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VISITA PASTORALE DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI ALL’ARCIDIOCESI DI MILANO E VII INCONTRO MONDIALE DELLE FAMIGLIE (1°-3 GIUGNO 2012) - VI, 02.06.2012


VISITA PASTORALE DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI ALL’ARCIDIOCESI DI MILANO E VII INCONTRO MONDIALE DELLE FAMIGLIE (1°-3 GIUGNO 2012) - VI

"FESTA DELLE TESTIMONIANZE" DELL’INCONTRO MONDIALE DELLE FAMIGLIE AL PARCO DI BRESSO

 DIALOGO DEL SANTO PADRE CON LE FAMIGLIE

TRADUZIONE IN LINGUA FRANCESE

 TRADUZIONE IN LINGUA INGLESE

 TRADUZIONE IN LINGUA TEDESCA

 TRADUZIONE IN LINGUA SPAGNOLA

 TRADUZIONE IN LINGUA PORTOGHESE

 TRADUZIONE IN LINGUA POLACCA

Questa sera, nel Parco Nord di Milano - Aeroporto di Bresso, si è svolta la Festa delle testimonianze nell’ambito del VII Incontro Mondiale delle Famiglie.

Il Santo Padre Benedetto XVI è giunto al Parco di Bresso alle ore 20.30. L’evento si è aperto con il saluto di accoglienza da parte del Presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, Card. Ennio Antonelli. Quindi, nel corso della festa, il Papa ha dialogato con le famiglie presenti, ascoltando le loro testimonianze e rispondendo alle loro domande:

 DIALOGO DEL SANTO PADRE CON LE FAMIGLIE

1. CAT TIEN (bambina dal Vietnam):

Ciao, Papa. Sono Cat Tien, vengo dal Vietnam.

Ho sette anni e ti voglio presentare la mia famiglia. Lui è il mio papà, Dan e la mia mamma si chiama Tao, e lui è il mio fratellino Binh.

Mi piacerebbe tanto sapere qualcosa della tua famiglia e di quando eri piccolo come me…

SANTO PADRE: Grazie, carissima, e ai genitori: grazie di cuore. Allora, hai chiesto come sono i ricordi della mia famiglia: sarebbero tanti! Volevo dire solo poche cose. Il punto essenziale per la famiglia era per noi sempre la domenica, ma la domenica cominciava già il sabato pomeriggio. Il padre ci diceva le letture, le letture della domenica, da un libro molto diffuso in quel tempo in Germania, dove erano anche spiegati i testi. Così cominciava la domenica: entravamo già nella liturgia, in atmosfera di gioia. Il giorno dopo andavamo a Messa. Io sono di casa vicino a Salisburgo, quindi abbiamo avuto molta musica – Mozart, Schubert, Haydn – e quando cominciava il Kyrie era come se si aprisse il cielo. E poi a casa era importante, naturalmente, il grande pranzo insieme. E poi abbiamo cantato molto: mio fratello è un grande musicista, ha fatto delle composizioni già da ragazzo per noi tutti, così tutta la famiglia cantava. Il papà suonava la cetra e cantava; sono momenti indimenticabili. Poi, naturalmente, abbiamo fatto insieme viaggi, camminate; eravamo vicino ad un bosco e così camminare nei boschi era una cosa molto bella: avventure, giochi eccetera. In una parola, eravamo un cuore e un’anima sola, con tante esperienze comuni, anche in tempi molto difficili, perché era il tempo della guerra, prima della dittatura, poi della povertà. Ma questo amore reciproco che c’era tra di noi, questa gioia anche per cose semplici era forte e così si potevano superare e sopportare anche queste cose. Mi sembra che questo fosse molto importante: che anche cose piccole hanno dato gioia, perché così si esprimeva il cuore dell’altro. E così siamo cresciuti nella certezza che è buono essere un uomo, perché vedevamo che la bontà di Dio si rifletteva nei genitori e nei fratelli. E, per dire la verità, se cerco di immaginare un po’ come sarà in Paradiso, mi sembra sempre il tempo della mia giovinezza, della mia infanzia. Così, in questo contesto di fiducia, di gioia e di amore eravamo felici e penso che in Paradiso dovrebbe essere simile a come era nella mia gioventù. In questo senso spero di andare «a casa», andando verso l’«altra parte del mondo».

2. SERGE RAZAFINBONY E FARA ANDRIANOMBONANA (Coppia di fidanzati dal Madagascar):

SERGE: Santità, siamo Fara e Serge, e veniamo dal Madagascar.

Ci siamo conosciuti a Firenze dove stiamo studiando, io ingegneria e lei economia. Siamo fidanzati da quattro anni e non appena laureati sogniamo di tornare nel nostro Paese per dare una mano alla nostra gente, anche attraverso la nostra professione.

FARA: I modelli famigliari che dominano l'Occidente non ci convincono, ma siamo consci che anche molti tradizionalismi della nostra Africa vadano in qualche modo superati. Ci sentiamo fatti l'uno per l'altro; per questo vogliamo sposarci e costruire un futuro insieme. Vogliamo anche che ogni aspetto della nostra vita sia orientato dai valori del Vangelo.

Ma parlando di matrimonio, Santità, c'è una parola che più d'ogni altra ci attrae e allo stesso tempo ci spaventa: il «per sempre»...

SANTO PADRE: Cari amici, grazie per questa testimonianza. La mia preghiera vi accompagna in questo cammino di fidanzamento e spero che possiate creare, con i valori del Vangelo, una famiglia «per sempre». Lei ha accennato a diversi tipi di matrimonio: conosciamo il «mariage coutumier» dell’Africa e il matrimonio occidentale. Anche in Europa, per dire la verità, fino all’Ottocento, c’era un altro modello di matrimonio dominante, come adesso: spesso il matrimonio era in realtà un contratto tra clan, dove si cercava di conservare il clan, di aprire il futuro, di difendere le proprietà, eccetera. Si cercava l’uno per l’altro da parte del clan, sperando che fossero adatti l’uno all’altro. Così era in parte anche nei nostri paesi. Io mi ricordo che in un piccolo paese, nel quale sono andato a scuola, era in gran parte ancora così. Ma poi, dall’Ottocento, segue l’emancipazione dell’individuo, la libertà della persona, e il matrimonio non è più basato sulla volontà di altri, ma sulla propria scelta; precede l’innamoramento, diventa poi fidanzamento e quindi matrimonio. In quel tempo tutti eravamo convinti che questo fosse l’unico modello giusto e che l’amore di per sé garantisse il «sempre», perché l’amore è assoluto, vuole tutto e quindi anche la totalità del tempo: è «per sempre». Purtroppo, la realtà non era così: si vede che l’innamoramento è bello, ma forse non sempre perpetuo, così come è il sentimento: non rimane per sempre. Quindi, si vede che il passaggio dall’innamoramento al fidanzamento e poi al matrimonio esige diverse decisioni, esperienze interiori. Come ho detto, è bello questo sentimento dell’amore, ma deve essere purificato, deve andare in un cammino di discernimento, cioè devono entrare anche la ragione e la volontà; devono unirsi ragione, sentimento e volontà. Nel Rito del Matrimonio, la Chiesa non dice: «Sei innamorato?», ma «Vuoi», «Sei deciso». Cioè: l’innamoramento deve divenire vero amore coinvolgendo la volontà e la ragione in un cammino, che è quello del fidanzamento, di purificazione, di più grande profondità, così che realmente tutto l’uomo, con tutte le sue capacità, con il discernimento della ragione, la forza di volontà, dice: «Sì, questa è la mia vita». Io penso spesso alle nozze di Cana. Il primo vino è bellissimo: è l’innamoramento. Ma non dura fino alla fine: deve venire un secondo vino, cioè deve fermentare e crescere, maturare. Un amore definitivo che diventi realmente «secondo vino» è più bello, migliore del primo vino. E questo dobbiamo cercare. E qui è importante anche che l’io non sia isolato, l’io e il tu, ma che sia coinvolta anche la comunità della parrocchia, la Chiesa, gli amici. Questo, tutta la personalizzazione giusta, la comunione di vita con altri, con famiglie che si appoggiano l’una all’altra, è molto importante e solo così, in questo coinvolgimento della comunità, degli amici, della Chiesa, della fede, di Dio stesso, cresce un vino che va per sempre. Auguri a voi!

3. FAMIGLIA PALEOLOGOS (Famiglia greca)

NIKOS: Kalispera! Siamo la famiglia Paleologos. Veniamo da Atene. Mi chiamo Nikos e lei è mia moglie Pania. E loro sono i nostri due figli, Pavlos e Lydia.

Anni fa con altri due soci, investendo tutto ciò che avevamo, abbiamo avviato una piccola società di informatica.

Al sopravvenire dell'attuale durissima crisi economica, i clienti sono drasticamente diminuiti e quelli rimasti dilazionano sempre più i pagamenti. Riusciamo a malapena a pagare gli stipendi dei due dipendenti, e a noi soci rimane pochissimo: così che, per mantenere le nostre famiglie, ogni giorno che passa resta sempre meno. La nostra situazione è una tra le tante, fra milioni di altre. In città la gente gira a testa bassa; nessuno ha più fiducia di  nessuno, manca la speranza.

PANIA: Anche noi, pur continuando a credere nella provvidenza, facciamo fatica a pensare ad un futuro per i nostri figli.

Ci sono giorni e notti, Santo Padre, nei quali viene da chiedersi come fare a non perdere la speranza. Cosa può dire la Chiesa a tutta questa gente, a queste persone e famiglie senza più prospettive?

SANTO PADRE: Cari amici, grazie per questa testimonianza che ha colpito il mio cuore e il cuore di noi tutti. Che cosa possiamo rispondere? Le parole sono insufficienti. Dovremmo fare qualcosa di concreto e tutti soffriamo del fatto che siamo incapaci di fare qualcosa di concreto. Parliamo prima della politica: mi sembra che dovrebbe crescere il senso della responsabilità in tutti i partiti, che non promettano cose che non possono realizzare, che non cerchino solo voti per sé, ma siano responsabili per il bene di tutti e che si capisca che politica è sempre anche responsabilità umana, morale davanti a Dio e agli uomini. Poi, naturalmente, i singoli soffrono e devono accettare, spesso senza possibilità di difendersi, la situazione com’è. Tuttavia, possiamo anche qui dire: cerchiamo che ognuno faccia il suo possibile, pensi a sé, alla famiglia, agli altri, con grande senso di responsabilità, sapendo che i sacrifici sono necessari per andare avanti. Terzo punto: che cosa possiamo fare noi? Questa è la mia questione, in questo momento. Io penso che forse gemellaggi tra città, tra famiglie, tra parrocchie, potrebbero aiutare. Noi abbiamo in Europa, adesso, una rete di gemellaggi, ma sono scambi culturali, certo molto buoni e molto utili, ma forse ci vogliono gemellaggi in altro senso: che realmente una famiglia dell’Occidente, dell’Italia, della Germania, della Francia… assuma la responsabilità di aiutare un’altra famiglia. Così anche le parrocchie, le città: che realmente assumano responsabilità, aiutino in senso concreto. E siate sicuri: io e tanti altri preghiamo per voi, e questo pregare non è solo dire parole, ma apre il cuore a Dio e così crea anche creatività nel trovare soluzioni. Speriamo che il Signore ci aiuti, che il Signore vi aiuti sempre! Grazie.

4. FAMIGLIA RERRIE (Famiglia statunitense)

JAY: Viviamo vicino a New York.

Mi chiamo Jay, sono di origine giamaicana e faccio il contabile.

Lei è mia moglie Anna ed è insegnante di sostegno.

E questi sono i nostri sei figli, che hanno dai 2 ai 12 anni. Da qui può ben immaginare, Santità, che la nostra vita, è fatta di perenni corse contro il tempo, di affanni, di incastri molto complicati...

Anche da noi, negli Stati Uniti, una delle priorità assolute è mantenere il posto di lavoro, e per farlo non bisogna badare agli orari,  e spesso a rimetterci sono proprio le relazioni famigliari.

ANNA: Certo non sempre è facile... L'impressione, Santità, è che le istituzioni e le imprese non facilitano la conciliazione dei tempi di lavoro coi tempi della famiglia. 

Santità, immaginiamo che anche per lei non sia facile conciliare i suoi infiniti impegni con il riposo.

Ha qualche consiglio per aiutarci a ritrovare questa necessaria armonia? Nel vortice di tanti stimoli imposti dalla società contemporanea, come aiutare le famiglie a vivere la festa secondo il cuore di Dio?

