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UDIENZA DEL SANTO PADRE ALLA CURIA ROMANA IN OCCASIONE DELLA PRESENTAZIONE DEGLI AUGURI NATALIZI, 22.12.2011


Alle ore 11 di questa mattina, nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Benedetto XVI riceve in Udienza i Cardinali, i membri della Curia Romana e del Governatorato per la presentazione degli auguri natalizi.
Nel corso dell’incontro, dopo l’indirizzo di omaggio al Santo Padre del Cardinale Angelo Sodano, Decano del Collegio Cardinalizio, il Papa rivolge ai presenti il discorso che riportiamo di seguito:

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Signori Cardinali,
venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Presbiterato,
cari fratelli e sorelle!

È sempre un momento particolarmente intenso quello che viviamo oggi. Il Santo Natale è ormai vicino e spinge anche la grande famiglia della Curia Romana a ritrovarsi insieme per compiere il bel gesto dello scambio degli auguri, che contengono l’auspicio reciproco di vivere con gioia e vero frutto spirituale la festa di Dio che si è fatto carne e ha posto la sua dimora in mezzo a noi (cfr Gv 1,14). Per me questa è l’occasione non solo per porgervi il mio personale augurio, ma anche per esprimere a ciascuno di voi il ringraziamento mio e della Chiesa per il vostro generoso servizio; vi prego di trasmetterlo anche a tutti i collaboratori della nostra grande famiglia. Un grazie particolare lo rivolgo al Cardinale Decano Angelo Sodano, che si è fatto interprete dei sentimenti dei presenti e di quanti lavorano nei differenti Uffici della Curia, del Governatorato, compresi quelli che svolgono il loro ministero nelle Rappresentanze Pontificie sparse in tutto il mondo. Tutti siamo impegnati affinché l’annuncio che gli angeli hanno proclamato nella notte di Betlemme, "Gloria a Dio nel più alto dei cieli, e sulla terra pace agli uomini, che egli ama" (Lc 2,14), risuoni in tutta la terra per portare gioia e speranza.

Alla fine dell’anno, l’Europa si trova in una crisi economica e finanziaria che, in ultima analisi, si fonda sulla crisi etica che minaccia il Vecchio Continente. Anche se valori come la solidarietà, l’impegno per gli altri, la responsabilità per i poveri e i sofferenti sono in gran parte indiscussi, manca spesso la forza motivante, capace di indurre il singolo e i grandi gruppi sociali a rinunce e sacrifici. La conoscenza e la volontà non vanno necessariamente di pari passo. La volontà che difende l’interesse personale oscura la conoscenza e la conoscenza indebolita non è in grado di rinfrancare la volontà. Perciò, da questa crisi emergono domande molto fondamentali: dove è la luce che possa illuminare la nostra conoscenza non soltanto di idee generali, ma di imperativi concreti? Dove è la forza che solleva in alto la nostra volontà? Sono domande alle quali il nostro annuncio del Vangelo, la nuova evangelizzazione, deve rispondere, affinché il messaggio diventi avvenimento, l’annuncio diventi vita.

La grande tematica di quest’anno come anche degli anni futuri è in effetti: come annunciare oggi il Vangelo? In che modo la fede, quale forza viva e vitale, può oggi diventare realtà? Gli avvenimenti ecclesiali dell’anno che sta per concludersi sono stati, in definitiva, tutti riferiti a questo tema. Ci sono stati viaggi in Croazia, in Spagna per la Giornata Mondiale della Gioventù, nella mia Patria, la Germania, e infine in Africa – Benin – per la consegna del Documento postsinodale su giustizia, pace e riconciliazione – un documento dal quale deve nascere una realtà concreta nelle varie Chiese particolari. Sono indimenticabili anche i viaggi a Venezia, a San Marino, ad Ancona per il Congresso eucaristico e in Calabria. E c’è stata, infine, l’importante giornata dell’incontro tra le religioni e tra le persone in ricerca di verità e di pace in Assisi – giornata concepita come un nuovo slancio nel pellegrinaggio verso la verità e la pace. L’istituzione del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione è, al contempo, un rimando in anticipo al Sinodo sullo stesso tema che avrà luogo nel prossimo anno. Rientra in tale contesto anche l’Anno della Fede nel ricordo dell’inizio del Concilio cinquant’anni fa. Ciascuno di questi eventi ha avuto le proprie accentuazioni. In Germania, il Paese d’origine della Riforma, naturalmente, la questione ecumenica con tutte le sue fatiche e speranze ha avuto un’importanza particolare. Inscindibilmente legata ad essa, sta sempre di nuovo al centro delle dispute la domanda: che cosa è una riforma della Chiesa? Come avviene? Quali sono le sue vie e i suoi obiettivi? Con preoccupazione, non soltanto fedeli credenti, ma anche estranei osservano come le persone che vanno regolarmente in chiesa diventino sempre più anziane e il loro numero diminuisca continuamente; come ci sia una stagnazione nelle vocazioni al sacerdozio; come crescano scetticismo e incredulità. Che cosa, dunque, dobbiamo fare? Esistono infinite discussioni sul da farsi perché si abbia un’inversione di tendenza. E certamente occorre fare tante cose. Ma il fare da solo non risolve il problema. Il nocciolo della crisi della Chiesa in Europa è la crisi della fede. Se ad essa non troviamo una risposta, se la fede non riprende vitalità, diventando una profonda convinzione ed una forza reale grazie all’incontro con Gesù Cristo, tutte le altre riforme rimarranno inefficaci.

