Dopo la Relazione del Segretario generale Card. Lorenzo Baldisseri, la prima Congregazione generale della XIV Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi, sul tema: La vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo (4 - 25 ottobre 2015) è proseguita questa mattina nell’Aula del Sinodo, alla presenza del Santo Padre Francesco, con la presentazione della Relazione introduttiva da parte del Relatore generale, Cardinale Péter Erdő, Arcivescovo di Esztergom-Budapest.
Ne pubblichiamo di seguito il testo:
Relazione introduttiva del Relatore generale, Card. Péter Erdő
INTRODUZIONE
I. L’ASCOLTO DELLE SFIDE SULLA FAMIGLIA
I.1 Contesto socio-culturale
I.2 Cambiamento antropologico: fuga dalle istituzioni
I.3 Instabilità istituzionale
I.4 Individualismo e soggettivismo
I.5 Aspetti biologici e culturali
II. IL DISCERNIMENTO DELLA VOCAZIONE FAMILIARE
II.1 Famiglia e pedagogia divina
II.2 Gesù e la famiglia: l’indissolubilità dono e compito
II.3 La famiglia immagine della Trinità
II.4 La famiglia nel Magistero della Chiesa
II.5 La dimensione missionaria della Famiglia
II.6 L’indissolubilità del matrimonio e la gioia del vivere insieme
II.7 Il progetto del Creatore ed il matrimonio naturale
II.8 Misericordia verso le famiglie ferite: missione della Chiesa
II.9 Misericordia e verità rivelata
III. LA MISSIONE DELLA FAMIGLIA OGGI
III.1 Famiglia ed evangelizzazione
III.2 Famiglia, formazione ed istituzioni pubbliche
III.3 Famiglia, accompagnamento ed integrazione ecclesiale
III.4 Famiglia, generatività, educazione
III.5 La responsabilità generativa
III.6 La vita umana mistero intangibile
III.7 La sfida dell’educazione e il ruolo della famiglia nell’evangelizzazione
CONCLUSIONE
INTRODUZIONE
Beatissimo Padre
Eminentissimi ed Eccellentissimi Padri Sinodali
Cari fratelli e sorelle
Gesù Cristo nostro maestro e nostro Signore è il Buon Pastore. Egli, secondo l’evangelista Marco, vide una grande folla, ebbe compassione: «…e si mise a insegnare loro molte cose» (Mc 6, 34). Al riguardo Papa Francesco indicava il metodo ed il programma che in un certo qual modo dovremmo anche noi seguire nei nostri lavori: «…vedere, avere compassione, insegnare. Li possiamo chiamare i verbi del Pastore. […] Il primo e il secondo, vedere e avere compassione, sono sempre associati nell’atteggiamento di Gesù: infatti il suo sguardo non è lo sguardo di un sociologo o di un fotoreporter, perché egli guarda sempre con ‘gli occhi del cuore’. […] E da questa compassione nasce il desiderio di Gesù di nutrire la folla con il pane della sua Parola, cioè di insegnare la Parola di Dio alla gente. Gesù vede, Gesù ha compassione, Gesù ci insegna» (Papa Francesco, Angelus del 19-VII-2015). A questa visione corrispondono le tre grandi tematiche dell’IL, frutto di un cammino collegiale intenso. Senza poter menzionare in questa relazione introduttiva tutti i temi importanti che sono emersi nella discussione e nei documenti dell’ultimo Sinodo e successivamente, cerchiamo di seguire in modo particolare solo le tematiche principali.
I. L’ASCOLTO DELLE SFIDE SULLA FAMIGLIA
I.1 Contesto socio-culturale
In questa prima parte l’IL parla di un ascolto che altro non è che un “vedere”, un prendere atto delle attuali sfide che riguardano la famiglia. Sembra che ci siano nel mondo, nelle circostanze esterne, e nelle riflessioni o nella mentalità della gente, almeno due grandi tipi di problematiche. La prima tradizionale, quasi quella di sempre, che assume però nel nostro mondo globalizzato delle nuove dimensioni e delle nuove impensate conseguenze. Si tratta degli effetti dei cambiamenti climatici ed ambientali e di quelli dell’ingiustizia sociale, di violenze, di guerre, che spingono milioni di persone a lasciare la loro terra d’origine e di cercare di sopravvivere in altre parti del mondo. Se guardiamo, per esempio, le migliaia d’immigranti e profughi che arrivano ogni giorno in Europa, vediamo subito che la grande maggioranza è composta da uomini piuttosto giovani, anche se arrivano con loro, a volte, donne e bambini. Già da questo quadro risulta evidente che il movimento migratorio sta disgregando le famiglie o è una difficoltà per la loro formazione. In molte parti del mondo giovani genitori lasciano a casa i loro i figli e cercano lavoro all’estero.
In non poche parti del mondo c’è gente che lavora per un salario così basso che appena gli permette di sopravvivere per poter continuare a lavorare, ma che non rende pensabile la creazione di una famiglia. In tale contesto non si può dimenticare che alcune imprese commerciali hanno pure la loro responsabilità in questa situazione.
Accade pure che per assicurare la così detta mobilità della “forza di lavoro”, intere famiglie devono spesso trasferirsi in altre città o regioni, lacerando sempre di nuovo l’assetto umano e sociale di parenti, amici e vicini, compagni di scuola o di lavoro. Così tutta questa grande mobilità sembra esser uno dei fattori che spingono le persone verso atteggiamenti e tendenze individualistiche.
La così detta industrializzazione iniziata nel XIX sec., arriva oggi in tutte le parti del mondo. La forma tipica del lavoro diventa quella dipendente. L’impiegato, l’operaio lavora fuori dal suo contesto familiare e viene pagato per quello che fa fuori dalla famiglia, mentre i lavori preziosissimi che si fanno nella comunità familiare, come l’educazione dei figli, l’assistenza dei malati ed anziani a casa, vengono raramente riconosciuti ed aiutati dalla società. Come ricorda Papa Francesco: «Sperimentiamo le lacune di una società programmata sull’efficienza, che conseguentemente ignora gli anziani. E gli anziani sono una ricchezza, non si possono ignorare (Udienza generale, 4 marzo 2015)» (IL 17).
