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VISITA DEL SANTO PADRE FRANCESCO A LAMPEDUSA, 08.07.2013


VISITA DEL SANTO PADRE FRANCESCO A LAMPEDUSA

OMELIA DEL SANTO PADRE

PAROLE DEL SANTO PADRE AL TERMINE DELLA CELEBRAZIONE EUCARISTICA  

Alle ore 7.20 di questa mattina, il Santo Padre Francesco ha lasciato in auto la Domus Sanctae Marthae e si è recato all’aeroporto di Ciampino, dove, alle ore 8.00, è partito per recarsi in visita a Lampedusa.

Al suo arrivo all’aeroporto di Lampedusa, il Papa è stato accolto dall’Arcivescovo di Agrigento, S.E. Mons. Francesco Montenegro, e dal Sindaco dell’Isola, la Dott.ssa Giuseppina Nicolini. Quindi il Santo Padre ha raggiunto in auto Cala Pisana dove si è imbarcato per raggiungere via mare il Porto di Lampedusa. I pescatori hanno accompagnato il Papa con le loro barche. Al largo Papa Francesco ha lanciato in mare una corona di fiori, in ricordo di quanti hanno perso la vita nelle traversate.

Alle ore 9.30 l’imbarcazione con a bordo il Santo Padre è entrata nel Porto a Punta Favarolo. Sul Molo lo attendevano gruppi di Immigrati che il Papa ha salutato al suo passaggio. Quindi si è recato in auto presso il vicino campo sportivo "Arena", in località Salina, dove, alle ore 10.30, ha celebrato la Santa Messa.

Nel corso della Celebrazione Eucaristica il Papa ha pronunciato l’omelia. Quindi, al termine della Santa Messa, dopo il saluto dell’Arcivescovo di Agrigento, S.E. Mons. Francesco Montenegro, il Santo Padre ha recitato una preghiera a Maria, Stella del Mare.

Pubblichiamo di seguito l’omelia e le parole di saluto pronunciate al termine della Celebrazione Eucaristica da Papa Francesco:

OMELIA DEL SANTO PADRE  

Testo in lingua italiana

Traduzione in lingua francese  

Traduzione in lingua inglese  

Traduzione in lingua tedesca  

Traduzione in lingua spagnola  

Traduzione in lingua portoghese  

Testo in lingua italiana  

Immigrati morti in mare, da quelle barche che invece di essere una via di speranza sono state una via di morte. Così il titolo dei giornali. Quando alcune settimane fa ho appreso questa notizia, che purtroppo tante volte si è ripetuta, il pensiero vi è tornato continuamente come una spina nel cuore che porta sofferenza. E allora ho sentito che dovevo venire qui oggi a pregare, a compiere un gesto di vicinanza, ma anche a risvegliare le nostre coscienze perché ciò che è accaduto non si ripeta. Non si ripeta per favore. Prima però vorrei dire una parola di sincera gratitudine e di incoraggiamento a voi, abitanti di Lampedusa e Linosa, alle associazioni, ai volontari e alle forze di sicurezza, che avete mostrato e mostrate attenzione a persone nel loro viaggio verso qualcosa di migliore. Voi siete una piccola realtà, ma offrite un esempio di solidarietà! Grazie! Grazie anche all’Arcivescovo Mons. Francesco Montenegro per il suo aiuto, il suo lavoro e la sua vicinanza pastorale. Saluto cordialmente il sindaco signora Giusi Nicolini, grazie tanto per quello che lei ha fatto e che fa. Un pensiero lo rivolgo ai cari immigrati musulmani che, oggi, alla sera, stanno iniziando il digiuno di Ramadan, con l’augurio di abbondanti frutti spirituali. La Chiesa vi è vicina nella ricerca di una vita più dignitosa per voi e le vostre famiglie. A voi: o’scià!

Questa mattina, alla luce della Parola di Dio che abbiamo ascoltato, vorrei proporre alcune parole che soprattutto provochino la coscienza di tutti, spingano a riflettere e a cambiare concretamente certi atteggiamenti.

«Adamo, dove sei?»: è la prima domanda che Dio rivolge all’uomo dopo il peccato. «Dove sei Adamo?». E Adamo è un uomo disorientato che ha perso il suo posto nella creazione perché crede di diventare potente, di poter dominare tutto, di essere Dio. E l’armonia si rompe, l’uomo sbaglia e questo si ripete anche nella relazione con l’altro che non è più il fratello da amare, ma semplicemente l’altro che disturba la mia vita, il mio benessere. E Dio pone la seconda domanda: «Caino, dov’è tuo fratello?». Il sogno di essere potente, di essere grande come Dio, anzi di essere Dio, porta ad una catena di sbagli che è catena di morte, porta a versare il sangue del fratello!

Queste due domande di Dio risuonano anche oggi, con tutta la loro forza! Tanti di noi, mi includo anch’io, siamo disorientati, non siamo più attenti al mondo in cui viviamo, non curiamo, non custodiamo quello che Dio ha creato per tutti e non siamo più capaci neppure di custodirci gli uni gli altri. E quando questo disorientamento assume le dimensioni del mondo, si giunge a tragedie come quella a cui abbiamo assistito.

«Dov’è il tuo fratello?», la voce del suo sangue grida fino a me, dice Dio. Questa non è una domanda rivolta ad altri, è una domanda rivolta a me, a te, a ciascuno di noi. Quei nostri fratelli e sorelle cercavano di uscire da situazioni difficili per trovare un po’ di serenità e di pace; cercavano un posto migliore per sé e per le loro famiglie, ma hanno trovato la morte. Quante volte coloro che cercano questo non trovano comprensione, non trovano accoglienza, non trovano solidarietà! E le loro voci salgono fino a Dio! E una volta ancora ringrazio voi abitanti di Lampedusa per la solidarietà. Ho sentito, recentemente, uno di questi fratelli. Prima di arrivare qui sono passati per le mani dei trafficanti, coloro che sfruttano la povertà degli altri, queste persone per le quali la povertà degli altri è una fonte di guadagno. Quanto hanno sofferto! E alcuni non sono riusciti ad arrivare.