In questo senso, l’incontro in Africa con la gioiosa passione per la fede è stato un grande incoraggiamento. Lì non si percepiva alcun cenno di quella stanchezza della fede, tra noi così diffusa, niente di quel tedio dell’essere cristiani da noi sempre nuovamente percepibile. Con tutti i problemi, tutte le sofferenze e pene che certamente proprio in Africa vi sono, si sperimentava tuttavia sempre la gioia di essere cristiani, l’essere sostenuti dalla felicità interiore di conoscere Cristo e di appartenere alla sua Chiesa. Da questa gioia nascono anche le energie per servire Cristo nelle situazioni opprimenti di sofferenza umana, per mettersi a sua disposizione, senza ripiegarsi sul proprio benessere. Incontrare questa fede pronta al sacrificio, e proprio in ciò gioiosa, è una grande medicina contro la stanchezza dell’essere cristiani che sperimentiamo in Europa.

Una medicina contro la stanchezza del credere è stata anche la magnifica esperienza della Giornata Mondiale della Gioventù a Madrid. È stata una nuova evangelizzazione vissuta. Sempre più chiaramente si delinea nelle Giornate Mondiali della Gioventù un modo nuovo, ringiovanito, dell’essere cristiani che vorrei tentare di caratterizzare in cinque punti.

1. C’è come prima cosa una nuova esperienza della cattolicità, dell’universalità della Chiesa. È questo che ha colpito in modo molto immediato i giovani e tutti i presenti: proveniamo da tutti i continenti, e, pur non essendoci mai visti prima, ci conosciamo. Parliamo lingue diverse e abbiamo differenti abitudini di vita, differenti forme culturali, e tuttavia ci troviamo subito uniti insieme come una grande famiglia. Separazione e diversità esteriori sono relativizzate. Siamo tutti toccati dall’unico Signore Gesù Cristo, nel quale si è manifestato a noi il vero essere dell’uomo e, insieme, il Volto stesso di Dio. Le nostre preghiere sono le stesse. In virtù dello stesso incontro interiore con Gesù Cristo abbiamo ricevuto nel nostro intimo la stessa formazione della ragione, della volontà e del cuore. E, infine, la comune liturgia costituisce una sorta di patria del cuore e ci unisce in una grande famiglia. Il fatto che tutti gli esseri umani sono fratelli e sorelle è qui non soltanto un’idea, ma diventa una reale esperienza comune che crea gioia. E così abbiamo compreso anche in modo molto concreto che, nonostante tutte le fatiche e le oscurità, è bello appartenere alla Chiesa universale, alla Chiesa cattolica, che il Signore ci ha donato.

2. Da questo nasce poi un nuovo modo di vivere l’essere uomini, l’essere cristiani. Una delle esperienze più importanti di quei giorni è stata per me l’incontro con i volontari della Giornata Mondiale della Gioventù: erano circa 20.000 giovani che, senza eccezione, avevano messo a disposizione settimane o mesi della loro vita per collaborare alle preparazioni tecniche, organizzative e contenutistiche della Giornata Mondiale della Gioventù e proprio così avevano reso possibile lo svolgimento ordinato del tutto. Con il proprio tempo l’uomo dona sempre una parte della propria vita. Alla fine, questi giovani erano visibilmente e "tangibilmente" colmi di una grande sensazione di felicità: il loro tempo donato aveva un senso; proprio nel donare il loro tempo e la loro forza lavorativa avevano trovato il tempo, la vita. E allora per me è diventata evidente una cosa fondamentale: questi giovani avevano offerto nella fede un pezzo di vita, non perché questo era stato comandato e non perché con questo ci si guadagna il cielo; neppure perché così si sfugge al pericolo dell’inferno. Non l’avevano fatto perché volevano essere perfetti. Non guardavano indietro, a se stessi. Mi è venuta in mente l’immagine della moglie di Lot che, guardando indietro, divenne una statua di sale. Quante volte la vita dei cristiani è caratterizzata dal fatto che guardano soprattutto a se stessi, fanno il bene, per così dire, per se stessi! E quanto è grande la tentazione per tutti gli uomini di essere preoccupati anzitutto di se stessi, di guardare indietro a se stessi, diventando così interiormente vuoti, "statue di sale"! Qui invece non si trattava di perfezionare se stessi o di voler avere la propria vita per se stessi. Questi giovani hanno fatto del bene – anche se quel fare è stato pesante, anche se ha richiesto sacrifici –, semplicemente perché fare il bene è bello, esserci per gli altri è bello. Occorre soltanto osare il salto. Tutto ciò è preceduto dall’incontro con Gesù Cristo, un incontro che accende in noi l’amore per Dio e per gli altri e ci libera dalla ricerca del nostro proprio "io". Una preghiera attribuita a san Francesco Saverio dice: Faccio il bene non perché in cambio entrerò in cielo e neppure perché altrimenti mi potresti mandare all’inferno. Lo faccio, perché Tu sei Tu, il mio Re e mio Signore. Questo stesso atteggiamento l’ho incontrato anche in Africa, ad esempio nelle suore di Madre Teresa che si prodigano per i bambini abbandonati, malati, poveri e sofferenti, senza porsi domande su se stesse, e proprio così diventano interiormente ricche e libere. È questo l’atteggiamento propriamente cristiano. Indimenticabile rimane per me anche l’incontro con i giovani disabili nella fondazione di San José in Madrid, dove nuovamente ho incontrato la stessa generosità di mettersi a disposizione degli altri – una generosità del darsi, che, in definitiva, nasce dall’incontro con Cristo che ha dato se stesso per noi.

