Sala Stampa

www.vatican.va

Sala Stampa Back Top Print Pdf
Sala Stampa


MESSAGGIO DEL SANTO PADRE PER LA 99ma GIORNATA MONDIALE DEL MIGRANTE E DEL RIFUGIATO (13 GENNAIO 2013), 29.10.2012


«Migrazioni: pellegrinaggio di fede e di speranza» è il tema scelto dal Papa per la 99ma Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, che sarà celebrata domenica 13 gennaio 2013.
Pubblichiamo di seguito il testo del Messaggio che il Santo Padre Benedetto XVI ha preparato in vista di tale Giornata:

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE

Migrazioni: pellegrinaggio di fede e di speranza

Cari fratelli e sorelle!

Il Concilio Ecumenico Vaticano II, nella Costituzione pastorale Gaudium et spes, ha ricordato che «la Chiesa cammina insieme con l’umanità tutta» (n. 40), per cui «le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore» (ibid., 1). A tale dichiarazione hanno fatto eco il Servo di Dio Paolo VI, che ha chiamato la Chiesa «esperta in umanità» (Enc. Populorum progressio, 13), e il Beato Giovanni Paolo II, che ha affermato come la persona umana sia «la prima via che la Chiesa deve percorrere nel compimento della sua missione ..., la via tracciata da Cristo stesso» (Enc. Centesimus annus, 53). Nella mia Enciclica Caritas in veritate ho voluto precisare, sulla scia dei miei Predecessori, che «tutta la Chiesa, in tutto il suo essere e il suo agire, quando annuncia, celebra e opera nella carità, è tesa a promuovere lo sviluppo integrale dell’uomo» (n. 11), riferendomi anche ai milioni di uomini e donne che, per diverse ragioni, vivono l’esperienza della migrazione. In effetti, i flussi migratori sono «un fenomeno che impressiona per la quantità di persone coinvolte, per le problematiche sociali, economiche, politiche, culturali e religiose che solleva, per le sfide drammatiche che pone alle comunità nazionali e a quella internazionale» (ibid., 62), poiché «ogni migrante è una persona umana che, in quanto tale, possiede diritti fondamentali inalienabili che vanno rispettati da tutti e in ogni situazione» (ibidem).

In tale contesto, ho voluto dedicare la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato 2013 al tema «Migrazioni: pellegrinaggio di fede e di speranza», in concomitanza con le celebrazioni del 50° anniversario dell’apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II e del 60° della promulgazione della Costituzione Apostolica Exsul familia, mentre tutta la Chiesa è impegnata a vivere l’Anno della fede, raccogliendo con entusiasmo la sfida della nuova evangelizzazione.

In effetti, fede e speranza formano un binomio inscindibile nel cuore di tantissimi migranti, dal momento che in essi vi è il desiderio di una vita migliore, unito molte volte alla ricerca di lasciarsi alle spalle la «disperazione» di un futuro impossibile da costruire. Al tempo stesso, i viaggi di molti sono animati dalla profonda fiducia che Dio non abbandona le sue creature e tale conforto rende più tollerabili le ferite dello sradicamento e del distacco, magari con la riposta speranza di un futuro ritorno alla terra d’origine. Fede e speranza, dunque, riempiono spesso il bagaglio di coloro che emigrano, consapevoli che con esse «noi possiamo affrontare il nostro presente: il presente, anche un presente faticoso, può essere vissuto e accettato se conduce verso una meta e se di questa meta noi possiamo essere sicuri, se questa meta è così grande da giustificare la fatica del cammino» (Enc. Spe salvi, 1).

Nel vasto campo delle migrazioni la materna sollecitudine della Chiesa si esplica su varie direttrici. Da una parte, quella che vede le migrazioni sotto il profilo dominante della povertà e della sofferenza, che non di rado produce drammi e tragedie. Qui si concretizzano interventi di soccorso per risolvere le numerose emergenze, con generosa dedizione di singoli e di gruppi, associazioni di volontariato e movimenti, organismi parrocchiali e diocesani in collaborazione con tutte le persone di buona volontà. Dall’altra parte, però, la Chiesa non trascura di evidenziare gli aspetti positivi, le buone potenzialità e le risorse di cui le migrazioni sono portatrici. In questa direttrice, allora, prendono corpo gli interventi di accoglienza che favoriscono e accompagnano un inserimento integrale di migranti, richiedenti asilo e rifugiati nel nuovo contesto socio-culturale, senza trascurare la dimensione religiosa, essenziale per la vita di ogni persona. Ed è proprio a questa dimensione che la Chiesa è chiamata, per la stessa missione affidatale da Cristo, a prestare particolare attenzione e cura: questo è il suo compito più importante e specifico. Verso i fedeli cristiani provenienti da varie zone del mondo l’attenzione alla dimensione religiosa comprende anche il dialogo ecumenico e la cura delle nuove comunità, mentre verso i fedeli cattolici si esprime, tra l’altro, nel realizzare nuove strutture pastorali e valorizzare i diversi riti, fino alla piena partecipazione alla vita della comunità ecclesiale locale. La promozione umana va di pari passo con la comunione spirituale, che apre le vie «ad un’autentica e rinnovata conversione al Signore, unico Salvatore del mondo» (Lett. ap. Porta fidei, 6). E’ sempre un dono prezioso quello che porta la Chiesa guidando all’incontro con Cristo che apre ad una speranza stabile e affidabile.

La Chiesa e le varie realtà che ad essa si ispirano sono chiamate, nei confronti di migranti e rifugiati, ad evitare il rischio del mero assistenzialismo, per favorire l’autentica integrazione, in una società dove tutti siano membri attivi e responsabili ciascuno del benessere dell’altro, generosi nell’assicurare apporti originali, con pieno diritto di cittadinanza e partecipazione ai medesimi diritti e doveri. Coloro che emigrano portano con sé sentimenti di fiducia e di speranza che animano e confortano la ricerca di migliori opportunità di vita. Tuttavia, essi non cercano solamente un miglioramento della loro condizione economica, sociale o politica. È vero che il viaggio migratorio spesso inizia con la paura, soprattutto quando persecuzioni e violenze costringono alla fuga, con il trauma dell’abbandono dei familiari e dei beni che, in qualche misura, assicuravano la sopravvivenza. Tuttavia, la sofferenza, l’enorme perdita e, a volte, un senso di alienazione di fronte al futuro incerto non distruggono il sogno di ricostruire, con speranza e coraggio, l’esistenza in un Paese straniero. In verità, coloro che migrano nutrono la fiducia di trovare accoglienza, di ottenere un aiuto solidale e di trovarsi a contatto con persone che, comprendendo il disagio e la tragedia dei propri simili, e anche riconoscendo i valori e le risorse di cui sono portatori, siano disposte a condividere umanità e risorse materiali con chi è bisognoso e svantaggiato. Occorre, infatti, ribadire che «la solidarietà universale, che è un fatto e per noi un beneficio, è altresì un dovere» (Enc. Caritas in veritate, 43). Migranti e rifugiati, insieme alle difficoltà, possono sperimentare anche relazioni nuove e ospitali, che li incoraggiano a contribuire al benessere dei Paesi di arrivo con le loro competenze professionali, il loro patrimonio socio-culturale e, spesso, anche con la loro testimonianza di fede, che dona impulso alle comunità di antica tradizione cristiana, incoraggia ad incontrare Cristo e invita a conoscere la Chiesa.

Certo, ogni Stato ha il diritto di regolare i flussi migratori e di attuare politiche dettate dalle esigenze generali del bene comune, ma sempre assicurando il rispetto della dignità di ogni persona umana. Il diritto della persona ad emigrare – come ricorda la Costituzione conciliare Gaudium et spes al n. 65 – è iscritto tra i diritti umani fondamentali, con facoltà per ciascuno di stabilirsi dove crede più opportuno per una migliore realizzazione delle sue capacità e aspirazioni e dei suoi progetti. Nel contesto socio-politico attuale, però, prima ancora che il diritto a emigrare, va riaffermato il diritto a non emigrare, cioè a essere in condizione di rimanere nella propria terra, ripetendo con il Beato Giovanni Paolo II che «diritto primario dell’uomo è di vivere nella propria patria: diritto che però diventa effettivo solo se si tengono costantemente sotto controllo i fattori che spingono all’emigrazione» (Discorso al IV Congresso mondiale delle Migrazioni, 1998). Oggi, infatti, vediamo che molte migrazioni sono conseguenza di precarietà economica, di mancanza dei beni essenziali, di calamità naturali, di guerre e disordini sociali. Invece di un pellegrinaggio animato dalla fiducia, dalla fede e dalla speranza, migrare diventa allora un «calvario» per la sopravvivenza, dove uomini e donne appaiono più vittime che autori e responsabili della loro vicenda migratoria. Così, mentre vi sono migranti che raggiungono una buona posizione e vivono dignitosamente, con giusta integrazione nell’ambiente d’accoglienza, ve ne sono molti che vivono in condizioni di marginalità e, talvolta, di sfruttamento e di privazione dei fondamentali diritti umani, oppure che adottano comportamenti dannosi per la società in cui vivono. Il cammino di integrazione comprende diritti e doveri, attenzione e cura verso i migranti perché abbiano una vita decorosa, ma anche attenzione da parte dei migranti verso i valori che offre la società in cui si inseriscono.

A tale proposito, non possiamo dimenticare la questione dell’immigrazione irregolare, tema tanto più scottante nei casi in cui essa si configura come traffico e sfruttamento di persone, con maggior rischio per donne e bambini. Tali misfatti vanno decisamente condannati e puniti, mentre una gestione regolata dei flussi migratori, che non si riduca alla chiusura ermetica delle frontiere, all’inasprimento delle sanzioni contro gli irregolari e all’adozione di misure che dovrebbero scoraggiare nuovi ingressi, potrebbe almeno limitare per molti migranti i pericoli di cadere vittime dei citati traffici. Sono, infatti, quanto mai opportuni interventi organici e multilaterali per lo sviluppo dei Paesi di partenza, contromisure efficaci per debellare il traffico di persone, programmi organici dei flussi di ingresso legale, maggiore disponibilità a considerare i singoli casi che richiedono interventi di protezione umanitaria oltre che di asilo politico. Alle adeguate normative deve essere associata una paziente e costante opera di formazione della mentalità e delle coscienze. In tutto ciò è importante rafforzare e sviluppare i rapporti di intesa e di cooperazione tra realtà ecclesiali e istituzionali che sono a servizio dello sviluppo integrale della persona umana. Nella visione cristiana, l’impegno sociale e umanitario trae forza dalla fedeltà al Vangelo, con la consapevolezza che «chiunque segue Cristo, l’uomo perfetto, diventa anch’egli più uomo» (Gaudium et spes, 41).

