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UDIENZA AL CORPO DIPLOMATICO ACCREDITATO PRESSO LA SANTA SEDE PER LA PRESENTAZIONE DEGLI AUGURI PER IL NUOVO ANNO, 13.01.2014


UDIENZA AL CORPO DIPLOMATICO ACCREDITATO PRESSO LA SANTA SEDE PER LA PRESENTAZIONE DEGLI AUGURI PER IL NUOVO ANNO

DISCORSO DEL SANTO PADRE

TRADUZIONE IN LINGUA FRANCESE

TRADUZIONE IN LINGUA INGLESE

TRADUZIONE IN LINGUA TEDESCA

TRADUZIONE IN LINGUA SPAGNOLA

TRADUZIONE IN LINGUA PORTOGHESE

Alle ore 11 di questa mattina, nella Sala Regia del Palazzo Apostolico Vaticano il Santo Padre Francesco ha ricevuto in Udienza i Membri del Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede per la presentazione degli auguri per il nuovo anno.
Dopo le parole introduttive del Decano del Corpo Diplomatico, S.E. il Signor Jean-Claude Michel, Ambasciatore del Principato di Monaco presso la Santa Sede, il Papa ha pronunciato il discorso che riportiamo di seguito:

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Eminenza, Eccellenze, Signore e Signori, 

È ormai una lunga e consolidata tradizione quella che, all’inizio di ogni nuovo anno, vuole che il Papa incontri il Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede per porgere voti augurali e scambiare alcune riflessioni, che sgorgano anzitutto dal suo cuore di pastore, attento alle gioie e ai dolori dell’umanità. È perciò motivo di grande letizia l’incontro di oggi. Esso mi permette di formulare a Voi personalmente, alle Vostre famiglie, alle Autorità e ai popoli che rappresentate i miei più sentiti auguri per un Anno ricco di benedizioni e di pace.

Ringrazio anzitutto il Decano Jean-Claude Michel, il quale ha dato voce, a nome di tutti Voi, alle espressioni di affetto e di stima che legano le Vostre Nazioni alla Sede Apostolica. Sono lieto di rivedervi qui, così numerosi, dopo avervi incontrato una prima volta pochi giorni dopo la mia elezione. Nel frattempo sono stati accreditati numerosi nuovi Ambasciatori, a cui rinnovo il benvenuto, mentre, tra coloro che ci hanno lasciato, non posso non menzionare , come ha fatto il Vostro Decano, il compianto Ambasciatore Alejandro Valladares Lanza, per diversi anni Decano del Corpo Diplomatico, che il Signore ha chiamato a sé alcuni mesi fa.

L’anno appena conclusosi è stato particolarmente denso di avvenimenti non solo nella vita della Chiesa, ma anche nell’ambito dei rapporti che la Santa Sede intrattiene con gli Stati e le Organizzazioni internazionali. Ricordo, in particolare,l’allacciamento delle relazioni diplomatiche con il Sud Sudan, la firma di accordi, di base o specifici, con Capo Verde, Ungheria e Ciad, e la ratifica di quello con la Guinea Equatoriale sottoscritto nel 2012. Anche nell’ambito regionale è cresciuta la presenza della Santa Sede, sia in America centrale, dove essa è diventata Osservatore Extra-Regionale presso il Sistema de la Integración Centroamericana, sia in Africa, con l’accreditamento del primo Osservatore Permanente presso la Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale.

Nel Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, dedicato alla fraternità come fondamento e via per la pace, ho notato che «la fraternità si comincia ad imparare solitamente in seno alla famiglia» (Messaggio per la XLVII Giornata Mondiale della Pace, 8 dicembre 2013, 1), la quale «per vocazione, dovrebbe contagiare il mondo con il suo amore» (ibid.) e contribuire a far maturare quello spirito di servizio e di condivisione che edifica la pace (cfr ibid., 10). Ce lo racconta il presepe, dove vediamo la Santa Famiglia non sola e isolata dal mondo, ma attorniata dai pastori e dai magi, cioè una comunità aperta, nella quale c’è spazio per tutti, poveri e ricchi, vicini e lontani. E si comprendono così le parole del mio amato predecessore Benedetto XVI, il quale sottolineava come «il lessico familiare è un lessico di pace» (Benedetto XVI, Messaggio per la XLI Giornata Mondiale della Pace [8 dicembre 2007], 3: AAS 100 [2008], 39).

Purtroppo, spesso ciò non accade, perché aumenta il numero delle famiglie divise e lacerate, non solo per la fragile coscienza del senso di appartenenza che contraddistingue il mondo attuale, ma anche per le condizioni difficili in cui molte di esse sono costrette a vivere, fino al punto di mancare degli stessi mezzi di sussistenza. Si rendono perciò necessarie politiche appropriate che sostengano, favoriscano e consolidino la famiglia!

Capita, inoltre, che gli anziani siano considerati un peso, mentre i giovani non vedono davanti a sé prospettive certe per la loro vita. Anziani e giovani, al contrario, sono la speranza dell’umanità. I primi apportano la saggezza dell’esperienza; i secondi ci aprono al futuro, impedendo di chiuderci in noi stessi (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 108). È saggio non emarginare gli anziani dalla vita sociale per mantenere viva la memoria di un popolo. Parimenti, è bene investire sui giovani, con iniziative adeguate che li aiutino a trovare lavoro e a fondare un focolare domestico. Non bisogna spegnere il loro entusiasmo! Conservo viva nella mia mente l’esperienza della Giornata Mondiale della Gioventù di Rio de Janeiro. Quanti ragazzi contenti ho potuto incontrare! Quanta speranza e attesa nei loro occhi e nelle loro preghiere! Quanta sete di vita e desiderio di aprirsi agli altri! La chiusura e l’isolamento creano sempre un’atmosfera asfittica e pesante, che prima o poi finisce per intristire e soffocare. Serve, invece, un impegno comune di tutti per favorire una cultura dell’incontro, perché solo chi è in grado di andare verso gli altri è capace di portare frutto, di creare vincoli, di creare comunione, di irradiare gioia, di edificare la pace.

Lo confermano – se ce ne fosse bisogno – le immagini di distruzione e di morte che abbiamo avuto davanti agli occhi nell’anno appena trascorso. Quanto dolore, quanta disperazione causa la chiusura in sé stessi, che prende via via il volto dell’invidia, dell’egoismo, della rivalità, della sete di potere e di denaro! Sembra, talvolta, che tali realtà siano destinate a dominare. Il Natale, invece, infonde in noi cristiani la certezza che l’ultima e definitiva parola appartiene al Principe della Pace, che muta «le spade in vomeri e le lance in falci» (cfr Is 2,4) e trasforma l’egoismo in dono di sé e la vendetta in perdono.

È con questa fiducia che desidero guardare all’anno che ci sta di fronte. Non cesso, pertanto, di sperare che abbia finalmente termine il conflitto in Siria. La sollecitudine per quella cara popolazione e il desiderio di scongiurare l’aggravarsi della violenza mi hanno portato, nel settembre scorso, a indire una giornata di digiuno e di preghiera. Attraverso di Voi ringrazio di vero cuore quanti nei Vostri Paesi, Autorità pubbliche e persone di buona volontà, si sono associati a tale iniziativa. Occorre ora una rinnovata volontà politica comune per porre fine al conflitto. In tale prospettiva, auspico che la Conferenza "Ginevra 2", convocata per il 22 gennaio p.v.,segni l’inizio del desiderato cammino di pacificazione. Nello stesso tempo, è imprescindibile il pieno rispetto del diritto umanitario. Non si può accettare che venga colpita la popolazione civile inerme, soprattutto i bambini. Incoraggio, inoltre, tutti a favorire e a garantire, in ogni modo possibile, la necessaria e urgente assistenza di gran parte della popolazione, senza dimenticare l’encomiabile sforzo di quei Paesi, soprattutto il Libano e la Giordania, che con generosità hanno accolto nel proprio territorio i numerosi profughi siriani.

Rimanendo nel Medio Oriente, noto con preoccupazione le tensioni che in diversi modi colpiscono la Regione. Guardo con particolare preoccupazione al protrarsi delle difficoltà politiche in Libano, dove un clima di rinnovata collaborazione fra le diverse istanze della società civile e le forze politiche è quanto mai indispensabile per evitare l’acuirsi di contrasti che possono minare la stabilità del Paese. Penso anche all’Egitto, bisognoso di una ritrovata concordia sociale, come pure all’Iraq, che stenta a giungere all’auspicata pace e stabilità. In pari tempo, rilevo con soddisfazione i significativi progressi compiuti nel dialogo tra l’Iran ed il "Gruppo 5+1" sulla questione nucleare.

Ovunque la via per risolvere le problematiche aperte deve essere quella diplomatica del dialogo. È la strada maestra già indicata con lucida chiarezza dal papa Benedetto XV allorché invitava i responsabili delle Nazioni europee a far prevalere «la forza morale del diritto» su quella «materiale delle armi» per porre fine a quella «inutile strage» (cfr Benedetto XV, Lettera ai Capi dei Popoli belligeranti [1 agosto 1917]: AAS 9 [1917], 421-423), che è stata la Prima Guerra Mondiale, di cui quest’anno ricorre il centenario. Occorre «il coraggio di andare oltre la superficie conflittuale» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 228),per considerare gli altri nella loro dignità più profonda, affinché l’unità prevalga sul conflitto e sia «possibile sviluppare una comunione nelle differenze» (ibid.). In questo senso è positivo che siano ripresi i negoziati di pace tra Israeliani e Palestinesi e faccio voti affinché le Parti siano determinate ad assumere, con il sostegno della Comunità internazionale, decisioni coraggiose per trovare una soluzione giusta e duratura ad un conflitto la cui fine si rivela sempre più necessaria e urgente. Non cessa di destare preoccupazione l’esodo dei cristiani dal Medio Oriente e dal Nord Africa. Essi desiderano continuare a far parte dell’insieme sociale, politico e culturale dei Paesi che hanno contribuito ad edificare, e ambiscono concorrere al bene comune delle società nelle quali vogliono essere pienamente inseriti, quali artefici di pace e di riconciliazione.

Pure in altre parti dell’Africa, i cristiani sono chiamati a dare testimonianza dell’amore e della misericordia di Dio. Non bisogna mai desistere dal compiere il bene anche quando è arduo e quando si subiscono atti di intolleranza, se non addirittura di vera e propria persecuzione. In vaste aree della Nigeria non si fermano le violenze e continua ad essere versato tanto sangue innocente. Il mio pensiero va soprattutto alla Repubblica Centro africana, dove la popolazione soffre a causa delle tensioni che il Paese attraversa e che hanno seminato a più riprese distruzione e morte. Mentre assicuro la mia preghiera per le vittime e per i numerosi sfollati, costretti a vivere in condizioni di indigenza, auspico che l’interessamento della Comunità internazionale contribuisca a far cessare le violenze, a ripristinare lo stato di diritto e a garantire l’accesso degli aiuti umanitari anche alle zone più remote del Paese. Da parte sua, la Chiesa cattolica continuerà ad assicurare la propria presenza e collaborazione, adoperandosi con generosità per fornire ogni aiuto possibile alla popolazione e, soprattutto, per ricostruire un clima di riconciliazione e di pace fra tutte le componenti della società. Riconciliazione e pace sono priorità fondamentali anche in altre parti del continente africano. Mi riferisco particolarmente al Mali, dove pur si nota il positivo ripristino delle strutture democratiche del Paese, come pure al Sud Sudan, dove, al contrario, l’instabilità politica dell’ultimo periodo ha già provocato numerosi morti e una nuova emergenza umanitaria.

La Santa Sede segue con viva attenzione anche le vicende dell’Asia, dove la Chiesa desidera condividere le gioie e le attese di tutti i popoli che compongono quel vasto e nobile continente. In occasione del 50° anniversario delle relazioni diplomatiche con la Repubblica di Corea, vorrei implorare da Dio il dono della riconciliazione nella penisola, con l’auspicio che, per il bene di tutto il popolo coreano, le Parti interessate non si stanchino di cercare punti d’incontro e possibili soluzioni. L’Asia, infatti, ha una lunga storia di pacifica convivenza tra le sue varie componenti civili, etniche e religiose. Occorre incoraggiare tale reciproco rispetto, soprattutto di fronte ad alcuni preoccupanti segnali di un suo indebolimento, in particolare a crescenti atteggiamenti di chiusura che, facendo leva su motivazioni religiose, tendono a privare i cristiani delle loro libertà e a mettere a rischio la convivenza civile. La Santa Sede guarda, invece, con viva speranza i segni di apertura che provengono da Paesi di grande tradizione religiosa e culturale, con i quali desidera collaborare all’edificazione del bene comune.

