Messaggio del Santo Padre per la Quaresima 2015 Messaggio del Santo Padre
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Testo in lingua spagnola
Testo in lingua portoghese
Testo in lingua polacca
Testo in lingua araba
Pubblichiamo di seguito il testo del Messaggio del Santo Padre Francesco per la Quaresima 2015 sul tema: Rinfrancate i vostri cuori (Gc 5,8):
Messaggio del Santo Padre
«Rinfrancate i vostri cuori» (Gc 5,8)
Cari fratelli e sorelle,
la Quaresima è un tempo di rinnovamento per la Chiesa, le comunità e i singoli fedeli. Soprattutto però è un "tempo di grazia" (2 Cor 6,2). Dio non ci chiede nulla che prima non ci abbia donato: "Noi amiamo perché egli ci ha amati per primo" (1 Gv 4,19). Lui non è indifferente a noi. Ognuno di noi gli sta a cuore, ci conosce per nome, ci cura e ci cerca quando lo lasciamo. Ciascuno di noi gli interessa; il suo amore gli impedisce di essere indifferente a quello che ci accade. Però succede che quando noi stiamo bene e ci sentiamo comodi, certamente ci dimentichiamo degli altri (cosa che Dio Padre non fa mai), non ci interessano i loro problemi, le loro sofferenze e le ingiustizie che subiscono… allora il nostro cuore cade nell’indifferenza: mentre io sto relativamente bene e comodo, mi dimentico di quelli che non stanno bene. Questa attitudine egoistica, di indifferenza, ha preso oggi una dimensione mondiale, a tal punto che possiamo parlare di una globalizzazione dell’indifferenza. Si tratta di un disagio che, come cristiani, dobbiamo affrontare.
Quando il popolo di Dio si converte al suo amore, trova le risposte a quelle domande che continuamente la storia gli pone. Una delle sfide più urgenti sulla quale voglio soffermarmi in questo Messaggio è quella della globalizzazione dell’indifferenza.
L’indifferenza verso il prossimo e verso Dio è una reale tentazione anche per noi cristiani. Abbiamo perciò bisogno di sentire in ogni Quaresima il grido dei profeti che alzano la voce e ci svegliano.
Dio non è indifferente al mondo, ma lo ama fino a dare il suo Figlio per la salvezza di ogni uomo. Nell’incarnazione, nella vita terrena, nella morte e risurrezione del Figlio di Dio, si apre definitivamente la porta tra Dio e uomo, tra cielo e terra. E la Chiesa è come la mano che tiene aperta questa porta mediante la proclamazione della Parola, la celebrazione dei Sacramenti, la testimonianza della fede che si rende efficace nella carità (cfr Gal 5,6). Tuttavia, il mondo tende a chiudersi in se stesso e a chiudere quella porta attraverso la quale Dio entra nel mondo e il mondo in Lui. Così la mano, che è la Chiesa, non deve mai sorprendersi se viene respinta, schiacciata e ferita.
Il popolo di Dio ha perciò bisogno di rinnovamento, per non diventare indifferente e per non chiudersi in se stesso. Vorrei proporvi tre passi da meditare per questo rinnovamento.
1. "Se un membro soffre, tutte le membra soffrono" (1 Cor 12,26) – La Chiesa
La carità di Dio che rompe quella mortale chiusura in se stessi che è l’indifferenza, ci viene offerta dalla Chiesa con il suo insegnamento e, soprattutto, con la sua testimonianza. Si può però testimoniare solo qualcosa che prima abbiamo sperimentato. Il cristiano è colui che permette a Dio di rivestirlo della sua bontà e misericordia, di rivestirlo di Cristo, per diventare come Lui, servo di Dio e degli uomini. Ce lo ricorda bene la liturgia del Giovedì Santo con il rito della lavanda dei piedi. Pietro non voleva che Gesù gli lavasse i piedi, ma poi ha capito che Gesù non vuole essere solo un esempio per come dobbiamo lavarci i piedi gli uni gli altri. Questo servizio può farlo solo chi prima si è lasciato lavare i piedi da Cristo. Solo questi ha "parte" con lui (Gv 13,8) e così può servire l’uomo.
La Quaresima è un tempo propizio per lasciarci servire da Cristo e così diventare come Lui. Ciò avviene quando ascoltiamo la Parola di Dio e quando riceviamo i sacramenti, in particolare l’Eucaristia. In essa diventiamo ciò che riceviamo: il corpo di Cristo. In questo corpo quell’indifferenza che sembra prendere così spesso il potere sui nostri cuori, non trova posto. Poiché chi è di Cristo appartiene ad un solo corpo e in Lui non si è indifferenti l’uno all’altro. "Quindi se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui" (1 Cor 12,26).
La Chiesa è communio sanctorum perché vi partecipano i santi, ma anche perché è comunione di cose sante: l’amore di Dio rivelatoci in Cristo e tutti i suoi doni. Tra essi c’è anche la risposta di quanti si lasciano raggiungere da tale amore. In questa comunione dei santi e in questa partecipazione alle cose sante nessuno possiede solo per sé, ma quanto ha è per tutti. E poiché siamo legati in Dio, possiamo fare qualcosa anche per i lontani, per coloro che con le nostre sole forze non potremmo mai raggiungere, perché con loro e per loro preghiamo Dio affinché ci apriamo tutti alla sua opera di salvezza.
2. "Dov’è tuo fratello?" (Gen 4,9) – Le parrocchie e le comunità
Quanto detto per la Chiesa universale è necessario tradurlo nella vita delle parrocchie e comunità. Si riesce in tali realtà ecclesiali a sperimentare di far parte di un solo corpo? Un corpo che insieme riceve e condivide quanto Dio vuole donare? Un corpo, che conosce e si prende cura dei suoi membri più deboli, poveri e piccoli? O ci rifugiamo in un amore universale che si impegna lontano nel mondo, ma dimentica il Lazzaro seduto davanti alla propria porta chiusa ? (cfr Lc 16,19-31).
Per ricevere e far fruttificare pienamente quanto Dio ci dà vanno superati i confini della Chiesa visibile in due direzioni.
In primo luogo, unendoci alla Chiesa del cielo nella preghiera. Quando la Chiesa terrena prega, si instaura una comunione di reciproco servizio e di bene che giunge fino al cospetto di Dio. Con i santi che hanno trovato la loro pienezza in Dio, formiamo parte di quella comunione nella quale l’indifferenza è vinta dall’amore. La Chiesa del cielo non è trionfante perché ha voltato le spalle alle sofferenze del mondo e gode da sola. Piuttosto, i santi possono già contemplare e gioire del fatto che, con la morte e la resurrezione di Gesù, hanno vinto definitivamente l’indifferenza, la durezza di cuore e l’odio. Finché questa vittoria dell’amore non compenetra tutto il mondo, i santi camminano con noi ancora pellegrini. Santa Teresa di Lisieux, dottore della Chiesa, scriveva convinta che la gioia nel cielo per la vittoria dell’amore crocifisso non è piena finché anche un solo uomo sulla terra soffre e geme: "Conto molto di non restare inattiva in cielo, il mio desiderio è di lavorare ancora per la Chiesa e per le anime" (Lettera 254 del 14 luglio 1897).
Anche noi partecipiamo dei meriti e della gioia dei santi ed essi partecipano alla nostra lotta e al nostro desiderio di pace e di riconciliazione. La loro gioia per la vittoria di Cristo risorto è per noi motivo di forza per superare tante forme d’indifferenza e di durezza di cuore.
D’altra parte, ogni comunità cristiana è chiamata a varcare la soglia che la pone in relazione con la società che la circonda, con i poveri e i lontani. La Chiesa per sua natura è missionaria, non ripiegata su se stessa, ma mandata a tutti gli uomini.
Questa missione è la paziente testimonianza di Colui che vuole portare al Padre tutta la realtà ed ogni uomo. La missione è ciò che l’amore non può tacere. La Chiesa segue Gesù Cristo sulla strada che la conduce ad ogni uomo, fino ai confini della terra (cfr At 1,8). Così possiamo vedere nel nostro prossimo il fratello e la sorella per i quali Cristo è morto ed è risorto. Quanto abbiamo ricevuto, lo abbiamo ricevuto anche per loro. E parimenti, quanto questi fratelli possiedono è un dono per la Chiesa e per l’umanità intera.
Cari fratelli e sorelle, quanto desidero che i luoghi in cui si manifesta la Chiesa, le nostre parrocchie e le nostre comunità in particolare, diventino delle isole di misericordia in mezzo al mare dell’indifferenza!
3. "Rinfrancate i vostri cuori !" (Gc 5,8) – Il singolo fedele
Anche come singoli abbiamo la tentazione dell’indifferenza. Siamo saturi di notizie e immagini sconvolgenti che ci narrano la sofferenza umana e sentiamo nel medesimo tempo tutta la nostra incapacità ad intervenire. Che cosa fare per non lasciarci assorbire da questa spirale di spavento e di impotenza?
In primo luogo, possiamo pregare nella comunione della Chiesa terrena e celeste. Non trascuriamo la forza della preghiera di tanti! L’iniziativa 24 ore per il Signore, che auspico si celebri in tutta la Chiesa, anche a livello diocesano, nei giorni 13 e 14 marzo, vuole dare espressione a questa necessità della preghiera.
In secondo luogo, possiamo aiutare con gesti di carità, raggiungendo sia i vicini che i lontani, grazie ai tanti organismi di carità della Chiesa. La Quaresima è un tempo propizio per mostrare questo interesse all’altro con un segno, anche piccolo, ma concreto, della nostra partecipazione alla comune umanità.
E in terzo luogo, la sofferenza dell’altro costituisce un richiamo alla conversione, perché il bisogno del fratello mi ricorda la fragilità della mia vita, la mia dipendenza da Dio e dai fratelli. Se umilmente chiediamo la grazia di Dio e accettiamo i limiti delle nostre possibilità, allora confideremo nelle infinite possibilità che ha in serbo l’amore di Dio. E potremo resistere alla tentazione diabolica che ci fa credere di poter salvarci e salvare il mondo da soli.
Per superare l’indifferenza e le nostre pretese di onnipotenza, vorrei chiedere a tutti di vivere questo tempo di Quaresima come un percorso di formazione del cuore, come ebbe a dire Benedetto XVI (Lett. enc. Deus caritas est, 31). Avere un cuore misericordioso non significa avere un cuore debole. Chi vuole essere misericordioso ha bisogno di un cuore forte, saldo, chiuso al tentatore, ma aperto a Dio. Un cuore che si lasci compenetrare dallo Spirito e portare sulle strade dell’amore che conducono ai fratelli e alle sorelle. In fondo, un cuore povero, che conosce cioè le proprie povertà e si spende per l’altro.
Per questo, cari fratelli e sorelle, desidero pregare con voi Cristo in questa Quaresima: "Fac cor nostrum secundum cor tuum": "Rendi il nostro cuore simile al tuo" (Supplica dalle Litanie al Sacro Cuore di Gesù). Allora avremo un cuore forte e misericordioso, vigile e generoso, che non si lascia chiudere in se stesso e non cade nella vertigine della globalizzazione dell’indifferenza.
Con questo auspicio, assicuro la mia preghiera affinché ogni credente e ogni comunità ecclesiale percorra con frutto l’itinerario quaresimale, e vi chiedo di pregare per me. Che il Signore vi benedica e la Madonna vi custodisca.
Dal Vaticano, 4 ottobre 2014
Festa di San Francesco d’Assisi
FRANCISCUS PP.
