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CAPPELLA PAPALE NELLA SOLENNITÀ DEI SANTI APOSTOLI PIETRO E PAOLO, 29.06.2012


Alle ore 9 di oggi, Solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, nella Basilica Vaticana, il Santo Padre Benedetto XVI impone il sacro Pallio, preso dalla Confessione dell’Apostolo Pietro, a 43 nuovi Arcivescovi Metropoliti. Ad altri tre Presuli il sacro Pallio verrà consegnato nelle loro Sedi metropolitane.

Di seguito il Papa presiede la Concelebrazione Eucaristica con i nuovi Arcivescovi Metropoliti.
Come di consueto in occasione della Festa dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, Patroni della Città di Roma, è presente alla Santa Messa una Delegazione del Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli, composta da: Sua Eminenza Emmanuel Adamakis, Metropolita di Francia, Direttore dell’Ufficio della Chiesa ortodossa presso l’Unione Europea; Sua Grazia Ilias Katre, Vescovo di Philomelion (U.S.A,); Rev.do Diacono Paisios Kokkinakis, Codicografo del Santo Sinodo del Patriarcato Ecumenico.
Nel corso della Celebrazione Eucaristica, dopo la lettura del Vangelo, il Papa pronuncia l’omelia che riportiamo di seguito:

OMELIA DEL SANTO PADRE

Signori Cardinali,
venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
cari fratelli e sorelle!

Siamo riuniti attorno all’altare per celebrare solennemente i santi Apostoli Pietro e Paolo, principali Patroni della Chiesa di Roma. Sono presenti, ed hanno appena ricevuto il Pallio, gli Arcivescovi Metropoliti nominati durante l’ultimo anno, ai quali va il mio speciale e affettuoso saluto. E’ presente anche, inviata da Sua Santità Bartolomeo I, una eminente Delegazione del Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli, che accolgo con fraterna e cordiale riconoscenza. In spirito ecumenico sono lieto di salutare e ringraziare "The Choir of Westminster Abbey", che anima la Liturgia assieme alla Cappella Sistina. Saluto anche i Signori Ambasciatori e le Autorità civili: tutti ringrazio per la presenza e per la preghiera.

Davanti alla Basilica di San Pietro, come tutti sanno bene, sono collocate due imponenti statue degli Apostoli Pietro e Paolo, facilmente riconoscibili dalle loro prerogative: le chiavi nella mano di Pietro e la spada tra le mani di Paolo. Anche sul portale maggiore della Basilica di San Paolo fuori le mura sono raffigurate insieme scene della vita e del martirio di queste due colonne della Chiesa. La tradizione cristiana da sempre considera san Pietro e san Paolo inseparabili: in effetti, insieme, essi rappresentano tutto il Vangelo di Cristo. A Roma, poi, il loro legame come fratelli nella fede ha acquistato un significato particolare. Infatti, la comunità cristiana di questa Città li considerò come una specie di contraltare dei mitici Romolo e Remo, la coppia di fratelli a cui si faceva risalire la fondazione di Roma. Si potrebbe pensare anche a un altro parallelismo oppositivo, sempre sul tema della fratellanza: mentre, cioè, la prima coppia biblica di fratelli ci mostra l’effetto del peccato, per cui Caino uccide Abele, Pietro e Paolo, benché assai differenti umanamente l’uno dall’altro e malgrado nel loro rapporto non siano mancati conflitti, hanno realizzato un modo nuovo di essere fratelli, vissuto secondo il Vangelo, un modo autentico reso possibile proprio dalla grazia del Vangelo di Cristo operante in loro. Solo la sequela di Gesù conduce alla nuova fraternità: ecco il primo fondamentale messaggio che la solennità odierna consegna a ciascuno di noi, e la cui importanza si riflette anche sulla ricerca di quella piena comunione, cui anelano il Patriarca Ecumenico e il Vescovo di Roma, come pure tutti i cristiani.

Nel brano del Vangelo di san Matteo che abbiamo ascoltato poco fa, Pietro rende la propria confessione di fede a Gesù riconoscendolo come Messia e Figlio di Dio; lo fa anche a nome degli altri Apostoli. In risposta, il Signore gli rivela la missione che intende affidargli, quella cioè di essere la «pietra», la «roccia», il fondamento visibile su cui è costruito l’intero edificio spirituale della Chiesa (cfr Mt 16,16-19). Ma in che modo Pietro è la roccia? Come egli deve attuare questa prerogativa, che naturalmente non ha ricevuto per se stesso? Il racconto dell’evangelista Matteo ci dice anzitutto che il riconoscimento dell’identità di Gesù pronunciato da Simone a nome dei Dodici non proviene «dalla carne e dal sangue», cioè dalle sue capacità umane, ma da una particolare rivelazione di Dio Padre. Invece subito dopo, quando Gesù preannuncia la sua passione, morte e risurrezione, Simon Pietro reagisce proprio a partire da «carne e sangue»: egli «si mise a rimproverare il Signore: … questo non ti accadrà mai» (16,22). E Gesù a sua volta replicò: «Va’ dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo...» (v. 23). Il discepolo che, per dono di Dio, può diventare solida roccia, si manifesta anche per quello che è, nella sua debolezza umana: una pietra sulla strada, una pietra in cui si può inciampare – in greco skandalon. Appare qui evidente la tensione che esiste tra il dono che proviene dal Signore e le capacità umane; e in questa scena tra Gesù e Simon Pietro vediamo in qualche modo anticipato il dramma della storia dello stesso papato, caratterizzata proprio dalla compresenza di questi due elementi: da una parte, grazie alla luce e alla forza che vengono dall’alto, il papato costituisce il fondamento della Chiesa pellegrina nel tempo; dall’altra, lungo i secoli emerge anche la debolezza degli uomini, che solo l’apertura all’azione di Dio può trasformare.

E nel Vangelo di oggi emerge con forza la chiara promessa di Gesù: «le porte degli inferi», cioè le forze del male, non potranno avere il sopravvento, «non praevalebunt». Viene alla mente il racconto della vocazione del profeta Geremia, al quale il Signore, affidando la missione, disse: «Ecco, oggi io faccio di te come una città fortificata, una colonna di ferro e un muro di bronzo contro tutto il paese, contro i re di Giuda e i suoi capi, contro i suoi sacerdoti e il popolo del paese. Ti faranno guerra, ma non ti vinceranno - non praevalebunt - perché io sono con te per salvarti» (Ger 1,18-19). In realtà, la promessa che Gesù fa a Pietro è ancora più grande di quelle fatte agli antichi profeti: questi, infatti, erano minacciati solo dai nemici umani, mentre Pietro dovrà essere difeso dalle «porte degli inferi», dal potere distruttivo del male. Geremia riceve una promessa che riguarda lui come persona e il suo ministero profetico; Pietro viene rassicurato riguardo al futuro della Chiesa, della nuova comunità fondata da Gesù Cristo e che si estende a tutti i tempi, al di là dell’esistenza personale di Pietro stesso.

Passiamo ora al simbolo delle chiavi, che abbiamo ascoltato nel Vangelo. Esso rimanda all’oracolo del profeta Isaia sul funzionario Eliakìm, del quale è detto: «Gli porrò sulla spalla la chiave della casa di Davide: se egli apre, nessuno chiuderà; se egli chiude, nessuno potrà aprire» (Is 22,22). La chiave rappresenta l’autorità sulla casa di Davide. E nel Vangelo c’è un’altra parola di Gesù rivolta agli scribi e ai farisei, ai quali il Signore rimprovera di chiudere il regno dei cieli davanti agli uomini (cfr Mt 23,13). Anche questo detto ci aiuta a comprendere la promessa fatta a Pietro: a lui, in quanto fedele amministratore del messaggio di Cristo, spetta di aprire la porta del Regno dei Cieli, e di giudicare se accogliere o respingere (cfr Ap 3,7). Le due immagini – quella delle chiavi e quella del legare e sciogliere – esprimono pertanto significati simili e si rafforzano a vicenda. L’espressione «legare e sciogliere» fa parte del linguaggio rabbinico e allude da un lato alle decisioni dottrinali, dall’altro al potere disciplinare, cioè alla facoltà di infliggere e di togliere la scomunica. Il parallelismo «sulla terra … nei cieli» garantisce che le decisioni di Pietro nell’esercizio di questa sua funzione ecclesiale hanno valore anche davanti a Dio.

Nel capitolo 18 del Vangelo secondo Matteo, dedicato alla vita della comunità ecclesiale, troviamo un altro detto di Gesù rivolto ai discepoli: «In verità vi dico: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo» (Mt 18,18). E san Giovanni, nel racconto dell’apparizione di Cristo risorto in mezzo agli Apostoli alla sera di Pasqua, riporta questa parola del Signore: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati» (Gv 20,22-23). Alla luce di questi parallelismi, appare chiaramente che l’autorità di sciogliere e di legare consiste nel potere di rimettere i peccati. E questa grazia, che toglie energia alle forze del caos e del male, è nel cuore del mistero e del ministero della Chiesa. La Chiesa non è una comunità di perfetti, ma di peccatori che si debbono riconoscere bisognosi dell’amore di Dio, bisognosi di essere purificati attraverso la Croce di Gesù Cristo. I detti di Gesù sull’autorità di Pietro e degli Apostoli lasciano trasparire proprio che il potere di Dio è l’amore, l’amore che irradia la sua luce dal Calvario. Così possiamo anche comprendere perché, nel racconto evangelico, alla confessione di fede di Pietro fa seguito immediatamente il primo annuncio della passione: in effetti, Gesù con la sua morte ha vinto le potenze degli inferi, nel suo sangue ha riversato sul mondo un fiume immenso di misericordia, che irriga con le sue acque risanatrici l’umanità intera.