La pace è inoltre ferita da qualunque negazione della dignità umana, prima fra tutte dalla impossibilità di nutrirsi in modo sufficiente. Non possono lasciarci indifferenti i volti di quanti soffrono la fame, soprattutto dei bambini, se pensiamo a quanto cibo viene sprecato ogni giorno in molte parti del mondo, immerse in quella che ho più volte definito la "cultura dello scarto". Purtroppo, oggetto di scarto non sono solo il cibo o i beni superflui, ma spesso gli stessi esseri umani, che vengono "scartati" come fossero "cose non necessarie". Ad esempio, desta orrore il solo pensiero che vi siano bambini che non potranno mai vedere la luce, vittime dell’aborto, o quelli che vengono utilizzati come soldati, violentati o uccisi nei conflitti armati, o fatti oggetti di mercato in quella tremenda forma di schiavitù moderna che è la tratta degli esseri umani, la quale è un delitto contro l’umanità.

Non può trovarci insensibili il dramma delle moltitudini costrette a fuggire dalla carestia o dalle violenze e dai soprusi, particolarmente nel Corno d’Africa e nella Regione dei Grandi Laghi. Molti di essi vivono come profughi o rifugiati in campi dove non sono più considerate persone ma cifre anonime. Altri, con la speranza di una vita migliore, intraprendono viaggi di fortuna, che non di rado terminano tragicamente. Penso in modo particolare ai numerosi migranti che dall’America Latina sono diretti negli Stati Uniti, ma soprattutto a quanti dall’Africa o dal Medio Oriente cercano rifugio in Europa.

È ancora viva nella mia memoria la breve visita che ho compiuto a Lampedusa nel luglio scorso per pregare per i numerosi naufraghi nel Mediterraneo. Purtroppo vi è una generale indifferenza davanti a simili tragedie, che è un segnale drammatico della perdita di quel «senso della responsabilità fraterna» (Omelia nella S. Messa a Lampedusa, 8 luglio 2013), su cui si basa ogni società civile. In tale circostanza ho però potuto constatare anche l’accoglienza e la dedizione di tante persone. Auguro al popolo italiano, al quale guardo con affetto, anche per le comuni radici che ci legano, di rinnovare il proprio encomiabile impegno di solidarietà verso i più deboli e gli indifesi e, con lo sforzo sincero e corale di cittadini e istituzioni, di superare le attuali difficoltà, ritrovando il clima di costruttiva creatività sociale che lo ha lungamente caratterizzato.

Infine, desidero menzionare un’altra ferita alla pace, che sorge dall’avido sfruttamento delle risorse ambientali. Anche se «la natura è a nostra disposizione» (Messaggio per la XLVII Giornata Mondiale della Pace [8 dicembre 2013], 9), troppo spesso «non la rispettiamo e non la consideriamo come un dono gratuito di cui avere cura e da mettere a servizio dei fratelli, comprese le generazioni future» (ibid.).Pure in questo caso va chiamata in causa la responsabilità di ciascuno affinché, con spirito fraterno, si perseguano politiche rispettose di questa nostra terra, che è la casa di ognuno di noi. Ricordo un detto popolare che dice: "Dio perdona sempre, noi perdoniamo a volte, la natura – il creato – non perdona mai quando viene maltrattata!". D’altra parte, abbiamo avuto davanti ai nostri occhi gli effetti devastanti di alcune recenti catastrofi naturali. In particolare, desidero ricordare ancora le numerose vittime e le gravi devastazioni nelle Filippine e in altri Paesi del Sud-Est asiatico provocate dal tifone Haiyan.

Eminenza, Eccellenze, Signore e Signori, 

Il Papa Paolo VI notava che la pace «non si riduce ad un’assenza di guerra, frutto dell’equilibrio sempre precario delle forze. Essa si costruisce giorno per giorno, nel perseguimento di un ordine voluto da Dio, che comporta una giustizia più perfetta tra gli uomini» (Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio [26 marzo 1967], 76: AAS 59 [1967], 294-295). È questo lo spirito che anima l’azione della Chiesa ovunque nel mondo, attraverso i sacerdoti, i missionari, i fedeli laici, che con grande spirito di dedizione si prodigano, tra l’altro, in molteplici opere di carattere educativo, sanitario ed assistenziale, a servizio dei poveri, dei malati, degli orfani e di chiunque sia bisognoso di aiuto e conforto. A partire da tale «attenzione d’amore» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 199), la Chiesa coopera con tutte le istituzioni che hanno a cuore tanto il bene dei singoli quanto quello comune.

All’inizio di questo nuovo anno, desidero perciò rinnovare la disponibilità della Santa Sede, e in particolare della Segreteria di Stato, a collaborare con i Vostri Paesi per favorire quei legami di fraternità, che sono riverbero dell’amore di Dio, e fondamento della concordia e della pace. Su di Voi, sulle Vostre famiglie e sui Vostri popoli scenda copiosa la benedizione del Signore. Grazie.

[00042-01.02] [Testo originale: Italiano]

TRADUZIONE IN LINGUA FRANCESE

Éminence, Excellences, Mesdames et Messieurs,

C’est désormais une longue et solide tradition qui veut qu’au début de chaque nouvelle année, le Pape rencontre le Corps diplomatique accrédité près le Saint-Siège pour lui offrir ses vœux et échanger quelques réflexions, qui jaillissent surtout de son cœur de pasteur, attentif aux joies et aux souffrances de l’humanité. Et donc, la rencontre d’aujourd’hui est un motif de grande joie. Elle me permet de vous présenter à vous personnellement, à vos familles, aux Autorités et aux peuples que vous représentez mes vœux les plus sincères pour une année riche de bénédictions et de paix.

Je remercie avant tout le Doyen Jean-Claude Michel, qui a prêté sa voix au nom de vous tous, pour exprimer l’affection et l’estime qui lient vos Nations au Siège apostolique. Je suis heureux de vous revoir ici, si nombreux, après vous avoir rencontré une première fois, quelques jours après mon élection. Entre temps de nombreux nouveaux Ambassadeurs ont été accrédités, à qui je renouvelle mon souhait de bienvenue, tandis que, parmi ceux qui nous ont quittés, je ne peux pas ne pas mentionner, comme l’a fait votre Doyen, le regretté Ambassadeur Alejandro Valladares Lanza, Doyen du Corps diplomatique pendant plusieurs années, que le Seigneur a rappelé à lui il y a quelques mois.

L’année qui vient de se conclure a été particulièrement dense en événements non seulement dans la vie de l’Église, mais aussi dans le domaine des relations que le Saint-Siège entretient avec les États et les Organisations internationales. Je rappelle, en particulier, l’établissement des relations diplomatiques avec le Sud Soudan, la signature d’accords, de base ou spécifiques, avec le Cap-Vert, la Hongrie et le Tchad, et la ratification de celui avec la Guinée Équatoriale souscrit en 2012. La présence du Saint-Siège s’est aussi développée dans le domaine régional, que ce soit en Amérique centrale, où il est devenu Observateur Extrarégional auprès du Sistema de la Integración Centroamericana, ou en Afrique, avec l’accréditation du premier Observateur Permanent auprès de la Communauté économique des États de l’Afrique occidentale.

Dans le message pour la Journée mondiale de la Paix, consacré à la fraternité comme fondement et chemin pour la paix, j’ai souligné que « la fraternité commence habituellement à s’apprendre au sein de la famille »1 qui, « par vocation devrait gagner le monde par son amour »2 et contribuer à faire mûrir cet esprit de service et de partage qui construit la paix3. C’est ce que nous raconte la crèche, où nous voyons la Sainte Famille non pas seule et isolée du monde, mais entourée des bergers et des mages, c’est-à-dire une communauté ouverte, dans laquelle il y a de la place pour tous, pauvres et riches, proches et lointains. Et on comprend ainsi les paroles de mon bien-aimé prédécesseur Benoît XVI, qui soulignait combien « le lexique familial est un lexique de paix »4.

Malheureusement, souvent ce n’est pas ce qui arrive, parce que le nombre des familles divisées et déchirées augmente, non seulement à cause de la conscience fragile du sens de l’appartenance qui caractérise le monde actuel, mais aussi à cause des conditions difficiles dans lesquelles beaucoup d’entre elles sont contraintes de vivre, au point de manquer des moyens-mêmes de subsistance. Par conséquent, des politiques appropriées qui soutiennent, favorisent et consolident la famille sont rendues nécessaires !

Il arrive en outre que les personnes âgées soient considérées comme un poids, tandis que les jeunes ne voient pas devant eux des perspectives sûres pour leur vie. Les aînés et les jeunes sont au contraire l’espérance de l’humanité. Les premiers apportent la sagesse de l’expérience ; les seconds nous ouvrent à l’avenir, empêchant de nous refermer en nous-mêmes5. Il est sage de ne pas exclure les personnes âgées de la vie sociale pour maintenir vivante la mémoire d’un peuple. De même, il est bon d’investir sur les jeunes, avec des initiatives adéquates qui les aident à trouver du travail et à fonder un foyer domestique. Il ne faut pas éteindre leur enthousiasme ! Je garde vivante dans mon esprit l’expérience de la Journée mondiale de la Jeunesse de Rio de Janeiro. Que de jeunes heureux j’ai pu rencontrer ! Que d’espérance et d’attente dans leurs yeux et dans leurs prières ! Que de soif de vie et de désir de s’ouvrir aux autres ! La fermeture et l’isolement créent toujours une atmosphère asphyxiante et lourde, qui tôt ou tard finit par attrister et étouffer. Par contre, un engagement commun de tous est utile pour favoriser une culture de la rencontre, parce que seul celui qui est en mesure d’aller vers les autres est capable de porter du fruit, de créer la communion, d’irradier la joie, de construire la paix.

Les images de destruction et de mort que nous avons eues devant les yeux au cours de l’année qui vient de s’achever le confirment, s’il en était besoin. Que de souffrances, que de désespoir à cause de la fermeture sur soi-même, qui prend peu à peu le visage de l’envie, de l’égoïsme, de la rivalité, de la soif de pouvoir et d’argent ! Il semble, quelquefois, que ces réalités soient destinées à dominer. Noël, au contraire, fonde en nous, chrétiens, la certitude que la parole ultime et définitive appartient au Prince de la Paix, qui change « les épées en soc et les lances en serpes » (cf. Is 2, 4), et transforme l’égoïsme en don de soi et la vengeance en pardon.

C’est avec cette confiance que je désire regarder l’année qui est devant nous. Je ne cesse donc pas d’espérer que le conflit en Syrie ait finalement une fin. La sollicitude pour cette chère population et le désir de conjurer l’aggravation de la violence m’ont amené, en septembre dernier, à promulguer une journée de jeûne et de prière. À travers vous, je remercie profondément tous ceux qui, nombreux dans vos pays, Autorités publiques et personnes de bonne volonté, se sont associés à cette initiative. Il faut maintenant une volonté politique commune renouvelée pour mettre fin au conflit. Dans cette perspective, je souhaite que la Conférence "Genève 2", convoquée pour le 22 janvier prochain, marque le début du chemin désiré de pacification. En même temps, le plein respect du droit humanitaire est incontournable. On ne peut accepter que la population civile sans défense, surtout les enfants, soit frappée. En outre, j’encourage chacun à favoriser et à garantir, de toutes les façons possibles, la nécessaire et urgente assistance d’une grande partie de la population, sans oublier le louable effort des pays, surtout le Liban et la Jordanie, qui avec générosité ont accueilli sur leur territoire les nombreux réfugiés syriens.

Restant au Moyen-Orient, je note avec préoccupation les tensions qui de différentes manières frappent la région. Je regarde avec une particulière inquiétude le prolongement des difficultés politiques au Liban, où un climat de collaboration renouvelée entre les différentes instances de la société civile et les forces politiques est plus que jamais indispensable pour éviter l’aggravation de divergences qui peuvent miner la stabilité du pays. Je pense aussi à l’Égypte, qui a besoin de retrouver une concorde sociale, comme aussi à l’Irak, qui peine à arriver à la paix espérée et à la stabilité. En même temps, je relève avec satisfaction les progrès significatifs accomplis dans le dialogue entre l’Iran et le "Groupe 5+1" sur la question nucléaire.