[00144-01.01] [Testo originale: Italiano]
Testo in lingua francese
«Tenez ferme» (Jc 5, 8)
Chers frères et sœurs,
Le Carême est un temps de renouveau pour l’Église, pour les communautés et pour chaque fidèle. Mais c’est surtout un « temps de grâce » (2 Cor 6, 2). Dieu ne nous demande rien qu’il ne nous ait donné auparavant : « Nous aimons parce que Dieu lui-même nous a aimés le premier » (1 Jn 4, 19). Il n’est pas indifférent à nous. Il porte chacun de nous dans son cœur, il nous connaît par notre nom, il prend soin de nous et il nous cherche quand nous l’abandonnons. Chacun de nous l’intéresse ; son amour l’empêche d’être indifférent à ce qui nous arrive. Mais il arrive que, quand nous allons bien et nous prenons nos aises, nous oublions sûrement de penser aux autres (ce que Dieu le Père ne fait jamais), nous ne nous intéressons plus à leurs problèmes, à leurs souffrances et aux injustices qu’ils subissent… alors notre cœur tombe dans l’indifférence : alors que je vais relativement bien et que tout me réussit, j’oublie ceux qui ne vont pas bien. Cette attitude égoïste, d’indifférence, a pris aujourd’hui une dimension mondiale, au point que nous pouvons parler d’une mondialisation de l’indifférence. Il s’agit d’un malaise que, comme chrétiens, nous devons affronter.
Quand le peuple de Dieu se convertit à son amour, il trouve les réponses à ces questions que l’histoire lui pose continuellement. Un des défis les plus urgents sur lesquels je veux m’arrêter dans ce message, est celui de la mondialisation de l’indifférence.
L’indifférence envers son prochain et envers Dieu est une tentation réelle même pour nous, chrétiens. C’est pour cela que nous avons besoin d’entendre, lors de chaque Carême, le cri des prophètes qui haussent la voix et qui nous réveillent.
Dieu n’est pas indifférent au monde, mais il l’aime jusqu’à donner son Fils pour le salut de tout homme. A travers l’incarnation, la vie terrestre, la mort et la résurrection du Fils de Dieu, la porte entre Dieu et l’homme, entre le ciel et la terre, s’est définitivement ouverte. Et l’Église est comme la main qui maintient ouverte cette porte grâce à la proclamation de la Parole, à la célébration des sacrements, au témoignage de la foi qui devient agissante dans l’amour (cf. Ga 5, 6). Toutefois, le monde tend à s’enfermer sur lui-même et à fermer cette porte par laquelle Dieu entre dans le monde et le monde en lui. Ainsi, la main, qui est l’Église, ne doit jamais être surprise si elle est repoussée, écrasée et blessée.
C’est pourquoi, le peuple de Dieu a besoin de renouveau, pour ne pas devenir indifférent et se renfermer sur lui-même. Je voudrais vous proposer trois pistes à méditer pour ce renouveau.
1. « Si un seul membre souffre, tous les membres partagent sa souffrance » (1Co 12, 26) – L’Église
La charité de Dieu qui rompt ce mortel enfermement sur soi-même qu’est l’indifférence, nous est offerte par l’Église dans son enseignement et, surtout, dans son témoignage. Cependant, on ne peut témoigner que de ce que l’on a éprouvé auparavant. Le chrétien est celui qui permet à Dieu de le revêtir de sa bonté et de sa miséricorde, de le revêtir du Christ, pour devenir comme lui, serviteur de Dieu et des hommes. La liturgie du Jeudi Saint, avec le rite du lavement des pieds, nous le rappelle bien. Pierre ne voulait pas que Jésus lui lave les pieds, mais il a ensuite compris que Jésus ne veut pas être seulement un exemple de la manière dont nous devons nous laver les pieds les uns les autres. Ce service ne peut être rendu que par celui qui s’est d’abord laissé laver les pieds par le Christ. Seul celui-là a « part » avec lui (Jn 13, 8) et peut ainsi servir l’homme.
Le Carême est un temps propice pour nous laisser servir par le Christ et apprendre ainsi à servir comme lui. Cela advient lorsque nous écoutons la Parole de Dieu et recevons les sacrements, en particulier l’Eucharistie. En elle, nous devenons ce que nous recevons : le Corps du Christ. Grâce à ce corps, cette indifférence, qui semble prendre si souvent le pouvoir sur nos cœurs, ne trouve plus de place en nous. Puisque ceux qui sont du Christ appartiennent à l’unique Corps du Christ et en lui personne n’est indifférent à l’autre. « Si un seul membre souffre, tous les membres partagent sa souffrance ; si un membre est à l’honneur, tous partagent sa joie » (1 Co 12, 26).
L’Église est une communio sanctorum parce que les saints y prennent part, mais aussi parce qu’elle est communion de choses saintes : l’amour de Dieu révélé à nous dans le Christ ainsi que tous les dons divins. Parmi eux, il y a aussi la réponse de tous ceux qui se laissent atteindre par un tel amour. Dans cette communion des saints et dans cette participation aux choses saintes personne n’a rien en propre, et ce qu’il possède est pour tout le monde. Et puisque nous sommes liés en Dieu, nous pouvons faire quelque chose autant pour ceux qui sont loin, que pour ceux que nous ne pourrions jamais rejoindre par nos propres forces, puisque nous prions Dieu avec eux et pour eux, afin que nous nous ouvrions tous ensemble à son œuvre de salut.
2. « Où est ton frère ? » (Gn 4, 9) – Les paroisses et les communautés
Il est nécessaire de traduire tout l’enseignement de l’Église universelle dans la vie concrète des paroisses et des communautés chrétiennes. Réussit-on au cœur de ces réalités ecclésiales à faire l’expérience d’appartenir à un seul corps ? Un corps qui en même temps reçoit et partage tout ce que Dieu désire donner ? Un corps qui connaît et qui prend soin de ses membres les plus faibles, les plus pauvres et les plus petits ? Ou bien nous réfugions-nous dans un amour universel qui s’engage en faveur d’un monde lointain mais qui oublie le Lazare qui est assis devant sa propre porte fermée ? (cf. Lc 16, 19-31).
Pour recevoir et faire fructifier pleinement ce que Dieu nous donne, il faut dépasser les frontières de l’Église visible dans deux directions.
D’une part, en nous unissant à l’Église du ciel dans la prière. Quand l’Église terrestre prie, s’instaure une communion de service réciproque et de bien qui parvient jusqu’en la présence de Dieu. Avec les saints qui ont trouvé leur plénitude en Dieu, nous faisons partie de cette communion dans laquelle l’indifférence est vaincue par l’amour. L’Église du ciel n’est pas triomphante parce qu’elle a tourné le dos aux souffrances du monde et se réjouit toute seule. Au contraire, les saints peuvent déjà contempler et jouir du fait que, avec la mort et la résurrection de Jésus, ils ont vaincu définitivement l’indifférence, la dureté du cœur et la haine. Tant que cette victoire de l’amour ne pénètre pas le monde entier, les saints marchent avec nous qui sommes encore pèlerins. Sainte Thérèse de Lisieux, docteur de l’Église, convaincue que la joie dans le ciel par la victoire de l’amour crucifié n’est pas complète tant qu’un seul homme sur la terre souffre et gémit, écrivait: « Je compte bien ne pas rester inactive au Ciel, mon désir est de travailler encore pour l'Église et les âmes » (Lettre 254, 14 juillet 1897).
Nous aussi, nous participons aux mérites et à la joie des saints et eux participent à notre lutte et à notre désir de paix et de réconciliation. Leur bonheur de jouir de la victoire du Christ ressuscité nous est un motif de force pour dépasser tant de formes d’indifférence et de dureté du cœur.
D’autre part, chaque communauté chrétienne est appelée à franchir le seuil qui la met en relation avec la société qui l’entoure, avec les pauvres et ceux qui sont loin. L’Église est, par nature, missionnaire, et elle n’est pas repliée sur elle-même, mais envoyée à tous les hommes.
Cette mission est le témoignage patient de celui qui veut porter au Père toute la réalité humaine et chaque homme en particulier. La mission est ce que l’amour ne peut pas taire. L’Église suit Jésus Christ sur la route qui la conduit vers tout homme, jusqu’aux confins de la terre (cf. Ac 1,8). Nous pouvons ainsi voir dans notre prochain le frère et la sœur pour lesquels le Christ est mort et ressuscité. Tout ce que nous avons reçu, nous l’avons reçu aussi pour eux. Et pareillement, ce que ces frères possèdent est un don pour l’Église et pour l’humanité entière.
Chers frères et sœurs, je désire tant que les lieux où se manifeste l’Église, en particulier nos paroisses et nos communautés, deviennent des îles de miséricorde au milieu de la mer de l’indifférence !
3. « Tenez ferme » (Jc 5, 8) – Chaque fidèle
Même en tant qu’individus nous sommes souvent tentés d’être indifférents à la misère des autres. Nous sommes saturés de nouvelles et d’images bouleversantes qui nous racontent la souffrance humaine et nous sentons en même temps toute notre incapacité à intervenir. Que faire pour ne pas se laisser absorber par cette spirale de peur et d’impuissance ?
Tout d’abord, nous pouvons prier dans la communion de l’Église terrestre et céleste. Ne négligeons pas la force de la prière de tant de personnes ! L’initiative 24 heures pour le Seigneur, qui, j’espère, aura lieu dans toute l’Église, même au niveau diocésain, les 13 et 14 mars, veut montrer cette nécessité de la prière.
Ensuite, nous pouvons aider par des gestes de charité, rejoignant aussi bien ceux qui sont proches que ceux qui sont loin, grâce aux nombreux organismes de charité de l’Église. Le Carême est un temps propice pour montrer cet intérêt envers l’autre par un signe, même petit, mais concret, de notre participation à notre humanité commune.
Enfin, la souffrance de l’autre constitue un appel à la conversion parce que le besoin du frère me rappelle la fragilité de ma vie, ma dépendance envers Dieu et mes frères. Si nous demandons humblement la grâce de Dieu et que nous acceptons les limites de nos possibilités, alors nous aurons confiance dans les possibilités infinies que l’amour de Dieu a en réserve. Et nous pourrons résister à la tentation diabolique qui nous fait croire que nous pouvons nous sauver et sauver le monde tout seuls.
Pour dépasser l’indifférence et nos prétentions de toute-puissance, je voudrais demander à tous de vivre ce temps de Carême comme un parcours de formation du cœur, comme l’a dit Benoît XVI (cf. Lett. Enc. Deus caritas est, n. 31). Avoir un cœur miséricordieux ne veut pas dire avoir un cœur faible. Celui qui veut être miséricordieux a besoin d’un cœur fort, solide, fermé au tentateur, mais ouvert à Dieu. Un cœur qui se laisse pénétrer par l’Esprit et porter sur les voies de l’amour qui conduisent à nos frères et à nos sœurs. Au fond, un cœur pauvre, qui connaisse en fait ses propres pauvretés et qui se dépense pour l’autre.
Pour cela, chers frères et sœurs, je désire prier avec vous le Christ en ce Carême : « Fac cor nostrum secundum cor tuum » : « Rends notre cœur semblable au tien » (Litanies du Sacré Cœur de Jésus). Alors nous aurons un cœur fort et miséricordieux, vigilant et généreux, qui ne se laisse pas enfermer en lui-même et qui ne tombe pas dans le vertige de la mondialisation de l’indifférence.
Avec ce souhait, je vous assure de ma prière afin que chaque croyant et chaque communauté ecclésiale parcourt avec fruit le chemin du Carême, et je vous demande de prier pour moi. Que le Seigneur vous bénisse et que la Vierge Marie vous garde.
Du Vatican, le 4 octobre 2014
Fête de saint François d’Assise
FRANCISCUS PP.