Cari fratelli, come ricordavo all’inizio, la tradizione iconografica raffigura san Paolo con la spada, e noi sappiamo che questa rappresenta lo strumento con cui egli fu ucciso. Leggendo, però, gli scritti dell’Apostolo delle genti, scopriamo che l’immagine della spada si riferisce a tutta la sua missione di evangelizzatore. Egli, ad esempio, sentendo avvicinarsi la morte, scrive a Timoteo: «Ho combattuto la buona battaglia» (2 Tm 4,7). Non certo la battaglia di un condottiero, ma quella di un annunciatore della Parola di Dio, fedele a Cristo e alla sua Chiesa, a cui ha dato tutto se stesso. E proprio per questo il Signore gli ha donato la corona di gloria e lo ha posto, insieme con Pietro, quale colonna nell’edificio spirituale della Chiesa.

Cari Metropoliti: il Pallio che vi ho conferito vi ricorderà sempre che siete stati costituiti nel e per il grande mistero di comunione che è la Chiesa, edificio spirituale costruito su Cristo pietra angolare e, nella sua dimensione terrena e storica, sulla roccia di Pietro. Animati da questa certezza, sentiamoci tutti insieme cooperatori della verità, la quale – sappiamo – è una e «sinfonica», e richiede da ciascuno di noi e dalle nostre comunità l’impegno costante della conversione all’unico Signore nella grazia dell’unico Spirito. Ci guidi e ci accompagni sempre nel cammino della fede e della carità la Santa Madre di Dio. Regina degli Apostoli, prega per noi! Amen.

[00926-01.01] [Testo originale: Italiano]

TRADUZIONE IN LINGUA FRANCESE

Messieurs les Cardinaux,
Vénérés Frères dans l’épiscopat et dans le sacerdoce,
Chers frères et sœurs,

Nous sommes réunis autour de l’autel pour célébrer solennellement les saints Pierre et Paul, Patrons principaux de l’Église de Rome. Sont présents, et viennent de recevoir le Pallium, les Archevêques Métropolitains nommés durant l’année dernière, auxquels va mon salut spécial et affectueux. Est présente aussi, envoyée par Sa Sainteté Bartholomée Ier, une éminente Délégation du Patriarcat œcuménique de Constantinople, que j’accueille avec reconnaissance fraternelle et cordiale. Dans un esprit œcuménique, je suis heureux de saluer et de remercier The Choir of Westminster Abbey, qui anime la Liturgie avec la Cappella Sistina. Je salue également Messieurs les Ambassadeurs et les Autorités civiles : je vous remercie tous pour votre présence et votre prière.

Devant la Basilique de saint Pierre, comme chacun le sait, sont dressées deux imposantes statues des Apôtres Pierre et Paul, facilement reconnaissables par leurs attributs : les clefs dans la main de Pierre et l’épée entre celles de Paul. Sur le portail majeur de la Basilique de saint Paul hors les murs sont aussi représentées ensemble des scènes de la vie et du martyre de ces deux colonnes de l’Église. Depuis toujours, la tradition chrétienne considère saint Pierre et saint Paul comme inséparables : en effet, ensemble, ils représentent tout l’Évangile du Christ. Ensuite, leur lien comme frères dans la foi a acquis un sens particulier à Rome. En effet, la communauté chrétienne de cette Ville les considère comme une espèce de contre-autel des mythiques Romulus et Remus, la fratrie à laquelle on faisait remonter la fondation de Rome. On pourrait penser aussi à un autre parallélisme ‘oppositif’, toujours sur le thème de la fraternité : alors que la première fratrie biblique nous montre l’effet du péché, pour lequel Caïn tue Abel, Pierre et Paul, bien qu’humainement très différents l’un de l’autre, et malgré les conflits qui n’ont pas manqué dans leur rapport, ont réalisé une manière nouvelle d’être frères, vécue selon l’Évangile, une manière authentique rendue possible par la grâce de l’Évangile du Christ opérant en eux. Seule la sequela du Christ conduit à la nouvelle fraternité : voici le premier message fondamental que la solennité d’aujourd’hui livre à chacun de nous, et dont l’importance se reflète aussi sur la recherche de cette pleine communion, à laquelle aspirent le Patriarcat œcuménique et l’Évêque de Rome, ainsi que tous les chrétiens.

Dans le passage de l’évangile de saint Matthieu que nous venons d’entendre, Pierre fait sa confession de foi à Jésus, le reconnaissant comme Messie et Fils de Dieu ; il la fait aussi au nom des autres Apôtres. En réponse, le Seigneur lui révèle la mission qu’il entend lui confier, celle d’être la ‘pierre’, le ‘roc’, la fondation visible sur laquelle est construit l’entier édifice spirituel de l’Église (cf. Mt 16, 16-19). Mais de quelle façon Pierre est-il le roc ? Comment doit-il mettre en œuvre cette prérogative, que naturellement il n’a pas reçue pour lui-même ? Le récit de l’évangéliste Matthieu nous dit surtout que la reconnaissance de l’identité de Jésus prononcée par Simon au nom des Douze ne provient pas « de la chair et du sang », c’est-à-dire de ses capacités humaines, mais d’une révélation particulière de Dieu le Père. Par contre, tout de suite après, quand Jésus annonce sa passion, mort et résurrection, Simon Pierre réagit vraiment à partir de « la chair  et du sang » : il « se mit à lui faire de vifs reproches : … cela ne t’arrivera pas » (16, 22). Et Jésus réplique à son tour : « Passe derrière moi, Satan, tu es un obstacle sur ma route » (v. 23). Le disciple qui, par don de Dieu, peut devenir un roc solide, se manifeste aussi pour ce qu’il est, dans sa faiblesse humaine : une pierre sur la route, une pierre contre laquelle on peut buter- en grec skandalon. Apparaît ici évidente la tension qui existe entre le don qui provient du Seigneur et les capacités humaines ; et dans cette scène entre Jésus et Simon Pierre, nous voyons en quelque sorte anticipé le drame de l’histoire de la papauté-même, caractérisée justement par la coexistence de ces deux éléments : d’une part, grâce à la lumière et à la force qui viennent d’en-haut, la papauté constitue le fondement de l’Église pèlerine dans le temps ; d’autre part, au long des siècles, émerge aussi la faiblesse des hommes, que seule l’ouverture à l’action de Dieu peut transformer.

De l’Évangile d’aujourd’hui, il ressort avec force la promesse claire de Jésus : « les portes des enfers », c’est-à-dire les forces du mal, ne pourront pas prévaloir, « non praevalebunt ». Vient à l’esprit le récit de la vocation du prophète Jérémie, à qui le Seigneur dit, en lui confiant sa mission : « Moi, je fais de toi aujourd’hui une ville fortifiée, une colonne de fer, un rempart de bronze, pour faire face à tout le pays, aux rois de Juda et à ses chefs, à ses prêtres et à tout le peuple. Ils te combattront, mais ils ne pourront rien contre toi - non praevalebunt -, car je suis avec toi pour te délivrer » (Jr 1, 18-19). En réalité, la promesse que Jésus fait à Pierre est encore plus grande que celles faites aux prophètes antiques : ceux-ci, en effet, étaient menacés uniquement par des ennemis humains, alors que Pierre devra être défendu des « portes des enfers », du pouvoir destructif du mal. Jérémie reçoit une promesse qui le concerne comme personne et concerne son ministère prophétique. Pierre est rassuré au sujet de l’avenir de l’Église, de la nouvelle communauté fondée par Jésus Christ et qui s’étend à tous les temps, au-delà de l’existence personnelle de Pierre lui-même.

Passons à présent au symbole des clefs, dont parle l’Évangile que nous venons d’entendre. Il renvoie à l’oracle du prophète Isaïe sur le fonctionnaire éliakim, dont il est dit : « Je mettrai sur son épaule la clef de la maison de David : s’il ouvre, personne ne fermera ; s’il ferme, personne n’ouvrira » (Is 22, 22). La clef représente l’autorité sur la maison de David. Et dans l’Évangile, il y a une autre parole de Jésus adressée aux scribes et aux pharisiens, auxquels le Seigneur reproche de fermer aux hommes le Royaume des Cieux (cf. Mt 23, 13). Ces propos également nous aident à comprendre la promesse faite à Pierre : c’est à lui, en tant que fidèle administrateur du message du Christ, qu’il revient d’ouvrir la porte du Royaume des Cieux, et de juger s’il faut accueillir ou rejeter (cf. Ap 3, 7). Les deux images – celle des clefs et celle de lier et de délier – expriment donc des significations semblables et se renforcent l’une l’autre. L’expression « lier et délier » fait partie du langage rabbinique et fait allusion, d’un côté, aux décisions doctrinales et, de l’autre, au pouvoir disciplinaire, c’est-à-dire à la faculté d’infliger et de lever l’excommunication. Le parallélisme « sur terre … dans les cieux » garantit que les décisions de Pierre dans l’exercice de sa fonction ecclésiale ont également une valeur devant Dieu.

