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L’UDIENZA GENERALE, 08.02.2012


L’UDIENZA GENERALE

CATECHESI DEL SANTO PADRE IN LINGUA ITALIANA

SINTESI DELLA CATECHESI NELLE DIVERSE LINGUE

SALUTI PARTICOLARI NELLE DIVERSE LINGUE

APPELLO DEL SANTO PADRE

L’Udienza Generale di questa mattina si è svolta alle ore 10.30 nell’Aula Paolo VI dove il Santo Padre ha incontrato gruppi di fedeli e pellegrini provenienti dall’Italia e da ogni parte del mondo.
Nel discorso in lingua italiana il Papa, continuando il ciclo di catechesi sulla preghiera, ha incentrato la sua meditazione sulla preghiera di Gesù di fronte alla morte (cfr Mc e Mt).
Dopo aver riassunto la Sua catechesi in diverse lingue, il Santo Padre Benedetto XVI ha rivolto particolari espressioni di saluto ai gruppi di fedeli presenti.
Infine, il Papa ha rivolto un appello per le popolazioni delle Regioni europee colpite in questi giorni dal forte maltempo.
L’Udienza Generale si è quindi conclusa con il canto del Pater Noster e la Benedizione Apostolica.

CATECHESI DEL SANTO PADRE IN LINGUA ITALIANA

Cari fratelli e sorelle,

oggi vorrei riflettere con voi sulla preghiera di Gesù nell’imminenza della morte, soffermandomi su quanto ci riferiscono san Marco e san Matteo. I due Evangelisti riportano la preghiera di Gesù morente non soltanto nella lingua greca, in cui è scritto il loro racconto, ma, per l'importanza di quelle parole, anche in una mescolanza di ebraico ed aramaico. In questo modo essi hanno tramandato non solo il contenuto, ma persino il suono che tale preghiera ha avuto sulle labbra di Gesù: ascoltiamo realmente le parole di Gesù come erano. Nel contempo, essi ci hanno descritto l’atteggiamento dei presenti alla crocifissione, che non compresero – o non vollero comprendere – questa preghiera.

Scrive san Marco, come abbiamo ascoltato: «Quando fu mezzogiorno, si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio. Alle tre, Gesù gridò a gran voce: "Eloì, Eloì, lemà sabactàni?", che significa: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?"» (15,34). Nella struttura del racconto, la preghiera, il grido di Gesù si alza al culmine delle tre ore di tenebre che, da mezzogiorno fino alle tre del pomeriggio, calarono su tutta la terra. Queste tre ore di oscurità sono, a loro volta, la continuazione di un precedente lasso di tempo, pure di tre ore, iniziato con la crocifissione di Gesù. L'Evangelista Marco, infatti, ci informa che: «Erano le nove del mattino quando lo crocifissero» (cfr 15,25). Dall'insieme delle indicazioni orarie del racconto, le sei ore di Gesù sulla croce sono articolate in due parti cronologicamente equivalenti.

Nelle prime tre ore, dalle nove fino a mezzogiorno, si collocano le derisioni di diversi gruppi di persone, che mostrano il loro scetticismo, affermano di non credere. Scrive san Marco: «Quelli che passavano di là lo insultavano» (15,29); «così anche i capi dei sacerdoti, con gli scribi, fra loro si facevano beffe di lui» (15,31); «e anche quelli che erano stati crocifissi con lui lo insultavano» (15,32). Nelle tre ore seguenti, da mezzogiorno «fino alle tre del pomeriggio», l’Evangelista parla soltanto delle tenebre discese su tutta la terra; il buio occupa da solo tutta la scena senza alcun riferimento a movimenti di personaggi o a parole. Quando Gesù si avvicina sempre più alla morte, c’è solo l'oscurità che cala «su tutta la terra». Anche il cosmo prende parte a questo evento: il buio avvolge persone e cose, ma pure in questo momento di tenebre Dio è presente, non abbandona. Nella tradizione biblica, il buio ha un significato ambivalente: è segno della presenza e dell’azione del male, ma anche di una misteriosa presenza e azione di Dio che è capace di vincere ogni tenebra. Nel Libro dell'Esodo, ad esempio, leggiamo: «Il Signore disse a Mosè: "Ecco, io sto per venire verso di te in una densa nube"» (19,9); e ancora: «Il popolo si tenne dunque lontano, mentre Mosè avanzò verso la nube oscura dove era Dio» (20,21). E nei discorsi del Deuteronomio, Mosè racconta: «Il monte ardeva, con il fuoco che si innalzava fino alla sommità del cielo, fra tenebre, nuvole e oscurità» (4,11); voi «udiste la voce in mezzo alle tenebre, mentre il monte era tutto in fiamme» (5,23). Nella scena della crocifissione di Gesù le tenebre avvolgono la terra e sono tenebre di morte in cui il Figlio di Dio si immerge per portare la vita, con il suo atto di amore.