[00144-03.01] [Texte original: Italien]
Testo in lingua inglese
«Make your hearts firm» (Jas 5:8)
Dear Brothers and Sisters,
Lent is a time of renewal for the whole Church, for each communities and every believer. Above all it is a "time of grace" (2 Cor 6:2). God does not ask of us anything that he himself has not first given us. "We love because he first has loved us" (1 Jn 4:19). He is not aloof from us. Each one of us has a place in his heart. He knows us by name, he cares for us and he seeks us out whenever we turn away from him. He is interested in each of us; his love does not allow him to be indifferent to what happens to us. Usually, when we are healthy and comfortable, we forget about others (something God the Father never does): we are unconcerned with their problems, their sufferings and the injustices they endure… Our heart grows cold. As long as I am relatively healthy and comfortable, I don’t think about those less well off. Today, this selfish attitude of indifference has taken on global proportions, to the extent that we can speak of a globalization of indifference. It is a problem which we, as Christians, need to confront.
When the people of God are converted to his love, they find answers to the questions that history continually raises. One of the most urgent challenges which I would like to address in this Message is precisely the globalization of indifference.
Indifference to our neighbour and to God also represents a real temptation for us Christians. Each year during Lent we need to hear once more the voice of the prophets who cry out and trouble our conscience.
God is not indifferent to our world; he so loves it that he gave his Son for our salvation. In the Incarnation, in the earthly life, death, and resurrection of the Son of God, the gate between God and man, between heaven and earth, opens once for all. The Church is like the hand holding open this gate, thanks to her proclamation of God’s word, her celebration of the sacraments and her witness of the faith which works through love (cf. Gal 5:6). But the world tends to withdraw into itself and shut that door through which God comes into the world and the world comes to him. Hence the hand, which is the Church, must never be surprised if it is rejected, crushed and wounded.
God’s people, then, need this interior renewal, lest we become indifferent and withdraw into ourselves. To further this renewal, I would like to propose for our reflection three biblical texts.
1. "If one member suffers, all suffer together" (1 Cor 12:26) – The Church
The love of God breaks through that fatal withdrawal into ourselves which is indifference. The Church offers us this love of God by her teaching and especially by her witness. But we can only bear witness to what we ourselves have experienced. Christians are those who let God clothe them with goodness and mercy, with Christ, so as to become, like Christ, servants of God and others. This is clearly seen in the liturgy of Holy Thursday, with its rite of the washing of feet. Peter did not want Jesus to wash his feet, but he came to realize that Jesus does not wish to be just an example of how we should wash one another’s feet. Only those who have first allowed Jesus to wash their own feet can then offer this service to others. Only they have "a part" with him (Jn 13:8) and thus can serve others.
Lent is a favourable time for letting Christ serve us so that we in turn may become more like him. This happens whenever we hear the word of God and receive the sacraments, especially the Eucharist. There we become what we receive: the Body of Christ. In this body there is no room for the indifference which so often seems to possess our hearts. For whoever is of Christ, belongs to one body, and in him we cannot be indifferent to one another. "If one part suffers, all the parts suffer with it; if one part is honoured, all the parts share its joy" (1 Cor 12:26).
The Church is the communio sanctorum not only because of her saints, but also because she is a communion in holy things: the love of God revealed to us in Christ and all his gifts. Among these gifts there is also the response of those who let themselves be touched by this love. In this communion of saints, in this sharing in holy things, no one possesses anything alone, but shares everything with others. And since we are united in God, we can do something for those who are far distant, those whom we could never reach on our own, because with them and for them, we ask God that all of us may be open to his plan of salvation.
2. "Where is your brother?" (Gen 4:9) – Parishes and Communities
All that we have been saying about the universal Church must now be applied to the life of our parishes and communities. Do these ecclesial structures enable us to experience being part of one body? A body which receives and shares what God wishes to give? A body which acknowledges and cares for its weakest, poorest and most insignificant members? Or do we take refuge in a universal love that would embrace the whole world, while failing to see the Lazarus sitting before our closed doors (Lk 16:19-31)?
In order to receive what God gives us and to make it bear abundant fruit, we need to press beyond the boundaries of the visible Church in two ways.
In the first place, by uniting ourselves in prayer with the Church in heaven. The prayers of the Church on earth establish a communion of mutual service and goodness which reaches up into the sight of God. Together with the saints who have found their fulfilment in God, we form part of that communion in which indifference is conquered by love. The Church in heaven is not triumphant because she has turned her back on the sufferings of the world and rejoices in splendid isolation. Rather, the saints already joyfully contemplate the fact that, through Jesus’ death and resurrection, they have triumphed once and for all over indifference, hardness of heart and hatred. Until this victory of love penetrates the whole world, the saints continue to accompany us on our pilgrim way. Saint Therese of Lisieux, a Doctor of the Church, expressed her conviction that the joy in heaven for the victory of crucified love remains incomplete as long as there is still a single man or woman on earth who suffers and cries out in pain: "I trust fully that I shall not remain idle in heaven; my desire is to continue to work for the Church and for souls" (Letter 254, July 14, 1897).
We share in the merits and joy of the saints, even as they share in our struggles and our longing for peace and reconciliation. Their joy in the victory of the Risen Christ gives us strength as we strive to overcome our indifference and hardness of heart.
In the second place, every Christian community is called to go out of itself and to be engaged in the life of the greater society of which it is a part, especially with the poor and those who are far away. The Church is missionary by her very nature; she is not self-enclosed but sent out to every nation and people.
Her mission is to bear patient witness to the One who desires to draw all creation and every man and woman to the Father. Her mission is to bring to all a love which cannot remain silent. The Church follows Jesus Christ along the paths that lead to every man and woman, to the very ends of the earth (cf. Acts 1:8). In each of our neighbours, then, we must see a brother or sister for whom Christ died and rose again. What we ourselves have received, we have received for them as well. Similarly, all that our brothers and sisters possess is a gift for the Church and for all humanity.
Dear brothers and sisters, how greatly I desire that all those places where the Church is present, especially our parishes and our communities, may become islands of mercy in the midst of the sea of indifference!
3. "Make your hearts firm!" (James 5:8) – Individual Christians
As individuals too, we have are tempted by indifference. Flooded with news reports and troubling images of human suffering, we often feel our complete inability to help. What can we do to avoid being caught up in this spiral of distress and powerlessness?
First, we can pray in communion with the Church on earth and in heaven. Let us not underestimate the power of so many voices united in prayer! The 24 Hours for the Lord initiative, which I hope will be observed on 13-14 March throughout the Church, also at the diocesan level, is meant to be a sign of this need for prayer.
Second, we can help by acts of charity, reaching out to both those near and far through the Church’s many charitable organizations. Lent is a favourable time for showing this concern for others by small yet concrete signs of our belonging to the one human family.
Third, the suffering of others is a call to conversion, since their need reminds me of the uncertainty of my own life and my dependence on God and my brothers and sisters. If we humbly implore God’s grace and accept our own limitations, we will trust in the infinite possibilities which God’s love holds out to us. We will also be able to resist the diabolical temptation of thinking that by our own efforts we can save the world and ourselves.
As a way of overcoming indifference and our pretensions to self-sufficiency, I would invite everyone to live this Lent as an opportunity for engaging in what Benedict XVI called a formation of the heart (cf. Deus Caritas Est, 31). A merciful heart does not mean a weak heart. Anyone who wishes to be merciful must have a strong and steadfast heart, closed to the tempter but open to God. A heart which lets itself be pierced by the Spirit so as to bring love along the roads that lead to our brothers and sisters. And, ultimately, a poor heart, one which realizes its own poverty and gives itself freely for others.
During this Lent, then, brothers and sisters, let us all ask the Lord: "Fac cor nostrum secundum cor tuum": Make our hearts like yours (Litany of the Sacred Heart of Jesus). In this way we will receive a heart which is firm and merciful, attentive and generous, a heart which is not closed, indifferent or prey to the globalization of indifference.
It is my prayerful hope that this Lent will prove spiritually fruitful for each believer and every ecclesial community. I ask all of you to pray for me. May the Lord bless you and Our Lady keep you.
From the Vatican, 4 October 2014
Feast of Saint Francis of Assisi
FRANCISCUS PP.
[00144-02.01] [Original text: Italian]
Testo in lingua tedesca
«Macht euer Herz stark» (Jak 5,8)
Liebe Schwestern und Brüder,
die österliche Bußzeit ist eine Zeit der Erneuerung für die Kirche, für die Gemeinschaften wie für die einzelnen Gläubigen. Vor allem aber ist sie eine „Zeit der Gnade" (2 Kor 6,2). Gott verlangt nichts von uns, das er uns nicht schon vorher geschenkt hätte: „Wir wollen lieben, weil er uns zuerst geliebt hat" (1 Joh 4,19). Er ist uns gegenüber nicht gleichgültig. Jeder von uns liegt ihm am Herzen, er kennt uns beim Namen, sorgt sich um uns und sucht uns, wenn wir uns von ihm entfernen. Jedem Einzelnen von uns gilt sein Interesse; seine Liebe hindert ihn, gleichgültig gegenüber dem zu sein, was uns geschieht. Es kommt allerdings vor, dass wir, wenn es uns gut geht und wir uns wohl fühlen, die anderen gewiss vergessen (was Gott Vater niemals tut); dass wir uns nicht für ihre Probleme, für ihre Leiden und für die Ungerechtigkeiten interessieren, die sie erdulden… Dann verfällt unser Herz der Gleichgültigkeit: Während es mir relativ gut geht und ich mich wohl fühle, vergesse ich jene, denen es nicht gut geht. Diese egoistische Haltung der Gleichgültigkeit hat heute ein weltweites Ausmaß angenommen, so dass wir von einer Globalisierung der Gleichgültigkeit sprechen können. Es handelt sich um einen Missstand, dem wir als Christen begegnen müssen.
Wenn das Volk Gottes sich zu seiner Liebe bekehrt, findet es die Antworten auf jene Fragen, die ihm die Geschichte beständig stellt. Eine der drängendsten Herausforderungen, auf die ich in dieser Botschaft eingehen möchte, ist die der „Globalisierung der Gleichgültigkeit".
Die Gleichgültigkeit gegenüber dem Nächsten und gegenüber Gott ist eine reale Versuchung auch für uns Christen. Wir haben es daher in jeder österlichen Bußzeit nötig, den Ruf der Propheten zu hören, die ihre Stimme erheben und uns wachrütteln.
Gott ist die Welt nicht gleichgültig, er liebt sie so sehr, dass er seinen Sohn für die Rettung jedes Menschen hingibt. In der Menschwerdung, im irdischen Leben, im Tod und in der Auferstehung des Sohnes Gottes öffnet sich ein für alle Mal die Tür zwischen Gott und Mensch, zwischen Himmel und Erde. Und die Kirche ist gleichsam die Hand, die diese Tür offenhält, indem sie das Wort verkündet, die Sakramente feiert und den Glauben bezeugt, der in der Liebe wirksam ist (vgl. Gal 5,6). Dennoch neigt die Welt dazu, sich in sich selbst zu verschließen und diese Tür zufallen zu lassen, durch die Gott in die Welt und die Welt zu Gott kommt. So darf sich die Hand, die die Kirche ist, niemals wundern, wenn sie zurückgewiesen, eingezwängt und verletzt wird.
Das Volk Gottes bedarf daher einer Erneuerung, um nicht gleichgültig zu werden und um sich nicht in sich selbst zu verschließen. Ich möchte euch drei Schritte für diese Erneuerung nahelegen, über die ihr nachdenken sollt.
