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Conferenza Stampa di presentazione del Messaggio del Santo Padre Francesco per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato (18 gennaio 2015), 23.09.2014


Intervento del Cardinale Antonio Maria Vegliò

Intervento di S.E. Mons. Joseph Kalathiparambil

Alle ore 11.30 di questa mattina, nell’Aula Giovanni Paolo II della Sala Stampa della Santa Sede, si tiene la conferenza stampa di presentazione del Messaggio del Santo Padre Francesco per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato (18 gennaio 2015), che ha per tema: Chiesa senza frontiere, madre di tutti.

Intervengono: l’Em.mo Card. Antonio Maria Vegliò, Presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti e S.E. Mons. Joseph Kalathiparambil, Segretario del medesimo Pontificio Consiglio. 
Ne pubblichiamo di seguito gli interventi:

Intervento del Cardinale Antonio Maria Vegliò

Sono lieto di avere il privilegio di presentarVi oggi il Messaggio del Santo Padre Francesco dedicato al tema "Chiesa senza frontiere, Madre di tutti", in occasione della celebrazione annuale della Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato che, a livello ecclesiale, si terrà domenica 18 gennaio 2015.

Prima di tutto, però, desidero far notare che il Santo Padre ha voluto promulgare questo Suo Messaggio per il prossimo anno il 3 settembre scorso, data in cui ricorreva il centenario dell’elezione di Papa Benedetto XV. Sotto il pontificato di questo Papa, infatti, soltanto poche settimane dopo la sua elezione, il 6 dicembre 1914, la Sacra Congregazione Concistoriale inviò agli Ordinari Diocesani Italiani la lettera circolare "Il dolore e le preoccupazioni". In essa si chiedeva, per la prima volta, di istituire una giornata annuale di sensibilizzazione sul fenomeno della migrazione e anche per promuovere una colletta in favore delle opere pastorali per gli emigrati Italiani e per il sostentamento economico di un Collegio, fondato a Roma qualche mese prima dal Papa San Pio X, per la preparazione dei missionari d’emigrazione. Questadata quindi è significativa perché, quest’anno ricordiamo proprio il centesimo anniversario dell’istituzione della Giornata Mondiale del Migrante e, nel prossimo anno, la prima celebrazione di tale Giornata, che avvenne il 21 febbraio 1915.

Come abbiamo fatto in passato, desideriamo presentarVi il Messaggio pontificio sotto due aspetti: quello dei migranti e quello dei rifugiati. I nostri interventi, infatti, intendono illustrare il pensiero del Santo Padre riguardo al fenomeno delle migrazioni forzate e di quelle in qualche misura volontaria alla luce di un tema che richiama due caratteristiche specifiche della Chiesa: la sua universalità e la sua maternità.

Poiché Gesù è "l’evangelizzatore per eccellenza e il Vangelo in persona", come ha scritto Papa Francesco nella Evangelii gaudium, Egli ci ha dato l’esempio di un atteggiamento di sollecitudine verso tutti, senza eccezione, anzi, particolarmente attento ai più vulnerabili ed emarginati. Identificandosi con i sofferenti di questo mondo (cfr. Mt 25), ha impresso un carattere molto concreto alla missione della Chiesa. Essa, "pellegrina sulla terra e madre di tutti", è chiamata ad amare Gesù Cristo e, adorandoLo e amandoLo, come nota il Santo Padre Francesco, è chiamata a scoprire il volto del Salvatore nei più deboli e, dice il Santo Padre, "soprattutto nelle vittime delle nuove forme di povertà e di schiavitù".

È importante notare che, nel Messaggio, il Santo Padre collega la visione di una Chiesa che "allarga le sue braccia per accogliere tutti i popoli, senza distinzioni e senza confini" con gli eventi accaduti dopo la morte e risurrezione di Gesù. Ai discepoli fu affidata la missione di essere testimoni e di proclamare il Vangelo "della gioia e della misericordia"; essi uscirono dal Cenacolo "con coraggio ed entusiasmo", colmi della "forza dello Spirito Santo [che] ha prevalso su dubbi e incertezze". Gioia, misericordia, coraggio, entusiasmo sono doni dello Spirito Santo che fin dall’inizio hanno permesso alla Chiesa di non restare chiusa in se stessa ma di aprirsi al mondo intero, senza frontiere. Proprio questo slancio missionario ha messo in luce la maternità universale della Chiesa. La definizione di Ecclesia Mater, infatti, manifesta un’immagine, scelta prima dai Padri della Chiesa e poi dal Concilio Vaticano II, per descrivere nel miglior modo possibile la natura della Chiesa: essa è madre nella fede e nella vita soprannaturale dei suoi figli e figlie (cfr. Lumen Gentium, 14), senza differenze e senza distinzioni.