Cari fratelli e sorelle migranti, questa Giornata Mondiale vi aiuti a rinnovare la fiducia e la speranza nel Signore che sta sempre accanto a noi! Non perdete l’occasione di incontrarLo e di riconoscere il suo volto nei gesti di bontà che ricevete nel vostro pellegrinaggio migratorio. Rallegratevi poiché il Signore vi è vicino e, insieme con Lui, potrete superare ostacoli e difficoltà, facendo tesoro delle testimonianze di apertura e di accoglienza che molti vi offrono. Infatti, «la vita è come un viaggio sul mare della storia, spesso oscuro ed in burrasca, un viaggio nel quale scrutiamo gli astri che ci indicano la rotta. Le vere stelle della nostra vita sono le persone che hanno saputo vivere rettamente. Esse sono luci di speranza. Certo, Gesù Cristo è la luce per antonomasia, il sole sorto sopra tutte le tenebre della storia. Ma per giungere fino a Lui abbiamo bisogno anche di luci vicine – di persone che donano luce traendola dalla sua luce ed offrono così orientamento per la nostra traversata» (Enc. Spe salvi, 49).

Affido ciascuno di voi alla Beata Vergine Maria, segno di sicura speranza e di consolazione, «stella del cammino», che con la sua materna presenza ci è vicina in ogni momento della vita, e a tutti imparto con affetto la Benedizione Apostolica.

Dal Vaticano, 12 ottobre 2012

BENEDICTUS PP. XVI

[01390-01.01] [Testo originale: Italiano]

TRADUZIONE IN LINGUA FRANCESE

Migrations : pèlerinage de foi et d’espérance

Chers frères et sœurs !

Le Concile Œcuménique Vatican II, dans sa Constitution pastorale Gaudium et spes, a rappelé que « l’Eglise fait route avec toute l’humanité » (n. 40) et, par conséquent « les joies et les espoirs, les tristesses et les angoisses des hommes d’aujourd’hui, des pauvres surtout et de tous ceux qui souffrent, sont aussi les joies et les espoirs, les tristesses et les angoisses des disciples du Christ, et il n’est rien de vraiment humain qui ne trouve écho dans leur cœur » (ibid., n. 1). À cette déclaration ont précisément fait écho le Serviteur de Dieu Paul VI, qui a qualifié l’Eglise d’« experte en humanité » (Enc. Populorum progressio, n. 13), et le Bienheureux Jean-Paul II, qui a affirmé que la personne humaine était « la première route que l’Eglise doit parcourir en accomplissant sa mission ..., route tracée par le Christ lui-même » (Enc. Centesimus annus, n. 53). Dans mon Encyclique Caritas in veritate, j’ai voulu préciser, dans la lignée de mes Prédécesseurs, que « toute l’Eglise, dans tout son être et tout son agir, tend à promouvoir le développement intégral de l’homme, quand elle annonce, célèbre et œuvre dans la charité » (n. 11), en me référant aussi aux millions d’hommes et de femmes qui, pour diverses raisons, vivent l'expérience de la migration. En effet, les flux migratoires sont « un phénomène qui impressionne en raison du nombre de personnes qu’il concerne, des problématiques sociale, économique, politique, culturelle et religieuse qu’il soulève, et à cause des défis dramatiques qu’il lance aux communautés nationales et à la communauté internationale » (ibid., n. 62), car « tout migrant est une personne humaine qui, en tant que telle, possède des droits fondamentaux inaliénables qui doivent être respectés par tous et en toute circonstance » (ibidem).

Dans ce contexte, j’ai voulu dédier la Journée Mondiale du Migrant et du Réfugié 2013 au thème « Migrations : pèlerinage de foi et d’espérance », en concomitance avec les célébrations du 50ème anniversaire de l’ouverture du Concile Œcuménique Vatican II et du 60ème anniversaire de la promulgation de la Constitution Apostolique Exsul familia, tandis que toute l’Eglise s’efforce de vivre l'Année de la foi en tâchant de relever avec enthousiasme le défi de la nouvelle évangélisation.

De fait, foi et espérance forment un binôme inséparable dans le cœur de très nombreux migrants, à partir du moment où se trouve en eux le désir d’une vie meilleure, en essayant très souvent de laisser derrière eux le « désespoir » d’un futur impossible à construire. En même temps, les voyages de beaucoup sont animés par la profonde confiance que Dieu n’abandonne pas ses créatures et ce réconfort rend plus tolérables les blessures du déracinement et du détachement, avec au fond l’espérance d’un futur retour vers leur terre d’origine. Foi et espérance remplissent donc souvent le bagage de ceux qui émigrent, conscients qu’avec elles « nous pouvons affronter notre présent : le présent, même un présent pénible, peut être vécu et accepté s'il conduit vers un terme et si nous pouvons être sûrs de ce terme, si ce terme est si grand qu’il peut justifier les efforts du chemin » (Enc. Spe salvi, n. 1).

Dans le vaste domaine des migrations, la sollicitude maternelle de l’Eglise se déploie dans diverses directions. D’une part, celle qui considère les migrations sous l’aspect dominant de la pauvreté et de la souffrance, qui entraine souvent des drames et des tragédies. C’est là que se concrétisent les interventions de secours pour résoudre les nombreuses urgences, avec le dévouement généreux d’individus et de groupes, d’associations de volontariat et de mouvements, d’organismes paroissiaux et diocésains en collaboration avec toutes les personnes de bonne volonté. D’autre part, cependant, l’Eglise n’oublie pas de mettre en évidence les aspects positifs, les potentialités bénéfiques et les ressources dont les migrations sont porteuses. Dans cette voie prennent alors corps les interventions d’accueil qui favorisent et accompagnent une insertion intégrale des migrants, des demandeurs d’asile et des réfugiés dans leur nouveau contexte socioculturel, sans négliger la dimension religieuse, essentielle pour la vie de chaque personne. Et c’est précisément à cette dimension que l’Eglise est appelée, en raison de la mission même que le Christ lui a confiée d’être attentive et de prendre soin : tel est son devoir spécifique le plus important. Envers les fidèles chrétiens provenant de différentes parties du monde l'attention à la dimension religieuse comprend également le dialogue œcuménique et le soin accordé aux nouvelles communautés, tandis qu’envers les fidèles catholiques elle s’exprime notamment en réalisant de nouvelles structures pastorales et en valorisant les différents rites, jusqu’à la pleine participation à la vie de la communauté ecclésiale locale. La promotion humaine va de pair avec la communion spirituelle, qui ouvre les voies « à une conversion authentique et renouvelée au Seigneur, unique Sauveur du monde » (Lett. ap. Porta fidei, n. 6). C’est toujours un don précieux qu’apporte l’Eglise en menant à la rencontre avec le Christ qui ouvre à une espérance stable et fiable.

L’Eglise et les diverses réalités qui s’inspirent d’elle sont appelées, à l’égard des migrants et des réfugiés, à éviter le risque d’apporter une simple assistance, pour favoriser l’intégration authentique, dans une société où tous puissent être des membre actifs et responsables chacun du bien-être de l'autre, généreux pour garantir des apports originaux, avec un droit de citoyenneté à part entière et une participation aux mêmes droits et devoirs. Ceux qui émigrent emportent avec eux des sentiments de confiance et d’espérance qui animent et confortent la recherche de meilleures opportunités de vie. Toutefois, ils ne cherchent pas seulement une amélioration de leur condition économique, sociale ou politique. Il est vrai que le voyage migratoire commence souvent par la peur, surtout quand des persécutions et des violences contraignent à la fuite, marquée par le traumatisme de l’abandon des membres de la famille et des biens qui, en quelque sorte, assuraient la survie. Mais la souffrance, l'énorme perte et, parfois, un sens d’aliénation face à l’avenir incertain ne détruisent pas le rêve de reconstruire, avec espérance et courage, une existence dans un pays étranger. En vérité, ceux qui migrent nourrissent l’espoir confiant de trouver un accueil, d’obtenir une aide solidaire et d’entrer en contact avec des personnes qui, comprenant leur malaise et la tragédie de leurs semblables, reconnaissant aussi les valeurs et les ressources dont ils sont porteurs, soient disposées à partager humanité et ressources matérielles avec les nécessiteux et les déshérités. Il faut réaffirmer, de fait, que « la solidarité universelle qui est un fait, et un bénéfice pour nous, est aussi un devoir » (Enc. Caritas in veritate, n. 43). Migrants et réfugiés, au milieu des difficultés, peuvent également faire l’expérience de relations nouvelles et hospitalières, qui les encouragent à contribuer au bien-être des pays d’arrivée, grâce à leurs compétences professionnelles, leur patrimoine socioculturel et, souvent aussi, grâce à leur témoignage de foi, qui donne une impulsion aux communautés de vieille tradition chrétienne, encourage à rencontrer le Christ et invite à connaître l’Eglise.

Certes, chaque Etat a le droit de réguler les flux migratoires et de mettre en œuvre des politiques dictées par les exigences générales du bien commun, mais toujours en garantissant le respect de la dignité de chaque personne humaine. Le droit de la personne à émigrer – comme le rappelle la Constitution conciliaire Gaudium et spes au n. 65 - est inscrit au nombre des droits humains fondamentaux, avec la faculté pour chacun de s’établir là où il l’estime le plus opportun pour une meilleure réalisation de ses capacités, de ses aspirations et de ses projets. Dans le contexte sociopolitique actuel, cependant, avant même le droit d’émigrer, il faut réaffirmer le droit de ne pas émigrer, c’est-à-dire d’être en condition de demeurer sur sa propre terre, répétant avec le Bienheureux Jean-Paul II que « le droit primordial de l’homme est de vivre dans sa patrie : droit qui ne devient toutefois effectif que si l’on tient constamment sous contrôle les facteurs qui poussent à l’émigration » (Discours au IVème Congrès mondial des Migrations, 1998). Aujourd’hui, en effet, nous voyons que de nombreuses migrations sont la conséquence d’une précarité économique, d’un manque de biens essentiels, de catastrophes naturelles, de guerres et de désordres sociaux. A la place d’une pérégrination animée par la confiance, par la foi et par l’espérance, migrer devient alors un « calvaire » pour survivre, où des hommes et des femmes apparaissent davantage comme des victimes que comme des acteurs et des responsables de leur aventure migratoire. Ainsi, alors que certains migrants atteignent une bonne position et vivent de façon digne, en s’intégrant correctement dans le milieu d’accueil, beaucoup d’autres vivent dans des conditions de marginalité et, parfois, d’exploitation et de privation de leurs droits humains fondamentaux, ou encore adoptent des comportements nuisibles à la société au sein de laquelle ils vivent. Le chemin d’intégration comprend des droits et des devoirs, une attention et un soin envers les migrants pour qu’ils aient une vie digne, mais aussi, de la part des migrants, une attention aux valeurs qu’offre la société où ils s’insèrent.

