a la primera Lectura: así como el pueblo de Israel fue liberado gracias a la paternidad de Dios, también Bartimeo fue liberado gracias a la compasión de Jesús que acababa de salir de Jericó. A pesar de que apenas había emprendido el camino más importante, el que va hacia Jerusalén, se detiene para responder al grito de Bartimeo. Se deja interpelar por su petición, se deja implicar en su situación. No se contenta con darle limosna, sino que quiere encontrarlo personalmente. No le da indicaciones ni respuestas, pero hace una pregunta: «¿Qué quieres que haga por ti»? (Mc 10,51). Podría parecer una petición inútil: ¿Qué puede desear un ciego si no es la vista? Sin embargo, con esta pregunta, hecha «de tú a tú», directa pero respetuosa, Jesús muestra que desea escuchar nuestras necesidades. Quiere un coloquio con cada uno de nosotros sobre la vida, las situaciones reales, que no excluya nada ante Dios. Después de la curación, el Señor dice a aquel hombre: «Tu fe te ha salvado» (v. 52). Es hermoso ver cómo Cristo admira la fe de Bartimeo, confiando en él. Él cree en nosotros más de lo que nosotros creemos en nosotros mismos.

Hay un detalle interesante. Jesús pide a sus discípulos que vayan y llamen a Bartimeo. Ellos se dirigen al ciego con dos expresiones, que sólo Jesús utiliza en el resto del Evangelio. Primero le dicen: «¡Ánimo!», una palabra que literalmente significa «ten confianza, anímate». En efecto, sólo el encuentro con Jesús da al hombre la fuerza para afrontar las situaciones más graves. La segunda expresión es «¡levántate!», como Jesús había dicho a tantos enfermos, llevándolos de la mano y curándolos. Los suyos no hacen más que repetir las palabras de alentadoras y liberadoras de Jesús, guiando hacia él directamente, sin sermones. Los discípulos de Jesús están llamados a esto, también hoy, especialmente hoy: a poner al hombre en contacto con la misericordia compasiva que salva. Cuando el grito de la humanidad, como el de Bartimeo, se repite aún más fuerte, no hay otra respuesta que hacer nuestras las palabras de Jesús y sobre todo imitar su corazón. Las situaciones de miseria y de conflicto son para Dios ocasiones de misericordia. Hoy es tiempo de misericordia.

Pero hay algunas tentaciones para los que siguen a Jesús. El Evangelio de hoy destaca al menos dos. Ninguno de los discípulos se para, como hace Jesús. Siguen caminando, pasan de largo como si nada hubiera sucedido. Si Bartimeo era ciego, ellos son sordos: aquel problema no es problema suyo. Este puede ser nuestro riesgo: ante continuos apuros, es mejor seguir adelante, sin preocuparse. De esta manera, estamos con Jesús como aquellos discípulos, pero no pensamos como Jesús. Se está en su grupo, pero se pierde la apertura del corazón, se pierde la maravilla, la gratitud y el entusiasmo, y se corre el peligro de convertirse en «habituales de la gracia». Podemos hablar de él y trabajar para él, pero vivir lejos de su corazón, que está orientado a quien está herido. Esta es la tentación: una «espiritualidad del espejismo». Podemos caminar a través de los desiertos de la humanidad sin ver lo que realmente hay, sino lo que a nosotros nos gustaría ver; somos capaces de construir visiones del mundo, pero no aceptamos lo que el Señor pone delante de nuestros ojos. Una fe que no sabe radicarse en la vida de la gente permanece árida y, en lugar oasis, crea otros desiertos.

Hay una segunda tentación, la de caer en una «fe de mapa». Podemos caminar con el pueblo de Dios, pero tenemos nuestra hoja de ruta, donde entra todo: sabemos dónde ir y cuánto tiempo se tarda; todos deben respetar nuestro ritmo y cualquier inconveniente nos molesta. Corremos el riesgo de hacernos como aquellos «muchos» del Evangelio, que pierden la paciencia y reprochan a Bartimeo. Poco antes habían reprendido a los niños (cf. 10,13), ahora al mendigo ciego: quien molesta o no tiene categoría, ha de ser excluido. Jesús, por el contrario, quiere incluir, especialmente a quienes están relegados al margen y le gritan. Estos, como Bartimeo, tienen fe, porque saberse necesitados de salvación es el mejor modo para encontrar a Jesús.

