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Viaggio Apostolico di Sua Santità Francesco nella Repubblica di Corea (13-18 agosto 2014) - Incontro con i Vescovi della Corea nella sede della Conferenza Episcopale Coreana a Seoul, 14.08.2014


Incontro con i Vescovi della Corea nella sede della Conferenza Episcopale Coreana a Seoul

Discorso del Santo Padre

Traduzione in lingua inglese

Traduzione in lingua spagnola

Nella sede della Conferenza Episcopale coreana a Seoul, il Santo Padre Francesco ha incontrato questo pomeriggio i Vescovi della Corea.

Al suo arrivo, il Presidente della CBCK e Vescovo di Cheju, S.E. Mons. Peter Kang U-il, e i due porporati coreani, l’Arcivescovo emerito di Seoul, Card. Nicholas Cheong Jin-suk, e l’Arcivescovo di Seoul e Amministratore Apostolico di P’yŏng-yang, Card. Andrew Yeom Soo-jung, hanno accompagnato il Papa nella cappellina dove lo attendevano alcuni sacerdoti e religiosi ospiti della struttura, insieme ad alcuni anziani missionari di Maryknoll (Società per le Missioni Estere degli Stati Uniti d’America).

Quindi, dopo l’indirizzo di omaggio del Presidente della Conferenza Episcopale coreana e Vescovo di Cheju, S.E. Mons. Peter Kang U-il, il Papa ha pronunciato il discorso che riportiamo di seguito:

Discorso del Santo Padre

Ringrazio il Vescovo Peter U-il Kang per le sue fraterne parole di benvenuto a nome vostro. È una benedizione per me essere qui e conoscere di persona la vita dinamica della Chiesa in Corea. A voi, come Pastori, spetta il compito di custodire il gregge del Signore. Siete i custodi delle meraviglie che Egli compie nel suo popolo. Custodire è uno dei compiti specificamente affidati al Vescovo: prendersi cura del popolo di Dio. Oggi vorrei riflettere con voi come fratello nell’episcopato su due aspetti centrali di tale custodia del popolo di Dio in questo Paese: essere custodi della memoria e essere custodi della speranza.

Essere custodi della memoria. La beatificazione di Paul Yun Ji-chung e dei suoi compagni è un’occasione per ringraziare il Signore che, dai semi sparsi dai martiri, ha fatto scaturire un abbondante raccolto di grazia in questa terra. Voi siete i discendenti dei martiri, eredi della loro eroica testimonianza di fede in Cristo. Siete inoltre eredi di una straordinaria tradizione che iniziò e crebbe largamente grazie alla fedeltà, alla perseveranza e al lavoro di generazioni di laici. Questi non avevano la tentazione del clericalismo: erano laici, andavano avanti da soli! È significativo che la storia della Chiesa in Corea abbia avuto inizio da un incontro diretto con la Parola di Dio. È stata la bellezza intrinseca e l’integrità del messaggio cristiano – il Vangelo e il suo appello alla conversione, al rinnovamento interiore e a una vita di carità – ad impressionare Yi Byeok e i nobili anziani della prima generazione; ed è a quel messaggio, alla sua purezza, che la Chiesa in Corea guarda come in uno specchio, per scoprire autenticamente sé stessa.

La fecondità del Vangelo in terra coreana e la grande eredità tramandata dai vostri antenati nella fede, oggi si possono riconoscere nel fiorire di parrocchie attive e di movimenti ecclesiali, in solidi programmi di catechesi, nell’attenzione pastorale verso i giovani e nelle scuole cattoliche, nei seminari e nelle università. La Chiesa in Corea è stimata per il suo ruolo nella vita spirituale e culturale della nazione e per il suo forte impulso missionario. Da terra di missione, la Corea è diventata oggi una terra di missionari; e la Chiesa universale continua a trarre beneficio dai tanti sacerdoti e religiosi che avete inviato nel mondo.

Essere custodi della memoria significa qualcosa di più che ricordare e fare tesoro delle grazie del passato. Significa anche trarne le risorse spirituali per affrontare con lungimiranza e determinazione le speranze, le promesse e le sfide del futuro. Come voi stessi avete notato, la vita e la missione della Chiesa in Corea non si misurano in definitiva in termini esteriori, quantitativi e istituzionali; piuttosto esse devono essere giudicate nella chiara luce del Vangelo e della sua chiamata ad una conversione alla persona di Gesù Cristo. Essere custodi della memoria significa rendersi conto che la crescita viene da Dio (cfr 1 Cor 3,6) e al tempo stesso è il frutto di un paziente e perseverante lavoro, nel passato come nel presente. La nostra memoria dei martiri e delle generazioni passate di cristiani deve essere realistica, non idealizzata e non "trionfalistica". Guardare al passato senza ascoltare la chiamata di Dio alla conversione nel presente non ci aiuterà a proseguire il cammino; al contrario frenerà o addirittura arresterà il nostro progresso spirituale.