À ce propos, nous ne pouvons pas oublier la question de l'immigration clandestine, thème beaucoup plus brûlant dans les cas où celle-ci prend la forme d’un trafic et d’une exploitation des personnes, avec plus de risques pour les femmes et les enfants. De tels méfaits doivent être fermement condamnés et punis, alors qu’une gestion régulée des flux migratoires, qui ne peut se réduire à la fermeture hermétique des frontières, au renforcement des sanctions contre les personnes en situation irrégulière et à l'adoption de mesures visant à décourager les nouvelles entrées, pourrait au moins limiter pour de nombreux migrants les dangers de devenir victimes des trafics mentionnés. Des interventions organiques et multilatérales pour le développement des pays de départ et des contre-mesures efficaces pour faire cesser le trafic des personnes sont en effet extrêmement opportunes, de même que des programmes organiques des flux d’entrée légale et une plus grande disponibilité à considérer les cas individuels qui requièrent des interventions de protection humanitaire, au-delà de l’asile politique. Aux normes appropriées doit être associée une œuvre patiente et constante de formation de la mentalité et des consciences. Dans tout cela, il est important de renforcer et de développer les rapports d’entente et de coopération entre les réalités ecclésiales et institutionnelles qui sont au service du développement intégral de la personne humaine. Dans la vision chrétienne, l'engagement social et humanitaire tire sa force de la fidélité à l’Evangile, en étant conscient que « quiconque suit le Christ, homme parfait, devient lui-même plus homme » (Gaudium et spes, n. 41).

Chers frères et sœurs migrants, que cette Journée Mondiale vous aide à renouveler votre confiance et votre espérance dans le Seigneur qui se tient toujours à côté de nous ! Ne perdez pas l'occasion de le rencontrer et de reconnaître son visage dans les gestes de bonté que vous recevez au cours de votre pérégrination migratoire. Réjouissez-vous car le Seigneur est proche de vous et, avec lui, vous pourrez surmonter les obstacles et les difficultés, en conservant comme un trésor les témoignages d’ouverture et d’accueil que beaucoup de gens vous offrent. En effet, « la vie est comme un voyage sur la mer de l’histoire, souvent obscur et dans l’orage, un voyage dans lequel nous scrutons les astres qui nous indiquent la route. Les vraies étoiles de notre vie sont les personnes qui ont su vivre dans la droiture. Elles sont des lumières d'espérance. Certes, Jésus-Christ est la lumière par antonomase, le soleil qui se lève sur toutes les ténèbres de l’histoire. Mais pour arriver jusqu’à lui nous avons besoin aussi de lumières proches – de personnes qui donnent une lumière en la tirant de sa lumière et qui offrent ainsi une orientation pour notre traversée » (Enc. Spe salvi, n. 49).

Je confie chacun de vous à la Bienheureuse Vierge Marie, signe d’espérance sûre et de consolation, « étoile du chemin », qui, par sa présence maternelle, est proche de nous à chaque instant de notre vie, et j’accorde à tous, avec affection, la Bénédiction Apostolique.

Du Vatican, 12 octobre 2012

BENEDICTUS PP. XVI

[01390-03.01] [Texte original: Italien]

TRADUZIONE IN LINGUA INGLESE

Migrations: pilgrimage of faith and hope

Dear Brothers and Sisters!

The Second Vatican Ecumenical Council, in the Pastoral Constitution Gaudium et Spes, recalled that "the Church goes forward together with humanity" (No. 40); therefore "the joys and the hopes, the grief and anguish of the people of our time, especially of those who are poor or afflicted, are the joys and hopes, grief and anguish of the followers of Christ as well. Indeed, nothing genuinely human fails to raise an echo in their hearts" (ibid., 1). The Servant of God Paul VI echoed these words when he called the Church an "expert in humanity" (Populorum Progressio, 13), as did Blessed John Paul II when he stated that the human person is "the primary route that the Church must travel in fulfilling her mission... the way traced out by Christ himself" (Centesimus Annus, 53). In the footsteps of my predecessors, I sought to emphasize in my Encyclical Caritas in Veritate that "the whole Church, in all her being and acting – when she proclaims, when she celebrates, when she performs works of charity – is engaged in promoting integral human development" (No. 11). I was thinking also of the millions of men and women who, for various reasons, have known the experience of migration. Migration is in fact "a striking phenomenon because of the sheer numbers of people involved, the social, economic, political, cultural and religious problems it raises, and the dramatic challenges it poses to nations and the international community" (ibid., 62), for "every migrant is a human person who, as such, possesses fundamental, inalienable rights that must be respected by everyone and in every circumstance" (ibid.).

For this reason, I have chosen to dedicate the 2013 World Day of Migrants and Refugees to the theme "Migrations: pilgrimage of faith and hope", in conjunction with the celebrations marking the fiftieth anniversary of the opening of the Second Vatican Ecumenical Council and the sixtieth anniversary of the promulgation of the Apostolic Constitution Exsul Familia, and at a time when the whole Church is celebrating the Year of Faith, taking up with enthusiasm the challenge of the new evangelization.

Faith and hope are inseparable in the hearts of many migrants, who deeply desire a better life and not infrequently try to leave behind the "hopelessness" of an unpromising future. During their journey many of them are sustained by the deep trust that God never abandons his children; this certainty makes the pain of their uprooting and separation more tolerable and even gives them the hope of eventually returning to their country of origin. Faith and hope are often among the possessions which emigrants carry with them, knowing that with them, "we can face our present: the present, even if it is arduous, can be lived and accepted if it leads towards a goal, if we can be sure of this goal, and if this goal is great enough to justify the effort of the journey" (Spe Salvi, 1).

In the vast sector of migration, the Church shows her maternal concern in a variety of ways. On the one hand, she witnesses the immense poverty and suffering entailed in migration, leading often to painful and tragic situations. This inspires the creation of programmes aimed at meeting emergencies through the generous help of individuals and groups, volunteer associations and movements, parochial and diocesan organizations in cooperation with all people of good will. The Church also works to highlight the positive aspects, the potential and the resources which migrations offer. Along these lines, programmes and centres of welcome have been established to help and sustain the full integration of migrants, asylum seekers and refugees into a new social and cultural context, without neglecting the religious dimension, fundamental for every person’s life. Indeed, it is to this dimension that the Church, by virtue of the mission entrusted to her by Christ, must devote special attention and care: this is her most important and specific task. For Christians coming from various parts of the world, attention to the religious dimension also entails ecumenical dialogue and the care of new communities, while for the Catholic faithful it involves, among other things, establishing new pastoral structures and showing esteem for the various rites, so as to foster full participation in the life of the local ecclesial community. Human promotion goes side by side with spiritual communion, which opens the way "to an authentic and renewed conversion to the Lord, the only Saviour of the world" (Porta Fidei, 6). The Church always offers a precious gift when she guides people to an encounter with Christ, which opens the way to a stable and trustworthy hope.

Where migrants and refugees are concerned, the Church and her various agencies ought to avoid offering charitable services alone; they are also called to promote real integration in a society where all are active members and responsible for one another’s welfare, generously offering a creative contribution and rightfully sharing in the same rights and duties. Emigrants bring with them a sense of trust and hope which has inspired and sustained their search for better opportunities in life. Yet they do not seek simply to improve their financial, social and political condition. It is true that the experience of migration often begins in fear, especially when persecutions and violence are its cause, and in the trauma of having to leave behind family and possessions which had in some way ensured survival. But suffering, great losses and at times a sense of disorientation before an uncertain future do not destroy the dream of being able to build, with hope and courage, a new life in a new country. Indeed, migrants trust that they will encounter acceptance, solidarity and help, that they will meet people who sympathize with the distress and tragedy experienced by others, recognize the values and resources the latter have to offer, and are open to sharing humanly and materially with the needy and disadvantaged. It is important to realize that "the reality of human solidarity, which is a benefit for us, also imposes a duty" (Caritas in Veritate, 43). Migrants and refugees can experience, along with difficulties, new, welcoming relationships which enable them to enrich their new countries with their professional skills, their social and cultural heritage and, not infrequently, their witness of faith, which can bring new energy and life to communities of ancient Christian tradition, and invite others to encounter Christ and to come to know the Church.

Certainly every state has the right to regulate migration and to enact policies dictated by the general requirements of the common good, albeit always in safeguarding respect for the dignity of each human person. The right of persons to migrate – as the Council’s Constitution Gaudium et Spes, No. 65, recalled – is numbered among the fundamental human rights, allowing persons to settle wherever they consider best for the realization of their abilities, aspirations and plans. In the current social and political context, however, even before the right to migrate, there is need to reaffirm the right not to emigrate, that is, to remain in one’s homeland; as Blessed John Paul II stated: "It is a basic human right to live in one’s own country. However this rights become effective only if the factors that urge people to emigrate are constantly kept under control" (Address to the Fourth World Congress on the Pastoral Care of Migrants and Refugees, 9 October 1998). Today in fact we can see that many migrations are the result of economic instability, the lack of essential goods, natural disasters, wars and social unrest. Instead of a pilgrimage filled with trust, faith and hope, migration then becomes an ordeal undertaken for the sake of survival, where men and women appear more as victims than as agents responsible for the decision to migrate. As a result, while some migrants attain a satisfactory social status and a dignified level of life through proper integration into their new social setting, many others are living at the margins, frequently exploited and deprived of their fundamental rights, or engaged in forms of behaviour harmful to their host society. The process of integration entails rights and duties, attention and concern for the dignified existence of migrants; it also calls for attention on the part of migrants to the values offered by the society to which they now belong.

In this regard, we must not overlook the question of irregular migration, an issue all the more pressing when it takes the form of human trafficking and exploitation, particularly of women and children. These crimes must be clearly condemned and prosecuted, while an orderly migration policy which does not end up in a hermetic sealing of borders, more severe sanctions against irregular migrants and the adoption of measures meant to discourage new entries, could at least limit for many migrants the danger of falling prey to such forms of human trafficking. There is an urgent need for structured multilateral interventions for the development of the countries of departure, effective countermeasures aimed at eliminating human trafficking, comprehensive programmes regulating legal entry, and a greater openness to considering individual cases calling for humanitarian protection more than political asylum. In addition to suitable legislation, there is a need for a patient and persevering effort to form minds and consciences. In all this, it is important to strengthen and develop understanding and cooperation between ecclesial and other institutions devoted to promoting the integral development of the human person. In the Christian vision, social and humanitarian commitment draws its strength from fidelity to the Gospel, in the knowledge that "to follow Christ, the perfect man, is to become more human oneself" (Gaudium et Spes, 41).

