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SANTA MESSA DELLA NOTTE NELLA SOLENNITÀ DEL NATALE DEL SIGNORE, 24.12.2011


Alle ore 22, il Santo Padre Benedetto XVI presiede, nella Basilica Vaticana, la Santa Messa della Notte per la Solennità del Natale del Signore 2011.
Nel corso della celebrazione eucaristica, dopo la proclamazione del Santo Vangelo, il Papa tiene la seguente omelia:

OMELIA DEL SANTO PADRE

Cari fratelli e sorelle,

La lettura tratta dalla Lettera di san Paolo Apostolo a Tito, che abbiamo appena ascoltato, inizia solennemente con la parola "apparuit", che ritorna poi di nuovo anche nella lettura della Messa dell’aurora: apparuit – "è apparso". È questa una parola programmatica con cui la Chiesa, in modo riassuntivo, vuole esprimere l’essenza del Natale. Prima, gli uomini avevano parlato e creato immagini umane di Dio in molteplici modi. Dio stesso aveva parlato in diversi modi agli uomini (cfr Eb 1,1: lettura nella Messa del giorno). Ma ora è avvenuto qualcosa di più: Egli è apparso. Si è mostrato. È uscito dalla luce inaccessibile in cui dimora. Egli stesso è venuto in mezzo a noi. Questa era per la Chiesa antica la grande gioia del Natale: Dio è apparso. Non è più soltanto un’idea, non soltanto qualcosa da intuire a partire dalle parole. Egli è "apparso". Ma ora ci domandiamo: Come è apparso? Chi è Lui veramente? La lettura della Messa dell’aurora dice al riguardo: "apparvero la bontà di Dio … e il suo amore per gli uomini" (Tt 3,4). Per gli uomini del tempo precristiano, che di fronte agli orrori e alle contraddizioni del mondo temevano che anche Dio non fosse del tutto buono, ma potesse senz’altro essere anche crudele ed arbitrario, questa era una vera "epifania", la grande luce che ci è apparsa: Dio è pura bontà. Anche oggi, persone che non riescono più a riconoscere Dio nella fede si domandano se l’ultima potenza che fonda e sorregge il mondo sia veramente buona, o se il male non sia altrettanto potente ed originario quanto il bene e il bello, che in attimi luminosi incontriamo nel nostro cosmo. "Apparvero la bontà di Dio … e il suo amore per gli uomini": questa è una nuova e consolante certezza che ci viene donata a Natale.

In tutte e tre le Messe del Natale la liturgia cita un brano tratto dal Libro del Profeta Isaia, che descrive ancora più concretamente l’epifania avvenuta a Natale: "Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio. Sulle sue spalle è il potere e il suo nome sarà: Consigliere mirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace. Grande sarà il suo potere e la pace non avrà fine" (Is 9,5s). Non sappiamo se il profeta con questa parola abbia pensato a un qualche bambino nato nel suo periodo storico. Sembra però impossibile. Questo è l’unico testo nell’Antico Testamento in cui di un bambino, di un essere umano si dice: il suo nome sarà Dio potente, Padre per sempre. Siamo di fronte ad una visione che va di gran lunga al di là del momento storico verso ciò che è misterioso, collocato nel futuro. Un bambino, in tutta la sua debolezza, è Dio potente. Un bambino, in tutta la sua indigenza e dipendenza, è Padre per sempre. "E la pace non avrà fine". Il profeta ne aveva prima parlato come di "una grande luce" e a proposito della pace proveniente da Lui aveva affermato che il bastone dell’aguzzino, ogni calzatura di soldato che marcia rimbombando, ogni mantello intriso di sangue sarebbero stati bruciati (cfr Is 9,1.3-4).

Dio è apparso – come bambino. Proprio così Egli si contrappone ad ogni violenza e porta un messaggio che è pace. In questo momento, in cui il mondo è continuamente minacciato dalla violenza in molti luoghi e in molteplici modi; in cui ci sono sempre di nuovo bastoni dell’aguzzino e mantelli intrisi di sangue, gridiamo al Signore: Tu, il Dio potente, sei apparso come bambino e ti sei mostrato a noi come Colui che ci ama e mediante il quale l’amore vincerà. E ci hai fatto capire che, insieme con Te, dobbiamo essere operatori di pace. Amiamo il Tuo essere bambino, la Tua non violenza, ma soffriamo per il fatto che la violenza perdura nel mondo, e così Ti preghiamo anche: dimostra la Tua potenza, o Dio. In questo nostro tempo, in questo nostro mondo, fa’ che i bastoni dell’aguzzino, i mantelli intrisi di sangue e gli stivali rimbombanti dei soldati vengano bruciati, così che la Tua pace vinca in questo nostro mondo.

Natale è epifania – il manifestarsi di Dio e della sua grande luce in un bambino che è nato per noi. Nato nella stalla di Betlemme, non nei palazzi dei re. Quando, nel 1223, San Francesco di Assisi celebrò a Greccio il Natale con un bue e un asino e una mangiatoia piena di fieno, si rese visibile una nuova dimensione del mistero del Natale. Francesco di Assisi ha chiamato il Natale "la festa delle feste" – più di tutte le altre solennità – e l’ha celebrato con "ineffabile premura" (2 Celano, 199: Fonti Francescane, 787). Baciava con grande devozione le immagini del bambinello e balbettava parole di dolcezza alla maniera dei bambini, ci racconta Tommaso da Celano (ivi). Per la Chiesa antica, la festa delle feste era la Pasqua: nella risurrezione, Cristo aveva sfondato le porte della morte e così aveva radicalmente cambiato il mondo: aveva creato per l’uomo un posto in Dio stesso. Ebbene, Francesco non ha cambiato, non ha voluto cambiare questa gerarchia oggettiva delle feste, l’interna struttura della fede con il suo centro nel mistero pasquale. Tuttavia, attraverso di lui e mediante il suo modo di credere è accaduto qualcosa di nuovo: Francesco ha scoperto in una profondità tutta nuova l’umanità di Gesù. Questo essere uomo da parte di Dio gli si rese evidente al massimo nel momento in cui il Figlio di Dio, nato dalla Vergine Maria, fu avvolto in fasce e venne posto in una mangiatoia. La risurrezione presuppone l’incarnazione. Il Figlio di Dio come bambino, come vero figlio di uomo – questo toccò profondamente il cuore del Santo di Assisi, trasformando la fede in amore. "Apparvero la bontà di Dio e il suo amore per gli uomini": questa frase di san Paolo acquistava così una profondità tutta nuova. Nel bambino nella stalla di Betlemme, si può, per così dire, toccare Dio e accarezzarlo. Così l’anno liturgico ha ricevuto un secondo centro in una festa che è, anzitutto, una festa del cuore.

Tutto ciò non ha niente di sentimentalismo. Proprio nella nuova esperienza della realtà dell’umanità di Gesù si rivela il grande mistero della fede. Francesco amava Gesù, il bambino, perché in questo essere bambino gli si rese chiara l’umiltà di Dio. Dio è diventato povero. Il suo Figlio è nato nella povertà della stalla. Nel bambino Gesù, Dio si è fatto dipendente, bisognoso dell’amore di persone umane, in condizione di chiedere il loro – il nostro – amore. Oggi il Natale è diventato una festa dei negozi, il cui luccichio abbagliante nasconde il mistero dell’umiltà di Dio, la quale ci invita all’umiltà e alla semplicità. Preghiamo il Signore di aiutarci ad attraversare con lo sguardo le facciate luccicanti di questo tempo fino a trovare dietro di esse il bambino nella stalla di Betlemme, per scoprire così la vera gioia e la vera luce.

Sulla mangiatoia, che stava tra il bue e l’asino, Francesco faceva celebrare la santissima Eucaristia (cfr 1 Celano, 85: Fonti, 469). Successivamente, sopra questa mangiatoia venne costruito un altare, affinché là dove un tempo gli animali avevano mangiato il fieno, ora gli uomini potessero ricevere, per la salvezza dell’anima e del corpo, la carne dell’Agnello immacolato Gesù Cristo, come racconta il Celano (cfr 1 Celano, 87: Fonti, 471). Nella Notte santa di Greccio, Francesco quale diacono aveva personalmente cantato con voce sonora il Vangelo del Natale. Grazie agli splendidi canti natalizi dei frati, la celebrazione sembrava tutta un sussulto di gioia (cfr 1 Celano, 85 e 86: Fonti, 469 e 470). Proprio l’incontro con l’umiltà di Dio si trasformava in gioia: la sua bontà crea la vera festa.