«Dov’è il tuo fratello?» Chi è il responsabile di questo sangue? Nella letteratura spagnola c’è una commedia di Lope de Vega che narra come gli abitanti della città di Fuente Ovejuna uccidono il Governatore perché è un tiranno, e lo fanno in modo che non si sappia chi ha compiuto l’esecuzione. E quando il giudice del re chiede: «Chi ha ucciso il Governatore?», tutti rispondono: «Fuente Ovejuna, Signore». Tutti e nessuno! Anche oggi questa domanda emerge con forza: Chi è il responsabile del sangue di questi fratelli e sorelle? Nessuno! Tutti noi rispondiamo così: non sono io, io non c’entro, saranno altri, non certo io. Ma Dio chiede a ciascuno di noi: «Dov’è il sangue del tuo fratello che grida fino a me?». Oggi nessuno nel mondo si sente responsabile di questo; abbiamo perso il senso della responsabilità fraterna; siamo caduti nell’atteggiamento ipocrita del sacerdote e del servitore dell’altare, di cui parlava Gesù nella parabola del Buon Samaritano: guardiamo il fratello mezzo morto sul ciglio della strada, forse pensiamo "poverino", e continuiamo per la nostra strada, non è compito nostro; e con questo ci tranquillizziamo, ci sentiamo a posto. La cultura del benessere, che ci porta a pensare a noi stessi, ci rende insensibili alle grida degli altri, ci fa vivere in bolle di sapone, che sono belle, ma non sono nulla, sono l’illusione del futile, del provvisorio, che porta all’indifferenza verso gli altri, anzi porta alla globalizzazione dell’indifferenza. In questo mondo della globalizzazione siamo caduti nella globalizzazione dell'indifferenza. Ci siamo abituati alla sofferenza dell’altro, non ci riguarda, non ci interessa, non è affare nostro!

Ritorna la figura dell’Innominato di Manzoni. La globalizzazione dell’indifferenza ci rende tutti "innominati", responsabili senza nome e senza volto.

«Adamo dove sei?», «Dov’è il tuo fratello?», sono le due domande che Dio pone all’inizio della storia dell’umanità e che rivolge anche a tutti gli uomini del nostro tempo, anche a noi. Ma io vorrei che ci ponessimo una terza domanda: «Chi di noi ha pianto per questo fatto e per fatti come questo?». Chi ha pianto per la morte di questi fratelli e sorelle? Chi ha pianto per queste persone che erano sulla barca? Per le giovani mamme che portavano i loro bambini? Per questi uomini che desideravano qualcosa per sostenere le proprie famiglie? Siamo una società che ha dimenticato l’esperienza del piangere, del "patire con": la globalizzazione dell’indifferenza ci ha tolto la capacità di piangere! Nel Vangelo abbiamo ascoltato il grido, il pianto, il grande lamento: «Rachele piange i suoi figli… perché non sono più». Erode ha seminato morte per difendere il proprio benessere, la propria bolla di sapone. E questo continua a ripetersi… Domandiamo al Signore che cancelli ciò che di Erode è rimasto anche nel nostro cuore; domandiamo al Signore la grazia di piangere sulla nostra indifferenza, di piangere sulla crudeltà che c’è nel mondo, in noi, anche in coloro che nell’anonimato prendono decisioni socio-economiche che aprono la strada ai drammi come questo. «Chi ha pianto?». Chi ha pianto oggi nel mondo?

Signore, in questa Liturgia, che è una Liturgia di penitenza, chiediamo perdono per l’indifferenza verso tanti fratelli e sorelle, ti chiediamo Padre perdono per chi si è accomodato e si è chiuso nel proprio benessere che porta all’anestesia del cuore, ti chiediamo perdono per coloro che con le loro decisioni a livello mondiale hanno creato situazioni che conducono a questi drammi. Perdono Signore!

Signore, che sentiamo anche oggi le tue domande: «Adamo dove sei?», «Dov’è il sangue di tuo fratello?».

[01027-01.01] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua francese  

Immigrés morts en mer, dans ces bateaux qui au lieu d’être un chemin d’espérance ont été un chemin de mort. Ainsi titrent des journaux. Il y a quelques semaines, quand j’ai appris cette nouvelle, qui malheureusement s’est répétée tant de fois, ma pensée y est revenue continuellement comme une épine dans le cœur qui apporte de la souffrance. Et alors j’ai senti que je devais venir ici aujourd’hui pour prier, pour poser un geste de proximité, mais aussi pour réveiller nos consciences pour que ce qui est arrivé ne se répète pas. Que cela ne se répète pas, s’il vous plaît ! Mais tout d’abord, je voudrais dire une parole de sincère gratitude et d’encouragement à vous, habitants de Lampedusa et Linosa, aux associations, aux volontaires et aux forces de sécurité, qui avez montré et montrez de l’attention aux personnes dans leur voyage vers quelque chose de meilleur. Vous êtes une petite réalité, mais vous offrez un exemple de solidarité ! Merci ! Merci aussi à l’archevêque Mgr Francesco Montenegro pour son aide, son travail et sa proximité pastorale. Je salue cordialement le Maire, Mme Giusi Nicolini, merci beaucoup pour ce qu’elle a fait et fait. Je désire me tourner en pensée vers les chers immigrés musulmans qui commencent, ce soir, le jeune du Ramadan, avec le vœu d’abondants fruits spirituels. L’Église vous est proche dans la recherche d’une vie plus digne pour vous et vos familles. A vous : (oshià) !

Ce matin, à la lumière de la Parole de Dieu que nous avons écoutée, je voudrais proposer des paroles qui surtout provoquent la conscience de tous, poussent à réfléchir et à changer concrètement certaines attitudes.

« Adam, où es-tu ? » : c’est la première demande que Dieu adresse à l’homme après le péché. « Où es-tu, Adam ? ». Et Adam est un homme désorienté qui a perdu sa place dans la création parce qu’il croit devenir puissant, pouvoir tout dominer, être Dieu. Et l’harmonie se rompt, l’homme se trompe et cela se répète aussi dans la relation avec l’autre qui n’est plus le frère à aimer, amis simplement l’autre qui dérange ma vie, mon bien-être. Et Dieu pose la seconde question : « Caïn, où est ton frère, ». Le rêve d’être puissant, d’être grand comme Dieu, ou plutôt d’être Dieu, génère une chaîne d’erreurs, qui est une chaîne de mort, porte à verser le sang du frère !