Oltre ad essere custodi della memoria, cari fratelli, voi siete anche chiamati ad essere custodi della speranza: quella speranza offerta dal Vangelo della grazia e della misericordia di Dio in Gesù Cristo, quella speranza che ha ispirato i martiri. È questa speranza che siamo invitati a proclamare ad un mondo che, malgrado la sua prosperità materiale, cerca qualcosa di più, qualcosa di più grande, qualcosa di autentico e che dà pienezza. Voi e i vostri fratelli sacerdoti offrite questa speranza con il vostro ministero di santificazione, che non solo conduce i fedeli alle sorgenti della grazia nella liturgia e nei sacramenti, ma costantemente li spinge ad agire in risposta alla chiamata di Dio a tendere alla meta (cfr Fil 3,14). Voi custodite questa speranza mantenendo viva la fiamma della santità, della carità fraterna e dello zelo missionario nella comunione ecclesiale. Per questa ragione vi chiedo di rimanere sempre vicini ai vostri sacerdoti, incoraggiandoli nel loro lavoro quotidiano, nella loro ricerca di santità e nella proclamazione del Vangelo di salvezza. Vi chiedo di trasmettere loro il mio affettuoso saluto e la mia gratitudine per il generoso servizio in favore del popolo di Dio. Vicini ai vostri sacerdoti, mi raccomando, vicinanza, vicinanza ai sacerdoti. Che loro possano incontrare il vescovo. Questa vicinanza fraterna del vescovo, e anche paterna: ne hanno bisogno in tanti momenti della loro vita pastorale. Non vescovi lontani o, peggio, che si allontanano dai loro preti. Con dolore lo dico. Nella mia terra, tante volte ho sentito qualche sacerdote che mi diceva: "Ho chiamato il vescovo, ho chiesto udienza; sono passati tre mesi, ancora non ho risposta". Ma senti, fratello, se un sacerdote oggi ti chiama per chiederti udienza, richiamalo subito, oggi o domani. Se tu non hai tempo per riceverlo, diglielo: "Non posso perché ho questo, questo, questo. Ma io volevo sentirti e sono a tua disposizione". Ma che sentano la risposta del padre, subito. Per favore, non allontanatevi dai vostri sacerdoti.

Se noi accettiamo la sfida di essere una Chiesa missionaria, una Chiesa costantemente in uscita verso il mondo e in particolare verso le periferie della società contemporanea, avremo bisogno di sviluppare quel "gusto spirituale" che ci rende capaci di accogliere e di identificarci con ogni membro del Corpo di Cristo (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 268). In questo senso una particolare sollecitudine chiede di essere mostrata nelle nostre comunità nei confronti dei bambini e dei più anziani. Come possiamo essere custodi di speranza se trascuriamo la memoria, la saggezza e l’esperienza degli anziani e le aspirazioni dei giovani? A questo proposito vorrei chiedervi di prendervi cura in modo speciale dell’educazione dei giovani, sostenendo nella loro indispensabile missione non solo le università, che sono importanti, ma anche le scuole cattoliche di ogni grado, a partire da quelle elementari, dove le giovani menti e i cuori vengono formati all’amore di Dio e della sua Chiesa, al bene, al vero e al bello, ad essere buoni cristiani e onesti cittadini.

Essere custodi di speranza implica anche garantire che la testimonianza profetica della Chiesa in Corea continui ad esprimersi nella sua sollecitudine per i poveri e nei suoi programmi di solidarietà, soprattutto per i rifugiati e i migranti e per coloro che vivono ai margini della società. Questa sollecitudine dovrebbe manifestarsi non solo attraverso concrete iniziative di carità – che sono necessarie – ma anche nel costante lavoro di promozione a livello sociale, occupazionale ed educativo. Possiamo correre il rischio di ridurre il nostro impegno con i bisognosi alla sola dimensione assistenziale, dimenticando la necessità di ognuno di crescere come persona – il diritto che ha di crescere come persona – e di poter esprimere con dignità la propria personalità, creatività e cultura. La solidarietà con i poveri è al centro del Vangelo; va considerata come un elemento essenziale della vita cristiana; mediante la predicazione e la catechesi, fondate sul ricco patrimonio della dottrina sociale della Chiesa, essa deve permeare i cuori e le menti dei fedeli e riflettersi in ogni aspetto della vita ecclesiale. L’ideale apostolico di una Chiesa dei poveri e per i poveri, una Chiesa povera per i poveri, ha trovato espressione eloquente nelle prime comunità cristiane della vostra nazione. Auspico che questo ideale continui a modellare il cammino della Chiesa in Corea nel suo pellegrinaggio verso il futuro. Sono convinto che se il volto della Chiesa è in primo luogo il volto dell’amore, sempre più giovani saranno attratti verso il cuore di Gesù sempre infiammato di amore divino nella comunione del suo mistico Corpo.