Chi oggi vuole entrare nella chiesa della Natività di Gesù a Betlemme, scopre che il portale, che un tempo era alto cinque metri e mezzo e attraverso il quale gli imperatori e i califfi entravano nell’edificio, è stato in gran parte murato. È rimasta soltanto una bassa apertura di un metro e mezzo. L’intenzione era probabilmente di proteggere meglio la chiesa contro eventuali assalti, ma soprattutto di evitare che si entrasse a cavallo nella casa di Dio. Chi desidera entrare nel luogo della nascita di Gesù, deve chinarsi. Mi sembra che in ciò si manifesti una verità più profonda, dalla quale vogliamo lasciarci toccare in questa Notte santa: se vogliamo trovare il Dio apparso quale bambino, allora dobbiamo scendere dal cavallo della nostra ragione "illuminata". Dobbiamo deporre le nostre false certezze, la nostra superbia intellettuale, che ci impedisce di percepire la vicinanza di Dio. Dobbiamo seguire il cammino interiore di san Francesco – il cammino verso quell’estrema semplicità esteriore ed interiore che rende il cuore capace di vedere. Dobbiamo chinarci, andare spiritualmente, per così dire, a piedi, per poter entrare attraverso il portale della fede ed incontrare il Dio che è diverso dai nostri pregiudizi e dalle nostre opinioni: il Dio che si nasconde nell’umiltà di un bimbo appena nato. Celebriamo così la liturgia di questa Notte santa e rinunciamo a fissarci su ciò che è materiale, misurabile e toccabile. Lasciamoci rendere semplici da quel Dio che si manifesta al cuore diventato semplice. E preghiamo in quest’ora anzitutto anche per tutti coloro che devono vivere il Natale in povertà, nel dolore, nella condizione di migranti, affinché appaia loro un raggio della bontà di Dio; affinché tocchi loro e noi quella bontà che Dio, con la nascita del suo Figlio nella stalla, ha voluto portare nel mondo. Amen.

[01849-01.01]

TRADUZIONE IN LINGUA FRANCESE

Chers frères et sœurs,

La lecture tirée de la Lettre de Saint Paul Apôtre à Tite, que nous venons d’écouter, commence solennellement par la parole « apparuit », qui revient aussi de nouveau dans la lecture de la Messe de l’aurore : apparuit – « il est apparu ». C’est une parole programmatique par laquelle l’Église, d’une manière synthétique, veut exprimer l’essence de Noël. Dans le passé, les hommes avaient parlé et créé, de multiples manières, des images humaines de Dieu. Dieu lui-même avait parlé sous des formes diverses (cf. He 1, 1 : lecture de la Messe du jour). Mais, quelque chose de plus s’est produit maintenant : Il est apparu. Il s’est montré. Il est sorti de la lumière inaccessible dans laquelle il demeure. Lui-même est venu au milieu de nous. C’était pour l’Église antique la grande joie de Noël : Dieu est apparu. Il n’est plus seulement une idée, non pas seulement quelque chose à deviner à partir des paroles. Il est « apparu ». Mais demandons-nous maintenant : comment est-Il apparu ? Qui est-Il vraiment ? La lecture de la Messe de l’aurore dit à ce sujet : « Apparurent la bonté de Dieu (…) et son amour pour les hommes » (Tt 3, 4). Pour les hommes de l’époque préchrétienne, qui face aux horreurs et aux contradictions du monde craignaient que Dieu aussi ne fût pas totalement bon, mais pouvait sans doute être aussi cruel et arbitraire, c’était une vraie « épiphanie », la grande lumière qui nous est apparue : Dieu est pure bonté. Aujourd’hui aussi, des personnes qui ne réussissent plus à reconnaître Dieu dans la foi, se demandent si l’ultime puissance qui fonde et porte le monde, est vraiment bonne, ou si le mal n’est pas aussi puissant et originaire que le bien et le beau, que nous rencontrons à des moments lumineux dans notre cosmos. « Apparurent la bonté de Dieu (…) et son amour pour les hommes » : c’est une certitude nouvelle et consolante qui nous est donnée à Noël.

Dans les trois messes de Noël, la liturgie cite un passage tiré du Livre du Prophète Isaïe, qui décrit encore plus concrètement l’épiphanie qui s’est produite à Noël : « Un enfant nous est né, un fils nous a été donné ; l’insigne du pouvoir est sur son épaule ; on proclame son nom : Merveilleux-Conseiller, Dieu-Fort, Père-à-jamais, Prince-de-la-Paix. Ainsi le pouvoir s’étendra, la paix sera sans fin » (Is 9, 5s). Par ces paroles, nous ne savons pas si le prophète a pensé à un enfant quelconque né en son temps historique. Cela semble pourtant impossible. Ce texte est l’unique de l’Ancien Testament dans lequel il est dit d’un enfant, d’un être humain : son nom sera Dieu-Fort, Père-à-jamais. Nous sommes en présence d’une vision qui va beaucoup plus au-delà du moment historique vers ce qui est mystérieux, placé dans le futur. Un enfant, dans toute sa faiblesse, est Dieu-Fort. Un enfant, dans toute son indigence et sa dépendance, est Père-à-jamais. Et « la paix sera sans fin ». Le prophète en avait parlé auparavant comme d’« une grande lumière » et au sujet de la paix venant de Lui, il avait affirmé que le bâton de l’oppresseur, toutes les chaussures de soldat qui piétinaient bruyamment sur le sol, tout manteau roulé dans le sang seraient dévorés par le feu (cf. Is 9, 1.3-4).

Dieu est apparu – comme un enfant. Par cela même il s’oppose à toute violence et apporte un message qui est la paix. En ce moment où le monde est continuellement menacé par la violence en de nombreux endroits et de diverses manières ; où il y a toujours encore des bâtons de l’oppresseur et des manteaux roulés dans le sang, nous crions vers le Seigneur : Toi, le Dieu-Fort, tu es apparu comme un enfant et tu t’es montré à nous comme Celui qui nous aime et Celui par lequel l’amour vaincra. Et Tu nous as fait comprendre qu’avec Toi nous devons être des artisans de paix. Nous aimons Ton être-enfant, Ta non-violence, mais nous souffrons du fait que la violence persiste dans le monde, c’est pourquoi nous te prions aussi : montre Ta puissance, ô Dieu. En notre temps, dans notre monde, fais que les bâtons de l’oppresseur, les manteaux roulés dans le sang et les chausseurs bruyantes des soldats soient brûlées, qu’ainsi Ta paix triomphe dans notre monde.

Noël est une épiphanie – la manifestation de Dieu et de sa grande lumière dans un enfant qui est né pour nous. Né dans l’étable de Bethléem, non pas dans les palais des rois. Quand, en 1223, François d’Assise célébra Noël à Greccio avec un bœuf et un âne et une mangeoire pleine de foin, une nouvelle dimension du mystère de Noël a été rendue visible. François d’Assise a appelé Noël « la fête des fêtes » – plus que toutes les autres solennités – et il l’a célébré avec « une prévenance indicible » (2 Celano, 199 : Fonti Francescane, 787). Avec une profonde dévotion, il embrassait les images du petit enfant et balbutiait des paroles de tendresse à la manière des enfants, nous raconte Thomas de Celano (ibid.). Pour l’Église antique, la fête des fêtes était Pâques : dans la résurrection, le Christ avait ouvert les portes de la mort et il avait ainsi changé radicalement le monde : il avait créé en Dieu même une place pour l’homme. Eh bien, François n’a pas changé, il n’a pas voulu changer cette hiérarchie objective des fêtes, toute la structure de la foi centrée sur le mystère pascal. Toutefois, par lui et par sa façon de croire, quelque chose de nouveau s’est produit : François a découvert avec une profondeur toute nouvelle l’humanité de Jésus. Cet être-homme de la part de Dieu, lui a été rendu évident au maximum au moment où le Fils de Dieu, né de la Verge Marie, fut enveloppé de langes et fut couché dans une mangeoire. La résurrection suppose l’incarnation. Le Fils de Dieu comme un enfant, comme un vrai fils d’homme – cela toucha profondément le cœur du Saint d’Assise, transformant la foi en amour. « Apparurent la bonté de Dieu (…) et son amour pour les hommes » : cette phrase de Saint Paul acquérait ainsi une profondeur toute nouvelle. Dans l’enfant dans l’étable de Bethleem, on peut, pour ainsi dire, toucher Dieu et le caresser. Ainsi, l’année liturgique a reçu un second centre dans une fête qui est, avant tout, une fête du cœur.

Tout ceci n’a rien d’un sentimentalisme. Dans la nouvelle expérience de la réalité de l’humanité de Jésus se révèle justement le grand mystère de la foi. François aimait Jésus, le petit enfant, parce que, dans ce fait d’être enfant, l’humilité de Dieu se rendait évidente. Dieu est devenu pauvre. Son Fils est né dans la pauvreté d’une étable. Dans l’enfant Jésus, Dieu s’est fait dépendant, ayant besoin de l’amour de personnes humaines, en condition de demander leur – notre – amour. Aujourd’hui Noël est devenu une fête commerciale, dont les scintillements éblouissants cachent le mystère de l’humilité de Dieu, et celle-ci nous invite à l’humilité et à la simplicité. Prions le Seigneur de nous aider à traverser du regard les façades étincelantes de ce temps pour trouver derrière elles l’enfant dans l’étable de Bethléem, pour découvrir ainsi la vraie joie et la vraie lumière.