Ces deux questions de Dieu résonnent aussi aujourd’hui, avec toute leur force ! Beaucoup de nous, je m’y inclus aussi, nous sommes désorientés, nous se sommes plus attentifs au monde dans lequel nous vivons, nous ne soignons pas, nous ne gardons pas ce que Dieu a créé pour tous et nous ne sommes plus capables non plus de nous garder les uns les autres. Et quand cette désorientation assume les dimensions du monde, on arrive à des tragédies comme celle à laquelle nous avons assisté.

« Où est ton frère ? », la voix de son sang crie vers moi, dit Dieu. Ce n’est pas une question adressée aux autres, c’est une question adressée à moi, à toi, à chacun de nous. Ceux-ci parmi nos frères et sœurs cherchaient à sortir de situations difficiles pour trouver un peu de sérénité et de paix ; ils cherchaient un rang meilleur pour eux et pour leurs familles, mais ils ont trouvé la mort. Combien de fois ceux qui cherchent cela ne trouvent pas compréhension, ne trouvent pas accueil, ne trouvent pas solidarité ! Et leurs voix montent jusqu’à Dieu ! Une fois encore, je vous remercie vous habitants de Lampedusa de votre solidarité. J’ai récemment écouté un de ces frères. Avant d’arriver ici, ils ont passé par les mains des trafiquants, ceux exploitent la pauvreté des autres, ces personnes pour qui la pauvreté des autres est une source de revenu. Quelle souffrance ! Et certains n’ont pas pu arriver à destination.

« Où est ton frère ? » Qui est le responsable de ce sang ? Dans la littérature espagnole, il y a une comédie de Lope de Vega qui raconte comment les habitants de la ville de Fuente Ovejuna tuèrent le Gouverneur parce que c’est un tyran, et le font de façon à ce qu’on ne sache pas qui l’a exécuté. Et quand le juge du roi demande : « Qui a tué le Gouverneur ? », tous répondent : « Fuente Ovejuna, Monsieur ». Tous et personne ! Aujourd’hui aussi cette question émerge avec force : qui est le responsable du sang de ces frères et sœurs ? Personne ! Tous nous répondons ainsi : ce n’est pas moi, moi je ne suis pas d’ici, ce sont d’autres, certainement pas moi. Mais Dieu demande à chacun de nous : « Où est le sang de ton frère qui crie vers moi ? ». Aujourd’hui personne dans le monde ne se sent responsable de cela ; nous avons perdu le sens de la responsabilité fraternelle ; nous sommes tombés dans l’attitude hypocrite du prêtre et du serviteur de l’autel, dont parlait Jésus dans la parabole du Bon Samaritain : nous regardons le frère à demi mort sur le bord de la route, peut-être pensons-nous « le pauvre », et continuons notre route, ce n’est pas notre affaire ; et avec cela nous nous mettons l’âme en paix, nous nous sentons en règle. La culture du bien-être, qui nous amène à penser à nous-même, nous rend insensibles aux cris des autres, nous fait vivre dans des bulles de savon, qui sont belles, mais ne sont rien ; elles sont l’illusion du futile, du provisoire, illusion qui porte à l’indifférence envers les autres, et même à la mondialisation de l’indifférence. Dans ce monde de la mondialisation, nous sommes tombés dans la mondialisation de l’indifférence. Nous sommes habitués à la souffrance de l’autre, cela ne nous regarde pas, ne nous intéresse pas, ce n’est pas notre affaire !

Revient la figure de l’Innommé de Manzoni. La mondialisation de l’indifférence nous rend tous "innommés", responsables sans nom et sans visage.

« Adam où es-tu ? », « Où est ton frère ? », sont les deux questions que Dieu pose au début de l’histoire de l’humanité et qu’il adresse aussi à tous les hommes de notre temps, à nous aussi. Mais je voudrais que nous nous posions une troisième question : « Qui de nous a pleuré pour ce fait et pour les faits comme celui-ci ? » Qui a pleuré pour la mort de ces frères et sœurs ? Qui a pleuré pour ces personnes qui étaient sur le bateau ? Pour les jeunes mamans qui portaient leurs enfants ? Pour ces hommes qui désiraient quelque chose pour soutenir leurs propres familles ? Nous sommes une société qui a oublié l’expérience des pleurs, du « souffrir avec » : la mondialisation de l’indifférence nous a ôté la capacité de pleurer ! Dans l’Évangile nous avons écouté le cri, les pleurs, la longue plainte : « Rachel pleure ses enfants… parce qu’ils ne sont plus ». Hérode a semé la mort pour défendre son propre bien-être, sa propre bulle de savon. Et cela continue à se répéter… Demandons au Seigneur d’effacer ce qui d’Hérode est resté également dans notre cœur ; demandons au Seigneur la grâce de pleurer sur notre indifférence, de pleurer sur la cruauté qui est dans le monde, en nous, aussi en ceux qui dans l’anonymat prennent les décisions socio-économiques qui ouvrent la voie à des drames comme celui-ci. « Qui a pleuré ? » Qui a pleuré aujourd’hui dans le monde ?

Seigneur, en cette Liturgie, qui est une Liturgie de pénitence, nous demandons pardon pour l’indifférence envers beaucoup de frères et sœurs ; Père, nous te demandons pardon pour celui qui s’est accommodé et s’est enfermé dans son propre bien-être qui porte à l’anesthésie du cœur, nous te demandons pardon pour ceux qui par leurs décisions au niveau mondial ont créé des situations qui conduisent à ces drames. Pardon Seigneur !

Seigneur, que nous entendions aujourd’hui aussi tes questions : « Adam où es-tu ? », « Où est le sang de ton frère ? ».