Ho detto che i poveri sono al centro del Vangelo; sono anche all’inizio e alla fine. Gesù, nella sinagoga di Nazareth, parla chiaro, all’inizio della sua vita apostolica. E quando parla dell’ultimo giorno e ci fa conoscere quel "protocollo" sul quale tutti noi saremo giudicati – Matteo 25 –, anche lì ci sono i poveri. C’è un pericolo, c’è una tentazione che viene nei momenti di prosperità: è il pericolo che la comunità cristiana si "socializzi", cioè che perda quella dimensione mistica, che perda la capacità di celebrare il Mistero e si trasformi in una organizzazione spirituale, cristiana, con valori cristiani, ma senza lievito profetico. Lì si è persa la funzione che hanno i poveri nella Chiesa. Questa è una tentazione della quale le Chiese particolari, le comunità cristiane hanno sofferto tanto, nella storia. E questo fino al punto di trasformarsi in una comunità di classe media, nella quale i poveri arrivano a provare anche vergogna: hanno vergogna di entrare. E’ la tentazione del benessere spirituale, del benessere pastorale. Non è una Chiesa povera per i poveri, ma una Chiesa ricca per i ricchi, o una Chiesa di classe media per i benestanti. E questo non è cosa nuova: questo cominciò all’inizio. Paolo deve rimproverare i Corinzi, nella Prima Lettera, capitolo XI, versetto 17; e l’apostolo Giacomo più forte ancora, e più esplicito, nel suo capitolo II, versetti da 1 a 7: deve rimproverare queste comunità benestanti, queste Chiese benestanti per i benestanti. Non si cacciano via i poveri ma si vive in modo tale che loro non osino entrare, non si sentano a casa loro. Questa è una tentazione della prosperità. Io non vi rimprovero, perché so che voi lavorate bene. Ma come fratello che deve confermare nella fede i suoi fratelli, vi dico: state attenti, perché la vostra è una Chiesa in prosperità, è una grande Chiesa missionaria, è una grande Chiesa. Il diavolo non semini questa zizzania, questa tentazione di togliere i poveri dalla struttura profetica stessa della Chiesa, e vi faccia diventare una Chiesa benestante per i benestanti, una Chiesa del benessere… non dico fino ad arrivare alla ‘teologia della prosperità’, no, ma nella mediocrità.

Cari fratelli, una profetica testimonianza evangelica presenta alcune sfide particolari per la Chiesa in Corea, dal momento che essa vive ed opera nel mezzo di una società prospera ma sempre più secolarizzata e materialistica. In tali circostanze gli operatori pastorali sono tentati di adottare non solo efficaci modelli di gestione, programmazione e organizzazione tratti dal mondo degli affari, ma anche uno stile di vita e una mentalità guidati più da criteri mondani di successo e persino di potere che dai criteri enunciati da Gesù nel Vangelo. Guai a noi se la Croce viene svuotata del suo potere di giudicare la saggezza di questo mondo! (cfr 1 Cor 1,17). Esorto voi e i vostri fratelli sacerdoti a respingere questa tentazione in tutte le sue forme. Voglia il Cielo che possiamo salvarci da quella mondanità spirituale e pastorale che soffoca lo Spirito, sostituisce la conversione con la compiacenza e finisce per dissipare ogni fervore missionario! (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 93-97).