Sur la mangeoire qui était entre le bœuf et l’âne, François faisait célébrer la sainte Eucharistie (cf. 1 Celano, 85 : Fonti, 469). Par la suite, sur cette mangeoire un autel fut construit, afin que là où un temps les animaux avaient mangé le foin, maintenant les hommes puissent recevoir, pour le salut de l’âme et du corps, la chair de l’Agneau immaculé Jésus Christ, comme raconte Celano (cf. 1 Celano, 87 : Fonti, 471). Dans la sainte nuit de Greccio, François comme diacre avait personnellement chanté d’une voix sonore l’Évangile de Noël. Grâce aux splendides cantiques de Noël des Frères, la célébration semblait tout un tressaillement de joie (cf. 1 Celano, 85 et 86 : Fonti, 469 et 470). Justement la rencontre avec l’humilité de Dieu se transforme en joie : sa bonté crée la vraie fête.

Celui qui aujourd’hui veut entrer dans l’église de la Nativité de Jésus à Bethléem découvre que le portail, qui un temps était haut de cinq mètres et demi et à travers lequel les empereurs et les califes entraient dans l’édifice, a été en grande partie muré. Est demeurée seulement une ouverture basse d’un mètre et demi. L’intention était probablement de mieux protéger l’église contre d’éventuels assauts, mais surtout d’éviter qu’on entre à cheval dans la maison de Dieu. Celui qui désire entrer dans le lieu de la naissance de Jésus, doit se baisser. Il me semble qu’en cela se manifeste une vérité plus profonde, par laquelle nous voulons nous laisser toucher en cette sainte Nuit : si nous voulons trouver le Dieu apparu comme un enfant, alors nous devons descendre du cheval de notre raison « libérale ». Nous devons déposer nos fausses certitudes, notre orgueil intellectuel, qui nous empêche de percevoir la proximité de Dieu. Nous devons suivre le chemin intérieur de saint François – le chemin vers cette extrême simplicité extérieure et intérieure qui rend le cœur capable de voir. Nous devons nous baisser, aller spirituellement, pour ainsi dire, à pied, pour pouvoir entrer à travers le portail de la foi et rencontrer le Dieu qui est différent de nos préjugés et de nos opinions : le Dieu qui se cache dans l’humilité d’un enfant qui vient de naître. Célébrons ainsi la liturgie de cette sainte Nuit et renonçons à nous fixer sur ce qui est matériel, mesurable et touchable. Laissons-nous simplifier par ce Dieu qui se manifeste au cœur devenu simple. Et prions en ce moment avant tout pour que tous ceux qui doivent vivre Noël dans la pauvreté, dans la souffrance, dans la condition de migrants, afin que leur apparaisse un rayon de la bonté de Dieu ; afin que les touche, ainsi que nous, cette bonté que Dieu, par la naissance de son Fils dans l’étable, a voulu porter dans le monde. Amen.

[01849-03.01]

TRADUZIONE IN LINGUA INGLESE

Dear Brothers and Sisters!

The reading from Saint Paul’s Letter to Titus that we have just heard begins solemnly with the word "apparuit", which then comes back again in the reading at the Dawn Mass: apparuit – "there has appeared". This is a programmatic word, by which the Church seeks to express synthetically the essence of Christmas. Formerly, people had spoken of God and formed human images of him in all sorts of different ways. God himself had spoken in many and various ways to mankind (cf. Heb 1:1 – Mass during the Day). But now something new has happened: he has appeared. He has revealed himself. He has emerged from the inaccessible light in which he dwells. He himself has come into our midst. This was the great joy of Christmas for the early Church: God has appeared. No longer is he merely an idea, no longer do we have to form a picture of him on the basis of mere words. He has "appeared". But now we ask: how has he appeared? Who is he in reality? The reading at the Dawn Mass goes on to say: "the kindness and love of God our Saviour for mankind were revealed" (Tit 3:4). For the people of pre-Christian times, whose response to the terrors and contradictions of the world was to fear that God himself might not be good either, that he too might well be cruel and arbitrary, this was a real "epiphany", the great light that has appeared to us: God is pure goodness. Today too, people who are no longer able to recognize God through faith are asking whether the ultimate power that underpins and sustains the world is truly good, or whether evil is just as powerful and primordial as the good and the beautiful which we encounter in radiant moments in our world. "The kindness and love of God our Saviour for mankind were revealed": this is the new, consoling certainty that is granted to us at Christmas.

In all three Christmas Masses, the liturgy quotes a passage from the Prophet Isaiah, which describes the epiphany that took place at Christmas in greater detail: "A child is born for us, a son given to us and dominion is laid on his shoulders; and this is the name they give him: Wonder-Counsellor, Mighty-God, Eternal-Father, Prince-of-Peace. Wide is his dominion in a peace that has no end" (Is 9:5f.). Whether the prophet had a particular child in mind, born during his own period of history, we do not know. But it seems impossible. This is the only text in the Old Testament in which it is said of a child, of a human being: his name will be Mighty-God, Eternal-Father. We are presented with a vision that extends far beyond the historical moment into the mysterious, into the future. A child, in all its weakness, is Mighty God. A child, in all its neediness and dependence, is Eternal Father. And his peace "has no end". The prophet had previously described the child as "a great light" and had said of the peace he would usher in that the rod of the oppressor, the footgear of battle, every cloak rolled in blood would be burned (Is 9:1, 3-4).

God has appeared – as a child. It is in this guise that he pits himself against all violence and brings a message that is peace. At this hour, when the world is continually threatened by violence in so many places and in so many different ways, when over and over again there are oppressors’ rods and bloodstained cloaks, we cry out to the Lord: O mighty God, you have appeared as a child and you have revealed yourself to us as the One who loves us, the One through whom love will triumph. And you have shown us that we must be peacemakers with you. We love your childish estate, your powerlessness, but we suffer from the continuing presence of violence in the world, and so we also ask you: manifest your power, O God. In this time of ours, in this world of ours, cause the oppressors’ rods, the cloaks rolled in blood and the footgear of battle to be burned, so that your peace may triumph in this world of ours.

Christmas is an epiphany – the appearing of God and of his great light in a child that is born for us. Born in a stable in Bethlehem, not in the palaces of kings. In 1223, when Saint Francis of Assisi celebrated Christmas in Greccio with an ox and an ass and a manger full of hay, a new dimension of the mystery of Christmas came to light. Saint Francis of Assisi called Christmas "the feast of feasts" – above all other feasts – and he celebrated it with "unutterable devotion" (2 Celano 199; Fonti Francescane, 787). He kissed images of the Christ-child with great devotion and he stammered tender words such as children say, so Thomas of Celano tells us (ibid.). For the early Church, the feast of feasts was Easter: in the Resurrection Christ had flung open the doors of death and in so doing had radically changed the world: he had made a place for man in God himself. Now, Francis neither changed nor intended to change this objective order of precedence among the feasts, the inner structure of the faith centred on the Paschal Mystery. And yet through him and the character of his faith, something new took place: Francis discovered Jesus’ humanity in an entirely new depth. This human existence of God became most visible to him at the moment when God’s Son, born of the Virgin Mary, was wrapped in swaddling clothes and laid in a manger. The Resurrection presupposes the Incarnation. For God’s Son to take the form of a child, a truly human child, made a profound impression on the heart of the Saint of Assisi, transforming faith into love. "The kindness and love of God our Saviour for mankind were revealed" – this phrase of Saint Paul now acquired an entirely new depth. In the child born in the stable at Bethlehem, we can as it were touch and caress God. And so the liturgical year acquired a second focus in a feast that is above all a feast of the heart.

This has nothing to do with sentimentality. It is right here, in this new experience of the reality of Jesus’ humanity that the great mystery of faith is revealed. Francis loved the child Jesus, because for him it was in this childish estate that God’s humility shone forth. God became poor. His Son was born in the poverty of the stable. In the child Jesus, God made himself dependent, in need of human love, he put himself in the position of asking for human love – our love. Today Christmas has become a commercial celebration, whose bright lights hide the mystery of God’s humility, which in turn calls us to humility and simplicity. Let us ask the Lord to help us see through the superficial glitter of this season, and to discover behind it the child in the stable in Bethlehem, so as to find true joy and true light.