3. Un terzo elemento, che in modo sempre più naturale e centrale fa parte delle Giornate Mondiali della Gioventù e della spiritualità da esse proveniente, è l’adorazione. Rimane indimenticabile per me il momento durante il mio viaggio nel Regno Unito, quando, in Hydepark, decine di migliaia di persone, in maggioranza giovani, hanno risposto con un intenso silenzio alla presenza del Signore nel Santissimo Sacramento, adorandolo. La stessa cosa è avvenuta, in misura più ridotta, a Zagabria e, di nuovo, a Madrid dopo il temporale che minacciava di guastare l’insieme dell’incontro notturno, a causa del mancato funzionamento dei microfoni. Dio è onnipresente, sì. Ma la presenza corporea del Cristo risorto è ancora qualcosa d’altro, è qualcosa di nuovo. Il Risorto entra in mezzo a noi. E allora non possiamo che dire con l’apostolo Tommaso: Mio Signore e mio Dio! L’adorazione è anzitutto un atto di fede – l’atto di fede come tale. Dio non è una qualsiasi possibile o impossibile ipotesi sull’origine dell’universo. Egli è lì. E se Egli è presente, io mi inchino davanti a Lui. Allora, ragione, volontà e cuore si aprono verso di Lui, a partire da Lui. In Cristo risorto è presente il Dio fattosi uomo, che ha sofferto per noi perché ci ama. Entriamo in questa certezza dell’amore corporeo di Dio per noi, e lo facciamo amando con Lui. Questo è adorazione, e questo dà poi un’impronta alla mia vita. Solo così posso anche celebrare l’Eucaristia in modo giusto e ricevere rettamente il Corpo del Signore.

4. Un altro elemento importante delle Giornate Mondiali della Gioventù è la presenza del Sacramento della Penitenza che appartiene con naturalezza sempre maggiore all’insieme. Con ciò riconosciamo che abbiamo continuamente bisogno di perdono e che perdono significa responsabilità. Proveniente dal Creatore, esiste nell’uomo la disponibilità ad amare e la capacità di rispondere a Dio nella fede. Ma proveniente dalla storia peccaminosa dell’uomo (la dottrina della Chiesa parla del peccato originale) esiste anche la tendenza contraria all’amore: la tendenza all’egoismo, al chiudersi in se stessi, anzi, la tendenza al male. Sempre di nuovo la mia anima viene insudiciata da questa forza di gravità in me, che mi attira verso il basso. Perciò abbiamo bisogno dell’umiltà che sempre nuovamente chiede perdono a Dio; che si lascia purificare e che ridesta in noi la forza contraria, la forza positiva del Creatore, che ci attira verso l’alto.

5. Infine, come ultima caratteristica da non trascurare nella spiritualità delle Giornate Mondiali della Gioventù vorrei menzionare la gioia. Da dove viene? Come la si spiega? Sicuramente sono molti i fattori che agiscono insieme. Ma quello decisivo è, secondo il mio parere, la certezza proveniente dalla fede: io sono voluto. Ho un compito nella storia. Sono accettato, sono amato. Josef Pieper, nel suo libro sull’amore, ha mostrato che l’uomo può accettare se stesso solo se è accettato da qualcun altro. Ha bisogno dell’esserci dell’altro che gli dice, non soltanto a parole: è bene che tu ci sia. Solo a partire da un "tu", l’"io" può trovare se stesso. Solo se è accettato, l’"io" può accettare se stesso. Chi non è amato non può neppure amare se stesso. Questo essere accolto viene anzitutto dall’altra persona. Ma ogni accoglienza umana è fragile. In fin dei conti abbiamo bisogno di un’accoglienza incondizionata. Solo se Dio mi accoglie e io ne divento sicuro, so definitivamente: è bene che io ci sia. È bene essere una persona umana. Dove viene meno la percezione dell’uomo di essere accolto da parte di Dio, di essere amato da Lui, la domanda se sia veramente bene esistere come persona umana non trova più alcuna risposta. Il dubbio circa l’esistenza umana diventa sempre più insuperabile. Laddove diventa dominante il dubbio riguardo a Dio, segue inevitabilmente il dubbio circa lo stesso essere uomini. Vediamo oggi come questo dubbio si diffonde. Lo vediamo nella mancanza di gioia, nella tristezza interiore che si può leggere su tanti volti umani. Solo la fede mi dà la certezza: è bene che io ci sia. È bene esistere come persona umana, anche in tempi difficili. La fede rende lieti a partire dal di dentro. È questa una delle esperienze meravigliose delle Giornate Mondiali della Gioventù.

Porterebbe troppo lontano parlare adesso in modo dettagliato anche dell’incontro di Assisi, così come meriterebbe l’importanza dell’avvenimento. Ringraziamo semplicemente Dio perché noi – rappresentanti delle religioni del mondo e anche rappresentanti del pensiero in ricerca della verità – abbiamo potuto incontrarci quel giorno in un clima di amicizia e di rispetto reciproco, nell’amore per la verità e nella comune responsabilità per la pace. Possiamo quindi sperare che da questo incontro sia nata una nuova disponibilità a servire la pace, la riconciliazione e la giustizia.

Infine, vorrei ringraziare di cuore tutti voi per il sostegno nel portare avanti la missione che il Signore ci ha affidato come testimoni della sua verità, e auguro a tutti voi la gioia che Dio, nell’incarnazione del suo Figlio, ha voluto donarci. Buon Natale a tutti voi! Grazie.