SANTO PADRE: Grande questione, e penso di capire questo dilemma tra due priorità: la priorità del posto di lavoro è fondamentale, e la priorità della famiglia. E come riconciliare le due priorità. Posso solo cercare di dare qualche consiglio. Il primo punto: ci sono imprese che permettono quasi qualche extra per le famiglie – il giorno del compleanno, eccetera – e vedono che concedere un po’ di libertà, alla fine va bene anche per l’impresa, perché rafforza l’amore per il lavoro, per il posto di lavoro. Quindi, vorrei qui invitare i datori di lavoro a pensare alla famiglia, a pensare anche ad aiutare affinché le due priorità possano essere conciliate. Secondo punto: mi sembra che si debba naturalmente cercare una certa creatività, e questo non è sempre facile. Ma almeno, ogni giorno portare qualche elemento di gioia nella famiglia, di attenzione, qualche rinuncia alla propria volontà per essere insieme famiglia, e di accettare e superare le notti, le oscurità delle quali si è parlato anche prima, e pensare a questo grande bene che è la famiglia e così, anche nella grande premura di dare qualcosa di buono ogni giorno, trovare una riconciliazione delle due priorità. E finalmente, c’è la domenica, la festa: spero che sia osservata in America, la domenica. E quindi, mi sembra molto importante la domenica, giorno del Signore e, proprio in quanto tale, anche "giorno dell’uomo", perché siamo liberi. Questa era, nel racconto della Creazione, l’intenzione originale del Creatore: che un giorno tutti siano liberi. In questa libertà dell’uno per l’altro, per se stessi, si è liberi per Dio. E così penso che difendiamo la libertà dell’uomo, difendendo la domenica e le feste come giorni di Dio e così giorni per l’uomo. Auguri a voi! Grazie.

5. FAMIGLIA ARAUJO (Famiglia brasiliana di Porto Alegre)

MARIA MARTA: Santità, come nel resto del mondo, anche nel nostro Brasile i fallimenti matrimoniali continuano ad aumentare.

Mi chiamo Maria Marta, lui è Manoel Angelo. Siamo sposati da 34 anni e siamo già nonni. In qualità di medico e psicoterapeuta familiare incontriamo tante famiglie, notando nei conflitti di coppia una più marcata difficoltà a perdonare e ad accettare il perdono, ma in diversi casi abbiamo riscontrato il desiderio e la volontà di costruire una nuova unione, qualcosa di duraturo, anche per i figli che nascono dalla nuova unione.

MANOEL ANGELO: Alcune di queste coppie di risposati vorrebbero riavvicinarsi alla Chiesa, ma quando si vedono rifiutare i Sacramenti la loro delusione è grande. Si sentono esclusi, marchiati da un giudizio inappellabile.

Queste grandi sofferenze feriscono nel profondo chi ne è coinvolto; lacerazioni che divengono anche parte del mondo, e sono ferite anche nostre, dell'umanità tutta.

Santo Padre, sappiamo che queste situazioni e che queste persone stanno molto a cuore alla Chiesa: quali parole e quali segni di speranza possiamo dare loro?

SANTO PADRE: Cari amici, grazie per il vostro lavoro di psicoterapeuti per le famiglie, molto necessario. Grazie per tutto quello che fate per aiutare queste persone sofferenti. In realtà, questo problema dei divorziati risposati è una delle grandi sofferenze della Chiesa di oggi. E non abbiamo semplici ricette. La sofferenza è grande e possiamo solo aiutare le parrocchie, i singoli ad aiutare queste persone a sopportare la sofferenza di questo divorzio. Io direi che molto importante sarebbe, naturalmente, la prevenzione, cioè approfondire fin dall’inizio l’innamoramento in una decisione profonda, maturata; inoltre, l’accompagnamento durante il matrimonio, affinché le famiglie non siano mai sole ma siano realmente accompagnate nel loro cammino. E poi, quanto a queste persone, dobbiamo dire – come lei ha detto – che la Chiesa le ama, ma esse devono vedere e sentire questo amore. Mi sembra un grande compito di una parrocchia, di una comunità cattolica, di fare realmente il possibile perché esse sentano di essere amate, accettate, che non sono «fuori» anche se non possono ricevere l’assoluzione e l’Eucaristia: devono vedere che anche così vivono pienamente nella Chiesa. Forse, se non è possibile l’assoluzione nella Confessione, tuttavia un contatto permanente con un sacerdote, con una guida dell’anima, è molto importante perché possano vedere che sono accompagnati, guidati. Poi è anche molto importante che sentano che l’Eucaristia è vera e partecipata se realmente entrano in comunione con il Corpo di Cristo. Anche senza la ricezione «corporale» del Sacramento, possiamo essere spiritualmente uniti a Cristo nel suo Corpo. E far capire questo è importante. Che realmente trovino la possibilità di vivere una vita di fede, con la Parola di Dio, con la comunione della Chiesa e possano vedere che la loro sofferenza è un dono per la Chiesa, perché servono così a tutti anche per difendere la stabilità dell’amore, del Matrimonio; e che questa sofferenza non è solo un tormento fisico e psichico, ma è anche un soffrire nella comunità della Chiesa per i grandi valori della nostra fede. Penso che la loro sofferenza, se realmente interiormente accettata, sia un dono per la Chiesa. Devono saperlo, che proprio così servono la Chiesa, sono nel cuore della Chiesa. Grazie per il vostro impegno.

SALUTO AI TERREMOTATI DELL’EMILIA
La festa delle famiglie del mondo non ha dimenticato il dramma delle persone colpite in questi giorni dal terremoto in Emilia. Nel corso del collegamento video con i bambini radunati davanti alla tendopoli di San Felice sul Panaro, il Papa ha rivolto loro questo saluto:

SANTO PADRE: Cari amici, voi sapete che noi sentiamo profondamente il vostro dolore, la vostra sofferenza; e, soprattutto, io prego ogni giorno che finalmente finisca questo terremoto. Noi tutti vogliamo collaborare per aiutarvi: siate sicuri che non vi dimentichiamo, che facciamo ognuno il possibile per aiutarvi – la Caritas, tutte le organizzazioni della Chiesa, lo Stato, le diverse comunità – ognuno di noi vuole aiutarvi, sia spiritualmente nella nostra preghiera, nella nostra vicinanza di cuore, sia materialmente e prego insistentemente per voi. Dio vi aiuti, ci aiuti tutti! Auguri a voi, il Signore vi benedica!

[00751-01.02] [Testo originale: Italiano]

 TRADUZIONE IN LINGUA FRANCESE

1. CAT TIEN (fillette du Viet-Nam) :

Ciao, Pape ! Je suis Cat Tien, je viens du Viet-Nam.

J’ai sept ans et je veux te présenter ma famille. Lui c’est mon papa, Dan, et ma maman s’appelle Tao, et lui c’est mon petit frère Binh.

J’aimerais beaucoup savoir quelque chose de ta famille et de quand tu étais petit comme moi…

SAINT-PÈRE : Merci, ma très chère, et à tes parents : merci de tout cœur. Alors, tu as demandé quels sont mes souvenirs de ma famille : il y en aurait beaucoup ! Je voudrais dire seulement peu de chose. Le point essentiel pour la famille était pour nous toujours le dimanche, mais le dimanche commençait déjà le samedi après-midi. Le père nous faisait les lectures, les lectures du dimanche, dans un livre très répandu en ce temps là en Allemagne, où les textes étaient aussi expliqués. Ainsi commençait le dimanche : nous entrions déjà dans la liturgie, dans une atmosphère de joie. Le lendemain nous allions à la messe. J’habitais près de Salzbourg, donc nous avons eu beaucoup de musique – Mozart, Schubert, Haydn – et quand commençait le Kyrie c’était comme si le ciel s’ouvrait. Et ensuite à la maison, naturellement le grand déjeuner ensemble était important. Et puis nous avons beaucoup chanté : mon frère est un grand musicien, il a fait des compositions pour nous tous déjà quand il était enfant, ainsi toute la famille chantait. Le papa jouait de la cithare et chantait ; ce sont des moments inoubliables. Puis, naturellement, nous avons fait ensemble des voyages, des promenades ; nous étions proches d’un bois et marcher ainsi dans les bois était quelque chose de très beau : aventures, jeux et cetera. En un mot, nous n’étions qu’un cœur et une âme, avec beaucoup d’expériences communes, même dans des temps très difficiles, parce que c’était le temps de la guerre, d’abord de la dictature, ensuite de la pauvreté. Mais cet amour réciproque qu’il y avait entre nous, cette joie aussi pour des choses simples était forte et ainsi on pouvait dépasser et supporter aussi ces choses. Il me semble que ceci fut très important : que de petites choses aussi ont donné de la joie, parce qu’ainsi s’exprimait le cœur de l’autre. Et ainsi nous avons grandi dans la certitude qu’il est bon d’être un homme, parce que nous voyions que la bonté de Dieu se reflétait dans les parents et dans les frères. Et, pour dire la vérité, si je cherche à imaginer un peu comment ce sera dans le Paradis, il me semble toujours être le temps de ma jeunesse, de mon enfance. Ainsi, dans ce contexte de confiance, de joie et d’amour, nous étions heureux et je pense que dans le Paradis ce devrait être semblable à ce que c’était dans ma jeunesse. En ce sens j’espère aller « à la maison », en allant vers « l’autre partie du monde ».

2. SERGE RAZAFINBONY ET FARA ANDRIANOMBONANA (Couple de fiancés de Madagascar) :

SERGE : Sainteté, nous sommes Fara et Serge, et nous venons de Madagascar.

Nous nous sommes connus à Florence où nous faisons nos études, moi d’ingénieur et elle d’économie. Nous sommes fiancés depuis quatre ans et aussitôt diplômés nous pensons rentrer dans notre pays pour aider nos gens, aussi par notre profession.

FARA : Les modèles familiaux qui dominent l’Occident ne nous convainquent pas, mais nous sommes conscients qu’aussi beaucoup de traditions de notre Afrique sont en quelque sorte dépassées. Nous nous sentons faits l’un pour l’autre ; c’est pourquoi nous voulons nous épouser et construire un avenir ensemble. Nous voulons aussi que chaque aspect de notre vie soit orienté par les valeurs de l’Évangile.

Mais parlant du mariage, Sainteté, il y a une parole qui plus que toute autre nous attire et en même temps nous fait peur : le « pour toujours »…

SAINT-PÈRE : Chers amis, merci pour ce témoignage. Ma prière vous accompagne sur ce chemin des fiançailles et j’espère que vous pourrez créer, avec les valeurs de l’Évangile, une famille « pour toujours ». Vous avez indiqué divers types de mariage : nous connaissons le « mariage coutumier » de l’Afrique et le mariage occidental. En Europe aussi, pour dire la vérité, jusqu’au dix-neuvième siècle, il y avait un autre modèle de mariage dominant, comme maintenant : souvent le mariage était en réalité un contrat entre clans, où on cherchait à conserver le clan, à ouvrir l’avenir, à défendre les propriétés et cetera. On cherchait l’un pour l’autre de la part du clan, espérant qu’ils soient adaptés l’un à l’autre. C’était ainsi en partie aussi dans nos pays. Je me souviens que dans un petit village, où je suis allé à l’école, c’était encore en grande partie ainsi. Mais ensuite, depuis le dix-neuvième siècle, suit l’émancipation de l’individu, la liberté de la personne, et le mariage n’est plus basé sur la volonté des autres, mais sur le choix personnel ; le fait d’être amoureux précède, puis ce sont les fiançailles et ensuite le mariage. Dans ce temps-là tous étaient convaincus que c’était l’unique modèle juste et que l’amour en soi garantissait le « toujours », parce que l’amour est absolu, il veut tout et donc aussi la totalité du temps : il est « pour toujours ». Malheureusement, la réalité n’était pas ainsi : on voit qu’être amoureux c’est beau, mais que ce n’est pas toujours perpétuel, comme est le sentiment : il ne demeure pas pour toujours. Donc, on voit que le passage du fait d’être amoureux aux fiançailles et ensuite au mariage exige diverses décisions, expériences intérieures. Comme je l’ai dit, ce sentiment de l’amour est beau, mais il doit être purifié, il doit prendre un chemin de discernement, c’est-à-dire que la raison et la volonté  doivent aussi intervenir; raison, sentiment et volonté doivent s’unir. Dans le Rite du Mariage, l'Église ne dit pas « Es-tu amoureux ? » mais « Veux-tu », « Es-tu décidé ». C’est-à-dire : le fait d’être amoureux doit devenir un véritable amour impliquant la volonté et la raison sur un chemin, qui est celui des fiançailles, de purification, de plus grande profondeur, si bien que réellement tout l’homme, avec toutes ses capacités, avec le discernement de la raison, la force de la volonté, dit : « Oui, celle-ci est ma vie ». Je pense souvent aux noces de Cana. Le premier vin est très beau : c’est le fait d’être amoureux. Mais il ne dure pas jusqu’à la fin : un second vin doit venir, c’est-à-dire doit fermenter et grandir, mûrir. Un amour définitif qui devienne réellement « second vin » est plus beau, meilleur que le premier vin. Et ceci nous devons le chercher. Et ici il est important que le moi ne soit pas isolé, le moi et le toi, mais que soient aussi impliqués la communauté de la paroisse, l’Église, les amis. Ceci, toute la juste personnalisation, la communion de vie avec les autres, avec les familles qui s’appuient l’une sur l’autre, est très important et seulement ainsi, dans cette implication de la communauté, des amis, de l’Église, de la foi, de Dieu lui-même, grandit un vin qui est pour toujours. Avec tous mes vœux !