[01027-03.01] [Texte original: Italien]

Traduzione in lingua inglese  

Immigrants dying at sea, in boats which were vehicles of hope and became vehicles of death. That is how the headlines put it. When I first heard of this tragedy a few weeks ago, and realized that it happens all too frequently, it has constantly come back to me like a painful thorn in my heart. So I felt that I had to come here today, to pray and to offer a sign of my closeness, but also to challenge our consciences lest this tragedy be repeated. Please, let it not be repeated! First, however, I want to say a word of heartfelt gratitude and encouragement to you, the people of Lampedusa and Linosa, and to the various associations, volunteers and security personnel who continue to attend to the needs of people journeying towards a better future. You are so few, and yet you offer an example of solidarity! Thank you! I also thank Archbishop Francesco Montenegro for all his help, his efforts and his close pastoral care. I offer a cordial greeting to Mayor Giusi Nicolini: thank you so much for what you have done and are doing. I also think with affection of those Muslim immigrants who this evening begin the fast of Ramadan, which I trust will bear abundant spiritual fruit. The Church is at your side as you seek a more dignified life for yourselves and your families. To all of you: o’scià!

This morning, in the light of God’s word which has just been proclaimed, I wish to offer some thoughts meant to challenge people’s consciences and lead them to reflection and a concrete change of heart.

"Adam, where are you?" This is the first question which God asks man after his sin. "Adam, where are you?" Adam lost his bearings, his place in creation, because he thought he could be powerful, able to control everything, to be God. Harmony was lost; man erred and this error occurs over and over again also in relationships with others. "The other" is no longer a brother or sister to be loved, but simply someone who disturbs my life and my comfort. God asks a second question: "Cain, where is your brother?" The illusion of being powerful, of being as great as God, even of being God himself, leads to a whole series of errors, a chain of death, even to the spilling of a brother’s blood!

God’s two questions echo even today, as forcefully as ever! How many of us, myself included, have lost our bearings; we are no longer attentive to the world in which we live; we don’t care; we don’t protect what God created for everyone, and we end up unable even to care for one another! And when humanity as a whole loses its bearings, it results in tragedies like the one we have witnessed.

"Where is your brother?" His blood cries out to me, says the Lord. This is not a question directed to others; it is a question directed to me, to you, to each of us. These brothers and sisters of ours were trying to escape difficult situations to find some serenity and peace; they were looking for a better place for themselves and their families, but instead they found death. How often do such people fail to find understanding, fail to find acceptance, fail to find solidarity. And their cry rises up to God! Once again I thank you, the people of Lampedusa, for your solidarity. I recently listened to one of these brothers of ours. Before arriving here, he and the others were at the mercy of traffickers, people who exploit the poverty of others, people who live off the misery of others. How much these people have suffered! Some of them never made it here.

"Where is your brother?" Who is responsible for this blood? In Spanish literature we have a comedy of Lope de Vega which tells how the people of the town of Fuente Ovejuna kill their governor because he is a tyrant. They do it in such a way that no one knows who the actual killer is. So when the royal judge asks: "Who killed the governor?", they all reply: "Fuente Ovejuna, sir". Everybody and nobody! Today too, the question has to be asked: Who is responsible for the blood of these brothers and sisters of ours? Nobody! That is our answer: It isn’t me; I don’t have anything to do with it; it must be someone else, but certainly not me. Yet God is asking each of us: "Where is the blood of your brother which cries out to me?" Today no one in our world feels responsible; we have lost a sense of responsibility for our brothers and sisters. We have fallen into the hypocrisy of the priest and the levite whom Jesus described in the parable of the Good Samaritan: we see our brother half dead on the side of the road, and perhaps we say to ourselves: "poor soul…!", and then go on our way. It’s not our responsibility, and with that we feel reassured, assuaged. The culture of comfort, which makes us think only of ourselves, makes us insensitive to the cries of other people, makes us live in soap bubbles which, however lovely, are insubstantial; they offer a fleeting and empty illusion which results in indifference to others; indeed, it even leads to the globalization of indifference. In this globalized world, we have fallen into globalized indifference. We have become used to the suffering of others: it doesn’t affect me; it doesn’t concern me; it’s none of my business!

Here we can think of Manzoni’s character – "the Unnamed". The globalization of indifference makes us all "unnamed", responsible, yet nameless and faceless.

"Adam, where are you?" "Where is your brother?" These are the two questions which God asks at the dawn of human history, and which he also asks each man and woman in our own day, which he also asks us. But I would like us to ask a third question: "Has any one of us wept because of this situation and others like it?" Has any one of us grieved for the death of these brothers and sisters? Has any one of us wept for these persons who were on the boat? For the young mothers carrying their babies? For these men who were looking for a means of supporting their families? We are a society which has forgotten how to weep, how to experience compassion – "suffering with" others: the globalization of indifference has taken from us the ability to weep! In the Gospel we have heard the crying, the wailing, the great lamentation: "Rachel weeps for her children… because they are no more". Herod sowed death to protect his own comfort, his own soap bubble. And so it continues… Let us ask the Lord to remove the part of Herod that lurks in our hearts; let us ask the Lord for the grace to weep over our indifference, to weep over the cruelty of our world, of our own hearts, and of all those who in anonymity make social and economic decisions which open the door to tragic situations like this. "Has any one wept?" Today has anyone wept in our world?

Lord, in this liturgy, a penitential liturgy, we beg forgiveness for our indifference to so many of our brothers and sisters. Father, we ask your pardon for those who are complacent and closed amid comforts which have deadened their hearts; we beg your forgiveness for those who by their decisions on the global level have created situations that lead to these tragedies. Forgive us, Lord!

Today too, Lord, we hear you asking: "Adam, where are you?" "Where is the blood of your brother?"

[01027-02.01] [Original text: Italian]

Traduzione in lingua tedesca  

Immigranten auf dem Meer umgekommen, auf den Booten, die statt eines Weges der Hoffnung ein Weg des Todes wurden. So die Überschriften der Zeitungen.

Als ich vor einigen Wochen diese Nachricht hörte, die sich leider sehr oft wiederholte, drangen die Gedanken immer wieder wie ein Leid bringender Stich ins Herz. Und da habe ich gespürt, dass ich heute hierher kommen musste, um zu beten, um eine Geste der Nähe zu setzen, aber auch um unsere Gewissen wachzurütteln, damit sich das Vorgefallene nicht wiederhole. Es wiederhole sich bitte nicht. Zunächst aber möchte ich euch ein Wort des aufrichtigen Dankes und der Ermutigung sagen, euch, den Einwohnern von Lampedusa und Linosa, den Vereinen, den Freiwilligen und den Sicherheitskräften, die ihr Menschen auf ihrer Reise nach etwas Besserem Aufmerksamkeit gezeigt habt und weiter zeigt. Ihr seid eine kleine Gemeinschaft, aber ihr leistet ein Beispiel an Solidarität! Danke. Mein Dank gilt auch Erzbischof Francesco Montenegro für seine Hilfe, für seine Arbeit und pastorale Nähe. Herzlich grüße ich die Bürgermeisterin Frau Giusi Nicolini – vielen Dank für das, was sie gemacht hat und macht. Ich denke auch an die geschätzten muslimischen Immigranten, die heute Abend das Fasten des Ramadans beginnen, und wünsche ihnen reiche geistliche Früchte. Die Kirche ist euch nahe auf der Suche nach einem würdigeren Leben für euch und eure Familien. Auf euch (oshià)!