[01843-01.03] [Testo originale: Italiano]

TRADUZIONE IN LINGUA INGLESE

Dear Cardinals,
Brother Bishops and Priests,
Dear Brothers and Sisters,

The occasion that brings us together today is always particularly moving. The holy feast of Christmas is almost upon us and it prompts the great family of the Roman Curia to come together for a gracious exchange of greetings, as we wish one another a joyful and spiritually fruitful celebration of this feast of the God who became flesh and established his dwelling in our midst (cf. Jn 1:14). For me, this is an occasion not only to offer you my personal good wishes, but also to express my gratitude and that of the Church to each one of you for your generous service; I ask you to convey this to all the co-workers of our extended family. I offer particular thanks to the Dean of the College, Cardinal Angelo Sodano, who has given voice to the sentiments of all present and of all who work in the various offices of the Curia and the Governorate, including those whose apostolate is carried out in the Pontifical Representations throughout the world. All of us are committed to spreading throughout the world the resounding message that the angels proclaimed that night in Bethlehem, "Glory to God in the highest and on earth peace to people of good will" (Lk 2:14), so as to bring joy and hope to our world.

As this year draws to a close, Europe is undergoing an economic and financial crisis, which is ultimately based on the ethical crisis looming over the Old Continent. Even if such values as solidarity, commitment to one’s neighbour and responsibility towards the poor and suffering are largely uncontroversial, still the motivation is often lacking for individuals and large sectors of society to practise renunciation and make sacrifices. Perception and will do not necessarily go hand in hand. In defending personal interests, the will obscures perception, and perception thus weakened is unable to stiffen the will. In this sense, some quite fundamental questions emerge from this crisis: where is the light that is capable of illuminating our perception not merely with general ideas, but with concrete imperatives? Where is the force that draws the will upwards? These are questions that must be answered by our proclamation of the Gospel, by the new evangelization, so that message may become event, so that proclamation may lead to life.

The key theme of this year, and of the years ahead, is this: how do we proclaim the Gospel today? How can faith as a living force become a reality today? The ecclesial events of the outgoing year were all ultimately related to this theme. There were the journeys to Croatia, to the World Youth Day in Spain, to my home country of Germany, and finally to Africa – Benin – for the consignment of the Post-Synodal document on justice, peace and reconciliation, which should now lead to concrete results in the various local churches. Equally memorable were the journeys to Venice, to San Marino, to the Eucharistic Congress in Ancona, and to Calabria. And finally there was the important day of encounter in Assisi for religions and for people who in whatever way are searching for truth and peace, representing a new step forward in the pilgrimage towards truth and peace. The establishment of the Pontifical Council for the New Evangelization is at the same time a pointer towards next year’s Synod on the same theme. The Year of Faith, commemorating the beginning of the Council fifty years ago, also belongs in this context. Each of these events had its own particular characteristics. In Germany, where the Reformation began, the ecumenical question, with all its trials and hopes, naturally assumed particular importance. Intimately linked to this, at the focal point of the debate, the question that arises repeatedly is this: what is reform of the Church? How does it take place? What are its paths and its goals? Not only faithful believers but also outside observers are noticing with concern that regular churchgoers are growing older all the time and that their number is constantly diminishing; that recruitment of priests is stagnating; that scepticism and unbelief are growing. What, then, are we to do? There are endless debates over what must be done in order to reverse the trend. There is no doubt that a variety of things need to be done. But action alone fails to resolve the matter. The essence of the crisis of the Church in Europe is the crisis of faith. If we find no answer to this, if faith does not take on new life, deep conviction and real strength from the encounter with Jesus Christ, then all other reforms will remain ineffective.

On this point, the encounter with Africa’s joyful passion for faith brought great encouragement. None of the faith fatigue that is so prevalent here, none of the oft-encountered sense of having had enough of Christianity was detectable there. Amid all the problems, sufferings and trials that Africa clearly experiences, one could still sense the people’s joy in being Christian, buoyed up by inner happiness at knowing Christ and belonging to his Church. From this joy comes also the strength to serve Christ in hard-pressed situations of human suffering, the strength to put oneself at his disposal, without looking round for one’s own advantage. Encountering this faith that is so ready to sacrifice and so full of happiness is a powerful remedy against fatigue with Christianity such as we are experiencing in Europe today.

A further remedy against faith fatigue was the wonderful experience of World Youth Day in Madrid. This was new evangelization put into practice. Again and again at World Youth Days, a new, more youthful form of Christianity can be seen, something I would describe under five headings.

1. Firstly, there is a new experience of catholicity, of the Church’s universality. This is what struck the young people and all the participants quite directly: we come from every continent, but although we have never met one another, we know one another. We speak different languages, we have different ways of life and different cultural backgrounds, yet we are immediately united as one great family. Outward separation and difference is relativized. We are all moved by the one Lord Jesus Christ, in whom true humanity and at the same time the face of God himself is revealed to us. We pray in the same way. The same inner encounter with Jesus Christ has stamped us deep within with the same structure of intellect, will and heart. And finally, our common liturgy speaks to our hearts and unites us in a vast family. In this setting, to say that all humanity are brothers and sisters is not merely an idea: it becomes a real shared experience, generating joy. And so we have also understood quite concretely: despite all trials and times of darkness, it is a wonderful thing to belong to the worldwide Church, to the Catholic Church, that the Lord has given to us.