1. „Wenn darum ein Glied leidet, leiden alle Glieder mit" (1 Kor 12,26) – Die Kirche
Die Liebe Gottes, die diese tödliche Selbstverschließung der Gleichgültigkeit aufbricht, wird uns von der Kirche durch ihre Lehre und vor allem durch ihr Zeugnis entgegengebracht. Bezeugen kann man aber nur, was man vorher erfahren hat. Ein Christ ist, wer sich von Gott mit dessen Güte und Barmherzigkeit, mit Christus selbst bekleiden lässt, um wie dieser zum Diener Gottes und der Menschen zu werden. Daran erinnert uns deutlich die Liturgie des Gründonnerstags mit dem Ritus der Fußwaschung. Petrus wollte nicht, dass Jesus ihm die Füße wasche, aber dann verstand er, dass Jesus nicht bloß ein Beispiel dafür sein will, wie wir einander die Füße waschen sollen. Diesen Dienst kann nur tun, wer sich vorher von Christus die Füße hat waschen lassen. Nur dieser hat „Anteil" an ihm (Joh 13,8) und kann so dem Menschen dienen.
Die österliche Bußzeit ist eine geeignete Zeit, um sich von Christus dienen zu lassen und so wie er zu werden. Das geschieht, wenn wir das Wort Gottes hören und die Sakramente, insbesondere die Eucharistie, empfangen. Durch diese werden wir das, was wir empfangen: Leib Christi. In diesem Leib findet jene Gleichgültigkeit, die sich so oft unserer Herzen zu bemächtigen scheint, keinen Raum. Denn wer Christus gehört, gehört einem einzigen Leib an, und in ihm begegnet man einander nicht mit Gleichgültigkeit. „Wenn darum ein Glied leidet, leiden alle Glieder mit; wenn ein Glied geehrt wird, freuen sich alle anderen mit ihm" (1 Kor 12,26).
Die Kirche ist communio sanctorum, weil die Heiligen an ihr teilhaben, aber auch weil sie Gemeinschaft an heiligen Dingen ist: an der Liebe Gottes, die in Christus offenbar geworden ist, und an allen seinen Gaben. Zu diesen gehört auch die Antwort derer, die sich von dieser Liebe erreichen lassen. In dieser Gemeinschaft der Heiligen und der Teilhabe am Heiligen besitzt keiner etwas nur für sich, sondern was er hat, ist für alle. Und weil wir in Gott verbunden sind, können wir auch etwas für die Fernen und diejenigen tun, die wir aus eigener Kraft niemals erreichen könnten, denn mit ihnen und für sie beten wir zu Gott, damit wir uns alle seinem Heilswirken öffnen.
2. „Wo ist dein Bruder?" (Gen 4,9) – Die Gemeinden und die Gemeinschaften
Das in Bezug auf die Weltkirche Gesagte muss notwendigerweise in das Leben der Pfarrgemeinden und Gemeinschaften übersetzt werden. Gelingt es in solchen kirchlichen Bereichen, sich als Teil eines einzigen Leibes zu erleben? Ein Leib, der zugleich empfängt und teilt, was Gott schenken möchte? Ein Leib, der seine schwächsten, ärmsten und kleinsten Glieder kennt und sich um sie sorgt? Oder flüchten wir uns in eine universale Liebe, die sich in der weiten Welt engagiert, aber Lazarus, der vor der eigenen verschlossenen Tür sitzt, vergisst? (vgl. Lk 16,19-31)
Um das, was Gott uns schenkt, empfangen und vollkommen fruchtbar machen zu können, müssen wir die Grenzen der sichtbaren Kirche in zwei Richtungen überschreiten.
Zum einen, indem wir uns betend mit der Kirche des Himmels verbinden. Wenn die irdische Kirche betet, entsteht eine Gemeinschaft des gegenseitigen Dienstes und des Guten, die bis zum Angesicht Gottes reicht. Mit den Heiligen, die ihre Fülle in Gott gefunden haben, bilden wir einen Teil jenes Miteinanders, in dem die Gleichgültigkeit durch die Liebe überwunden ist. Die Kirche des Himmels ist nicht triumphierend, weil sie sich von den Leiden der Welt abgewandt hat und sich ungestört der Freude hingibt. Vielmehr können die Heiligen schon sehen und sich darüber freuen, dass sie mit dem Tod und der Auferstehung Jesu die Gleichgültigkeit, die Hartherzigkeit und den Hass ein für alle Mal überwunden haben. Solange dieser Sieg der Liebe nicht die ganze Welt durchdrungen hat, sind die Heiligen noch mit uns als Pilger unterwegs. In der Überzeugung, dass die Freude im Himmel über den Sieg der gekreuzigten Liebe nicht vollkommen ist, solange auch nur ein Mensch auf der Erde leidet und stöhnt, schrieb die heilige Kirchenlehrerin Terese von Lisieux: „Ich rechne bestimmt damit, im Himmel nicht untätig zu bleiben. Mein Wunsch ist, weiter für die Kirche und die Seelen zu arbeiten" (Brief Nr. 254 vom 14. Juli 1897).
Auch wir haben Anteil an den Verdiensten und der Freude der Heiligen, und diese nehmen teil an unserem Ringen und an unserer Sehnsucht nach Frieden und Versöhnung. Ihre Freude über den Sieg des auferstandenen Christus gibt uns die Kraft, die vielen Formen der Gleichgültigkeit und der Hartherzigkeit zu überwinden.
Zum anderen ist jede christliche Gemeinschaft dazu aufgerufen, die Schwelle zu überschreiten, die sie in Beziehung setzt zu der Gesellschaft, die sie umgibt, sowie zu den Armen und Fernen. Die Kirche ist von ihrem Wesen her missionarisch, nicht in sich selbst zurückgezogen, sondern ausgesendet zu allen Menschen.
Diese Sendung ist das geduldige Zeugnis für Ihn, der die ganze Wirklichkeit und jeden Menschen zum Vater führen will. Die Mission ist das, worüber die Liebe nicht schweigen darf. Die Kirche folgt Jesus Christus auf dem Weg, der sie zu jedem Menschen führt, bis an die Grenzen der Erde (vgl. Apg 1,8). So können wir in unserem Nächsten den Bruder und die Schwester sehen, für die Christus gestorben und auferstanden ist. Was wir empfangen haben, das haben wir auch für sie empfangen. Und ebenso ist das, was diese Brüder besitzen, ein Geschenk für die Kirche und für die ganze Menschheit.
Liebe Brüder und Schwestern, wie sehr möchte ich, dass die Orte, an denen sich die Kirche zeigt – unsere Gemeinden und besonders unsere Gemeinschaften –, zu Inseln der Barmherzigkeit im Meer der Gleichgültigkeit werden!
3. „Macht euer Herz stark" (Jak 5,8) – Der einzelne Gläubige
Auch wir als Einzelne sind der Versuchung der Gleichgültigkeit ausgesetzt. Wir sind von den erschütternden Berichten und Bildern, die uns das menschliche Leid erzählen, gesättigt und verspüren zugleich unser ganzes Unvermögen einzugreifen. Was können wir tun, um uns nicht in diese Spirale des Schreckens und der Machtlosigkeit hineinziehen zu lassen?
Erstens können wir in der Gemeinschaft der irdischen und der himmlischen Kirche beten. Unterschätzen wir nicht die Kraft des Gebetes von so vielen! Die Initiative 24 Stunden für den Herrn, von der ich hoffe, dass sie am 13. und 14. März in der ganzen Kirche, auch auf Diözesanebene, gefeiert wird, möchte ein Ausdruck dieser Notwendigkeit des Betens sein.
Zweitens können wir mit Gesten der Nächstenliebe helfen und dank der zahlreichen Hilfswerke der Kirche sowohl die Nahen als auch die Fernen erreichen. Die österliche Bußzeit ist eine geeignete Zeit, um dieses Interesse dem anderen gegenüber mit einem vielleicht auch nur kleinen, aber konkreten Zeichen unserer Teilnahme am gemeinsamen Menschsein zu zeigen.
Drittens schließlich ist das Leid des anderen ein Aufruf zur Bekehrung, weil das Bedürfnis des Bruders mich an die Zerbrechlichkeit meines eigenen Lebens, an meine Abhängigkeit von Gott und von den Mitmenschen erinnert. Wenn wir demütig die Gnade Gottes erbitten und die Grenzen unserer Möglichkeiten annehmen, dann werden wir auf die unendlichen Möglichkeiten vertrauen, die die Liebe Gottes in sich birgt. Und wir werden der teuflischen Versuchung widerstehen, die uns glauben macht, wir könnten uns selbst und die Welt ganz alleine retten.
Um die Gleichgültigkeit und unseren Allmachtswahn zu überwinden, möchte ich alle darum bitten, diese österliche Bußzeit als einen Weg der „Herzensbildung" zu gehen, wie Benedikt XVI. sich ausdrückte (Enzyklika Deus caritas est, 31). Ein barmherziges Herz zu haben, bedeutet nicht ein kraftloses Herz zu haben. Wer barmherzig sein will, braucht ein starkes, ein festes Herz, das für den Versucher verschlossen, für Gott aber offen ist. Ein Herz, das sich vom Heiligen Geist durchdringen und auf die Wege der Liebe führen lässt, die zu den Brüdern und Schwestern führen. Im Grunde ein armes Herz, das um die eigene Armut weiß und sich für den anderen hingibt.
Deswegen, liebe Brüder und Schwestern, möchte ich mit euch in dieser österlichen Bußzeit Christus bitten: „Fac cor nostrum secundum cor tuum – Bilde unser Herz nach deinem Herzen" (Gebetsruf aus der Herz-Jesu-Litanei). Dann werden wir ein starkes und barmherziges, waches und großmütiges Herz haben, das sich nicht in sich selbst verschließt und nicht in den Schwindel der Globalisierung der Gleichgültigkeit verfällt.
Mit diesem Wunsch sage ich mein Gebet zu, damit jeder Gläubige und jede kirchliche Gemeinschaft den Weg der österlichen Bußzeit fruchtbringend beschreite. Und ich bitte euch, für mich zu beten. Möge der Herr euch segnen und die Muttergottes euch behüten!
Aus dem Vatikan, am 4. Oktober 2014,
dem Fest des heiligen Franziskus von Assisi
FRANCISCUS PP.
[00144-05.01] [Originalsprache: Italienisch]
Testo in lingua spagnola
«Fortalezcan sus corazones» (St 5,8)
Queridos hermanos y hermanas:
La Cuaresma es un tiempo de renovación para la Iglesia, para las comunidades y para cada creyente. Pero sobre todo es un «tiempo de gracia» (2 Co 6,2). Dios no nos pide nada que no nos haya dado antes: «Nosotros amemos a Dios porque él nos amó primero» (1 Jn 4,19). Él no es indiferente a nosotros. Está interesado en cada uno de nosotros, nos conoce por nuestro nombre, nos cuida y nos busca cuando lo dejamos. Cada uno de nosotros le interesa; su amor le impide ser indiferente a lo que nos sucede. Pero ocurre que cuando estamos bien y nos sentimos a gusto, nos olvidamos de los demás (algo que Dios Padre no hace jamás), no nos interesan sus problemas, ni sus sufrimientos, ni las injusticias que padecen… Entonces nuestro corazón cae en la indiferencia: yo estoy relativamente bien y a gusto, y me olvido de quienes no están bien. Esta actitud egoísta, de indiferencia, ha alcanzado hoy una dimensión mundial, hasta tal punto que podemos hablar de una globalización de la indiferencia. Se trata de un malestar que tenemos que afrontar como cristianos.
Cuando el pueblo de Dios se convierte a su amor, encuentra las respuestas a las preguntas que la historia le plantea continuamente. Uno de los desafíos más urgentes sobre los que quiero detenerme en este Mensaje es el de la globalización de la indiferencia.
La indiferencia hacia el prójimo y hacia Dios es una tentación real también para los cristianos. Por eso, necesitamos oír en cada Cuaresma el grito de los profetas que levantan su voz y nos despiertan.