3. FAMILLE PALEOLOGOS (Famille grecque)

NIKOS : Kalispera ! Nous sommes la famille Paleologos. Nous venons d’Athènes. Je m’appelle Nikos et voici ma femme Pania et nos deux enfants, Pavlos et Lydia.

Il y a quelques années avec deux autres associés, investissant tout ce que nous avions, nous avons lancé une petite entreprise d’informatique.

Avec l’arrivée de la très dure crise économique actuelle, les clients ont drastiquement diminué et ceux qui restent échelonnent toujours plus leurs paiements. Nous réussissons à grand peine à payer les salaires des deux employés, et à nous les associés, il reste très peu : de telle sorte que pour entretenir nos familles, chaque jour qui passe nous laisse toujours moins. Notre situation est l’une parmi tant d’autres, parmi des millions d’autres. En ville, les gens marchent la tête basse ; personne n’a plus confiance en personne, il manque l’espérance.

PANIA : Nous aussi, bien que continuant à croire en la providence, nous avons du mal à penser à un avenir pour nos enfants.

Il y a des jours et des nuits, Saint-Père, où l’on se demande comment faire pour ne pas perdre l’espérance. Que peut dire l’Église à tous ces gens, à toutes ces personnes et ces familles sans aucune perspective ?

SAINT-PÈRE : Chers amis, merci pour ce témoignage qui a touché mon cœur et celui de nous tous. Que pouvons-nous répondre ? Les paroles sont insuffisantes. Nous devrions faire quelque chose de concret et tous nous souffrons du fait que nous soyons incapables de faire quelque chose de concret. Parlons pour commencer de la politique : il me semble que devrait croître le sens de la responsabilité dans tous les partis, qu’ils ne promettent pas des choses qu’ils ne peuvent pas réaliser, qu’ils ne cherchent pas seulement des votes pour eux, mais qu’ils soient responsables pour le bien de tous et que l’on comprenne que la politique est toujours une responsabilité humaine, morale devant Dieu et les hommes. Ensuite, naturellement, chacun souffre et doit accepter, souvent sans possibilité de se défendre, la situation comme elle est. Cependant, ici, nous pouvons aussi dire : faisons en sorte que chacun fasse son possible, pense à lui, à sa famille, aux autres, avec un grand sens de la responsabilité, sachant que les sacrifices sont nécessaires pour aller de l’avant. Troisième point : que pouvons-nous faire nous ? C’est ma question en ce moment. Je pense que des jumelages entre villes, entre familles, entre paroisses, pourraient peut-être aider. A présent, nous avons en Europe un réseau de jumelages, mais ce sont des échanges culturels, certes très bons et très utiles, mais peut-être faudrait-il des jumelages dans un autre sens : que réellement une famille d’Occident, d’Italie, d’Allemagne, de France… assume la responsabilité d’aider une autre famille. De la même façon pour les paroisses, les villes : que réellement elles assument une responsabilité, aident concrètement. Et soyez sûr, je prie ainsi que tant d’autres pour vous, et cette prière ne consiste pas seulement à dire des paroles, mais elle ouvre le cœur à Dieu et permet ainsi la créativité dans la recherche de solutions. Espérons que le Seigneur nous aide, que le Seigneur vous aide toujours ! Merci.

4. FAMILLE RERRIE (Famille des États-Unis)

JAY : Nous vivons près de New York.

Je m’appelle Jay, je suis d’origine jamaïcaine et je suis comptable. Voici ma femme Anna qui est enseignante de soutien, et nos six enfants, qui ont entre 2 et 12 ans. Avec cela, vous pouvez facilement imaginer, Sainteté, que notre vie, est faite de courses perpétuelles contre le temps, de soucis, d’assemblages très compliqués…

Pour nous aussi, aux Etats-Unis, une des priorités absolues est de garder son emploi, et pour cela il ne faut pas regarder aux horaires, et souvent ce sont justement les relations familiales qui en souffrent.

ANNA : Certes ce n’est pas toujours facile… L’impression, Sainteté, est que les institutions et les entreprises ne facilitent pas la conciliation des temps de travail avec les temps pour la famille.

Sainteté, nous imaginons que pour vous non plus, il n’est pas facile de concilier vos engagements innombrables avec le repos.

Avez-vous quelque conseil pour nous aider à retrouver cette nécessaire harmonie ? Dans le tourbillon de tant d’incitations imposées par la société contemporaine, comment aider les familles à vivre la fête selon le cœur de Dieu ?

SAINT-PÈRE : Grande question et je pense comprendre ce dilemme entre deux priorités : la priorité de l’emploi est fondamentale, et la priorité de la famille. Et comment réconcilier les deux priorités. Je peux seulement chercher à donner quelques conseils. Le premier point : il existe des entreprises qui permettent pratiquement quelques extra pour les familles – le jour de l’anniversaire, etc – et voient que concéder un peu de liberté, finalement est aussi positif pour l’entreprise, parce que cela renforce l’amour pour le travail, pour l’emploi. Je voudrais donc, inviter les employeurs à penser à la famille, à penser à aider pour que les deux priorités puissent être conciliées. Second point : il me semble que l’on doive naturellement chercher une certaine créativité, et cela n’est pas toujours facile. Mais au moins, chaque jour apporter quelques éléments de joie d’attention dans la famille, quelques renoncements à sa volonté propre pour être ensemble une famille, d’accepter et de vaincre les nuits, les obscurités dont on a aussi parlé avant, penser à ce grand bien qu’est la famille et ainsi, dans le grand empressement à donner quelque chose de bon chaque jour, trouver une réconciliation des deux priorités. Finalement, la fête, c’est le dimanche : j’espère qu’il est observé en Amérique le dimanche. Donc le dimanche, jour du Seigneur me semble très important, et en tant que tel il est aussi, le « jour de l’homme », parce que nous sommes libres. Ceci était, dans le récit de la Création, l’intention originelle du Créateur : qu’un jour tous soient libres. Dans cette liberté de l’un pour l’autre, pour soi-même, on est libre pour Dieu. Et ainsi, je pense que nous défendons la liberté de l’homme en défendant le dimanche et les fêtes comme jours de Dieu et ainsi jours pour l’homme. Tous mes vœux ! Merci.

5. FAMILLE ARAUJO (Famille brésilienne de Porto Alegre)
MARIA MARTA
 : Sainteté, comme dans le reste du monde, dans notre pays aussi, les échecs matrimoniaux continuent à augmenter.

Je m’appelle Maria Marta, et lui Manoel Angelo. Nous sommes mariés depuis 34 ans et nous sommes déjà grands-parents. En qualité de médecins et psychothérapeutes de familles, nous rencontrons beaucoup de familles, remarquant dans les conflits de couples une difficulté plus marquée à pardonner et à accepter le pardon, mais dans différents cas nous avons rencontré le désir et la volonté de construire une nouvelle union, quelque chose de durable, pour les enfants aussi qui naissent de la nouvelle union.

MANOEL ANGELO : Certains de ces couples remariés voudraient se rapprocher de l’Église, mais quand ils se voient refuser les Sacrements, leur déception est grande. Ils se sentent exclus, marqués par un jugement sans appel.

Ces grandes souffrances blessent profondément celui qui en est touché ; déchirures qui deviennent aussi une partie du monde, et sont aussi nos blessures, de toute l’humanité.

Saint-Père, nous savons que ces situations et que ces personnes tiennent beaucoup à cœur à l’Église : quelles paroles et quels signes d’espérance pouvons-nous leur donner ?

 

SAINT-PÈRE : Chers amis, merci pour votre travail de psychothérapeutes pour les familles, très nécessaire. Merci pour tout ce que vous faites pour aider ces personnes souffrantes. En réalité, ce problème des divorcés remariés est une des grandes souffrances de l’Église d’aujourd’hui. Et nous n’avons pas de recettes simples. La souffrance est grande et nous pouvons seulement aider les paroisses, chacun à aider ces personnes à supporter la souffrance de ce divorce. Je dirais que naturellement, la prévention est très importante, c’est-à-dire approfondir dès le début le fait d’être amoureux en une décision profonde, mûre ; et aussi, l’accompagnement pendant le mariage afin que les familles ne soient jamais seules mais soient vraiment accompagnées sur leur chemin. Et nous devons dire à ces personnes, – comme vous avez dit – que l’Église les aime, mais elles-mêmes doivent voir et sentir cet amour. Cela m’apparaît être une grand tâche d’une paroisse, d’une communauté catholique, de faire réellement tout ce qu’il y a de possible pour qu’elles se sentent aimées, acceptées ; qu’elles ne sont pas « en dehors » même si elles ne peuvent recevoir l’absolution et l’Eucharistie : elles doivent voir que même ainsi, elles vivent pleinement dans l’Église. Même si l’absolution dans la Confession n’est pas possible, un contact permanent avec un prêtre, avec un guide de l’âme, est très important pour qu’elles puissent voir qu’elles sont accompagnées et guidées. Et puis, il est aussi très important qu’elles sentent que l’Eucharistie est vraie et qu’elles y participent si elles entrent vraiment en communion avec le Corps du Christ. Même sans la réception « corporelle » du sacrement, nous pouvons être spirituellement unis au Christ dans son Corps. Et faire comprendre cela est important. Que réellement elles trouvent la possibilité de vivre une vie de foi, avec la Parole de Dieu, avec la communion de l’Église et puissent voir que leur souffrance est un don pour l’Église, parce qu’elles servent ainsi à tous pour défendre aussi la stabilité de l’amour, du mariage ; et que cette souffrance n’est pas seulement un tourment physique et psychique, mais qu’elle est aussi une souffrance dans la communauté de l’Église pour les grandes valeurs de notre foi. Je pense que leur souffrance, si elle est réellement intérieurement acceptée, est un don pour l’Église. Elles doivent le savoir, qu’ainsi elles servent l’Église, elles sont dans le cœur de l’Église. Merci pour votre engagement.

SALUT AUX VICTIMES DU TREMBLEMENT DE TERRE

SAINT-PÈRE : Chers amis, vous savez que nous partageons profondément votre douleur, votre souffrance ; et, surtout, je prie chaque jour pour que finisse enfin ce tremblement de terre. Nous voulons tous collaborer pour vous aider : soyez sûrs que nous ne vous oublions pas, que nous faisons tout notre possible pour vous aider - La Caritas, toutes les organisations de l’Église, l’État, les différentes communautés - chacun de nous veut vous aider, que ce soit spirituellement par notre prière, par notre proximité de cœur, que ce soit matériellement, et je prie avec insistance pour vous. Que Dieu vous aide, qu’Il nous aide tous ! Avec mes vœux, que le Seigneur vous bénisse !

[00751-03.01] [Texte original: Italien]

 TRADUZIONE IN LINGUA INGLESE

 CAT TIEN (Vietnamese girl):

Hello Papa. I am Cat Tien and I come from Vietnam.

I am seven years old and I wish to present my family to you. This is my Dad, Dan, and my mother is called Tao, and this is my little brother Binh.

I would very much like to know something about your own family and when you were very young like me.

HOLY FATHER: Thank you, my dear, and warm thanks also to your parents. You have asked me about my family memories. They are so many, and I can only speak of a few. The most important moment for our family was always Sunday, but Sunday really began on Saturday afternoon. My father would read out the Sunday readings from a book that was very popular in Germany at that time, which also included explanations of the texts. That is how we began our Sunday, entering into the Liturgy in an atmosphere of joy. The next day we would go to Mass. My home is very close to Salzburg and so we had plenty of music – Mozart, Schubert, Haydn – and when the Kyrie began it was as if Heaven was opening up. Then once we were back home, naturally our Sunday meal together was important. We sang a lot together. My brother is a fine musician; he was already composing pieces for all of us as a boy, and the whole family would sing them. My father would play the zither and sing. These were unforgettable moments. Naturally we would go on journeys and walks together. We lived near a forest and it was so enjoyable to walk and have adventures and play there. In a word, we were one in heart and soul, enjoying so many experiences together, even though times were hard, as this was during the war: first we had the dictatorship and then poverty. But the mutual love that we shared, our joy, even in simple things, was so strong that it enabled us to endure and overcome these things. I think it is very important to understand that even little things were a source of joy because they were an expression of warm-heartedness. And so we grew up convinced that it was good to be human, because we saw God’s goodness reflected in our parents and our brothers and sisters. And indeed when I try to imagine what Heaven will be like, I think it must be like the time when I was a small boy. In this environment of trust, joy and love, we were happy, and I think that Heaven must be rather like those early years. So in a way, I am hoping to return "home" when I leave for "the other part of the world".

SERGE RAZAFINBONY AND FARA ANDRIANOMBONANA (Engaged couple from Madagascar):

SERGE: Your Holiness, we are Fara and Serge and we come from Madagascar. We met in Florence as students – I was studying engineering, Fara economics. We have been engaged for four years and as soon as we graduate, our dream is to return to our country to help our people, not least through our professional activity.