Cari fratelli Vescovi, grazie di tutto quello che voi fate: grazie. E con queste riflessioni sulla vostra missione come custodi della memoria e della speranza, ho voluto incoraggiarvi nei vostri sforzi per incrementare l’unità, la santità e lo zelo dei fedeli in Corea. La memoria e la speranza ci ispirano e ci guidano verso il futuro. Vi ricordo tutti nelle mie preghiere e vi esorto sempre a confidare nella forza della grazia di Dio. Non dimenticatevi: "Il Signore è fedele". Noi non siamo fedeli, ma Lui è fedele. "Egli vi confermerà e vi custodirà dal Maligno" (2 Ts 3,3). Possano le preghiere di Maria, Madre della Chiesa, portare a piena fioritura in questa terra i semi sparsi dai martiri, irrorati da generazioni di fedeli cattolici e trasmessi a voi come promessa per il futuro del Paese e del mondo. A voi e a tutti coloro che si sono affidati alla vostra cura pastorale e alla vostra custodia, imparto di cuore la mia Benedizione, e vi chiedo, per favore, di pregare per me. Grazie.

[01270-01.01] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua inglese

I thank Bishop Peter U-il Kang for his words of fraternal welcome on your behalf. It is a blessing for me to be here and to witness at first hand the vibrant life of the Church in Korea. As pastors, you are responsible for guarding the Lord’s flock. You are guardians of the wondrous works which he accomplishes in his people. Guarding is one of the tasks specifically entrusted to the bishop: looking after God’s people. Today I would like to reflect with you as a brother bishop on two central aspects of the task of guarding God’s people in this country: to be guardians of memory and to be guardians of hope.

To be guardians of memory. The beatification of Paul Yun Ji-chung and his companions is an occasion for us to thank the Lord, who from the seeds sown by the martyrs has brought forth an abundant harvest of grace in this land. You are the children of the martyrs, heirs to their heroic witness of faith in Christ. You are also heirs to an impressive tradition which began, and largely grew, through the fidelity, perseverance and work of generations of lay persons. They were not tempted by clericalism: they were laity and they moved ahead on their own. It is significant that the history of the Church in Korea began with a direct encounter with the word of God. It was the intrinsic beauty and integrity of the Christian message – the Gospel and its summons to conversion, interior renewal and a life of charity – that spoke to Yi Byeok and the noble elders of the first generation; and it is to that message, in its purity, that the Church in Korea looks, as if in a mirror, to find her truest self.

The fruitfulness of the Gospel on Korean soil, and the great legacy handed down from your forefathers in the faith, can be seen today in the flowering of active parishes and ecclesial movements, in solid programs of catechesis and outreach to young people, and in the Catholic schools, seminaries and universities. The Church in Korea is esteemed for its role in the spiritual and cultural life of the nation and its strong missionary impulse. From being a land of mission, yours has now become a land of missionaries; and the universal Church continues to benefit from the many priests and religious whom you have sent forth.

Being guardians of memory means more than remembering and treasuring the graces of the past; it also means drawing from them the spiritual resources to confront with vision and determination the hopes, the promise and the challenges of the future. As you yourselves have noted, the life and mission of the Church in Korea are not ultimately measured in external, quantitative and institutional terms; rather, they must be judged in the clear light of the Gospel and its call to conversion to the person of Jesus Christ. To be guardians of memory means realizing that while the growth is from God (cf. 1 Cor 3:6), it is also the fruit of quiet and persevering labor, past and present. Our memory of the martyrs and past generations of Christians must be one that is realistic, not idealized and not "triumphalistic". Looking to the past without hearing God’s call to conversion in the present will not help us move forward; instead, it will only hold us back and even halt our spiritual progress.

In addition to being guardians of memory, dear brothers, you are also called to be guardians of hope: the hope held out by the Gospel of God’s grace and mercy in Jesus Christ, the hope which inspired the martyrs. It is this hope which we are challenged to proclaim to a world that, for all its material prosperity, is seeking something more, something greater, something authentic and fulfilling. You and your brother priests offer this hope by your ministry of sanctification, which not only leads the faithful to the sources of grace in the liturgy and the sacraments, but also constantly urges them to press forward in response to the upward call of God (cf. Phil 3:14). You guard this hope by keeping alive the flame of holiness, fraternal charity and missionary zeal within the Church’s communion. For this reason, I ask you to remain ever close to your priests, encouraging them in their daily labors, their pursuit of sanctity and their proclamation of the Gospel of salvation. I ask you to convey to them my affectionate greeting and my gratitude for their dedicated service to God’s people. I urge you to remain close to your priests. Close, so that they can see their bishop often. This closeness of the bishop is not only fraternal but also paternal: as they carry our their pastoral ministry, priests often need it. Bishops must not be distant from their priests, or worse, unapproachable. I say this with a heavy heart. Where I come from, some priests would tell me: "I’ve called the bishop, I’ve asked to meet him; yet three months have gone by and I have still not received an answer". Brothers, if a priest phones you today and asks to see you, call him back immediately, today or tomorrow. If you don’t have time to see him, tell him: "I can’t meet you because of this, that and or the other thing, but I wanted to call you and I am here for you". But let them hear their father’s response, as quickly as possible. Please, do not be distant from your priests.