Dans le chapitre 18 de l’Évangile selon Matthieu, consacré à la vie de la communauté ecclésiale, nous trouvons une autre affirmation de Jésus adressée à ses disciples : « En vérité je vous le dis : tout ce que vous lierez sur terre sera lié dans le ciel, et tout ce que vous délierez sur terre sera délié dans le ciel » (Mt 18, 18). Et saint Jean, dans le récit de l’apparition du Christ ressuscité aux Apôtres le soir de Pâques, rapporte cette parole du Seigneur : « Recevez l’Esprit Saint. Tout homme à qui vous remettrez ses péchés, ils lui seront remis ; tout homme à qui vous maintiendrez ses péchés, ils lui seront maintenus » (Jn 20, 22-23). À la lumière de ces parallélismes, il apparaît clairement que l’autorité de délier et de lier consiste dans le pouvoir de remettre les péchés. Et cette grâce, qui enlève l’énergie aux forces du chaos et du mal, est au cœur du mystère et du ministère de l’Église. L’Église n’est pas une communauté de personnes parfaites, mais de pécheurs qui doivent reconnaître qu’ils ont besoin de l’amour de Dieu et qu’ils ont besoin d’être purifiés par la Croix de Jésus Christ. Les paroles de Jésus au sujet de l’autorité de Pierre et des Apôtres laissent justement transparaître que le pouvoir de Dieu est l’amour, l’amour qui répand sa lumière à partir du Calvaire. Ainsi, nous pouvons aussi comprendre pourquoi, dans le récit évangélique, à la profession de foi de Pierre fait immédiatement suite la première annonce de la passion : en effet, Jésus par sa mort a vaincu les puissances de l’enfer, par son sang il a reversé sur le monde un immense fleuve de miséricorde, qui irrigue de ses eaux assainissantes l’humanité tout entière.

Chers frères, comme je le rappelais au début, la tradition iconographique représente saint Paul avec l’épée, et nous savons que cela figure l’instrument avec lequel il fut tué. Mais, en lisant les écrits de l’Apôtre des Gentils, nous découvrons que l’image de l’épée se réfère à toute sa mission d’évangélisateur. Par exemple, sentant la mort s’approcher, il écrit à Timothée : « j’ai combattu le bon combat » (2 Tm 4,7). Non certes le combat d’un grand capitaine, mais celui d’un annonciateur de la Parole de Dieu, fidèle au Christ et à son Église, à laquelle il s’est donné totalement. Et c’est justement pour cela que le Seigneur lui a donné la couronne de gloire et l’a placé, avec Pierre, comme colonne de l’édifice spirituel de l’Église.

Chers Métropolites : le Pallium que je vous ai conféré, vous rappellera toujours que vous avez été constitués dans et pour le grand mystère de communion qu’est l’Église, édifice spirituel construit sur le Christ, la pierre angulaire et, dans sa dimension terrestre et historique, sur le roc de Pierre. Animés par cette certitude, sentons-nous tous ensemble coopérateurs de la vérité, laquelle – nous le savons – est une et ‘symphonique’, et exige de chacun de nous et de nos communautés l’engagement constant à la conversion à l’unique Seigneur dans la grâce de l’unique Esprit. Que la Sainte Mère de Dieu nous guide et nous accompagne toujours sur le chemin de la foi et de la charité. Reine des Apôtres, priez pour nous ! Amen.

[00926-03.0] [Texte original: Italien]

TRADUZIONE IN LINGUA INGLESE

Your Eminences,
Brother Bishops and Priests,
Dear Brothers and Sisters,

We are gathered around the altar for our solemn celebration of Saints Peter and Paul, the principal Patrons of the Church of Rome. Present with us today are the Metropolitan Archbishops appointed during the past year, who have just received the Pallium, and to them I extend a particular and affectionate greeting. Also present is an eminent Delegation from the Ecumenical Patriarchate of Constantinople, sent by His Holiness Bartholomaios I, and I welcome them with fraternal and heartfelt gratitude. In an ecumenical spirit, I am also pleased to greet and to thank the Choir of Westminster Abbey, who are providing the music for this liturgy alongside the Cappella Sistina. I also greet the Ambassadors and civil Authorities present. I am grateful to all of you for your presence and your prayers.

In front of Saint Peter’s Basilica, as is well known, there are two imposing statues of Saint Peter and Saint Paul, easily recognizable by their respective attributes: the keys in the hand of Peter and the sword held by Paul. Likewise, at the main entrance to the Basilica of Saint Paul Outside the Walls, there are depictions of scenes from the life and the martyrdom of these two pillars of the Church. Christian tradition has always considered Saint Peter and Saint Paul to be inseparable: indeed, together, they represent the whole Gospel of Christ. In Rome, their bond as brothers in the faith came to acquire a particular significance. Indeed, the Christian community of this City considered them a kind of counterbalance to the mythical Romulus and Remus, the two brothers held to be the founders of Rome. A further parallel comes to mind, still on the theme of brothers: whereas the first biblical pair of brothers demonstrate the effects of sin, as Cain kills Abel, yet Peter and Paul, much as they differ from one another in human terms and notwithstanding the conflicts that arose in their relationship, illustrate a new way of being brothers, lived according to the Gospel, an authentic way made possible by the grace of Christ’s Gospel working within them. Only by following Jesus does one arrive at this new brotherhood: this is the first and fundamental message that today’s solemnity presents to each one of us, the importance of which is mirrored in the pursuit of full communion, so earnestly desired by the ecumenical Patriarch and the Bishop of Rome, as indeed by all Christians.

In the passage from Saint Matthew’s Gospel that we have just heard, Peter makes his own confession of faith in Jesus, acknowledging him as Messiah and Son of God. He does so in the name of the other Apostles too. In reply, the Lord reveals to him the mission that he intends to assign to him, that of being the "rock", the visible foundation on which the entire spiritual edifice of the Church is built (cf. Mt 16:16-19). But in what sense is Peter the rock? How is he to exercise this prerogative, which naturally he did not receive for his own sake? The account given by the evangelist Matthew tells us first of all that the acknowledgment of Jesus’ identity made by Simon in the name of the Twelve did not come "through flesh and blood", that is, through his human capacities, but through a particular revelation from God the Father. By contrast, immediately afterwards, as Jesus foretells his passion, death and resurrection, Simon Peter reacts on the basis of "flesh and blood": he "began to rebuke him, saying, this shall never happen to you" (16:22). And Jesus in turn replied: "Get behind me, Satan! You are a hindrance to me ..." (16:23). The disciple who, through God’s gift, was able to become a solid rock, here shows himself for what he is in his human weakness: a stone along the path, a stone on which men can stumble – in Greek, skandalon. Here we see the tension that exists between the gift that comes from the Lord and human capacities; and in this scene between Jesus and Simon Peter we see anticipated in some sense the drama of the history of the papacy itself, characterized by the joint presence of these two elements: on the one hand, because of the light and the strength that come from on high, the papacy constitutes the foundation of the Church during its pilgrimage through history; on the other hand, across the centuries, human weakness is also evident, which can only be transformed through openness to God’s action.

And in today’s Gospel there emerges powerfully the clear promise made by Jesus: "the gates of the underworld", that is, the forces of evil, will not prevail, "non praevalebunt". One is reminded of the account of the call of the prophet Jeremiah, to whom the Lord said, when entrusting him with his mission: "Behold, I make you this day a fortified city, an iron pillar, and bronze walls, against the whole land, against the kings of Judah, its princes, its priests, and the people of the land. They will fight against you; but they shall not prevail against you - non praevalebunt -, for I am with you, says the Lord, to deliver you!" (Jer 1:18-19). In truth, the promise that Jesus makes to Peter is even greater than those made to the prophets of old: they, indeed, were threatened only by human enemies, whereas Peter will have to be defended from the "gates of the underworld", from the destructive power of evil. Jeremiah receives a promise that affects him as a person and his prophetic ministry; Peter receives assurances concerning the future of the Church, the new community founded by Jesus Christ, which extends to all of history, far beyond the personal existence of Peter himself.

Let us move on now to the symbol of the keys, which we heard about in the Gospel. It echoes the oracle of the prophet Isaiah concerning the steward Eliakim, of whom it was said: "And I will place on his shoulder the key of the house of David; he shall open, and none shall shut; and he shall shut, and none shall open" (Is 22:22). The key represents authority over the house of David. And in the Gospel there is another saying of Jesus addressed to the scribes and the Pharisees, whom the Lord reproaches for shutting off the kingdom of heaven from people (cf. Mt 23:13). This saying also helps us to understand the promise made to Peter: to him, inasmuch as he is the faithful steward of Christ’s message, it belongs to open the gate of the Kingdom of Heaven, and to judge whether to admit or to refuse (cf. Rev 3:7). Hence the two images – that of the keys and that of binding and loosing – express similar meanings which reinforce one another. The expression "binding and loosing" forms part of rabbinical language and refers on the one hand to doctrinal decisions, and on the other hand to disciplinary power, that is, the faculty to impose and to lift excommunication. The parallelism "on earth ... in the heavens" guarantees that Peter’s decisions in the exercise of this ecclesial function are valid in the eyes of God.