Partout, la voie pour résoudre les problématiques ouvertes doit être la voie diplomatique du dialogue. C’est le chemin éminent déjà indiqué avec lucidité par le Pape Benoît XV alors qu’il invitait les responsables des Nations européennes à faire prévaloir « la force morale du droit » sur la force « matérielle des armes » pour mettre fin à ce « désastre inutile »6 qu’a été la Première Guerre mondiale, dont cette année a lieu le centenaire. Il faut « le courage d’aller au-delà de la surface du conflit »7 pour considérer les autres dans leur dignité la plus profonde, afin que l’unité prévale sur le conflit et qu’il soit « possible de développer une communion dans les différences »8. En ce sens, il est positif que les négociations de paix entre Israéliens et Palestiniens aient été reprises, et je forme le vœu que les Parties soient déterminées à assumer, avec le soutien de la communauté internationale, des décisions courageuses pour trouver une solution juste et durable à un conflit dont la fin se révèle toujours plus nécessaire et urgente. L’exode des chrétiens du Moyen-Orient et du Nord de l’Afrique ne cesse de préoccuper. Ils désirent continuer à faire partie de l’ensemble social, politique et culturel des pays qu’ils ont contribué à édifier, et ils aspirent à concourir au bien commun des sociétés dans lesquelles ils veulent être pleinement insérés, comme des artisans de paix et de réconciliation.

De même en d’autres parties de l’Afrique, les chrétiens sont appelés à témoigner de l’amour et de la miséricorde de Dieu. Il ne faut jamais renoncer à faire le bien, même quand c’est difficile et quand on subit des actes d’intolérance, ou même de vraie persécution. Dans de grandes zones du Nigéria les violences ne cessent pas et beaucoup de sang innocent continue à être versé. Ma pensée va surtout vers la République Centrafricaine, où la population souffre à cause des tensions que le pays traverse, et qui ont semé à plusieurs reprises destructions et mort. Alors que j’assure de ma prière pour les victimes et pour les nombreuses personnes déplacées, contraintes à vivre dans des conditions d’indigence, je souhaite que l’attention de la Communauté internationale contribue à faire cesser les violences, à rétablir l’état de droit et à garantir l’accès des aides humanitaires, même dans les zones les plus reculées du pays. Pour sa part, l’Église catholique continuera d’assurer sa présence et sa collaboration, en se dévouant avec générosité pour fournir toute l’aide possible à la population, et surtout pour reconstruire un climat de réconciliation et de paix entre toutes les composantes de la société. Réconciliation et paix sont aussi des priorités fondamentales en d’autres parties du continent africain. Je me réfère en particulier au Mali, où on remarque la reprise positive des structures démocratiques du pays, comme aussi au Sud Soudan où, au contraire, l’instabilité politique de ces derniers temps a déjà provoqué de nombreux morts et une nouvelle urgence humanitaire.

Le Saint-Siège suit également avec une vive attention les évènements en Asie, où l’Église désire partager les joies et les attentes de tous les peuples qui composent ce vaste et noble continent. À l’occasion du 50ème anniversaire des relations diplomatiques avec la République de Corée, je voudrais implorer de Dieu le don de la réconciliation dans la péninsule, souhaitant que, pour le bien de tout le peuple coréen, les parties concernées ne se lassent pas de chercher des points de rencontre et de possibles solutions. L’Asie, en effet, a une longue histoire de cohabitation pacifique entre ses diverses composantes civiles, ethniques et religieuses. Il faut encourager ce respect réciproque, surtout face à certains signes préoccupants de son affaiblissement, en particulier face à des attitudes croissantes de fermeture qui, s’appuyant sur des motifs religieux, tendent à priver les chrétiens de leurs libertés et à mettre en danger la cohabitation civile. Le Saint-Siège regarde, en revanche, avec grande espérance les signes d’ouverture qui viennent de pays de grande tradition religieuse et culturelle, avec lesquels il désire collaborer à l’édification du bien commun.

La paix, de plus, est blessée par certaines négations de la dignité humaine, en premier lieu par l’impossibilité de se nourrir de manière suffisante. Les visages de tant de personnes qui souffrent de la faim, surtout des enfants, ne peuvent nous laisser indifférents, si l’on pense à tant de nourriture gaspillée chaque jour en de nombreux endroits dans le monde, immergés dans ce que j’ai plusieurs fois défini comme « la culture du déchet ». Malheureusement, ce ne sont pas seulement la nourriture ou les biens superflus qui sont objet de déchet, mais souvent les êtres humains eux-mêmes, qui sont « jetés » comme s’ils étaient des « choses non nécessaires ». Par exemple, la seule pensée que des enfants ne pourront jamais voir la lumière, victimes de l’avortement, nous fait horreur ; ou encore ceux qui sont utilisés comme soldats, violentés ou tués dans les conflits armés, ou ceux qui sont objets de marché dans cette terrible forme d’esclavage moderne qu’est la traite des êtres humains, qui est un crime contre l’humanité.

Le drame des multitudes contraintes à fuir la famine ou les violences et les abus ne peut nous laisser insensibles, en particulier dans la Corne de l’Afrique et dans la région des Grands Lacs. Beaucoup vivent en déplacés ou en réfugiés dans des camps où ils ne sont plus considérés comme des personnes mais comme des numéros anonymes. D’autres, avec l’espérance d’une vie meilleure, entreprennent des voyages de fortune, qui, bien souvent, se terminent tragiquement. Je pense en particulier aux nombreux migrants qui d’Amérique Latine vont aux États-Unis, mais surtout à tous ceux qui d’Afrique ou du Moyen Orient cherchent refuge en Europe.

La brève visite que j’ai faite à Lampedusa en juillet dernier pour prier pour les nombreux naufragés en Méditerranée, est encore vive dans ma mémoire. Malheureusement il y a une indifférence générale devant de semblables tragédies, signe dramatique de la perte du « sens de la responsabilité fraternelle »,9 sur lequel est basé toute société civile. Mais à cette occasion j’ai pu constater aussi l’accueil et le dévouement de beaucoup de personnes. Je souhaite au peuple italien, que je regarde avec affection, également en raison des racines communes qui nous lient, de renouveler son louable engagement de solidarité envers les plus faibles et les sans défense, et, avec l’effort sincère et général des citoyens et des institutions, de dépasser les difficultés actuelles, en retrouvant le climat de créativité sociale constructive qui l’a longtemps caractérisé.

Enfin, je désire mentionner une autre blessure à la paix, qui vient de l’exploitation avide des ressources environnementales. Même si « la nature est à notre disposition »10, trop souvent « nous ne la respectons pas et nous ne la considérons pas comme un don gratuit dont nous devons prendre soin, et à mettre au service des frères, y compris des générations futures »11. Également dans ce cas, il est fait appel à la responsabilité de chacun pour que, dans un esprit fraternel, des politiques respectueuses de notre terre qui est la maison de chacun d’entre nous soient poursuivies. Je me souviens d’un dicton populaire qui dit : « Dieu pardonne toujours, nous, nous pardonnons parfois, la nature – la création – ne pardonne jamais quand elle est maltraitée ! ». D’autre part, nous avons eu devant les yeux les effets dévastateurs de certaines catastrophes naturelles récentes. En particulier, je désire rappeler encore les nombreuses victimes et les graves dévastations aux Philippines et en d’autres pays du Sud-Est asiatique provoquées par le typhon Haiyan.

Éminence, Excellence, Mesdames et Messieurs,

Le Pape Paul VI remarquait que la paix « ne se réduit pas à une absence de guerre, fruit de l’équilibre toujours précaire des forces. Elle se construit jour après jour, dans la poursuite d’un ordre voulu par Dieu, qui comporte une justice plus parfaite entre les hommes »12. Voilà l’esprit qui anime l’action de l’Église partout dans le monde, à travers les prêtres, les missionnaires, les fidèles laïcs, qui avec grand esprit de dévouement, se dépensent, entre autre, en de multiples œuvres de caractère éducatif, sanitaire et d’assistance, au service des pauvres, des malades, des orphelins et de tous ceux qui ont besoin d’aide et de réconfort. Par cette « attention aimante »13, l’Église coopère avec toutes les institutions qui ont à cœur tant le bien des individus que le bien commun.

Au début de cette nouvelle année, je désire donc renouveler la disponibilité du Saint-Siège, et en particulier de la Secrétairerie d’État, à collaborer avec vos pays pour favoriser ces liens de fraternité, qui sont le reflet de l’amour de Dieu et le fondement de la concorde et de la paix. Que la bénédiction du Seigneur descende avec abondance sur vous, sur vos familles et sur vos peuples.

Merci.

________________________

1 Message pour la XLVIIème Journée mondiale de la Paix (8 décembre 2013), n. 1.

2 Ibid.

3 Cf. ibid. n. 10.

4 Benoît XVI, Message pour la XLIème Journée mondiale de la Paix (8 décembre 2007), n. 3 : AAS 100 (2008), 39.

5 Cf. Exhort. apost. Evangelii gaudium, n. 108.

6 Cf. Benoît XV, Lettre aux Chefs des Peuples belligérants (1er août 1917) : AAS 9 (1917), 421-423.

7 Exhort. apost. Evangelii gaudium, n. 228.

8 Ibid.

9 Homélie de la messe à Lampedusa, 8 juillet 2013.

10 Message pour la XLVIIème Journée Mondiale de la Paix (8 décembre 2013), n. 9.

11 Ibid.

12 Paul VI, lett. enc. Populorum Progressio ( 26 mars 1967), n. 76 : AAS 59 (1967), 294-295.

13 Exhort. apost. Evangelii gaudium, n. 199.

[00042-03.01] [Texte original: Italien]

 

TRADUZIONE IN LINGUA INGLESE

Your Eminence, Your Excellencies, Ladies and Gentlemen,

It is now a long-established tradition that at the beginning of each new year the Pope meets the Diplomatic Corps accredited to the Holy See to offer his greetings and good wishes, and to share some reflections close to his heart as a pastor concerned for the joys and sufferings of humanity. Today’s meeting, therefore, is a source of great joy. It allows me to extend to you and your families, and to the civil authorities and the peoples whom you represent, my heartfelt best wishes for a year filled with blessings and peace.

Before all else, I thank your Dean, Jean-Claude Michel, who has spoken in your name of the affection and esteem which binds your nations to the Apostolic See. I am happy to see you here in such great numbers, after having met you for the first time just a few days after my election. In the meantime, many new Ambassadors have taken up their duties and I welcome them once again. Among those who have left us, I cannot fail to mention, as your Dean has already done, the late Ambassador Alejandro Valladares Lanza, for many years the Dean of the Diplomatic Corps, whom the Lord called to himself several months ago.

The year just ended was particularly eventful, not only in the life of the Church but also in the context of the relations which the Holy See maintains with states and international organizations. I recall in particular the establishment of diplomatic relations with South Sudan, the signing of basic or specific accords with Cape Verde, Hungary and Chad, and the ratification of the accord with Equatorial Guinea signed in 2012. On the regional level too, the presence of the Holy See has expanded, both in Central America, where it became an Extra-Regional Observer to the Sistema de la Integración Centroamericana, and in Africa, with its accreditation as the first Permanent Observer to the Economic Community of West African States.

In my Message for the World Day of Peace, dedicated to fraternity as the foundation and pathway to peace, I observed that "fraternity is generally first learned within the family…",1 for the family "by its vocation… is meant to spread its love to the world around it"2 and to contribute to the growth of that spirit of service and sharing which builds peace.3 This is the message of the Crib, where we see the Holy Family, not alone and isolated from the world, but surrounded by shepherds and the Magi, that is by an open community in which there is room for everyone, poor and rich alike, those near and those afar. In this way we can appreciate the insistence of my beloved predecessor Benedict XVI that "the language of the family is a language of peace".4

Sadly, this is often not the case, as the number of broken and troubled families is on the rise, not simply because of the weakening sense of belonging so typical of today’s world, but also because of the adverse conditions in which many families are forced to live, even to the point where they lack basic means of subsistence. There is a need for suitable policies aimed at supporting, assisting and strengthening the family!

It also happens that the elderly are looked upon as a burden, while young people lack clear prospects for their lives. Yet the elderly and the young are the hope of humanity. The elderly bring with them wisdom born of experience; the young open us to the future and prevent us from becoming self-absorbed.5 It is prudent to keep the elderly from being ostracized from the life of society, so as to preserve the living memory of each people. It is likewise important to invest in the young through suitable initiatives which can help them to find employment and establish homes. We must not stifle their enthusiasm! I vividly recall my experience at the World Youth Day in Rio de Janeiro. I met so many happy young people! What great hope and expectation is present in their eyes and in their prayers! What a great thirst for life and a desire for openness to others! Being closed and isolated always makes for a stifling, heavy atmosphere which sooner or later ends up creating sadness and oppression. What is needed instead is a shared commitment to favouring a culture of encounter, for only those able to reach out to others are capable of bearing fruit, creating bonds of communion, radiating joy and being peacemakers.