Francis arranged for Mass to be celebrated on the manger that stood between the ox and the ass (cf. 1 Celano 85; Fonti 469). Later, an altar was built over this manger, so that where animals had once fed on hay, men could now receive the flesh of the spotless lamb Jesus Christ, for the salvation of soul and body, as Thomas of Celano tells us (cf. 1 Celano 87; Fonti 471). Francis himself, as a deacon, had sung the Christmas Gospel on the holy night in Greccio with resounding voice. Through the friars’ radiant Christmas singing, the whole celebration seemed to be a great outburst of joy (1 Celano 85.86; Fonti 469, 470). It was the encounter with God’s humility that caused this joy – his goodness creates the true feast.

Today, anyone wishing to enter the Church of Jesus’ Nativity in Bethlehem will find that the doorway five and a half metres high, through which emperors and caliphs used to enter the building, is now largely walled up. Only a low opening of one and a half metres has remained. The intention was probably to provide the church with better protection from attack, but above all to prevent people from entering God’s house on horseback. Anyone wishing to enter the place of Jesus’ birth has to bend down. It seems to me that a deeper truth is revealed here, which should touch our hearts on this holy night: if we want to find the God who appeared as a child, then we must dismount from the high horse of our "enlightened" reason. We must set aside our false certainties, our intellectual pride, which prevents us from recognizing God’s closeness. We must follow the interior path of Saint Francis – the path leading to that ultimate outward and inward simplicity which enables the heart to see. We must bend down, spiritually we must as it were go on foot, in order to pass through the portal of faith and encounter the God who is so different from our prejudices and opinions – the God who conceals himself in the humility of a newborn baby. In this spirit let us celebrate the liturgy of the holy night, let us strip away our fixation on what is material, on what can be measured and grasped. Let us allow ourselves to be made simple by the God who reveals himself to the simple of heart. And let us also pray especially at this hour for all who have to celebrate Christmas in poverty, in suffering, as migrants, that a ray of God’s kindness may shine upon them, that they – and we – may be touched by the kindness that God chose to bring into the world through the birth of his Son in a stable. Amen.

[01849-02.01]

TRADUZIONE IN LINGUA TEDESCA

Liebe Schwestern und Brüder!

Die Lesung aus dem Brief des heiligen Apostels Paulus an Titus, die wir eben gehört haben, beginnt feierlich mit dem Wort „apparuit", das dann auch in der Lesung in der Messe in der Morgenröte noch einmal wiederkehrt: apparuit – „es ist erschienen". Dies ist ein programmatisches Wort, mit dem die Kirche zusammenfassend das Wesen von Weihnachten aussagen will. Von Gott hatten zuvor die Menschen auf vielfältige Weise gesprochen und menschliche Bilder geschaffen. Gott selber hat auf vielerlei Art und Weise zu den Menschen gesprochen (vgl. Hebr 1, 1: dritte Weihnachtsmesse). Aber nun ist mehr geschehen: Er ist erschienen. Er hat sich gezeigt. Er ist aus dem unzugänglichen Licht herausgetreten, in dem er wohnt. Er selbst ist in unsere Mitte hereingekommen. Das war für die alte Kirche die große Freude von Weihnachten: Gott ist erschienen. Er ist nicht mehr bloß Idee, nicht bloß durch Worte zu erahnen. Er ist „erschienen". Aber nun fragen wir: Wie ist er erschienen? Wer ist er dann wirklich? Die Lesung in der Messe der Morgenröte sagt dazu: „Erschienen ist die Güte und die Menschenliebe unseres Gottes" (Tit 3, 4). Für die Menschen der vorchristlichen Zeit, die angesichts der Schrecken und der Widersprüche der Welt fürchteten, daß auch Gott nicht einfach gut sei, daß er wohl grausam und willkürlich sein könne, war dies eine wirkliche „Epiphanie", das große Licht, das uns erschienen ist: Gott ist reine Güte. Auch heute fragen sich Menschen, die Gott nicht mehr im Glauben erkennen können, ob die letzte Macht, die die Welt begründet und trägt, wirklich gut sei oder ob nicht das Böse genau so mächtig und ursprünglich sei wie das Gute und Schöne, dem wir in hellen Augenblicken in unserem Kosmos begegnen. „Erschienen ist die Güte und die Menschenfreundlichkeit unseres Gottes": Das ist neue, tröstende Gewißheit, die uns an Weihnachten geschenkt wird.

In allen drei Weihnachtsmessen zitiert die Liturgie ein Stück aus dem Propheten Jesaja, das die an Weihnachten geschehene Epiphanie noch konkreter beschreibt: „Ein Kind ist uns geboren, ein Sohn ist uns geschenkt. Die Herrschaft liegt auf seiner Schulter; man nennt ihn: Wunderbarer Ratgeber, Starker Gott, Vater in Ewigkeit, Fürst des Friedens. Seine Herrschaft ist groß, und der Friede hat kein Ende" (Jes 9, 5f). Ob der Prophet bei diesem Wort an irgendein in seiner historischen Stunde geborenes Kind gedacht hat, wissen wir nicht. Aber es scheint unmöglich. Dies ist der einzige Text im Alten Testament, in dem von einem Kind, von einem Menschen gesagt wird: Man nennt ihn starker Gott, Vater in Ewigkeit. Wir stehen vor einer Vision, die weit über den historischen Augenblick hinausreicht, ins Geheimnisvolle, ins Künftige hinein. Ein Kind in seiner ganzen Schwachheit ist starker Gott. Ein Kind in seiner ganzen Bedürftigkeit und Abhängigkeit ist Vater in Ewigkeit. „Und der Friede hat kein Ende." Der Prophet hatte es vorher als „ein helles Licht" bezeichnet und über den von ihm kommenden Frieden gesagt, daß der Stock des Treibers, jeder dröhnend daherstampfende Stiefel, jeder blutbefleckte Mantel verbrannt wird (vgl. Jes 9, 1. 3-4).

Gott ist erschienen – als ein Kind. Gerade so stellt er sich aller Gewalt entgegen und bringt eine Botschaft, die Friede ist. In dieser Stunde, in der die Welt immer wieder an vielen Orten und auf vielerlei Weisen von der Gewalt bedroht ist; in der es immer wieder Stöcke des Treibers und blutbefleckte Mäntel gibt, rufen wir zum Herrn: Du, der starke Gott, bist als Kind erschienen und hast dich uns als der gezeigt, der uns liebt, durch den die Liebe siegen wird. Und du hast uns gezeigt, daß wir mit dir Friedensstifter sein müssen. Wir lieben dein Kindsein, deine Gewaltlosigkeit, aber wir leiden darunter, daß die Gewalt fortgeht in der Welt, und so bitten wir dich auch: Zeige deine Macht, o Gott. Mache es wahr in dieser unserer Zeit, in dieser unserer Welt, daß Treiberstöcke, die blutbefleckten Mäntel und die dröhnenden Stiefel verbrannt werden und dein Friede siegt in dieser unserer Welt.

Weihnachten ist Epiphanie – Erscheinen Gottes und seines großen Lichtes in einem Kind, das uns geboren wurde. Geboren im Stall zu Bethlehem, nicht in den Palästen der Könige. Als im Jahr 1223 Franz von Assisi in Greccio Weihnachten feierte mit Ochs und Esel und mit einer heugefüllten Futterkrippe, ist eine neue Dimension des Geheimnisses von Weihnachten sichtbar geworden. Franz von Assisi hat Weihnachten „das Fest aller Feste" genannt – mehr als alle anderen Feste – und es mit „unaussprechlicher Hingebung" gefeiert (2 Celano 199: FF 787). Er küßte voller Hingebung die Bilder des Kindleins und stammelte zärtliche Worte, wie Kinder es tun, erzählt uns Thomas von Celano (ebd.). Für die alte Kirche war Ostern das Fest der Feste: In der Auferstehung hatte Christus die Türen des Todes aufgestoßen und so die Welt von Grund auf verändert: Für den Menschen hatte er in Gott selbst Platz geschaffen. Nun, Franziskus hat diese objektive Rangordnung der Feste, die innere Struktur des Glaubens mit seiner Mitte im Ostergeheimnis nicht geändert, nicht ändern wollen. Aber etwas Neues ist dennoch durch ihn und seine Weise des Glaubens geschehen: Franz hat in einer ganz neuen Tiefe das Menschsein Jesu entdeckt. Dieses Menschsein Gottes wurde ihm am meisten sichtbar in dem Augenblick, in dem Gottes Sohn als Kind aus der Jungfrau Maria geboren, in Windeln gewickelt und in eine Krippe gelegt worden war. Die Auferstehung setzt die Menschwerdung voraus. Gottes Sohn als Kind, als wirkliches Menschenkind – das hat das Herz des Heiligen von Assisi zuinnerst getroffen und Glaube zu Liebe werden lassen. „Erschienen ist uns die Menschenfreundlichkeit Gottes" – dieser Satz des heiligen Paulus hatte nun eine ganz neue Tiefe bekommen. Man kann Gott sozusagen in dem Kind im Stall zu Bethlehem anfassen, liebkosen. So hat das Kirchenjahr eine zweite Mitte erhalten in einem Fest, das vor allem Fest des Herzens ist.