Dios no es indiferente al mundo, sino que lo ama hasta el punto de dar a su Hijo por la salvación de cada hombre. En la encarnación, en la vida terrena, en la muerte y resurrección del Hijo de Dios, se abre definitivamente la puerta entre Dios y el hombre, entre el cielo y la tierra. Y la Iglesia es como la mano que tiene abierta esta puerta mediante la proclamación de la Palabra, la celebración de los sacramentos, el testimonio de la fe que actúa por la caridad (cf. Ga 5,6). Sin embargo, el mundo tiende a cerrarse en sí mismo y a cerrar la puerta a través de la cual Dios entra en el mundo y el mundo en Él. Así, la mano, que es la Iglesia, nunca debe sorprenderse si es rechazada, aplastada o herida.
El pueblo de Dios, por tanto, tiene necesidad de renovación, para no ser indiferente y para no cerrarse en sí mismo. Querría proponerles tres pasajes para meditar acerca de esta renovación.
1. «Si un miembro sufre, todos sufren con él» (1 Co 12,26) – La Iglesia
La caridad de Dios que rompe esa cerrazón mortal en sí mismos de la indiferencia, nos la ofrece la Iglesia con sus enseñanzas y, sobre todo, con su testimonio. Sin embargo, sólo se puede testimoniar lo que antes se ha experimentado. El cristiano es aquel que permite que Dios lo revista de su bondad y misericordia, que lo revista de Cristo, para llegar a ser como Él, siervo de Dios y de los hombres. Nos lo recuerda la liturgia del Jueves Santo con el rito del lavatorio de los pies. Pedro no quería que Jesús le lavase los pies, pero después entendió que Jesús no quería ser sólo un ejemplo de cómo debemos lavarnos los pies unos a otros. Este servicio sólo lo puede hacer quien antes se ha dejado lavar los pies por Cristo. Sólo éstos tienen "parte" con Él (Jn 13,8) y así pueden servir al hombre.
La Cuaresma es un tiempo propicio para dejarnos servir por Cristo y así llegar a ser como Él. Esto sucede cuando escuchamos la Palabra de Dios y cuando recibimos los sacramentos, en particular la Eucaristía. En ella nos convertimos en lo que recibimos: el cuerpo de Cristo. En él no hay lugar para la indiferencia, que tan a menudo parece tener tanto poder en nuestros corazones. Quien es de Cristo pertenece a un solo cuerpo y en Él no se es indiferente hacia los demás. «Si un miembro sufre, todos sufren con él; y si un miembro es honrado, todos se alegran con él» (1 Co 12,26).
La Iglesia es communio sanctorum porque en ella participan los santos, pero a su vez porque es comunión de cosas santas: el amor de Dios que se nos reveló en Cristo y todos sus dones. Entre éstos está también la respuesta de cuantos se dejan tocar por ese amor. En esta comunión de los santos y en esta participación en las cosas santas, nadie posee sólo para sí mismo, sino que lo que tiene es para todos. Y puesto que estamos unidos en Dios, podemos hacer algo también por quienes están lejos, por aquellos a quienes nunca podríamos llegar sólo con nuestras fuerzas, porque con ellos y por ellos rezamos a Dios para que todos nos abramos a su obra de salvación.
2. «¿Dónde está tu hermano?» (Gn 4,9) – Las parroquias y las comunidades
Lo que hemos dicho para la Iglesia universal es necesario traducirlo en la vida de las parroquias y comunidades. En estas realidades eclesiales ¿se tiene la experiencia de que formamos parte de un solo cuerpo? ¿Un cuerpo que recibe y comparte lo que Dios quiere donar? ¿Un cuerpo que conoce a sus miembros más débiles, pobres y pequeños, y se hace cargo de ellos? ¿O nos refugiamos en un amor universal que se compromete con los que están lejos en el mundo, pero olvida al Lázaro sentado delante de su propia puerta cerrada? (cf. Lc 16,19-31).
Para recibir y hacer fructificar plenamente lo que Dios nos da es preciso superar los confines de la Iglesia visible en dos direcciones.
En primer lugar, uniéndonos a la Iglesia del cielo en la oración. Cuando la Iglesia terrenal ora, se instaura una comunión de servicio y de bien mutuos que llega ante Dios. Junto con los santos, que encontraron su plenitud en Dios, formamos parte de la comunión en la cual el amor vence la indiferencia. La Iglesia del cielo no es triunfante porque ha dado la espalda a los sufrimientos del mundo y goza en solitario. Los santos ya contemplan y gozan, gracias a que, con la muerte y la resurrección de Jesús, vencieron definitivamente la indiferencia, la dureza de corazón y el odio. Hasta que esta victoria del amor no inunde todo el mundo, los santos caminan con nosotros, todavía peregrinos. Santa Teresa de Lisieux, doctora de la Iglesia, escribía convencida de que la alegría en el cielo por la victoria del amor crucificado no es plena mientras haya un solo hombre en la tierra que sufra y gima: «Cuento mucho con no permanecer inactiva en el cielo, mi deseo es seguir trabajando para la Iglesia y para las almas» (Carta 254,14 julio 1897).
También nosotros participamos de los méritos y de la alegría de los santos, así como ellos participan de nuestra lucha y nuestro deseo de paz y reconciliación. Su alegría por la victoria de Cristo resucitado es para nosotros motivo de fuerza para superar tantas formas de indiferencia y de dureza de corazón.
Por otra parte, toda comunidad cristiana está llamada a cruzar el umbral que la pone en relación con la sociedad que la rodea, con los pobres y los alejados. La Iglesia por naturaleza es misionera, no debe quedarse replegada en sí misma, sino que es enviada a todos los hombres.
Esta misión es el testimonio paciente de Aquel que quiere llevar toda la realidad y cada hombre al Padre. La misión es lo que el amor no puede callar. La Iglesia sigue a Jesucristo por el camino que la lleva a cada hombre, hasta los confines de la tierra (cf. Hch 1,8). Así podemos ver en nuestro prójimo al hermano y a la hermana por quienes Cristo murió y resucitó. Lo que hemos recibido, lo hemos recibido también para ellos. E, igualmente, lo que estos hermanos poseen es un don para la Iglesia y para toda la humanidad.
Queridos hermanos y hermanas, cuánto deseo que los lugares en los que se manifiesta la Iglesia, en particular nuestras parroquias y nuestras comunidades, lleguen a ser islas de misericordia en medio del mar de la indiferencia.
3. «Fortalezcan sus corazones» (St 5,8) – La persona creyente
También como individuos tenemos la tentación de la indiferencia. Estamos saturados de noticias e imágenes tremendas que nos narran el sufrimiento humano y, al mismo tiempo, sentimos toda nuestra incapacidad para intervenir. ¿Qué podemos hacer para no dejarnos absorber por esta espiral de horror y de impotencia?
En primer lugar, podemos orar en la comunión de la Iglesia terrenal y celestial. No olvidemos la fuerza de la oración de tantas personas. La iniciativa 24 horas para el Señor, que deseo que se celebre en toda la Iglesia —también a nivel diocesano—, en los días 13 y 14 de marzo, es expresión de esta necesidad de la oración.
En segundo lugar, podemos ayudar con gestos de caridad, llegando tanto a las personas cercanas como a las lejanas, gracias a los numerosos organismos de caridad de la Iglesia. La Cuaresma es un tiempo propicio para mostrar interés por el otro, con un signo concreto, aunque sea pequeño, de nuestra participación en la misma humanidad.
Y, en tercer lugar, el sufrimiento del otro constituye un llamado a la conversión, porque la necesidad del hermano me recuerda la fragilidad de mi vida, mi dependencia de Dios y de los hermanos. Si pedimos humildemente la gracia de Dios y aceptamos los límites de nuestras posibilidades, confiaremos en las infinitas posibilidades que nos reserva el amor de Dios. Y podremos resistir a la tentación diabólica que nos hace creer que nosotros solos podemos salvar al mundo y a nosotros mismos.
Para superar la indiferencia y nuestras pretensiones de omnipotencia, quiero pedir a todos que este tiempo de Cuaresma se viva como un camino de formación del corazón, como dijo Benedicto XVI (Ct. enc. Deus caritas est, 31). Tener un corazón misericordioso no significa tener un corazón débil. Quien desea ser misericordioso necesita un corazón fuerte, firme, cerrado al tentador, pero abierto a Dios. Un corazón que se deje impregnar por el Espíritu y guiar por los caminos del amor que nos llevan a los hermanos y hermanas. En definitiva, un corazón pobre, que conoce sus propias pobrezas y lo da todo por el otro.
Por esto, queridos hermanos y hermanas, deseo orar con ustedes a Cristo en esta Cuaresma: "Fac cor nostrum secundum Cor tuum": "Haz nuestro corazón semejante al tuyo" (Súplica de las Letanías al Sagrado Corazón de Jesús). De ese modo tendremos un corazón fuerte y misericordioso, vigilante y generoso, que no se deje encerrar en sí mismo y no caiga en el vértigo de la globalización de la indiferencia.
Con este deseo, aseguro mi oración para que todo creyente y toda comunidad eclesial recorra provechosamente el itinerario cuaresmal, y les pido que recen por mí. Que el Señor los bendiga y la Virgen los guarde.
Vaticano, 4 de octubre de 2014
Fiesta de san Francisco de Asís
FRANCISCUS PP.
[00144-04.01] [Texto original: Italiano]
Testo in lingua portoghese
«Fortalecei os vossos corações» (Tg 5, 8)
Amados irmãos e irmãs,
Tempo de renovação para a Igreja, para as comunidades e para cada um dos fiéis, a Quaresma é sobretudo um «tempo favorável» de graça (cf. 2 Cor 6, 2). Deus nada nos pede, que antes não no-lo tenha dado: «Nós amamos, porque Ele nos amou primeiro» (1 Jo 4, 19). Ele não nos olha com indiferença; pelo contrário, tem a peito cada um de nós, conhece-nos pelo nome, cuida de nós e vai à nossa procura, quando O deixamos. Interessa-Se por cada um de nós; o seu amor impede-Lhe de ficar indiferente perante aquilo que nos acontece. Coisa diversa se passa connosco! Quando estamos bem e comodamente instalados, esquecemo-nos certamente dos outros (isto, Deus Pai nunca o faz!), não nos interessam os seus problemas, nem as tribulações e injustiças que sofrem; e, assim, o nosso coração cai na indiferença: encontrando-me relativamente bem e confortável, esqueço-me dos que não estão bem! Hoje, esta atitude egoísta de indiferença atingiu uma dimensão mundial tal que podemos falar de uma globalização da indiferença. Trata-se de um mal-estar que temos obrigação, como cristãos, de enfrentar.
Quando o povo de Deus se converte ao seu amor, encontra resposta para as questões que a história continuamente nos coloca. E um dos desafios mais urgentes, sobre o qual me quero deter nesta Mensagem, é o da globalização da indiferença.
Dado que a indiferença para com o próximo e para com Deus é uma tentação real também para nós, cristãos, temos necessidade de ouvir, em cada Quaresma, o brado dos profetas que levantam a voz para nos despertar.
A Deus não Lhe é indiferente o mundo, mas ama-o até ao ponto de entregar o seu Filho pela salvação de todo o homem. Na encarnação, na vida terrena, na morte e ressurreição do Filho de Deus, abre-se definitivamente a porta entre Deus e o homem, entre o Céu e a terra. E a Igreja é como a mão que mantém aberta esta porta, por meio da proclamação da Palavra, da celebração dos Sacramentos, do testemunho da fé que se torna eficaz pelo amor (cf. Gl 5, 6). O mundo, porém, tende a fechar-se em si mesmo e a fechar a referida porta através da qual Deus entra no mundo e o mundo n'Ele. Sendo assim, a mão, que é a Igreja, não deve jamais surpreender-se, se se vir rejeitada, esmagada e ferida.