The scenes of destruction and death which we have witnessed in the past year confirm all this – if ever we needed such confirmation. How much pain and desperation are caused by self-centredness which gradually takes the form of envy, selfishness, competition and the thirst for power and money! At times it seems that these realities are destined to have the upper hand. Christmas, on the other hand, inspires in us Christians the certainty that the final, definitive word belongs to the Prince of Peace, who changes "swords into plowshares and spears into pruning hooks" (cf. Is 2:4), transforming selfishness into self-giving and revenge into forgiveness.

It is with this confidence that I wish to look to the year ahead. I continue to be hopeful that the conflict in Syria will finally come to an end. Concern for that beloved people, and a desire to avert the worsening of violence, moved me last September to call for a day of fasting and prayer. Through you I heartily thank all those in your countries – public authorities and people of good will – who joined in this initiative. What is presently needed is a renewed political will to end the conflict. In this regard, I express my hope that the Geneva 2 Conference, to be held on 22 January, will mark the beginning of the desired peace process. At the same time, full respect for humanitarian law remains essential. It is unacceptable that unarmed civilians, especially children, become targets. I also encourage all parties to promote and ensure in every way possible the provision of urgently-needed aid to much of the population, without overlooking the praiseworthy effort of those countries – especially Lebanon and Jordan – which have generously welcomed to their territory numerous refugees from Syria.

Remaining in the Middle East, I note with concern the tensions affecting the region in various ways. I am particularly concerned by the ongoing political problems in Lebanon, where a climate of renewed cooperation between the different components of civil society and the political powers is essential for avoiding the further hostilities which would undermine the stability of the country. I think too of Egypt, with its need to regain social harmony, and Iraq, which struggles to attain the peace and stability for which it hopes. At the same time, I note with satisfaction the significant progress made in the dialogue between Iran and the Group of 5+1 on the nuclear issue.

Everywhere, the way to resolve open questions must be that of diplomacy and dialogue. This is the royal road already indicated with utter clarity by Pope Benedict XV when he urged the leaders of the European nations to make "the moral force of law" prevail over the "material force of arms" in order to end that "needless carnage"6 which was the First World War, whose centenary occurs this year. What is needed is courage "to go beyond the surface of the conflict"7 and to consider others in their deepest dignity, so that unity will prevail over conflict and it will be "possible to build communion amid disagreement".8 In this regard, the resumption of peace talks between Israelis and Palestinians is a positive sign, and I express my hope that both parties will resolve, with the support of the international community, to take courageous decisions aimed at finding a just and lasting solution to a conflict which urgently needs to end. I myself intend to make a pilgrimage of peace to the Holy Land in the course of this year. The exodus of Christians from the Middle East and North Africa continues to be a source of concern. They want to continue to be a part of the social, political and cultural life of countries which they helped to build, and they desire to contribute to the common good of societies where they wish to be fully accepted as agents of peace and reconciliation.

In other parts of Africa as well, Christians are called to give witness to God’s love and mercy. We must never cease to do good, even when it is difficult and demanding, and when we endure acts of intolerance if not genuine persecution. In vast areas of Nigeria violence persists, and much innocent blood continues to be spilt. I think above all of the Central African Republic, where much suffering has been caused as a result of the country’s tensions, which have frequently led to devastation and death. As I assure you of my prayers for the victims and the many refugees, forced to live in dire poverty, I express my hope that the concern of the international community will help to bring an end to violence, a return to the rule of law and guaranteed access to humanitarian aid, also in the remotest parts of the country. For her part, the Catholic Church will continue to assure her presence and cooperation, working generously to help people in every possible way and, above all, to rebuild a climate of reconciliation and of peace among all groups in society. Reconciliation and peace are likewise fundamental priorities in other parts of Africa. I think in particular of Mali, where we nonetheless note the promising restoration of the country’s democratic structures, and of South Sudan, where, on the contrary, political instability has lately led to many deaths and a new humanitarian crisis.

The Holy See is also closely following events in Asia, where the Church desires to share the joys and hopes of all the peoples of that vast and noble continent. On this, the fiftieth anniversary of diplomatic relations with the Republic of Korea, I wish to implore from God the gift of reconciliation on the peninsula, and I trust that, for the good of all the Korean people, the interested parties will tirelessly seek out points of agreement and possible solutions. Asia, in fact, has a long history of peaceful coexistence between its different civil, ethnic and religious groups. Such reciprocal respect needs to be encouraged, especially given certain troubling signs that it is weakening, particularly where growing attitudes of prejudice, for allegedly religious reasons, are tending to deprive Christians of their liberties and to jeopardize civil coexistence. The Holy See looks, instead, with lively hope to the signs of openness coming from countries of great religious and cultural traditions, with whom it wishes to cooperate in the pursuit of the common good.

Peace is also threatened by every denial of human dignity, firstly the lack of access to adequate nutrition. We cannot be indifferent to those suffering from hunger, especially children, when we think of how much food is wasted every day in many parts of the world immersed in what I have often termed "the throwaway culture". Unfortunately, what is thrown away is not only food and dispensable objects, but often human beings themselves, who are discarded as "unnecessary". For example, it is frightful even to think there are children, victims of abortion, who will never see the light of day; children being used as soldiers, abused and killed in armed conflicts; and children being bought and sold in that terrible form of modern slavery which is human trafficking, which is a crime against humanity.

Nor can we be unmoved by the tragedies which have forced so many people to flee from famine, violence and oppression, particularly in the Horn of Africa and in the Great Lakes Region. Many of these are living as fugitives or refugees in camps where they are no longer seen as persons but as nameless statistics. Others, in the hope of a better life, have undertaken perilous journeys which not infrequently end in tragedy. I think in particular of the many migrants from Latin America bound for the United States, but above all of all those from Africa and the Middle East who seek refuge in Europe.

Still vivid in my memory is the brief visit I made to Lampedusa last July, to pray for the numerous victims of the refugee crisis in the Mediterranean. Sadly, there is a general indifference in the face of these tragedies, which is a dramatic sign of the loss of that "sense of responsibility for our brothers and sisters",9 on which every civil society is based. On that occasion I was also able to observe the hospitality and dedication shown by so many people. It is my hope that the Italian people, whom I regard with affection, not least for the common roots which unite us, will renew their praiseworthy commitment of solidarity towards the weakest and most vulnerable, and, with generous and coordinated efforts by citizens and institutions, overcome present difficulties and regain their long-standing climate of constructive social creativity.

Finally, I wish to mention another threat to peace, which arises from the greedy exploitation of environmental resources. Even if "nature is at our disposition",10 all too often we do not "respect it or consider it a gracious gift which we must care for and set at the service of our brothers and sisters, including future generations".11 Here too what is crucial is responsibility on the part of all in pursuing, in a spirit of fraternity, policies respectful of this earth which is our common home. I recall a popular saying: "God always forgives, we sometimes forgive, but when nature – creation – is mistreated, she never forgives!". We have also witnessed the devastating effects of several recent natural disasters. In particular, I would mention once more the numerous victims and the great devastation caused in the Philippines and other countries of Southeast Asia as a result of typhoon Haiyan.

Your Eminence, Your Excellencies, Ladies and Gentlemen,

Pope Paul VI noted that peace "is not simply the absence of warfare, based on a precarious balance of power; it is fashioned by efforts directed day after day towards the establishment of an order willed by God, with a more perfect justice among men and women".12 This is the spirit which guides the Church’s activity throughout the world, carried out by priests, missionaries and lay faithful who with great dedication give freely of themselves, not least in a variety of educational, healthcare and social welfare institutions, in service to the poor, the sick, orphans and all those in need of help and comfort. On the basis of this "loving attentiveness",13 the Church cooperates with all institutions concerned for the good of individuals and communities.

At the beginning of this new year, then, I assure you once more of the readiness of the Holy See, and of the Secretariat of State in particular, to cooperate with your countries in fostering those bonds of fraternity which are a reflection of God’s love and the basis of concord and peace. Upon you, your families and the peoples you represent, may the Lord’s blessings descend in abundance. Thank you.

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1 Message for the 2014 World Day of Peace (8 December 2013), 1.

2 Ibid.

3 Cf. ibid., 10.

4 BENEDICT XVI, Message for the 2008 World Day of Peace (8 December 2007), 3: AAS 100 (2008), 39

5 Cf. Apostolic Exhortation Evangelii Gaudium, 108.

6 Cf. BENEDICT XV, Letter to the Leaders of the Peoples at War (1 August 1917): AAS 9 (1917), 421-423.

7 Apostolic Exhortation Evangelii Gaudium, 228.

8 Ibid.

9 Homily at Mass in Lampedusa, 8 July 2013.

10 Message for the 2014 World Day of Peace (8 December 2013), 9.

11 Ibid.

12 Encyclical Letter Populorum Progressio (26 March 1967),76: AAS 59 (1967), 294-295.

13 Apostolic Exhortation Evangelii Gaudium, 199.

[00042-02.01] [Original text: Italian]

 

TRADUZIONE IN LINGUA TEDESCA

Eminenz, Exzellenzen, meine Damen und Herren,

es ist bereits eine lange und feste Tradition, dass zu Beginn eines jeden neuen Jahres der Papst das beim Heiligen Stuhl akkreditierte Diplomatische Korps trifft, um seine Glückwünsche zu überbringen und einige Überlegungen auszutauschen, die seinem Herzen entspringen – dem Herzen vor allem eines gegenüber den Freuden und Leiden der Menschheit aufmerksamen Hirten. Darum ist die heutige Begegnung ein Grund zu großer Freude. Sie erlaubt mir, Ihnen persönlich, Ihren Familien wie auch den Autoritäten und Völkern, die Sie vertreten, meine aufrichtigsten Wünsche auszudrücken für ein Jahr reich an Segen und Frieden.

Ich danke vor allem dem Doyen Jean-Claude Michel, der in Ihrer aller Namen die Zuneigung und die Wertschätzung zum Ausdruck gebracht hat, die Ihre Nationen mit dem Apostolischen Stuhl verbinden. Ich freue mich, Sie hier so zahlreich wiederzusehen, nachdem ich Sie ein erstes Mal wenige Tage nach meiner Wahl getroffen habe. Inzwischen sind viele neue Botschafter akkreditiert worden, die ich erneut willkommen heiße, während ich wie schon zuvor Ihr Doyen unter denen, die uns verlassen haben, den verstorbenen Botschafter Alejandro Valladares Lanza nicht unerwähnt lassen kann, der etliche Jahre Doyen des Diplomatischen Korps war und den der Herr vor einigen Monaten zu sich gerufen hat.

Das eben zu Ende gegangene Jahr war besonders ereignisreich, nicht nur im Leben der Kirche, sondern auch im Bereich der Beziehungen, die der Heilige Stuhl mit den Staaten und den internationalen Organisationen unterhält. Ich erinnere besonders an die Aufnahme der diplomatischen Beziehungen mit dem Südsudan, an die Unterzeichnung von Rahmenabkommen oder spezifischen Vereinbarungen mit Kap Verde, Ungarn und Tschad und an die Ratifizierung des 2012 unterzeichneten Abkommens mit Äquatorialguinea. Auch auf zwischenstaatlicher Ebene hat die Präsenz des Heiligen Stuhls zugenommen, sowohl in Mittelamerika, wo ihm der extraregionale Beobachterstatus beim Zentralamerikanischen Integrationssystem zuerkannt wurde, als auch in Afrika mit der Akkreditierung des ersten Ständigen Beobachters bei der Westafrikanischen Wirtschaftsgemeinschaft.

In der Botschaft zum Weltfriedenstag, die der Brüderlichkeit als Fundament und Weg des Friedens gewidmet war, habe ich darauf hingewiesen, »dass man die Brüderlichkeit gewöhnlich im Schoß der Familie zu lernen beginnt«,1 die »aufgrund ihrer Berufung […] die Welt mit ihrer Liebe gleichsam anstecken«2 und dazu beitragen müsste, jenen Geist des Dienstes und des miteinander Teilens reifen zu lassen, der den Frieden aufbaut.3 Davon spricht uns die Krippe, wo wir die Heilige Familie nicht allein und von der Welt isoliert sehen, sondern umgeben von den Hirten und den Königen, das heißt als eine offene Gemeinschaft, in der Raum ist für alle, Arme und Reiche, Nahe und Ferne. Und so sind die Worte meines lieben Vorgängers Benedikt XVI. zu verstehen, der betonte: »Der familiäre Wortschatz ist ein Wortschatz des Friedens«4.