Heute Morgen möchte ich im Licht des Wortes Gottes, das wir gehört haben, einige Worte vorlegen, die vor allem das Gewissen aller anstoßen und dazu bringen sollen, nachzudenken und gewisse Haltungen konkret zu ändern.

„Adam, wo bist du?", lautet die erste Frage, die Gott an den Menschen nach dem Sündenfall richtet. „Wo bist du, Adam?" Adam ist ein Mensch ohne Orientierung, der seinen Platz in der Schöpfung verloren hat, weil er glaubt, mächtig zu werden, alles beherrschen zu können, Gott zu sein. Und die Harmonie geht zu Bruch, der Mensch geht fehl, und dies wiederholt sich auch in der Beziehung zum anderen, der nicht mehr der zu liebende Bruder ist, sondern bloß der andere, der mein Leben, mein Wohlbefinden stört. Und Gott stellt die zweite Frage: „Kain, wo ist dein Bruder?" Der Traum, mächtig zu sein, groß wie Gott, ja Gott zu sein, führt zu einer Kette von Fehlern, zur Kette des Todes, führt dazu, das Blut des Bruder zu vergießen!

Diese beiden Fragen Gottes ertönen auch heute in all ihrer Kraft! Viele von uns, ich schließe auch mich ein, sind wir ohne Orientierung, wir achten nicht mehr auf die Welt, in der wir leben, wir wahren und hüten nicht, was Gott für alle geschaffen hat, und wir sind nicht einmal mehr in der Lage, einander zu hüten. Und wenn diese Orientierungslosigkeit Weltdimensionen annimmt, kommt es zu Tragödien wie jener, die wir erfahren haben.

„Wo ist dein Bruder?" Sein Blut schreit bis zu mir, sagt Gott. Das ist keine Frage, die an andere gerichtet ist, es ist eine Frage, die an mich, an dich, an jeden von uns gerichtet ist. Diese Brüder und Schwestern von uns suchten, schwierigen Situationen zu entkommen, um ein wenig Sicherheit und Frieden zu finden; sie suchten einen besseren Ort für sich und ihre Familien, doch sie fanden den Tod. Die dies suchen, wie oft finden sie kein Verständnis, finden sie keine Aufnahme und Solidarität! Und ihre Stimmen dringen bis zu Gott! Und noch einmal danke ich euch, den Einwohnern von Lampedusa, für eure Solidarität. Neulich habe ich einen von diesen Brüdern gehört. Bevor sie hierher kamen, passierten sie die Hände der Menschenhändler, welche die Armut der anderen ausnutzen, diese Leute, für die die Armut der anderen eine Einnahmequelle ist. Wie viel haben sie gelitten! Und einige haben es nicht geschafft, hierher zu kommen.

„Wo ist dein Bruder?" Wer ist der Verantwortliche für dieses Blut? In der spanischen Literatur gibt es eine Komödie von Lope de Vega. Darin wird erzählt, wie die Einwohner der Stadt Fuente Ovejuna den Gouverneur umbringen, weil er ein Tyrann ist. Dies geschieht auf eine Weise, dass unbekannt bleibt, wer ihn getötet hat. Und als der Richter des Königs fragt: „Wer hat den Gouverneur umgebracht?", antworten alle: „Fuente Ovejuna, Herr". Alle und niemand! Auch heute taucht diese Frage nachdrücklich auf: Wer ist der Verantwortliche für das Blut dieser Brüder und Schwestern? Niemand! Wir alle antworten so: Ich bin es nicht, ich habe nichts damit zu tun, es werden andere sein, sicher nicht ich. Aber Gott fragt einen jeden von uns: „Wo ist dein Bruder, dessen Blut zu mir schreit?" Niemand in der Welt fühlt sich heute dafür verantwortlich; wir haben den Sinn für brüderliche Verantwortung verloren; wir sind in die heuchlerische Haltung des Priesters und des Leviten geraten, von der Jesus im Gleichnis vom barmherzigen Samariter sprach: Wir sehen den halbtoten Bruder am Straßenrand, vielleicht denken wir „Der Arme" und gehen auf unserem Weg weiter; es ist nicht unsere Aufgabe; und damit beruhigen wir uns selbst und fühlen uns in Ordnung. Die Wohlstandskultur, die uns dazu bringt, an uns selbst zu denken, macht uns unempfindlich gegen die Schreie der anderen; sie lässt uns in Seifenblasen leben, die schön, aber nichts sind, die eine Illusion des Nichtigen, des Flüchtigen sind, die zur Gleichgültigkeit gegenüber den anderen führen, ja zur Globalisierung der Gleichgültigkeit. In dieser Welt der Globalisierung sind wir in die Globalisierung der Gleichgültigkeit geraten. Wir haben uns an das Leiden des anderen gewöhnt, es betrifft uns nicht, es interessiert uns nicht, es geht uns nichts an!

Es kehrt Manzonis Gestalt des Ungenannten zurück. Die Globalisierung der Gleichgültigkeit macht uns alle zu „Ungenannten", zu Verantwortlichen ohne Namen und ohne Gesicht.