Ora, la Chiesa, senza frontiere e madre di tutti, nella sua storia più che bimillenaria ha dovuto fronteggiare situazioni sempre nuove e impegnative. Oggi, le migrazioni pongono particolari sfide non solo per le dimensioni che stanno prendendo, ma anche per le diverse problematiche di natura sociale, economica, politica, culturale e religiosa che sollevano, e per le diverse emergenze che interpellano la Comunità internazionale (cfr. Benedetto XVI, Caritas in Veritate, 62). Le migrazioni rappresentano un fenomeno complesso a causa del loro legame con tutte le sfere della vita quotidiana, ed è per ciò che, a volte, sono così difficile da gestire. Di fronte allo scenario contemporaneo, nota il Pontefice, la Chiesa "diffonde nel mondo la cultura dell’accoglienza e della solidarietà, secondo la quale nessuno va considerato inutile, fuori posto o da scartare". Questa, nota bene, è una caratteristica che il Santo Padre metteva in luce già nel suo Messaggio per l’ultima Giornata Mondiale e, quindi, riprende idee, convinzioni e sentimenti molto vicini al suo cuore. Oltre a questo atteggiamento di apertura, Papa Francesco fa notare l’agire materno della Chiesa, che rivela la sua vocazione di speciale sensibilità verso tutti, come fa una madre verso i suoi figli: "nutre, orienta e indica la strada, accompagna con pazienza, si fa vicina nella preghiera e nelle opere di misericordia".

Purtroppo, nota il Papa, in quest’epoca di migrazioni senza precedenti, non di rado emerge la tendenza a vedere l’immigrato straniero con sospetto e paura. Invece di accoglienza e solidarietà, "questi movimenti migratori suscitano diffidenze e ostilità, […] sospetti e pregiudizi", un doloroso approccio che non manca, a volte, anche nelle nostre comunità ecclesiali. E così, il comandamento biblico di accogliere lo straniero, di aprirgli le porte come se si accogliesse Dio, entra in conflitto con situazioni di disagio, soprattutto quando alcuni tra i migranti si rendono protagonisti di irregolarità o, addirittura, di delinquenza. È qui che nasce l’equazione tra immigrazione e criminalità, che va combattuta per la sua genericità e per l’ingiustizia, che alimenta una mentalità di discriminazione e di paura ingiustificata. Si stanno aprendo numerosi dibattiti sull’opportunità e sui modi per affrontare il fenomeno delle migrazioni non solo ad alto livello, ma anche nelle comunità locali dove la presenza dei migranti è sempre più forte. Lo spirito umano, capace di grande generosità, viene messo a tacere da nuovi appelli all’isolamento e alla restrizione. In un clima così preoccupante, ci si può chiedere: come risponde la Chiesa?

Ecco che ci troviamo di fronte ad un bivio. Da una parte, nota il Santo Padre, "si avverte nel sacrario della coscienza la chiamata a toccare la miseria umana e a mettere in pratica il comandamento dell’amore che Gesù ci ha lasciato", particolarmente quando si è identificato con lo straniero, con i sofferenti e con tutte le vittime innocenti di violenza e sfruttamento. Dall’altra, continua Papa Francesco, richiamando l’Esortazione Apostolica Evangelii gaudium, esiste "la tentazione di essere cristiani mantenendo una prudente distanza dalle piaghe del Signore".

È chiaro l’appello ad accorciare le distanze che ci separano dai drammi umani. Sotto questo profilo, allora, il Santo Padre mette in luce tre orientamenti.