2. From this derives a new way of living our humanity, our Christianity. For me, one of the most important experiences of those days was the meeting with the World Youth Day volunteers: about 20,000 young people, all of whom devoted weeks or months of their lives to working on the technical, organizational and material preparations for World Youth Day, and thus made it possible for the whole event to run smoothly. Those who give their time always give a part of their lives. At the end of the day, these young people were visibly and tangibly filled with a great sense of happiness: the time that they gave up had meaning; in giving of their time and labour, they had found time, they had found life. And here something fundamental became clear to me: these young people had given a part of their lives in faith, not because it was asked of them, not in order to attain Heaven, nor in order to escape the danger of Hell. They did not do it in order to find fulfilment. They were not looking round for themselves. There came into my mind the image of Lot’s wife, who by looking round was turned into a pillar of salt. How often the life of Christians is determined by the fact that first and foremost they look out for themselves, they do good, so to speak, for themselves. And how great is the temptation of all people to be concerned primarily for themselves; to look round for themselves and in the process to become inwardly empty, to become "pillars of salt". But here it was not a matter of seeking fulfilment or wanting to live one’s life for oneself. These young people did good, even at a cost, even if it demanded sacrifice, simply because it is a wonderful thing to do good, to be there for others. All it needs is the courage to make the leap. Prior to all of this is the encounter with Jesus Christ, inflaming us with love for God and for others, and freeing us from seeking our own ego. In the words of a prayer attributed to Saint Francis Xavier: I do good, not that I may come to Heaven thereby and not because otherwise you could cast me into Hell. I do it because of you, my King and my Lord. I came across this same attitude in Africa too, for example among the Sisters of Mother Teresa, who devote themselves to abandoned, sick, poor and suffering children, without asking anything for themselves, thus becoming inwardly rich and free. This is the genuinely Christian attitude. Equally unforgettable for me was the encounter with handicapped young people in the Saint Joseph Centre in Madrid, where I encountered the same readiness to put oneself at the disposal of others – a readiness to give oneself that is ultimately derived from encounter with Christ, who gave himself for us.

3. A third element, that has an increasingly natural and central place in World Youth Days and in the spirituality that arises from them, is adoration. I still look back to that unforgettable moment during my visit to the United Kingdom, when tens of thousands of predominantly young people in Hyde Park responded in eloquent silence to the Lord’s sacramental presence, in adoration. The same thing happened again on a smaller scale in Zagreb and then again in Madrid, after the thunderstorm which almost ruined the whole night vigil through the failure of the microphones. God is indeed ever-present. But again, the physical presence of the risen Christ is something different, something new. The risen Lord enters into our midst. And then we can do no other than say, with Saint Thomas: my Lord and my God! Adoration is primarily an act of faith – the act of faith as such. God is not just some possible or impossible hypothesis concerning the origin of all things. He is present. And if he is present, then I bow down before him. Then my intellect and will and heart open up towards him and from him. In the risen Christ, the incarnate God is present, who suffered for us because he loves us. We enter this certainty of God’s tangible love for us with love in our own hearts. This is adoration, and this then determines my life. Only thus can I celebrate the Eucharist correctly and receive the body of the Lord rightly.

4. A further important element of the World Youth Days is the sacrament of Confession, which is increasingly coming to be seen as an integral part of the experience. Here we recognize that we need forgiveness over and over again, and that forgiveness brings responsibility. Openness to love is present in man, implanted in him by the Creator, together with the capacity to respond to God in faith. But also present, in consequence of man’s sinful history (Church teaching speaks of original sin) is the tendency that is opposed to love – the tendency towards selfishness, towards becoming closed in on oneself, in fact towards evil. Again and again my soul is tarnished by this downward gravitational pull that is present within me. Therefore we need the humility that constantly asks God for forgiveness, that seeks purification and awakens in us the counterforce, the positive force of the Creator, to draw us upwards.

5. Finally, I would like to speak of one last feature, not to be overlooked, of the spirituality of World Youth Days, namely joy. Where does it come from? How is it to be explained? Certainly, there are many factors at work here. But in my view, the crucial one is this certainty, based on faith: I am wanted; I have a task in history; I am accepted, I am loved. Josef Pieper, in his book on love, has shown that man can only accept himself if he is accepted by another. He needs the other’s presence, saying to him, with more than words: it is good that you exist. Only from the You can the I come into itself. Only if it is accepted, can it accept itself. Those who are unloved cannot even love themselves. This sense of being accepted comes in the first instance from other human beings. But all human acceptance is fragile. Ultimately we need a sense of being accepted unconditionally. Only if God accepts me, and I become convinced of this, do I know definitively: it is good that I exist. It is good to be a human being. If ever man’s sense of being accepted and loved by God is lost, then there is no longer any answer to the question whether to be a human being is good at all. Doubt concerning human existence becomes more and more insurmountable. Where doubt over God becomes prevalent, then doubt over humanity follows inevitably. We see today how widely this doubt is spreading. We see it in the joylessness, in the inner sadness, that can be read on so many human faces today. Only faith gives me the conviction: it is good that I exist. It is good to be a human being, even in hard times. Faith makes one happy from deep within. That is one of the wonderful experiences of World Youth Days.

It would take too long now to go into detail concerning the encounter in Assisi, as the significance of the event would warrant. Let us simply thank God, that as representatives of the world’s religions and as representatives of thinking in search of truth, we were able to meet that day in a climate of friendship and mutual respect, in love for the truth and in shared responsibility for peace. So let us hope that, from this encounter, a new willingness to serve peace, reconciliation and justice has emerged.

As I conclude, I would like to thank all of you from my heart for shouldering the common mission that the Lord has given us as witnesses to his truth, and I wish all of you the joy that God wanted to bestow upon us through the incarnation of his Son. A blessed Christmas to you all! Thank you.