Por isso, o povo de Deus tem necessidade de renovação, para não cair na indiferença nem se fechar em si mesmo. Tendo em vista esta renovação, gostaria de vos propor três textos para a vossa meditação.
1. «Se um membro sofre, com ele sofrem todos os membros» (1 Cor 12, 26): A Igreja.
Com o seu ensinamento e sobretudo com o seu testemunho, a Igreja oferece-nos o amor de Deus, que rompe esta reclusão mortal em nós mesmos que é a indiferença. Mas, só se pode testemunhar algo que antes experimentámos. O cristão é aquele que permite a Deus revesti-lo da sua bondade e misericórdia, revesti-lo de Cristo para se tornar, como Ele, servo de Deus e dos homens. Bem no-lo recorda a liturgia de Quinta-feira Santa com o rito do lava-pés. Pedro não queria que Jesus lhe lavasse os pés, mas depois compreendeu que Jesus não pretendia apenas exemplificar como devemos lavar os pés uns aos outros; este serviço, só o pode fazer quem, primeiro, se deixou lavar os pés por Cristo. Só essa pessoa «tem a haver com Ele» (cf. Jo 13, 8), podendo assim servir o homem.
A Quaresma é um tempo propício para nos deixarmos servir por Cristo e, deste modo, tornarmo-nos como Ele. Verifica-se isto quando ouvimos a Palavra de Deus e recebemos os sacramentos, nomeadamente a Eucaristia. Nesta, tornamo-nos naquilo que recebemos: o corpo de Cristo. Neste corpo, não encontra lugar a tal indiferença que, com tanta frequência, parece apoderar-se dos nossos corações; porque, quem é de Cristo, pertence a um único corpo e, n'Ele, um não olha com indiferença o outro. «Assim, se um membro sofre, com ele sofrem todos os membros; se um membro é honrado, todos os membros participam da sua alegria» (1 Cor 12, 26).
A Igreja é communio sanctorum, não só porque, nela, tomam parte os Santos mas também porque é comunhão de coisas santas: o amor de Deus, que nos foi revelado em Cristo, e todos os seus dons; e, entre estes, há que incluir também a resposta de quantos se deixam alcançar por tal amor. Nesta comunhão dos Santos e nesta participação nas coisas santas, aquilo que cada um possui, não o reserva só para si, mas tudo é para todos. E, dado que estamos interligados em Deus, podemos fazer algo mesmo pelos que estão longe, por aqueles que não poderíamos jamais, com as nossas simples forças, alcançar: rezamos com eles e por eles a Deus, para que todos nos abramos à sua obra de salvação.
2. «Onde está o teu irmão?» (Gn 4, 9): As paróquias e as comunidades
Tudo o que se disse a propósito da Igreja universal é necessário agora traduzi-lo na vida das paróquias e comunidades. Nestas realidades eclesiais, consegue-se porventura experimentar que fazemos parte de um único corpo? Um corpo que, simultaneamente, recebe e partilha aquilo que Deus nos quer dar? Um corpo que conhece e cuida dos seus membros mais frágeis, pobres e pequeninos? Ou refugiamo-nos num amor universal pronto a comprometer-se lá longe no mundo, mas que esquece o Lázaro sentado à sua porta fechada (cf. Lc 16, 19-31)?
Para receber e fazer frutificar plenamente aquilo que Deus nos dá, deve-se ultrapassar as fronteiras da Igreja visível em duas direcções.
Em primeiro lugar, unindo-nos à Igreja do Céu na oração. Quando a Igreja terrena reza, instaura-se reciprocamente uma comunhão de serviços e bens que chega até à presença de Deus. Juntamente com os Santos, que encontraram a sua plenitude em Deus, fazemos parte daquela comunhão onde a indiferença é vencida pelo amor. A Igreja do Céu não é triunfante, porque deixou para trás as tribulações do mundo e usufrui sozinha do gozo eterno; antes pelo contrário, pois aos Santos é concedido já contemplar e rejubilar com o facto de terem vencido definitivamente a indiferença, a dureza de coração e o ódio, graças à morte e ressurreição de Jesus. E, enquanto esta vitória do amor não impregnar todo o mundo, os Santos caminham connosco, que ainda somos peregrinos. Convicta de que a alegria no Céu pela vitória do amor crucificado não é plena enquanto houver, na terra, um só homem que sofra e gema, escrevia Santa Teresa de Lisieux, doutora da Igreja: «Muito espero não ficar inactiva no Céu; o meu desejo é continuar a trabalhar pela Igreja e pelas almas» (Carta 254, de 14 de Julho de 1897).
Também nós participamos dos méritos e da alegria dos Santos e eles tomam parte na nossa luta e no nosso desejo de paz e reconciliação. Para nós, a sua alegria pela vitória de Cristo ressuscitado é origem de força para superar tantas formas de indiferença e dureza de coração.
Em segundo lugar, cada comunidade cristã é chamada a atravessar o limiar que a põe em relação com a sociedade circundante, com os pobres e com os incrédulos. A Igreja é, por sua natureza, missionária, não fechada em si mesma, mas enviada a todos os homens.
Esta missão é o paciente testemunho d'Aquele que quer conduzir ao Pai toda a realidade e todo o homem. A missão é aquilo que o amor não pode calar. A Igreja segue Jesus Cristo pela estrada que a conduz a cada homem, até aos confins da terra (cf. Act 1, 8). Assim podemos ver, no nosso próximo, o irmão e a irmã pelos quais Cristo morreu e ressuscitou. Tudo aquilo que recebemos, recebemo-lo também para eles. E, vice-versa, tudo o que estes irmãos possuem é um dom para a Igreja e para a humanidade inteira.
Amados irmãos e irmãs, como desejo que os lugares onde a Igreja se manifesta, particularmente as nossas paróquias e as nossas comunidades, se tornem ilhas de misericórdia no meio do mar da indiferença!
3. «Fortalecei os vossos corações» (Tg 5, 8): Cada um dos fiéis
Também como indivíduos temos a tentação da indiferença. Estamos saturados de notícias e imagens impressionantes que nos relatam o sofrimento humano, sentindo ao mesmo tempo toda a nossa incapacidade de intervir. Que fazer para não nos deixarmos absorver por esta espiral de terror e impotência?
Em primeiro lugar, podemos rezar na comunhão da Igreja terrena e celeste. Não subestimemos a força da oração de muitos! A iniciativa 24 horas para o Senhor, que espero se celebre em toda a Igreja – mesmo a nível diocesano – nos dias 13 e 14 de Março, pretende dar expressão a esta necessidade da oração.
Em segundo lugar, podemos levar ajuda, com gestos de caridade, tanto a quem vive próximo de nós como a quem está longe, graças aos inúmeros organismos caritativos da Igreja. A Quaresma é um tempo propício para mostrar este interesse pelo outro, através de um sinal – mesmo pequeno, mas concreto – da nossa participação na humanidade que temos em comum.
E, em terceiro lugar, o sofrimento do próximo constitui um apelo à conversão, porque a necessidade do irmão recorda-me a fragilidade da minha vida, a minha dependência de Deus e dos irmãos. Se humildemente pedirmos a graça de Deus e aceitarmos os limites das nossas possibilidades, então confiaremos nas possibilidades infinitas que tem de reserva o amor de Deus. E poderemos resistir à tentação diabólica que nos leva a crer que podemos salvar-nos e salvar o mundo sozinhos.
Para superar a indiferença e as nossas pretensões de omnipotência, gostaria de pedir a todos para viverem este tempo de Quaresma como um percurso de formação do coração, a que nos convidava Bento XVI (Carta enc. Deus caritas est, 31). Ter um coração misericordioso não significa ter um coração débil. Quem quer ser misericordioso precisa de um coração forte, firme, fechado ao tentador mas aberto a Deus; um coração que se deixe impregnar pelo Espírito e levar pelos caminhos do amor que conduzem aos irmãos e irmãs; no fundo, um coração pobre, isto é, que conhece as suas limitações e se gasta pelo outro.
Por isso, amados irmãos e irmãs, nesta Quaresma desejo rezar convosco a Cristo: «Fac cor nostrum secundum cor tuum – Fazei o nosso coração semelhante ao vosso» (Súplica das Ladainhas ao Sagrado Coração de Jesus). Teremos assim um coração forte e misericordioso, vigilante e generoso, que não se deixa fechar em si mesmo nem cai na vertigem da globalização da indiferença.
Com estes votos, asseguro a minha oração por cada crente e cada comunidade eclesial para que percorram, frutuosamente, o itinerário quaresmal, enquanto, por minha vez, vos peço que rezeis por mim. Que o Senhor vos abençoe e Nossa Senhora vos guarde!
Vaticano, Festa de São Francisco de Assis,
4 de Outubro de 2014.
FRANCISCUS PP.
[00144-06.01] [Texto original: Italiano]
Testo in lingua polacca
«Umacniajcie serca wasze» (Jk 5, 8)
Drodzy Bracia i Siostry!
Wielki Post jest czasem odnowy dla Kościoła, wspólnot i poszczególnych wiernych. Przede wszystkim jednak jest „czasem łaski” (por. 2 Kor 6, 2). Bóg nie prosi nas o nic, czego by nam wcześniej nie dał: „My miłujemy [Boga], ponieważ Bóg sam pierwszy nas umiłował” (1 J 4, 19). Nie jesteśmy Mu obojętni. Zależy Mu na każdym z nas, zna nas po imieniu, troszczy się o nas i nas szuka, kiedy Go opuszczamy. Interesuje się każdym z nas; Jego miłość nie pozwala Mu być obojętnym na to, co nam się przydarza. Jednak bywa tak, że kiedy my mamy się dobrze i żyje się nam wygodnie, oczywiście zapominamy o innych (Bogu nie zdarza się to nigdy), nie obchodzą nas ich problemy, ich cierpienia i krzywdy, jakich zaznają..., wtedy nasze serce popada w obojętność – gdy ja mam się względnie dobrze i żyję wygodnie, zapominam o ludziach, którzy nie mają się dobrze. Ta egoistyczna postawa obojętności przybrała dziś rozmiary światowe, tak iż możemy mówić o globalizacji obojętności. Jest to problem, któremu jako chrześcijanie musimy stawić czoło.
Kiedy lud Boży nawraca się na Jego miłość, znajduje odpowiedzi na te pytania, które nieustannie stawia mu historia. Jednym z najpilniejszych wyzwań, któremu chcę poświęcić uwagę w tym Orędziu, jest globalizacja obojętności.
Obojętność wobec bliźniego i wobec Boga jest realną pokusą także dla nas, chrześcijan. Dlatego potrzebujemy słuchać w każdym Wielkim Poście nawoływania proroków, którzy podnoszą głos i nas przebudzają.
Bóg nie jest obojętny na świat – kocha go do tego stopnia, że daje swojego Syna dla zbawienia każdego człowieka. Przez wcielenie, życie ziemskie, śmierć i zmartwychwstanie Syna Bożego otwiera się definitywnie brama między Bogiem a człowiekiem, między niebem a ziemią. A Kościół jest niczym ręka, która trzyma tę bramę otwartą poprzez głoszenie Słowa, sprawowanie sakramentów, dawanie świadectwa wiary, która działa przez miłość (por. Ga 5, 6). Jednakże świat ma tendencję do zamykania się w sobie i zamykania tej bramy, przez którą Bóg wchodzi w świat, a świat w Niego. Dlatego ręka, którą jest Kościół, nie powinna nigdy się dziwić, że jest odpychana, miażdżona i raniona.
A zatem lud Boży potrzebuje odnowy, aby nie zobojętniał i nie zamknął się w sobie. Chciałbym wam zaproponować do rozważenia pod kątem tej odnowy trzy passusy.