In Chapter 18 of Matthew’s Gospel, dedicated to the life of the ecclesial community, we find another saying of Jesus addressed to the disciples: "Truly I say to you, whatever you bind on earth shall be bound in heaven, and whatever you loose on earth shall be loosed in heaven" (Mt 18:18). Saint John, in his account of the appearance of the risen Christ in the midst of the Apostles on Easter evening, recounts these words of the Lord: "Receive the Holy Spirit. If you forgive the sins of any, they are forgiven: if you retain the sins of any, they are retained" (Jn 20:22-23). In the light of these parallels, it appears clearly that the authority of loosing and binding consists in the power to remit sins. And this grace, which defuses the powers of chaos and evil, is at the heart of the Church’s mystery and ministry. The Church is not a community of the perfect, but a community of sinners, obliged to recognize their need for God’s love, their need to be purified through the Cross of Jesus Christ. Jesus’ sayings concerning the authority of Peter and the Apostles make it clear that God’s power is love, the love that shines forth from Calvary. Hence we can also understand why, in the Gospel account, Peter’s confession of faith is immediately followed by the first prediction of the Passion: through his death, Jesus conquered the powers of the underworld, with his blood he poured out over the world an immense flood of mercy, which cleanses the whole of humanity in its healing waters.

Dear brothers and sisters, as I mentioned at the beginning, the iconographic tradition represents Saint Paul with a sword, and we know that this was the instrument with which he was killed. Yet as we read the writings of the Apostle of the Gentiles, we discover that the image of the sword refers to his entire mission of evangelization. For example, when he felt death approaching, he wrote to Timothy: "I have fought the good fight" (2 Tim 4:7). This was certainly not the battle of a military commander but that of a herald of the Word of God, faithful to Christ and to his Church, to which he gave himself completely. And that is why the Lord gave him the crown of glory and placed him, together with Peter, as a pillar in the spiritual edifice of the Church.

Dear Metropolitan Archbishops, the Pallium that I have conferred on you will always remind you that you have been constituted in and for the great mystery of communion that is the Church, the spiritual edifice built upon Christ as the cornerstone, while in its earthly and historical dimension, it is built on the rock of Peter. Inspired by this conviction, we know that together we are all cooperators of the truth, which as we know is one and "symphonic", and requires from each of us and from our communities a constant commitment to conversion to the one Lord in the grace of the one Spirit. May the Holy Mother of God guide and accompany us always along the path of faith and charity. Queen of Apostles, pray for us! Amen.

[00926-02.01] [Original text: Italian]

TRADUZIONE IN LINGUA TEDESCA

Meine Herren Kardinäle,
verehrte Mitbrüder im bischöflichen und priesterlichen Dienst,
liebe Brüder und Schwestern!

Wir sind um den Altar versammelt, um in festlichem Glanz die heiligen Apostel Petrus und Paulus, die Hauptpatrone Roms, zu feiern. Unter uns weilen die im letzten Jahr ernannten Erzbischöfe der Metropolitansitze; sie haben soeben das Pallium erhalten, und ihnen gilt mein besonderer und freundschaftlicher Gruß. Ebenfalls anwesend ist eine von Seiner Heiligkeit Bartholomäus I. entsandte hochrangige Delegation des ökumenischen Patriarchats von Konstantinopel, die ich in brüderlicher wie herzlicher Verbundenheit empfange. In ökumenischem Geist freue ich mich, den Chor der Westminster Abbey, der gemeinsam mit der Cappella Sistina die musikalische Gestaltung der Liturgie übernommen hat, zu begrüßen und ihm zu danken. Ich grüße auch die Damen und Herren Botschafter sowie die Repräsentanten des öffentlichen Lebens: Allen danke ich für ihre Anwesenheit und für ihr Gebet.

Vor der Petersbasilika stehen bekanntlich zwei imposante Statuen der Apostel Petrus und Paulus, die leicht an ihren Attributen – den Schlüsseln in der Hand des Petrus und dem Schwert in den Händen des Paulus – zu erkennen sind. Auch auf dem Hauptportal der Basilika Sankt Paul vor den Mauern sind Szenen aus dem Leben und aus dem Martyrium dieser beiden Säulen der Kirche gemeinsam dargestellt. Die christliche Überlieferung betrachtet von je her die heiligen Petrus und Paulus als untrennbar – zusammen stehen sie tatsächlich für das ganze Evangelium Christi. In Rom hat dann ihre Verbindung als Brüder im Glauben eine besondere Bedeutung erlangt. Die christliche Gemeinde dieser Stadt sah sie nämlich als eine Art Gegenaltar zu den mythischen Gestalten von Romulus und Remus, dem Brüderpaar, auf das man die Gründung Roms zurückführte. Man könnte auch noch an eine andere kontrastierende Parallele denken, ebenfalls zum Thema der Bruderschaft: Das erste Brüderpaar der Bibel zeigt uns nämlich die Wirkung der Sünde, als Kain den Abel tötet. Dagegen haben Petrus und Paulus, obwohl sie menschlich sehr verschieden waren und es in ihrer Beziehung nicht an Konflikten gefehlt hat, eine neue, nach dem Evangelium gelebte Art, Brüder zu sein, verwirklicht – eine authentische Art und Weise, die eben durch die in ihnen wirkende Gnade des Evangeliums Christi möglich wurde. Nur die Nachfolge Christi führt zur neuen Brüderlichkeit: Das ist die erste grundlegende Botschaft, die das heutige Hochfest jedem von uns überbringt und deren Bedeutung sich auch in dem Ringen um jene volle Gemeinschaft widerspiegelt, die der Ökumenische Patriarch und der Bischof von Rom wie auch alle Christen ersehnen.

In dem Abschnitt aus dem Matthäus-Evangelium, den wir eben gehört haben, legt Petrus ein Zeugnis seines Glaubens an Jesus ab, indem er ihn als Messias und Sohn Gottes bekennt; er tut das auch im Namen der anderen Apostel. Als Antwort offenbart der Herr ihm die Sendung, die er ihm anvertrauen will, nämlich „petra", der „Fels" zu sein, das sichtbare Fundament, auf dem das gesamte geistliche Gebäude der Kirche errichtet ist (vgl. Mt 16,16-19). Doch in welcher Weise ist Petrus der Fels? Wie muß er diese Sonderposition verwirklichen, die er natürlich nicht für sich selbst erhalten hat? Die Erzählung des Evangelisten Matthäus sagt uns zunächst, daß die Erkenntnis der Identität Jesu, die Simon im Namen der Zwölf kundgetan hat, nicht aus „Fleisch und Blut", das heißt aus seinen menschlichen Fähigkeiten hervorgegangen ist, sondern auf einer besonderen Offenbarung Gott Vaters beruht. Unmittelbar danach, jedoch, als Jesus sein Leiden, seinen Tod und seine Auferstehung ankündigt, reagiert Simon Petrus genau nach dem Impuls von „Fleisch und Blut": Er „machte ihm Vorwürfe … Das darf nicht mit dir geschehen!" (16,22). Und Jesus erwiderte: „Weg mit dir, Satan, geh mir aus den Augen! Du willst mich zu Fall bringen" (V. 23). Der Jünger, der durch die Gabe Gottes ein starker Fels werden kann, zeigt sich auch als das, was er in seiner menschlichen Schwachheit ist: ein Stein auf der Straße, ein Stein, an dem man anstoßen und zu Fall kommen kann – skandalon, auf Griechisch. Hier tritt die Spannung, die zwischen der Gabe, die von Herrn kommt, und den menschlichen Fähigkeiten besteht, offen zutage. Und in dieser Szene zwischen Jesus und Simon Petrus sehen wir das Drama der Geschichte des Papsttums, die gerade durch das Miteinander dieser beiden Elemente gekennzeichnet ist, gewissermaßen vorweggenommen: Einerseits ist das Papsttum dank dem Licht und der Kraft aus der Höhe das Fundament der in der Zeit pilgernden Kirche; andererseits kommt im Laufe der Jahrhunderte auch die Schwäche der Menschen zum Vorschein, die nur durch ein Sich-Öffnen auf das Handeln Gottes hin verwandelt werden kann.

Und es erscheint im heutigen Evangelium mit Nachdruck die klare Verheißung Jesu: „Die Mächte der Unterwelt", das heißt die Mächte des Bösen, werden nicht die Oberhand gewinnen können, „non praevalebunt". Dabei kommt einem die Erzählung von der Berufung des Propheten Jeremias in den Sinn, zu dem der Herr, als er ihm die Sendung aufträgt, sagt: „Ich selbst mache dich heute zur befestigten Stadt, zur eisernen Säule und zur ehernen Mauer gegen das ganze Land, gegen die Könige, Beamten und Priester von Juda und gegen die Bürger des Landes. Mögen sie dich bekämpfen, sie werden dich nicht bezwingen – non praevalebunt –; denn ich bin mit dir, um dich zu retten" (Jer 1,18-19). In Wirklichkeit ist die Verheißung, die Jesus dem Petrus gibt, noch größer als diejenigen, welche den alten Propheten gemacht wurden: Diese waren nämlich nur durch ihre menschlichen Feinde bedroht, während Petrus gegen die „Mächte der Unterwelt", gegen die zerstörerische Macht des Bösen verteidigt werden muß. Jeremias empfängt eine Verheißung, die ihn als Menschen und seinen prophetischen Dienst betrifft; Petrus wird in bezug auf die Zukunft der Kirche, der neuen Gemeinschaft beruhigt, die von Jesus Christus gegründet ist und sich über das persönliche Leben des Petrus hinaus auf alle Zeiten erstreckt.