Al primo posto, vi è la raccomandazione evangelica di rinunciare a se stessi. Scrive il Santo Padre: "Gesù Cristo è sempre in attesa di essere riconosciuto nei migranti e nei rifugiati, nei profughi e negli esuli, e anche in questo modo ci chiama a condividere le risorse, talvolta a rinunciare a qualcosa del nostro acquisito benessere" e, riprendendo le parole del suo Predecessore, il Venerabile Paolo VI, ripete che "i più favoriti devono rinunciare ad alcuni dei loro diritti per mettere con maggiore liberalità i loro beni al servizio degli altri» (Lett. ap. Octogesima adveniens, 14 maggio 1971, 23)". Per fare esempi concreti, potremmo dire che a volte siamo incoraggiati ad allontanare le nostre paure e i nostri meccanismi di difesa; in altre situazioni, siamo stimolati a condividere comodità e servizi; a volte, essere accoglienti verso i migranti significa semplicemente donare del nostro tempo, spartire con i meno fortunati le risorse che, grazie a Dio, sono a disposizione. Come sintetizza il Santo Padre, "non può bastare la semplice tolleranza" che è solo inizio e avvio "al rispetto delle diversità e […] percorsi di condivisione tra persone di origini e culture differenti", ma è necessario "superare le frontiere e favorire […] un atteggiamento che abbia alla base la ‘cultura dell’incontro’ ".

Un secondo elemento si può cogliere a un livello più alto: nazionale o internazionale. Esso consiste nell’"azione più incisiva ed efficace, che si avvalga di una rete universale di collaborazione, fondata sulla tutela della dignità e della centralità di ogni persona umana". Esistono diversi organismi e diverse istituzioni, sia di profilo ecclesiale che laicale, a livello internazionale, nazionale e locale, che mettono le loro competenze e le loro energie al servizio dei migranti. Nonostante i loro sforzi, nota il Papa, è urgente una più stretta collaborazione, una cooperazione caratterizzata da reciprocità, sinergia, disponibilità e fiducia. Infatti, in tal modo, la lotta contro il traffico di esseri umani, contro la violazione dei diritti fondamentali, contro la violenza, contro la sopraffazione e contro la schiavitù sarà più incisiva e efficace.

Infine, la terza linea individuata dal Santo Padre è quella di "umanizzare le condizioni dei migranti" e "intensificare gli sforzi per creare le condizioni atte a garantire una progressiva diminuzione delle ragioni che spingono interi popoli a lasciare la loro terra natale". Il Santo Padre riprende così due idee già presenti nel suo Messaggio per la Giornata Mondiale del 2014. Da un lato viene ricordato che, oltre al diritto fondamentale di ogni persona ad emigrare, esiste il diritto a non emigrare, cioè a rimanere nella propria terra. Tale diritto è primario rispetto a quello di emigrare, ma è un diritto che "diventa effettivo solo se si tengono costantemente sotto controllo i fattori che spingono all’emigrazione" (Benedetto XVI, Messaggio per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato 2013). Dall’altro lato, il Papa di nuovo suggerisce la necessità di un passaggio dalla "cultura dello scarto" a una "cultura dell’incontro". Papa Francesco scrive che è necessario "il passaggio da un atteggiamento di difesa e di paura, di disinteresse o di emarginazione (...) ad un atteggiamento che abbia alla base la "cultura dell’incontro", l’unica capace di costruire un mondo più giusto e fraterno".

Il Santo Padre conclude il suo Messaggio con l’esortazione ai migranti e ai rifugiati a non perdere la fiducia e la speranza per un futuro migliore, e ricorda loro che hanno un posto particolare nel cuore della Chiesa. Anche quest’anno, queste parole vengono collocate nel richiamo biblico all’icona della Santa Famiglia esule in Egitto, alla cui intercessione Papa Francesco affida la loro vita e le loro speranze.

Alla voce del Santo Padre desidero aggiungere le mie espressioni di riconoscimento, gratitudine e apprezzamento a tutte le persone che dedicano il loro tempo, la loro vita e le loro energie a servizio dei migranti. Ad esse estendo sinceri ringraziamenti per il coraggio e la creatività, a volte necessaria nella cura spirituale e materiale delle persone coinvolte nel viaggio migratorio.

Grazie per la vostra attenzione.