If we accept the challenge of being a missionary Church, a Church which constantly goes forth to the world and, especially, to the peripheries of contemporary society, we will need to foster that "spiritual taste" which enables us to embrace and identify with each member of Christ’s body (cf. Evangelii Gaudium, 268). Here particular care and concern needs to be shown for the children and the elderly in our communities. How can we be guardians of hope if we neglect the memory, the wisdom and the experience of the elderly, and the aspirations of our young? In this regard, I would ask you to be concerned in a special way for the education of children, supporting the indispensable mission not only of the universities, important as they are, but also Catholic schools at every level, beginning with elementary schools, where young minds and hearts are shaped in love for the Lord and his Church, in the good, the true and the beautiful, and where children learn to be good Christians and upright citizens.

Being guardians of hope also entails ensuring that the prophetic witness of the Church in Korea remains evident in its concern for the poor and in its programs of outreach, particularly to refugees and migrants and those living on the margins of society. This concern should be seen not only in concrete charitable initiatives, which are necessary, but also in the ongoing work of social, occupational and educational promotion. We can risk reducing our work with those in need to its institutional dimension alone, while overlooking each individual’s need to grow as a person – their right to grow as a person – and to express in a worthy manner his or her own personality, creativity and culture. Solidarity with the poor is at the heart of the Gospel; it has to be seen as an essential element of the Christian life; through preaching and catechesis grounded in the rich patrimony of the Church’s social teaching, it must penetrate the hearts and minds of the faithful and be reflected in every aspect of ecclesial life. The apostolic ideal of a Church of and for the poor, a poor Church for the poor, found eloquent expression in the first Christian communities of your nation. I pray that this ideal will continue to shape the pilgrim path of the Church in Korea as she looks to the future. I am convinced that if the face of the Church is first and foremost a face of love, more and more young people will be drawn to the heart of Jesus ever aflame with divine love in the communion of his mystical body.

I have said that the poor are at the heart of the Gospel; they are present there from beginning to end. In the synagogue at Nazareth, Jesus made this clear at the outset of his ministry. And when in Matthew 25 he speaks of the latter days, and reveals the criterion by which we will all be judged, there too we find the poor. There is a danger, a temptation which arises in times of prosperity: it is the danger that the Christian community becomes just another "part of society", losing its mystical dimension, losing its ability to celebrate the Mystery and instead becoming a spiritual organization, Christian and with Christian values, but lacking the leaven of prophecy. When this happens, the poor no longer have their proper role in the Church. This is a temptation from which particular Churches, Christian communities, have suffered greatly over the centuries; in some cases they become so middle class that the poor even feel ashamed to be a part of them. It is the temptation of spiritual "prosperity", pastoral prosperity. No longer is it a poor Church for the poor but rather a rich Church for the rich, or a middle class Church for the well-to-do. Nor is this anything new: the temptation was there from the beginning. Paul had to rebuke the Corinthians in his First Letter (11:17), while the Apostle James was even more severe and explicit (2:1-7): he had to rebuke these affluent communities, affluent Churches for affluent people. They were not excluding the poor, but the way they were living made the poor reluctant to enter, they did not feel at home. This is the temptation of prosperity. I am not admonishing you because I know that you are doing good work. As a brother, however, who has the duty to confirm his brethren in the faith, I am telling you: be careful, because yours is a Church which is prospering, a great missionary Church, a great Church. The devil must not be allowed to sow these weeds, this temptation to remove the poor from very prophetic structure of the Church and to make you become an affluent Church for the affluent, a Church of the well-to do – perhaps not to the point of developing a "theology of prosperity" – but a Church of mediocrity.

Dear brothers, a prophetic witness to the Gospel presents particular challenges to the Church in Korea, since she carries out her life and ministry amid a prosperous, yet increasingly secularized and materialistic society. In such circumstances it is tempting for pastoral ministers to adopt not only effective models of management, planning and organization drawn from the business world, but also a lifestyle and mentality guided more by worldly criteria of success, and indeed power, than by the criteria which Jesus sets out in the Gospel. Woe to us if the cross is emptied of its power to judge the wisdom of this world (cf. 1 Cor 1:17)! I urge you and your brother priests to reject this temptation in all its forms. May we be saved from that spiritual and pastoral worldliness which stifles the Spirit, replaces conversion by complacency, and, in the process, dissipates all missionary fervor (cf. Evangelii Gaudium, 93-97)!