Leider ist das oft nicht der Fall, denn die Zahl der getrennten, zerrissenen Familien nimmt zu, nicht allein aufgrund des schwach ausgebildeten Zugehörigkeitsgefühls, das die heutige Welt kennzeichnet, sondern auch aufgrund der schwierigen Bedingungen, unter denen viele gezwungenermaßen leben, bis dahin, dass ihnen selbst die Mittel zum Lebensunterhalt fehlen. Es werden daher geeignete politische Maßnahmen notwendig, welche die Familie unterstützen, fördern und festigen!

Zudem kommt es vor, dass die alten Menschen als eine Last betrachtet werden, während die Jugendlichen keine sicheren Perspektiven für ihr Leben vor sich sehen. Stattdessen sind die alten und die jungen Menschen die Hoffnung der Menschheit. Erstere bringen die Weisheit der Erfahrung ein; letztere öffnen uns auf die Zukunft hin, indem sie uns hindern, uns in uns selbst zu verschließen.5 Es ist klug, die alten Menschen nicht aus dem Gesellschaftsleben auszugrenzen, um das Gedächtnis eines Volkes lebendig zu halten. Ebenso ist es gut, in die Jugendlichen zu investieren mit geeigneten Initiativen, die ihnen helfen, eine Arbeit zu finden und ein eigenes Heim zu gründen. Man darf ihre Begeisterung nicht auslöschen! Ich halte in meiner Erinnerung die Erfahrung des Weltjugendtags in Rio de Janeiro lebendig. Wie vielen zufriedenen jungen Menschen habe ich begegnen können! Wie viel Hoffnung und Erwartung in ihren Augen und in ihren Gebeten! Wie viel Lebensdurst und Wunsch, sich den anderen zu öffnen! Verschlossenheit und Isolierung schaffen immer eine leblose, drückende Atmosphäre, die früher oder später in Traurigkeit endet und alles erstickt. Hilfreich ist dagegen ein gemeinsames Bemühen aller, um eine Kultur der Begegnung zu fördern, denn nur wer fähig ist, auf den anderen zuzugehen, ist imstande, Frucht zu bringen, Bande zu knüpfen, Gemeinschaft zu stiften, Freude auszustrahlen und den Frieden aufzubauen.

Das bestätigen – falls überhaupt nötig – die Bilder der Zerstörung und des Todes, die wir im eben vergangenen Jahr vor Augen hatten. Wie viel Leiden, wie viel Verzweiflung verursacht die Verschlossenheit in sich selbst, die nach und nach die Form von Neid, Egoismus, Rivalität, Machthunger und Geldgier annimmt! Manchmal scheint es, als seinen diese Dinge dazu bestimmt zu herrschen. Weihnachten hingegen beseelt uns Christen mit der Gewissheit, dass das letzte und endgültige Wort dem Friedensfürst gehört, der Schwerter in Pflugscharen und Lanzen in Winzermesser umschmiedet (vgl. Jes 2,4); der Egoismus in Selbsthingabe und Rache in Vergebung verwandelt.

Mit dieser Zuversicht möchte ich auf das Jahr blicken, das vor uns liegt. Deshalb höre ich nicht auf zu hoffen, dass der Konflikt in Syrien endlich ein Ende finde. Die Sorge um diese geschätzte Bevölkerung und der Wunsch, die Verschärfung der Gewalt abzuwenden, haben mich dazu gebracht, im vergangenen September einen Tag des Fastens und Betens auszurufen. Ehrlichen Herzens danke ich Ihnen stellvertretend für alle – für die öffentlichen Institutionen und für die Menschen guten Willens –, die sich in Ihren Ländern dieser Initiative angeschlossen haben. Jetzt bedarf es eines erneuten gemeinsamen politischen Willens, um dem Konflikt ein Ende zu setzen. Aus dieser Sicht hoffe ich darauf, dass die für den kommenden 22. Januar einberufene „Genf 2"-Konferenz den Anfang des ersehnten Weges der Befriedung setzt. Zugleich ist die volle Achtung der Menschenrechte unumgänglich. Es ist unannehmbar, dass die wehrlose Zivilbevölkerung heimgesucht wird, vor allem die Kinder. Ich ermutige außerdem alle, auf jede mögliche Weise die notwendige und dringende Hilfe für einen großen Teil der Bevölkerung zu fördern und zu gewährleisten, ohne die lobenswerte Anstrengung jener Länder – vor allem Libanon und Jordanien – zu vergessen, die großherzig die zahlreichen syrischen Flüchtlinge im eigenen Territorium aufgenommen haben.

Indem ich beim Nahen Osten bleibe, beobachte ich mit Sorge die Spannungen, die in verschiedener Weise die Region heimsuchen. Mit besonderer Sorge sehe ich, wie sich die politischen Schwierigkeiten im Libanon hinziehen, wo ein Klima erneuerter Zusammenarbeit zwischen den verschiedenen Stellen der Zivilgesellschaft und den politischen Kräften unverzichtbarer ist denn je, um eine Verschärfung der Gegensätze zu vermeiden, die die Stabilität des Landes untergraben können. Ich denke auch an Ägypten, das zu einer gesellschaftlichen Einigkeit zurückfinden muss, sowie an den Irak, der Mühe hat, zu dem ersehnten Frieden und der Stabilität zu gelangen. Zugleich stelle ich mit Genugtuung die bedeutenden Fortschritte fest, die im Dialog zwischen dem Iran und der „5+1"-Gruppe über die Atom-Frage erzielt wurden.

Überall muss zur Lösung offener Probleme der diplomatische Weg des Dialogs beschritten werden. Es ist der Königsweg, den bereits Papst Benedikt XV. in aller Deutlichkeit aufzeigte, als er die Verantwortlichen der europäischen Länder aufforderte, »die moralische Kraft des Rechtes« über die »materielle der Waffen« vorherrschen zu lassen, um diesem »nutzlosen Blutbad«6, dem Ersten Weltkrieg, dessen hundertsten Jahrestag wir in diesem Jahr begehen, ein Ende zu setzen. Es braucht den Mut, »über die Ebene des Konflikts hinauszugehen«7, um die anderen in ihrer tieferen Würde zu betrachten, damit die Einheit über den Konflikt siegt und es möglich ist, »dass sich aus dem Streit eine Gemeinschaft entwickelt«.8 In diesem Sinn ist es positiv, dass die Friedensverhandlungen zwischen Israelis und Palästinensern wieder aufgegriffen wurden, und ich wünsche mir von Herzen, dass die Parteien entschlossen sind, mit der Unterstützung der internationalen Gemeinschaft mutige Entscheidungen zu treffen, um eine gerechte und dauerhafte Lösung für einen Konflikt zu finden, dessen Ende sich als immer notwendiger und dringender erweist. Unaufhörlich bleibt der Exodus der Christen aus dem Nahen Osten und aus Nordafrika ein Grund zur Sorge. Sie wünschen sich, weiterhin ein Teil des gesellschaftlichen, politischen und kulturellen Ganzen der Länder zu sein, zu deren Aufbau sie beigetragen haben, und trachten danach, zum Gemeinwohl der Gesellschaften beizusteuern, in die sie als Stifter von Frieden und Versöhnung voll und ganz einbezogen sein wollen.

Auch in anderen Teilen Afrikas sind die Christen gerufen, Zeugnis für die Liebe und Barmherzigkeit Gottes zu geben. Man darf nie davon ablassen, das Gute zu tun, auch wenn es schwierig ist und wenn man Akte der Intoleranz, wenn nicht sogar echter Verfolgung erleidet. In weiten Gebieten Nigerias hört die Gewalt nicht auf und wird weiter viel unschuldiges Blut vergossen. Ich denke vor allem auch an die Zentralafrikanische Republik, wo die Bevölkerung aufgrund der Spannungen leidet, die das Land durchziehen und mehrmals Zerstörung und Tod gesät haben. Während ich mein Gebet für die Opfer und die unzähligen Evakuierten versichere, die unter Bedingungen des Elends zu leben gezwungen sind, hoffe ich darauf, dass die Bemühungen der internationalen Gemeinschaft dazu beitragen, dass die Gewalt aufhört, der Rechtsstaat wiederhergestellt wird und den humanitären Hilfen der Zugang auch in den entlegenen Zonen des Landes gewährleistet wird. Die katholische Kirche wird ihrerseits weiter ihre Präsenz und Mitarbeit sicherstellen und sich dabei großzügig darum bemühen, der Bevölkerung jede mögliche Hilfe anzubieten und vor allem ein Klima der Versöhnung und des Friedens unter allen Teilen der Bevölkerung wieder aufzubauen. Versöhnung und Frieden sind auch in anderen Teilen des afrikanischen Kontinents von grundlegender Priorität. Ich beziehe mich insbesondere auf Mali, wo man doch die positive Wiederherstellung der demokratischen Strukturen bemerken kann, wie auch auf den Süd-Sudan, wo hingegen die politische Instabilität der letzten Zeit schon zahlreiche Tote und eine neue humanitäre Notlage verursacht hat.

Mit großer Aufmerksamkeit verfolgt der Heilige Stuhl auch die Ereignisse in Asien, wo die Kirche die Freude und die Hoffnung aller Völker teilen möchte, die diesen weiten und vornehmen Kontinent bilden. Anlässlich des fünfzigsten Jahrestags der diplomatischen Beziehungen mit der Republik Korea möchte ich Gott um das Geschenk der Versöhnung auf der Halbinsel anflehen mit dem Wunsch, dass die betroffenen Parteien zum Wohl des ganzen koreanischen Volkes nicht müde werden, Begegnungspunkte und mögliche Lösungen zu suchen. Asien hat nämlich eine lange Geschichte eines friedlichen Miteinanders seiner verschiedenen zivilen, ethnischen und religiösen Komponenten. Man muss diese gegenseitige Achtung fördern, vor allem angesichts einiger besorgniserregender Zeichen ihrer Schwächung, insbesondere angesichts einer zunehmenden Haltung der Verschlossenheit, die unter Ausnutzung religiöser Beweggründe dazu neigt, die Christen ihrer Freiheit zu berauben und das zivile Miteinander aufs Spiel zu setzen. Der Heilige Stuhl schaut hingegen mit großer Hoffnung auf die Zeichen der Öffnung, die von Ländern mit großer religiöser und kultureller Tradition ausgehen, mit denen er am Aufbau des Gemeinwohls zusammenarbeiten möchte.

Der Friede wird ferner von jeder Negierung der Menschenwürde verletzt, an erster Stelle von allen von der fehlenden Möglichkeit, sich ausreichend zu ernähren. Die Gesichter derer, die Hunger leiden, vor allem der Kinder, können uns nicht gleichgültig lassen, wenn wir daran denken, wie viele Lebensmittel jeden Tag verschwendet werden und zwar in vielen Teilen der Welt, in der jene – wie ich es mehrfach genannt habe – „Wegwerf-Kultur" herrscht. Leider werden heute nicht nur Nahrung und überflüssige Güter zu Abfall, sondern oft werden sogar die Menschen „weggeworfen", als wären sie „nicht notwendige Dinge". Zum Beispiel erregt allein der Gedanke Entsetzen, dass es Kinder gibt, die als Opfer der Abtreibung niemals das Licht der Welt erblicken können, oder Kinder, die als Soldaten benutzt werden, in bewaffneten Konflikten vergewaltigt oder getötet werden, oder die in jener schrecklichen Form moderner Sklaverei, nämlich dem Menschenhandel, zur Marktware gemacht werden, der ein Verbrechen gegen die Menschlichkeit darstellt.

Das Drama der großen Massen, die gezwungen sind, vor Hungersnot oder vor Gewalt und Übergriffen zu fliehen, vor allem am Horn von Afrika und in der Region der Afrikanischen Großen Seen, darf uns nicht gefühllos vorfinden. Viele von ihnen leben als Flüchtlinge oder Vertriebene in Lagern, in denen sie nicht mehr als Personen, sondern als anonyme Nummern gesehen werden. Andere unternehmen in der Hoffnung auf ein besseres Leben Fahrten ins Ungewisse, die nicht selten tragisch enden. Ich denke im Besonderen an die zahlreichen Migranten, die von Lateinamerika auf dem Weg in die Vereinigten Staaten sind, aber vor allem an diejenigen aus Afrika oder aus dem Nahen Osten, die Zuflucht in Europa suchen.