FARA: The family models that prevail in the West leave us unconvinced, but we realize that in Africa too there are many traditional elements that need somehow to be set aside. We feel that we were made for one another. That is why we want to marry and build our future together. We also want every aspect of our lives to be shaped by Gospel values.

But speaking of marriage, Your Holiness, there is a phrase that attracts us more than anything else, and yet it also frightens us: "for ever".

HOLY FATHER: Dear friends, thank you for this testimony. My prayers go with you in this journey of engagement, and I hope that you will be able to build a family "for ever", upon Gospel values. You mentioned different types of marriage: we know the African mariage coutumier and we know Western marriage. Even in Europe, to tell the truth, until the nineteenth century, a different model of marriage prevailed from what we have today: marriage was often in reality a contract between clans, intended to preserve the clan, to make preparations for the future, to defend property, etc. Marriage partners were sought out by the clan, in the hope that they would be suited to one another. To some extent it was like that in our countries too. I remember that in a small town where I went to school, it was still very much like that. But then, from the nineteenth century onwards, there came the emancipation of the individual, personal freedom, and marriage was no longer based on the will of others, but on one’s own choice; first a couple would fall in love, then they would become engaged, and marriage would follow. At that time everyone was convinced that this was the only just model, and that love by itself would guarantee the "for ever", because love is absolute, it wants everything, and thus it demands permanence: it is "for ever". Unfortunately, reality was not like that: we see that falling in love is a wonderful thing, but perhaps it does not always last for ever: it is a feeling which does not remain indefinitely. So it is clear that the progression from falling in love to engagement and then to marriage requires a number of decisions, interior experiences. As I said, this loving sentiment is a wonderful thing, but it has to be purified, it has to undergo a process of discernment, that is, reason and will have to come into it. Reason, sentiment and will have to come together. In the Rite of Marriage, the Church does not say: "Are you in love?" but "Do you wish?" "Have you decided?" In other words, falling in love has to become true love by involving the will and the reason in a deeper journey of purification which is the journey of engagement, such that the whole person, with all his or her faculties, with the discernment of reason and strength of will, says: "Yes, this is my life". I often think of the wedding-feast of Cana. The first wine is very fine: this is falling in love. But it does not last until the end: a second wine has to come later, it has to ferment and grow, to mature. The definitive love that can truly become this "second wine" is more wonderful still, it is better than the first wine. And this is what we must seek. Here it is important that the "I" and the "you" are not alone, but that the parish community is also involved, the Church, the circle of friends. All this – the right degree of personal maturity, communion of life with others, with families who support one another – is very important, and only in this way, through this involvement of the community, friends, the Church, the faith, God himself, can a wine emerge that will last for ever. I wish you well!

PALEOLOGOS (Greek family)

NIKOS: Kalispera! We are the Paleologos family from Athens. My name is Nikos and this is my wife Pania. And these are our two children, Pavlos and Lydia.

Years ago, together with two other partners, we invested everything we had in setting up a small IT company.

When the present severe economic crisis broke, our client base was drastically reduced, and the remaining customers take longer and longer to pay their bills. We can barely manage to pay the salaries of our two employees, and very little is left over for the partners: so much so that with every day that passes, we have less with which to support our families. Our situation is just one among many millions of similar situations. In town, people go around with their heads down. No one trusts anyone else any more, hope has vanished.

PANIA: We too, even though we continue to believe in Providence, find it hard to imagine a future for our children.

There are days and nights, Holy Father, when we find ourselves asking what to do in order not to lose hope. What can the Church say to all these people, to these individuals and families who no longer have anything to look forward to?

HOLY FATHER: My dear friends, thank you for this testimony which touches my heart and the hearts of us all. What can we respond? Words are not enough. We ought to do something concrete, and we all suffer on account of our inability to do anything concrete. Let us speak first about politics: it seems to me that all the parties need to develop a stronger sense of responsibility, not to make promises they cannot keep, nor just to seek votes for themselves, but to take responsibility for the good of everyone, and to understand that politics always has to include human and moral responsibility before God and before the world. Then, of course, individuals suffer and have to accept the situation in which they find themselves, often without any possibility of avoiding it. Nevertheless, we can also say this: let everyone strive to do whatever they can, thinking of themselves, their family, other people, with a great sense of responsibility, knowing that sacrifices are necessary in order to move forward. And thirdly, what can we do ourselves? This is my question, at this moment. I think that perhaps twinning arrangements between cities, families, and parishes could help. In Europe we now have a whole system of twinning, but it takes place at the level of cultural exchanges, which are certainly good and useful in themselves. Yet perhaps there is a need for twinning in another sense: that a family from the West – from Italy, Germany, France ... should take on the responsibility of helping another family. So too between parishes, and between cities: that they might genuinely assume responsibility and offer concrete assistance. And be sure of this: I and many others are praying for you, and this praying is not just a matter of words, it opens the heart to God and thus it also leads to creativity in finding solutions. Let us hope that the Lord will help us, that the Lord will always help us! Thank you.

RERRIE FAMILY (from the United States)

JAY: We live near New York.

My name is Jay, I am of Jamaican origin and I work as an accountant.

This is my wife Anna, who is a supply teacher.

And these are our six children, aged from 2 to 12. From this you can well imagine, Holy Father, that our life is made up of constant racing against time, anxieties, highly complex situations.

In our country too, in the United States, one of the absolute priorities is to hold onto our jobs, and if we are to do so it’s no use keeping to the timetable, and often this comes at the cost of our family relationships.

ANNA: It certainly isn’t easy ... Our impression, Holy Father, is that institutions and businesses don’t make it easy to reconcile work schedules with the demands of family life.

Your Holiness, we imagine that for you too it isn’t easy to reconcile the enormous number of commitments you have with the need for rest.

Do you have any advice to help us rediscover this essential harmony? In the maelstrom of so many stimuli coming at us from modern society, how can we help families to live and celebrate according to God’s heart?

HOLY FATHER: It is a big question, and I think I understand this dilemma of reconciling the two priorities: the priority of the workplace is fundamental, and so is the priority of the family. How are we to reconcile them? I can only seek to offer a few suggestions. Firstly, there are businesses that allow something extra for families – birthdays, etc. – and they realize that to grant a little freedom ultimately brings benefits for the business too, because it strengthens people’s love for their work, for their workplace. So I would like to invite employers to think of the family, to think of helping to reconcile these two priorities. Secondly, it seems to me that a certain creativity has to be achieved, and this is not always easy. But at least, every day, try to offer some element of joy to the family, some attention, some sacrifice of one’s own will in order to be together as a family, to accept and overcome the dark moments, the trials of which we spoke earlier, and to think of the great good that the family is, and hence, in the determination to do something good every day, to find a way of reconciling the two priorities. And finally, there is Sunday, the day of celebration: I hope that Sunday is observed in America. Sunday, the Lord’s Day, seems to me to be of great importance, and as such it is also "our day", because we are free. In the creation account, this was the Creator’s original intention: that on one day we should all be free. In this freedom for one another, for ourselves, we are free for God. And this is how I think we defend human freedom, by defending Sunday and feast-days as the Lord’s days and thus as our days. I wish you well! Thank you!

THE ARAUJO FAMILY (a Brazilian family from Porto Alegre)

MARIA MARTA: Holy Father, in our country, just as in the rest of the world, marriage breakdowns are continually increasing.

My name is Maria Marta and this is Manoel Angelo. We have been married for 34 years and we are now grandparents. As a doctor and a family psychotherapist, we meet a great many families and we notice that couples in difficulties are finding it harder and harder to forgive and to accept forgiveness. We often encounter the desire and the will to establish a new partnership, something lasting, for the benefit of the children born from this second union.

MANOEL ANGELO: Some of these remarried couples would like to be reconciled with the Church, but when they see that they are refused the sacraments they are greatly discouraged. They feel excluded, marked by a judgement against which no appeal is possible.

These sufferings cause deep hurt to those involved. Their wounds also afflict the world and they become our wounds, the wounds of the whole human race.

Holy Father we know that the Church cares deeply about these situations and these people. What can we say to them and what signs of hope can we offer them?

HOLY FATHER: Dear friends, thank you for your very important work as family psychotherapists. Thank you for all that you do to help these suffering people. Indeed the problem of divorced and remarried persons is one of the great sufferings of today’s Church. And we do not have simple solutions. Their suffering is great and yet we can only help parishes and individuals to assist these people to bear the pain of divorce. I would say, obviously, that prevention is very important, so that those who fall in love are helped from the very beginning to make a deep and mature commitment. Then accompaniment during married life is needed, so that families are never left on their own but are truly accompanied on their journey. As regards these people - as you have said - the Church loves them, but it is important they should see and feel this love. I see here a great task for a parish, a Catholic community, to do whatever is possible to help them to feel loved and accepted, to feel that they are not "excluded" even though they cannot receive absolution or the Eucharist; they should see that, in this state too, they are fully a part of the Church. Perhaps, even if it is not possible to receive absolution in Confession, they can nevertheless have ongoing contact with a priest, with a spiritual guide. This is very important, so that they see that they are accompanied and guided. Then it is also very important that they truly realize they are participating in the Eucharist if they enter into a real communion with the Body of Christ. Even without "corporal" reception of the sacrament, they can be spiritually united to Christ in his Body. Bringing them to understand this is important: so that they find a way to live the life of faith based upon the Word of God and the communion of the Church, and that they come to see their suffering as a gift to the Church, because it helps others by defending the stability of love and marriage. They need to realize that this suffering is not just a physical or psychological pain, but something that is experienced within the Church community for the sake of the great values of our faith. I am convinced that their suffering, if truly accepted from within, is a gift to the Church. They need to know this, to realize that this is their way of serving the Church, that they are in the heart of the Church. Thank you for your commitment.

GREETING TO THE VICTIMS OF THE EARTHQUAKE

HOLY FATHER. Dear friends, you know that we are deeply involved in your pain and suffering; above all, I pray every day that this earthquake will finally come to an end. We are all eager to offer you assistance. Be assured that we will not forget you, that we are all doing all we can to help you – Caritas, the agencies of the Church and the State, the various communities. Each of us wants to help you spiritually, with our prayers and heartfelt sympathy, as well as materially, and I pray for you insistently. May God assist you, may he assist us all! I offer you my good wishes. May the Lord bless you!

[00751-02.01] [Original text: Italian]

 TRADUZIONE IN LINGUA TEDESCA

 

 

 TRADUZIONE IN LINGUA SPAGNOLA

 1. CAT TIEN (niña de Vietnam):

Hola, Papa. Soy Cat Tien, vengo de Vietnam.

Tengo siete años y te quiero presentar a mi familia. Él es mi papá, Dan, y mi mamá se llama Tao, y este es mi hermanito Binh.

Me gustaría mucho saber algo de tu familia y de cuando eras pequeño como yo...

SANTO PADRE: Gracias a ti, querida, y a los padres: gracias de corazón. Así que has preguntado cómo son los recuerdos de mi familia: ¡serían tantos! Quisiera decir sólo alguna cosa. Para nosotros, el punto esencial para la familia era siempre el domingo, pero el domingo comenzaba ya el sábado por la tarde. El padre nos contaba las lecturas, las lecturas del domingo, tomadas de un libro muy difundido en aquel tiempo en Alemania, en el que también se explicaban los textos. Así comenzaba el domingo: entrábamos ya en la liturgia, en una atmósfera de alegría. Al día siguiente íbamos a Misa. Mi casa está cerca de Salzburgo y, por tanto, teníamos mucha música – Mozart, Schubert, Haydn – y, cuando empezaba el Kyrie, era como si se abriera el cielo. Y, naturalmente, luego, en casa, era muy importante una buena comida todos juntos. Además, cantábamos mucho: mi hermano es un gran músico, ya de chico hacía composiciones para todos nosotros y, así, toda la familia cantaba. El papá tocaba la cítara y cantaba; son momentos inolvidables. Naturalmente, luego hemos hecho viajes juntos, paseos; estábamos cerca de un bosque, así que caminar por los bosques era algo muy bonito: aventuras, juegos, etc. En una palabra, éramos un solo corazón y un alma sola, con tantas experiencias comunes, incluso en tiempos muy difíciles, porque eran los años de la guerra, antes de la dictadura, y después de la pobreza. Pero este amor recíproco que había entre nosotros, esta alegría aun por cosas simples era grande y así se podían superar y soportar también las dificultades. Me parece que esto es muy importante: que también las pequeñas cosas hayan dado alegría, porque así se expresaba el corazón del otro. De este modo, hemos crecido en la certeza de que es bueno ser hombre, porque veíamos que la bondad de Dios se reflejaba en los padres y en los hermanos. Y, a decir verdad, cuando trato de imaginar un poco cómo será en el Paraíso, se me parece siempre al tiempo de mi juventud, de mi infancia. Así, en este contexto de confianza, de alegría y de amor, éramos felices, y pienso que en el Paraíso debería ser similar a como era en mi juventud. En este sentido, espero ir «a casa», yendo hacia la «otra parte del mundo».