Tornando alla narrazione di san Marco, davanti agli insulti delle diverse categorie di persone, davanti al buio che cala su tutto, nel momento in cui è di fronte alla morte, Gesù con il grido della sua preghiera mostra che, assieme al peso della sofferenza e della morte in cui sembra ci sia l’abbandono, l’assenza di Dio, Egli ha la piena certezza della vicinanza del Padre, che approva questo atto supremo di amore, di dono totale di Sé, nonostante non si oda, come in altri momenti, la voce dall’alto. Leggendo i Vangeli, ci si accorge che in altri passaggi importanti della sua esistenza terrena Gesù aveva visto associarsi ai segni della presenza del Padre e dell’approvazione al suo cammino di amore, anche la voce chiarificatrice di Dio. Così, nella vicenda che segue il battesimo al Giordano, allo squarciarsi dei cieli, si era udita la parola del Padre: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento» (Mc 1,11). Nella trasfigurazione, poi, al segno della nube si era affiancata la parola: «Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!» (Mc 9,7). Invece, all’avvicinarsi della morte del Crocifisso, scende il silenzio, non si ode alcuna voce, ma lo sguardo di amore del Padre rimane fisso sul dono di amore del Figlio.

Ma che significato ha la preghiera di Gesù, quel grido che lancia al Padre: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato», il dubbio della sua missione, della presenza del Padre? In questa preghiera non c’è forse la consapevolezza proprio di essere stato abbandonato? Le parole che Gesù rivolge al Padre sono l’inizio del Salmo 22, in cui il Salmista manifesta a Dio la tensione tra il sentirsi lasciato solo e la consapevolezza certa della presenza di Dio in mezzo al suo popolo. Il Salmista prega: «Mio Dio, grido di giorno e non rispondi; di notte, e non c’è tregua per me. Eppure tu sei il Santo, tu siedi in trono fra le lodi d’Israele» (vv. 3-4). Il Salmista parla di «grido» per esprimere tutta la sofferenza della sua preghiera davanti a Dio apparentemente assente: nel momento di angoscia la preghiera diventa un grido.

E questo avviene anche nel nostro rapporto con il Signore: davanti alle situazioni più difficili e dolorose, quando sembra che Dio non senta, non dobbiamo temere di affidare a Lui tutto il peso che portiamo nel nostro cuore, non dobbiamo avere paura di gridare a Lui la nostra sofferenza, dobbiamo essere convinti che Dio è vicino, anche se apparentemente tace.

Ripetendo dalla croce proprio le parole iniziali del Salmo, "Elì, Elì, lemà sabactàni?" – "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?" (Mt 27,46), gridando le parole del Salmo, Gesù prega nel momento dell’ultimo rifiuto degli uomini, nel momento dell’abbandono; prega, però, con il Salmo, nella consapevolezza della presenza di Dio Padre anche in quest’ora in cui sente il dramma umano della morte. Ma in noi emerge una domanda: come è possibile che un Dio così potente non intervenga per sottrarre il suo Figlio a questa prova terribile? E’ importante comprendere che la preghiera di Gesù non è il grido di chi va incontro con disperazione alla morte, e neppure è il grido di chi sa di essere abbandonato. Gesù in quel momento fa suo l’intero Salmo 22, il Salmo del popolo di Israele che soffre, e in questo modo prende su di Sé non solo la pena del suo popolo, ma anche quella di tutti gli uomini che soffrono per l’oppressione del male e, allo stesso tempo, porta tutto questo al cuore di Dio stesso nella certezza che il suo grido sarà esaudito nella Risurrezione: «il grido nell'estremo tormento è al contempo certezza della risposta divina, certezza della salvezza – non soltanto per Gesù stesso, ma per "molti" » (Gesù di Nazaret II, 239-240). In questa preghiera di Gesù sono racchiusi l’estrema fiducia e l’abbandono nelle mani di Dio, anche quando sembra assente, anche quando sembra rimanere in silenzio, seguendo un disegno a noi incomprensibile. Nel Catechismo della Chiesa Cattolica leggiamo così: «Nell’amore redentore che sempre lo univa al Padre, Gesù ci ha assunto nella nostra separazione da Dio a causa del peccato al punto da poter dire a nome nostro sulla croce: "Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?"» (n. 603). Il suo è un soffrire in comunione con noi e per noi, che deriva dall’amore e già porta in sé la redenzione, la vittoria dell’amore.