„Adam, wo bist du?", „Wo ist dein Bruder?" sind die zwei Fragen, die Gott am Anfang der Geschichte der Menschheit stellt und die er ebenso an alle Menschen unserer Zeit, auch an uns richtet. Ich möchte aber, dass wir eine dritte Frage anfügen: „Wer von uns hat darüber und über Geschehen wie diese geweint?" Wer hat geweint über den Tod dieser Brüder und Schwestern? Wer hat geweint um diese Menschen, die im Boot waren? Um die jungen Mütter, die ihre Kinder mit sich trugen? Um diese Männer, die sich nach etwas sehnten, um ihre Familien unterhalten zu können? Wir sind eine Gesellschaft, die die Erfahrung des Weinens, des „Mit-Leidens" vergessen hat: Die Globalisierung der Gleichgültigkeit hat uns die Fähigkeit zu weinen genommen! Im Evangelium haben wir das Geschrei, das Weinen, das laute Klagen gehört: „Rahel weinte um ihre Kinder … denn sie waren dahin" (Mt 2,18). Herodes säte Tod, um sein eigenes Wohl zu verteidigen, seine Seifenblase. Und dies wiederholt sich weiter … Bitten wir den Herrn, dass er austilge, was von Herodes auch in unserem Herzen geblieben ist; bitten wir den Herrn um die Gnade, über unsere Gleichgültigkeit zu weinen, zu weinen über die Grausamkeit in der Welt, in uns, auch in denen, die in der Anonymität sozioökonomische Entscheidungen treffen, die den Weg bereiten zu Dramen wie diesem. „Wer hat geweint?" Wer hat heute in der Welt geweint?

Herr, in diesem Gottesdienst, den wir zur Buße feiern, bitten wir um Vergebung für die Gleichgültigkeit gegenüber so vielen Brüdern und Schwestern, wir bitten dich, Vater, um Vergebung für den, der sich damit abgefunden, der sich im eigenen Wohlstand eingeschlossen hat, der zur Betäubung des Herzens führt; wir bitten dich um Vergebung für alle, die mit ihren Entscheidungen auf weltweiter Ebene Situationen geschaffen haben, die zu solchen Dramen führen. Vergebung, Herr!

Herr, gib, dass wir auch heute deine Fragen hören: „Adam, wo bist du?" „Wo ist das Blut deines Bruders?"

[01027-05.01] [Originalsprache: Italienisch]

Traduzione in lingua spagnola  

Inmigrantes muertos en el mar, por esas barcas que, en lugar de haber sido una vía de esperanza, han sido una vía de muerte. Así decía el titular del periódico. Desde que, hace algunas semanas, supe esta noticia, desgraciadamente tantas veces repetida, mi pensamiento ha vuelto sobre ella continuamente, como a una espina en el corazón que causa dolor. Y entonces sentí que tenía que venir hoy aquí a rezar, a realizar un gesto de cercanía, pero también a despertar nuestras conciencias para que lo que ha sucedido no se repita. Que no se repita, por favor. Antes que nada quisiera tener una palabra de sincera gratitud y de ánimo para con ustedes, habitantes de Lampedusa y Linosa, para con las asociaciones, los voluntarios y las fuerzas de seguridad, que han prestado y prestan atención a personas en su viaje hacia algo mejor. ¡Ustedes son una pequeña realidad, pero dan un ejemplo de solidaridad! ¡Gracias! Gracias también al Arzobispo Mons. Francisco Montenegro por su ayuda, su trabajo y su acompañamiento pastoral. Saludo cordialmente a la alcaldesa, la señora Giusi Nicolini: muchas gracias por lo que ha hecho y sigue haciendo. Quiero tener un recuerdo para los queridos inmigrantes musulmanes que esta tarde comienzan el ayuno del Ramadán, con el deseo de abundantes frutos espirituales. La Iglesia está a su lado en la búsqueda de una vida más digna para ustedes y para sus familias. A ustedes: (oshiá)!

Esta mañana, a la luz de la Palabra de Dios que hemos escuchado, quisiera proponer algunas palabras que más que nada remuevan la conciencia de todos, nos hagan reflexionar y cambiar concretamente algunas actitudes.

"Adán, ¿dónde estás?": es la primera pregunta que Dios dirige al hombre después del pecado. "¿Dónde estás, Adán?". Y Adán es un hombre desorientado que ha perdido su puesto en la creación porque piensa que será poderoso, que podrá dominar todo, que será Dios. Y la armonía se rompe, el hombre se equivoca, y esto se repite también en la relación con el otro, que no es ya un hermano al que amar, sino simplemente alguien que molesta en mi vida, en mi bienestar. Y Dios hace la segunda pregunta: "Caín, ¿dónde está tu hermano?". El sueño de ser poderoso, de ser grande como Dios, en definitiva de ser Dios, lleva a una cadena de errores que es cadena de muerte, ¡lleva a derramar la sangre del hermano!

Estas dos preguntas de Dios resuenan también hoy, con toda su fuerza. Tantos de nosotros, me incluyo también yo, estamos desorientados, no estamos ya atentos al mundo en que vivimos, no nos preocupamos, no protegemos lo que Dios ha creado para todos y no somos capaces siquiera de cuidarnos los unos a los otros. Y cuando esta desorientación alcanza dimensiones mundiales, se llega a tragedias como ésta a la que hemos asistido.

"¿Dónde está tu hermano?", la voz de su sangre grita hasta mí, dice Dios. Ésta no es una pregunta dirigida a otros, es una pregunta dirigida a mí, a ti, a cada uno de nosotros. Esos hermanos y hermanas nuestras intentaban salir de situaciones difíciles para encontrar un poco de serenidad y de paz; buscaban un puesto mejor para ellos y para sus familias, pero han encontrado la muerte. ¡Cuántas veces quienes buscan estas cosas no encuentran comprensión, no encuentran acogida, no encuentran solidaridad! ¡Y sus voces llegan hasta Dios! Y una vez más les doy las gracias a ustedes, habitantes de Lampedusa, por su solidaridad. He escuchado, recientemente, a uno de estos hermanos. Antes de llegar aquí han pasado por las manos de los traficantes, aquellos que se aprovechan de la pobreza de los otros, esas personas para las que la pobreza de los otros es una fuente de lucro. ¡Cuánto han sufrido! Y algunos no han conseguido llegar.