 

2. SERGE RAZAFINBONY Y FARA ANDRIANOMBONANA, (Pareja de novios de Madagascar):

SERGE: Santidad, somos Fara y Serge, y venimos de Madagascar.

Nos hemos conocido en Florencia, donde estamos estudiando, yo ingeniería y ella economía. Somos novios desde hace cuatro años y soñamos volver a nuestro país en cuanto terminemos los estudios para dar una mano a nuestra gente, también mediante nuestra profesión.

FARA: Los modelos familiares que predominan en Occidente no nos convencen, pero somos conscientes de que también muchos tradicionalismos de nuestra África deban ser de algún modo superados. Nos sentimos hechos el uno para el otro; por eso queremos casarnos y construir un futuro juntos. También queremos que cada aspecto de nuestra vida esté orientado por los valores del Evangelio.

Pero hablando de matrimonio, Santidad, hay una palabra que, más que ninguna otra, nos atrae y al mismo tiempo nos asusta: el «para siempre»...

 

SANTO PADRE: Queridos amigos, gracias por este testimonio. Mi oración os acompaña en este camino de noviazgo y espero que podáis crear, con los valores del Evangelio, una familia «para siempre». Usted ha aludido a diversos tipos de matrimonio: conocemos el «mariage coutumier» de África y el matrimonio occidental. A decir verdad, también en Europa había otro modelo de matrimonio dominante hasta el s. XIX, como ahora: a menudo, el matrimonio era en realidad un contrato entre clanes, con el cual se traba de conservar el clan, de abrir el futuro, de defender las propiedades, etc. Se buscaba a uno para el otro por parte del clan, esperando que fueran idóneos uno para otro. Así sucedía en parte también en nuestros países. Yo me acuerdo que, en un pequeño pueblo en el que iba al colegio, en buena parte se hacía todavía así. Pero luego, desde el s. XIX, viene la emancipación del individuo, de la persona, y el matrimonio no se basa en la voluntad de otros, sino en la propia elección; comienza con el enamoramiento, se convierte luego en noviazgo y finalmente en matrimonio. En aquel tiempo, todos estábamos convencidos de que ese era el único modelo justo y de que el amor garantizaba de por sí el «siempre», puesto que el amor es absoluto y quiere todo, también la totalidad del tiempo: es «para siempre». Desafortunadamente, la realidad no era así: se ve que el enamoramiento es bello, pero quizás no siempre perpetuo, como lo es también el sentimiento: no permanece por siempre. Por tanto, se ve que el paso del enamoramiento al noviazgo y luego al matrimonio exige diferentes decisiones, experiencias interiores. Como he dicho, es bello este sentimiento de amor, pero debe ser purificado, ha de seguir un camino de discernimiento, es decir, tiene que entrar también la razón y la voluntad; han de unirse razón, sentimiento y voluntad. En el rito del matrimonio, la Iglesia no dice: «¿Estás enamorado?», sino «¿quieres?», «¿estás decidido?». Es decir, el enamoramiento debe hacerse verdadero amor, implicando la voluntad y la razón en un camino de purificación, de mayor hondura, que es el noviazgo, de modo que todo el hombre, con todas sus capacidades, con el discernimiento de la razón y la fuerza de voluntad, dice realmente: «Sí, esta es mi vida». Yo pienso con frecuencia en la boda de Caná. El primer vino es muy bueno: es el enamoramiento. Pero no dura hasta el final: debe venir un segundo vino, es decir, tiene que fermentar y crecer, madurar. Un amor definitivo que llega a ser realmente «segundo vino» es más bueno, mejor que el primero. Y esto es lo que hemos de buscar. Y aquí es importante también que el yo no esté aislado, el yo y el tú, sino que se vea implicada también la comunidad de la parroquia, la Iglesia, los amigos. Es muy importante esto, toda la personalización justa, la comunión de vida con otros, con familias que se apoyan una a otra; y sólo así, en esta implicación de la comunidad, de los amigos, de la Iglesia, de la fe, de Dios mismo, crece un vino que vale para siempre. ¡Os felicito!

 

3. FAMILIA PALEOLOGOS (Familia griega)

NIKOS: ¡Kalispera! Somos la familia Paleologos. Venimos de Atenas. Me llamo Nikos y ella es mi mujer Pania. Y estos son nuestros dos hijos, Pavlos y Lydia.

Hace años, con otros dos socios, invirtiendo todo lo que teníamos, hemos creado una pequeña sociedad de informática.

Al llegar la durísima crisis económica actual, los clientes han disminuido drásticamente, y los que han quedado aplazan cada vez más los pagos. A duras penas logramos pagar los sueldos de los dos dependientes, y a nosotros, los socios, nos queda muy poco: así que, cada día que pasa, nos queda cada vez menos para mantener a nuestras familias. Nuestra situación es una como tantas, una entre millones de otras. En la ciudad, la gente va agachando la cabeza; ya nadie confía en nadie, falta la esperanza.

PANIA: También a nosotros, aunque seguimos creyendo en la providencia, se nos hace difícil pensar en un futuro para nuestros hijos.

Hay días y noches, Santo Padre, en los cuáles nos surge la pregunta sobre cómo hacer para no perder la esperanza. ¿Qué puede decir la Iglesia a toda esta gente, a estas personas y familias a las que ya no queda prespectivas?

SANTO PADRE: Queridos amigos, gracias por este testimonio que me ha llegado al corazón y al corazón de todos nosotros. ¿Qué podemos responder? Las palabras son insuficientes. Deberíamos hacer algo concreto y todos sufrimos por el hecho de que somos incapaces de hacer algo concreto. Hablemos primero de la política: me parece que debería crecer el sentido de responsabilidad en todos los partidos, que no prometan cosas que no pueden realizar, que no busquen sólo votos para ellos, sino que sean responsables del bien de todos y que se entienda que la política es siempre también responsabilidad humana, moral ante Dios y los hombres. Después, también las personas sufren y tienen que aceptar, naturalmente, la situación tal como es, a menudo sin posibilidad de defenderse. Sin embargo, también podemos aquí decir: tratemos de que cada uno haga todo lo que esté en sus manos, que piense en sí mismo, en la familia y en los otros con gran sentido de responsabilidad, sabiendo que los sacrificios son necesarios para seguir adelante. Tercer punto: ¿qué podemos hacer nosotros? Esta es mi pregunta en este momento. Pienso que quizás podrían ayudar los hermanamientos entre ciudades, entre familias, entre parroquias. Nosotros tenemos ahora en Europa una red de hermanamientos, pero se trata de intercambios culturales, ciertamente muy buenos y útiles, pero quizás se requieran hermanamientos en otro sentido: que realmente una familia de Occidente, de Italia, Alemania o Francia,... se tome la responsabilidad de ayudar a otra familia. Y también así las parroquias, las ciudades: que asuman verdaderamente una responsabilidad, que ayuden de forma concreta. Y estad seguros: yo y tantos otros rogamos por vosotros, y esta plegaria no es sólo pronunciar palabras, sino que abre el corazón a Dios, y así suscita también creatividad para encontrar soluciones. Esperamos que el Señor nos ayude, que el Señor os ayude siempre. Gracias.

4. FAMILIA RERRIE (Familia estadounidense)

JAY: Vivimos cerca de Nueva York.

Me llamo Jay, soy de origen jamaicano y trabajo de contable.

Ella es mi mujer, Anna, y es maestra de apoyo.

Y estos son nuestros seis hijos, que tienen de 2 a 12 años. Así que se puede imaginar, Santidad, que nuestra vida está hecha de continuas carreras contra el tiempo, de afanes, de ajustes muy complicados...

También para nosotros, en los Estados Unidos, una de las prioridades absolutas es conservar el puesto de trabajo y, para ello, no hay que atenerse a los horarios y, con frecuencia, lo que se resiente son precisamente las relaciones familiares.

ANNA: En verdad no siempre es fácil… La impresión, Santidad, es que las instituciones y las empresas no facilitan compaginar el tiempo del trabajo con el tiempo para la familia.

Santidad, imaginamos que para usted tampoco es fácil conciliar sus infinitos compromisos con el descanso.

¿Tiene algún consejo para ayudarnos a reencontrar esta armonía necesaria? En el torbellino de tantos estímulos impuestos por la sociedad contemporánea, ¿cómo ayudar a la familia a vivir la fiesta según el corazón de Dios?

SANTO PADRE: Es una gran cuestión, y creo entender este dilema entre las dos prioridades: la prioridad del puesto de trabajo es fundamental, como lo es la prioridad de la familia. Y cómo armonizar las dos prioridades. Puedo tratar únicamente de dar algún consejo. El primer punto: hay empresas que permiten un cierto extra para las familias – el día del cumpleaños, etc. – y comprueban que conceder un poco de libertad, al final hace bien también a la empresa, porque refuerza el amor por el trabajo, por el puesto de trabajo. Por tanto, quisiera aquí invitar a quienes dan trabajo a pensar en la familia, a pensar también en dar su aportación para que las dos prioridades puedan conciliar. Segundo punto: me parece que naturalmente se deba buscar una cierta creatividad, y esto no siempre es fácil. Pero llevar cada día a la familia al menos algún motivo de alegría, de atención, alguna renuncia a la propia voluntad para estar juntos en familia, y de aceptar y superar las noches, las oscuridades de las que antes ya he hablado, pensando en este gran bien que es la familia y encontrar así una conciliación de las dos prioridades, también en la solicitud por llevar cada día algo bueno. Y finalmente, está el domingo, la fiesta; espero que en America se observe el domingo. Y por tanto, este día, me parece muy importante, porque el domingo, precisamente en cuanto día del Señor es también «día del hombre», porque estamos libres. En el relato de la creación, esta era la intención original del Creador: que todos seamos libres un día. En esta libertad de uno para el otro, para sí mismos, se es libre para Dios. Pienso que así defendemos la libertad del hombre, defendiendo el domingo y las fiestas como días de Dios y así días del hombre. Os felicito. Gracias.

5. FAMILIA ARAUJO (familia brasileña de Porto Alegre)

MARIA MARTA: Santidad, como en el resto del mundo, también en Brasil los fracasos matrimoniales van aumentando.

Me llamo María Marta, él es Manoel Angelo. Estamos casamos desde hace 34 años y somos ya abuelos. En cuanto medico y psicoterapeuta familiar encontramos tantas familias, observando en los conflictos de pareja una dificultad mayor de perdonar y de aceptar el perdón, pero en diversos casos hemos visto el deseo y la voluntad de construir una nueva unión algo de duradero, también para los hijos que nacen de la nueva unión.

MANOEL ANGELO: Algunas de estas parejas que se vuelven a casar desearían acercarse nuevamente a la Iglesia, pero cuando ven que se les niega los sacramentos su desilusión es grande. Se sienten excluidos, marcados por un juicio inapelable.

Estos grandes sufrimientos hieren en lo profundo a quien está implicado; heridas que se convierten también parte del mundo, y son heridas también nuestras, de toda la humanidad.

Santo Padre, sabemos que esta situación y estas personas es una gran preocupación para la Iglesia: ¿Qué palabras y signos de esperanza podemos darles?

SANTO PADRE: Queridos amigos, gracias por vuestro trabajo tan necesario de psicoterapeutas para la familia. Gracias por todo lo que hacéis por ayudar a estas personas que sufren. En realidad, este problema de los divorciados y vueltos a casar es una de las grandes penas de la Iglesia de hoy. Y no tenemos recetas sencillas. El sufrimiento es grande y podemos sólo animar a las parroquias, a cada uno individualmente, a que ayuden a estas personas a soportar el dolor de este divorcio. Diría que, naturalmente, sería muy importante la prevención, es decir, que se profundizara desde el inicio del enamoramiento hasta llegar a una decisión profunda, madura; y también el acompañamiento durante el matrimonio, para que las familias nunca estén solas sino que estén realmente acompañadas en su camino. Y luego, por lo que se refiere a estas personas, debemos decir – como usted ha hecho notar – que la Iglesia les ama, y ellos deben ver y sentir este amor. Me parece una gran tarea de una parroquia, de una comunidad católica, el hacer realmente lo posible para que sientan que son amados, aceptados, que no están «fuera» aunque no puedan recibir la absolución y la Eucaristía: deben ver que aun así viven plenamente en la Iglesia. A lo mejor, si no es posible la absolución en la Confesión, es muy importante sin embargo un contacto permanente con un sacerdote, con un director espiritual, para que puedan ver que son acompañados, guiados. Además, es muy valioso que sientan que la Eucaristía es verdadera y participada si realmente entran en comunión con el Cuerpo de Cristo. Aun sin la recepción «corporal» del sacramento, podemos estar espiritualmente unidos a Cristo en su Cuerpo. Y hacer entender que esto es importante. Que encuentren realmente la posibilidad de vivir una vida de fe, con la Palabra de Dios, con la comunión de la Iglesia y puedan ver que su sufrimiento es un don para la Iglesia, porque sirve así a todos para defender también la estabilidad del amor, del matrimonio; y que este sufrimiento no es sólo un tormento físico y psicológico, sino que también es un sufrir en la comunidad de la Iglesia por los grandes valores de nuestra fe. Pienso que su sufrimiento, si se acepta de verdad interiormente, es un don para la Iglesia. Deben saber que precisamente de esa manera sirven a la Iglesia, están en el corazón de la Iglesia. Gracias por vuestro compromiso.