Le persone presenti sotto la croce di Gesù non riescono a capire e pensano che il suo grido sia una supplica rivolta ad Elia. In una scena concitata, essi cercano di dissetarlo per prolungarne la vita e verificare se veramente Elia venga in suo soccorso, ma un forte urlo pone termine alla vita terrena di Gesù e al loro desiderio. Nel momento estremo, Gesù lascia che il suo cuore esprima il dolore, ma lascia emergere, allo stesso tempo, il senso della presenza del Padre e il consenso al suo disegno di salvezza dell’umanità. Anche noi ci troviamo sempre e nuovamente di fronte all’«oggi» della sofferenza, del silenzio di Dio - lo esprimiamo tante volte nella nostra preghiera - ma ci troviamo anche di fronte all’«oggi» della Risurrezione, della risposta di Dio che ha preso su di Sé le nostre sofferenze, per portarle insieme con noi e darci la ferma speranza che saranno vinte (cfr Lett. enc. Spe salvi, 35-40).

Cari amici, nella preghiera portiamo a Dio le nostre croci quotidiane, nella certezza che Lui è presente e ci ascolta. Il grido di Gesù ci ricorda come nella preghiera dobbiamo superare le barriere del nostro «io» e dei nostri problemi e aprirci alle necessità e alle sofferenze degli altri. La preghiera di Gesù morente sulla Croce ci insegni a pregare con amore per tanti fratelli e sorelle che sentono il peso della vita quotidiana, che vivono momenti difficili, che sono nel dolore, che non hanno una parola di conforto; portiamo tutto questo al cuore di Dio, perché anch’essi possano sentire l’amore di Dio che non ci abbandona mai. Grazie.

[00177-01.01] [Testo originale: Italiano]

SINTESI DELLA CATECHESI NELLE DIVERSE LINGUE

Sintesi della catechesi in lingua francese

Sintesi della catechesi in lingua inglese

Sintesi della catechesi in lingua tedesca

Sintesi della catechesi in lingua spagnola

Sintesi della catechesi in lingua portoghese

Sintesi della catechesi in lingua francese

Chers frères et sœurs, les derniers moments de Jésus sont rapportés par les évangiles en grec mais aussi en hébreu et en araméen. Ils ont ainsi voulu transmettre jusqu’au son la prière de Jésus. Le drame de sa mort se déroule en deux phases. Durant les trois premières heures, Jésus est soumis à la dérision et au scepticisme de ceux qui ne croient pas. Puis, les ténèbres envahissent la terre. Le cosmos participe à cet événement. Dans la tradition biblique, l’obscurité peut signifier à la fois la présence et l’action du Mal et aussi la présence mystérieuse de Dieu. Ainsi, Moïse monte vers ‘la nuée obscure où était Dieu’ (Ex, 20,21). A la crucifixion de Jésus, les ténèbres sont le signe de la mort dans laquelle descend le Fils de Dieu pour porter la vie, par cet acte d’amour. Devant les insultes des hommes, devant l’obscurité qui recouvre tout, portant le poids de la souffrance où semble être l’absence de Dieu, Jésus a la certitude de la proximité du Père, même s’il n’entend pas de voix venue d’‘en-haut’. Dans le silence, le regard d’amour du Père reste fixé sur le don d’amour du Fils. Jésus fait sien le cri du psalmiste, le cri d’Israël qui souffre, prenant ainsi sur Lui la détresse de tous les hommes. Il la porte dans le cœur de Dieu, certain de la réponse divine, certain du salut, non seulement pour Lui-même, mais pour ‘une multitude’. Et nous aussi, face à l’aujourd’hui de la souffrance, nous sommes face à l’aujourd’hui de la Résurrection !