* * *

NOTA

Nel 2013, al livello globale, vi erano circa 232 milioni di migranti internazionali, un numero che è aumentato di oltre 77 milioni, pari al 50%, tra il 1990 e il 20131. Tra questi, circa il 59% (136 milioni) abita nelle regioni sviluppate del globo, mentre le regioni in via di sviluppo ospitano circa il restante 41% (96 milioni di migranti)2.

Dei circa 136 milioni di migranti internazionali che abitano nel Nord del mondo, circa 82 milioni (pari al 60%) sono nati in un Paese in via di sviluppo, mentre i restanti 54 milioni (ossia il 40%) sono nati in un altro Paese del Nord3.

Dei circa 96 milioni di migranti internazionali che abitano nel Sud del mondo, circa 82 milioni (86%) sono nati nel Sud del mondo, mentre i restanti 14 milioni (14%) provengono dal Nord del mondo4.

Quanto alle zone di partenza dei migranti internazionali, l’Asia è il primo continente della lista con circa 92.500.000 persone emigrate, seguito poi dall’Europa (58.400.000 persone), dall’America Latina e Caraibi (36.700.000 persone), e dall’Africa (31.300.000 persone). In coda, vi è l’America del Nord con circa 4.300.000 persone emigrate e l’Oceania con un numero di 1.900.000 migranti5.

Dal punto di vista del continente/regione di destinazione, il primo posto spetta all’Europa, dove ora si trovano circa 72.400.000 migranti; seguita poi dall’Asia con circa 70.800.000 immigrati e dall’America del Nord con circa 53.100.000 immigrati. Gli ultimi posti nell’elenco sono occupati da Africa (18.600.000), America Latina e Caraibi (8.500.000), e infine l’Oceania con 7.900.000 immigrati6.

I flussi migratori tendono, quindi, a recarsi verso i Paesi del Nord del mondo, però, la migrazione verso il Sud, tuttavia, non è un fatto da sottovalutare né trascurare.

In generale, si notano quattro assi di migrazione: Nord-Nord, Sud-Sud, Nord-Sud e Sud-Nord e secondo il World Migration Report 2013 dell’Organizzazione Mondiale per la Migrazione (OIM), i più comuni corridoi per ciascuna delle assi di migrazione sono7:

1. Nord-Nord: la migrazione dalla Germania verso gli Stati Uniti d’America, seguita da quella dal Regno Unito verso l’Australia; infine il movimento migratorio dal Canada, dalla Repubblica di Corea e dal Regno Unito verso gli Stati Uniti d’America.

2. Sud-Sud: la migrazione dall’Ucraina verso la Federazione Russa, seguita da quella in direzione inversa dalla Federazione Russa verso l’Ucraina; quindi la migrazione dal Bangladesh verso il Bhutan, e quella dal Kazakhstan verso la Federazione Russa e l’Afghanistan.

3. Sud-Nord: al primo posto, la migrazione dal Messico verso gli Stati Uniti d’America, seguita da quella dalla Turchia verso la Germania; infine la migrazione dalle Filippine, dalla Cina e dall’India verso gli Stati Uniti d’America.

4. Nord-Sud: dagli Stati Uniti d’America verso il Messico e il Sudafrica, seguita dalla migrazione dalla Germania verso la Turchia, quella dal Portogallo verso il Brasile e, infine, quella dall’Italia verso l’Argentina.

 Vi sono anche due altre caratteristiche delle migrazioni moderne che, dal punto di vista della pastorale della Chiesa, hanno un significato rilevante. La prima, notata dallo stesso rapporto dell’OIM del 2013, è che la maggioranza dei migranti nel mondo sono uomini, tranne il caso lungo l’asse Nord-Nord, dove la migrazione è a maggioranza femminile8.