- „Gdy cierpi jeden członek, współcierpią wszystkie inne członki” (1 Kor 12, 26) –Kościół
Miłość Boża, która przełamuje to śmiertelne zamknięcie w sobie, jakim jest obojętność, jest nam ukazywana przez Kościół poprzez jego nauczanie, a przede wszystkim poprzez jego świadectwo. Można jednak dawać świadectwo jedynie o czymś, czego wcześniej doświadczyliśmy. Chrześcijanin to człowiek, który pozwala Bogu, aby go przyoblókł w swoją dobroć i swoje miłosierdzie, aby go przyoblókł w Chrystusa, żeby stał się tak jak On sługą Boga i ludzi. Przypomina nam o tym dobrze liturgia Wielkiego Czwartku przez obrzęd umywania nóg. Piotr nie chciał, żeby Jezus umył mu nogi, potem jednak zrozumiał, że Jezus nie chce jedynie dać przykładu, jak powinniśmy umywać sobie nawzajem nogi. Tę posługę może pełnić tylko ktoś, kto wcześniej pozwolił, by Chrystus umył mu nogi. Jedynie ten ma z Nim „udział” (J 13, 8) i dzięki temu może służyć człowiekowi.
Wielki Post jest czasem sprzyjającym temu, aby pozwolić Chrystusowi, by nam usłużył, a przez to stać się takim jak On. Dzieje się to, kiedy słuchamy Słowa Bożego i kiedy przyjmujemy sakramenty, w szczególności Eucharystię. W niej stajemy się tym, co przyjmujemy: ciałem Chrystusa. W tym ciele nie ma miejsca na obojętność, która jakże często zdaje się opanowywać nasze serca. Bowiem człowiek, który jest Chrystusowy, należy do jednego ciała, a w Nim nie jest się obojętnym jedni wobec drugich. „Tak więc gdy cierpi jeden członek, współcierpią wszystkie inne członki; podobnie gdy jednemu członkowi okazywane jest poszanowanie, współradują się wszystkie członki (1 Kor 12, 26).
Kościół jest communio sanctorum, ponieważ mają w nim udział święci, ale także dlatego, że jest komunią rzeczy świętych: miłości Bożej, objawionej nam w Chrystusie, i wszystkich Jego darów. Wśród nich jest także odpowiedź tych, kórzy pozwalają, aby ich dosięgnęła ta miłość. W tym świętych obcowaniu i w tym uczestnictwie w rzeczach świętych nikt nie posiada tylko dla siebie, lecz to, co ma, jest dla wszystkich. A ponieważ jesteśmy złączeni w Bogu, możemy zrobić coś także dla tych, którzy są daleko, dla tych, do których o własnych tylko siłach nie moglibyśmy nigdy dotrzeć, bowiem z nimi i za nich modlimy się do Boga, abyśmy wszyscy otworzyli się na Jego zbawcze dzieło.
- „Gdzie jest brat twój?”(Rdz 4, 9) – Parafie i wspólnoty
To co zostało powiedziane odnośnie do Kościoła powszechnego, trzeba zastosować w życiu parafii i wspólnot. Czy w tych rzeczywistościach kościelnych daje się doświadczyć przynależności do jednego ciała? Ciała, które zarazem otrzymuje i dzieli się tym, co Bóg pragnie ofiarować? Ciała, które zna i troszczy się o swoje najsłabsze członki, ubogie i małe? Czy też chronimy się w miłość uniwersalną, która angażuje się daleko w świecie, zapominając o Łazarzu, który siedzi przed naszymi zamkniętymi drzwiami? (por. Łk 16, 19-31).
Aby przyjąć i w pełni owocnie wykorzystać to, co Bóg nam daje, trzeba pokonać granice Kościoła widzialnego w dwóch kierunkach.
Po pierwsze, jednocząc się w modlitwie z Kościołem w niebie. Kiedy ziemski Kościół się modli, powstaje wspólnota wzajemnej służby i dobra, która dociera aż przed oblicze Boga. Ze świętymi, którzy znaleźli swoją pełnię w Bogu, stanowimy część tej wspólnoty, w której obojętność zostaje przezwyciężona przez miłość. Kościół niebieski nie jest tryumfujący dlatego, że odwrócił się plecami do cierpień świata i sam zaznaje radości. Raczej święci mogą już kontemplować i radować się z faktu, że dzięki śmierci i zmartwychwstaniu Jezusa pokonali ostatecznie obojętność, zatwardziałość serca i nienawiść. Dopóki to zwycięstwo miłości nie ogarnie całego świata, święci wędrują z nami jeszcze jako pielgrzymi. Św. Teresa z Lisieux, doktor Kościoła, przekonana, że radość w niebie ze zwycięstwa miłości ukrzyżowanej nie jest pełna, dopóki choćby tylko jeden człowiek na ziemi cierpi i się skarży, pisała: „Bardzo liczę na to, że nie będę bezczynna w niebie, moim pragnieniem jest nadal pracować dla Kościoła i dla dusz” (List 254 z 14 lipca 1897 r.).
My również mamy udział w zasługach i radości świętych, a oni uczestniczą w naszej walce i w naszym pragnieniu pokoju i pojednania. Ich radość ze zwycięstwa zmartwychwstałego Chrystusa jest dla nas źródłem siły, aby przezwyciężyć liczne formy obojętności i zatwardziałości serca.
Z drugiej strony, każda wspólnota chrześcijańska jest powołana do przekraczania progu, który pozwala jej wejść w relację z otaczającym ją społeczeństwem, z ubogimi i dalekimi. Kościół ze swej natury jest misyjny, nie zasklepiony na samym sobie, ale posłany do wszystkich ludzi.
Tą misją jest cierpliwe dawanie świadectwa o Tym, który chce doprowadzić do Ojca całą rzeczywistość i każdego człowieka. Misja jest tym, czego miłość nie może przemilczeć. Kościół idzie za Jezusem Chrystusem drogą, która go prowadzi do każdego człowieka, aż po krańce ziemi (por. Dz 1, 8). W ten sposób możemy zobaczyć w naszym bliźnim brata i siostrę, za których Chrystus umarł i zmartwychwstał. Wszystko, co otrzymaliśmy, otrzymaliśmy także dla nich. I podobnie, to co ci bracia posiadają, jest darem dla Kościoła i dla całej ludzkości.
Drodzy bracia i siostry, jakże pragnę, aby miejsca, w których wyraża się Kościół, w szczególności nasze parafie i nasze wspólnoty, stały się wyspami miłosierdzia na morzu obojętności!
- „Umacniajcie serca wasze!”(Jk 5, 3) – Poszczególny wierny
Również jako pojedyncze osoby mamy pokusę obojętności. Mamy przesyt wstrząsających wiadomości i obrazów, które nam opowiadają o ludzkim cierpieniu, i zarazem czujemy całą naszą niemożność działania. Co zrobić, aby nie dać się wciągnąć w tę spiralę przerażenia i bezsilności?
Po pierwsze, możemy modlić się we wspólnocie Kościoła ziemskiego i niebieskiego. Nie lekceważmy siły modlitwy wielu! Inicjatywa 24 ore per il Signore – „24 godziny dla Pana” – która, jak ufam, będzie podjęta w całym Kościele, także na szczeblu diecezjalnym, w dniach 13 i 14 marca, ma być wyrazem tej potrzeby modlitwy.
Po drugie, możemy pomagać poprzez gesty miłosierdzia, docierając zarówno do bliskich, jak i dalekich dzięki licznym organizacjom charytatywnym Kościoła. Wielki Post jest czasem sprzyjającym temu, aby okazać to zainteresowanie drugiemu, poprzez znak, choćby mały, ale konkretny, naszego udziału w powszechnym człowieczeństwie.
I po trzecie, cierpienie drugiego stanowi wezwanie do nawrócenia, bowiem potrzeba, w jakiej znajduje się brat, przypomina mi o słabości mojego życia, o mojej zależności od Boga i od braci. Jeżeli pokornie będziemy prosić o łaskę Bożą i pogodzimy się z tym, że nasze możliwości są ograniczone, wówczas zaufamy w nieskończone możliwości, jakie kryją się w miłości Bożej. I będziemy mogli oprzeć się diabelskiej pokusie, która skłania nas do wierzenia, że sami możemy się zbawić i zbawić świat.
Chciałbym was wszystkich prosić, abyśmy dla przezwyciężenia obojętności i naszych pretensji do wszechmocy przeżywali ten czas Wielkiego Postu jako drogę formacji serca, jak wyraził się Benedykt XVI (por. enc. Deus caritas est, 31). Mieć serce miłosierne to nie znaczy mieć serce słabe. Kto chce być miłosierny, musi mieć serce mocne, stałe, niedostępne dla kusiciela, a otwarte na Boga. Serce, które pozwala przeniknąć się Duchowi i daje się prowadzić na drogi miłości, które wiodą do braci i sióstr. W gruncie rzeczy serce ubogie, czyli takie, które zna swoje ubóstwo i poświęca się dla drugiego.
Dlatego, drodzy bracia i siostry, pragnę modlić się razem z wami do Chrystusa w tym Wielkim Poście: „Fac cor nostrum secundum cor tuum” – „Uczyń serca nasze według serca Twego” (Suplikacja z Litanii do Najświętszego Serca Jezusa). Wówczas będziemy mieli serce mocne i miłosierne, czujne i szczodre, które nie daje się zamknąć w sobie i nie wpada w wir globalizacji obojętności.
Wyrażając to pragnienie, zapewniam o mojej modlitwie o to, aby każdy człowiek wierzący i każda wspólnota kościelna owocnie przebyli tę drogę wielkopostną, i proszę was o modlitwę za mnie. Niech Pan wam błogosławi, a Matka Boża niech was otacza opieką.
Watykan, 4 października 2014 r.
Święto św. Franciszka z Asyżu
FRANCISCUS PP.
[00144-09.01] [Testo originale: Italiano]
Testo in lingua araba
رسالة قداسة البابا فرنسيس
لصوم 2015
"ثبّتوا قلوبكم" (يع 5: 8)
أيّها الإخوة والأخوات الأحبّاء،
زمن الصّوم هو زمن تجديد للكنيسة وللجماعات وللمؤمنين الأفراد. لكنّه، قبل كلّ شيء، "زمن نعمة" (2 قور 6: 2). لا يطلب الله منّا شيئا لم يكن قد أعطانا أيّاه أوّلا: "نحن نحبّ لأنّه هو أحبّنا أولا" (1 يو 4: 19). إنّه ليس لا مُبالٍ تُجاهنا. كلّ منّا عزيزٌ على قلبه، يعرفنا بالاسم، يرعانا ويفتّش عنّا عندما نتركه. يهتمّ لأمر كلّ منّا؛ محبّته تمنعه أن يكون لا مُبالٍ بما يحدث لنا. لكن يحدث انّه، عندما نكون نحن بخير وعندما نشعر بالراحة، ننسى، بكلّ تأكيد، الآخرين (وهذا ما لا يفعله الله الآب أبدا)، لا نهتمّ لمشاكلهم، ولا لآلامهم ولا للمظالم الّتي يتحمّلونها... عندها يقع قلبنا في اللاّمبلاة: عندما أكون بخير وراحة نسبيّا، أنسى أمر الّذين ليسوا بخير. هذا الموقف الأنانيّ، موقف اللاّمبلاة، أخذ اليوم بُعدًا عالميًّا، لدرجة أنّه يمكننا التكلّم على عولمة اللاّمبلاة. هذا أمر مزعج، علينا كمسيحيّين، مواجهته.
عندما يرجع شعب الله إلى محبّته، يجد الإجابات على الإسئلة الّتي لا ينفكّ التاريخ يطرحها عليه. وأريد التوقّف، في هذه الرّسالة، عند أحد التحديّات الملحّة، ألا وهو تحدّي عولمة اللاّمبلاة.