Je salue les pèlerins francophones présents, particulièrement les paroissiens de Paris ainsi que les collégiens et les lycéens. Soyez sûrs de la présence et de l’amour de Dieu dans nos vies. Il écoute nos cris et répond à notre prière par l’espérance qui a surgi de la victoire de Jésus sur la mort et le mal. Je vous bénis de grand cœur !

 [00178-03.01] [Texte original: Français]

 Sintesi della catechesi in lingua inglese

 Dear Brothers and Sisters,

Today I want to reflect with you on the cry of Jesus from the Cross, "My God, my God, why have you forsaken me?" This cry comes after a three-hour period when there was darkness over the whole land. Darkness is an ambivalent symbol in the Bible – while it is frequently a sign of the power of evil, it can also serve to express a mysterious divine presence. Just as Moses was covered in the dark cloud when God appeared to him on the mountain, so Jesus on Calvary is wrapped in darkness. Even though the Father appears to be absent, in a mysterious way his loving gaze is focussed upon the Son’s loving sacrifice on the Cross. It is important to realize that Jesus’ cry of anguish is not an expression of despair: on the contrary, this opening verse of Psalm twenty-two conveys the entire content of the psalm, it expresses the confidence of the people of Israel that despite all the adversity they are experiencing, God remains present among them, he hears and answers his people’s cry. This prayer of the dying Jesus teaches us to pray with confidence for all our brothers and sisters who are suffering, that they too may know the love of God who never abandons them.

 I greet all the English-speaking visitors and pilgrims present at today’s Audience, including groups from England, Ireland, Norway and the United States of America. I extend a special welcome to the many students who are here, and I pray that your studies may serve to deepen your knowledge and love of our Lord and Saviour Jesus Christ. Whatever darkness you experience in your lives, may you always remain firm in faith, hope and love. May God bless all of you!

 [00179-02.01] [Original text: English] 

Sintesi della catechesi in lingua tedesca

 Liebe Brüder und Schwestern!

 Heute möchte ich gerne mit euch über das Gebet Jesu vor seinem Tod am Kreuz meditieren. Der Evangelist Markus berichtet: »Und in der neunten Stunde rief Jesus mit lauter Stimme: Eloï, Eloï, lema sabachtani?, das heißt übersetzt: Mein Gott, mein Gott, warum hast du mich verlassen?« (Mk 15,34). Aus den Evangelien wissen wir, daß der Herr sechs Stunden, von neun Uhr vormittags bis drei Uhr nachmittags, am Kreuz hing. Die ersten drei Stunden waren begleitet vom Spott verschiedener Personengruppen, die damit ihren Unglauben bekundeten. Von den drei darauffolgenden Stunden sagt der Evangelist, daß eine Finsternis über das ganze Land hereinbrach. Auch der Kosmos nimmt teil an dem Ereignis des herannahenden Todes des Gottessohnes. Die Finsternis erfaßt Menschen und Dinge. Inmitten von alldem zeigt der Herr durch sein Gebet, daß er sich der Nähe des Vaters gewiß ist, der diesen höchsten Akt der Liebe annimmt, wenngleich seine Stimme nicht hörbar ist. Jesus stirbt betend. Und die Gebetsworte Jesu sind nicht irgendwelche Worte, die er in diesem Augenblick selbst erfunden hätte. Sie sind der Anfang von Psalm 22, in dem der Psalmist die Spannung zwischen der Not und der Gottverlassenheit Israels sowie der Gewißheit seiner Hoffnung, der Gewißheit der bleibenden Gegenwart und Güte Gottes, ausdrückt. Er betet mit dem gesamten leidenden und betenden Israel. Indem er dieses Gebet spricht, nimmt er das Gebet Israels, seine Leiden und seine Nöte auf und trägt sie in die Gewißheit des Hoffens und Glaubens hinein – und nicht nur das Leiden Israels, sondern das Leiden aller Menschen, die nach Gott suchen und ihn nicht finden können. Alle Not und Bedrängnis der Welt ist in dieses Gebet hineingenommen, das ein Gebet der Menschheit ist, das er zu seinem macht und damit an das Herz Gottes bringt. Die Evangelisten haben uns bewußt den Wortlaut, den Wortklang im Aramäischen überliefern wollen, so daß wir gleichsam direkt hören können, wie Jesus diese uralte Gebetsüberlieferung aufnimmt und in den Akt seiner Hingabe an den Vater umwandelt und uns hineinzieht. Das Gebet Jesu ist nicht der Schrei von jemandem, der nicht mehr weiß, was er soll, oder der verzweifelt auf den Tod zuginge. Es ist das Gebet Israels und der Menschheit, das Gebet von Menschen, die durch das Böse bedrängt werden und die doch alles zum Herzen Gottes bringen. Und er gibt ihm seine letzte Gewißheit, daß unser Schreien in der Auferstehung endlich seine Antwort finden wird. So drücken die Worte Jesu einerseits die ganze Not der Menschheit und unser aller Bedrängnis aus. Zugleich aber durchdringen und durchtränken sie es mit Vertrauen und Hingabe und geben es in die Hände des nur scheinbar schweigenden Gottes. Sie lassen uns gewiß werden, daß der schweigende Gott doch der nahe und rettende Gott ist.