Der kurze Besuch, den ich im vergangenen Juli auf Lampedusa gemacht habe, um für die vielen Schiffbrüchigen im Mittelmeer zu beten, ist mir noch in lebendiger Erinnerung. Leider herrscht eine große Gleichgültigkeit angesichts ähnlicher Tragödien, was ein dramatisches Zeichen für den Verlust jenes »Sinns für brüderliche Verantwortung«9 ist, auf dem sich jede Zivilgesellschaft gründet. Bei dieser Gelegenheit konnte ich aber auch die Aufnahmebereitschaft und den Einsatz vieler Menschen feststellen. Ich wünsche dem italienischen Volk, auf das ich mit Zuneigung schaue, auch weil uns gemeinsame Wurzeln verbinden, dass es die eigenen lobenswerten Bemühungen der Solidarität mit den Schwächsten und Hilflosesten erneuert und in ehrlicher und gemeinsamer Anstrengung aller Bürger und Einrichtungen die gegenwärtigen Schwierigkeiten überwindet und so das Klima konstruktiver sozialer Gestaltungskraft wieder findet, das dieses Volk lange gekennzeichnet hat.

Schließlich möchte ich noch eine weitere Verletzung des Friedens erwähnen, die von der gierigen Ausbeutung der Umweltressourcen herrührt. Auch wenn »die Natur uns zur Verfügung steht«10, zu oft »respektieren [wir] sie nicht und betrachten sie nicht als eine unentgeltliche Gabe, für die man Sorge tragen und sie in den Dienst der Mitmenschen, einschließlich der kommenden Generationen, stellen soll«11. Auch in diesem Fall muss die Verantwortung eines jeden auf den Plan gerufen werden, damit in brüderlichem Geist Politiken verfolgt werden, die diese unsere Erde achten, die das Zuhause eines jeden von uns ist. Ich erinnere an eine Volksweisheit, die sagt: »Gott vergibt immer, wir vergeben manchmal, die Natur – die Schöpfung – vergibt nie, wenn sie misshandelt wird!« Andererseits haben wir die verheerenden Auswirkungen einiger der jüngsten Naturkatastrophen vor Augen gehabt. Insbesondere möchte ich noch einmal an die zahlreichen Opfer und die schweren Verwüstungen auf den Philippinen und in anderen Ländern Südostasiens erinnern, die der Taifun Haiyan verursacht hat.

Eminenz, Exzellenzen, meine Damen und Herren,

Papst Paul VI. schrieb: »Der Friede besteht nicht einfach im Schweigen der Waffen, nicht einfach im immer schwankenden Gleichgewicht der Kräfte. Er muss Tag für Tag aufgebaut werden mit dem Ziel einer von Gott gewollten Ordnung, die eine vollkommenere Gerechtigkeit unter den Menschen herbeiführt.«12 Dies ist der Geist, der das Handeln der Kirche überall auf der Welt beseelt durch die Priester, Missionare und gläubigen Laien, die sich unter anderem in vielfältigen Werken im Bereich der Bildung, der Gesundheit und der Fürsorge mit einem großen Geist der Hingabe aufopfern im Dienst für die Armen, die Kranken, die Waisen, wer auch immer Hilfe und Trost braucht. Von dieser »liebevollen Zuwendung«13 her arbeitet die Kirche mit allen Einrichtungen zusammen, denen das Wohl des Einzelnen wie auch das Gemeinwohl am Herzen liegen.

Zu Beginn dieses neuen Jahres möchte ich daher die Bereitschaft des Heiligen Stuhls – und insbesondere des Staatssekretariats – erneuern, mit Ihren Ländern zusammenzuarbeiten, um jene Bande der Brüderlichkeit zu fördern, die Widerschein der Liebe Gottes und Grundlage der Eintracht und des Friedens sind. Der Segen des Herrn komme ausgiebig auf Sie, auf Ihre Familien und auf Ihre Völker herab. Danke.

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1 Botschaft zum 47. Weltfriedenstag (8. Dezember 2013), 1.

2 Ebd.

3 Vgl. ebd., 10.

4 Botschaft zum 41. Weltfriedenstag (8. Dezember 2007), 3: AAS 100 (2008), 39.

5 Vgl. Apostolisches Schreiben Evangelii gaudium (24. November 2013),108.

6 Vgl. Brief an die Regierenden der kriegführenden Völker (1. August 1917): AAS 9 (1917), 421-423.

7 Apostolisches Schreiben Evangelii gaudium (24. November 2013), 228.

8Ebd.

9Homilie bei der Eucharistiefeier auf Lampedusa, 8. Juli 2013.

10 Vgl. Botschaft zum XLVII. Weltfriedenstag (8. Dezember 2013), 9.

11 Ebd.

12 Enzyklika Populorum progressio (26. März 1967), 76: AAS 59 (1967), 294-295.

13 Apostolisches Schreiben Evangelii gaudium (24. November 2013), 199.

[00042-05.01] [Originalsprache: Italienisch]

 

TRADUZIONE IN LINGUA SPAGNOLA

Eminencia, Excelencias, Señoras y Señores

Es ya una larga y consolidada tradición que el Papa encuentre, al comienzo de cada año, al Cuerpo diplomático acreditado ante la Santa Sede, para manifestar los mejores deseos e intercambiar algunas reflexiones, que brotan sobre todo de su corazón de pastor, que se interesa por las alegrías y dolores de la humanidad. Por eso, el encuentro de hoy es un motivo de gran alegría. Y me permite formularos a vosotros personalmente, a vuestras familias, a las autoridades y pueblos que representáis mis mejores deseos de un Año lleno de bendiciones y de paz.

Agradezco, en primer lugar, al Decano Jean-Claude Michel, quien en nombre de todos ha dado voz a las manifestaciones de afecto y estima que unen vuestras naciones con la Sede Apostólica. Me alegra veros aquí, en tan gran número, después de haberos encontrado la primera vez pocos días después de mi elección. Desde entonces se han acreditado muchos nuevos embajadores, a los que renuevo la bienvenida, a la vez que, como ha hecho vuestro Decano, no puedo dejar de mencionar, entre los que nos han dejado, al difunto embajador Alejandro Valladares Lanza, durante varios años Decano del Cuerpo diplomático, y al que el Señor llamó a su presencia hace algunos meses.

El año que acaba de terminar ha estado especialmente cargado de acontecimientos no sólo en la vida de la Iglesia, sino también en el ámbito de las relaciones que la Santa Sede mantiene con los Estados y las Organizaciones internacionales. Recuerdo, en concreto, el establecimiento de relaciones diplomáticas con Sudán del Sur, la firma de acuerdos, de base o específicos, con Cabo Verde, Hungría y Chad, y la ratificación del que se suscribió con Guinea Ecuatorial en el 2012. También en el ámbito regional ha crecido la presencia de la Santa Sede, tanto en América central, donde se ha convertido en Observador Extra-Regional ante el Sistema de la Integración Centroamericana, como en África, con la acreditación del primer Observador permanente ante la Comunidad Económica de los Estados del África Occidental.

En el mensaje para la Jornada Mundial de la Paz, dedicado a la fraternidad como fundamento y camino para la paz, he subrayado que «la fraternidad se empieza a aprender en el seno de la familia»,1 que «por vocación, debería contagiar al mundo con su amor»2 y contribuir a que madure ese espíritu de servicio y participación que construye la paz.3 Nos lo señala el pesebre, donde no vemos a la Sagrada Familia sola y aislada del mundo, sino rodeada de los pastores y los magos, es decir de una comunidad abierta, en la que hay lugar para todos, pobres y ricos, cercanos y lejanos. Se entienden así las palabras de mi amado predecesor Benedicto XVI, quien subrayaba cómo «la gramática familiar es una gramática de paz».4

Por desgracia, esto no sucede con frecuencia, porque aumenta el número de las familias divididas y desgarradas, no sólo por la frágil conciencia de pertenencia que caracteriza el mundo actual, sino también por las difíciles condiciones en las que muchas de ellas se ven obligadas a vivir, hasta el punto de faltarles los mismos medios de subsistencia. Se necesitan, por tanto, políticas adecuadas que sostengan, favorezcan y consoliden la familia.

Sucede, además, que los ancianos son considerados como un peso, mientras que los jóvenes non ven ante ellos perspectivas ciertas para su vida. Ancianos y jóvenes, por el contrario, son la esperanza de la humanidad. Los primeros aportan la sabiduría de la experiencia; los segundos nos abren al futuro, evitando que nos encerremos en nosotros mismos.5 Es sabio no marginar a los ancianos en la vida social para mantener viva la memoria de un pueblo. Igualmente, es bueno invertir en los jóvenes, con iniciativas adecuadas que les ayuden a encontrar trabajo y a fundar un hogar. ¡No hay que apagar su entusiasmo! Conservo viva en mi mente la experiencia de la Jornada Mundial de la Juventud de Río de Janeiro. ¡Cuántos jóvenes contentos pude encontrar! ¡Cuánta esperanza y expectación en sus ojos y en sus oraciones! ¡Cuánta sed de vida y deseo de abrirse a los demás! La clausura y el aislamiento crean siempre una atmósfera asfixiante y pesada, que tarde o temprano acaba por entristecer y ahogar. Se necesita, en cambio, un compromiso común por parte de todos para favorecer una cultura del encuentro, porque sólo quien es capaz de ir hacia los otros puede dar fruto, crear vínculos, crear comunión, irradiar alegría, edificar la paz.

Por si fuera necesario, lo confirman las imágenes de destrucción y de muerte que hemos tenido ante los ojos en el año apenas terminado. Cuánto dolor, cuánta desesperación provoca la clausura en sí mismos, que adquiere poco a poco el rostro de la envidia, del egoísmo, de la rivalidad, de la sed de poder y de dinero. A veces, parece que esas realidades estén destinadas a dominar. La Navidad, en cambio, infunde en nosotros, cristianos, la certeza de que la última y definitiva palabra pertenece al Príncipe de la Paz, que cambia «las espadas en arados y las lanzas en podaderas» (cf. Is 2,4) y transforma el egoísmo en don de sí y la venganza en perdón.

Con esta confianza, deseo mirar al año que nos espera. No dejo, por tanto, de esperar que se acabe finalmente el conflicto en Siria. La solicitud por esa querida población y el deseo de que no se agravara la violencia me llevaron en el mes de septiembre pasado a convocar una jornada de ayuno y oración. Por vuestro medio, agradezco de corazón a las autoridades públicas y a las personas de buena voluntad que en vuestros países se asociaron a esa iniciativa. Se necesita una renovada voluntad política de todos para poner fin al conflicto. En esa perspectiva, confío en que la Conferencia «Ginebra 2», convocada para el próximo 22 de enero, marque el comienzo del deseado camino de pacificación. Al mismo tiempo, es imprescindible que se respete plenamente el derecho humanitario. No se puede aceptar que se golpee a la población civil inerme, sobre todo a los niños. Animo, además, a todos a facilitar y garantizar, de la mejor manera posible, la necesaria y urgente asistencia a gran parte de la población, sin olvidar el encomiable esfuerzo de aquellos países, sobre todo el Líbano y Jordania, que con generosidad han acogido en sus territorios a numerosos prófugos sirios.

Permaneciendo en Oriente Medio, advierto con preocupación las tensiones que de diversos modos afectan a la Región. Me preocupa especialmente que continúen las dificultades políticas en Líbano, donde un clima de renovada colaboración entre las diversas partes de la sociedad civil y las fuerzas políticas es más que nunca indispensable, para evitar que se intensifiquen los contrastes que pueden minar la estabilidad del país. Pienso también en Egipto, que necesita encontrar de nuevo una concordia social, como también en Iraq, que le cuesta llegar a la deseada paz y estabilidad. Al mismo tiempo, veo con satisfacción los significativos progresos realizados en el diálogo entre Irán y el «Grupo 5+1» sobre la cuestión nuclear.