All dies hat nichts von Sentimentalität an sich. Gerade in der neuen Erfahrung der Wirklichkeit von Jesu Menschsein wird das große Mysterium des Glaubens offenbar. Franziskus liebte Jesus, das Kind, weil ihm in diesem Kindsein die Demut Gottes aufging. Gott ist arm geworden. Sein Sohn wurde in der Armut des Stalles geboren. Im Kind Jesus hatte Gott sich abhängig gemacht, der Liebe von Menschen bedürftig, um ihre – um unsere – Liebe bittend. Heute ist Weihnachten zu einem Fest der Geschäfte geworden, deren greller Glanz das Geheimnis der Demut Gottes verdeckt, die uns zur Demut und zur Einfachheit einlädt. Bitten wir den Herrn darum, daß er uns hilft, durch die glänzenden Fassaden dieser Zeit hindurchzuschauen bis zu dem Kind im Stall zu Bethlehem, um so die wahre Freude und das wirkliche Licht zu entdecken.

Franziskus ließ über der Futterkrippe, die zwischen Ochs und Esel stand, die heilige Eucharistie feiern (1 Celano 85: FF 469). Später wurde über dieser Krippe ein Altar gebaut, damit dort, wo einst die Tiere das Heu gegessen hatten, nun die Menschen das Fleisch des unbefleckten Lammes Jesus Christus empfangen konnten, zum Heil für Seele und Leib, berichtet uns Celano (1 Celano 87: FF 471). Franziskus selbst hatte in der Heiligen Nacht zu Greccio als Diakon mit strahlender Stimme das Weihnachtsevangelium gesungen. Durch die Lichtgesänge der Brüder zur Heiligen Nacht erschien die ganze Feier als ein einziger Ausbruch von Freude (1 Celano 85. 86: FF 469. 470). Gerade die Begegnung mit der Demut Gottes wurde zur Freude – seine Güte schafft das wahre Fest.

Wer heute die Geburtskirche Jesu zu Bethlehem betreten will, findet, daß das einst 5½ m hohe Portal, durch das Kaiser und Kalifen den Bau betraten, weitgehend zugemauert ist. Nur eine niedrige Öffnung von 1,30 m Höhe ist geblieben. Man wollte wohl die Kirche besser vor Überfällen schützen, besonders aber verhindern, daß man hoch zu Roß in das Gotteshaus ritt. Wer den Ort der Geburt Jesu betreten möchte, muß sich bücken. Mir scheint, daß sich darin eine tiefere Wahrheit zeigt, von der wir uns in dieser Heiligen Nacht berühren lassen wollen: Wenn wir den als Kind erschienenen Gott finden wollen, dann müssen wir vom hohen Roß unseres aufgeklärten Verstandes heruntersteigen. Wir müssen unsere falschen Gewißheiten, unseren intellektuellen Stolz ablegen, der uns hindert, die Nähe Gottes zu sehen. Wir müssen den inneren Weg des heiligen Franziskus nachgehen – den Weg zu jener letzten äußeren und inneren Einfachheit, die das Herz sehend macht. Wir müssen uns herunterbeugen, sozusagen geistig zu Fuß gehen, um durch das Portal des Glaubens eintreten zu können und dem Gott zu begegnen, der anders ist als unsere Vorurteile und Meinungen – der sich in der Demut eines neu geborenen Kindes verbirgt. Feiern wir so die Liturgie dieser Heiligen Nacht, und verzichten wir auf unsere Fixierung auf das Materielle, auf das Meßbare und Greifbare. Lassen wir uns einfach machen von dem Gott, der sich dem einfach gewordenen Herzen zeigt. Und beten wir in dieser Stunde vor allem auch für alle diejenigen, die Weihnachten in Armut, in Leid, im Unterwegssein feiern müssen, daß ihnen ein Strahl der Güte Gottes erscheine; daß sie und uns jene Güte anrührt, die Gott mit der Geburt seines Sohnes im Stall in die Welt tragen wollte. Amen.

[01849-05.01]

TRADUZIONE IN LINGUA SPAGNOLA

Queridos hermanos y hermanas

La lectura que acabamos de escuchar, tomada de la Carta de san Pablo Apóstol a Tito, comienza solemnemente con la palabra apparuit, que también encontramos en la lectura de la Misa de la aurora: apparuit – ha aparecido. Esta es una palabra programática, con la cual la Iglesia quiere expresar de manera sintética la esencia de la Navidad. Antes, los hombres habían hablado y creado imágenes humanas de Dios de muchas maneras. Dios mismo había hablado a los hombres de diferentes modos (cf. Hb 1,1: Lectura de la Misa del día). Pero ahora ha sucedido algo más: Él ha aparecido. Se ha mostrado. Ha salido de la luz inaccesible en la que habita. Él mismo ha venido entre nosotros. Para la Iglesia antigua, esta era la gran alegría de la Navidad: Dios se ha manifestado. Ya no es sólo una idea, algo que se ha de intuir a partir de las palabras. Él «ha aparecido». Pero ahora nos preguntamos: ¿Cómo ha aparecido? ¿Quién es él realmente? La lectura de la Misa de la aurora dice a este respecto: «Ha aparecido la bondad de Dios y su amor al hombre» (Tt 3,4). Para los hombres de la época precristiana, que ante los horrores y las contradicciones del mundo temían que Dios no fuera bueno del todo, sino que podría ser sin duda también cruel y arbitrario, esto era una verdadera «epifanía», la gran luz que se nos ha aparecido: Dios es pura bondad. Y también hoy, quienes ya no son capaces de reconocer a Dios en la fe se preguntan si el último poder que funda y sostiene el mundo es verdaderamente bueno, o si acaso el mal es tan potente y originario como el bien y lo bello, que en algunos momentos luminosos encontramos en nuestro cosmos. «Ha aparecido la bondad de Dios y su amor al hombre»: ésta es una nueva y consoladora certidumbre que se nos da en Navidad.

En las tres misas de Navidad, la liturgia cita un pasaje del libro del profeta Isaías, que describe más concretamente aún la epifanía que se produjo en Navidad: «Un niño nos ha nacido, un hijo se nos ha dado: lleva al hombro el principado, y es su nombre: Maravilla de Consejero, Dios fuerte, Padre perpetuo, Príncipe de la paz. Para dilatar el principado con una paz sin límites» (Is 9,5s). No sabemos si el profeta pensaba con esta palabra en algún niño nacido en su época. Pero parece imposible. Este es el único texto en el Antiguo Testamento en el que se dice de un niño, de un ser humano, que su nombre será Dios fuerte, Padre para siempre. Nos encontramos ante una visión que va, mucho más allá del momento histórico, hacia algo misterioso que pertenece al futuro. Un niño, en toda su debilidad, es Dios poderoso. Un niño, en toda su indigencia y dependencia, es Padre perpetuo. Y la paz será «sin límites». El profeta se había referido antes a esto hablando de «una luz grande» y, a propósito de la paz venidera, había dicho que la vara del opresor, la bota que pisa con estrépito y la túnica empapada de sangre serían pasto del fuego (cf. Is 9,1.3-4).

Dios se ha manifestado. Lo ha hecho como niño. Precisamente así se contrapone a toda violencia y lleva un mensaje que es paz. En este momento en que el mundo está constantemente amenazado por la violencia en muchos lugares y de diversas maneras; en el que siempre hay de nuevo varas del opresor y túnicas ensangrentadas, clamemos al Señor: Tú, el Dios poderoso, has venido como niño y te has mostrado a nosotros como el que nos ama y mediante el cual el amor vencerá. Y nos has hecho comprender que, junto a ti, debemos ser constructores de paz. Amamos tu ser niño, tu no-violencia, pero sufrimos porque la violencia continúa en el mundo, y por eso también te rogamos: Demuestra tu poder, ¡oh Dios! En este nuestro tiempo, en este mundo nuestro, haz que las varas del opresor, las túnicas llenas de sangre y las botas estrepitosas de los soldados sean arrojadas al fuego, de manera que tu paz venza en este mundo nuestro.