I.2 Cambiamento antropologico: fuga dalle istituzioni
Nelle regioni più benestanti del mondo, si riscontra un altro fenomeno elementare, non indipendente da questo primo, e presente anche in altre parti del mondo, cioè il così detto «cambiamento antropologico» che corre il rischio di risolversi in un «riduzionismo antropologico» (Papa Francesco, Parole del Santo Padre al termine del pranzo con i partecipanti al Seminario Internazionale sulla proposta del Papa Francesco nella Es. Ap. Evangelii gaudium “per una economia sempre più inclusiva”, Casina Pio IV, 12 luglio, 2014). La persona alla ricerca della propria libertà, cerca infatti spesso di essere indipendente da ogni legame, a volte anche dalla religione, che costituisce un legame con Dio, dai legami sociali, specialmente da quelli che sono connessi con le forme istituzionali della vita. La vita della società, infatti, soprattutto di quelle chiamate sviluppate, rischia di essere quasi soffocata dal formalismo burocratico. Fenomeno che non discende necessariamente solo dalla complessità della struttura economica e sociale ovvero dalla complessità delle conquiste scientifiche, ma sembra avere anche un’altra fonte. Ciò sarebbe un cambiamento di atteggiamento. Se non abbiamo fiducia di poter conoscere le verità oggettive ed i valori oggettivi che si basano sulla realtà, allora rischiamo di cercare orientamenti per il nostro comportamento sociale in base a dei criteri solamente formali, come una maggioranza numerica, che prescinde dal contenuto, o una formalità di procedimento, presso vari organismi, come unica giustificazione di una scelta. Tale fenomeno può spingere i legislatori a moltiplicare le norme giuridiche, a far crescere il controllo anche informatico, per paura che altrimenti non ci sarà un’osservanza volontaria delle leggi che può discendere solo da una convinzione morale, da una comune conoscenza oggettiva della realtà. Da questo quadro di un’alienazione notevole, si spiega la fuga istintiva di molta gente dalle forme istituzionali. Così sembra che si possa spiegare la crescita del numero delle coppie che vivono insieme stabilmente, ma non vogliono contrarre nessun tipo di matrimonio né religioso né civile. In certi Paesi l’alta percentuale di questo tipo di scelta dimostra una correlazione con l’alta percentuale di quelli che non vogliono seppellire i loro parenti in nessuna forma ufficiale. Dove la legge lo permette preferiscono portarsi a casa le ceneri dei loro cari ovvero spargerle senza alcuna formalità. Qui risulta chiaro che la fuga elementare dalle istituzioni colpisce anche alcune forme della vita che hanno di per sé un aspetto comunitario ed istituzionale. Matrimonio e famiglia non sono per individui isolati, ma trasmettono dei valori, offrono una possibilità di sviluppo alla persona umana, che non risulta sostituibile.
In tutta la crisi delle istituzioni e delle forme istituzionali dei rapporti umani, e quindi non solo nel campo del matrimonio e della famiglia, ma lì in modo speciale, si manifesta la tensione interna della persona umana ed il problema di che cosa sia l’essere umano. Già la stessa espressione linguistica, il parlare comporta un elemento istituzionale nella comunicazione. Usando parole con contenuto preciso arriviamo più facilmente all’astrazione ed al ragionamento logico, così si esonera la singola persona dal peso di creare sempre nuovi modi di comunicazione. Seguendo usanze e forme istituzionali della società troviamo più facilmente e più sicuramente le risposte ed i comportamenti appropriati in tante situazioni della vita. Le istituzioni, in generale, sembrano dei “pesi” che invece però facilitano, alleggeriscono le relazioni intersoggettive. Anche le norme non scritte del comportamento sociale hanno una simile funzione. Si può comunicare l’ideale di un comportamento giusto attraverso l’esempio, una storia raccontata o rappresentata in un filmato, ma si può esprimerla in una norma concepita verbalmente, in una legge. Gesù Cristo è stato il comunicatore più grande, la Parola viva di Dio, che ha saputo raccontare delle parabole e dire alla fine “vai e fai ugualmente”, ma ha saputo pure parlare da Legislatore.
I cambiamenti antropologici attuali toccano gli strati più profondi dell’essere umano. È diventata moda di progettare fino ai minimi dettagli le nozze, prevedendo tutto, dalla musica, al menù, fino alle tovaglie per le tavole. Si vedono i giovani nubendi completamente presi dall’ansia per la preoccupazione di realizzare nel migliore dei modi questi dettagli, ma che allo stesso tempo trascurano il vero significato del matrimonio.
In questo “campo magnetico” della necessità e dell’appariscente irraggiungibilità di tante forme istituzionali, si colloca il problema della legge così come quello del matrimonio e della famiglia. Di fronte a questa situazione attuale e veramente nuova, sembra proprio provvidenziale che si può dedicare la presente assise sinodale a questo tema. Cerchiamo quindi di affrontare i compiti di questo Sinodo come indica Papa Francesco: «… nel duplice ascolto dei segni di Dio e della storia degli uomini e nella duplice e unica fedeltà che ne consegue» (IL 3).
I.3 Instabilità istituzionale
Oltre la fuga dalle istituzioni si riscontra anche la crescente instabilità istituzionale che si manifesta anche nell’alta percentuale dei divorzi. L’innalzamento dell’età in cui ci si sposa, ossia la paura dei giovani di assumersi delle responsabilità e degli impegni definitivi, come il matrimonio e la famiglia, s’inseriscono in questo contesto. Anzi, se l’obiettivo unico è quello di sentirsi bene sul momento, allora né il passato e né il futuro sembrano importanti, anzi appare una certa paura generale del futuro in quanto forse non ci sentiremo più così bene. Per questo sembra pericolosa anche una scelta definitiva sia professionale che familiare. Così accade che molti non sentono neanche la propria responsabilità, né per i loro simili nel presente e né per il futuro.
I.4 Individualismo e soggettivismo
Per questo, come ha ribadito Papa Francesco nel suo discorso a Strasburgo: «Vi è infatti oggi la tendenza verso una rivendicazione sempre più ampia di diritti individuali - sono tentato di dire individualistici -, che cela una concezione di persona umana staccata da ogni contesto sociale e antropologico, quasi come una “monade” (μονάς), sempre piùinsensibile alle altre “monadi” intorno a sé. Al concetto di diritto non sembra più associato quello altrettanto essenziale e complementare di dovere, così che si finisce per affermare i diritti del singolo senza tenere conto che ogni essere umano è legato a un contesto sociale, in cui i suoi diritti e doveri sono connessi a quelli degli altri e al bene comune della società stessa».