Dear brothers and sisters who yourselves are migrants, may this World Day help you renew your trust and hope in the Lord who is always at our side! Take every opportunity to encounter him and to see his face in the acts of kindness you receive during your pilgrimage of migration. Rejoice, for the Lord is near, and with him you will be able to overcome obstacles and difficulties, treasuring the experiences of openness and acceptance that many people offer you. For "life is like a voyage on the sea of history, often dark and stormy, a voyage in which we watch for the stars that indicate the route. The true stars of our life are the people who have lived good lives. They are lights of hope. Certainly, Jesus Christ is the true light, the sun that has risen above all the shadows of history. But to reach him we also need lights close by – people who shine with his light and so guide us along our way" (Spe Salvi, 49).

I entrust each of you to the Blessed Virgin Mary, sign of sure hope and consolation, our "guiding star", who with her maternal presence is close to us at every moment of our life. To all I affectionately impart my Apostolic Blessing.

From the Vatican, 12 October 2012

BENEDICTUS PP. XVI

[01390-02.01] [Original text: Italian]

TRADUZIONE IN LINGUA TEDESCA

Migration – Pilgerweg des Glaubens und der Hoffnung

Liebe Brüder und Schwestern!

Das Zweite Vatikanische Ökumenische Konzil hat in der Pastoralkonstitution Gaudium et spes daran erinnert, daß „die Kirche den Weg mit der ganzen Menschheit gemeinsam" geht (Nr. 40). Denn „Freude und Hoffnung, Trauer und Angst der Menschen von heute, besonders der Armen und Bedrängten aller Art, sind auch Freude und Hoffnung, Trauer und Angst der Jünger Christi. Und es gibt nichts wahrhaft Menschliches, das nicht in ihren Herzen seinen Widerhall fände" (ebd., 1). Widerhall fand diese Erklärung bei dem Diener Gottes Papst Paul VI., der die Kirche als erfahren „in allem, was den Menschen betrifft", bezeichnete (Enzyklika Populorum progressio, 13), und beim seligen Johannes Paul II., der sagte, daß der Mensch „der erste Weg ist, den die Kirche bei der Erfüllung ihres Auftrags beschreiten muß ..., der Weg, der von Christus selbst vorgezeichnet ist (Enzyklika Centesimus annus, 53). In meiner Enzyklika Caritas in veritate lag mir daran, in einer Linie mit meinen Vorgängern darzulegen, daß „die ganze Kirche, wenn sie verkündet, Eucharistie feiert und in der Liebe wirkt, in all ihrem Sein und Handeln darauf ausgerichtet ist, die ganzheitliche Entwicklung des Menschen zu fördern" (Nr.11). Dabei bezog ich mich auch auf die Millionen von Männern und Frauen, die aus verschiedenen Gründen die Erfahrung der Migration machen. Tatsächlich bilden die Migrationsströme ein Phänomen, das einen erschüttert „wegen der Menge der betroffenen Personen, wegen der sozialen, wirtschaftlichen, politischen, kulturellen und religiösen Probleme, die es aufwirft, wegen der dramatischen Herausforderungen, vor die es die Nationen und die internationale Gemeinschaft stellt" (ebd., 62), denn „jeder Migrant ist eine menschliche Person, die als solche unveräußerliche Grundrechte besitzt, die von allen und in jeder Situation respektiert werden müssen" (ebd.).

Vor diesem Hintergrund möchte ich den Welttag des Migranten und des Flüchtlings 2013 dem Thema „Migration – Pilgerweg des Glaubens und der Hoffnung" widmen. Er findet ja in zeitlicher Nähe zu den Feierlichkeiten zum 50. Jahrestag der Eröffnung des Zweiten Vatikanischen Ökumenischen Konzils und zum 60. Gedenktag der Verkündigung der Apostolischen Konstitution Exsul familia statt, während die ganze Kirche das Jahr des Glaubens begeht und mit Begeisterung die Herausforderungen einer neuen Evangelisierung aufgreift.

Tatsächlich bilden Glaube und Hoffnung im Herzen so vieler Migranten ein untrennbares Wortpaar, denn in ihnen lebt der Wunsch nach einem besseren Leben, oft auch vereint mit dem Versuch, die „Verzweiflung" darüber hinter sich zu lassen, daß es ihnen verwehrt ist, sich eine Zukunft aufzubauen. Gleichzeitig sind die Wege vieler vom tiefen Vertrauen getragen, daß Gott seine Geschöpfe nicht im Stich läßt, und dieser Trost läßt die Wunden der Entwurzelung und der Trennung erträglicher werden, vielleicht in der geheimen Hoffnung einer zukünftigen Rückkehr an ihren Herkunftsort. Glaube und Hoffnung finden sich daher häufig im Gepäck derer, die in dem Bewußtsein auswandern, daß wir durch sie „unsere Gegenwart bewältigen können: Gegenwart, auch mühsame Gegenwart, kann gelebt und angenommen werden, wenn sie auf ein Ziel zuführt und wenn wir dieses Ziels gewiß sein können; wenn dies Ziel so groß ist, daß es die Anstrengung des Weges rechtfertigt" (Enzyklika Spe salvi, 1).

In dem weiten Gebiet der Migrationen entfaltet sich die mütterliche Fürsorge der Kirche in verschiedene Richtungen. Einerseits sieht sie die Migrationen unter dem vorherrschenden Aspekt der Armut und des Leidens, der nicht selten Dramen und Tragödien hervorruft. Hier geht es um konkrete Hilfsmaßnahmen, um die zahlreichen Notsituationen abzuwenden durch den großzügigen Einsatz von einzelnen und Gruppen, von Organisationen Freiwilliger und von Bewegungen, von Einrichtungen der Pfarrgemeinden und der Diözesen in Zusammenarbeit mit Menschen, die guten Willens sind. Andererseits versäumt es die Kirche aber auch nicht, die positiven Aspekte hervorzuheben, das Potential und die Ressourcen, die die Migrationen mit sich bringen. In dieser Richtung nehmen dann die Maßnahmen für eine Aufnahme, die eine volle Eingliederung der Migranten, Asylbewerber und Flüchtlinge in das neue soziokulturelle Umfeld fördern und begleiten, konkrete Form an. Dabei wird die religiöse Dimension nicht vernachlässigt, die für das Leben eines jeden Menschen wesentlich ist. Eben dieser Dimension hat die Kirche entsprechend der Sendung, die ihr Christus anvertraut hat, besondere Aufmerksamkeit und Sorge zu widmen: Dies ist ihre wichtigste und ganz spezifische Aufgabe. Gegenüber den Christen aus verschiedenen Teilen der Welt umfaßt die Beachtung der religiösen Dimension auch den ökumenischen Dialog und die Begleitung der neuen Gemeinschaften. Gegenüber den katholischen Gläubigen drückt sie sich unter anderem darin aus, neue seelsorgerische Strukturen zu schaffen und die unterschiedlichen Riten zur Geltung kommen zu lassen bis hin zu einer vollen Beteiligung am Leben der örtlichen Kirchengemeinden. Die Förderung des Menschen geht Hand in Hand mit der Gemeinschaft im Geiste, welche Wege „zu einer echten und erneuerten Umkehr zum Herrn, dem einzigen Retter der Welt", öffnet (Apostolisches Schreiben Porta fidei, 6). Die Kirche bringt stets eine wertvolle Gabe, wenn sie zu einer Begegnung mit Christus führt, die eine beständige und zuverlässige Hoffnung auftut.

Die Kirche und die verschiedenen Einrichtungen, die mit ihr verbunden sind, sind dazu aufgerufen, Migranten und Flüchtlingen gegenüber die Gefahr einer bloßen Sozialhilfe zu vermeiden, um eine echte Integration in eine Gesellschaft zu fördern, in der alle aktive Mitglieder sind, jeder für das Wohl des anderen verantwortlich ist und großzügig einen eigenständigen Beitrag leistet und alle bei vollem Heimatrecht die gleichen Rechte und Pflichten teilen. Auswanderer hegen Gefühle des Vertrauens und der Hoffnung, die ihre Suche nach besseren Lebenschancen beleben und stärken. Doch suchen sie nicht nur eine Verbesserung ihrer wirtschaftlichen, sozialen und politischen Situation. Es trifft zwar zu, daß die Auswanderung oft mit Angst beginnt, vor allem, wenn Verfolgung und Gewalt zur Flucht zwingen, verbunden mit dem Trauma der Trennung von der Familie und der eigenen Habe, die bis zu einem gewissen Grade das Überleben sicherstellte. Dennoch zerstören das Leid, der enorme Verlust und mitunter ein Gefühl der Entfremdung angesichts einer unsicheren Zukunft nicht den Traum, sich voller Hoffnung und Mut in einem fremden Land eine neue Existenz aufzubauen. Wer auswandert, hegt in Wahrheit das Vertrauen, Aufnahme und solidarische Hilfe zu finden sowie Menschen anzutreffen, die für die Entbehrungen und die Tragödie ihrer Mitmenschen Verständnis aufbringen, aber auch die Werte und Fähigkeiten, die diese mit sich bringen, anerkennen und bereit sind, Menschlichkeit und materielle Güter mit denen zu teilen, die bedürftig und benachteiligt sind. In der Tat muß man festhalten: „Die Solidarität aller, die etwas Wirkliches ist, bringt für uns nicht nur Vorteile mit sich, sondern auch Pflichten" (Enzyklika Caritas in veritate, 43). Migranten und Flüchtlinge können neben den Schwierigkeiten auch neue und gastfreundliche Beziehungen erleben, die ihnen Mut machen, mit ihren beruflichen Kenntnissen und ihrem soziokulturellen Erbe zum Wohlstand des Gastlandes beizutragen und oft auch mit ihrem Glaubenszeugnis, das den Gemeinden alter christlicher Tradition Auftrieb gibt, zur Begegnung mit Christus ermutigt und dazu einlädt, die Kirche kennenzulernen.