[01843-02.02] [Original text: Italian]

TRADUZIONE IN LINGUA FRANCESE

Messieurs les Cardinaux,
Chers frères dans l’épiscopat et dans le sacerdoce,
Chers frères et sœurs,

C’est toujours un moment particulièrement intense que nous vivons aujourd’hui. Désormais Noël est proche et pousse aussi la grande famille de la Curie romaine à se retrouver pour accomplir ce beau geste de l’échange des vœux qui renferment le souhait réciproque de vivre dans la joie et avec un véritable fruit spirituel la fête de Dieu qui s’est fait chair et a établi sa demeure au milieu de nous (cf. Jn 1, 14). C’est pour moi l’occasion, non seulement de vous présenter mes vœux personnels, mais aussi d’exprimer à chacun de vous mes remerciements et ceux de l’Église pour votre service généreux ; je vous prie de les transmettre également à tous les collaborateurs de notre grande famille. Je remercie de façon particulière le Cardinal Doyen, Angelo Sodano, qui s’est fait l’interprète des sentiments de ceux qui sont présents et de ceux qui travaillent dans les différentes Bureaux de la Curie, du Gouvernatorat, y compris ceux qui accomplissent leur ministère dans les Représentations Pontificales disséminées dans le monde entier. Nous travaillons tous afin que l’annonce que les anges ont proclamé dans la nuit de Bethléem, « Gloire à Dieu au plus haut des cieux, et paix sur la terre aux hommes qu’il aime » (Lc 2, 14), retentisse sur toute la terre pour porter la joie et l’espérance.

À la fin de cette année, l’Europe connaît une crise économique et financière qui, en dernière analyse, se fonde sur la crise éthique qui menace le vieux continent. Même si des valeurs comme la solidarité, l’engagement pour les autres, la responsabilité envers les pauvres et ceux qui souffrent sont en général indiscutés, il manque souvent la force stimulante, capable d’inciter les personnes individuelles et les grands groupes sociaux à des renoncements et à des sacrifices. La connaissance et la volonté ne vont pas nécessairement de pair. La volonté qui défend l’intérêt personnel obscurcit la connaissance et la connaissance affaiblie n’est plus en mesure de revigorer la volonté. C’est pourquoi, de cette crise émergent des questions vraiment fondamentales : où est la lumière qui peut éclairer notre connaissance non seulement avec des idées générales, mais avec des impératifs concrets ? Où est la force qui élève notre volonté ? Ce sont des questions auxquelles notre annonce de l’Évangile, la nouvelle évangélisation, doit répondre, afin que le message devienne événement, que l’annonce devienne vie.

La grande thématique de cette année comme aussi des années à venir est en effet : comment annoncer l’Évangile aujourd’hui? De quelle manière la foi, force vive et vitale, peut-elle devenir aujourd’hui une réalité ? Les événements ecclésiaux de l’année qui est sur le point de se conclure, se rapportent tous, en fin de compte, à ce thème. Il y a eu des voyages en Croatie, en Espagne pour les Journées Mondiales de la Jeunesse, dans mon pays, l’Allemagne et, enfin, en Afrique, au Bénin, pour la remise du Document post-synodal sur la justice, la paix et la réconciliation, un document dont doit naître une réalité concrète dans les différentes Églises particulières. Les voyages à Venise, à Saint-Marin, à Ancône pour le Congrès eucharistique et en Calabre sont aussi inoubliables. Et, il y a eu enfin l’importante journée de rencontre entre les religions et entre les personnes en recherche de vérité et de paix, à Assise, journée conçue comme un nouvel élan dans le pèlerinage vers la vérité et la paix. L’institution du Conseil Pontifical pour la Promotion de la Nouvelle Évangélisation est en même temps un renvoi par avance au Synode sur le même thème qui aura lieu l’année prochaine. L’Année de la Foi, en mémoire du début du Concile, il y a cinquante ans, s’insère aussi dans ce contexte. Chacun de ces événements a eu ses propres accentuations. En Allemagne, le pays d’origine de la Réforme, la question œcuménique avec toutes ses difficultés et ses espérances a eu bien sûr une importance particulière. Inséparablement liée à celle-ci, revient toujours au centre de la discussion la question : Qu’est ce qu’une réforme de l’Église ? Comment arrive-t-elle ? Quelles sont ses chemins et ses objectifs ? Avec préoccupation, non seulement les croyants, mais aussi les personnes extérieures, observent que les personnes qui vont régulièrement à l’église deviennent toujours plus âgées et que leur nombre diminue continuellement ; qu’il y a une stagnation des vocations au sacerdoce ; que le scepticisme et l’incroyance augmentent. Que devenons donc faire ? Il y a des discussions sans fin sur ce qu’il faut faire pour inverser cette tendance. Et certainement, il faut faire beaucoup de choses ! Mais uniquement le faire ne résout pas le problème. Le centre de la crise de l’Église en Europe est la crise de la foi. Si nous ne trouvons pas une réponse à celle-ci, si la foi ne retrouve pas une nouvelle vitalité, en devenant une conviction profonde et une force réelle grâce à la rencontre de Jésus Christ, toutes les autres réformes resteront inefficaces.

En ce sens, la rencontre en Afrique avec sa joyeuse passion pour la foi a été un grand encouragement. Là ne se percevait aucun signe de cette fatigue de la foi, si répandue parmi nous, rien de cette lassitude de l’être chrétiens toujours à nouveau perceptible chez nous. Avec tous les problèmes, les souffrances et les peines qui assurément se rencontrent justement en Afrique, on expérimentait toujours la joie d’être chrétiens, le fait d’être soutenus par le bonheur intérieur de connaître le Christ et d’appartenir à son Église. De cette joie naissent aussi les énergies pour servir le Christ dans les situations opprimantes de souffrance humaine, pour se mettre à sa disposition sans se replier sur son propre bien-être. Rencontrer cette foi prête au sacrifice, et précisément en cela joyeuse, est un grand remède contre la fatigue du fait d’être chrétiens que nous expérimentons en Europe.

Un remède contre la fatigue de croire a été aussi la magnifique expérience des Journées Mondiales de la Jeunesse à Madrid. Cela a été une nouvelle évangélisation vécue. Dans les Journées Mondiales de la Jeunesse, se dessine toujours plus clairement une nouvelle manière, rajeunie, du fait d’être chrétiens que je voudrais tenter de caractériser en cinq points.