La Navidad es Epifanía: la manifestación de Dios y de su gran luz en un niño que ha nacido para nosotros. Nacido en un establo en Belén, no en los palacios de los reyes. Cuando Francisco de Asís celebró la Navidad en Greccio, en 1223, con un buey y una mula y un pesebre con paja, se hizo visible una nueva dimensión del misterio de la Navidad. Francisco de Asís llamó a la Navidad «la fiesta de las fiestas» – más que todas las demás solemnidades – y la celebró con «inefable fervor» (2 Celano, 199: Fonti Francescane, 787). Besaba con gran devoción las imágenes del Niño Jesús y balbuceaba palabras de dulzura como hacen los niños, nos dice Tomás de Celano (ibíd.). Para la Iglesia antigua, la fiesta de las fiestas era la Pascua: en la resurrección, Cristo había abatido las puertas de la muerte y, de este modo, había cambiado radicalmente el mundo: había creado para el hombre un lugar en Dios mismo. Pues bien, Francisco no ha cambiado, no ha querido cambiar esta jerarquía objetiva de las fiestas, la estructura interna de la fe con su centro en el misterio pascual. Sin embargo, por él y por su manera de creer, ha sucedido algo nuevo: Francisco ha descubierto la humanidad de Jesús con una profundidad completamente nueva. Este ser hombre por parte de Dios se le hizo del todo evidente en el momento en que el Hijo de Dios, nacido de la Virgen María, fue envuelto en pañales y acostado en un pesebre. La resurrección presupone la encarnación. El Hijo de Dios como niño, como un verdadero hijo de hombre, es lo que conmovió profundamente el corazón del Santo de Asís, transformando la fe en amor. «Ha aparecido la bondad de Dios y su amor al hombre»: esta frase de san Pablo adquiría así una hondura del todo nueva. En el niño en el establo de Belén, se puede, por decirlo así, tocar a Dios y acariciarlo. De este modo, el año litúrgico ha recibido un segundo centro en una fiesta que es, ante todo, una fiesta del corazón.

Todo eso no tiene nada de sensiblería. Precisamente en la nueva experiencia de la realidad de la humanidad de Jesús se revela el gran misterio de la fe. Francisco amaba a Jesús, al niño, porque en este ser niño se le hizo clara la humildad de Dios. Dios se ha hecho pobre. Su Hijo ha nacido en la pobreza del establo. En el niño Jesús, Dios se ha hecho dependiente, necesitado del amor de personas humanas, a las que ahora puede pedir su amor, nuestro amor. La Navidad se ha convertido hoy en una fiesta de los comercios, cuyas luces destellantes esconden el misterio de la humildad de Dios, que nos invita a la humildad y a la sencillez. Roguemos al Señor que nos ayude a atravesar con la mirada las fachadas deslumbrantes de este tiempo hasta encontrar detrás de ellas al niño en el establo de Belén, para descubrir así la verdadera alegría y la verdadera luz.

Francisco hacía celebrar la santa Eucaristía sobre el pesebre que estaba entre el buey y la mula (cf. 1 Celano, 85: Fonti, 469). Posteriormente, sobre este pesebre se construyó un altar para que, allí dónde un tiempo los animales comían paja, los hombres pudieran ahora recibir, para la salvación del alma y del cuerpo, la carne del Cordero inmaculado, Jesucristo, como relata Celano (cf. 1 Celano, 87: Fonti, 471). En la Noche santa de Greccio, Francisco cantaba personalmente en cuanto diácono con voz sonora el Evangelio de Navidad. Gracias a los espléndidos cantos navideños de los frailes, la celebración parecía toda una explosión de alegría (cf. 1 Celano, 85 y 86: Fonti, 469 y 470). Precisamente el encuentro con la humildad de Dios se transformaba en alegría: su bondad crea la verdadera fiesta.

Quien quiere entrar hoy en la iglesia de la Natividad de Jesús, en Belén, descubre que el portal, que un tiempo tenía cinco metros y medio de altura, y por el que los emperadores y los califas entraban al edificio, ha sido en gran parte tapiado. Ha quedado solamente una pequeña abertura de un metro y medio. La intención fue probablemente proteger mejor la iglesia contra eventuales asaltos pero, sobre todo, evitar que se entrara a caballo en la casa de Dios. Quien desea entrar en el lugar del nacimiento de Jesús, tiene que inclinarse. Me parece que en eso se manifiesta una cercanía más profunda, de la cual queremos dejarnos conmover en esta Noche santa: si queremos encontrar al Dios que ha aparecido como niño, hemos de apearnos del caballo de nuestra razón «ilustrada». Debemos deponer nuestras falsas certezas, nuestra soberbia intelectual, que nos impide percibir la proximidad de Dios. Hemos de seguir el camino interior de san Francisco: el camino hacia esa extrema sencillez exterior e interior que hace al corazón capaz de ver. Debemos bajarnos, ir espiritualmente a pie, por decirlo así, para poder entrar por el portal de la fe y encontrar a Dios, que es diferente de nuestros prejuicios y nuestras opiniones: el Dios que se oculta en la humildad de un niño recién nacido. Celebremos así la liturgia de esta Noche santa y renunciemos a la obsesión por lo que es material, mensurable y tangible. Dejemos que nos haga sencillos ese Dios que se manifiesta al corazón que se ha hecho sencillo. Y pidamos también en esta hora ante todo por cuantos tienen que vivir la Navidad en la pobreza, en el dolor, en la condición de emigrantes, para que aparezca ante ellos un rayo de la bondad de Dios; para que les llegue a ellos y a nosotros esa bondad que Dios, con el nacimiento de su Hijo en el establo, ha querido traer al mundo. Amén.

[01849-04.01]

TRADUZIONE IN LINGUA PORTOGHESE

Amados irmãos e irmãs!

A leitura que ouvimos, tirada da Carta do Apóstolo São Paulo a Tito, começa solenemente com a palavra «apparuit», que encontramos de novo na leitura da Missa da Aurora: «apparuit – manifestou-se». Esta é uma palavra programática, escolhida pela Igreja para exprimir, resumidamente, a essência do Natal. Antes, os homens tinham falado e criado imagens humanas de Deus, das mais variadas formas; o próprio Deus falara de diversos modos aos homens (cf. Heb 1, 1: leitura da Missa do Dia). Agora, porém, aconteceu algo mais: Ele manifestou-Se, mostrou-Se, saiu da luz inacessível em que habita. Ele, em pessoa, veio para o meio de nós. Na Igreja antiga, esta era a grande alegria do Natal: Deus manifestou-Se. Já não é apenas uma ideia, nem algo que se há-de intuir a partir das palavras. Ele «manifestou-Se». Mas agora perguntamo-nos: Como Se manifestou? Ele verdadeiramente quem é? A este respeito, diz a leitura da Missa da Aurora: «Manifestaram-se a bondade de Deus (…) e o seu amor pelos homens» (Tt 3, 4). Para os homens do tempo pré-cristão – que, vendo os horrores e as contradições do mundo, temiam que o próprio Deus não fosse totalmente bom, mas pudesse, sem dúvida, ser também cruel e arbitrário –, esta era uma verdadeira «epifania», a grande luz que se nos manifestou: Deus é pura bondade. Ainda hoje há pessoas que, não conseguindo reconhecer a Deus na fé, se interrogam se a Força última que segura e sustenta o mundo seja verdadeiramente boa, ou então se o mal não seja tão poderoso e primordial como o bem e a beleza que, por breves instantes luminosos, se nos deparam no nosso cosmos. «Manifestaram-se a bondade de Deus (…) e o seu amor pelos homens»: eis a certeza nova e consoladora que nos é dada no Natal.

Na primeira das três leituras desta Missa de Natal, a liturgia cita um texto tirado do livro do Profeta Isaías, que descreve, de forma ainda mais concreta, a epifania que se verificou no Natal: «Um Menino nasceu para nós, um filho nos foi concedido. Tem o poder sobre os ombros, e dão-lhe o seguinte nome: "Conselheiro admirável! Deus valoroso! Pai para sempre! Príncipe da Paz!" O poder será engrandecido numa paz sem fim» (Is 9, 5-6). Não sabemos se o profeta, ao falar assim, tenha em mente um menino concreto nascido no seu período histórico. Mas isso parece ser impossível. Trata-se do único texto no Antigo Testamento, onde de um menino, de um ser humano, se diz: o seu nome será Deus valoroso, Pai para sempre. Estamos perante uma visão que se estende muito para além daquele momento histórico apontando para algo misterioso, colocado no futuro. Um menino, em toda a sua fragilidade, é Deus valoroso; um menino, em toda a sua indigência e dependência, é Pai para sempre. E isto «numa paz sem fim». Antes, o profeta falara duma espécie de «grande luz» e, a propósito da paz dimanada d’Ele, afirmara que o bastão do opressor, o calçado ruidoso da guerra, toda a veste manchada de sangue seriam lançados ao fogo (cf. Is 9, 1.3-4).