 Einen herzlichen Gruß richte ich an alle deutschsprachigen Pilger und Besucher. Bringen auch wir Gott im Gebet unser tägliches Kreuz, im Bewußtsein, daß er da ist und uns erhört, daß wir hineinbeten in das Beten Jesu, in das Beten der Menschheit und so in das Hören Gottes. Das Beispiel Jesu lehrt uns vor allem auch, für die vielen zu beten, die die Last des täglichen Lebens fühlen, die nur die Abwesenheit Gottes spüren und seine Anwesenheit nicht wahrnehmen, um sie in unser Gebet hinein und so zu Gott hinaufzuziehen. Dies ist die Gewißheit, mit der uns das Beten Jesu erfüllt: Gott ist gegenwärtig, seine Liebe ist größer als aller Haß und aller Schmerz dieser Welt.

 [00180-05.02] [Originalsprache: Deutsch]

 Sintesi della catechesi in lingua spagnola

 Queridos hermanos y hermanas:

 Nuestra reflexión de hoy se centra sobre la oración de Jesús en el momento de su muerte, según la narración de san Marcos y san Mateo. Las seis horas de Jesús sobre la cruz, con los insultos de diversos grupos y la oscuridad que cubrió toda la tierra, culminan con el grito de su oración: «Dios mío, Dios mío, ¿por qué me has abandonado?». Jesús reza usando las palabras del comienzo del salmo veintidós, en las que el salmista manifiesta no sólo el sentimiento de abandono por parte de Dios, sino también la seguridad de su presencia en medio de su pueblo. De esta manera, en el momento del sufrimiento y el abandono, manifiesta su confianza en la cercanía del Padre. Además, haciendo suyo este salmo del pueblo de Israel que sufre, Jesús carga sobre sí la pena de todos los hombres oprimidos por el mal, y los lleva hasta el corazón de Dios con la certeza de que su grito será escuchado en la resurrección. Así, en el momento extremo, cuando parece que Dios está ausente y en silencio, Jesús reza abandonándose en sus manos.

 Saludo cordialmente a los peregrinos de lengua española, en particular a los sacerdotes del Colegio Sacerdotal Argentino en Roma, a los participantes en el curso promovido por el Centro Internacional de Animación Misionera, a los grupos venidos de España, México, Nicaragua y otros países latinoamericanos. Que la oración de Jesús sobre la cruz nos enseñe a dirigirnos a Dios con la certeza de que él está siempre presente y nos escucha, y a rezar de modo especial por aquellos hermanos nuestros que sufren o pasan necesidad, para que también ellos sientan el amor de Dios que nunca los abandona. Muchas gracias.