"¿Dónde está tu hermano?". ¿Quién es el responsable de esta sangre? En la literatura española hay una comedia de Lope de Vega que narra cómo los habitantes de la ciudad de Fuente Ovejuna matan al Gobernador porque es un tirano, y lo hacen de tal manera que no se sepa quién ha realizado la ejecución. Y cuando el juez del rey pregunta: "¿Quién ha matado al Gobernador?", todos responden: "Fuente Ovejuna, Señor". ¡Todos y ninguno! También hoy esta pregunta se impone con fuerza: ¿Quién es el responsable de la sangre de estos hermanos y hermanas? ¡Ninguno! Todos respondemos igual: no he sido yo, yo no tengo nada que ver, serán otros, ciertamente yo no. Pero Dios nos pregunta a cada uno de nosotros: "¿Dónde está la sangre de tu hermano cuyo grito llega hasta mí?". Hoy nadie en el mundo se siente responsable de esto; hemos perdido el sentido de la responsabilidad fraterna; hemos caído en la actitud hipócrita del sacerdote y del servidor del altar, de los que hablaba Jesús en la parábola del Buen Samaritano: vemos al hermano medio muerto al borde del camino, quizás pensamos "pobrecito", y seguimos nuestro camino, no nos compete; y con eso nos quedamos tranquilos, nos sentimos en paz. La cultura del bienestar, que nos lleva a pensar en nosotros mismos, nos hace insensibles al grito de los otros, nos hace vivir en pompas de jabón, que son bonitas, pero no son nada, son la ilusión de lo fútil, de lo provisional, que lleva a la indiferencia hacia los otros, o mejor, lleva a la globalización de la indiferencia. En este mundo de la globalización hemos caído en la globalización de la indiferencia. ¡Nos hemos acostumbrado al sufrimiento del otro, no tiene que ver con nosotros, no nos importa, no nos concierne!

Vuelve la figura del "Innominado" de Manzoni. La globalización de la indiferencia nos hace "innominados", responsables anónimos y sin rostro.

"Adán, ¿dónde estás?", "¿Dónde está tu hermano?", son las preguntas que Dios hace al principio de la humanidad y que dirige también a todos los hombres de nuestro tiempo, también a nosotros. Pero me gustaría que nos hiciésemos una tercera pregunta: "¿Quién de nosotros ha llorado por este hecho y por hechos como éste?". ¿Quién ha llorado por la muerte de estos hermanos y hermanas? ¿Quién ha llorado por esas personas que iban en la barca? ¿Por las madres jóvenes que llevaban a sus hijos? ¿Por estos hombres que deseaban algo para mantener a sus propias familias? Somos una sociedad que ha olvidado la experiencia de llorar, de "sufrir con": ¡la globalización de la indiferencia nos ha quitado la capacidad de llorar! En el Evangelio hemos escuchado el grito, el llanto, el gran lamento: "Es Raquel que llora por sus hijos… porque ya no viven". Herodes sembró muerte para defender su propio bienestar, su propia pompa de jabón. Y esto se sigue repitiendo… Pidamos al Señor que quite lo que haya quedado de Herodes en nuestro corazón; pidamos al Señor la gracia de llorar por nuestra indiferencia, de llorar por la crueldad que hay en el mundo, en nosotros, también en aquellos que en el anonimato toman decisiones socio-económicas que hacen posibles dramas como éste. "¿Quién ha llorado?". ¿Quién ha llorado hoy en el mundo?

Señor, en esta liturgia, que es una liturgia de penitencia, pedimos perdón por la indiferencia hacia tantos hermanos y hermanas, te pedimos, Padre, perdón por quien se ha acomodado y se ha cerrado en su propio bienestar que anestesia el corazón, te pedimos perdón por aquellos que con sus decisiones a nivel mundial han creado situaciones que llevan a estos dramas. ¡Perdón, Señor!

Señor, que escuchemos también tus preguntas: "Adán, ¿dónde estás?". "¿Dónde está la sangre de tu hermano?".

[01027-04.01] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua portoghese  

Emigrantes mortos no mar; barcos que em vez de ser uma rota de esperança, foramuma rota de morte. Assim recitava o título dos jornais. Desde há algumas semanas, quando tive conhecimento desta notícia (que infelizmente se vai repetindo tantas vezes), o caso volta-me continuamente ao pensamento como um espinho no coração que faz doer. E então senti o dever de vir aqui hoje para rezar, para cumprir um gesto de solidariedade, mas também para despertar as nossas consciências a fim de que não se repita o que aconteceu. Que não se repita, por favor. Antes, porém, quero dizer uma palavra de sincera gratidão e encorajamento a vós, habitantes de Lampedusa e Linosa, às associações, aos voluntários e às forças de segurança, que tendes demonstrado – e continuais a demonstrar – atenção por pessoas em viagem rumo a qualquer coisa de melhor. Sois uma realidade pequena, mas ofereceis um exemplo de solidariedade! Obrigado! Obrigado também ao Arcebispo Dom Francesco Montenegro pela sua ajuda, o seu trabalho e a sua solidariedade pastoral. Saúdo cordialmente a Presidente da Câmara Senhora Giusi Nicolini, muito obrigado por aquilo que fez e faz. Desejo saudar os queridos emigrantes muçulmanos que hoje, à noite, começam o jejum do Ramadão, desejando-lhes abundantes frutos espirituais. A Igreja está ao vosso lado na busca de uma vida mais digna para vós e vossas famílias. A vós digo: oshià!

Nesta manhã quero, à luz da Palavra de Deus que escutamos, propor algumas palavras que sejam sobretudo uma provocação à consciência de todos, que a todos incitem a reflectir e mudar concretamente certas atitudes.

«Adão, onde estás?»: é a primeira pergunta que Deus faz ao homem depois do pecado. «Onde estás, Adão?». E Adão é um homem desorientado, que perdeu o seu lugar na criação, porque presume que vai tornar-se poderoso, poder dominar tudo, ser Deus. E quebra-se a harmonia, o homem erra; e o mesmo se passa na relação com o outro, que já não é o irmão a amar, mas simplesmente o outro que perturba a minha vida, o meu bem-estar. E Deus coloca a segunda pergunta: «Caim, onde está o teu irmão?» O sonho de ser poderoso, ser grande como Deus ou, melhor, ser Deus, leva a uma cadeia de erros que é cadeia de morte: leva a derramar o sangue do irmão!

Estas duas perguntas de Deus ressoam, também hoje, com toda a sua força! Muitos de nós – e neste número me incluo também eu – estamos desorientados, já não estamos atentos ao mundo em que vivemos, não cuidamos nem guardamos aquilo que Deus criou para todos, e já não somos capazes sequer de nos guardar uns com os outros. E, quando esta desorientação atinge as dimensões do mundo, chega-se a tragédias como aquela a que assistimos.