1. En premier lieu, il y a une nouvelle expérience de la catholicité, de l’universalité de l’Église. C’est ce qui a touché tout de suite les jeunes et tous ceux qui étaient présents : nous venons de tous les continents et même si nous ne nous étions jamais vus avant, nous nous connaissons. Nous parlons des langues diverses et nous avons des habitudes de vie différentes, des formes culturelles différentes, et pourtant, nous nous trouvons tout de suite unis ensemble comme une grande famille. Séparation et diversité extérieures sont relativisées. Nous sommes tous touchés par l’unique Seigneur Jésus Christ, dans lequel nous est manifesté l’être véritable de l’homme et, en même temps, le Visage même de Dieu. Nos prières sont les mêmes. En vertu de la même rencontre intérieure avec Jésus Christ, nous avons reçu dans notre être intime la même formation de la raison, de la volonté et du cœur. Et, enfin, la liturgie commune est comme une patrie du cœur et nous unit dans une grande famille. Le fait que tous les êtres humains sont frères et sœurs, est ici non seulement une idée, mais devient une réelle expérience commune qui crée la joie. Et ainsi, nous avons compris aussi très concrètement que, malgré toutes les peines et les obscurités, il est beau d’appartenir à l’Église universelle, à l’Église catholique, que le Seigneur nous a donnée.

2. De là provient une nouvelle manière de vivre le fait d’être hommes, le fait d’être chrétiens. Une des expériences les plus importantes de ces journées a été pour moi, la rencontre avec les volontaires des Journées Mondiales de la Jeunesse : ils étaient environ 20.000 jeunes qui, sans exception, avaient mis à disposition des semaines ou des mois de leur vie pour collaborer à la préparation technique et organisationnelle, et au contenu des Journées Mondiales de la Jeunesse. Ils avaient ainsi rendu possible le déroulement harmonieux de l’ensemble. Avec son temps, l’homme donne toujours une partie de sa vie. À la fin, ces jeunes étaient visiblement et « tangiblement » comblés d’une grande sensation de bonheur : leur temps donné avait un sens ; en donnant justement de leur temps et de leurs forces de travail, ils avaient trouvé le temps, la vie. Et alors, une chose fondamentale est devenue évidente pour moi : ces jeunes avaient offert dans la foi une partie de leur vie, non pas parce que cela a été commandé et non pas parce qu’avec cela on gagne le ciel ; non pas non plus parce qu’on échappe ainsi au péril de l’enfer. Ils ne l’avaient pas fait parce qu’ils voulaient être parfaits. Ils ne regardaient pas en arrière, vers eux-mêmes. Il m’est venu à l’esprit, l’image de la femme de Lot qui, regardant en arrière, devint une colonne de sel. Combien de fois la vie des Chrétiens est caractérisée par le fait qu’ils regardent surtout vers eux-mêmes, ils font le bien, pour ainsi dire, pour eux-mêmes ! Et combien est grande la tentation pour tous les hommes d’être préoccupés surtout d’eux-mêmes, de regarder en arrière vers eux-mêmes, devenant ainsi intérieurement vides, "des colonnes de sel"! Ici, au contraire il ne s’agissait pas de se perfectionner soi-même ou de vouloir avoir sa propre vie pour soi-même. Ces jeunes ont fait du bien – même si cela a été rude et a requis des sacrifices –, simplement parce que faire le bien est beau, être pour les autres est beau. Il suffit seulement d’oser faire le saut. Tout cela est précédé de la rencontre avec Jésus Christ, une rencontre qui allume en nous l’amour pour Dieu et pour les autres et nous libère de la recherche de notre propre "moi". Une prière attribuée à saint François Xavier dit : Je fais le bien non parce qu’en retour j’entrerai au ciel et non plus parce que tu pourrais m’envoyer en enfer. Je le fais, parce que Tu es Toi, mon Roi et mon Seigneur. J’ai rencontré cette même attitude aussi en Afrique, par exemple chez les sœurs de Mère Teresa qui se dépensent pour les enfants abandonnés, malades, pauvres et souffrants, sans se poser des questions sur elles-mêmes, et pour cela, elles deviennent intérieurement riches et libres. C’est cela l’attitude proprement chrétienne. Inoubliable pour moi demeure aussi la rencontre avec les jeunes handicapés à la fondation San José à Madrid, où j’ai rencontré à nouveau la même générosité à se mettre à la disposition des autres – une générosité du don de soi, qui, en définitive, naît de la rencontre avec le Christ qui s’est donné lui-même pour nous.

3. Un troisième élément qui, d’une manière toujours plus naturelle et centrale, fait partie des Journées Mondiales de la Jeunesse et de la spiritualité qui en découle, est l’adoration. Inoubliable, demeure pour moi le moment où, durant mon voyage au Royaume-Uni, dans Hydepark, des dizaines de milliers de personnes, en majorité des jeunes, ont répondu par un silence intense à la présence du Seigneur dans le Très Saint Sacrement, en l’adorant. La même chose est arrivée, dans une moindre mesure, à Zagreb et, de nouveau, à Madrid après la tempête qui menaçait de gâcher l’ensemble de la veillée à cause d’une panne des microphones. Dieu est omniprésent, oui. Mais la présence corporelle du Christ ressuscité est encore quelque chose d’autre, quelque chose de nouveau. Le Ressuscité entre au milieu de nous. Et alors, nous ne pouvons que dire avec l’apôtre Thomas : Mon Seigneur et mon Dieu ! L’adoration est avant tout un acte de foi – l’acte de foi comme tel. Dieu n’est pas une quelconque hypothèse possible ou impossible sur l’origine de l’univers. Il est là. Et s’Il est présent, je m’incline devant Lui. Alors la raison, la volonté et le cœur s’ouvrent à Lui, à partir de Lui. Dans le Christ ressuscité est présent le Dieu qui s’est fait homme, qui a souffert pour nous parce qu’il nous aime. Nous entrons dans cette certitude de l’amour incarné de Dieu pour nous, et nous le faisons en aimant avec Lui. C’est cela l’adoration, et cela donne ensuite une empreinte à ma vie. C’est seulement ainsi que je peux célébrer aussi l’Eucharistie d’une manière juste et recevoir le Corps du Seigneur avec droiture.