Natürlich hat jeder Staat das Recht, die Migrationsströme zu lenken und eine Politik umzusetzen, die von den generellen Bedürfnissen des Gemeinwohls bestimmt wird, dabei aber immer die Achtung der Würde jedes Menschen gewährleistet. Das Recht der Person auszuwandern gehört – wie die Konzilskonstitution Gaudium et spes unter der Nr. 65 in Erinnerung bringt – zu den Grundrechten des Menschen. Jeder ist berechtigt, sich dort niederzulassen, wo er es für günstiger hält, um seine Fähigkeiten, Ziele und Projekte besser zu verwirklichen. Vor dem derzeitigen soziokulturellen Hintergrund muß jedoch noch vor dem Recht auszuwandern das Recht nicht auszuwandern – das heißt, in der Lage zu sein, im eigenen Land zu bleiben – bekräftigt werden, um mit dem seligen Johannes Paul II. zu wiederholen, daß „das erste Recht des Menschen darin besteht, in seiner eigenen Heimat zu leben. Dieses Recht wird aber nur dann wirksam, wenn die Faktoren, die zur Auswanderung drängen, ständig unter Kontrolle gehalten werden" (Ansprache an den IV. Weltkongreß der Migration, 1998). Heute können wir feststellen, daß die Migrationen häufig als Folge von wirtschaftlicher Unsicherheit, vom Mangel an Grundgütern, von Naturkatastrophen, von Kriegen und sozialen Unruhen auftreten. Statt eines Unterwegsseins, das von Vertrauen, Glauben und Hoffnung getragen ist, wird das Auswandern dann zu einem Leidensweg, um zu überleben, auf dem die Männer und Frauen eher als Opfer, denn als verantwortlich Handelnde in den Angelegenheiten ihrer Auswanderung erscheinen. Während es Migranten gibt, die eine gute Position erreichen und ein angemessenes Leben führen aufgrund einer rechten Integration in die Umgebung, in der sie Aufnahme gefunden haben, gibt es so auch viele, die am Rande der Gesellschaft leben und zuweilen ausgebeutet und ihrer grundlegenden Menschenrechte beraubt werden oder aber Verhaltensweisen annehmen, die schädlich sind für die Gesellschaft, in der sie leben. Der Weg zur Integration umfaßt Rechte und Pflichten, Achtung und Fürsorge den Migranten gegenüber, damit sie ein Leben in Würde führen können, verlangt aber Achtung auch von Seiten der Migranten gegenüber den Werten, die ihnen die Gesellschaft bietet, in die sie sich eingliedern.

In diesem Zusammenhang dürfen wir die Frage der illegalen Einwanderung nicht außer Acht lassen. Dieses Thema wird um so brisanter, wenn sie in Gestalt von Menschenhandel und Ausbeutung von Menschen auftritt, wobei Frauen und Kinder besonders gefährdet sind. Diese Schandtaten müssen nachdrücklich verurteilt und bestraft werden, während andererseits eine Regelung der Migrationsströme – diese darf sich jedoch weder auf eine hermetische Schließung der Grenzen beschränken, noch auf eine Verschärfung der Sanktionen gegen die illegalen Einwanderer oder auf die Anwendung von Maßnahmen zur Abschreckung neuer Einreisen – für viele Migranten die Gefahr zumindest begrenzen könnte, daß sie Opfer des genannten Menschenhandels werden. Tatsächlich sind insbesondere planmäßige und multilaterale Eingriffe in den Herkunftsländern erforderlich, wirksame Gegenmaßnahmen, um den Menschenhandel zu bezwingen, einheitliche Programme für die Ströme legaler Einwanderung sowie eine größere Bereitschaft, Einzelschicksalen Rechnung zu tragen, die neben politischem Asyl auch Eingriffe zum Schutze der Person erfordern. Zu den angemessenen Regelungen muß eine geduldige und fortgesetzte Arbeit hinzukommen, um die Mentalität und das Gewissen zu bilden. In all dem ist es wichtig, die einvernehmlichen Beziehungen und die Zusammenarbeit zwischen den kirchlichen Einrichtungen und den Institutionen, die im Dienste einer ganzheitlichen Entwicklung des Menschen stehen, zu verstärken und weiterzuentwickeln. Nach christlicher Auffassung bezieht das soziale und humanitäre Engagement seine Kraft aus der Treue zum Evangelium in dem Bewußtsein, daß, „wer Christus, dem vollkommenen Menschen, folgt, auch selbst mehr Mensch wird" (Gaudium et spes, 41).

Liebe Brüder und Schwestern Migranten, dieser Welttag möge euch helfen, euer Vertrauen und eure Hoffnung auf den Herrn zu erneuern, der immer an unserer Seite steht. Laßt euch die Gelegenheit nicht entgehen, ihm zu begegnen und sein Angesicht in den Gesten der Güte zu erkennen, die ihr im Laufe eures Unterwegsseins empfangt. Freut euch, denn der Herr ist euch nahe, und gemeinsam mit ihm könnt ihr alle Hindernisse und Schwierigkeiten überwinden und das Zeugnis der Offenheit und der Aufnahme beherzigen, das so viele Menschen euch geben. Das Leben ist nämlich „wie eine Fahrt auf dem oft dunklen und stürmischen Meer der Geschichte, in der wir Ausschau halten nach den Gestirnen, die uns den Weg zeigen. Die wahren Sternbilder unseres Lebens sind die Menschen, die recht zu leben wußten. Sie sind Lichter der Hoffnung. Gewiß, Jesus Christus ist das Licht selber, die Sonne, die über allen Dunkelheiten der Geschichte aufgegangen ist. Aber wir brauchen, um zu ihm zu finden, auch die nahen Lichter – die Menschen, die Licht von seinem Licht schenken und so Orientierung bieten auf unserer Fahrt" (Enzyklika Spe salvi, 49).

Euch alle vertraue ich der seligen Jungfrau Maria an, dem Zeichen sicherer Hoffnung und des Trostes, dem „Stern auf dem Weg", die uns mit ihrer mütterlichen Gegenwart in jedem Augenblick unseres Lebens nahe ist. Von Herzen erteile ich euch allen den Apostolischen Segen.

Aus dem Vatikan, am 12. Oktober 2012

BENEDICTUS PP. XVI

[01390-05.01] [Originalsprache: Italienisch]

TRADUZIONE IN LINGUA SPAGNOLA

Migraciones: peregrinación de fe y esperanza

Queridos hermanos

El Concilio Ecuménico Vaticano II, en la Constitución pastoral Gaudium et spes, ha recordado que «la Iglesia avanza juntamente con toda la humanidad» (n. 40), por lo cual «los gozos y las esperanzas, las tristezas y las angustias de los hombres de nuestro tiempo, sobre todo de los pobres y de cuantos sufren, son a la vez gozos y esperanzas, tristezas y angustias de los discípulos de Cristo. Nada hay verdaderamente humano que no encuentre eco en su corazón» (ibíd., 1). Se hicieron eco de esta declaración el Siervo de Dios Pablo VI, que llamó a la Iglesia «experta en humanidad» (Enc. Populorum progressio, 13), y el Beato Juan Pablo II, quien afirmó que la persona humana es «el primer camino que la Iglesia debe recorrer en el cumplimiento de su misión..., camino trazado por Cristo mismo» (Enc. Centesimus annus, 53). En mi Encíclica Caritas in veritate he querido precisar, siguiendo a mis predecesores, que «toda la Iglesia, en todo su ser y obrar, cuando anuncia, celebra y actúa en la caridad, tiende a promover el desarrollo integral del hombre» (n. 11), refiriéndome también a los millones de hombres y mujeres que, por motivos diversos, viven la experiencia de la migración. En efecto, los flujos migratorios son «un fenómeno que impresiona por sus grandes dimensiones, por los problemas sociales, económicos, políticos, culturales y religiosos que suscita, y por los dramáticos desafíos que plantea a las comunidades nacionales y a la comunidad internacional» (ibíd., 62), ya que «todo emigrante es una persona humana que, en cuanto tal, posee derechos fundamentales inalienables que han de ser respetados por todos y en cualquier situación» (ibíd.).

En este contexto, he querido dedicar la Jornada Mundial del Emigrante y del Refugiado 2013 al tema «Migraciones: peregrinación de fe y esperanza», en concomitancia con las celebraciones del 50 aniversario de la apertura del Concilio Ecuménico Vaticano II y de los 60 años de la promulgación de la Constitución apostólica Exsul familia, al mismo tiempo que toda la Iglesia está comprometida en vivir el Año de la fe, acogiendo con entusiasmo el desafío de la nueva evangelización.

En efecto, fe y esperanza forman un binomio inseparable en el corazón de muchísimos emigrantes, puesto que en ellos anida el anhelo de una vida mejor, a lo que se une en muchas ocasiones el deseo de querer dejar atrás la «desesperación» de un futuro imposible de construir. Al mismo tiempo, el viaje de muchos está animado por la profunda confianza de que Dios no abandona a sus criaturas y este consuelo hace que sean más soportables las heridas del desarraigo y la separación, tal vez con la oculta esperanza de un futuro regreso a la tierra de origen. Fe y esperanza, por lo tanto, conforman a menudo el equipaje de aquellos que emigran, conscientes de que con ellas «podemos afrontar nuestro presente: el presente, aunque sea un presente fatigoso, se puede vivir y aceptar si lleva hacia una meta, si podemos estar seguros de esta meta y si esta meta es tan grande que justifique el esfuerzo del camino» (Enc. Spe salvi, 1).

En el vasto campo de las migraciones, la solicitud maternal de la Iglesia se realiza en diversas directrices. Por una parte, la que contempla las migraciones bajo el perfil dominante de la pobreza y de los sufrimientos, que con frecuencia produce dramas y tragedias. Aquí se concretan las operaciones de auxilio para resolver las numerosas emergencias, con generosa dedicación de grupos e individuos, asociaciones de voluntariado y movimientos, organizaciones parroquiales y diocesanas, en colaboración con todas las personas de buena voluntad. Pero, por otra parte, la Iglesia no deja de poner de manifiesto los aspectos positivos, las buenas posibilidades y los recursos que comportan las migraciones. Es aquí donde se incluyen las acciones de acogida que favorecen y acompañan una inserción integral de los emigrantes, solicitantes de asilo y refugiados en el nuevo contexto socio-cultural, sin olvidar la dimensión religiosa, esencial para la vida de cada persona. La Iglesia, por su misión confiada por el mismo Cristo, está llamada a prestar especial atención y cuidado a esta dimensión precisamente: ésta es su tarea más importante y específica. Por lo que concierne a los fieles cristianos provenientes de diversas zonas del mundo, el cuidado de la dimensión religiosa incluye también el diálogo ecuménico y la atención de las nuevas comunidades, mientras que por lo que se refiere a los fieles católicos se expresa, entre otras cosas, mediante la creación de nuevas estructuras pastorales y la valorización de los diversos ritos, hasta la plena participación en la vida de la comunidad eclesial local. La promoción humana está unida a la comunión espiritual, que abre el camino «a una auténtica y renovada conversión al Señor, único Salvador del mundo» (Carta ap. Porta fidei, 6). La Iglesia ofrece siempre un don precioso cuando lleva al encuentro con Cristo que abre a una esperanza estable y fiable.