SALUDOS A LOS AFECTADOS POR EL TERREMOTO

SANTO PADRE: Querido amigos, sabéis que sentimos profundamente vuestro dolor, vuestro sufrimiento; y sobretodo, ruego cada día para que termine por fin este terremoto. Todos queremos colaborar para ayudaros: estad seguros de que no los olvidamos, que todos hacemos lo posible para ayudarles – la Caritas, todas las organizaciones de la Iglesia, el Estado, las diversas comunidades –; cada uno de nosotros quiere ayudarlos, sea espiritualmente con nuestra plegaria, con la cercanía de corazón, sea materialmente, y oro insistentemente por vosotros. Dios os ayude, nos ayude a todos. Os felicito, el Señor os bendiga.

[00751-04.01] [Texto original: Español]

 TRADUZIONE IN LINGUA PORTOGHESE

 1. CAT TIEN (menina do Vietname):

Olá, Papa. Sou a Cat Tien, venho do Vietname.

Tenho sete anos e quero apresentar-te a minha família. Este é o meu papá, Dan; a minha mãe chama-se Tao, e este é o meu irmão Binh.

Gostava muito de saber alguma coisa da tua família e de quando eras pequeno como eu...

 

SANTO PADRE: Obrigado, minha menina; e aos pais: o meu obrigado do fundo do coração. Perguntaste quais e como são as lembranças da minha família. Seriam tantas! Posso dizer apenas poucas coisas. O ponto essencial para nós, para a família era o domingo, mas o domingo começava já no sábado de tarde. O pai dizia-nos quais eram as leituras, as leituras do domingo, lendo-as num livro muito conhecido naquele tempo na Alemanha, onde se explicavam também os textos. Assim começava o domingo: entrávamos já na liturgia, num clima de alegria. No dia seguinte, íamos à Missa. A minha casa estava perto de Salzburgo, pelo que havia muita música – Mozart, Schubert, Haydn – e, quando começava o Kyrie, parecia o céu aberto. Depois era importante o que se passava em casa. Naturalmente, o momento grande do almoço juntos. E também cantávamos muito: o meu irmão é um grande músico; já, desde a adolescência, fazia composições para todos nós, e assim toda a família cantava. O pai tocava cítara e cantava. São momentos inesquecíveis. Além disso, claro, fizemos juntos viagens, caminhadas; vivíamos perto dum bosque, e era muito bom caminhar nos bosques: aventuras, jogos, etc. Numa palavra, formávamos um só coração e uma só alma, com muitas experiências comuns, mesmo em tempos muito difíceis, porque era o tempo da guerra, como antes fora o tempo da ditadura e, depois, o da pobreza. Mas este amor mútuo que havia entre nós, esta alegria até por coisas simples era forte, e assim conseguia-se superar e suportar também estas coisas. Parece-me que isto era muito importante: mesmo coisas pequenas nos faziam felizes, porque eram expressão do coração do outro. E assim crescemos na certeza de que é bom ser uma pessoa humana, porque víamos que a bondade de Deus se reflectia nos pais e nos irmãos. E, verdade seja dita, quando procuro imaginar um pouco como vai ser no Paraíso, sempre me parece que será como o tempo da minha juventude, da minha infância. Como éramos felizes neste ambiente de confiança, alegria e amor, penso que, no Paraíso, deveria ser semelhante à forma como era na minha juventude. Neste sentido, espero voltar «a casa», quando passarei ao «outro lado» da vida.

 

2. SERGE RAZAFINBONY E FARA ANDRIANOMBONANA (um par de noivos de Madagáscar):

SERGE: Santidade, somos Fara e Serge, e vimos de Madagáscar.

Conhecemo-nos em Florença, onde estamos a estudar – eu engenharia, e ela economia. Iniciámos o noivado há quatro anos e sonhamos, logo que fizermos o doutoramento, voltar ao nosso país para dar uma mão ao nosso povo, inclusive através da nossa profissão.

FARA: Os modelos de família que predominam no Ocidente não nos convencem, mas estamos cientes de que também muitos tradicionalismos da nossa África precisam de ser em certa medida superados. Sentimo-nos feitos um para o outro; por isso queremos casar e construir um futuro juntos. Queremos também que cada aspecto da nossa vida seja orientado pelos valores do Evangelho.

Mas, falando de matrimónio… Santidade, há uma palavra que, mais do que qualquer outra, nos atrai e ao mesmo tempo nos assusta: aquele «para sempre»...

SANTO PADRE: Queridos amigos, obrigado por este testemunho! Contai com a minha oração neste caminho do noivado e espero que possais criar, com os valores do Evangelho, uma família «para sempre». A Fara aludiu a diversos tipos de casamento: conhecemos o «mariage coutumier» da África e o casamento ocidental. Mesmo na Europa – verdade seja dita –, até ao século XIX, predominava um modelo de casamento diverso do actual: muitas vezes o casamento era, na realidade, um contrato entre clãs, no qual se procurava manter o clã, abri-lo ao futuro, defender as propriedades, etc. A escolha dos noivos era feita pelo clã, esperando que as coisas funcionassem um com o outro. E assim sucedia, em parte, também nos nossos países; lembro-me duma cidadezinha, aonde fui à escola, que as coisas ainda se passavam em grande parte assim. Entretanto, com o século XIX, vem a emancipação do indivíduo, a liberdade da pessoa… e o casamento já não se baseia na vontade alheia, mas na própria escolha; começa-se pelo enamoramento, passa-se ao noivado e depois ao casamento. Naquele tempo, estávamos todos convencidos de que este fosse o único modelo certo e que o amor, por si mesmo, garantisse o «sempre», já que o amor é absoluto, quer tudo e, consequentemente, também a totalidade do tempo: é «para sempre». Infelizmente, não era assim a realidade: vê-se que o enamoramento é lindo, mas talvez não sempre perpétuo, tal como o sentimento que não permanece para sempre. Vê-se, pois, que a passagem do enamoramento ao noivado e, depois, ao casamento requer várias decisões, experiências interiores. Como disse, é lindo este sentimento do amor, mas deve ser purificado, deve seguir por um caminho de discernimento, isto é, devem entrar também a razão e a vontade; devem unir-se razão, sentimento e vontade. No rito do matrimónio, a Igreja não pergunta: «Está enamorado?» Mas: «Quer…», «Está decidido…». Ou seja: o enamoramento deve tornar-se verdadeiro amor, envolvendo a vontade e a razão num caminho – o caminho do noivado – de purificação, de maior profundidade, de tal modo que realmente o homem inteiro, com todas as suas capacidades, com o discernimento da razão, a força da vontade, possa dizer: «Sim, esta é a minha vida». Penso muitas vezes nas bodas de Caná. O primeiro vinho deixou-os felicíssimos: é o enamoramento. Mas não dura até ao fim: deve aparecer um segundo vinho, isto é, deve ferver e crescer, amadurecer. Um amor definitivo que se torne realmente «segundo vinho» é mais lindo, é melhor do que o primeiro vinho. E é isto que devemos procurar... Aqui é importante também que o eu não fique isolado, o eu e o tu, mas que seja envolvida também a comunidade da paróquia: a Igreja, os amigos… Tudo isto – a personalização plena e justa, a comunhão de vida com os outros, com as famílias que se apoiam umas às outras – é muito importante e só assim, neste envolvimento da comunidade, dos amigos, da Igreja, da fé, do próprio Deus é que cresce um vinho que dura para sempre. Muitas felicidades para ambos!

 

3. FAMÍLIA PALEOLOGOS (família grega)

NIKOS: Boa noite! Somos a família Paleologos. Vimos de Atenas. Chamo-me Nikos, e ela é a minha esposa Pania. Estes são os nossos dois filhos: Pavlos e Lydia.

Há alguns anos, juntamente com mais dois sócios e investindo tudo o que tínhamos, começámos uma pequena sociedade de informática.

Com a chegada da duríssima crise económica actual, os clientes diminuíram drasticamente e os que ficaram adiam cada vez mais os pagamentos. Mal conseguimos pagar os salários dos dois trabalhadores que temos, ficando pouquíssimo para nós, os sócios. Assim, à medida que passam os dias, vai havendo cada vez menos para manter as nossas famílias. A nossa situação é apenas uma dentre muitas, uma entre milhões de outras. Na cidade, as pessoas caminham de cabeça baixa; e já ninguém tem confiança em ninguém, falta a esperança.

PANIA: Mesmo nós, embora continuando a acreditar na providência, temos dificuldade em imaginar um futuro para os nossos filhos.

Há dias e noites em que nos perguntamos, Santo Padre, como fazer para não perder a esperança. Que pode a Igreja dizer a toda esta gente, a estas pessoas e famílias sem qualquer perspectiva?

SANTO PADRE: Queridos amigos, obrigado por este testemunho que tocou o meu coração e o coração de todos nós. Que podemos responder? Não bastam as palavras; temos de fazer algo de concreto e todos nós sofremos pelo facto de sermos incapazes de fazer algo de concreto. Comecemos pela política: parece-me que deveria crescer o sentido da responsabilidade em todos os partidos. Não prometam coisas que não podem realizar; não se limitem a procurar votos para si, mas sintam-se responsáveis pelo bem de todos. Que se perceba que política é sempre também responsabilidade humana, moral diante de Deus e dos homens. Depois, naturalmente, temos os indivíduos que sofrem e – muitas vezes sem possibilidade de se defenderem – vêem-se obrigados a aceitar a situação como ela é. Mas aqui podemos também dizer: cada um procure fazer tudo o que lhe é possível, pense em si, na família, nos outros, com um grande sentido de responsabilidade, sabendo que os sacrifícios são necessários para avançar. Terceiro ponto: Que podemos fazer nós? Esta é a minha questão, neste momento. Creio que talvez pudessem ajudar as geminações entre cidades, entre famílias, entre paróquias… Agora, na Europa, temos uma rede de geminações, mas trata-se de intercâmbios culturais – sem dúvida, muito bons e muito úteis –, quando talvez haja necessidade de geminações noutro sentido: que realmente uma família do Ocidente, da Itália, da Alemanha, da França... assuma a responsabilidade de ajudar outra família. E o mesmo se diga das paróquias, das cidades: que assumam responsabilidades reais, ajudem concretamente. E podeis estar certos! Eu e muitos outros rezamos por vós, e esta oração não é só dizer palavras, mas abre o coração a Deus e assim gera também criatividade na busca de soluções. Esperamos que o Senhor vos ajude, que o Senhor vos ajude sempre! Obrigado!

4. FAMÍLIA RERRIE (família dos Estados Unidos)

JAY: Vivemos perto de Nova York.

Meu nome é Jay, sou de origem jamaicana e trabalho em contabilidade.

Esta é a minha esposa Ana e é professora de apoio.

E estes são os nossos seis filhos, cujas idades variam de 2 a 12 anos. A partir disto, bem pode imaginar, Santo Padre, como a nossa vida é feita de incessantes corridas contra o tempo, de ânsias, de arranjos muito complicados...

Também lá, nos Estados Unidos, uma das prioridades absolutas é manter o emprego e, para o conseguir, é preciso não olhar a horários… E muitas vezes quem padece são precisamente as relações familiares.

ANA: É verdade! Nem sempre é fácil... Santidade, tem-se a impressão de que as instituições e as empresas não facilitam a conciliação dos tempos de trabalho com os tempos da família.

Imaginamos que também não seja fácil, para Vossa Santidade, conciliar os seus compromissos sem fim com o repouso.

Pode dar-nos qualquer conselho para nos ajudar a encontrar esta harmonia tão necessária? No turbilhão de tantos estímulos impostos pela sociedade actual, como ajudar as famílias a viverem a festa segundo o coração de Deus?