اللاّمبلاة تجاه القريب وتجاه الله هي تجربة واقعيّة لنا أيضا نحن المسيحيّين. لذلك نحن بحاجة لأن نسمع، في كلّ زمن صوم، صرخة الأنبياء الّذين يعلون الصوت ويوقظننا.
الله ليس لامبال تجاه العالم، لكنّه يحبّه لدرجة إعطاء ابنه لخلاص كلّ إنسان. في تجسّد ابن الله، في حياته على الأرض، في موته وقيامته، فُتِحَ الباب بشكل نهائي بين الله والإنسان، بين الأرض والسماء. والكنيسة كأنّها تلك اليد الّتي تمسك هذا الباب مفتوحا بواسطة إعلان الكلمة، والاحتفال بالأسرار، والشهادة للإيمان الّذي يصبّح فعّالا بالمحبّة (راجع غل 5: 6). لكنّ العالم يميل إلى إلإنغلاق على ذاته وإلى إغلاق ذلك الباب الّذي يدخل منه الله إلى العالم والعالم إلى الله. هكذا، لا يجب أبدا على اليد، الّتي هي الكنيسة، أن تعجب في حال رُفضت، وسُحقت وجُرحت.
لذلك فإنّ شعب الله بحاجة إلى تجديد، كي لا يصبح لامبال وكي لا ينغلق على ذاته. وأريد أن أعرض عليكم ثلاث مراحل للتأمّل في هذا التّجديد.
1. "إن تألّم عضوٌ واحد، فمعه تتألّم جميع الأعضاء" (1 قور 12: 26) - الكنيسة
محبّة الله الّتي تكسر هذا الإنغلاق المميت على الذات الّذي هو اللاّمبلاة، تهبُها لنا الكنيسة بواسطة تعليمها، وبشكل خاص، بواسطة شهادتها. لكن يمكن فقط الشهادة لشيء نكون قد خبرناه مسبقا. المسيحيّ هو ذلك الشّخص الّذي يسمح لله بأن يُلبسه طيبته ورحمته، بأن يلبسه المسيح، لكي يصبح مثله، خادما لله وللناس. هذا ما تذكّرنا به جيّدا ليتورجية خميس الأسرار في رتبة غسل الأقدام. لم يرد بطرس أن يغسل يسوع قدميه، لكنّه سرعان ما أدرك أن يسوع لا يريد أن يكون فقط مثالا في كيفيّة غسل أقدام بعضنا البعض. هذه الخدمة يمكن أن يقوم بها فقط من يكون أوَّلاً قد قَبِلَ أن تُغسل قدميه من قبل المسيح. هذا فقط لديه "نصيب" معه (يو 13: 8)، وهكذا يمكنه ان يخدم الإنسان.
زمن الصوم هو زمن مناسب كي نترك ذواتنا نُخدَم من قبل المسيح، وهكذا نُصبح مثله. هذا يحصل عندما نسمع كلمة الله وعندما نقتبل الأسرار، وبشكل خاص الإفخارستيّا. بها نصبح ما نَقتبل: جسد المسيح. في هذا الجسد، لا يمكن لتلك اللاّمبلاة، الّتي تظهر غالبا وكأنّها تسيطر على قلوبنا، أن تجد مكانا. لأنّ من هو للمسيح ينتمي إلى جسد واحد، وفي المسيح ليس هناك من لامبالين الواحد تجاه الآخر. "لأنّه إن تألّم عضوٌ واحد، فمعه تتألّم جميع الأعضاء. وإن تمجّد عضو واحد، فمعه تفرح جميع الأعضاء" (1 قور 12: 26).
الكنيسة هي جماعة قديسين لأنه فيها يشترك القدّيسون، ولكن أيضا لأنها شراكة مقدّسات: محبّة الله الّتي ظهرت لنا في المسيح وفي كلّ هباته. من ضمن هذه الهبات هناك جواب أولئك الّذين يسمحون أن تبلغهم تلك المحبّة . في شركة القدّيسين هذه وفي هذه المشاركة في المقدّسات، لا يملك أحد شيئا لذاته، لكن ما يملكه هو للجميع. ولأنّنا مترابطون بالله، يمكننا العمل من أجل البعيدين، أولئك الّذين لا يمكننا الوصول أبدا إليهم بواسطة قوانا الذاتيّة، لأنّه معهم ومن أجلهم نصلّي إلى الله، لكي ننفتح جميعا على عمله الخلاصيّ.
2. "أين هو أخوك؟" (تك 4: 9) – الرعايا والجماعات
ما قيل بالنسبة إلى الكنيسة الجامعة يجب ترجمته في حياة الرعايا والجماعات. هل يمكن النجاح في هذا الواقع الكنسيّ في أن نختبر أن نكون جزءا من جسد واحد؟ جسد يقتبل ويتقاسم ما يريد الله أن يعطي؟ جسد يعرف ويهتمّ بأعضائه الأكثر ضعفا، والأكثر فقرا والأصغر؟ أم أنّنا نلجأ إلى محبّة عالميّة تلتزم بعيدا في العالم، لكنّها تنسى لعازر الجالس أمام بابنا المغلق؟ (راجع لو 16: 19-31)
لكي نقتبل ونستثمر بشكل كامل ما يعطينا الله، يجب تجاوز حدود الكنيسة المرئيّة بإتجاهين:
أولا، باتحادنا بكنيسة السماء بالصلاة. عندما تصلّي كنيسة الأرض، تنشأ شراكة خدمة متبادلة وخير يصل إلى حضور الله. مع القدّيسين الّذين وجدوا ملأهم في الله، نشكّل جزءا من هذه الشراكة الّتي فيها تُغلب اللاّمبلاة بالمحبّة. كنيسة السماء ليست منتصرة لأنها أدارت ظهرها لآلام العالم وتنعم منفردة. لكن بالأحرى، القديسون يمكنهم منذ الآن أن يتأمّلوا ويبتهجوا بأنّه، مع موت المسيح وقيامته، قد غلبوا بشكل نهائي اللاّمبلاة، وقساوة القلب والكراهيّة. وإلى أن يتغلغل إنتصار المحبّة هذا في كلّ العالم، ما زال القديسون يسيرون معنا نحن الحجاج. القديسة تريزيا دي ليزيو، معلّمة الكنيسة، كتبت مقتنعة بأن الفرح في السماء بانتصار الحبّ المصلوب ما زال غير مكتمل ما دام هناك إنسان واحد على الأرض يتألّم ويئنّ: "اتطلّع كثيرا أن لا أبقى عاطلة عن العمل في السماء، رغبتي أن أعمل أيضا لأجل الكنيسة ولأجل النفوس" (الرسالة 254، 14 تموز 1897).
نحن أيضا نتشارك في استحقاقات وفي فرح القدّيسين، وهم يشاركوننا صراعنا ورغبتنا في السلام والمصالحة. فرحهم بانتصار المسيح القائم من القبر هو دافع قوّة لنا كي نتخطّى أشكالا كثيرة من اللاّمبلاة وقساوة القلب.
من ناحية ثانية، كلّ جماعة مسيحيّة هي مدعوّة لأن تعبر العتبة الّتي تضعها في علاقة مع المجتمع الّذي يحيط بها، مع الفقراء والبعيدين. الكنيسة رسوليّة بطبيعتها، غير منطوية على نفسها، إنمّا مرسلة إلى جميع الناس.
هذه الرّسالة هي الشهادة الصبورة لمن يريد أن يحمل إلى الآب كلّ الواقع وكلّ إنسان. الرّسالة هي ما لا يمكن للمحبة أن تسكت عنه. الكنيسة تتبع يسوع المسيح على الطريق الّذي يقودها إلى كلّ إنسان، حتى أقاصي الأرض (راجع أع 1: 8). هكذا يمكننا أن نرى في قريبنا الأخ والأخت الّذين لأجلهم مات المسيح وقام. ما اقتبلناه، اقتبلناه أيضا لهم. وبالمقابل، ما يملكه هؤلاء الإخوة هو عطيّة للكنيسة وللإنسانيّة جمعاء.
أيّها الإخوة والأخوات الأحبّاء، كم أرغب أن تصبح الأماكن الّتي تظهر فيها الكنيسة، رعايانا وجماعاتنا بشكل خاص، جزر رحمة في وسط بحر اللاّمبلاة.
3. " ثبّتوا قلوبكم" (يع 5: 8) – المؤمن الفرد
نتعرّض أيضا كأفراد، إلى تجربة اللاّمبلاة. نحن متخمون بالأخبار والصور المزعجة الّتي تخبرنا عن الألم الإنسانيّ، ونشعر في الوقت عينه بكلّ عجزنا عن التدخّل. ما العمل كي لا تبتلعنا دوّامة الرعب والعجز؟
أوّلا، يمكننا الصلاة في شراكة الكنيسة الأرضيّة والسماويّة. لا نهملّن قوّة صلاة الكثيرين! مبادرة 24 ساعة للربّ، الّتي آمل أن يحتفل بها في كلّ الكنيسة، أيضا على الصعيد الأبرشي، في 13 و14 آذار، تهدف أن تعبّر عن الحاجة إلى الصلاة.
ثانيا، يمكننا المساعدة بواسطة لفتات محبّة، تصل إلى القريبين وإلى البعيدين، بفضل كثير من مؤسسات المحبّة في الكنيسة. زمن الصوم هو زمن مناسب لإظهار هذا الاهتمام بالآخر من خلال علامة، ولو صغيرة، لكن ملموسة، لإشتراكنا في الشراكة الإنسانيّة.
وثالثا، ألم الآخر يشكّل نداء للتوبة، لأنّ حاجة الأخ تذكّرني بهشاشة حياتي، وبارتباطي بالله وبالإخوة. عندما نطلب بتواضع نعمة الله ونتقبّل حدود إمكانياتنا، عندها نثق في الإمكانيات اللامتناهيّة الّتي تختزنها محبّة الله. ونتمكّن من مواجهة التجربة الشيطانيّة الّتي تجعلنا نعتقد أنّه يمكن أن نخلّص نفوسنا ونخلّص العالم وحدنا.
كي نتخطّى اللاّمبلاة وادعاءاتنا بالقدرة الكليّة، أريد أن اطلب من الجميع أن يعيشوا زمن الصوم هذا كمسار تنشئة للقلب، كما قال بندكتوس السادس عشر (الرسالة البابويّة، الله محبّة، 31). القلب الرحوم لا يعني قلبا ضعيفا. من يريد أن يكون رحوما يحتاج إلى قلب قويّ، صلب، مغلق بوجه المجرّب، ومنفتح على الله. قلب يترك الروح يتغلغل فينا ويحملنا على طرقات المحبّة الّتي تقودنا إلى الاخوة والأخوات. في العمق، قلب فقير، يعرف فقره الخاص ويبذل ذاته في سبيل الآخر.
لذلك، أيّها الاخوة والأخوات الأعزّاء، أرغب أن أصلّي معكم للمسيح في زمن الصوم هذا: "إجعل قلبنا مثل قلبك" (طلبة قلب يسوع الأقدس). عندها يكون لنا قلب قويّ رحوم، يقظ وكريم، لا ينغلق على ذاته ولا يقع في دوار عولمة اللاّمبلاة.
على هذا الأمل، أؤكّد صلاتي كي يقوم كلّ مؤمن وكلّ جماعة كنسيّة بعبور مثمر لمسيرة الصوم، وأطلب منكم الصلاة من أجلي. بارككم الربّ وحرستكم السيّدة العذراء اللامبالاة.
عن الفاتيكان، 4 تشرين الأوّل 2014
عيد القديس فرنسيس الأسيزي
[00144-08.01] [Testo originale: Italiano]
[B0070-XX.01]