Deus manifestou-Se… como menino. É precisamente assim que Ele Se contrapõe a toda a violência e traz uma mensagem de paz. Neste tempo, em que o mundo está continuamente ameaçado pela violência em tantos lugares e de muitos modos, em que não cessam de reaparecer bastões do opressor e vestes manchadas de sangue, clamamos ao Senhor: Vós, o Deus forte, manifestastes-Vos como menino e mostrastes-Vos a nós como Aquele que nos ama e por meio de quem o amor há-de triunfar. Fizestes-nos compreender que, unidos convosco, devemos ser artífices de paz. Amamos o vosso ser menino, a vossa não-violência, mas sofremos pelo facto de perdurar no mundo a violência, levando-nos a rezar assim: Demonstrai a vossa força, ó Deus. Fazei que, neste nosso tempo e neste nosso mundo, sejam queimados os bastões do opressor, as vestes manchadas de sangue e o calçado ruidoso da guerra, de tal modo que a vossa paz triunfe neste nosso mundo.

Natal é epifania: a manifestação de Deus e da sua grande luz num menino que nasceu para nós. Nascido no estábulo de Belém, não nos palácios do rei. Em 1223, quando Francisco de Assis celebrou em Greccio o Natal com um boi, um jumento e uma manjedoura cheia de feno, tornou-se visível uma nova dimensão do mistério do Natal. Francisco de Assis designou o Natal como «a festa das festas» – mais do que todas as outras solenidades – e celebrou-a com «solicitude inefável» (2 Celano, 199: Fontes Franciscanas, 787). Beijava, com grande devoção, as imagens do menino e balbuciava-lhes palavras de ternura como se faz com os meninos – refere Tomás de Celano (ibidem). Para a Igreja antiga, a festa das festas era a Páscoa: na ressurreição, Cristo arrombara as portas da morte, e assim mudou radicalmente o mundo: criara para o homem um lugar no próprio Deus. Pois bem! Francisco não mudou, nem quis mudar, esta hierarquia objectiva das festas, a estrutura interior da fé com o seu centro no mistério pascal. Mas, graças a Francisco e ao seu modo de crer, aconteceu algo de novo: ele descobriu, numa profundidade totalmente nova, a humanidade de Jesus. Este facto de Deus ser homem resultou-lhe evidente ao máximo, no momento em que o Filho de Deus, nascido da Virgem Maria, foi envolvido em panos e colocado numa manjedoura. A ressurreição pressupõe a encarnação. O Filho de Deus visto como menino, como verdadeiro filho de homem: isto tocou profundamente o coração do Santo de Assis, transformando a fé em amor. «Manifestaram-se a bondade de Deus e o seu amor pelos homens»: esta frase de São Paulo adquiria assim uma profundidade totalmente nova. No menino do estábulo de Belém, pode-se, por assim dizer, tocar Deus e acarinhá-Lo. E o Ano Litúrgico ganhou assim um segundo centro numa festa que é, antes de mais nada, uma festa do coração.

Tudo isto não tem nada de sentimentalismo. É precisamente na nova experiência da realidade da humanidade de Jesus que se revela o grande mistério da fé. Francisco amava Jesus menino, porque, neste ser menino, tornou-se-lhe clara a humildade de Deus. Deus tornou-Se pobre. O seu Filho nasceu na pobreza do estábulo. No menino Jesus, Deus fez-Se dependente, necessitado do amor de pessoas humanas, reduzido à condição de pedir o seu, o nosso, amor. Hoje, o Natal tornou-se uma festa dos negócios, cujo fulgor ofuscante esconde o mistério da humildade de Deus, que nos convida à humildade e à simplicidade. Peçamos ao Senhor que nos ajude a alongar o olhar para além das fachadas lampejantes deste tempo a fim de podermos encontrar o menino no estábulo de Belém e, assim, descobrimos a autêntica alegria e a verdadeira luz.

Francisco fazia celebrar a santíssima Eucaristia, sobre a manjedoura que estava colocada entre o boi e o jumento (cf. 1 Celano, 85: Fontes, 469). Depois, sobre esta manjedoura, construiu-se um altar para que, onde outrora os animais comeram o feno, os homens pudessem agora receber, para a salvação da alma e do corpo, a carne do Cordeiro imaculado – Jesus Cristo –, como narra Celano (cf. 1 Celano, 87: Fontes, 471). Na Noite santa de Greccio, Francisco – como diácono que era – cantara, pessoalmente e com voz sonora, o Evangelho do Natal. E toda a celebração parecia uma exultação contínua de alegria, graças aos magníficos cânticos natalícios dos Frades (cf. 1 Celano, 85 e 86: Fontes, 469 e 470). Era precisamente o encontro com a humildade de Deus que se transformava em júbilo: a sua bondade gera a verdadeira festa.

Hoje, quem entra na igreja da Natividade de Jesus em Belém dá-se conta de que o portal de outrora com cinco metros e meio de altura, por onde entravam no edifício os imperadores e os califas, foi em grande parte tapado, tendo ficado apenas uma entrada com metro e meio de altura. Provavelmente isso foi feito com a intenção de proteger melhor a igreja contra eventuais assaltos, mas sobretudo para evitar que se entrasse a cavalo na casa de Deus. Quem deseja entrar no lugar do nascimento de Jesus deve inclinar-se. Parece-me que nisto se encerra uma verdade mais profunda, pela qual nos queremos deixar tocar nesta noite santa: se quisermos encontrar Deus manifestado como menino, então devemos descer do cavalo da nossa razão «iluminada». Devemos depor as nossas falsas certezas, a nossa soberba intelectual, que nos impede de perceber a proximidade de Deus. Devemos seguir o caminho interior de São Francisco: o caminho rumo àquela extrema simplicidade exterior e interior que torna o coração capaz de ver. Devemos inclinar-nos, caminhar espiritualmente por assim dizer a pé, para podermos entrar pelo portal da fé e encontrar o Deus que é diverso dos nossos preconceitos e das nossas opiniões: o Deus que Se esconde na humildade dum menino acabado de nascer. Celebremos assim a liturgia desta Noite santa, renunciando a fixarmo-nos no que é material, mensurável e palpável. Deixemo-nos fazer simples por aquele Deus que Se manifesta ao coração que se tornou simples. E nesta hora rezemos também e sobretudo por todos aqueles que são obrigados a viver o Natal na pobreza, no sofrimento, na condição de emigrante, pedindo que se lhes manifeste a bondade de Deus no seu esplendor, que nos toque a todos, a eles e a nós, aquela bondade que Deus quis, com o nascimento de seu Filho no estábulo, trazer ao mundo. Amen.

[01849-06.01]

TRADUZIONE IN LINGUA POLACCA

Drodzy bracia i siostry,

Usłyszane właśnie czytanie zaczerpnięte z Listu świętego Pawła Apostoła do Tytusa rozpoczyna się uroczyście słowem „apparuit", które powraca na nowo także w czytaniu Mszy św. o świcie: „apparuit" - „ukazał się". Jest to słowo programowe, którym Kościół w sposób sumaryczny pragnie wyrazić istotę Bożego Narodzenia. Wcześniej ludzie mówili i tworzyli ludzkie obrazy Boga na wiele sposobów. Sam Bóg na różne sposoby przemawiał do ludzi (por. Hbr 1,1 – czytanie Mszy św. w dzień). Teraz jednak wydarzyło się coś więcej: On się ukazał. Odsłonił siebie. Wyszedł z niedostępnego światła, w którym przebywa. On sam przyszedł pomiędzy nas. Była to dla starożytnego Kościoła wielka radość Bożego Narodzenia: Bóg się ukazał. Nie jest już dłużej jedynie jakąś ideą, nie tylko czymś, co trzeba przeczuć wychodząc od słów. On się „ukazał". Ale pytamy się teraz: Jak się ukazał? Kim On jest naprawdę? Czytanie Mszy św. o świcie mówi o tym: „ukazała się dobroć i miłość ... naszego Boga, do ludzi" (Tt 3,4). Dla ludzi czasów przedchrześcijańskich, którzy w obliczu okropności i przeciwieństwa świata obawiali się, że także Bóg nie jest do końca dobry, ale mógłby być niewątpliwie także okrutny i despotyczny, była to prawdziwa „epifania"- objawienie, wielkie światło, które się pojawiło: Bóg jest czystym dobrem. Także dzisiaj, ludzie, którzy nie potrafią już rozpoznać Boga w wierze, zastanawiają się, czy ostateczna moc stojąca u podstaw i podtrzymująca świat jest rzeczywiście dobra, czy też zło nie jest tak samo potężne i pierwotne jak dobro i piękno, które w jasnych chwilach spotykamy w naszym wszechświecie. „Ukazała się dobroć i miłość ... naszego Boga, do ludzi": to jest nowa i pocieszająca pewność, jaka jest nam dana na Boże Narodzenie.