SANTO PADRE: Óptima pergunta, e acho que entendo este dilema entre duas prioridades: a prioridade do emprego, que é crucial, e a prioridade da família; mas como conciliar as duas prioridades? Posso somente tentar dar algum conselho. Primeiro ponto: há empresas que de certo modo permitem qualquer extra para a família – o dia do aniversário, etc. –, tendo concluído que dar um pouco de liberdade, no fim de contas, favorece a própria empresa, porque reforça o amor ao trabalho, ao emprego. Por isso, gostava de convidar os empregadores a pensarem na família, a darem uma mão também para que se possam conciliar as duas prioridades. Segundo ponto: parece-me que é preciso, naturalmente, cultivar uma certa criatividade – o que nem sempre é fácil! Mas pelo menos tentemos, em cada dia, trazer qualquer elemento de alegria à família, uma atençãozinha, alguma renúncia à vontade própria para estar com a família, e aceitar e superar as noites, as trevas de que já falámos antes, e pensar a este grande bem que é a família e assim, na grande solicitude de dar algo de bom cada dia, encontrar também uma conciliação das duas prioridades E, finalmente, temos o domingo, a festa! Espero que se respeite, na América, o domingo. É que me parece muito importante o domingo, dia do Senhor e, precisamente como tal, também «dia do homem», para que sejamos livres. Segundo a narração da criação, a intenção originária do Criador era esta: um dia em que todos sejam livres. Nesta possibilidade de um ser livre para o outro, para si mesmo, é-se livre para Deus. E assim penso que defendemos a liberdade do homem, defendendo o domingo e os dias festivos como dias de Deus e, deste modo, dias para o homem. Muitas felicidades para vós todos! Obrigado!

5. FAMÍLIA ARAÚJO (família brasileira de Porto Alegre)

MARIA MARTA: Santidade, no nosso Brasil, como aliás no resto do mundo, continuam a aumentar as falências matrimoniais.

Chamo-me Maria Marta, ele é Manoel Ângelo. Estamos casados há 34 anos e já somos avós. Na qualidade de médico e psicoterapeuta familiares, encontramos muitas famílias, notando nos conflitos de casal uma dificuldade mais acentuada de perdoar e de aceitar o perdão, mas em vários casos constatámos o desejo e a vontade de construir uma nova união, algo duradouro, mesmo para os filhos que nascem da nova união.

MANOEL ÂNGELO: Alguns destes casais re-casados teriam vontade de aproximar-se da Igreja, mas, quando vêm negar-lhes os Sacramentos, a sua decepção é grande. Sentem-se excluídos, marcados por um juízo sem apelo.

Estas grandes penas magoam profundamente aqueles que nelas estão envolvidos; são lacerações que se tornam também parte do mundo, são feridas também nossas e da humanidade inteira.

Santo Padre, sabemos que a Igreja leva no seu coração estas situações e estas pessoas: que palavras e que sinais de esperança lhes podemos dar?

SANTO PADRE: Queridos amigos, obrigado pelo vosso trabalho de psicoterapeutas a favor das famílias, muito necessário. Obrigado por tudo o que fazeis para ajudar estas pessoas que sofrem. Na verdade, este problema dos divorciados re-casados é um dos grandes sofrimentos da Igreja actual. E não temos receitas simples. O sofrimento é grande, podendo apenas animar as paróquias, os indivíduos a ajudar estas pessoas a suportarem o sofrimento deste divórcio. Digo que é muito importante, naturalmente, a prevenção, isto é, aprofundar desde o início o enamoramento numa decisão profunda, amadurecida; além disso, o acompanhamento durante o matrimónio, de modo que as famílias nunca se sintam sozinhas, mas sejam realmente acompanhadas no seu caminho. Depois, quanto a estas pessoas, devemos dizer – como o Manoel afirmou – que a Igreja as ama, mas elas devem ver e sentir este amor. Considero grande tarefa duma paróquia, duma comunidade católica, fazer todo o possível para que elas sintam que são amadas, acolhidas, que não estão «fora», apesar de não poderem receber a absolvição nem a Comunhão: devem ver que mesmo assim vivem plenamente na Igreja. Mesmo se não é possível a absolvição na Confissão, não deixa talvez de ser muito importante um contacto permanente com um sacerdote, com um director espiritual, para que possam ver que são acompanhadas, guiadas. Além disso, é muito importante também que sintam que a Eucaristia é verdadeira e participam nela se realmente entram em comunhão com o Corpo de Cristo. Mesmo sem a recepção «corporal» do Sacramento, podemos estar, espiritualmente, unidos a Cristo no seu Corpo. É importante fazer compreender isto. Oxalá encontrem a possibilidade real de viver uma vida de fé, com a Palavra de Deus, com a comunhão da Igreja, e possam ver que o seu sofrimento é um dom para a Igreja, porque deste modo estão ao serviço de todos mesmo para defender a estabilidade do amor, do Matrimónio; e que este sofrimento não é só um tormento físico e psíquico, mas também um sofrer na comunidade da Igreja pelos grandes valores da nossa fé. Penso que o seu sofrimento, se realmente aceite interiormente, seja um dom para a Igreja. Devem saber que precisamente assim servem a Igreja, estão no coração da Igreja. Obrigado pelo vosso compromisso!

PALAVRA DE CONFORTO ÀS VÍTIMAS DO TERRAMOTO

SANTO PADRE: Queridos amigos, sabeis que compartilhamos profundamente a vossa tribulação, o vosso sofrimento; e sobretudo peço cada dia que termine finalmente este terramoto. Todos nós queremos dar a nossa contribuição para vos ajudar: tende a certeza de que não vos esquecemos, que cada um está a fazer o possível para vos ajudar – a Cáritas, todas as organizações da Igreja, o Estado, as diversas comunidades – cada um de nós quer ajudar-vos, tanto espiritualmente com a nossa oração, com a nossa união do coração, como materialmente. Rezo com insistência por vós. Que Deus vos ajude, e nos ajude a todos! Votos do melhor bem. O Senhor vos abençoe!

[00751-06.01] [Texto original: Italiano]

 TRADUZIONE IN LINGUA POLACCA 

1. CAT TIEN (dziewczynka z Wietnamu):

Ciao, Papa. Jestem Cat Tien i pochodzę z Wietnamu.

Mam siedem lat i chciałbym przedstawić moją rodzinę. To jest mój tata, Dan, i moja mama, która ma na imię Tao, a to jest mój brat Binh.

Chciałabym wiedzieć coś o twojej rodzinie, kiedy byłeś mały jak ja ...

OJCIEC ŚWIĘTY: Dziękuję, kochanie, także twoim rodzicom serdecznie dziękuję. Pytasz więc jakie mam wspomnienia z mojej rodziny: byłoby ich tak wiele! Chciałem tylko powiedzieć kilka rzeczy. Zasadniczą sprawą dla nas jako rodziny zawsze była niedziela. Niedziela zaczynała się już jednak w sobotę po południu. Ojciec czytał nam niedzielne teksty liturgiczne z bardzo w tym czasie popularnej w Niemczech książki, gdzie były one także wyjaśniane. Tak rozpoczęła się niedziela: już wchodziliśmy w liturgię w atmosferze radości. Następnego dnia szliśmy na Mszę św. Nasz domy był blisko Salzburga, a więc mieliśmy dużo muzyki - Mozart, Schubert, Haydn - i kiedy rozpoczynało się „Kyrie" - jakby otwierało się niebo. A potem w domu ważny był oczywiście wielki wspólny obiad. Następnie razem wiele śpiewaliśmy. Mój brat jest świetnym muzykiem. Już jako chłopiec komponował różne utwory dla nas wszystkich, a cała rodzina śpiewała. Mój tato grał na harfie i śpiewał. Są to niezapomniane chwile. Potem, oczywiście, wspólnie podróżowaliśmy, odbywaliśmy długie spacery. Mieszkaliśmy blisko lasu i spacery po lesie były czymś pięknym: przygody, gry i tak dalej. Jednym słowem, byliśmy jednego serca i jednej myśli, z wieloma wspólnymi doświadczeniami, nawet w czasach bardzo trudnych, gdyż był to czas wojny, a wcześniej dyktatura, później zaś bieda. Ale była między nami ta wzajemna miłość, silna była radość również z powodu rzeczy prostych. Tak że mogliśmy wytrzymać i pokonać także i te rzeczy. Wydaje mi się, że było to bardzo ważne, że nawet małe rzeczy dawały radość, bo w ten sposób wyrażało się serce drugiej osoby. Dorastaliśmy tak w przekonaniu, że warto być człowiekiem, bo widzieliśmy, że dobroć Boga znajdowała odzwierciedlenie w rodzicach i rodzeństwie. I, prawdę mówiąc, gdy próbuję sobie wyobrazić, trochę „jak to będzie w raju", to zawsze odczuwam, że troszkę tak, jak w czasie mojej młodości, mojego dzieciństwa. Tak więc w tej atmosferze zaufania, radości i miłości byliśmy szczęśliwi i myślę, że w niebie powinno być podobnie, jak za czasów mojej młodości. W tym sensie mam nadzieję, że pójdę „do domu" przechodząc na „drugą stronę świata".

2. SERGE RAZAFINBONY I FARA ANDRIANOMBONANA (Para narzeczonych z Madagaskaru):

SERGE: Wasza Świątobliwość, nazywamy się Fara i Serge i pochodzimy z Madagaskaru.

Poznaliśmy się we Florencji, gdzie studiujemy, ja inżynierię a ona ekonomię. Od czterech lat jesteśmy narzeczonymi i jak tylko skończymy studia, marzymy o powrocie do naszej ojczyzny, aby pomóc rodakom, także poprzez przygotowanie zawodowe.

FARA: Nie przekonują nas panujące na Zachodzie wzorce rodziny, ale zdajemy sobie sprawę, że wiele wzorców tradycyjnych naszej Afryki już się w pewnie sposób zdezaktualizowało. Czujemy, że jesteśmy stworzeni dla siebie i dlatego chcemy się pobrać i wspólnie budować przyszłość. Chcemy również, aby każdy aspekt naszego życia był ukierunkowany wartościami Ewangelii.

Wasza Świątobliwość, mówiąc o małżeństwie istnieje takie słowo, które bardziej niż jakiekolwiek inne nas pociąga a jednocześnie przeraża: „na zawsze" ...

OJCIEC ŚWIĘTY: Drodzy przyjaciele, dziękuję za to świadectwo. Moja modlitwa towarzyszy wam na tej drodze narzeczeństwa i ufam, że możecie stworzyć włączając wartości Ewangelii rodzinę „na zawsze". Wspomniała Pani o różnych typach małżeństwa: znamy małżeństwo zwyczajowe w Afryce i małżeństwo zachodnie. Także w Europie, prawdę mówiąc aż do XIX wieku był inny, niż obecnie dominujący model małżeństwa. Często małżeństwo było faktycznie umową między rodami, gdzie usiłowano utrzymać ród, aby otworzyć nowe perspektywy na przyszłość, aby ocalić własność i tak dalej. Ród szukał jednej dla drugiego, ufając, że będą dla siebie odpowiedni. Tak było po części także w naszych krajach. Pamiętam, że w małym miasteczku, gdzie chodziłem do szkoły, jeszcze w znacznej mierze tak było. Ale później, od XIX wieku, nastąpiła emancypacja jednostki, wolność osobista i małżeństwo nie było już oparte na woli innych, ale na własnym wyborze. Najpierw pojawia się zakochanie, które przechodzi następnie w narzeczeństwo i wreszcie małżeństwo. Wszyscy byliśmy wówczas przekonani, że jest to jedyny wzorzec słuszny i że miłość sama z siebie gwarantuje „na zawsze", ponieważ miłość jest absolutna, pragnie wszystkiego, a więc także pełni czasu: jest „na zawsze". Niestety, rzeczywistość była inna: widzimy, że zakochanie jest piękne, ale może nie zawsze trwałe, tak jak uczucie: nie trwa na zawsze. Widzimy więc, że przejście od zakochania do narzeczeństwa, a potem małżeństwa wymaga różnych decyzji, doświadczeń wewnętrznych. Jak powiedziałem, to uczucie miłości jest piękne, ale musi być oczyszczone, musi przejść przez proces rozeznania, to znaczy, musi również obejmować rozum i wolę. Muszą się zjednoczyć rozum, uczucia i wola. W obrzędzie sakramentu małżeństwa Kościół nie pyta: „Czy jesteś zakochany?" ale „Czy chcesz?", „Czy jesteś zdecydowany?". To znaczy, że zakochanie musi stać się prawdziwą miłością, angażując wolę i rozum na drodze, która jest drogą narzeczeństwa, oczyszczenia, największej głębi, tak aby cały człowiek, ze wszystkimi swymi zdolnościami, z rozeznaniem rozumu, siłą woli powiedział: „Tak, to jest moje życie". Często myślę o godach w Kanie Galilejskiej. Pierwsze wino jest wspaniałe: to zakochanie: nie trwa jednak aż do końca: musi przyjść „drugie wino", to znaczy musi fermentować, wzrastać i dojrzewać. Miłość definitywna, która stanie się rzeczywiście „drugim winem" jest piękniejsza, lepsza niż pierwsze wino. Tego musimy szukać. Jest tu również ważne, aby „ja" nie było izolowanymi „ja" i „ty", ale aby była również zaangażowana wspólnota parafialna, Kościół, przyjaciele. Cała słuszna personalizacja, wspólnota życia z innymi, z rodzinami, które się wzajemnie wspierają, jest bardzo ważna i tylko wtedy, w tym zaangażowaniu wspólnoty przyjaciół, Kościoła, wiary, samego Boga, wzrasta wino, które trwa na zawsze. Życzę wam wszelkiej pomyślności!