La seconda, anch’essa evidenziata dallo stesso rapporto, è che vi è una migrazione sempre più giovane nel Sud del mondo. In particolare, si rilevano tre trend distinti per quanto riguarda l’età dei migranti9. Al primo posto, la percentuale dei migranti fino a 24 anni di età è molto più elevata al Sud rispetto a quella del Nord, specialmente nella fascia d’età tra 0 e 14 anni. In secondo luogo, al contrario, nella fascia di età lavorativa (tra 19 e 65 anni di vita) vi è una presenza più forte nei Paesi del Nord del mondo. Infine, le statistiche mostrano una maggior presenza di migranti internazionali al Sud del mondo nelle fasce di età più avanzate, ed è una presenza soprattutto femminile. Questo, secondo il rapporto, si spiega grazie a migliori condizioni di vita o alle difficoltà a ritornare al Paese d’origine.

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1 UNITED NATIONS DEPARTMENT OF ECONOMIC AND SOCIAL AFFAIRS, POPULATION DIVISION (2013), Trends in International Migrant Stock: The 2013 Revision - Migrants by Age and Sex.

2 UNITED NATIONS DEPARTMENT OF ECONOMIC AND SOCIAL AFFAIRS, International Migration Report 2013, 1.

3 UNITED NATIONS DEPARTMENT OF ECONOMIC AND SOCIAL AFFAIRS, International Migration Report 2013, 1.

4 UNITED NATIONS DEPARTMENT OF ECONOMIC AND SOCIAL AFFAIRS, International Migration Report 2013, 1.

5 UNITED NATIONS GENERAL ASSEMBLY, International Migration and Development. Report of the Secretary -General (A/69/207 del 30 luglio 2014), p.2 (Table 1).

6 UNITED NATIONS GENERAL ASSEMBLY, International Migration and Development. Report of the Secretary -General (A/69/207 del 30 luglio 2014), p.2 (Table 1).

7 Cfr. INTERNATIONAL ORGANIZATON FOR MIGRATION, World Migration Report 2013, p. 62.

8 Cfr. INTERNATIONAL ORGANIZATON FOR MIGRATION, World Migration Report 2013, p. 65.

9 Cfr. INTERNATIONAL ORGANIZATON FOR MIGRATION, World Migration Report 2013, p. 66.

[01443-01.01]

Intervento di S.E. Mons. Joseph Kalathiparambil

In un’epoca di vaste migrazioni, la presenza di rifugiati e di richiedenti asilo nella società contemporanea, disegna una realtà sempre più multietnica, multiculturale e in continua evoluzione dove si rende necessario orientare una rinnovata consapevolezza circa le migrazioni forzate. In ragione del moltiplicarsi delle crisi in diverse parti del mondo, secondo le statistiche, sono circa cento milioni le persone forzatamente dislocate, costrette a lasciare le loro case per trovare sicurezza e sopravvivenza al di fuori della loro regione o del loro Paese. Alla fine del 2013, per la prima volta dalla seconda guerra mondiale, il numero di rifugiati, richiedenti asilo e sfollati supera la soglia dei 50 milioni (tra cui 16,7 milioni di rifugiati, 33,3 milioni di sfollati e quasi 1,2 milioni di richiedenti asilo).

I timori di persecuzione non concernono più soltanto l’imprigionamento o la condanna a morte, ma la più ampia sfera dei diritti umani, comprendendo ad esempio, la paura di subire sterilizzazione o l’escissione, oppure il reclutamento forzato di minorenni nelle forze militari e altre modalità della tratta di persone e della riduzione in schiavitù.

La fuga verso la salvezza, con un "bagaglio pieno di desideri e di speranze… alla ricerca di condizioni di vita più umane", avviene attraverso un viaggio realizzato in condizioni pericolose, che spesso mettono a rischio la vita. Nonostante ciò, è l’unico modo per accedere a un Paese in cui possono trovare protezione e la possibilità di vivere con dignità. Non si sottolinea infatti mai abbastanza che è diritto delle persone bisognose di protezione internazionale, non possedere validi documenti di viaggio o d’identità. Per loro è del tutto impossibile rispettare i severi requisiti, imposti dalle norme che regolano i viaggi internazionali, come ad esempio l’obbligo di ottenere un passaporto o un visto da parte dello Stato in cui si voglia chiedere protezione. Questa precaria condizione rende i richiedenti asilo vulnerabili, indifesi, vittime in cerca di protezione e facili prede dei contrabbandieri e di trafficanti pronti a trarre guadagno con varie forme di sfruttamento.