 [00181-04.01] [Texto original: Español]

Sintesi della catechesi in lingua portoghese

 Queridos irmãos e irmãs,

 Pregado na cruz, Jesus lança este grito: «Meu Deus, meu Deus, porque Me abandonaste?» No momento extremo da sua rejeição pelos homens, Ele reza, deixando transparecer tanto a solidão do seu coração como a certeza da presença do Pai, a quem reafirma plena adesão aos seus desígnios de salvação da humanidade. Mas, como é possível que Deus não intervenha para libertar o seu Filho desta prova terrível? É importante compreender que a oração de Jesus não é o grito de um desesperado, que se sente abandonado. Mas, ao rezar um salmo de Israel - as palavras referidas são o início do salmo 22, Jesus toma sobre Si o sofrimento do seu povo e de todos os homens oprimidos pelo mal e leva-o até ao próprio coração de Deus, seguro de que o seu grito será atendido na ressurreição. Enfim Jesus vive o seu sofrimento em comunhão connosco e por nós; é um sofrimento que brota do amor e, por isso, já contém em si a redenção, a vitória do amor.

 Saúdo os fiéis da arquidiocese de Porto Alegre e restantes peregrinos de língua portuguesa. Sede bem-vindos! Com a sua ressurreição, Cristo abriu a estrada para além da morte; temos a estrada desimpedida até ao Céu. Que nada vos impeça de viver e crescer na amizade do Pai celeste, e testemunhar a todos a sua bondade e misericórdia! Sobre vós e vossas famílias, desça a sua Bênção generosa.

 [00182-06.01] [Texto original: Português]

 SALUTI PARTICOLARI NELLE DIVERSE LINGUE

 Saluto in lingua polacca

Saluto in lingua italiana

 Saluto in lingua polacca

 Pozdrawiam obecnych tu Polaków. Jezus modlący się na krzyżu uczy nas wstawiać się z miłością za wszystkimi braćmi i siostrami, którzy doświadczają ciężaru codzienności, przeżywają trudne chwile cierpienia, fizycznego i duchowego bólu, lęku i osamotnienia, aby i oni mogli doznać miłości Boga, który nigdy nas nie opuszcza. Niech Jego błogosławieństwo stale wam towarzyszy. 

[Saluto i polacchi qui presenti. Gesù che prega sulla croce ci insegna a intercedere con amore per tutti i fratelli e le sorelle che sentono il peso della vita quotidiana, che vivono momenti difficili di sofferenza, di dolore fisico e spirituale, di timore e isolamento, perché anch’essi possano sentire l’amore di Dio che non ci abbandona mai. La Sua benedizione vi accompagni sempre.]

 [00183-09.01] [Testo originale: Polacco]

 Saluto in lingua italiana

 Rivolgo adesso un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. Saluto la Delegazione del Consiglio di Stato, il Reparto Mobile della Polizia di Napoli e le varie associazioni. Un caloroso saluto ai Padri Stimmatini che celebrano il 36° Capitolo Generale e alle religiose, agli insegnanti e studenti dell’Istituto "San Francesco di Sales" di Via Portuense, per i 75 anni di presenza a Roma, di cui 50 di impegno educativo nella scuola. Un saluto anche ai sacerdoti che partecipano alla settimana di studio promossa dall’Ateneo della Santa Croce sull’importante tema del ministero pastorale della direzione nei Seminari.

 Infine, un pensiero affettuoso ai giovani, ai malati e agli sposi novelli. L’odierna memoria di San Girolamo Emiliani, patrono della gioventù abbandonata, stimoli voi, cari giovani, ad essere attenti ai vostri coetanei più svantaggiati e in difficoltà. Aiuti voi, cari ammalati ad offrire le vostre sofferenze per l’educazione cristiana delle nuove generazioni. E incoraggi voi, cari sposi novelli, ad avere sempre fiducia nella Provvidenza, e non solo nelle vostre proprie capacità.

 [00184-01.02] [Testo originale: Italiano]

 APPELLO DEL SANTO PADRE

 Cari fratelli e sorelle,

 Nelle ultime settimane un’ondata di freddo e di gelo si è abbattuta su alcune Regioni dell’Europa provocando forti disagi e ingenti danni, come sappiamo. Desidero manifestare la mia vicinanza alle popolazioni colpite da così intenso maltempo, mentre invito alla preghiera per le vittime e i loro familiari. Al tempo stesso incoraggio alla solidarietà affinché siano soccorse con generosità le persone provate da tali tragici avvenimenti.

 [00185-01.02] [Testo originale: Italiano]

 [B0079-XX.01]