«Ritengo perciò [continua il Pontefice] che sia quanto mai vitale approfondire oggi una cultura dei diritti umani che possa sapientemente legare la dimensione individuale, o, meglio, personale, a quella del bene comune, a quel “noi-tutti” formato da individui, famiglie e gruppi intermedi che si uniscono in comunità sociale (cfr. Benedetto XVI, Caritas in veritate, 7; Conc. Ecum. Vat. II, Cost. Gaudium et spes, 26)» (Papa Francesco, Discorso al Parlamento Europeo, Strasburgo, 25-XI-2014).
Quindi, bisogna evitare l’attuale tendenza a far passare quelli che sono semplici desideri, molte volte egoistici, come veri e propri diritti, negando allo stesso tempo la base oggettiva di qualsiasi diritto.
«Un aspetto del tutto importante della responsabilità è il necessario ripensamento dell’orientamento del sistema mondiale attraverso una cultura ecologica […] che includa non solo le dimensioni ambientali ma anche quelle sociali ed economiche per lo sviluppo sostenibile e la cultura del creato» (IL 16). È alla luce del nostro rapporto al Creatore che scopriamo pienamente la nostra responsabilità e vocazione.
Oltre a queste tendenze individualistiche ed anti istituzionali, si osserva pure il fenomeno di confondere o rendere incerti i confini di istituti fondamentali come il matrimonio e la famiglia. Anche questo contribuisce a far crescere l’individualismo che alla fine ne risulta causa ed effetto.
I.5 Aspetti biologici e culturali
Con lo sviluppo delle scienze naturali sono apparse nuove possibilità che riguardano il rapporto tra l’aspetto biologico e quello personale e culturale. La società dei consumi ha separato sessualità e procreazione. Anche questa è una delle cause della denatalità. A volte discende dalla povertà, in altri casi dalle difficoltà di doversi assumere delle responsabilità.
Mentre in Paesi in via di sviluppo si riscontra lo sfruttamento e la violenza esercitati sul corpo delle donne e la fatica imposta loro anche durante la gravidanza, e spesso aborti e sterilizzazioni forzate, nonché conseguenze negative con pratiche legate con la procreazione, (per es. affitto dell’utero e gameti), in altri Paesi il desiderio di avere un figlio ad ogni costo «… non ha portato a relazioni più felici e solide» (IL 30). Tutto sommato la così detta rivoluzione bio-tecnologica ha introdotto nuove possibilità di manipolare l’atto generativo «… rendendolo indipendente dalla relazione tra uomo e donna. In questo modo la vita umana e la genitorialità sono divenute realtà componibili e scomponibili, soggette prevalentemente alle scelte di singoli o di coppie» (IL 34).
Le immaturità e le fragilità affettive rivestono una grande attualità. Prima di tutto si dimentica che queste sono l’effetto di una vera mancanza di educazione effettiva ed affettiva in famiglia, in quanto i genitori non hanno tempo per i figli, ovvero divorziano ed i figli non vedendo l’esempio degli adulti, si confrontano solo con il comportamento dei loro coetanei. Così la maturità affettiva rimane tarpata e non le viene permesso di svilupparsi. Si colloca in questo contesto la pornografia e la commercializzazione del corpo favorita da un uso distorto di internet. Non dimentichiamo, però, che questo può essere letto più come una conseguenza che come la causa dell’attuale situazione. Così la crisi della coppia destabilizza la famiglia ed indebolisce i legami tra le generazioni (cf IL 33).
«Si possono infine ricordare le teorie secondo le quali l’identità personale e l’intimità affettiva devono affermarsi in una dimensione radicalmente svincolata dalla diversità biologica fra maschio e femmina. Nello stesso tempo, però, si vuole riconoscere alla stabilità di una coppia istituita indipendentemente dalla differenza sessuale la stessa titolarità della relazione matrimoniale intrinsecamente legata ai ruoli paterno e materno, definiti a partire dalla biologia della generazione. La confusione consegna all’opzione individualistica lo speciale legame fra differenza, generazione, identità umana. “La rimozione della differenza […però …] è il problema, non la soluzione” (Papa Francesco, Udienza generale, 15 aprile 2015)» (IL 8).
II. IL DISCERNIMENTO DELLA VOCAZIONE FAMILIARE
II.1 Famiglia e pedagogia divina
Lo sguardo di Gesù è quello della misericordia, di quella misericordia che si basa sulla verità. L’insegnamento di Gesù sul matrimonio e la famiglia parte dalla creazione (cf Mt 19, 3). La vita dell’essere umano e dell’umanità s’inserisce in un grande progetto: quello di Dio creatore. Come in tutti gli aspetti della vita, troviamo la nostra pienezza e la nostra felicità se riusciamo ad inserirci liberamente e consapevolmente in questo grandioso progetto pieno di saggezza ed amore. Se cerchiamo la verità circa il matrimonio e la famiglia secondo le nostre capacità naturali migliori, ed ascoltiamo l’insegnamento di Gesù Cristo, ne cogliamo tutta la pienezza e tutta la santità. Così risplendono il matrimonio e la famiglia nella loro bellezza, della quale san Paolo dice già che è il grande mistero in cui si manifesta l’amore di Cristo per la Chiesa (cf Ef 5, 32). Questa bellezza non ha semplicemente il senso di una cosa che piace senza interesse, non ha una valenza meramente estetica, ma si rileva essere un vero e profondo interesse oggettivo dell’esistenza umana, una vera via per la felicità, che nel matrimonio sacramentale risulta mezzo di santificazione e fonte di grazia.
«In realtà [come insegna il Concilio] solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo. […] Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente l’uomo a se stesso e gli manifesta la sua altissima vocazione» (GS 22). Così si deve comprendere in chiave cristocentrica anche le proprietà naturali del matrimonio (cf IL 40).