Con respecto a los emigrantes y refugiados, la Iglesia y las diversas realidades que en ella se inspiran están llamadas a evitar el riesgo del mero asistencialismo, para favorecer la auténtica integración, en una sociedad donde todos y cada uno sean miembros activos y responsables del bienestar del otro, asegurando con generosidad aportaciones originales, con pleno derecho de ciudadanía y de participación en los mismos derechos y deberes. Aquellos que emigran llevan consigo sentimientos de confianza y de esperanza que animan y confortan en la búsqueda de mejores oportunidades de vida. Sin embargo, no buscan solamente una mejora de su condición económica, social o política. Es cierto que el viaje migratorio a menudo tiene su origen en el miedo, especialmente cuando las persecuciones y la violencia obligan a huir, con el trauma del abandono de los familiares y de los bienes que, en cierta medida, aseguraban la supervivencia. Sin embargo, el sufrimiento, la enorme pérdida y, a veces, una sensación de alienación frente a un futuro incierto no destruyen el sueño de reconstruir, con esperanza y valentía, la vida en un país extranjero. En verdad, los que emigran alimentan la esperanza de encontrar acogida, de obtener ayuda solidaria y de estar en contacto con personas que, comprendiendo las fatigas y la tragedia de su prójimo, y también reconociendo los valores y los recursos que aportan, estén dispuestos a compartir humanidad y recursos materiales con quien está necesitado y desfavorecido. Debemos reiterar, en efecto, que «la solidaridad universal, que es un hecho y un beneficio para todos, es también un deber» (Enc. Caritas in veritate, 43). Emigrantes y refugiados, junto a las dificultades, pueden experimentar también relaciones nuevas y acogedoras, que les alienten a contribuir al bienestar de los países de acogida con sus habilidades profesionales, su patrimonio socio-cultural y también, a menudo, con su testimonio de fe, que estimula a las comunidades de antigua tradición cristiana, anima a encontrar a Cristo e invita a conocer la Iglesia.

Es cierto que cada Estado tiene el derecho de regular los flujos migratorios y adoptar medidas políticas dictadas por las exigencias generales del bien común, pero siempre garantizando el respeto de la dignidad de toda persona humana. El derecho de la persona a emigrar - como recuerda la Constitución conciliar Gaudium et spes en el n. 65 - es uno de los derechos humanos fundamentales, facultando a cada uno a establecerse donde considere más oportuno para una mejor realización de sus capacidades y aspiraciones y de sus proyectos. Sin embargo, en el actual contexto socio-político, antes incluso que el derecho a emigrar, hay que reafirmar el derecho a no emigrar, es decir, a tener las condiciones para permanecer en la propia tierra, repitiendo con el Beato Juan Pablo II que «es un derecho primario del hombre vivir en su propia patria. Sin embargo, este derecho es efectivo sólo si se tienen constantemente bajo control los factores que impulsan a la emigración» (Discurso al IV Congreso mundial de las Migraciones, 1998). En efecto, actualmente vemos que muchas migraciones son el resultado de la precariedad económica, de la falta de bienes básicos, de desastres naturales, de guerras y de desórdenes sociales. En lugar de una peregrinación animada por la confianza, la fe y la esperanza, emigrar se convierte entonces en un «calvario» para la supervivencia, donde hombres y mujeres aparecen más como víctimas que como protagonistas y responsables de su migración. Así, mientras que hay emigrantes que alcanzan una buena posición y viven con dignidad, con una adecuada integración en el ámbito de acogida, son muchos los que viven en condiciones de marginalidad y, a veces, de explotación y privación de los derechos humanos fundamentales, o que adoptan conductas perjudiciales para la sociedad en la que viven. El camino de la integración incluye derechos y deberes, atención y cuidado a los emigrantes para que tengan una vida digna, pero también atención por parte de los emigrantes hacia los valores que ofrece la sociedad en la que se insertan.

En este sentido, no podemos olvidar la cuestión de la inmigración irregular, un asunto más acuciante en los casos en que se configura como tráfico y explotación de personas, con mayor riesgo para mujeres y niños. Estos crímenes han de ser decididamente condenados y castigados, mientras que una gestión regulada de los flujos migratorios, que no se reduzca al cierre hermético de las fronteras, al endurecimiento de las sanciones contra los irregulares y a la adopción de medidas que desalienten nuevos ingresos, podría al menos limitar para muchos emigrantes los peligros de caer víctimas del mencionado tráfico. En efecto, son muy necesarias intervenciones orgánicas y multilaterales en favor del desarrollo de los países de origen, medidas eficaces para erradicar la trata de personas, programas orgánicos de flujos de entrada legal, mayor disposición a considerar los casos individuales que requieran protección humanitaria además de asilo político. A las normativas adecuadas se debe asociar un paciente y constante trabajo de formación de la mentalidad y de las conciencias. En todo esto, es importante fortalecer y desarrollar las relaciones de entendimiento y de cooperación entre las realidades eclesiales e institucionales que están al servicio del desarrollo integral de la persona humana. Desde la óptica cristiana, el compromiso social y humanitario halla su fuerza en la fidelidad al Evangelio, siendo conscientes de que «el que sigue a Cristo, Hombre perfecto, se perfecciona cada vez más en su propia dignidad de hombre» (Gaudium et spes, 41).

Queridos hermanos emigrantes, que esta Jornada Mundial os ayude a renovar la confianza y la esperanza en el Señor que está siempre junto a nosotros. No perdáis la oportunidad de encontrarlo y reconocer su rostro en los gestos de bondad que recibís en vuestra peregrinación migratoria. Alegraos porque el Señor está cerca de vosotros y, con Él, podréis superar obstáculos y dificultades, aprovechando los testimonios de apertura y acogida que muchos os ofrecen. De hecho, «la vida es como un viaje por el mar de la historia, a menudo oscuro y borrascoso, un viaje en el que escudriñamos los astros que nos indican la ruta. Las verdaderas estrellas de nuestra vida son las personas que han sabido vivir rectamente. Ellas son luces de esperanza. Jesucristo es ciertamente la luz por antonomasia, el sol que brilla sobre todas las tinieblas de la historia. Pero para llegar hasta Él necesitamos también luces cercanas, personas que dan luz reflejando la luz de Cristo, ofreciendo así orientación para nuestra travesía» (Enc. Spe salvi, 49).

Encomiendo a cada uno de vosotros a la Bienaventurada Virgen María, signo de segura esperanza y de consolación, «estrella del camino», que con su maternal presencia está cerca de nosotros cada momento de la vida, y a todos imparto con afecto la Bendición Apostólica.

Ciudad del Vaticano, 12 de octubre de 2012

BENEDICTUS PP. XVI

[01390-04.01] [Texto original: Italiano]

TRADUZIONE IN LINGUA PORTOGHESE

Migrações: peregrinação de fé e de esperança

Queridos irmãos e irmãs!

Na Constituição pastoral Gaudium et spes, o Concílio Ecuménico Vaticano II recordou que «a Igreja caminha juntamente com toda a humanidade» (n. 40), pelo que «as alegrias e as esperanças, as tristezas e as angústias dos homens de hoje, sobretudo dos pobres e de todos aqueles que sofrem, são também as alegrias e as esperanças, as tristezas e as angústias dos discípulos de Cristo; e não há realidade alguma verdadeiramente humana que não encontre eco no seu coração» (ibid., 1). Na linha destas afirmações, o Servo de Deus Paulo VI designou a Igreja como sendo «perita em humanidade» (Enc. Populorum progressio, 13), e o Beato João Paulo II escreveu que a pessoa humana é «o primeiro caminho que a Igreja deve percorrer na realização da sua missão (...), caminho traçado pelo próprio Cristo» (Enc. Centesimus annus, 53). Na esteira dos meus Predecessores, quis especificar –na Encíclica Caritas in veritate – que «a Igreja inteira, em todo o seu ser e agir, quando anuncia, celebra e actua na caridade, tende a promover o desenvolvimento integral do homem» (n. 11), referindo-me também aos milhões de homens e mulheres que, por diversas razões, vivem a experiência da emigração. Na verdade, os fluxos migratórios são «um fenómeno impressionante pela quantidade de pessoas envolvidas, pelas problemáticas sociais, económicas, políticas, culturais e religiosas que levanta, pelos desafios dramáticos que coloca à comunidade nacional e internacional» (ibid., 62), porque «todo o migrante é uma pessoa humana e, enquanto tal, possui direitos fundamentais inalienáveis que hão-de ser respeitados por todos em qualquer situação» (ibidem).

Neste contexto, em concomitância com as celebrações do cinquentenário da abertura do Concílio Ecuménico Vaticano II e do sexagésimo aniversário da promulgação da Constituição apostólica Exsul familia e quando toda a Igreja está comprometida na vivência do Ano da Fé abraçando com entusiasmo o desafio da nova evangelização, quis dedicar a Jornada Mundial do Migrante e do Refugiado de 2013 ao tema «Migrações: peregrinação de fé e de esperança».

Na realidade, fé e esperança formam um binómio indivisível no coração de muitos migrantes, dado que neles existe o desejo de uma vida melhor, frequentemente unido ao intento de ultrapassar o «desespero» de um futuro impossível de construir. Ao mesmo tempo, muitos encetam a viagem animados por uma profunda confiança de que Deus não abandona as suas criaturas e de que tal conforto torna mais suportáveis as feridas do desenraizamento e da separação, talvez com a recôndita esperança de um futuro regresso à terra de origem. Por isso, fé e esperança enchem muitas vezes a bagagem daqueles que emigram, cientes de que, com elas, «podemos enfrentar o nosso tempo presente: o presente, ainda que custoso, pode ser vivido e aceite, se levar a uma meta e se pudermos estar seguros desta meta, se esta meta for tão grande que justifique a canseira do caminho» (Enc. Spe salvi, 1).