«Onde está o teu irmão? A voz do seu sangue clama até Mim», diz o Senhor Deus. Esta não é uma pergunta posta a outrem; é uma pergunta posta a mim, a ti, a cada um de nós. Estes nossos irmãos e irmãs procuravam sair de situações difíceis, para encontrarem um pouco de serenidade e de paz; procuravam um lugar melhor para si e suas famílias, mas encontraram a morte. Quantas vezes outros que procuram o mesmo não encontram compreensão, não encontram acolhimento, não encontram solidariedade! E as suas vozes sobem até Deus! Uma vez mais vos agradeço, habitantes de Lampedusa, pela solidariedade. Recentemente falei com um destes irmãos. Antes de chegar aqui, passaram pelas mãos dos traficantes, daqueles que exploram a pobreza dos outros, daquelas pessoas para quem a pobreza dos outros é uma fonte de lucro. Quanto sofreram! E alguns não conseguiram chegar.

«Onde está o teu irmão?» Quem é o responsável por este sangue? Na literatura espanhola, há uma comédia de Félix Lope de Vega, que conta como os habitantes da cidade de Fuente Ovejuna matam o Governador, porque é um tirano, mas fazem-no de modo que não se saiba quem realizou a execução. E, quando o juiz do rei pergunta «quem matou o Governador», todos respondem: «Fuente Ovejuna, senhor». Todos e ninguém! Também hoje assoma intensamente esta pergunta: Quem é o responsável pelo sangue destes irmãos e irmãs? Ninguém! Todos nós respondemos assim: não sou eu, não tenho nada a ver com isso; serão outros, eu não certamente. Mas Deus pergunta a cada um de nós: «Onde está o sangue do teu irmão que clama até Mim?» Hoje ninguém no mundo se sente responsável por isso; perdemos o sentido da responsabilidade fraterna; caímos na atitude hipócrita do sacerdote e do levita de que falava Jesus na parábola do Bom Samaritano: ao vermos o irmão quase morto na beira da estrada, talvez pensemos «coitado» e prosseguimos o nosso caminho, não é dever nosso; e isto basta para nos tranquilizarmos, para sentirmos a consciência em ordem. A cultura do bem-estar, que nos leva a pensar em nós mesmos, torna-nos insensíveis aos gritos dos outros, faz-nos viver como se fôssemos bolas de sabão: estas são bonitas mas não são nada, são pura ilusão do fútil, do provisório. Esta cultura do bem-estar leva à indiferença a respeito dos outros; antes, leva à globalização da indiferença. Neste mundo da globalização, caímos na globalização da indiferença. Habituamo-nos ao sofrimento do outro, não nos diz respeito, não nos interessa, não é responsabilidade nossa!

Reaparece a figura do «Inominado» de Alexandre Manzoni. A globalização da indiferença torna-nos a todos «inominados», responsáveis sem nome nem rosto.

«Adão, onde estás?» e «onde está o teu irmão?» são as duas perguntas que Deus coloca no início da história da humanidade e dirige também a todos os homens do nosso tempo, incluindo nós próprios. Mas eu queria que nos puséssemos uma terceira pergunta: «Quem de nós chorou por este facto e por factos como este?» Quem chorou pela morte destes irmãos e irmãs? Quem chorou por estas pessoas que vinham no barco? Pelas mães jovens que traziam os seus filhos? Por estes homens cujo desejo era conseguir qualquer coisa para sustentar as próprias famílias? Somos uma sociedade que esqueceu a experiência de chorar, de «padecer com»: a globalização da indiferença tirou-nos a capacidade de chorar! No Evangelho, ouvimos o brado, o choro, o grande lamento: «Raquel chora os seus filhos (...), porque já não existem». Herodes semeou morte para defender o seu bem-estar, a sua própria bola de sabão. E isto continua a repetir-se... Peçamos ao Senhor que apague também o que resta de Herodes no nosso coração; peçamos ao Senhor a graça de chorar pela nossa indiferença, de chorar pela crueldade que há no mundo, em nós, incluindo aqueles que, no anonimato, tomam decisões socioeconómicas que abrem a estrada aos dramas como este. «Quem chorou?» Quem chorou hoje no mundo?

Senhor, nesta Liturgia, que é uma liturgia de penitência, pedimos perdão pela indiferença por tantos irmãos e irmãs; pedimo-Vos perdão, Pai, por quem se acomodou e se fechou no seu próprio bem-estar que leva à anestesia do coração; pedimo-Vos perdão por aqueles que, com as suas decisões a nível mundial, criaram situações que conduzem a estes dramas. Perdão, Senhor!

Senhor, fazei que hoje ouçamos também as tuas perguntas: «Adão, onde estás?» «Onde está o sangue do teu irmão?»

[01027-06.01] [Texto original: Italiano]

PAROLE DEL SANTO PADRE AL TERMINE DELLA CELEBRAZIONE EUCARISTICA  

Prima di darvi la benedizione voglio ringraziare una volta in più voi, lampedusani, per l'esempio di amore, per l'esempio di carità, per l'esempio di accoglienza che ci state dando, che avete dato e che ancora ci date. Il Vescovo ha detto che Lampedusa è un faro. Che questo esempio sia faro in tutto il mondo, perché abbiano il coraggio di accogliere quelli che cercano una vita migliore. Grazie per la vostra testimonianza. E voglio anche ringraziare la vostra tenerezza che ho sentito nella persona di don Stefano. Lui mi raccontava sulla nave quello che lui e il suo vice parroco fanno. Grazie a voi, grazie a lei, don Stefano.

[01029-01.01] [Testo originale: Italiano]

Al termine della Santa Messa, il Papa raggiunge in auto la Parrocchia di San Gerlando per una breve sosta. Quindi, alle ore 12.30, lascia la Parrocchia e si trasferisce in auto all’aeroporto di Lampedusa da dove, alle ore 12.45, parte per rientrare a Roma.

L’arrivo all’aeroporto di Ciampino è previsto per le 14.00.

Il Santo Padre rientra quindi in Vaticano.

[B0457-XX.03]