II.2 Gesù e la famiglia: l’indissolubilità dono e compito
«Gesù stesso, riferendosi al disegno primigenio sulla coppia umana, riafferma l’unione indissolubile tra l’uomo e la donna, pur dicendo che «per la durezza del vostro cuore Mosè vi ha permesso di ripudiare le vostre mogli, ma da principio non fu così» (Mt 19,8). L’indissolubilità del matrimonio («Quello dunque che Dio ha congiunto, l'uomo non lo separi» Mt 19,6), non è innanzitutto da intendere come “giogo” imposto agli uomini bensì come un “dono” fatto alle persone unite in matrimonio. Gesù ha assunto una famiglia, ha dato inizio ai segni nella festa nuziale a Cana, ha annunciato il messaggio concernente il significato del matrimonio come pienezza della rivelazione che recupera il progetto originario di Dio (cf Mt 19,3). Ma nello stesso tempo ha messo in pratica la dottrina insegnata manifestando così il vero significato della misericordia. Ciò appare chiaramente negli incontri con la samaritana (cf. Gv 4,1-30) e con l’adultera (cf. Gv 8,1-11) in cui Gesù, con un atteggiamento di amore verso la persona peccatrice, porta al pentimento e alla conversione (“va’ e non peccare più”), condizione per il perdono» (IL 41).
Questo progetto di Dio sul matrimonio e la famiglia offre una possibilità di pienezza per la vita delle persone interessate anche oggi, malgrado la difficoltà che si riscontra nel mantenere gli impegni per sempre. Le virtù della vita matrimoniale e familiare sono, per esempio: «… rispetto e fiducia vicendevoli, accoglienza e gratitudine reciproche, pazienza e perdono (cf Papa Francesco, Udienza generale, 13 maggio 2015)» (IL 43).
II.3 La famiglia immagine della Trinità
Il matrimonio e la famiglia esprimono in modo speciale che l’essere umano è creato ad immagine e somiglianza di Dio. In questo contesto il Papa Francesco ricorda che: «… non solo l’uomo preso a sé è immagine di Dio, non solo la donna presa a sé è immagine di Dio, ma anche l’uomo e la donna, come coppia, sono immagine di Dio. La differenza tra uomo e donna non è per la contrapposizione, o la subordinazione, ma per la comunione e la generazione, sempre ad immagine e somiglianza di Dio» (Papa Francesco, Udienza generale, 15 aprile 2015). Nel disegno creativo, infatti, è iscritta la complementarietà del carattere unitivo del matrimonio con quello procreativo (cf IL 45).
La famiglia ed il matrimonio sono stati redenti da Cristo (cf Ef 5, 21-32), restaurati ad immagine della Santissima Trinità, mistero dal quale scaturisce ogni vero amore. Questo implica allo stesso tempo che essi sono per i battezzati un dono ed un impegno speciale.
II.4 La famiglia nel Magistero della Chiesa
Il Concilio Vaticano II mette in rilievo l’importanza della promozione della dignità del matrimonio e della famiglia (cf GS 47-52) ribadendo il fatto che il matrimonio è una comunità di vita ed amore (cf GS 48). Il vero amore infatti non si riduce a qualche elemento del rapporto ma implica la mutua donazione di sé (cf GS 49). Così si integrano la dimensione sessuale ed affettiva e l’edificazione quotidiana della vita. Nel disegno del Creatore la coppia umana è già portatrice della benedizione divina. Infatti, nella Genesi leggiamo che: «Dio creò l'uomo a sua immagine; lo creò a immagine di Dio; li creò maschio e femmina. Dio li benedisse; e Dio disse loro: “Siate fecondi e moltiplicatevi…” » (Gen 1, 27-28). Nell’incarnazione, poi, Dio assume l’amore umano lo purifica, lo porta a pienezza, e dona agli sposi con il Suo spirito elargito già nel sacramento del Battesimo, la capacità di realizzarlo in pienezza e mediante una grazia propria edificare il corpo di Cristo e costituire una Chiesa domestica (cf LG 11; IL 47).
II.5 La dimensione missionaria della Famiglia
La dimensione missionaria della famiglia si radica nel sacramento del Battesimo e si realizza all’interno della comunità cristiana. La famiglia cristiana, Chiesa domestica basata sul matrimonio sacramentale tra due cristiani, per sua natura tende a condividere la propria fede donandola anche agli altri. Le famiglie cristiane, infatti, sono chiamate a testimoniare il vangelo sia con la loro vita vissuta secondo il vangelo stesso, sia attraverso un annuncio missionario. I coniugi rinforzano mutuamente la loro fede e la trasmettono ai figli, ma anche i figli, con gli altri membri della famiglia, sono chiamati a condividere la loro fede. Nella famiglia si può fare anche l’esperienza di come i coniugi nel loro mutuo amore, rinforzati dallo spirito di Cristo, vivono la loro chiamata alla santità. Così la famiglia costituisce, come dice san Giovanni Paolo II nella Familiaris consortio, la via della Chiesa (cf FC 13). È in questo quadro che s’inserisce l’insegnamento del beato Paolo VI che mette in luce l’intima relazione tra amore coniugale e generazione della vita (cf Humane vitae). Questa verità sembra avere un’attualità speciale oggi quando esistono molte possibilità tecniche di separare la procreazione dall’amore coniugale. L’amore vissuto nel matrimonio e nella famiglia risulta principio di vita nella società, come ribadisce Benedetto XVI nell’Enciclica Caritas in veritate (n. 44). La famiglia, infatti, è il luogo in cui s’impara l’esperienza del bene comune (cf IL 50). L’insegnamento dei Pontefici approfondisce anche la dimensione spirituale della vita familiare partendo dalla riscoperta della preghiera in famiglia e dell’ascolto in comune della Parola di Dio. Ugualmente fondamentale è la riscoperta del giorno del Signore come segno del profondo radicarsi della famiglia nella realtà ecclesiale. La spiritualità della famiglia deve alimentarsi di forti esperienze di fede, in particolare dalla partecipazione all’eucarestia (cf IL 51; LG 11). Soprattutto nell’Eucarestia domenicale, la famiglia cristiana preannuncia quella famiglia grande e definitiva alla quale siamo chiamati nella vita eterna.
Papa Francesco nell’Enciclica Lumen Fidei parlando del legame tra la famiglia e la fede dice che: «La fede non è un rifugio […] ma la dilatazione della vita. Essa fa scoprire una grande chiamata, la vocazione all’amore, e assicura che quest’amore è affidabile, che vale la pena di consegnarsi ad esso, perché il suo fondamento si trova nella fedeltà di Dio, più forte di ogni nostra fragilità» (LF, 53).