No vasto campo das migrações, a solicitude materna da Igreja estende-se em diversas direcções. Por um lado a sua solicitude contempla as migrações sob o perfil dominante da pobreza e do sofrimento que muitas vezes produz dramas e tragédias, intervindo lá com acções concretas de socorro que visam resolver as numerosas emergências, graças à generosa dedicação de indivíduos e de grupos, associações de voluntariado e movimentos, organismos paroquiais e diocesanos, em colaboração com todas as pessoas de boa vontade. E, por outro, a Igreja não deixa de evidenciar também os aspectos positivos, as potencialidades de bem e os recursos de que as migrações são portadoras; e, nesta direcção, ganham corpo as intervenções de acolhimento que favorecem e acompanham uma inserção integral dos migrantes, requerentes de asilo e refugiados no novo contexto sociocultural, sem descuidar a dimensão religiosa, essencial para a vida de cada pessoa. Ora a Igreja, pela própria missão que lhe foi confiada por Cristo, é chamada a prestar particular atenção e solicitude precisamente a esta dimensão: ela constitui o seu dever mais importante e específico. Visto que os fiéis cristãos provêm das várias partes do mundo, a solicitude pela dimensão religiosa engloba também o diálogo ecuménico e a atenção às novas comunidades; ao passo que, para os fiéis católicos, se traduz, entre outras coisas, na criação de novas estruturas pastorais e na valorização dos diversos ritos, até se chegar à plena participação na vida da comunidade eclesial local. Entretanto, a promoção humana caminha lado a lado com a comunhão espiritual, que abre os caminhos «a uma autêntica e renovada conversão ao Senhor, único Salvador do mundo» (Carta ap. Porta fidei, 6). É sempre um dom precioso tudo aquilo que a Igreja proporciona visando conduzir ao encontro de Cristo, que abre para uma esperança sólida e credível.

A Igreja e as diversas realidades que nela se inspiram são chamadas a evitar o risco do mero assistencialismo na sua relação com os migrantes e refugiados, procurando favorecer a autêntica integração numa sociedade onde todos sejam membros activos e responsáveis pelo bem-estar do outro, prestando generosamente as suas contribuições originais, com pleno direito de cidadania e participação nos mesmos direitos e deveres. Aqueles que emigram trazem consigo sentimentos de confiança e de esperança que animam e alentam a procura de melhores oportunidades de vida; mas eles não procuram apenas a melhoria da sua condição económica, social ou política. É verdade que a viagem migratória muitas vezes inicia com o medo, sobretudo quando perseguições e violências obrigam a fugir, com o trauma de abandonar os familiares e os bens que, em certa medida, asseguravam a sobrevivência; e, todavia, o sofrimento, as enormes perdas e às vezes um sentido de alienação diante do futuro incerto não destroem o sonho de reconstruir, com esperança e coragem, a vida num país estrangeiro. Na verdade, aqueles que emigram nutrem a confiança de encontrar acolhimento, obter ajuda solidária e entrar em contacto com pessoas que, compreendendo as contrariedades e a tragédia dos seus semelhantes e também reconhecendo os valores e recursos de que eles são portadores, estejam dispostas a compartilhar humanidade e bens materiais com quem é necessitado e desfavorecido. Na realidade, é preciso reafirmar que «a solidariedade universal é para nós um facto e um benefício, mas também um dever» (Enc. Caritas in veritate, 43). E assim, a par das dificuldades, os migrantes e refugiados podem experimentar também relações novas e hospitaleiras que os encorajem a contribuir para o bem-estar dos países de chegada com suas competências profissionais, o seu património sociocultural e também com o seu testemunho de fé, que muitas vezes dá impulso às comunidades de antiga tradição cristã, encoraja a encontrar Cristo e convida a conhecer a Igreja.

É verdade que cada Estado tem o direito de regular os fluxos migratórios e implementar políticas ditadas pelas exigências gerais do bem comum, mas assegurando sempre o respeito pela dignidade de cada pessoa. O direito que a pessoa tem de emigrar – como recorda o número 65 da Constituição conciliar Gaudium et spes – conta-se entre os direitos humanos fundamentais, com faculdade de cada um se estabelecer onde crê mais oportuno para uma melhor realização das suas capacidades e aspirações e dos seus projectos. No contexto sociopolítico actual, porém, ainda antes do direito a emigrar há que reafirmar o direito a não emigrar, isto é, a ter condições para permanecer na própria terra, podendo repetir, com o Beato João Paulo II, que «o direito primeiro do homem é viver na própria pátria. Este direito, entretanto, só se torna efectivo se se têm sob controle os factores que impelem à emigração (Discurso ao IV Congresso Mundial das Migrações, 9 de Outubro de 1998). De facto, hoje vemos que muitas migrações são consequência da precariedade económica, da carência dos bens essenciais, de calamidades naturais, de guerras e desordens sociais. Então emigrar, em vez de uma peregrinação animada pela confiança, pela fé e a esperança, torna-se um «calvário» de sobrevivência, onde homens e mulheres resultam mais vítimas do que autores e responsáveis das suas vicissitudes de migrante. Assim, enquanto há migrantes que alcançam uma boa posição e vivem com dignidade e adequada integração num ambiente de acolhimento, existem muitos outros que vivem em condições de marginalidade e, por vezes, de exploração e privação dos direitos humanos fundamentais, ou até assumem comportamentos danosos para a sociedade onde vivem. O caminho da integração compreende direitos e deveres, solicitude e cuidado pelos migrantes para que levem uma vida decorosa, mas supõe também a atenção dos migrantes aos valores que lhes proporciona a sociedade onde se inserem.

A este respeito, não podemos esquecer a questão da imigração ilegal, que se torna ainda mais impelente nos casos em que esta se configura como tráfico e exploração de pessoas, com maior risco para as mulheres e crianças. Tais delitos hão-de ser decididamente condenados e punidos, ao mesmo tempo que uma gestão regulamentada dos fluxos migratórios – que não se reduza ao encerramento hermético das fronteiras, ao agravamento das sanções contra os ilegais e à adopção de medidas que desencorajem novos ingressos – poderia pelo menos limitar o perigo de muitos migrantes acabarem vítimas dos referidos tráficos. Na verdade, hoje mais do que nunca são oportunas intervenções orgânicas e multilaterais para o desenvolvimento dos países de origem, medidas eficazes para erradicar o tráfico de pessoas, programas orgânicos dos fluxos de entrada legal, maior disponibilidade para considerar os casos individuais que requerem intervenções de protecção humanitária bem como de asilo político. As normativas adequadas devem estar associadas com uma paciente e constante acção de formação da mentalidade e das consciências. Em tudo isto, é importante reforçar e desenvolver as relações de bom entendimento e cooperação entre realidades eclesiais e institucionais que estão ao serviço do desenvolvimento integral da pessoa humana. Na perspectiva cristã, o compromisso social e humanitário recebe força da fidelidade ao Evangelho, com a consciência de que «aquele que segue Cristo, o homem perfeito, torna-se mais homem» (Gaudium et spes, 41).

Queridos irmãos e irmãs migrantes, oxalá esta Jornada Mundial vos ajude a renovar a confiança e a esperança no Senhor, que está sempre junto de vós! Não percais ocasião de encontrá-Lo e reconhecer o seu rosto nos gestos de bondade que recebeis ao longo da vossa peregrinação de migrantes. Alegrai-vos porque o Senhor está ao vosso lado e, com Ele, podereis superar obstáculos e dificuldades, valorizando os testemunhos de abertura e acolhimento que muitos vos oferecem. Na verdade, «a vida é como uma viagem no mar da história, com frequência enevoada e tempestuosa, uma viagem na qual perscrutamos os astros que nos indicam a rota. As verdadeiras estrelas da nossa vida são as pessoas que souberam viver com rectidão. Elas são luzes de esperança. Certamente, Jesus Cristo é a luz por antonomásia, o sol erguido sobre todas as trevas da história. Mas, para chegar até Ele, precisamos também de luzes vizinhas, de pessoas que dão luz recebida da luz d'Ele e oferecem, assim, orientação para a nossa travessia» (Enc. Spe salvi, 49).

Confio cada um de vós à Bem-aventurada Virgem Maria, sinal de consolação e segura esperança, «estrela do caminho», que nos acompanha com a sua materna presença em cada momento da vida, e, com afecto, a todos concedo a Bênção Apostólica.

Vaticano, 12 de Outubro de 2012.

BENEDICTUS PP. XVI

[01390-06.01] [Texto original: Italiano]

TRADUZIONE IN LINGUA POLACCA

Migracje: pielgrzymka wiary i nadziei

Drodzy bracia i siostry!

Sobór Watykański II w Konstytucji pastoralnej Gaudium et spes przypomniał, że «Kościół kroczy razem z całą ludzkością» (n. 40), dlatego «radość i nadzieja, smutek i trwoga ludzi współczesnych, zwłaszcza ubogich i wszystkich cierpiących, są też radością i nadzieją, smutkiem i trwogą uczniów Chrystusowych; i nie ma nic prawdziwie ludzkiego, co nie miałoby oddźwięku w ich sercu» (tamże, 1). W tym stwierdzeniu możemy usłyszeć echo nauczania Sługi Bożego Pawła VI, który mówił o Kościele, że ma «doświadczenie w sprawach ludzkich» (Enc. Populorum progressio, 13), i Błogosławionego Jana Pawła II, który stwierdził, że osoba ludzka jest «pierwszą drogą, po której winien kroczyć Kościół w wypełnianiu swojego posłannictwa (...), drogą wytyczoną przez samego Chrystusa» (Enc. Centesimus annus, 53). W mojej Encyklice Caritas in veritate, w nawiązaniu do nauki wyznaczonej przez moich Poprzedników, chciałem wyjaśnić, że «cały Kościół, w całym swoim istnieniu i działaniu, podczas gdy głosi, celebruje i działa w miłości, pragnie promować integralny rozwój człowieka» (n. 11), odnosząc się także do milionów mężczyzn i kobiet, którzy z różnych przyczyn, doświadczają migracji. W rzeczywistości, przepływ migracyjny «to zjawisko, które uderza ze względu na wielką liczbę objętych nim osób, z powodu problemów społecznych, ekonomicznych, politycznych, kulturowych i religijnych, jakie niesie, ze względu na dramatyczne wyzwania, jakie stawia przed społecznościami poszczególnych krajów i przed wspólnotą międzynarodową» (tamże, 62), ponieważ «każdy emigrant jest osobą ludzką, która — jako taka — ma niezbywalne i podstawowe prawa, które powinni szanować wszyscy w każdej sytuacji» (tamże).

W takim kontekście, nawiązując do obchodów 50-tej rocznicy rozpoczęcia Soboru Watykańskiego II i 60-tej rocznicy ogłoszenia Konstytucji Apostolskiej Exsul familia, w czasie, kiedy cały Kościół jest zaangażowany w przeżywanie Roku wiary, stając z entuzjazmem przed wyzwaniami nowej ewangelizacji, zechciałem poświęcić Światowy Dzień Migranta i Uchodźcy 2013 tematowi: «Migracje: pielgrzymka wiary i nadziei».