En cualquier lugar, el camino para resolver los problemas abiertos ha de ser la diplomacia del diálogo. Se trata de la vía maestra ya indicada con lucidez por el papa Benedicto XV cuando invitaba a los responsables de las naciones europeas a hacer prevalecer «la fuerza moral del derecho» sobre la «material de las armas» para poner fin a aquella «inútil carnicería»6 que fue la Primera Guerra Mundial, de la que en este año celebramos el centenario. Es necesario animarse «a ir más allá de la superficie conflictiva»7 y mirar a los demás en su dignidad más profunda, para que la unidad prevalezca sobre el conflicto y sea «posible desarrollar una comunión en las diferencias».8 En este sentido, es positivo que se hayan retomado las negociaciones de paz entre israelitas y palestinos, y deseo que las partes asuman con determinación, con la ayuda de la Comunidad internacional, decisiones valientes para encontrar una solución justa y duradera a un conflicto cuyo fin se muestra cada vez más necesario y urgente. No deja de suscitar preocupación el éxodo de los cristianos de Oriente Medio y del Norte de África. Ellos desean seguir siendo parte del conjunto social, político y cultural de los países que han ayudado a edificar, y aspiran a contribuir al bien común de las sociedades en las que desean estar plenamente incorporados, como artífices de paz y reconciliación.

También en otras partes de África, los cristianos están llamados a dar testimonio del amor y la misericordia de Dios. No hay que dejar nunca de hacer el bien, aún cuando resulte arduo y se sufran actos de intolerancia, por no decir de verdadera y propia persecución. En grandes áreas de Nigeria no se detiene la violencia y se sigue derramando mucha sangre inocente. Mi pensamiento se dirige especialmente a la República Centroafricana, donde la población sufre a causa de las tensiones que el país atraviesa y que repetidamente han sembrado destrucción y muerte. Aseguro mi oración por las víctimas y los numerosos desplazados, obligados a vivir en condiciones de pobreza, y espero que la implicación de la Comunidad internacional contribuya al cese de la violencia, al restablecimiento del estado de derecho y a garantizar el acceso de la ayuda humanitaria también a las zonas más remotas del país. La Iglesia católica por su parte seguirá asegurando su propia presencia y colaboración, esforzándose con generosidad para procurar toda ayuda posible a la población y, sobre todo, para reconstruir un clima de reconciliación y de paz entre todas las partes de la sociedad. Reconciliación y paz son una prioridad fundamental también en otras partes del continente africano. Me refiero especialmente a Malí, donde incluso se observa el positivo restablecimiento de las estructuras democráticas del país, como también a Sudán del Sur, donde, por el contrario, la inestabilidad política del último período ha provocado ya muchos muertos y una nueva emergencia humanitaria.

La Santa Sede sigue con especial atención los acontecimientos de Asia, donde la Iglesia desea compartir los gozos y esperanzas de todos los pueblos que componen aquel vasto y noble continente. Con ocasión del 50 aniversario de las relaciones diplomáticas con la República de Corea, quisiera implorar de Dios el don de la reconciliación en la península, con el deseo de que, por el bien de todo el pueblo coreano, las partes interesadas no se cansen de buscar puntos de encuentro y posibles soluciones. Asia, en efecto, tiene una larga historia de pacífica convivencia entre sus diversas partes civiles, étnicas y religiosas. Hay que alentar ese recíproco respeto, sobre todo frente a algunas señales preocupantes de su debilitamiento, en particular frente a crecientes actitudes de clausura que, apoyándose en motivos religiosos, tienden a privar a los cristianos de su libertad y a poner en peligro la convivencia civil. La Santa Sede, en cambio, mira con gran esperanza las señales de apertura que provienen de países de gran tradición religiosa y cultural, con los que desea colaborar en la edificación del bien común.

La paz además se ve herida por cualquier negación de la dignidad humana, sobre todo por la imposibilidad de alimentarse de modo suficiente. No nos pueden dejar indiferentes los rostros de cuantos sufren el hambre, sobre todo los niños, si pensamos a la cantidad de alimento que se desperdicia cada día en muchas partes del mundo, inmersas en la que he definido en varias ocasiones como la «cultura del descarte». Por desgracia, objeto de descarte no es sólo el alimento o los bienes superfluos, sino con frecuencia los mismos seres humanos, que vienen «descartados» como si fueran «cosas no necesarias». Por ejemplo, suscita horror sólo el pensar en los niños que no podrán ver nunca la luz, víctimas del aborto, o en los que son utilizados como soldados, violentados o asesinados en los conflictos armados, o hechos objeto de mercadeo en esa tremenda forma de esclavitud moderna que es la trata de seres humanos, y que es un delito contra la humanidad.

No podemos ser insensibles al drama de las multitudes obligadas a huir por la carestía, la violencia o los abusos, especialmente en el Cuerno de África y en la Región de los Grandes Lagos. Muchos de ellos viven como prófugos o refugiados en campos donde no vienen considerados como personas sino como cifras anónimas. Otros, con la esperanza de una vida mejor, emprenden viajes aventurados, que a menudo terminan trágicamente. Pienso de modo particular en los numerosos emigrantes que de América Latina se dirigen a los Estados Unidos, pero sobre todo en los que de África o el Oriente Medio buscan refugio en Europa.

Permanece todavía viva en mi memoria la breve visita que realicé a Lampedusa, en julio pasado, para rezar por los numerosos náufragos en el Mediterráneo. Por desgracia hay una indiferencia generalizada frente a semejantes tragedias, que es una señal dramática de la pérdida de ese «sentido de la responsabilidad fraterna»,9 sobre el que se basa toda sociedad civil. En aquella circunstancia, sin embargo, pude constatar también la acogida y dedicación de tantas personas. Deseo al pueblo italiano, al que miro con afecto, también por las raíces comunes que nos unen, que renueve su encomiable compromiso de solidaridad hacia los más débiles e indefensos y, con el esfuerzo sincero y unánime de ciudadanos e instituciones, venza las dificultades actuales, encontrando el clima de constructiva creatividad social que lo ha caracterizado ampliamente.

En fin, deseo mencionar otra herida a la paz, que surge de la ávida explotación de los recursos ambientales. Si bien «la naturaleza está a nuestra disposición»,10 con frecuencia «no la respetamos, no la consideramos un don gratuito que tenemos que cuidar y poner al servicio de los hermanos, también de las generaciones futuras».11 También en este caso hay que apelar a la responsabilidad de cada uno para que, con espíritu fraterno, se persigan políticas respetuosas de nuestra tierra, que es la casa de todos nosotros. Recuerdo un dicho popular que dice: «Dios perdona siempre, nosotros perdonamos algunas veces, la naturaleza -la creación-, cuando viene maltratada, no perdona nunca». Por otra parte, hemos visto con nuestros ojos los efectos devastadores de algunas recientes catástrofes naturales. En particular, deseo recordar una vez más a las numerosas víctimas y las grandes devastaciones en Filipinas y en otros países del sureste asiático, provocadas por el tifón Haiyan.

 

Eminencia, Excelencias, Señoras y Señores:

El Papa Pablo VI afirmaba que la paz «no se reduce a una ausencia de guerra, fruto del equilibrio siempre precario de las fuerzas. La paz se construye día a día, en la instauración de un orden querido por Dios, que comporta una justicia más perfecta entre los hombres».12 Éste es el espíritu que anima la actividad de la Iglesia en cualquier parte del mundo, mediante los sacerdotes, los misioneros, los fieles laicos, que con gran espíritu de dedicación se prodigan entre otras cosas en múltiples obras de carácter educativo, sanitario y asistencial, al servicio de los pobres, los enfermos, los huérfanos y de quienquiera que esté necesitado de ayuda y consuelo. A partir de esta «atención amante»,13 la Iglesia coopera con todas las instituciones que se interesan tanto del bien de los individuos como del común.

Al comienzo de este nuevo año, deseo renovar la disponibilidad de la Santa Sede, y en particular de la Secretaría de Estado, a colaborar con vuestros países para favorecer esos vínculos de fraternidad, que son reverberación del amor de Dios, y fundamento de la concordia y la paz. Que la bendición del Señor descienda copiosa sobre vosotros, vuestras familias y vuestros pueblos. Gracias.

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1 Mensaje para la XLVII Jornada Mundial de la Paz (8 diciembre 2013), 1.

2 Ibíd.

3 Cf. Ibíd., 10.

4 Benedicto XVI, Mensaje para la XLI Jornada Mundial de la Paz (8 diciembre 2007), 3: AAS 100 (2008), 39.

5 Cf. Exh. ap. Evangelii gaudium, 108.

6 Cf. Benedicto XV, Carta a los Jefes de los pueblos beligerantes (1 agosto 1917): AAS 9 (1917), 421-423.

7 Exh. ap. Evangelii gaudium, 228.

8 Ibíd.

9 Homilía en la S. Misa en Lampedusa, 8 julio 2013.

10 Mensaje para la XLVII Jornada Mundial de la Paz (8 diciembre 2013), 9.

11 Ibíd.

12 Pablo VI, Carta enc. Populorum progressio (26 marzo 1967), 76: AAS 59 (1967), 294-295.

13 Exh. ap. Evangelii gaudium, 199.

[00042-04.01] [Texto original: Italiano]

 

TRADUZIONE IN LINGUA PORTOGHESE

Eminência, Excelências, Senhoras e Senhores!

Quer uma tradição, já longa e consolidada, que o Papa, no início de cada novo ano, encontre o Corpo Diplomático acreditado junto da Santa Sé para formular venturosos votos e apresentar algumas reflexões, que brotam primariamente do seu coração de pastor, atento às alegrias e sofrimentos da humanidade. Por isso, é motivo de grande alegria o encontro de hoje. Permite-me formular a vós, pessoalmente, às vossas famílias, às autoridades e aos povos que representais os meus mais sinceros votos de um Ano rico de bênçãos e de paz.

Agradeço, antes de mais, ao Decano Jean-Claude Michel, que deu voz, em nome de todos, às expressões de afecto e estima que unem as vossas nações à Sé Apostólica. Sinto-me feliz por vos ver de novo aqui, tão numerosos, após o nosso primeiro encontro que teve lugar poucos dias depois da minha eleição. Entretanto foram acreditados uma série de novos Embaixadores, a quem renovo as boas-vindas; e, dentre aqueles que nos deixaram, não posso passar sem mencionar, como fez o vosso Decano, o falecido Embaixador Alejandro Valladares Lanza, durante muitos anos Decano do Corpo Diplomático, que o Senhor chamou a Si alguns meses atrás.

O ano que terminou foi particularmente denso de acontecimentos não só na vida da Igreja, mas também no âmbito das relações que a Santa Sé mantém com os Estados e as Organizações Internacionais. Lembro, em particular, o estabelecimento das relações diplomáticas com o Sudão do Sul, a assinatura de acordos, de base ou específicos, com Cabo Verde, Hungria e Chade, e a ratificação do acordo com a Guiné Equatorial que fora assinado em 2012. E, a nível continental, também cresceu a presença da Santa Sé, quer na América Central, onde se tornou Observador Extra-Regional junto do Sistema de la Integración Centroamericana, quer na África, com a acreditação do primeiro Observador Permanente junto da Comunidade Económica dos Estados da África Ocidental.

Na Mensagem para o Dia Mundial da Paz, dedicada à fraternidade como fundamento e caminho para a paz, assinalei que «a fraternidade se começa a aprender habitualmente no seio da família»,1 a qual, «por vocação, deveria contagiar o mundo com o seu amor»2 e contribuir para fazer maturar aquele espírito de serviço e partilha que edifica a paz.3 Isto mesmo vemos narrado no Presépio, onde a Sagrada Família não aparece sozinha nem isolada do mundo, mas rodeada pelos pastores e os magos; por outras palavras, é uma comunidade aberta, na qual há espaço para todos, pobres e ricos, vindos de perto e de longe. Assim se compreendem as palavras do meu amado predecessor Bento XVI, quando sublinhava que «a linguagem familiar usa um léxico de paz».4

Muitas vezes, infelizmente, isto não acontece, porque aumenta o número das famílias divididas e dilaceradas não só pela frágil consciência do sentido de pertença que caracteriza o mundo actual, mas também pelas difíceis condições em que muitas delas são forçadas a viver, chegando ao ponto de lhes faltarem os próprios meios de subsistência. Por isso, tornam-se necessárias políticas adequadas que apoiem, promovam e consolidem a família.