Il dono reciproco costitutivo del matrimonio, si radica per i cristiani nella grazia del Battesimo, che stabilisce l’alleanza fondamentale di ogni persona con Cristo nella Chiesa. I nubendi si promettono dono totale, fedeltà ed apertura alla vita, essi riconoscono come elementi costitutivi del matrimonio i doni che Dio offre loro, prendendo sul serio il loro impegno in Suo nome e di fronte la Chiesa. Nel matrimonio sacramentale Dio consacra l’amore degli sposi e ne conferma l’indissolubilità, offrendo loro l’aiuto per vivere la fedeltà, l’integrazione reciproca e l’apertura alla vita (cf IL 54).
II.6 L’indissolubilità del matrimonio e la gioia del vivere insieme
L’insegnamento di Cristo sull’indissolubilità del matrimonio era molto esigente fino a provocare una certa confusione tra i suoi stessi discepoli (cf Mt 19, 10). I Vangeli e san Paolo confermano ugualmente che il ripudio della moglie, praticato prima tra il popolo d’Israele, non può rendere possibile un nuovo matrimonio per nessuna delle parti. Questa affermazione così insolita e così esigente continua nel corso dei secoli nella tradizione disciplinare della Chiesa, costituendone un elemento fermo fino al punto che tra i popoli convertiti posteriormente al cristianesimo, una delle questioni disciplinari è stata quasi sempre quella della monogamia e dell’indissolubilità del matrimonio (cf Mt 19, 1-10; Mc 10, 1-12; Lc 16, 18; 1 Cor 7, 10-16).
Questo insegnamento di Cristo sul matrimonio è un vero vangelo ed è fonte di gioia in quanto è piena realizzazione della persona umana e della sua vocazione alle relazioni personali gratuite, alla donazione di se stessi per essere accettati pienamente (cf IL 55).
II.7 Il progetto del Creatore ed il matrimonio naturale
La Chiesa, conviene ricordarlo, ha sempre riconosciuto l’esistenza di un vero matrimonio naturale tra due non battezzati. Sin dagli inizi dell’umanità tali alleanze tra un uomo ed una donna che corrispondevano al piano creatore di Dio erano e sono benedette (Gen 1, 27-28). Tra i veri matrimoni, quindi, anche oggi nel mondo ci sono moltissimi naturali, tra non battezzati, ed altri sacramentali contratti tra i battezzati che comportano una grazia speciale (cf IL 57). «La serietà dell’adesione a questo progetto e il coraggio che essa richiede si lasciano apprezzare in modo speciale proprio oggi» (IL 57).
II.8 Misericordia verso le famiglie ferite: missione della Chiesa
In virtù del sacramento del matrimonio la famiglia cristiana diventa un bene per la Chiesa, ma il suo inserimento nel contesto ecclesiale, risulta anche un bene per la famiglia che viene aiutata a livello spirituale e comunitario anche nelle difficoltà ed aiuta a custodire l’unione matrimoniale ed a discernere circa i rispettivi adempimenti o le eventuali mancanze.
L’inserimento organico del matrimonio e della famiglia dei cristiani nella realtà della Chiesa, richiede anche che la comunità ecclesiale presti un’attenzione misericordiosa e realistica ai fedeli che convivono o vivono nel solo matrimonio civile in quanto non si sentono preparati a celebrare il sacramento, viste le difficoltà che una tale scelta può provocare oggi. Se la comunità riesce a dimostrarsi accogliente verso queste persone, nelle varie situazioni della vita, e presentare chiaramente la verità sul matrimonio, essa potrà aiutare questi fedeli ad arrivare ad una decisione per il matrimonio sacramentale.
II.9 Misericordia e verità rivelata
Da questa intima connessione del sacramento del matrimonio con la realtà della Chiesa stessa discende che la comunità ecclesiale ha una sua vocazione ad aiutare anche quelle coppie e famiglie cattoliche che si trovano in crisi. Ha il dovere di farsi carico anche di quanti vivono in convivenze o situazioni matrimoniali e familiari che non possono trasformarsi in matrimonio valido e tanto meno sacramentale. «Consapevoli che la misericordia più grande è dire la verità con amore, andiamo aldilà della compassione. L’amore misericordioso, come attrae e unisce, così trasforma ed eleva. Invita alla conversione (cf. Gv 8,1-11)» (IL 67).
III. LA MISSIONE DELLA FAMIGLIA OGGI
III.1 Famiglia ed evangelizzazione
Tra le conseguenze pratiche ed i compiti che riguardano la missione, alcuni richiedono l’impegno della Chiesa verso le famiglie, altri sono proprie delle famiglie stesse ed altri ancora richiedono l’impegno comune e costruttivo di entrambi.
La preparazione delle nozze, che impegna spesso l’attenzione dei nubendi a livello esteriore ed emozionale, deve essere arricchito mettendo propriamente l’accento sul carattere spirituale ed ecclesiale. Nella preparazione pastorale del matrimonio bisogna approfondire detti aspetti mettendo soprattutto in evidenza le proprietà essenziali del matrimonio a livello naturale e soprannaturale. Risulta estremamente utile la partecipazione gioiosa della comunità cristiana che accoglie la nuova famiglia la quale deve sentirsi membro vivo della famiglia ecclesiale (cf IL 73; 103). Per questo risulta molto utile la partecipazione di famiglie cattoliche impegnate alla preparazione dei nubendi. I nuovi sposi possono conoscere una comunità di veri amici e da questi incontri possono nascere rapporti umani di arricchimento, di appoggio ed aiuto anche nelle situazioni difficili o nei problemi della coppia. Appartenendo ad un tale gruppo, può maturare anche la fede degli sposi, soprattutto se queste comunità di famiglie s’incontrano regolarmente, leggono la S. Scrittura, pregano insieme e coltivano la propria fede alla luce dell’insegnamento della Chiesa, soprattutto attraverso il Catechismo della Chiesa Cattolica. Accanto a tutto questo, e quasi come frutto, si realizza un mutuo aiutarsi nei problemi quotidiani che sono parte della vita di ogni famiglia. La formazione di tali gruppi di famiglie sembra un segno dei tempi. Esse nascono spesso all’interno di nuove comunità o movimenti ecclesiali, ma non di rado anche a livello parrocchiale. Sembra un compito urgente ed affascinate che la formazione di tali comunità venga promossa ed appoggiata in tutte le diocesi.
Spesso risulta utile animare questi gruppi mediante la presenza di un sacerdote o di un operatore pastorale ben preparato (cf IL 75).