Istotnie wiara i nadzieja tworzą w sercach licznych migrantów nierozerwalną jedność, rodzącą się od momentu pojawienia się w nich pragnienia lepszego życia, połączonego często z chęcią pozostawienia za sobą «rozpaczy» wynikającej z niemożliwości budowania przyszłości. Równocześnie wyjazdy podejmowane przez wielu są animowane przez głębokie zaufanie Bogu, który nie opuszcza swoich stworzeń i ta pociecha czyni ich bardziej odpornymi na cierpienie wynikające z rozłąki i wyrwania z własnego środowiska, i być może daje nadzieję na powrót w przyszłości do ziemi ojczystej. Zatem wiara i nadzieja wypełniają bagaże tych, którzy emigrują, świadomych, że z nimi «możemy stawić czoło naszej teraźniejszości: teraźniejszość, nawet uciążliwą, można przeżywać i akceptować, jeśli ma jakiś cel i jeśli tego celu możemy być pewni, jeśli jest to cel tak wielki, że usprawiedliwia trud drogi» (Enc. Spe salvi, 1).

Na szerokim polu migracji matczyna troska Kościoła wyraża się w różnych wskazaniach. Z jednej strony Kościół postrzega migrację w kontekście biedy i cierpienia, które nierzadko są przyczyną różnych dramatów i tragedii. W tym miejscu koncentrują się różnorakie działania wychodzące naprzeciw licznym potrzebom, dzięki hojnemu poświęceniu pojedynczych osób i całych grup, stowarzyszeń wolontariuszy i ruchów, grup parafialnych i organizacji diecezjalnych, we współpracy z wszystkimi ludźmi dobrej woli. Z drugiej strony, Kościół nie zaniedbuje wskazywania pozytywnych aspektów, wielkiego potencjału i możliwości, jakie niesie z sobą rzeczywistość migracji. W tym wymiarze ważną rolę odgrywa gościnność, która sprzyja i prowadzi do integracji migrantów, ubiegających się o azyl i uchodźców w nowym kontekście socjalno-kulturowym, bez zaniedbywania wymiaru religijnego, istotnego dla życia każdego człowieka. Właśnie temu wymiarowi, do którego Kościół jest powołany, tej misji powierzonej mu przez samego Chrystusa, poświęca szczególną uwagę i troskę: jest ona jego szczególnym i najważniejszym zadaniem. W odniesieniu do wiernych chrześcijan pochodzących z różnych stron świata uwaga Kościoła skierowana na wymiar religijny obejmuje także dialog ekumeniczny oraz troskę o nowe wspólnoty, natomiast w odniesieniu do wiernych katolików uwaga ta wyraża się między innymi w tworzeniu nowych struktur pastoralnych i w docenianiu wartości różnych rytów, tak by było możliwe pełne zaangażowanie się w życie lokalnych wspólnot kościelnych. Rozwój człowieka idzie w parze z duchową komunią, która otwiera drogi «do autentycznego i nowego nawrócenia do Pana, jedynego Zbawiciela świata» (List. apost. Porta fidei, 6). Cennym darem, jaki niesie Kościół, jest zawsze to, że prowadzi do spotkania z Chrystusem, który otwiera na stałą i niezawodną nadzieję.

Kościół i różne organa, które się nim inspirują w odniesieniu do migrantów i uchodźców, są wezwani do unikania ryzyka zajmowania się zwykłą opiekuńczością i do promowania autentycznej integracji ze społeczeństwem, którego wszyscy członkowie aktywnie i odpowiedzialnie angażują się w dobro innych, hojnie wnosząc swój wkład, z pełnym prawem obywatelstwa i udziału w tych samych prawach i obowiązkach. Wszyscy, którzy emigrują, niosą w sobie uczucia zaufania i nadziei, które ich animują i pokrzepiają w poszukiwaniu najlepszego stylu życia. Jednakże poszukują oni nie tylko polepszenia swojej sytuacji ekonomicznej, społecznej czy politycznej. Prawdą jest, że wyjazd migracyjny jest często zainicjowany przez strach, przede wszystkim, kiedy prześladowania i przemoc zmuszają do ucieczki, w szoku związanym z opuszczeniem rodziny i dobytku, które w pewnej mierze zapewniały przetrwanie. Tym niemniej cierpienie, ogromne straty i często doświadczenie wyobcowania wobec niepewnej przyszłości nie niweczą marzeń o odbudowaniu, z nadzieją i odwagą, egzystencji w obcym kraju. W rzeczywistości ci, którzy migrują, karmią się nadzieją, że zostaną przyjęci, otrzymają prawdziwą pomoc i znajdą kontakt z osobami, które zrozumieją trudności i tragedię swoich bliźnich, a także dostrzegą w nich różne wartości i potencjał możliwości, jakie w sobie noszą, i będą gotowi do dzielenia się dobrami ludzkimi i materialnymi z tymi, którzy są w nieszczęściu i potrzebie. Trzeba bowiem stanowczo przypomnieć, że «powszechna solidarność, która jest faktem i dobrodziejstwem dla nas, jest również powinnością» (Enc. Caritas in veritate, 43). Migranci i uchodźcy, razem z trudnościami, mogą nawiązać nowe więzi i doświadczyć gościnności, które ich zachęcą do budowania dobrobytu kraju, do którego przybyli, wykorzystując swoje umiejętności zawodowe, swoje dziedzictwo społeczno-kulturowe i często także dając swoje świadectwo wiary, które da impuls wspólnotom o dawnej tradycji chrześcijańskiej, zachęci do spotkania z Chrystusem i zaprosi do poznawania Kościoła.

Oczywiście każde państwo ma prawo regulować przepływ migracji i realizować politykę podyktowaną ogólnymi wymaganiami dobra wspólnego, zawsze jednak zapewniając szacunek dla godności każdej osoby ludzkiej. Prawo człowieka do migrowania – jak przypomina Konstytucja soborowa Gaudium et spes w n. 65 – jest wpisane w podstawowe prawa ludzkie, z przysługującą każdemu możliwością osiedlenia się tam, gdzie wierzy, że będzie to z korzyścią dla lepszego realizowania jego zdolności, aspiracji i projektów. Jednakże, w aktualnym kontekście społeczno-politycznym, przed prawem do emigracji trzeba potwierdzić prawo do nie emigrowania, to znaczy do posiadania możliwości pozostania na swojej ziemi, powtarzając za Błogosławionym Janem Pawłem II, że «podstawowym prawem człowieka jest życie we własnej ojczyźnie: prawo, to staje się skuteczne tylko wtedy, gdy stale kontroluje czynniki, które popychają do emigracji» (Przemówienie do uczestników IV Kongresu Światowego na temat Migracji 1998). Dzisiaj faktycznie dostrzegamy, że liczne migracje są konsekwencją niepewności ekonomicznej, braku podstawowych dóbr, klęsk naturalnych, wojen, zamieszek społecznych. Zamiast pielgrzymki ożywionej ufnością, wiarą i nadzieją, migracja staje się «kalwarią» dla przetrwania, w której mężczyźni i kobiety są ofiarami bardziej, niż autorzy i odpowiedzialni za ich migracyjny los. Tak więc, podczas gdy są migranci, którzy osiągają dobrą pozycję i żyją godnie we właściwej integracji z otoczeniem, które ich przyjęło, liczni są również ci, którzy żyją w warunkach marginalizacji, a niekiedy wyzysku i pozbawienia fundamentalnych praw ludzkich lub też, którzy przyjmują postawy szkodliwe dla społeczności, w której żyją. Droga do integracji obejmuje prawa i obowiązki, uwagę i troskę o migrantów, by mieli godne życie, ale także wyczulenie migrantów na wartości, jakie oferuje społeczeństwo, w które się włączają.

W tym kontekście nie możemy zapominać o kwestii imigracji nielegalnej, temacie szczególnie bolesnym w sytuacjach, w których przybiera ona formę handlu i wyzysku osób, w szczególności zagrażającego kobietom i dzieciom. Takie występki powinny być zdecydowanie napiętnowane i karane, podczas gdy właściwe zarządzanie przepływem migracyjnym, które nie będzie zredukowane tylko do hermetycznego zamknięcia granic, do zaostrzenia sankcji wobec nielegalnych imigrantów, zastosowania środków, które powinny zniechęcać nowych przybyszów, mogłoby przynajmniej ograniczyć niebezpieczeństwo stawania się ofiarami wspomnianego handlu, grożące wielu migrantom. Są jak najbardziej wskazane harmonijne i wielostronne działania służące rozwojowi krajów pochodzenia migrantów, skuteczne środki zaradcze w celu wyeliminowania handlu ludźmi, spójne programy regulujące legalne przekraczanie granic, większa gotowość do rozwiązywania poszczególnych przypadków, które oprócz azylu politycznego wymagają pomocy humanitarnej. Z odpowiednimi przepisami powinno być związane cierpliwe i stałe dzieło formowania mentalności i sumień. W tym wszystkim jest ważne, aby wzmacniać i rozwijać relacje zrozumienia i współpracy pomiędzy organami kościelnymi a instytucjami, które działają na rzecz integralnego rozwoju osoby ludzkiej. W chrześcijańskiej koncepcji zaangażowanie społeczne i humanitarne czerpie siłę z wierności Ewangelii, ze świadomością, że «ktokolwiek idzie za Chrystusem, Człowiekiem doskonałym, sam też pełniej staje się człowiekiem» (Gaudium et spes, 41).

Drodzy bracia i siostry migranci, niech ten Światowy Dzień pomoże wam w odnowieniu zaufania i nadziei w Panu, który stoi zawsze obok nas. Nie straćcie okazji do spotkania Go i do rozpoznania Jego oblicza w gestach dobroci, które otrzymujecie podczas waszej migracyjnej pielgrzymki. Cieszcie się ponieważ Pan jest blisko was i razem z Nim możecie przezwyciężać przeszkody i trudności, ubogacając się świadectwami otwarcia i gościnności, które liczni ludzie wam ofiarowują. Faktycznie «życie jest niczym żegluga po morzu historii, często w ciemnościach i burzy, w której wyglądamy gwiazd wskazujących nam kurs. Prawdziwymi gwiazdami naszego życia są osoby, które potrafiły żyć w sposób prawy. One są światłami nadziei. Oczywiście, Jezus Chrystus sam jest światłem przez antonomazję, słońcem, które wzeszło nad wszystkimi ciemnościami historii. Aby jednak do Niego dotrzeć, potrzebujemy bliższych świateł – ludzi, którzy dają światło, czerpiąc je z Jego światła, i w ten sposób pozwalają nam orientować się w naszej przeprawie» (Enc. Spe salvi, 49).

Zawierzam każdego i każdą z was Najświętszej Maryi Pannie, która jest znakiem pewnej nadziei i pociechy, «gwiazdą podróżujących», Tej, która ze swoją macierzyńską obecnością jest nam bliska w każdym momencie życia, i wszystkim z serca udzielam Apostolskiego Błogosławieństwa.

Watykan, 12 października 2012 r.

BENEDICTUS PP. XVI

[01390-09.01] [Testo originale: Italiano]

[B0617-XX.01]