We wszystkich trzech Mszach św. Bożego Narodzenia liturgia cytuje fragment księgi proroka Izajasza, który opisuje bardziej konkretnie epifanię jaka dokonuje się na Boże Narodzenie: „Dziecię nam się narodziło, Syn został nam dany, na Jego barkach spoczęła władza. Nazwano Go imieniem: Przedziwny Doradca, Bóg Mocny, Odwieczny Ojciec, Książę Pokoju. Wielkie będzie Jego panowanie w pokoju bez granic (Iz 9,5 n). Nie wiemy, czy prorok przez to słowo myślał o jakimś dziecku narodzonym w jego epoce. Wydaje to się jednak niemożliwe. Jest to jedyny tekst w Starym Testamencie, w którym mówi się o jakimś dziecku, o istocie ludzkiej: Jego imieniem będzie Bóg Mocny, Odwieczny Ojciec. Stoimy w obliczu wizji, która znacznie wykracza poza moment historyczny ku temu, co jest tajemnicze, umiejscowionemu w przyszłości. Dziecko, w całej swojej słabości jest Bogiem Mocnym. Dziecko, w całym swoim ubóstwie i zależności, jest Odwiecznym Ojcem. „A pokój nie będzie miał granic". Prorok mówił o Nim wcześniej jako o „wielkiej światłości", a o pochodzącym od Niego pokoju stwierdzał, że zostaną spalone pręt ciemięzcy, każdy stukający but maszerującego żołnierza, wszelki płaszcz zbroczony krwią (por. Iz 9, 1.3-4).

Bóg się ukazał - jako dziecko. Właśnie ten sposób przeciwstawia się On wszelkiej przemocy i przynosi orędzie, które jest pokojem. W tym momencie, w którym świat jest nieustannie zagrożony przemocą w wielu miejscach i na różne sposoby; w którym są coraz to nowe pręty ciemięzcy i płaszcze zbroczone krwią wołamy do Pana: Ty, Boże Mocny ukazałeś się jako dziecko i odsłoniłeś nam siebie jako Ten, który nas miłuje i poprzez którego miłość zwycięży. Uzmysłowiłeś nam, że wraz z Tobą powinniśmy być twórcami pokoju. Kochamy to, że jesteś Dzieckiem, Twoją rezygnację z przemocy, ale cierpimy z faktu, że przemoc utrzymuje się w świecie, i dlatego prosimy Ciebie także: Boże, okaż Swoją moc. W tym czasie i w tym świecie spraw, aby zostały spalone pręty ciemięzcy, płaszcze zbroczone krwią i stukające buty żołnierzy, tak aby Twój pokój zwyciężył w tym naszym świecie.

Boże Narodzenie to epifania - objawienie Boga i Jego wielkiego światła w dziecku, które dla nas się narodziło. Urodzony w stajence w Betlejem, a nie w pałacach królewskich. Kiedy w roku 1223 Franciszek z Asyżu obchodził Boże Narodzenie w Greccio z wołem i osłem oraz żłobem pełnym siana, widoczny stał się nowy wymiar tajemnicy Bożego Narodzenia. Franciszek z Asyżu nazwał Boże Narodzenie „świętem nad świętami" – większym od wszystkich innych uroczystości – i obchodził je z „niewysłowionym zapałem" (2 Celano, 199: Fonti Francescane, 787). Z wielką pobożnością całował obrazy Dzieciątka i jak opowiada Tomasz z Celano (tamże) współczucie z Dzieciątkiem, rozlane w jego sercu, kazało mu słodko szczebiotać, jak to czynią małe dzieci. Dla starożytnego Kościoła świętem nad świętami była Pascha: w Zmartwychwstaniu, Chrystus złamał bramy śmierci i tak radykalnie zmieniły świat: stworzył dla człowieka miejsce w samym Bogu. Tak więc Franciszek nie zmienił, nie chciał zmienić tej obiektywnej hierarchii świąt, wewnętrznej struktury wiary koncentrującej się na tajemnicy paschalnej. Tym niemniej poprzez niego i przez jego sposób wiary wydarzyło się coś nowego: Franciszek odkrył w całkowicie nowej głębi człowieczeństwo Jezusa. To człowieczeństwo Boga jawiło się jemu najbardziej oczywiste w chwili, w której Syn Boży, zrodzony z Dziewicy Maryi był owinięty w pieluszki i złożony w żłobie. Zmartwychwstanie zakłada wcielenie. Syn Boży jako dziecko, jako prawdziwy syn człowieczy - to poruszyło głęboko serce świętego z Asyżu, przemieniając wiarę w miłość. „Ukazała się dobroć i miłość ... naszego Boga, do ludzi": to zdanie św. Pawła zyskiwało w ten sposób zupełnie nową głębię. W Dzieciątku złożonym w Betlejemskim żłóbku można, że tak powiem dotknąć Boga i obdarzyć Go pieszczotą. W ten sposób rok liturgiczny otrzymał nowe centrum w święcie, które jest nade wszystko świętem serca.

Wszystko to nie ma nic do sentymentalizmu. Właśnie w nowym doświadczeniu rzeczywistości człowieczeństwa Jezusa objawia się wielka tajemnica wiary. Franciszek kochał Jezusa, Dzieciątko, dlatego że w tym byciu dzieckiem jasną stawała się pokora Boga. Bóg stał się ubogim. Jego Syn urodził się w ubóstwie żłóbka. W Dzieciątku Jezus, Bóg stał się zależnym, potrzebującym miłości ludzi, proszącym o ich – naszą miłość. Dziś Boże Narodzenie stało się świętem sklepów, których olśniewający blask zasłania tajemnicę pokory Boga, wzywającej nas do pokory i prostoty. Prośmy Pana, aby pomógł nam przeniknąć wzrokiem błyszczące fasady tego czasu, aby za nimi znaleźć Dzieciątko w Betlejemskim żłóbku, aby w ten sposób odkryć prawdziwą radość i prawdziwe światło.

W żłobie, który stał pomiędzy wołem a osłem, Franciszek kazał sprawować Świętą Eucharystię (por. 1 Celano, 85: Fonti, 469). Następnie, nad tym żłóbkiem został zbudowany ołtarz, aby tam, gdzie niegdyś zwierzęta jadły siano ludzie ku zdrowiu duszy i ciała pożywali Ciało niepokalanego i nieskalanego baranka Jezusa Chrystusa jak opowiada Celano (por. 1 Celano, 87: Fonti, 471). W Świętą Noc w Greccio Franciszek jako diakon donośnym głosem śpiewał Ewangelię o Bożym Narodzeniu. Dzięki wykonywanym przez braci wspaniałym śpiewom kolęd uroczystość rozbrzmiewała okrzykami wesela (por. 1 Celano, 85 i 86:. Fonti, 469 i 470). Właśnie spotkanie z pokorą Boga przekształcała się w radość: Jego dobroć tworzy prawdziwe święto.

Ten, kto chce dziś wejść do kościoła Narodzenia Pańskiego w Betlejem, odkrywa, że portal, który niegdyś miał pięć i pół stopy wysokości, i poprzez który cesarze i kalifowie wkraczali do budynku został w znacznej części zamurowany. Pozostał tylko mały otwór na półtora metra. Chodziło prawdopodobnie o to, aby lepiej chronić kościół przed wszelkim atakiem, ale przede wszystkim, aby zapobiec, aby ktokolwiek wkraczał na koniu do domu Bożego. Ten kto chce wejść do domu Bożego w miejscu narodzin Jezusa, musi się pochylić. Wydaje mi się, że przejawia się w tym głębsza prawda, która chcemy, by nas poruszyła w tę Świętą Noc: jeśli chcemy znaleźć Boga, który ukazał się jako dziecko, to musimy zstąpić z konia naszego „oświeconego" rozumu. Musimy porzucić nasze fałszywe pewności, naszą intelektualną pychę, która uniemożliwia nam dostrzeżenie bliskości Boga. Musimy podążać drogą wewnętrzną świętego Franciszka – drogą ku tej ogromnej prostocie zewnętrznej i wewnętrznej, która czyni serce zdolnym do widzenia. Musimy się schylić, by tak rzec iść duchowo pieszo, aby móc wejść poprzez portal wiary i spotkać Boga, który jest różny od naszych przesądów i naszych opinii: Bogiem, który się ukrywa w pokorze dopiero co narodzonego dziecka. Sprawujmy w ten sposób liturgię tej Świętej Nocy i przestańmy koncentrować się na tym, co jest materialne, wymierne i namacalne. Pozwólmy, aby uczynił nas prostymi ten Bóg, który się objawia sercu, które stało się proste. I modlimy się w tej godzinie przede wszystkim także za tych wszystkich, którzy muszą spędzić Boże Narodzenie w ubóstwie, w smutku, jako migranci, aby pojawił się im promień dobroci Boga; aby poruszyła ich i nas ta dobroć, jaką Bóg wraz z narodzinami Swego Syna w żłobie zechciał przynieść na świat. Amen.

[01849-09.01]

[B0768-XX.02]