Kommen wir nun zum Symbol der Schlüssel, von dem wir im Evangelium gehört haben. Es verweist auf den Spruch des Propheten Jesaja über den Verwalter Eljakim, von dem es heißt: „Ich lege ihm den Schlüssel des Hauses David auf die Schulter. Wenn er öffnet, kann niemand schließen; wenn er schließt, kann niemand öffnen" (Jes 22,22). Der Schlüssel stellt die Autorität über das Haus David dar. Und es gibt im Evangelium noch ein anderes Wort Jesu, das an die Schriftgelehrten und an die Pharisäer gerichtet ist, denen der Herr vorwirft, den Menschen das Himmelreich zu verschließen (vgl. Mt 23,13). Auch diese Aussage hilft uns, die Verheißung an Petrus zu verstehen: Ihm als dem treuen Verwalter der Botschaft Christi kommt es zu, die Tür des Himmelreiches zu öffnen und zu beurteilen, wer aufzunehmen und wer zurückzuweisen ist (vgl. Offb 3,7). So drücken die beiden Bilder – das der Schlüssel und das des Bindens und Lösens – ähnliche Bedeutungen aus und bestärken sich gegenseitig. Das Wort vom „Binden und Lösen" gehört zum rabbinischen Sprachgebrauch und spielt einerseits auf doktrinelle Entscheidungen an und andererseits auf die Disziplinargewalt, also auf die Macht, die Exkommunikation zu verhängen und aufzuheben. Die Parallele „auf Erden … im Himmel" gibt die Gewähr, daß die Entscheidungen Petri in der Ausübung dieser seiner kirchlichen Funktion auch vor Gott Gültigkeit besitzen.

Im 18. Kapitel des Matthäus-Evangeliums, das dem Leben der kirchlichen Gemeinde gewidmet ist, finden wir ein weiteres Wort Jesu an seine Jünger: „Amen, ich sage euch: Alles, was ihr auf Erden binden werdet, das wird auch im Himmel gebunden sein und alles, was ihr auf Erden lösen werdet, das wird auch im Himmel gelöst sein" (Mt 18,18). Und der heilige Johannes gibt in seiner Erzählung von der Erscheinung des auferstandenen Christus am Osterabend inmitten der Apostel dieses Herrenwort wider: „Empfangt den Heiligen Geist! Wem ihr die Sünden vergebt, dem sind sie vergeben; wem ihr die Vergebung verweigert, dem ist sie verweigert" (Joh 20,22-23). Im Licht dieser Parallelen wird deutlich, daß die Autorität zu lösen und zu binden in der Macht besteht, die Sünden zu vergeben. Und diese Gnade, die den Kräften des Chaos und des Bösen ihre Wirksamkeit entzieht, liegt im Herzen des Mysteriums und des Dienstes der Kirche. Die Kirche ist nicht eine Gemeinschaft von Vollkommenen, sondern von Sündern, die zugeben müssen, daß sie der Liebe Gottes bedürfen, daß sie es nötig haben, durch das Kreuz Jesu Christi gereinigt zu werden. Die Aussagen Jesu über die Autorität Petri und der Apostel lassen gerade dieses erahnen: daß die Macht Gottes die Liebe ist, die Liebe, die ihr Licht von Golgotha her ausstrahlt. So können wir auch begreifen, warum in der Erzählung des Evangeliums unmittelbar auf das Glaubensbekenntnis des Petrus die erste Leidensankündigung folgt: Mit seinem Tod hat Jesus tatsächlich die Mächte der Unterwelt besiegt, in seinem Blut hat er einen riesigen Strom der Barmherzigkeit über die Welt ausgegossen, der mit seinen heilbringenden Wassern die gesamte Menschheit tränkt.

Liebe Brüder und Schwestern, wie ich zu Anfang sagte, stellt die ikonographische Tradition den heiligen Paulus mit dem Schwert dar, und wir wissen, daß dies das Werkzeug ist, mit dem er getötet wurde. Wenn wir jedoch die Schriften des Völkerapostels lesen, entdecken wir, daß sich das Bild des Schwertes auf seine ganze missionarische Sendung bezieht. So schreibt er zum Beispiel, als er den Tod herannahen spürt, an Timotheus: „Ich habe den guten Kampf gekämpft" (2 Tim 4,7). Sicher nicht den Kampf eines Feldherrn, sondern den eines Verkünders des Wortes Gottes, in der Treue zu Christus und seiner Kirche, wofür er sich ganz hingegeben hat. Und genau deshalb hat der Herr ihm den Kranz der Herrlichkeit verliehen und ihn gemeinsam mit Petrus als Säule in das geistliche Haus der Kirche gestellt.

Liebe Metropoliten, das Pallium, das ich euch überreicht habe, wird euch immer daran erinnern, daß ihr in der und für die Kirche eingesetzt seid; sie ist das große Geheimnis der Gemeinschaft, das geistliche Bauwerk, das auf Christus, dem Grundstein, und – in seiner irdischen und geschichtlichen Dimension – auf dem Felsen Petrus errichtet ist. Beseelt von dieser Gewißheit, wollen wir uns alle als Mitarbeiter der Wahrheit fühlen, die bekanntlich einzig und "sinfonisch" ist und von jedem von uns wie auch von unseren Gemeinschaften den ständigen Einsatz der Umkehr zum Herrn in der Gnade des einen Geistes fordert. Es führe und begleite uns auf unserem Weg des Glaubens und der Liebe die heilige Mutter Gottes. Königin der Apostel, bitte für uns! Amen.

[00926-05.01] [Originalsprache: Italienisch]

TRADUZIONE IN LINGUA SPAGNOLA

Señores cardenales,
Venerados hermanos en el episcopado y en el sacerdocio,
Queridos hermanos y hermanas

Estamos reunidos alrededor del altar para celebrar la solemnidad de los santos apóstoles Pedro y Pablo, patronos principales de la Iglesia de Roma. Están aquí presentes los arzobispos metropolitanos nombrados durante este último año, que acaban de recibir el palio, y a quienes va mi especial y afectuoso saludo. También está presente, enviada por Su Santidad Bartolomé I, una eminente delegación del Patriarcado Ecuménico de Constantinopla, que acojo con reconocimiento fraterno y cordial. Con espíritu ecuménico me alegra saludar y dar las gracias a "The Choir of Westminster Abbey", que anima la liturgia junto con la Capilla Sixtina. Saludo además a los señores embajadores y a las autoridades civiles: a todos les agradezco su presencia y oración.

Como todos saben, delante de la Basílica de San Pedro, están colocadas dos imponentes estatuas de los apóstoles Pedro y Pablo, fácilmente reconocibles por sus enseñas: las llaves en las manos de Pedro y la espada entre las de Pablo. También sobre el portal mayor de la Basílica de San Pablo Extramuros están representadas juntas escenas de la vida y del martirio de estas dos columnas de la Iglesia. La tradición cristiana siempre ha considerado inseparables a san Pedro y a san Pablo: juntos, en efecto, representan todo el Evangelio de Cristo. En Roma, además, su vinculación como hermanos en la fe ha adquirido un significado particular. En efecto, la comunidad cristiana de esta ciudad los consideró una especie de contrapunto de los míticos Rómulo y Remo, la pareja de hermanos a los que se hace remontar la fundación de Roma. Se puede pensar también en otro paralelismo opuesto, siempre a propósito del tema de la hermandad: es decir, mientras que la primera pareja bíblica de hermanos nos muestra el efecto del pecado, por el cual Caín mata a Abel, Pedro y Pablo, aunque humanamente muy diferentes el uno del otro, y a pesar de que no faltaron conflictos en su relación, han constituido un modo nuevo de ser hermanos, vivido según el Evangelio, un modo auténtico hecho posible por la gracia del Evangelio de Cristo que actuaba en ellos. Sólo el seguimiento de Jesús conduce a la nueva fraternidad: aquí se encuentra el primer mensaje fundamental que la solemnidad de hoy nos ofrece a cada uno de nosotros, y cuya importancia se refleja también en la búsqueda de aquella plena comunión, que anhelan el Patriarca ecuménico y el Obispo de Roma, como también todos los cristianos.

En el pasaje del Evangelio de san Mateo que hemos escuchado hace poco, Pedro hace la propia confesión de fe a Jesús reconociéndolo como Mesías e Hijo de Dios; la hace también en nombre de los otros apóstoles. Como respuesta, el Señor le revela la misión que desea confiarle, la de ser la «piedra», la «roca», el fundamento visible sobre el que está construido todo el edificio espiritual de la Iglesia (cf. Mt 16, 16-19). Pero ¿de qué manera Pedro es la roca? ¿Cómo debe cumplir esta prerrogativa, que naturalmente no ha recibido para sí mismo? El relato del evangelista Mateo nos dice en primer lugar que el reconocimiento de la identidad de Jesús pronunciado por Simón en nombre de los Doce no proviene «de la carne y de la sangre», es decir, de su capacidad humana, sino de una particular revelación de Dios Padre. En cambio, inmediatamente después, cuando Jesús anuncia su pasión, muerte y resurrección, Simón Pedro reacciona precisamente a partir de la «carne y sangre»: Él «se puso a increparlo: … [Señor] eso no puede pasarte» (16, 22). Y Jesús, a su vez, le replicó: «Aléjate de mí, Satanás. Eres para mí piedra de tropiezo…» (v. 23). El discípulo que, por un don de Dios, puede llegar a ser roca firme, se manifiesta en su debilidad humana como lo que es: una piedra en el camino, una piedra con la que se puede tropezar – en griego skandalon. Así se manifiesta la tensión que existe entre el don que proviene del Señor y la capacidad humana; y en esta escena entre Jesús y Simón Pedro vemos de alguna manera anticipado el drama de la historia del mismo papado, que se caracteriza por la coexistencia de estos dos elementos: por una parte, gracias a la luz y la fuerza que viene de lo alto, el papado constituye el fundamento de la Iglesia peregrina en el tiempo; por otra, emergen también, a lo largo de los siglos, la debilidad de los hombres, que sólo la apertura a la acción de Dios puede transformar.