Sia a livello di piccole comunità che a livello della pastorale parrocchiale e dei mass media è attuale perciò una «… conversione del linguaggio perché esso risulti effettivamente significativo» (IL 77-78). Ciò costituisce una sfida per i vescovi, per i sacerdoti e per gli altri ministri della Parola e richiede, o può richiedere, nuove forme di catechesi e di testimonianza, in piena fedeltà alla verità rivelataci da Cristo. Se parliamo dal profondo del nostro cuore, se non ci stanchiamo di rendere conto a noi stessi prima di tutto della nostra fede, allora possiamo rivolgerci agli altri con convinzione e coraggio. Se diciamo francamente agli altri ciò che noi crediamo, non dobbiamo aver paura di non essere compresi, in quanto anche noi siamo figli del nostro tempo. Così anche se non tutti accetteranno l’annuncio sarà comprensibile la proposta. Questo viene confermato specialmente dall’esperienza delle missioni nelle grandi città.
Oltre all’annuncio gioioso del Vangelo, e nel suo contesto anche l’annuncio della buona novella sulla famiglia, è necessario anche aiutare quanti vivono in situazioni problematiche e difficili nel discernimento sulla loro condizione di vita alla luce del vangelo. Questo discernimento non deve accontentarsi di criteri soggettivi, come criteri di giustificazione, ma deve collegare la misericordia con la giustizia. Il progetto di Dio sul matrimonio e sulla famiglia è via di felicità per l’essere umano. In questa opera di annuncio i pastori della Chiesa, soprattutto in ambienti dove altre visioni del mondo e religioni sono presenti, devono conoscere anche questi modi di concepire e di attuare il matrimonio e la famiglia per illuminarli con la luce del Vangelo.
III.2 Famiglia, formazione ed istituzioni pubbliche
Sia nella preparazione del clero e degli operatori pastorali, che nella loro formazione permanente, bisogna tener presente il fatto che la loro maturazione affettiva e psicologica è indispensabile per l’accompagnamento pastorale delle famiglie. Gli uffici e le altre strutture diocesane per le famiglie devono collaborare anche a questo riguardo.
«Considerando che la famiglia è “la cellula prima e vitale della società” (AA, 11), essa deve riscoprire la sua vocazione a sostegno del vivere sociale in tutti i suoi aspetti.È indispensabile che le famiglie, attraverso il loro aggregarsi, trovino le modalità per interagire con le istituzioni politiche, economiche e culturali, al fine di edificare una società più giusta» (IL 91). La collaborazione con le istituzioni pubbliche è da desiderare per l’interesse della famiglia. Eppure in molti Paesi e presso molte istituzioni il concetto ufficiale di famiglia «… non coincide con quello cristiano o con il suo senso naturale» (IL 91). Questo modo di pensare influenza la mentalità di non pochi cristiani. Le associazioni familiari ed i movimenti cattolici dovrebbero lavorare in modo congiunto, al fine di far valere le reali istanze della famiglia nella società (cf IL 91).
«I cristiani devono impegnarsi in modo diretto nel contesto socio-politico, partecipando attivamente ai processi decisionali e portando nel dibattito istituzionale le istanze della dottrina sociale della Chiesa. Tale impegno favorirebbe lo sviluppo di programmi adeguati per aiutare i giovani e le famiglie bisognose, a rischio di isolamento sociale e di esclusione» (IL 92).
I cristiani devono cercare di creare strutture economiche di sostegno per aiutare quelle famiglie che sono particolarmente colpite dalla povertà, dalla disoccupazione, dalla precarietà lavorativa, dalla mancanza di assistenza socio-sanitaria o sono vittime dell’usura. Tutta la comunità ecclesiale deve cercare di assistere le famiglie vittime di guerre e persecuzioni.
III.3 Famiglia, accompagnamento ed integrazione ecclesiale
È delicata ed esigente la missione della Chiesa verso coloro che vivono in situazioni matrimoniali o familiari problematiche. Prima di tutto quelli che potrebbero sposarsi in Chiesa ma si accontentano di un matrimonio civile ovvero di una semplice convivenza. Se il loro atteggiamento proviene dalla mancanza di fede o d’interesse religioso, si tratta di una vera situazione missionaria. Quando, invece, hanno qualche relazione con la comunità ecclesiale, frequentando magari gruppi parrocchiali o movimenti ecclesiali, si apre la strada di un loro avvicinamento al matrimonio sacramentale. Attraverso la dinamica pastorale delle relazioni personali è possibile realizzare una sana pedagogia che favorisca l’apertura delle menti e dei cuori alla pienezza del piano di Dio (cf IL 103).
Riguardo ai separati ed ai divorziati non risposati, la comunità della Chiesa può aiutare le persone che vivono dette situazioni nel cammino del perdono e se possibile della riconciliazione, può aiutare l’ascolto dei figli che sono vittime di queste situazioni e può incoraggiare i coniugi rimasti soli dopo un tale fallimento, di perseverare nella fede e nella vita cristiana ed anche «… di trovare nell’Eucarestia il cibo che li sostenga nel loro stato» (IL 118).
È importante avere, almeno a livello diocesano, centri di ascolto che da una parte possono aiutare già nel momento della crisi, ma anche successivamente (cf IL 117). Un altro tipo di consulenza, ugualmente importante, è quella da offrire ai divorziati un aiuto per poter chiarire l’eventuale invalidità del loro matrimonio naufragato, come è previsto nel M. P. Mitis Iudex.
Riguardo ai divorziati e risposati civilmente è doveroso un accompagnamento pastorale misericordioso il quale però non lascia dubbi circa la verità dell’indissolubilità del matrimonio insegnata da Gesù Cristo stesso. La misericordia di Dio offre al peccatore il perdono, ma richiede la conversione. Il peccato di cui può trattarsi in questo caso non è soprattutto il comportamento che può aver provocato il divorzio nel primo matrimonio. Riguardo a quel fatto è possibile che nel fallimento le parti non siano state ugualmente colpevoli, anche se molto spesso entrambe sono in una certa misura responsabili. Non è quindi il naufragio del primo matrimonio, ma la convivenza nel secondo rapporto che impedisce l’accesso all’Eucarestia. «Si richiede da molte parti che l’attenzione e l’accompagnamento nei confronti dei divorziati risposati civilmente si orientino verso una sempre maggiore loro integrazione nella vita della comunità cristiana, tenendo conto della diversità delle situazioni di partenza» (IL 121). Ciò che impedisce alcuni aspetti della piena integrazione non consiste in un divieto arbitrario, ma è un’esigenza intrinseca richiesta in varie situazioni e rapporti, nel contesto della testimonianza ecclesiale. Tutto questo richiede, però, un’approfondita riflessione.