Non necessariamente si approda a un territorio straniero, perché a volte si muore invisibili nel mare o nel deserto oppure si finisce in prigione, in un centro di detenzione o in uno dei tanti campi profughi nei quali si ammassano rifugiati, sfollati interni (Internally Displaced Persons). Molti di loro finiranno per sopravvivere per anni se non per generazioni, senza la speranza di poter progettare un futuro.

Molti rifugiati e richiedenti asilo hanno vissuto il trauma delle guerre o gravi violazioni dei loro diritti umani, non solo nei Paesi di origine, ma anche in quelli in transito ove la detenzione è comune e molti, in particolare donne e bambini, hanno subito forme di violenza e di abuso lungo il viaggio.

In tutto il mondo, oltre il 50% dei rifugiati sono bambini e il numero di minorenni non accompagnati o separati che varcano confini è in aumento. Essi viaggiano soli per settimane, via terra e via mare con la speranza di raggiungere un parente o un conoscente in un Paese sicuro, sfidando il sistema di protezione dei Paesi che attraversano. I bambini che giungono nelle nostre società hanno gli stessi diritti di tutti i bambini e devono quindi essere protetti. Il loro migliore interesse dev’essere la principale preoccupazione. E’ pertanto necessario realizzare strutture adeguate alla loro accoglienza. Per queste vittime innocenti, infatti, non sono adatti e non sono tollerabili i centri di detenzione dove spesso si trovano in promiscuità con gli adulti, subendo grandi traumi fisici e psicologici.

Nel Messaggio che stiamo presentando il Santo Padre ci invita a ricordare che "Cristo è sempre in attesa di essere riconosciuto nei migranti e nei rifugiati, nei profughi e negli esuli". Purtroppo, spesso ad accoglierli nei Paesi di transito e di destinazione, sono politiche incoerenti che generano povertà e discriminano i rifugiati conducendoli ai margini della società.

Gli Stati sono chiamati a collaborare con spirito di solidarietà internazionale per rispondere concretamente al riconoscimento del bisogno di protezione, per restituire dignità umana ai rifugiati e curare le cause della mobilità forzata. Dal suo canto, la Chiesa in cammino con l’umanità intera, si adopera affinché siano sempre tutelate la dignità e la centralità della persona umana, valorizzando la solidarietà e il dialogo tra i popoli. Nel Messaggio Papa Francesco sottolinea che "qui si innesta la vocazione della Chiesa a superare le frontiere e a favorire il passaggio da un atteggiamento di difesa e di paura, di disinteresse e di emarginazione … ad un atteggiamento che abbia alla base ‘la cultura dell’incontro’ ". Le Diocesi e le parrocchie offrono un "luminoso esempio di apostolato comunitario fondendo insieme tutte le differenze umane che vi si trovano, inserendole nell’universalità della Chiesa" (Apostolicam Actuositatem, 10). Essa, si adopera con vari progetti e servizi per garantire assistenza diretta, fornendo alloggio, cibo cure mediche e programmi di riconciliazione, così come varie forme di advocacy. L’obiettivo che essa si pone con questi interventi è quello di offrire ai rifugiati, agli sfollati, e alle vittime della tratta l’opportunità di raggiungere la propria dignità umana lavorando e assumendo i diritti e i doveri del Paese che li ospita. La Chiesa che è "madre dal cuore aperto sul mondo intero senza frontiere", si fa voce dei rifugiati e delle persone forzatamente sradicate, e offre con amore il suo sostegno senza distinzione di religione o di etnia, rispettando in ciascuno di essi l’inalienabile dignità della persona umana, creata a immagine di Dio.

La sfida oggi è quella di non abituarci ai drammi umani vissuti dalle persone forzatamente dislocate e a non far prevalere l’indifferenza, "la debolezza della nostra natura umana" a causa della quale spesso "sentiamo la tentazione di essere cristiani mantenendo una prudente distanza dalle piaghe del Signore". Ogni passo che facciamo gli uni verso gli altri ci insegna a scoprire il senso della parola solidarietà, ad impegnarci per il bene comune e a diventare "segno e strumento dell’unità di tutto il genere umano" (Lumen gentium, N.1).

[01444-01.01] [Testo originale: Italiano]

[B0665-XX.01]