En el Evangelio de hoy emerge con fuerza la clara promesa de Jesús: «el poder del infierno», es decir las fuerzas del mal, no prevalecerán, «non praevalebunt». Viene a la memoria el relato de la vocación del profeta Jeremías, cuando el Señor, al confiarle la misión, le dice: «Yo te convierto hoy en plaza fuerte, en columna de hierro, en muralla de bronce, frente a todo el país: frente a los reyes y príncipes de Judá, frente a los sacerdotes y la gente del campo; lucharán contra ti, pero no te podrán - non praevalebunt -, porque yo estoy contigo para librarte» (Jr 1, 18-19). En verdad, la promesa que Jesús hace a Pedro es ahora mucho más grande que las hechas a los antiguos profetas: Éstos, en efecto, fueron amenazados sólo por enemigos humanos, mientras Pedro ha de ser protegido de las «puertas del infierno», del poder destructor del mal. Jeremías recibe una promesa que tiene que ver con él como persona y con su ministerio profético; Pedro es confortado con respecto al futuro de la Iglesia, de la nueva comunidad fundada por Jesucristo y que se extiende a todas las épocas, más allá de la existencia personal del mismo Pedro.

Pasemos ahora al símbolo de las llaves, que hemos escuchado en el Evangelio. Nos recuerdan el oráculo del profeta Isaías sobre el funcionario Eliaquín, del que se dice: «Colgaré de su hombro la llave del palacio de David: lo que él abra nadie lo cerrará, lo que él cierre nadie lo abrirá» (Is 22,22). La llave representa la autoridad sobre la casa de David. Y en el Evangelio hay otra palabra de Jesús dirigida a los escribas y fariseos, a los cuales el Señor les reprocha de cerrar el reino de los cielos a los hombres (cf. Mt 23,13). Estas palabras también nos ayudan a comprender la promesa hecha a Pedro: a él, en cuanto fiel administrador del mensaje de Cristo, le corresponde abrir la puerta del reino de los cielos, y juzgar si aceptar o excluir (cf. Ap 3,7). Las dos imágenes – la de las llaves y la de atar y desatar – expresan por tanto significados similares y se refuerzan mutuamente. La expresión «atar y desatar» forma parte del lenguaje rabínico y alude por un lado a las decisiones doctrinales, por otro al poder disciplinar, es decir a la facultad de aplicar y de levantar la excomunión. El paralelismo «en la tierra… en los cielos» garantiza que las decisiones de Pedro en el ejercicio de su función eclesial también son válidas ante Dios.

En el capítulo 18 del Evangelio según Mateo, dedicado a la vida de la comunidad eclesial, encontramos otras palabras de Jesús dirigidas a los discípulos: «En verdad os digo que todo lo que atéis en la tierra quedará atado en los cielos, y todo lo que desatéis en la tierra quedará desatado en los cielos» (Mt 18,18). Y san Juan, en el relato de las apariciones de Cristo resucitado a los Apóstoles, en la tarde de Pascua, refiere estas palabras del Señor: «Recibid el Espíritu Santo; a quienes les perdonéis los pecados, les quedan perdonados; a quienes se los retengáis, les quedan retenidos» (Jn 20,22-23). A la luz de estos paralelismos, aparece claramente que la autoridad de atar y desatar consiste en el poder de perdonar los pecados. Y esta gracia, que debilita la fuerza del caos y del mal, está en el corazón del misterio y del ministerio de la Iglesia. La Iglesia no es una comunidad de perfectos, sino de pecadores que se deben reconocer necesitados del amor de Dios, necesitados de ser purificados por medio de la Cruz de Jesucristo. Las palabras de Jesús sobre la autoridad de Pedro y de los Apóstoles revelan que el poder de Dios es el amor, amor que irradia su luz desde el Calvario. Así, podemos también comprender porqué, en el relato del evangelio, tras la confesión de fe de Pedro, sigue inmediatamente el primer anuncio de la pasión: en efecto, Jesús con su muerte ha vencido el poder del infierno, con su sangre ha derramado sobre el mundo un río inmenso de misericordia, que irriga con su agua sanadora la humanidad entera.

Queridos hermanos, como recordaba al principio, la tradición iconográfica representa a san Pablo con la espada, y sabemos que ésta significa el instrumento con el que fue asesinado. Pero, leyendo los escritos del apóstol de los gentiles, descubrimos que la imagen de la espada se refiere a su misión de evangelizador. Él, por ejemplo, sintiendo cercana la muerte, escribe a Timoteo: «He luchado el noble combate» (2 Tm 4,7). No es ciertamente la batalla de un caudillo, sino la de quien anuncia la Palabra de Dios, fiel a Cristo y a su Iglesia, por quien se ha entregado totalmente. Y por eso el Señor le ha dado la corona de la gloria y lo ha puesto, al igual que a Pedro, como columna del edificio espiritual de la Iglesia.

Queridos Metropolitanos: el palio que os he impuesto, os recordará siempre que habéis sido constituidos en y para el gran misterio de comunión que es la Iglesia, edificio espiritual construido sobre Cristo piedra angular y, en su dimensión terrena e histórica, sobre la roca de Pedro. Animados por esta certeza, sintámonos juntos cooperadores de la verdad, la cual –sabemos– es una y «sinfónica», y reclama de cada uno de nosotros y de nuestra comunidad el empeño constante de conversión al único Señor en la gracia del único Espíritu. Que la Santa Madre de Dios nos guíe y nos acompañe siempre en el camino de la fe y de la caridad. Reina de los Apóstoles, ruega por nosotros. Amén.

[00926-04.01] [Texto original: Italiano]

TRADUZIONE IN LINGUA PORTOGHESE

Venerados Cardeais,
Amados Irmãos no Episcopado e no Sacerdócio,
Queridos irmãos e irmãs!

Reunimo-nos à volta do altar para celebrar solenemente os Apóstolos São Pedro e São Paulo, Padroeiros principais da Igreja de Roma. Temos connosco os Arcebispos Metropolitas nomeados durante os últimos doze meses, que acabaram de receber o pálio: a eles dirijo, de modo especial e afectuoso, a minha saudação. E, enviada por Sua Santidade Bartolomeu I, está presente também uma eminente Delegação do Patriarcado Ecuménico de Constantinopla, que acolho com gratidão fraterna e cordial. Em espírito ecuménico, tenho o prazer de saudar, e agradecer pela sua participação, «The Choir of Westminster Abbey», que anima a Liturgia juntamente com a Capela Sistina. Saúdo também os Senhores Embaixadores e as Autoridades civis: a todos agradeço pela presença e a oração.

À frente da Basílica de São Pedro, como todos bem sabem, estão colocadas duas estátuas imponentes dos Apóstolos Pedro e Paulo, facilmente identificáveis pelas respectivas prerrogativas: as chaves na mão de Pedro e a espada na mão de Paulo. Também na entrada principal da Basílica de São Paulo Extra-muros, estão conjuntamente representadas cenas da vida e do martírio destas duas colunas da Igreja. Desde sempre a tradição cristã tem considerado São Pedro e São Paulo inseparáveis: na verdade, juntos, representam todo o Evangelho de Cristo. Mas, a sua ligação como irmãos na fé adquiriu um significado particular em Roma. De facto, a comunidade cristã desta Cidade viu neles uma espécie de antítese dos mitológicos Rómulo e Remo, o par de irmãos a quem se atribui a fundação de Roma. E poder-se-ia, continuando em tema de fraternidade, pensar ainda noutro paralelismo antitético formado com o primeiro par bíblico de irmãos: mas, enquanto nestes vemos o efeito do pecado pelo qual Caim mata Abel, Pedro e Paulo, apesar de ser humanamente bastante diferentes e não obstante os conflitos que não faltaram no seu mútuo relacionamento, realizaram um modo novo e autenticamente evangélico de ser irmãos, tornado possível precisamente pela graça do Evangelho de Cristo que neles operava. Só o seguimento de Cristo conduz a uma nova fraternidade: esta é, para cada um de nós, a primeira e fundamental mensagem da Solenidade de hoje, cuja importância se reflecte também na busca da plena comunhão, à qual anelam o Patriarca Ecuménico e o Bispo de Roma, bem como todos os cristãos.