Per quanto riguarda la così detta via penitenziale, questa espressione si usa in modi diversi (cf IL 122-123). Detti modi necessitano di essere approfonditi e precisati. Questo può essere compreso nel senso della Familiaris consortio (= FC) di san Giovanni Paolo II (cf n. 84) e riferirsi a quanti divorziati e risposati, per necessità dei figli o propria non interrompono la vita comune, ma che possono praticare in forza della grazia la continenza vivendo la loro relazione di aiuto reciproco e di amicizia. Questi fedeli potranno accedere anche ai sacramenti della Penitenza e dell’Eucarestia evitando però di provocare scandalo (cf IL 119). Tale possibilità è lontana da essere fisicista e non riduce il matrimonio all’esercizio della sessualità, ma riconoscendone la natura e la finalità, l’applica coerentemente nella vita della persona umana.
«In ordine all’approfondimento circa la situazione oggettiva di peccato e l’imputabilità morale, [giova] tenere in considerazione la Lettera ai Vescovi della Chiesa Cattolica circa la recezione della Comunione eucaristica da parte di fedeli divorziati risposati della Congregazione per la Dottrina della Fede (14 settembre 1994) e la Dichiarazione circa l’ammissibilità alla santa Comunione dei divorziati risposati del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi (24 giugno 2000)» (IL 123), come pure l’Esortazione post-sinodale Sacramentum Caritatis di Benedetto XVI.
L’integrazione dei divorziati risposati nella vita della comunità ecclesiale può realizzarsi in varie forme, diverse dall’ammissione all’Eucarestia, come suggerisce già FC 84.
Nella pratica tradizionale della Chiesa latina la via penitenziale poteva significare per coloro che non erano ancora pronti al cambiamento della loro condizione di vita, ma che provavano comunque il desiderio di conversione, che i confessori potevano ascoltare la loro confessione, dando loro buoni consigli e proponendo esercizi di penitenza, per indirizzarli alla conversione, ma senza dare loro l’assoluzione che era possibile soltanto per coloro che di fatto si proponevano di cambiare vita (cf RI 5 in VI; F. A. Febeus, S. I., De regulisiuris canonici Liber unicus, Venetiis 1735, pp. 91-92).
I veri matrimoni tra i cristiani di diverse confessioni e quelli celebrati con la dispensa dall’impedimento di disparità di culto, tra un cattolico ed un non battezzato, sono dei matrimoni validi, ma presentano alcune sfide per la pastorale. «Per questo, al fine di affrontare in modo costruttivo le diversità in ordine alla fede, è necessario rivolgere un’attenzione particolare alle persone che si uniscono in tali matrimoni, non solo nel periodo precedente alle nozze» (IL 127).
Per quanto riguarda il riferimento alla prassi pastorale delle Chiese ortodosse, essa non può essere valutata giustamente usando solo l’apparato concettuale sviluppatosi in Occidente nel secondo Millennio. Va tenuta presente la grande differenza istituzionale riguardo ai tribunali della Chiesa, nonché il rispetto speciale verso la legislazione degli Stati, che a volte può diventare critica, se le leggi dello Stato si staccano dalla verità del matrimonio secondo il disegno del Creatore.
Alla ricerca di soluzioni pastorali per le difficoltà di certi divorziati risposati civilmente, va tenuta presente che la fedeltà all’indissolubilità del matrimonio non può essere coniugata al riconoscimento pratico della bontà di situazioni concrete che vi sono opposte e quindi inconciliabili. Tra il vero ed il falso, tra il bene ed il male, infatti, non c’è una gradualità, anche se alcune forme di convivenza portano in sé certi aspetti positivi, questo non implica che possono essere presentati come beni. Si distingue però la verità oggettiva del bene morale e la responsabilità soggettiva delle singole persone. Ci può essere differenza tra il disordine, ossia il peccato oggettivo, e il peccato concreto che si realizza in un comportamento determinato che implica anche, ma non soltanto, l’elemento soggettivo. «L’imputabilità e la responsabilità di un’azione possono essere sminuite o annullate dall’ignoranza, dall’inavvertenza, dalla violenza, dal timore, dalle abitudini, dagli affetti smodati e da altri fattori psichici oppure sociali» (CCC 1735). Questo significa che nella verità oggettiva del bene e del male non si dà gradualità (gradualità della legge), mentre a livello soggettivo può avere luogo la legge della gradualità ed è possibile quindi l’educazione della coscienza e dello stesso senso di responsabilità. L’atto umano, infatti, è buono quando lo è sotto ogni aspetto (ex integra causa).
Sia nella passata Assise sinodale che durante la preparazione della presente Assemblea generale è stata trattata la questione dell’attenzione pastorale verso le persone con tendenza omossessuale. Anche se il problema non riguarda direttamente la realtà della famiglia, si presentano situazioni quando tale comportamento influisce sulla vita di una famiglia. In ogni caso la Chiesa insegna che: «“Non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie, neppure remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia”. Nondimeno, gli uomini e le donne con tendenze omosessuali devono essere accolti con rispetto e delicatezza. “A loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione” (Congregazione per la Dottrina della Fede, Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali, 4)» (IL 130).
Si ribadisce che ogni persona va rispettata nella sua dignità indipendentemente dalla sua tendenza sessuale. È auspicabile che i programmi pastorali riservino una specifica attenzione alle famiglie in cui vivono persone con tendenze omossessuali ed a queste stesse persone (cf IL 131). Invece, «è del tutto inaccettabile che i Pastori della Chiesa subiscano delle pressioni in questa materia e che gli organismi internazionali condizionino gli aiuti finanziari ai Paesi poveri all’introduzione di leggi che istituiscano il ‘matrimonio’ fra persone dello stesso sesso» (IL 132).
III.4 Famiglia, generatività, educazione
L’apertura alla vita è un’esigenza intrinseca dell’amore coniugale. La generazione della vita, quindi, non si riduce ad una variabile della progettazione individuale o di coppia. La visione individualista della procreazione può contribuire al forte calo della natalità, indebolire il tessuto sociale, compromettere il rapporto tra le generazioni e rendere più incerto lo sguardo sul futuro (cf IL 133).