Dear brother Bishops, thank you for all that you do. Thank you! With these reflections on your role as guardians of memory and of hope, I want to encourage you in your efforts to build up the faithful in Korea in unity, holiness and zeal. Memory and hope inspire us and guide us toward the future. I remember all of you in my prayers and I urge you constantly to trust in the power of God’s grace. Never forget: "The Lord is faithful". We are not, but he is. "He will strengthen you and guard you from the evil one" (2 Thess 3:3). May the prayers of Mary, Mother of the Church, bring to full flower in this land the seeds planted by the martyrs, watered by generations of faithful Catholics, and handed down to you as a pledge for the future of your country and of our world. To you, and to all entrusted to your pastoral care and keeping, I cordially impart my blessing and I ask you, please, to pray for me. Thank you.

[01270-02.01] [Original text: Italian]

Traduzione in lingua spagnola

Agradezco a Mons. Peter U-il Kang las fraternas palabras de bienvenida que me ha dirigido en nombre de todos. Es una bendición para mí estar aquí y conocer personalmente la vitalidad de la Iglesia coreana. A ustedes, como Pastores, corresponde la tarea de custodiar el rebaño del Señor. Son los custodios de las maravillas que él realiza en su pueblo. Custodiar es una de las tareas confiadas específicamente al Obispo: cuidar del Pueblo de Dios. Como hermano en el Episcopado, me gustaría reflexionar hoy con ustedes sobre dos aspectos centrales del cuidado del Pueblo de Dios en este país: ser custodios de la memoria y ser custodios de la esperanza.

Ser custodios de la memoria. La beatificación de Pablo Yun Ji-chung y de sus compañeros constituye una ocasión para dar gracias al Señor que ha hecho que, de las semillas esparcidas por los mártires, esta tierra produjera una abundante cosecha de gracia. Ustedes son los descendientes de los mártires, herederos de su heroico testimonio de fe en Cristo. Son además herederos de una extraordinaria tradición que surgió y se desarrolló gracias a la fidelidad, a la perseverancia y al trabajo de generaciones de laicos. Ellos no tenían la tentación del clericalismo: eran laicos, caminaban ellos solos. Es significativo que la historia de la Iglesia en Corea haya comenzado con un encuentro directo con la Palabra de Dios. Fue la belleza intrínseca y la integridad del mensaje cristiano –el Evangelio y su llamada a la conversión, a la renovación interior y a una vida de caridad– lo que impresionó a Yi Byeok y a los nobles ancianos de la primera generación; y la Iglesia en Corea mira ese mensaje, en su pureza, como un espejo, para descubrirse auténticamente a sí misma.La fecundidad del Evangelio en la tierra coreana y el gran legado transmitido por sus antepasados en la fe, se pueden reconocer hoy en el florecimiento de parroquias activas y de movimientos eclesiales, en sólidos programas de catequesis, en la atención pastoral a los jóvenes y en las escuelas católicas, en los seminarios y en las universidades. La Iglesia en Corea se distingue por su presencia en la vida espiritual y cultural de la nación y por su fuerte impulso misionero. De tierra de misión, Corea ha pasado a ser tierra de misioneros; y la Iglesia universal se beneficia de los muchos sacerdotes y religiosos enviados por el mundo.

Ser custodios de la memoria implica algo más que recordar o conservar las gracias del pasado. Requiere también sacar de ellas los recursos espirituales para afrontar con altura de miras y determinación las esperanzas, las promesas y los retos del futuro. Como ustedes mismos han señalado, la vida y la misión de la Iglesia en Corea no se mide en último término con criterios exteriores, cuantitativos o institucionales; más bien debe ser considerada a la clara luz del Evangelio y de su llamada a la conversión a Jesucristo. Ser custodios de la memoria significa darse cuenta de que el crecimiento lo da Dios (cf. 1 Co 3,6), y al mismo tiempo es fruto de un trabajo paciente y perseverante, tanto en el pasado como en el presente. Nuestra memoria de los mártires y de las generaciones anteriores de cristianos debe ser realista, no idealizada ni "triunfalista". Mirar al pasado sin escuchar la llamada de Dios a la conversión en el presente no nos ayudará a avanzar en el camino; al contrario, frenará o incluso detendrá nuestro progreso espiritual.