Na passagem do Evangelho de São Mateus que acabamos de ouvir, Pedro faz a sua confissão de fé em Jesus, reconhecendo-O como Messias e Filho de Deus; fá-lo também em nome dos outros apóstolos. Em resposta, o Senhor revela-lhe a missão que pretende confiar-lhe, ou seja, a de ser a «pedra», a «rocha», o fundamento visível sobre o qual está construído todo o edifício espiritual da Igreja (cf. Mt 16, 16-19). Mas, de que modo Pedro é a rocha? Como deve realizar esta prerrogativa, que naturalmente não recebeu para si mesmo? A narração do evangelista Mateus começa por nos dizer que o reconhecimento da identidade de Jesus proferido por Simão, em nome dos Doze, não provém «da carne e do sangue», isto é, das suas capacidades humanas, mas de uma revelação especial de Deus Pai. Caso diverso se verifica logo a seguir, quando Jesus prediz a sua paixão, morte e ressurreição; então Simão Pedro reage precisamente com o impeto «da carne e do sangue»: «Começou a repreender o Senhor, dizendo: (...) Isso nunca Te há-de acontecer!» (16, 22). Jesus, por sua vez, replicou-lhe: «Vai-te daqui, Satanás! Tu és para Mim uma ocasião de escândalo...» (16, 23). O discípulo que, por dom de Deus, pode tornar-se uma rocha firme, surge aqui como ele é na sua fraqueza humana: uma pedra na estrada, uma pedra onde se pode tropeçar (em grego, skandalon). Por aqui, se vê claramente a tensão que existe entre o dom que provém do Senhor e as capacidades humanas; e aparece de alguma forma antecipado, nesta cena de Jesus com Simão Pedro, o drama da história do próprio Papado, caracterizada precisamente pela presença conjunta destes dois elementos: graças à luz e força que provêm do Alto, o Papado constitui o fundamento da Igreja peregrina no tempo, mas, ao longo dos séculos assoma também a fraqueza dos homens, que só a abertura à acção de Deus pode transformar.

E no Evangelho de hoje sobressai, forte e clara, a promessa de Jesus: «as portas do inferno», isto é, as forças do mal, «non praevalebunt», não conseguirão levar a melhor. Vem à mente a narração da vocação do profeta Jeremias, a quem o Senhor diz ao confiar-lhe a missão: «Eis que hoje te estabeleço como cidade fortificada, como coluna de ferro e muralha de bronze, diante de todo este país, dos reis de Judá e de seus chefes, dos sacerdotes e do povo da terra. Far-te-ão guerra, mas não hão-de vencer - non praevalebunt -, porque Eu estou contigo para te salvar» (Jr 1, 18-19). Na realidade, a promessa que Jesus faz a Pedro é ainda maior do que as promessas feitas aos profetas antigos: de facto, estes encontravam-se ameaçados por inimigos somente humanos, enquanto Pedro terá de ser defendido das «portas do inferno», do poder destrutivo do mal. Jeremias recebe uma promessa que diz respeito à sua pessoa e ministério profético, enquanto Pedro recebe garantias relativamente ao futuro da Igreja, da nova comunidade fundada por Jesus Cristo e que se prolonga para além da existência pessoal do próprio Pedro, ou seja, por todos os tempos.

Detenhamo-nos agora no símbolo das chaves, de que nos fala o Evangelho. Ecoa nele o oráculo do profeta Isaías a Eliaquim, de quem se diz: «Porei sobre os seus ombros a chave do palácio de David; o que ele abrir, ninguém fechará; o que ele fechar, ninguém abrirá» (Is 22, 22). A chave representa a autoridade sobre a casa de David. Entretanto, no Evangelho, há outra palavra de Jesus, mas dirigida aos escribas e fariseus, censurando-os por terem fechado aos homens o Reino dos Céus (cf. Mt 23, 13). Também este dito nos ajuda a compreender a promessa feita a Pedro: como fiel administrador da mensagem de Cristo, compete-lhe abrir a porta do Reino dos Céus e decidir se alguém será aí acolhido ou rejeitado (cf. Ap 3, 7). As duas imagens – a das chaves e a de ligar e desligar – possuem significado semelhante e reforçam-se mutuamente. A expressão «ligar e desligar» pertencia à linguagem rabínica, aplicando-se tanto no contexto das decisões doutrinais como no do poder disciplinar, ou seja, a faculdade de infligir ou levantar a excomunhão. O paralelismo «na terra (...) nos Céus» assegura que as decisões de Pedro, no exercício desta sua função eclesial, têm valor também diante de Deus.

No capítulo 18 do Evangelho de Mateus, consagrado à vida da comunidade eclesial, encontramos outro dito de Jesus dirigido aos discípulos: «Em verdade vos digo: Tudo o que ligardes na terra será ligado no Céu, e tudo o que desligardes na terra será desligado no Céu» (Mt 18, 18). E na narração da aparição de Cristo ressuscitado aos Apóstolos na tarde da Páscoa, São João refere esta palavra do Senhor: «Recebei o Espírito Santo. Àqueles a quem perdoardes os pecados, ficarão perdoados; àqueles a quem os retiverdes, ficarão retidos» (Jo 20, 22-23). À luz destes paralelismos, é claro que a autoridade de «desligar e ligar» consiste no poder de perdoar os pecados. E esta graça, que despoja da sua energia as forças do caos e do mal, está no coração do mistério e do ministério da Igreja. A Igreja não é uma comunidade de seres perfeitos, mas de pecadores que se devem reconhecer necessitados do amor de Deus, necessitados de ser purificados através da Cruz de Jesus Cristo. Os ditos de Jesus sobre a autoridade de Pedro e dos Apóstolos deixam transparecer precisamente que o poder de Deus é o amor: o amor que irradia a sua luz a partir do Calvário. Assim podemos compreender também por que motivo, na narração evangélica, à confissão de fé de Pedro se segue imediatamente o primeiro anúncio da paixão: na verdade, foi com a sua própria morte que Jesus venceu as forças do inferno; com o seu sangue, Ele derramou sobre o mundo uma torrente imensa de misericórdia, que irriga, com as suas águas salutares, a humanidade inteira.

Queridos irmãos, como recordei no princípio, a iconografia tradicional apresenta São Paulo com a espada, e sabemos que esta representa o instrumento do seu martírio. Mas, repassando os escritos do Apóstolo dos Gentios, descobrimos que a imagem da espada se refere a toda a sua missão de evangelizador. Por exemplo, quando já sentia aproximar-se a morte, escreve a Timóteo: «Combati o bom combate» (2 Tm 4, 7); aqui não se trata seguramente do combate de um comandante, mas daquele de um arauto da Palavra de Deus, fiel a Cristo e à sua Igreja, por quem se consumou totalmente. Por isso mesmo, o Senhor lhe deu a coroa de glória e colocou-o, juntamente com Pedro, como coluna no edifício espiritual da Igreja.

Amados Metropolitas, o pálio, que vos entreguei, recordar-vos-á sempre que estais constituídos no e para o grande mistério de comunhão que é a Igreja, edifício espiritual construído sobre Cristo como pedra angular e, na sua dimensão terrena e histórica, sobre a rocha de Pedro. Animados por esta certeza, sintamo-nos todos juntos colaboradores da verdade, que – como sabemos – é una e «sinfónica», exigindo de cada um de nós e das nossas comunidades o esforço contínuo de conversão ao único Senhor na graça de um único Espírito. Que nos guie e acompanhe sempre no caminho da fé e da caridade, a Santa Mãe de Deus. Rainha dos Apóstolos, rogai por nós! Amen.

[00926-06.01] [Texto original: Italiano]

TRADUZIONE IN LINGUA POLACCA 

Księża Kardynałowie,
Czcigodni Bracia w biskupstwie i kapłaństwie,
Drodzy bracia i siostry!

Zgromadziliśmy się wokół ołtarza, aby uroczyście uczcić świętych Apostołów Piotra i Pawła, głównych patronów Kościoła Rzymskiego. Obecni są wśród nas i właśnie otrzymali paliusze, arcybiskupi metropolici, mianowani w ciągu minionego roku, do których kieruję moje szczególne, serdeczne pozdrowienia. Jest też obecna znakomita delegacja Ekumenicznego Patriarchatu Konstantynopola, wysłana przez Jego Świątobliwość Bartłomieja I, którą witam z braterską i serdeczną wdzięcznością. Z radością pozdrawiam i dziękuję w duchu ekumenicznym Chórowi Opactwa Westminsterskiego, który wraz z Capella Sistina animuje liturgię. Pozdrawiam również ambasadorów i przedstawicieli władz cywilnych: wszystkim dziękuję za obecność i modlitwę.

Jak wszyscy dobrze wiemy przed bazyliką świętego Piotra, stoją dwa imponujące posągi Apostołów Piotra i Pawła. Są oni łatwo rozpoznawalni poprzez swoje atrybuty: klucze w rękach Piotra i miecz w rękach Pawła. Również na głównym portalu bazyliki świętego Pawła za Murami są wspólnie przedstawione sceny z życia i męczeństwa tych dwóch filarów Kościoła. Chrześcijańska tradycja zawsze łączyła Piotra i Pawła: rzeczywiście razem reprezentują oni całą Ewangelię Chrystusa. Zaś w Rzymie ich więź jako braci w wierze nabrała szczególnego znaczenia. Istotnie wspólnota chrześcijańska tego Miasta uważała ich jako rodzaj przeciwstawienia wobec mitycznych Romulusa i Remusa, braci bliźniaków, którym przypisywano założenie Rzymu. Można by również pomyśleć o innej zbieżności przeciwieństw, również jeśli idzie o kwestię braterstwa: podczas gdy pierwsza biblijna para braci ukazuje nam skutek grzechu, z powodu którego Kain zabija Abla, to Piotr i Paweł, choć bardzo po ludzku różnią się od siebie i pomimo, że w ich relacji nie brakowało konfliktów, urzeczywistnili nowy sposób bycia braćmi, przeżywany według Ewangelii, sposób autentyczny, który stał się możliwy właśnie przez działającą w nich łaskę Chrystusowej Ewangelii. Jedynie pójście za Jezusem prowadzi do nowego braterstwa: to jest właśnie pierwsze fundamentalne orędzie, jakie dzisiejsza uroczystość przekazuje każdemu z nas i którego znaczenie znajduje również odzwierciedlenie w poszukiwaniu owej pełnej komunii, której pragną Patriarcha Ekumeniczny i Biskup Rzymu, a także wszyscy chrześcijanie.