Y, al final, Bartimeo se puso a seguir a Jesús en el camino (cf. v. 52). No sólo recupera la vista, sino que se une a la comunidad de los que caminan con Jesús. Queridos hermanos sinodales, hemos caminado juntos. Les doy las gracias por el camino que hemos compartido con la mirada puesta en el Señor y en los hermanos, en busca de las sendas que el Evangelio indica a nuestro tiempo para anunciar el misterio de amor de la familia. Sigamos por el camino que el Señor desea. Pidámosle a él una mirada sana y salvada, que sabe difundir luz porque recuerda el esplendor que la ha iluminado. Sin dejarnos ofuscar nunca por el pesimismo y por el pecado, busquemos y veamos la gloria de Dios que resplandece en el hombre viviente.

[01827-ES.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua portoghese

As três leituras deste domingo apresentam-nos a compaixão de Deus, a sua paternidade, que se revela definitivamente em Jesus.

O profeta Jeremias, em pleno desastre nacional, enquanto o povo é deportado pelos inimigos, anuncia que «o Senhor salvou o seu povo, o resto de Israel» (31, 7). E por que o fez? Porque Ele é Pai (cf. 31, 9); e, como Pai, cuida dos seus filhos, acompanha-os ao longo do caminho, sustenta «o cego e o coxo, a mulher grávida e a que deu à luz» (31, 8). A sua paternidade abre-lhes um caminho desimpedido, um caminho de consolação depois de tantas lágrimas e tantas amarguras. Se o povo permanecer fiel, se perseverar na busca de Deus mesmo em terra estrangeira, Deus mudará o seu cativeiro em liberdade, a sua solidão em comunhão: e aquilo que o povo semeia hoje em lágrimas, recolhê-lo-á amanhã com alegria (cf. Sal 125, 6).

Com o Salmo, também nós manifestámos a alegria que é fruto da salvação do Senhor: «A nossa boca encheu-se de sorrisos e a nossa língua de canções» (125, 2). O crente é uma pessoa que experimentou na sua vida a acção salvífica de Deus. E nós, pastores, experimentamos o que significa semear com fadiga, por vezes em lágrimas, e alegrar-se pela graça duma colheita que sempre ultrapassa as nossas forças e as nossas capacidades.

O trecho da Carta aos Hebreus apresentou-nos a compaixão de Jesus. Também Ele «Se revestiu de fraqueza» (cf. 5, 2), para sentir compaixão por aqueles que estão na ignorância e no erro. Jesus é o Sumo Sacerdote grande, santo, inocente, mas ao mesmo tempo é o Sumo Sacerdote que tomou parte nas nossas fraquezas e foi provado em tudo como nós, excepto no pecado (cf. 4, 15). Por isso, é o mediador da nova e definitiva aliança, que nos dá a salvação.

O Evangelho de hoje liga-se directamente à primeira Leitura: como o povo de Israel foi libertado graças à paternidade de Deus, assim Bartimeu foi libertado graças à compaixão de Jesus. Jesus acaba de sair de Jericó. Mas Ele, apesar de ter apenas iniciado o caminho mais importante, o caminho para Jerusalém, detém-Se ainda para responder ao grito de Bartimeu. Deixa-Se comover pelo seu pedido, interessa-Se pela sua situação. Não Se contenta em dar-lhe uma esmola, mas quer encontrá-lo pessoalmente. Não lhe dá instruções nem respostas, mas faz uma pergunta: «Que queres que te faça?» (Mc 10, 51). Poderia parecer uma pergunta inútil: que poderia um cego desejar senão a vista? E todavia, com esta pergunta feita «face a face», directa mas respeitosa, Jesus manifesta que quer escutar as nossas necessidades. Deseja um diálogo com cada um de nós, feito de vida, de situações reais, que nada exclua diante de Deus. Depois da cura, o Senhor diz àquele homem: «A tua fé te salvou» (10, 52). É belo ver como Cristo admira a fé de Bartimeu, confiando nele. Ele acredita em nós, mais de quanto acreditamos nós em nós mesmos.