Además de ser custodios de la memoria, queridos hermanos, ustedes están llamados a ser custodios de la esperanza: la esperanza que nos ofrece el Evangelio de la gracia y de la misericordia de Dios en Jesucristo, la esperanza que inspiró a los mártires. Ésa es la esperanza que estamos llamados a proclamar en un mundo que, a pesar de su prosperidad material, busca algo más, algo más grande, algo auténtico y que dé plenitud. Ustedes y sus hermanos sacerdotes ofrecen esta esperanza con su ministerio de santificación, que no sólo conduce a los fieles a las fuentes de la gracia en la liturgia y en los sacramentos, sino que los alienta constantemente a responder a la llamada de Dios hasta llegar a la meta (cf. Flp 3,14). Ustedes custodian esta esperanza manteniendo viva la llama de la santidad, de la caridad fraterna y del celo misionero en la comunión eclesial. Por esta razón les pido que estén siempre cerca de sus sacerdotes, animándolos en su labor cotidiana, en la búsqueda de santidad y en la proclamación del Evangelio de la salvación. Les pido que les transmitan mi saludo afectuoso y mi gratitud por su generoso servicio al Pueblo de Dios. Estén cerca de sus sacerdotes, por favor, cercanía, cercanía con los sacerdotes. Que puedan acceder a su obispo. Esa cercanía fraterna del obispo, y también paterna: la necesitan en muchas circunstancias de su vida pastoral. No obispos lejanos o, lo que es peor, que se alejan de sus sacerdotes. Lo digo con dolor. En mi tierra, oía decir con frecuencia a algunos sacerdotes: «He llamado al obispo; le he pedido audiencia; han pasado tres meses, y todavía no me ha respondido". Escucha, hermano, si un sacerdote te llama hoy para pedirte audiencia, respóndele enseguida, hoy o mañana. Si no tienes tiempo para recibirlo, díselo: "No puedo porque tengo esto, esto, esto. Pero me gustaría escucharte y estoy a tu disposición". Que sientan la respuesta del padre, enseguida. Por favor, no se alejen de sus sacerdotes.

Si aceptamos el reto de ser una Iglesia misionera, una Iglesia constantemente en salida hacia el mundo y en particular a las periferias de la sociedad contemporánea, tenemos que desarrollar ese "gusto espiritual" que nos hace capaces de acoger e identificarnos con cada miembro del Cuerpo de Cristo (cf. Exhort. ap. Evangelii gaudium, 268). En este sentido, nuestras comunidades deberían mostrar una solicitud particular por los niños y los ancianos. ¿Cómo podemos ser custodios de la esperanza sin tener en cuenta la memoria, la sabiduría y la experiencia de los ancianos y las aspiraciones de los jóvenes? A este respecto quisiera pedirles que se ocupen especialmente de la educación de los jóvenes, apoyando la indispensable misión no sólo de las universidades, que son importantes, sino también de las escuelas católicas desde los primeros niveles, donde la mente y el corazón de los jóvenes se forman en el amor de Dios y de su Iglesia, en la bondad, la verdad y la belleza, para ser buenos cristianos y honestos ciudadanos.

Ser custodios de la esperanza implica también garantizar que el testimonio profético de la Iglesia en Corea siga expresándose en su solicitud por los pobres y en sus programas de solidaridad, sobre todo con los refugiados y los inmigrantes, y con aquellos que viven al margen de la sociedad. Esta solicitud debería manifestarse no sólo mediante iniciativas concretas de caridad –que son necesarias– sino también con un trabajo constante de promoción social, ocupacional y educativa. Podemos correr el riesgo de reducir nuestro compromiso con los necesitados solamente a la dimensión asistencial, olvidando la necesidad que todos tienen de crecer como personas –el derecho a crecer como personas–, y de poder expresar con dignidad su propia personalidad, su creatividad y cultura. La solidaridad con los pobres está en el centro del Evangelio; es un elemento esencial de la vida cristiana; mediante una predicación y una catequesis basadas en el rico patrimonio de la doctrina social de la Iglesia, debe permear los corazones y las mentes de los fieles y reflejarse en todos los aspectos de la vida eclesial. El ideal apostólico de una Iglesia de los pobres y para los pobres, una Iglesia pobre para los pobres, quedó expresado elocuentemente en las primeras comunidades cristianas de su nación. Espero que este ideal siga caracterizando la peregrinación de la Iglesia en Corea hacia el futuro. Estoy convencido de que si el rostro de la Iglesia es ante todo el rostro del amor, los jóvenes se sentirán cada vez más atraídos hacia el Corazón de Jesús, siempre inflamado de amor divino en la comunión de su Cuerpo Místico.