W wysłuchanym przed chwilą fragmencie Ewangelii świętego Mateusza, Piotr składa swoje wyznanie wiary w Jezusa, uznając w Nim Mesjasza i Syna Bożego. Czyni to także w imieniu pozostałych Apostołów. W odpowiedzi, Pan objawia misję, jaką zamierza jemu powierzyć, to znaczy, że będzie „opoką", „skałą", widzialnym fundamentem, na którym wybudowany jest cały duchowy gmach Kościoła (por. Mt 16,16-19). W jaki jednak sposób Piotr jest skałą? Jak powinien on wypełniać tę prerogatywę, której rzecz jasna nie otrzymał dla siebie? Relacja ewangelisty Mateusza mówi nam przede wszystkim, że uznanie tożsamości Jezusa wypowiedziane przez Szymona w imieniu Dwunastu nie pochodzi z „ciała i krwi", to znaczy z jego ludzkich zdolności, lecz ze szczególnego objawienia Boga Ojca. Natomiast wkrótce po tym, gdy Jezus zapowiada swoją mękę, śmierć i zmartwychwstanie, Szymon Piotr reaguje właśnie wychodząc od „ciała i krwi": „począł robić Mu wyrzuty... Nie przyjdzie to nigdy na Ciebie"(16,22). Jezus zaś z kolei odpowiedział: „Zejdź Mi z oczu, szatanie! Jesteś Mi zawadą..." (w. 23). Uczeń, który na mocy Bożego daru może się stać mocną skałą, ukazuje siebie przez to, kim jest w swojej ludzkiej słabości: kamieniem na drodze, kamieniem o który można się potknąć – po grecku skandalon. Ujawnia się tutaj wyraźnie napięcie istniejące między darem, który pochodzi od Boga a ludzkimi możliwościami. W tej scenie między Jezusem a Szymonem Piotrem, widzimy w pewien sposób zapowiedź dramatu historii samego papiestwa, charakteryzującej się właśnie jednoczesną obecnością tych dwóch elementów: z jednej strony dzięki światłu i mocy pochodzących z wysoka papiestwo jest fundamentem Kościoła pielgrzymującego w czasie, z drugiej zaś, na przestrzeni wieków wyłania się także słabość ludzi, którą może jedynie przekształcić otwarcie na działanie Boga.

W dzisiejszej Ewangelii wyłania się z mocą wyraźna obietnica Jezusa: „a bramy piekielne", to znaczy siły zła, nie będą miały przewagi, „non praevalebunt". Przychodzi na myśl historia powołania proroka Jeremiasza, któremu Pan powierzając misję powiedział: „A oto Ja czynię cię dzisiaj twierdzą warowną, kolumną żelazną i murem spiżowym przeciw całej ziemi, przeciw królom judzkim i ich przywódcom, ich kapłanom i ludowi tej ziemi. Będą walczyć przeciw tobie, ale nie zdołają cię [zwyciężyć] – non praevalebunt – , gdyż Ja jestem z tobą - wyrocznia Pana - by cię ochraniać" (Jer 1, 18-19). W istocie obietnica, jaką Jezus składa Piotrowi jest jeszcze większa niż te, składane starożytnym prorokom. Zagrożeniem byli dla nich jedynie ludzcy wrogowie, natomiast Piotr będzie musiał być broniony przed „bramami piekielnymi", przed destrukcyjną mocą zła. Jeremiasz otrzymuje obietnicę, która dotyczy jego jako osoby i jego posługi prorockiej. Piotr jest zapewniony w odniesieniu do przyszłości Kościoła, nowej wspólnoty, utworzonej przez Jezusa Chrystusa, która rozciąga się na wszystkie czasy, poza osobiste życie samego Piotra.

Przejdźmy teraz do symbolu kluczy, o którym usłyszeliśmy w Ewangelii. Odwołuje się on do przepowiedni proroka Izajasza, dotyczącej urzędnika Eliakima, o którym powiedział: „Położę klucz domu Dawidowego na jego ramieniu; gdy on otworzy, nikt nie zamknie, gdy on zamknie, nikt nie otworzy" (Iz 22,22). Klucz przedstawia władzę nad domem Dawida. Natomiast w Ewangelii znajdujemy inne słowo Jezusa, skierowane do uczonych w Piśmie i faryzeuszów, którym Pan zarzuca zamykanie królestwa niebieskiego przed ludźmi (por. Mt 23, 13). Także to powiedzenie pomaga nam zrozumieć obietnicę złożoną Piotrowi: do niego, jako wiernego administratora orędzia Chrystusa, należy otwieranie bramy królestwa niebieskiego i osądzenie, czy przyjąć lub odrzucić (por. Ap 3,7). Te dwa obrazy - kluczy i związywania oraz rozwiązywania – wyrażają jednak podobne znaczenia i wzajemnie się uzupełniają. Wyrażenie „związać i rozwiązać" jest częścią języka rabinackiego i stanowi aluzję z jednej strony do decyzji doktrynalnych, z drugiej zaś do władzy dyscyplinarnej, czyli uprawnienia do nakładania i znoszenia ekskomuniki. Paralelizm „na ziemi"... „w niebie" zapewnia, że decyzje Piotra w wypełnianiu tej jego funkcji kościelnej mają wartość także przed Bogiem.

W rozdziale 18 Ewangelii według św. Mateusza, poświęconym życiu wspólnoty kościelnej, znajdujemy inne powiedzenie Jezusa skierowane do uczniów: „Zaprawdę, powiadam wam: Wszystko, co zwiążecie na ziemi, będzie związane w niebie, a co rozwiążecie na ziemi, będzie rozwiązane w niebie" (Mt 18,18). A św. Jan w relacji o ukazaniu się Chrystusa zmartwychwstałego apostołom w wieczór Paschy cytuje następujące słowa Pana: „Weźmijcie Ducha Świętego! Którym odpuścicie grzechy, są im odpuszczone, a którym zatrzymacie, są im zatrzymane" (J 20-22-23). W świetle tych paralelizmów staje się oczywiste, że władza rozwiązywania i związywania polega na władzy odpuszczania grzechów. I ta łaska, która odbiera siły mocom chaosu i zła, znajduje się w centrum tajemnicy i posługi Kościoła. Kościół nie jest wspólnotą doskonałych, lecz grzeszników, którzy powinni uznać, że potrzebują miłości Boga, że potrzebują bycia oczyszczonymi przez krzyż Jezusa Chrystusa. Słowa Jezusa dotyczące władzy Piotra i apostołów pozwalają właściwie ukazać, że mocą Boga jest miłość, miłość, która promieniuje swoim światłem z Kalwarii. W ten sposób możemy również zrozumieć, dlaczego w ewangelicznym opowiadaniu, po wyznaniu przez Piotra wiary następuje zaraz pierwsza zapowiedź męki. To prawda, Jezus przez swoją śmierć zwyciężył moce piekielne, w Jego krwi rozlała się na świat wielka rzeka miłosierdzia, która nawadnia swymi uzdrawiającymi wodami całą ludzkość.

Drodzy bracia, jak przypomniałem na początku, tradycja ikonograficzna przedstawia świętego Pawła z mieczem i wiemy, że jest to narzędzie, którym został on zabity. Czytając jednak pisma Apostoła Narodów, odkrywamy że obraz miecza odnosi się do całej jego misji ewangelizacyjnej. Czując zbliżającą się śmierć pisze on na przykład do Tymoteusza: „W dobrych zawodach wystąpiłem" (2 Tm 4,7). Na pewno nie chodzi o bitwę wodza, ale głosiciela Słowa Bożego, wiernego Chrystusowi i Jego Kościołowi, któremu oddał całego siebie. I właśnie dlatego Pan dał mu koronę chwały i postawił go razem z Piotrem jako filar duchowej budowli Kościoła.

Drodzy metropolici: otrzymany paliusz będzie wam zawsze przypominać, że zostaliście ustanowieni w wielkiej tajemnicy i dla wielkiej tajemnicy komunii jaką jest Kościół, duchowa budowla wzniesiona na Chrystusie, kamieniu węgielnym, a w jego wymiarze ziemskim i historycznym na skale Piotrowej. Ożywiani tą pewnością, czujmy się wszyscy razem współpracownikami prawdy, która jest, jaki wiemy jedna i „symfoniczna", i wymaga od każdego z nas i od naszych wspólnot nieustannego trudu nawrócenia do jedynego Pana w łasce jedynego Ducha. Niech nas prowadzi i nam towarzyszy zawsze na drodze wiary i miłości Najświętsza Matka Boża. Królowo Apostołów, módl się za nami! Amen.

[00926-09.01] [Testo originale: Italiano]

[B0392-XX.02]