Occorre pertanto continuare a divulgare i documenti del Magistero della Chiesa che promuovono la cultura della vita di fronte alla sempre più diffusa cultura di morte. La pastorale familiare dovrebbe maggiormente coinvolgere gli specialisti cattolici in materia biomedica nei percorsi di preparazione al matrimonio e nell’accompagnamento dei coniugi (cf IL 134).
«È [anche] necessario che si moltiplichino gli sforzi per entrare in concertazione con gli organismi internazionali e nelle istanze decisionali politiche, al fine di promuovere il rispetto della vita umana dal concepimento fino alla morte naturale, con particolare cura delle famiglie con figli diversamente abili» (IL 135).
III.5 La responsabilità generativa
Quanto alla responsabilità generativa: «… occorre partire dall'ascolto delle persone e dar ragione della bellezza e della verità di una apertura incondizionata alla vita come ciò di cui l'amore umano ha bisogno per essere vissuto in pienezza. È su questa base che può poggiare un adeguato insegnamento circa i metodi naturali per la procreazione responsabile. Esso aiuta a vivere in maniera armoniosa e consapevole la comunione tra i coniugi, in tutte le sue dimensioni, insieme alla responsabilità generativa. Va riscoperto il messaggio dell’Enciclica Humanae Vitae del beato Paolo VI, che sottolinea il bisogno di rispettare la dignità della persona nella valutazione morale dei metodi di regolazione della natalità. L’adozione di bambini, orfani e abbandonati, accolti come propri figli, è una forma specifica di apostolato familiare (cf AA, 11), più volte richiamata e incoraggiata dal magistero (cf FC, 41; EV, 93)» (IL 136). È necessario offrire cammini orientativi che alimentino la vita coniugale e ribadire l’importanza di un laicato che offra un accompagnamento fatto di testimonianza viva (cf IL 139).
III.6 La vita umana mistero intangibile
«Oggi, troppo facilmente “si considera l’essere umano in se stesso come un bene di consumo, che si può usare e poi gettare. Abbiamo dato inizio alla cultura dello ‘scarto’ che, addirittura, viene promossa” (EG 53). A questo riguardo, è compito della famiglia, sostenuta dalla società tutta, accogliere la vita nascente e prendersi cura della sua fase ultima» (IL 140).
Riguardo al dramma dell’aborto la Chiesa riafferma il carattere inviolabile della vita umana. Offre consulenza alle gestanti, sostiene le ragazze madri, assiste i bambini abbandonati e si fa compagna di coloro che hanno sofferto l’aborto ed hanno preso coscienza del loro sbaglio. Ugualmente la Chiesa riafferma il diritto alla morte naturale, evitando allo stesso tempo sia l’accanimento terapeutico che l’eutanasia (cf IL 141). La morte, nella realtà, non è un fatto privato ed individuale. La persona umana non è e non deve sentirsi isolata nel momento della sofferenza e della morte. Nel mondo di oggi, quando le famiglie sono diventate piccole e talvolta isolate e monoparentali o disgregate, è diminuita la loro capacità di curare i loro membri, anziani, disabili o moribondi. D’altronde i grandi sistemi sociali pubblici, spesso statali, hanno grandi difficoltà di funzionamento anche per l’invecchiamento della società e per l’avanzamento di una logica esclusiva del mercato che considera le spese sociali come fattori che diminuiscono la competitività. In questo contesto la Chiesa sta affrontando una doppia sfida. Da una parte attraverso le sue istituzioni ed il volontariato cerca di supplire le mancanze del sistema assistenziale statale e la mancata capacità delle famiglie, dall’altra cerca di rinforzare il lato umano di tale assistenza offrendo oltre all’aiuto materiale anche il sostegno umano e spirituale. Valori che non è possibile quantificare con i soldi.
III.7 La sfida dell’educazione e il ruolo della famiglia nell’evangelizzazione
Una sfida speciale che la famiglia deve affrontare è quella dell’educazione e dell’evangelizzazione. I genitori sono e rimangono i primi responsabili per l’educazione umana e religiosa dei loro figli. Tutte le crisi che però minacciano o indeboliscono la famiglia impediscono lo svolgimento di detto compito. Anzi in molti contesti: «… stiamo assistendo ad un progressivo indebolimento del ruolo educativo dei genitori, a motivo di un’invasiva presenza dei media all’interno della sfera familiare, oltre che per la tendenza a delegare [se non proprio a trasferire per imposizione statale] ad altri soggetti questo compito. Si richiede che la Chiesa incoraggi e sostenga le famiglie nella loro opera di partecipazione vigile e responsabile nei confronti dei programmi scolastici ed educativi che interessano i loro figli» (IL 144).
In tutta questa attività educativa le famiglie possono ricevere aiuti essenziali dalle altre famiglie, specialmente dalle comunità di famiglie cristiane che sembrano assumere sempre di più certi compiti importanti della Chiesa stessa, costituendo una forma fondamentale dell’apostolato dei laici. In un contesto di crisi delle istituzioni esse rappresentano l’elemento comunitario in modo provvidenziale per le singole famiglie e per la stessa Chiesa.
CONCLUSIONE
Ascoltando la Parola di Dio, la nostra risposta deve manifestare l’attenzione sincera e fraterna ai bisogni dei nostri contemporanei, per trasmettere loro la verità liberatrice ed essere testimoni della più grande misericordia.
Per affrontare la sfida della famiglia oggi la Chiesa deve quindi convertirsi e diventare più viva, più personale, più comunitaria anche a livello parrocchiale e delle piccole comunità. Un tale risveglio comunitario sembra che sia già in corso in molte parti. Perché esso sia più generale e sempre più profondo, chiediamo la luce dello Spirito Santo che ci indichi anche i passi concreti da fare.
Così La vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo, tema del presente Sinodo, appare in una luce serena e concreta che ci fa crescere nella speranza e nella fiducia nella misericordia di Dio. Di quella misericordia alla quale Papa Francesco ha voluto dedicare un Giubileo straordinario. Ringraziamo il Santo Padre di questa scelta di speranza e affidiamo i nostri lavori alla Santa Famiglia di Nazareth.
[01629-IT.01] [Testo originale: Italiano]
[B0759-XX.02]