He dicho que los pobres están en el centro del Evangelio; están también al principio y al final. Jesús, en la sinagoga de Nazaret, habla claro, al comienzo de su vida apostólica. Y cuando habla del último día y nos da a conocer ese "protocolo" con el que todos seremos juzgados –Mt 25–, también allí se encuentran los pobres. Hay un peligro, una tentación, que aparece en los momentos de prosperidad: es el peligro de que la comunidad cristiana se "socialice", es decir, que pierda su dimensión mística, que pierda la capacidad de celebrar el Misterio y se convierta en una organización espiritual, cristiana, con valores cristianos, pero sin fermento profético. En tal caso, se pierde la función que tienen los pobres en la Iglesia. Es una tentación que han tenido las Iglesias particulares, las comunidades cristianas, a lo largo de la historia. Hasta el punto de transformarse en una comunidad de clase media, en la que los pobres llegan incluso a sentir vergüenza: les da vergüenza entrar. Es la tentación del bienestar espiritual, del bienestar pastoral. No es una Iglesia pobre para los pobres, sino una Iglesia rica para los ricos, o una Iglesia de clase media para los acomodados. Y esto no es algo nuevo: empezó desde los primeros momentos. Pablo se vio obligado a reprender a los Corintios, en la primera Carta, capítulo 11, versículo 17; y el apóstol Santiago fue todavía más duro y más explícito, en el capítulo 2, versículos 1 al 7: se vio obligado a reprender a esas comunidades acomodadas, esas Iglesias acomodadas y para acomodados. No se expulsa a los pobres, pero se vive de tal forma, que no se atreven a entrar, no se sienten en su propia casa. Ésta es una tentación de la prosperidad. Yo no les reprendo, porque sé que ustedes trabajan bien. Pero como hermano que tiene que confirmar en la fe a sus hermanos, les digo: estén atentos, porque su Iglesia es una Iglesia en prosperidad, es una gran Iglesia misionera, es una Iglesia grande. Que el diablo no siembre esta cizaña, esta tentación de quitar a los pobres de la estructura profética de la Iglesia, y les convierta en una Iglesia acomodada para acomodados, una Iglesia del bienestar… no digo hasta llegar a la "teología de la prosperidad", no, sino de la mediocridad.

Queridos hermanos, el testimonio profético y evangélico presenta algunos retos particulares a la Iglesia en Corea, que vive y se mueve en medio de una sociedad próspera pero cada vez más secularizada y materialista. En estas circunstancias, los agentes pastorales sienten la tentación de adoptar no sólo modelos eficaces de gestión, programación y organización tomados del mundo de los negocios, sino también un estilo de vida y una mentalidad guiada más por los criterios mundanos del éxito e incluso del poder, que por los criterios que nos presenta Jesús en el Evangelio. ¡Ay de nosotros si despojamos a la Cruz de su capacidad para juzgar la sabiduría de este mundo! (cf. 1 Co 1,17). Los animo a ustedes y a sus hermanos sacerdotes a rechazar esta tentación en todas sus modalidades. Dios quiera que nos podamos salvar de esa mundanidad espiritual y pastoral que sofoca el Espíritu, sustituye la conversión por la complacencia y termina por disipar todo fervor misionero (cf. Exhort. ap. Evangelii gaudium, 93-97).

Queridos hermanos Obispos, gracias por todo lo que hacen: gracias. Y con estas reflexiones sobre su misión como custodios de la memoria y de la esperanza, he pretendido animarlos en sus esfuerzos por incrementar la unidad, la santidad y el celo de los fieles en Corea. La memoria y la esperanza nos inspiran y nos guían hacia el futuro. Los tengo presentes a todos en mis oraciones y les pido que confíen siempre en la fuerza de la gracia de Dios. No se olviden: «El Señor es fiel". Nosotros no somos fieles, pero él es fiel. Él "les dará fuerzas y los librará del Maligno» (2 Ts 3,3). Que las oraciones de María, Madre de la Iglesia, hagan florecer plenamente en esta tierra las semillas sembradas por los mártires, regadas por generaciones de fieles católicos y trasmitidas a ustedes como promesa de futuro para el país y el mundo. A ustedes y a cuantos han sido confiados a su atención y custodia pastoral, les imparto de corazón la Bendición. Y les pido, por favor, que recen por mí. Gracias.

[01270-04.01] [Texto original: Italiano]

Al termine dell’incontro, dopo la presentazione individuale dei Presuli e la Firma del Libro d’oro, il Santo Padre è rientrato in auto alla Nunziatura Apostolica di Seoul dove ha cenato in privato, mentre i membri del Seguito papale hanno partecipato ad una cena con i Vescovi coreani.

[B0573-XX.02]