3. RODZINA PALEOLOGOS (Rodzina grecka)

NIKOS: Kalispera! Jesteśmy rodziną Paleologos. Przybywamy z Aten. Mam na imię Nikos, a to moja żona Pania. Obok są nasze dzieci Pavlos i Lydia. Przed kilku laty z dwoma partnerami zainwestowaliśmy wszystkie nasze pieniądze i uruchomiliśmy małą firmę informatyczną. Kiedy pojawił się obecny poważny kryzys gospodarczy drastycznie spadła liczba klientów, a ci którzy pozostali stale odkładają płatności na później. Z trudem udaje się nam wypłacać wynagrodzenia dwom pracownikom, a dla nas partnerów pozostaje bardzo mało, tak, że każdego dnia zostaje coraz mniej na utrzymanie naszych rodzin. Nasza sytuacja jest jedną z bardzo wielu, milionów innych. W miastach ludzie chodzą z opuszczoną głową. Nikt już nikomu nie ufa, brakuje nadziei.

PANIA: Także i my, choć nadal wierzmy w Opatrzność, z trudem myślimy o przyszłości dla naszych dzieci.

Ojcze Święty, są dni i noce kiedy nachodzi nas pytanie, co zrobić, żeby nie stracić nadziei. Co może powiedzieć Kościół tym wszystkim ludziom, osobom i rodzinom, które nie mają już żadnych perspektyw?"

OJCIEC ŚWIĘTY: Drodzy przyjaciele, dziękuję za to świadectwo, które wstrząsnęło mym sercem i sercem nas wszystkich. Cóż możemy odpowiedzieć? Słowa nie wystarczają. Powinniśmy zrobić coś konkretnego i wszyscy cierpimy, ponieważ nie potrafimy uczynić nic konkretnego. Powiedzmy najpierw o polityce: wydaje się, że powinno wzrastać poczucie odpowiedzialności wszystkich partii, które obiecują rzeczy, których nie mogą spełnić, aby nie szukały jedynie dla siebie głosów, ale były odpowiedzialne za dobro wszystkich. Niech zawsze będzie jasne, że polityka jest także odpowiedzialnością ludzką, moralną wobec Boga i wobec ludzi. Ponadto poszczególne jednostki cierpią i muszą przyjąć, często bez możliwości bronienia się sytuację taką, jaka jest. W każdym razie możemy też w tym wypadku powiedzieć: starajmy się, aby każdy uczynił, co może, myślał o sobie, o swojej rodzinie, o innych, z wielkim poczuciem odpowiedzialności, wiedząc, że ofiary są konieczne, aby pójść do przodu. Trzecia kwestia: co możemy zrobić? To jest pytanie, jakie sobie teraz stawiam. Myślę, że może mogłoby pomóc partnerstwo między miastami, między rodzinami, parafiami, Obecnie w Europie mamy sieć partnerstw, istnieje wymiana kulturalna, rzecz jasna bardzo dobra i bardzo przydatna, ale być może trzeba partnerstwa w innym sensie: aby rzeczywiście jedna rodzina z Zachodu, z Włoch, Niemiec, Francji ... podjęła odpowiedzialność, aby pomóc innej rodzinie. W podobny sposób także parafie, miasta: aby naprawdę wzięły odpowiedzialność, konkretnie pomogły. Bądźcie pewni: ja i wielu innych modlimy się za was, a ta modlitwa jest nie tylko wypowiadaniem słów, ale otwiera serce na Boga i w ten sposób tworzy twórcze podejście do znajdywania rozwiązań. Ufajmy, że Pan nam pomoże, że Pan zawsze będzie wam pomagał! Dziękuję.

4. RODZINA RERRIE (Rodzina amerykańska)

JAY: Mieszkamy w pobliżu Nowego Jorku. Nazywam się Jay, pochodzę z Jamajki i pracuję jako księgowy. To moja żona, Anna – jest nauczycielką osób niepełnosprawnych. A to naszych sześcioro dzieci, które mają od 2 do 12 lat. Wasza Świątobliwość może sobie więc wyobrazić, że nasze życie składa się z nieustannej walki z czasem, niepokojów, bardzo skomplikowanych rebusów ...

Także u nas, w Stanach Zjednoczonych jednym z absolutnych priorytetów jest utrzymanie miejsca pracy, i żeby tego dokonać trzeba pilnować godzin i często przegrywają na tym relacje rodzinne.

ANNA: Tak, to nie zawsze jest łatwe ... Wasza Świątobliwość, można odnieść wrażenie, że instytucje i przedsiębiorstwa nie ułatwiają godzenia czasu pracy z czasem rodziny.

Ojcze Święty, możemy sobie wyobrazić, że także Tobie nie jest łatwo pogodzić liczne obowiązki z odpoczynkiem.

Czy możemy prosić o kilka rad, które pomogą nam odnaleźć tę niezbędną harmonię? W wirze tylu bodźców narzuconych przez współczesne społeczeństwo, jak pomóc rodzinom w przeżywaniu święta zgodnie z planem Bożym?

OJCIEC ŚWIĘTY: Jest to wielkie pytanie i myślę, że rozumiem ten dylemat. Priorytet miejsca pracy ma znaczenie fundamentalne, ale także priorytet rodziny. Jak je pogodzić? Mogę tylko usiłować dać jakąś radę. Po pierwsze: są firmy, które pozwalają na jakieś szczególne wolne dla rodzin na przykład z okazji urodzin, itp. Dostrzegają, że jeśli da się trochę wolnego, to w ostatecznym rozrachunku służy to przedsiębiorstwu, bo umacnia zamiłowanie do pracy, do miejsca pracy. Chciałbym więc w tym miejscu zachęcić pracodawców do myślenia o rodzinie, myślenia także, jak pomóc w pogodzeniu tych dwóch priorytetów. Po drugie: wydaje mi się, że należy szukać pewnej kreatywności, a to nie zawsze jest łatwe. Może to być choćby wniesienie każdego dnia jakiegoś elementu radości w życie rodziny, zainteresowania, jakiegoś wyrzeczenia wobec swojej woli, aby być razem rodziną, by przyjąć i pokonać trudności, o których mówiono wcześniej i myśleć o tym wielkim dobru jakim jest rodzina. W ten sposób nawet w wielkim pośpiechu można dać każdego dnia coś dobrego, odnaleźć pogodzenie dwóch priorytetów. Jest też wreszcie niedziela, święto: mam nadzieję, że jest przestrzegana także w Ameryce! Tak więc, wydaje mi się bardzo ważne, że niedziela, dzień Pański jest właśnie jako taki również „dniem człowieka", abyśmy byli wolni. W opisie stworzenia odnajdujemy, że taki był pierwotny zamysł Stwórcy: aby jednego dnia wszyscy byli wolni. W tej wolności jedni dla drugich, dla samych siebie jesteśmy wolnymi dla Boga. Sądzę więc, że bronimy wolności człowieka, broniąc niedzieli i świąt jako dni Boga i w ten sposób jako dni dla człowieka. Życzę wam wszelkiego dobra! Dziękuję!

5. RODZINA ARAUJO (z Porto Alegre w Brazylii)

MARIA MARTA: Wasza Świątobliwość, podobnie jak w innych częściach świata, także w w naszej ojczyźnie coraz więcej małżeństw się rozpada.

Mam na imię Maria Marta, a obok mnie stoi Manoel Angelo. Od 34 lat jesteśmy małżeństwem i mamy już wnuki. Jako lekarz i psychoterapeutka rodzinna spotykamy wiele rodzin, dostrzegając w konfliktach małżeńskich coraz wyraźniejszą trudność przebaczenia i przyjęcia przebaczenia. Jednak w niektórych przypadkach napotkaliśmy pragnienie i wolę budowania nowego związku, czegoś trwałego, także dla dzieci, które narodzą się z nowego związku.

MANOEL ANGELO: Niektóre z tych par żyjących w nowych związkach chciałyby zbliżyć się do Kościoła, ale przeżywają ogromne rozczarowanie, widząc, że odmawia się im sakramentów. Czują się wykluczeni, naznaczeni nieodwołalnym wyrokiem.

Te wielkie cierpienie ranią głęboko tych, których dotyczą. Są to rozdarcia, które stają się także częścią świata, i są także ranami naszymi i całej ludzkości.

Ojcze Święty, wiemy, że te sytuacje i ci ludzie są bardzo ważni dla Kościoła: jakie możemy im przekazać słowa i znaki nadziei?

OJCIEC ŚWIĘTY: Drodzy przyjaciele, dziękuję za waszą bardzo potrzebną pracę jako psychoterapeutów rodzinnych. Dziękuję za wszystko, co robicie, by pomóc tym cierpiącym osobom. W istocie ten problem ludzi rozwiedzionych żyjących w nowych związkach jest jednym z wielkich cierpień współczesnego Kościoła. I nie mamy prostych recept. Jest to wielkie cierpienie i możemy jedynie pomóc parafiom, poszczególnym ludziom, aby pomogły tym osobom znieść bólu rozwodu. Powiedziałbym, że bardzo ważna byłaby rzecz jasna profilaktyka, to znaczy pogłębienie zakochania od samego początku, aby przemieniło się w głęboką, dojrzałą decyzję. Ponadto towarzyszenie podczas trwania małżeństwa, aby rodziny nigdy nie były samotne, ale były rzeczywiście wspierane na swej drodze życiowej. Jeśli natomiast chodzi o te osoby, które po rozwodzie żyją w nowych związkach – musimy powiedzieć tak, jak pan to stwierdził, że Kościół je kocha, lecz one powinny widzieć i odczuć tę miłość. Wydaje mi się, że jest to wielkie zadanie parafii, wspólnoty katolickiej, by czynić to, co możliwe, żeby czuły się one kochanymi, akceptowanymi, że nie są „poza", pomimo, że nie mogą otrzymywać rozgrzeszenia i Komunii św.: powinny widzieć, że nawet w tym stanie żyją w pełni w Kościele. Być może, skoro nie jest możliwe rozgrzeszenie w Spowiedzi św., to jednak możliwy jest stały kontakt z kapłanem, kierownikiem duchowym, jest to bardzo ważne, aby mogły dostrzec, że im się towarzyszy, że są prowadzeni. Bardzo jest też ważne, aby odczuwały, że Eucharystia jest prawdziwa, że się w niej uczestniczy, jeśli wchodzi się rzeczywiście w komunię z Ciałem Chrystusa. Nawet bez „cielesnego" przyjmowania Sakramentu, możemy być zjednoczeni z Chrystusem w Jego Ciele. Ważne jest, aby to było zrozumiane. Jest ważne, aby rzeczywiście znalazły możliwość życia życiem wiary, ze Słowem Bożym, z komunią Kościoła i mogły widzieć, że ich cierpienie jest darem dla Kościoła, ponieważ w ten sposób służą wszystkim także, aby bronić stabilności miłości, małżeństwa, i że to cierpienie jest nie tylko udręką fizyczną i psychiczną, ale jest również cierpieniem we wspólnocie Kościoła na rzecz wielkich wartości naszej wiary. Myślę, że ich cierpienie, jeśli jest naprawdę przyjęte wewnętrznie, jest darem dla Kościoła. Muszą o tym wiedzieć, że właśnie w ten sposób służą Kościołowi, że są w sercu Kościoła. Dziękuję za wasz trud.

POZDROWIENIE OFIAR TRZĘSIENIA ZIEMI W EMILII
Uczestnicy święta rodzin świata nie zapomnieli o trudnej sytuacji osób dotkniętych w minionych dniach trzęsieniem ziemi w Emilii. Podczas połączenia wideo z dziećmi zgromadzonymi przed miasteczkiem namiotowym w San Felice sul Panaro, Papież skierował do nich następujące pozdrowienie:

OJCIEC ŚWIĘTY: Drodzy przyjaciele, wiecie, że głęboko odczuwamy wasz ból, wasze cierpienie: a przede wszystkim, modlę się codziennie, aby wreszcie skończyło się to trzęsienie ziemi. Wszyscy chcemy współpracować, aby wam pomóc: bądźcie pewni, że o was nie zapominamy, że każdy z nas czyni to, co możliwe, aby wam pomóc - Caritas, wszystkie organizacje kościelne, państwo, różne wspólnoty - każdy z nas pragnie wam pomóc, czy to duchowo w naszej modlitwie, w naszej serdecznej bliskości, czy to materialnie. Modlę się za was żarliwie. Niech Bóg wam pomaga, niech nam wszystkim pomaga! Wszystkiego dobrego! Niech Pan wam błogosławi!

[00751-09.01] [Testo originale: Italiano]

Alle ore 2130 il Papa ha lasciato il Parco di Bresso ed è rientrato in auto in Arcivescovado.

Dopo la partenza del Santo Padre, la Veglia delle Famiglie al Parco di Bresso è continuata fino alle ore 22.30.

[B0327-XX.03]