Há um detalhe interessante. Jesus pede aos seus discípulos que vão chamar Bartimeu. Estes dirigem-se ao cego usando duas palavras, que só Jesus utiliza no resto do Evangelho. Primeiro, dizem-lhe «coragem!», uma palavra que significa, literalmente, «tem confiança, faz-te ânimo!» É que só o encontro com Jesus dá ao homem a força para enfrentar as situações mais graves. A segunda palavra é «levanta-te!», como Jesus dissera a tantos doentes, tomando-os pela mão e curando-os. Os seus limitam-se a repetir as palavras encorajadoras e libertadoras de Jesus, conduzindo directamente a Ele sem fazer sermões. A isto são chamados os discípulos de Jesus, também hoje, especialmente hoje: pôr o homem em contacto com a Misericórdia compassiva que salva. Quando o grito da humanidade se torna, como o de Bartimeu, ainda mais forte, não há outra resposta senão adoptar as palavras de Jesus e, sobretudo, imitar o seu coração. As situações de miséria e de conflitos são para Deus ocasiões de misericórdia. Hoje é tempo de misericórdia!

Mas há algumas tentações para quem segue Jesus. O Evangelho de hoje põe em evidência pelo menos duas. Nenhum dos discípulos pára, como faz Jesus. Continuam a caminhar, avançam como se nada fosse. Se Bartimeu é cego, eles são surdos: o seu problema não é problema deles. Pode ser o nosso risco: face aos contínuos problemas, o melhor é continuar para diante, sem se deixar perturbar. Desta maneira, como aqueles discípulos, estamos com Jesus, mas não pensamos como Jesus. Está-se no seu grupo, mas perde-se a abertura do coração, perdem-se a admiração, a gratidão e o entusiasmo e corre-se o risco de tornar-se «consuetudinários da graça». Podemos falar d’Ele e trabalhar para Ele, mas viver longe do seu coração, que Se inclina para quem está ferido. Esta é a tentação duma «espiritualidade da miragem»: podemos caminhar através dos desertos da humanidade não vendo aquilo que realmente existe, mas o que nós gostaríamos de ver; somos capazes de construir visões do mundo, mas não aceitamos aquilo que o Senhor nos coloca diante de olhos. Uma fé que não sabe radicar-se na vida das pessoas, permanece árida e, em vez de oásis, cria outros desertos.

Há uma segunda tentação: cair numa «fé de tabela». Podemos caminhar com o povo de Deus, mas temos já a nossa tabela de marcha, onde tudo está previsto: sabemos aonde ir e quanto tempo gastar; todos devem respeitar os nossos ritmos e qualquer inconveniente perturba-nos. Corremos o risco de nos tornarmos como «muitos» do Evangelho que perdem a paciência e repreendem Bartimeu. Pouco antes repreenderam as crianças (cf. 10, 13), agora o mendigo cego: quem incomoda ou não está à altura há que excluí-lo. Jesus, pelo contrário, quer incluir, sobretudo quem está relegado para a margem e grita por Ele. Estes, como Bartimeu, têm fé, porque saber-se necessitado de salvação é a melhor maneira para encontrar Jesus.

E, no fim, Bartimeu põe-se a seguir Jesus ao longo da estrada (cf. 10, 52). Não só recupera a vista, mas une-se à comunidade daqueles que caminham com Jesus. Queridos Irmãos sinodais, nós caminhámos juntos. Agradeço-vos pela estrada que compartilhámos tendo o olhar fixo no Senhor e nos irmãos, à procura das sendas que o Evangelho indica, no nosso tempo, para anunciar o mistério de amor da família. Continuemos pelo caminho que o Senhor deseja. Peçamos-Lhe um olhar são e salvo, que saiba irradiar luz, porque recorda o esplendor que o iluminou. Sem nos deixarmos jamais ofuscar pelo pessimismo e pelo pecado, procuremos e vejamos a glória de Deus que resplandece no homem vivo.

[01827-PO.02] [Texto original: Italiano]

[B0818-XX.02]