Além disso, sucede que os idosos sejam considerados um peso, enquanto os jovens não vêem à sua frente perspectivas seguras para a sua vida. E, no entanto, idosos e jovens são a esperança da humanidade: os primeiros trazem a sabedoria da experiência, enquanto os segundos nos abrem ao futuro, impedindo de nos fecharmos em nós mesmos.5 Sábia opção é não marginalizar os idosos da vida social, para se manter viva a memória dum povo. De igual modo, é bom investir nos jovens, com iniciativas adequadas que os ajudem a encontrar trabalho e fundar um lar doméstico. É preciso não apagar o seu entusiasmo! Conservo viva na mente a experiência da Jornada Mundial da Juventude, no Rio de Janeiro. Pude encontrar tantos jovens contentes! Havia tanta esperança e expectativa nos seus olhos e nas suas orações! Tanta sede de vida e tanto desejo de se abrir aos outros! O egoísmo e o isolamento criam sempre uma atmosfera asfixiante e pesada, que mais cedo ou mais tarde acaba por estiolar e sufocar. Ao contrário, serve um compromisso comum de todos para favorecer uma cultura do encontro, porque só quem consegue ir ao encontro dos outros é capaz de dar fruto, criar vínculos, criar comunhão, irradiar alegria, construir a paz.

Vimos uma confirmação disto mesmo – caso fosse necessária – nas imagens de destruição e morte que tivemos diante dos olhos no ano que passou. Quanto sofrimento, quanto desespero causa o fechamento em si mesmo, que pouco a pouco toma o rosto da inveja, do egoísmo, da rivalidade, da sede de poder e de dinheiro! Parece, às vezes, que tais realidades estejam destinadas a dominar; mas, o Natal infunde em nós, cristãos, a certeza de que a palavra última e definitiva pertence ao Príncipe da Paz, que muda «as espadas em relhas de arado e as lanças em foices» (cf. Is 2, 4) e transforma o egoísmo em dom de si mesmo e a vingança em perdão.

É com esta confiança que desejo olhar para o ano que está à nossa frente. Por isso, não cesso de esperar que tenha finalmente termo o conflito na Síria. A solicitude por aquela amada população e o desejo de evitar o agravamento da violência levaram-se a proclamar um dia de jejum e oração, em Setembro passado. Por vosso intermédio, agradeço de coração sincero a quantos nos vossos países, autoridades públicas e pessoas de boa vontade, se associaram a esta iniciativa. Agora requer-se uma renovada vontade política comum para pôr fim ao conflito. Nesta linha, espero que a Conferência «Genebra 2», convocada para o próximo dia 22 de Janeiro, marque o início do desejado caminho de pacificação. Ao mesmo tempo, é imprescindível o pleno respeito do direito humanitário. Não se pode aceitar que seja atingida a população civil inerme, sobretudo as crianças. Além disso, encorajo a todos a favorecer e garantir, de todos os modos possíveis, a assistência necessária e urgente de grande parte da população, sem esquecer o louvável esforço dos países, especialmente o Líbano e a Jordânia, que generosamente acolheram em seu território os inúmeros refugiados sírios.

Continuando no Médio Oriente, observo com preocupação as tensões que afectam, de vários modos, a Região. Com particular preocupação, vejo prolongar-se as dificuldades políticas no Líbano, onde se torna mais indispensável que nunca um clima de renovada cooperação entre as várias instâncias da sociedade civil e as forças políticas para evitar o agudizar-se de contrastes que podem minar a estabilidade do país. Penso também no Egipto, necessitado de reencontrar a concórdia social, assim como no Iraque, que tem dificuldade em chegar à almejada paz e estabilidade. Ao mesmo tempo, assinalo com satisfação os significativos progressos realizados no diálogo entre o Irão e o «Grupo 5+1» sobre a questão nuclear.

Por toda a parte, a via para resolver as questões em aberto há-de ser o caminho diplomático do diálogo. É a estrada-mestra já apontada, com lúcida clareza, pelo Papa Bento XV, quando convidava os responsáveis das nações europeias a fazerem prevalecer «a força moral do direito» sobre a força «material das armas», para acabar com aquele «inútil massacre»6 que foi a I Guerra Mundial, cujo início teve lugar há cem anos. É preciso «a coragem de ultrapassar a superfície conflitual»7 para considerar os outros na sua dignidade mais profunda, a fim de que a unidade prevaleça sobre o conflito e seja «possível desenvolver uma comunhão nas diferenças».8 Neste sentido, é positivo o facto de se terem retomado as negociações de paz entre israelitas e palestinianos, e espero que as Partes estejam determinadas a assumir, com o apoio da Comunidade Internacional, decisões corajosas a fim de se encontrar uma solução justa e duradoura para um conflito, cujo fim se revela cada vez mais necessário e urgente. Motivo incessante de preocupação é o êxodo dos cristãos do Médio Oriente e do Norte da África. O desejo deles é continuarem a fazer parte da colectividade social, política e cultural dos países que ajudaram a construir, e anelam concorrer para o bem comum das sociedades onde querem viver plenamente inseridos como artífices de paz e reconciliação.

Também noutras partes da África, os cristãos são chamados a dar testemunho do amor e da misericórdia de Deus. Não se deve jamais desistir de praticar o bem, mesmo quando é árduo e se padecem actos de intolerância, se não de verdadeira e própria perseguição. Em vastas áreas da Nigéria, não cessam as violências e continua a ser derramado tanto sangue inocente. Pelo meu pensamento perpassa sobretudo a República Centro-Africana, onde a população sofre por causa das tensões que o país atravessa e que já semearam destruição e morte, em várias ocasiões. Ao mesmo tempo que asseguro a minha oração pelas vítimas e os numerosos desalojados, constrangidos a viver em condições de indigência, espero que a solicitude da Comunidade Internacional contribua para fazer cessar as violências, restaurar o estado de direito e garantir a chegada das ajudas humanitárias mesmo nas zonas mais remotas do país. Por sua vez, a Igreja Católica continuará a assegurar a sua presença e colaboração, empenhando-se generosamente por fornecer toda a ajuda possível à população e sobretudo por reconstruir um clima de reconciliação e de paz entre todas as componentes da sociedade. Reconciliação e paz aparecem como prioridades fundamentais também noutras partes do continente africano. Refiro-me particularmente ao Mali, onde já se nota positivamente a restauração das estruturas democráticas do país, e também ao Sudão do Sul, onde, pelo contrário, a instabilidade política do último período já provocou numerosos mortos e uma nova emergência humanitária.

A Santa Sé acompanha com viva atenção também as vicissitudes da Ásia, onde a Igreja deseja compartilhar as alegrias e as aspirações de todos os povos que compõem aquele vasto e nobre continente. Por ocasião do cinquentenário das relações diplomáticas com a República da Coreia, quero implorar, de Deus, o dom da reconciliação na península, com a esperança de que, para bem de todo o povo coreano, as Partes envolvidas não se cansem de procurar pontos de encontro e possíveis soluções. Efectivamente a Ásia tem uma longa história de convivência pacífica entre as suas diversas componentes civis, étnicas e religiosas. É preciso incentivar tal respeito mútuo, sobretudo perante alguns sinais preocupantes do seu enfraquecimento, nomeadamente nas atitudes, em número crescente, de fechamento que, apoiando-se sobre motivos religiosos, tendem a privar os cristãos da sua liberdade e pôr em risco a convivência civil. Inversamente, a Santa Sé olha com viva esperança os sinais de abertura que provêm de países de grande tradição religiosa e cultural, com quem ela deseja colaborar para a edificação do bem comum.

A paz é ferida ainda por toda e qualquer negação da dignidade humana e, primariamente, pela impossibilidade de se alimentar de forma suficiente. Não podem deixar-nos indiferentes os rostos de quantos padecem fome, sobretudo das crianças, se pensarmos quanta comida é desperdiçada cada dia em tantas partes do mundo, mergulhadas naquela que já várias vezes defini como a «cultura do descarte». Infelizmente, objecto de descarte não são apenas os alimentos ou os bens supérfluos, mas muitas vezes os próprios seres humanos, que acabam «descartados» como se fossem «coisas desnecessárias». Por exemplo, causa horror só o pensar que haja crianças que não poderão jamais ver a luz, vítimas do aborto, ou aquelas que são usadas como soldados, estupradas ou mortas nos conflitos armados, ou então feitas objecto de mercado naquela tremenda forma de escravidão moderna que é o tráfico dos seres humanos, que é um crime contra a humanidade.

Não pode deixar-nos insensíveis o drama das multidões forçadas a fugir da carestia ou das violências e abusos, particularmente no Corno da África e na região dos Grandes Lagos. Muitos deles vivem como deslocados ou refugiados em campos onde já não são consideradas pessoas mas cifras anónimas. Outros, com a esperança duma vida melhor, empreendem viagens de fortuna, que não raro terminam tragicamente. Refiro-me de modo particular aos numerosos emigrantes que, da América Latina, se dirigem para os Estados Unidos, mas sobretudo a quantos, da África ou do Médio Oriente, buscam refúgio na Europa.

Continua viva na minha memória a breve visita que realizei a Lampedusa, no passado mês de Julho, para rezar pelos numerosos náufragos no Mediterrâneo. Perante tais tragédias, infelizmente, verifica-se uma indiferença geral, constituindo um sinal dramático da perda daquele «sentido da responsabilidade fraterna»9 sobre o qual assenta toda a sociedade civil. Naquela ocasião, porém, pude constatar também o acolhimento e a dedicação por parte de tantas pessoas. Desejo ao povo italiano – para quem olho com afecto, nomeadamente pelas raízes comuns que nos unem – que saiba renovar o seu louvável empenho de solidariedade para com os mais frágeis e indefesos e, com o esforço sincero e concorde de cidadãos e instituições, superar as dificuldades actuais, recuperando o clima de criatividade social construtiva que há muito o caracteriza.

Por fim, desejo mencionar outra ferida à paz, que deriva da ávida exploração dos recursos ambientais. Embora «a natureza esteja à nossa disposição»,10 com muita frequência «não a respeitamos, nem a consideramos como um dom gratuito de que devemos cuidar e colocar ao serviço dos irmãos, incluindo as gerações futuras».11 Também neste caso, há que chamar em causa a responsabilidade de cada um para que, com espírito fraterno, se persigam políticas respeitadoras desta terra, que é a casa de cada um de nós. Recordo um adágio popular, que diz: «Deus perdoa sempre, nós às vezes, mas a natureza – a criação – nunca perdoa quando é maltratada». Aliás permanecem diante dos olhos os efeitos devastadores de algumas catástrofes naturais recentes. Em particular, quero lembrar uma vez mais as numerosas vítimas e as graves devastações nas Filipinas e noutros países do sudeste asiático provocadas pelo tufão Haiyan.

Eminência, Excelências, Senhoras e Senhores! 

O Papa Paulo VI observava que «a paz não se reduz a uma ausência de guerra, fruto do equilíbrio sempre precário das forças. Constrói-se, dia a dia, na busca duma ordem querida por Deus, que traz consigo uma justiça mais perfeita entre os homens».12 Este é o espírito que anima a acção da Igreja em todo o mundo, através dos sacerdotes, missionários, fiéis-leigos que, com grande espírito de dedicação, se prodigalizam, para além do mais, em múltiplas obras de carácter educativo, sanitário e assistencial, ao serviço dos pobres, doentes, órfãos e quem quer que precise de ajuda e conforto. A partir desta «atenção amiga»,13 a Igreja coopera com todas as instituições que têm a peito tanto o bem dos indivíduos como o bem comum.

Por isso, no início deste novo ano, desejo reiterar a disponibilidade da Santa Sé, e particularmente da Secretaria de Estado, em colaborar com os vossos países para favorecer aqueles laços de fraternidade que são reflexo do amor de Deus e fundamento da concórdia e da paz. Sobre vós, as vossas famílias e os vossos povos, desça copiosa a bênção do Senhor. Obrigado!

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1 Mensagem para o XLVII Dia Mundial da Paz (8 de Dezembro de 2013), 1.

2 Ibid., 1.

3 Cf. ibid., 10.

4 Bento XVI, Mensagem para o XLI Dia Mundial da Paz (8 de Dezembro de 2007), 3: AAS 100 (2008), 39.

5 Cf. Exort. ap. Evangelii gaudium, 108.

6 Cf. Bento XV, Carta aos Chefes dos Povos beligerantes (1 de Agosto de 1917): AAS 9 (1917), 421-423.

7 Exort. ap. Evangelii gaudium, 228.

8 Ibid., 228.

9 Homilia na Santa Missa, em Lampedusa (8 de Julho de 2013).

10 Cf. Mensagem para o XLVII Dia Mundial da Paz (8 de Dezembro de 2013), 9.

11 Ibid., 9.

12 Paulo VI, Cart enc. Populorum progressio (26 de Março de 1967), 76: AAS 59 (1967), 294-295.

13 Exort. ap. Evangelii gaudium, 199.

[00042-06.01] [Texto original: Italiano]