4. Un autre élément important des Journées Mondiales de la Jeunesse est la présence du Sacrement de la Pénitence qui fait partie de l’ensemble avec toujours plus d’évidence. Par là, nous reconnaissons que nous avons continuellement besoin de pardon et que pardon signifie responsabilité. Il existe dans l’homme, provenant du Créateur, la disponibilité à aimer et la capacité de répondre à Dieu dans la foi. Mais il existe aussi, provenant de l’histoire peccamineuse de l’homme (la doctrine de l’Église parle du péché originel), la tendance contraire à l’amour : la tendance à l’égoïsme, à se renfermer sur soi-même, ou plutôt, la tendance au mal. Mon âme est sans cesse souillée par cette force de gravité en moi qui m’attire vers le bas. C’est pourquoi nous avons besoin de l’humilité qui toujours à nouveau demande pardon à Dieu ; qui se laisse purifier et qui réveille en nous la force contraire, la force positive du Créateur, qui nous attire vers le haut.

5. Enfin, comme dernière caractéristique à ne pas négliger dans la spiritualité des Journées mondiales de la jeunesse je voudrais mentionner la joie. D’où vient-elle ? Comment s’explique-t-elle ? Il y a certainement de nombreux facteurs qui agissent ensemble. Mais celui qui est décisif est, à mon avis, la certitude qui provient de la foi : je suis voulu. J’ai une mission dans l’histoire. Je suis accepté, je suis aimé. Josef Pieper, dans son livre sur l’amour, a montré que l’homme peut s’accepter lui-même seulement s’il est accepté de quelqu’un d’autre. Il a besoin qu’il y ait un autre qui lui dise, et pas seulement en paroles : il est bien que tu existes. C’est seulement à partir d’un « tu » que le « je » peut se trouver lui-même. C’est seulement s’il est accepté que le « je » peut s’accepter lui-même. Celui qui n’est pas aimé ne peut pas non plus s’aimer lui-même. Ce fait d’être accueilli vient d’abord de l’autre personne. Mais tout accueil humain est fragile. En fin de compte, nous avons besoin d’un accueil inconditionnel. C’est seulement si Dieu m’accueille et que j’en deviens sûr, que je sais définitivement : il est bien que j’existe. Il est bien d’être une personne humaine. Là où l’homme a moins la perception d’être accueilli par Dieu, d’être aimé de lui, la question de savoir s’il est vraiment bien d’exister comme personne humaine ne trouve plus aucune réponse. Le doute à propos de l’existence humaine devient toujours plus insurmontable. Là où le doute au sujet de Dieu devient dominant, le doute au sujet de l’être même des hommes suit inévitablement et nous voyons aujourd’hui comment ce doute se répand. Nous le voyons dans le manque de joie, dans la tristesse intérieure qui peut se lire sur tant de visages humains. Seule la foi me donne la certitude : il est bien que j’existe. Il est bien d’exister comme personne humaine, même dans des temps difficiles. La foi rend heureux à partir de l’intérieur. C’est une des expériences merveilleuses des Journées mondiales de la Jeunesse.

Cela conduirait trop loin de parler aussi maintenant de façon détaillée de la rencontre d’Assise, comme l’importance de l’événement le mériterait. Remercions simplement Dieu parce que nous – représentants des religions du monde et aussi représentants de la pensée en recherche de la vérité – nous avons pu nous rencontrer ce jour-là dans un climat d’amitié et de respect réciproque, dans l’amour pour la vérité et dans la responsabilité commune pour la paix. Nous pouvons donc espérer que de cette rencontre soit née une nouvelle disponibilité à servir la paix, la réconciliation et la justice.

Enfin, je voudrais vous remercier tous de tout cœur pour votre soutien afin de faire progresser la mission que le Seigneur nous a confiée comme témoins de sa vérité, et je vous souhaite à tous la joie que Dieu, dans l’incarnation de son Fils, a voulu nous donner. Joyeux Noël à vous tous ! Merci.

[01843-03.02] [Texte original: Italien]

TRADUZIONE IN LINGUA TEDESCA

Meine Herren Kardinäle,
verehrte Mitbrüder im bischöflichen und im priesterlichen Dienst,
liebe Brüder und Schwestern!

Dieser heutige Anlaß ist immer ein besonders gewichtiger Moment. Weihnachten steht vor der Tür und drängt auch die große Familie der Römischen Kurie, sich zu der schönen Geste des Austauschs der Glückwünsche zusammenzufinden: einander zu wünschen, das Fest Gottes, der Mensch geworden ist und unter uns gewohnt hat (vgl. 1 Joh 1,14), freudig und geistlich fruchtbringend zu feiern. Für mich ist dies die Gelegenheit, Ihnen nicht nur meinen persönlichen Glückwunsch zu überbringen, sondern jedem von Ihnen für Ihren großherzigen Dienst meinen und der Kirche Dank auszudrücken; bitte geben Sie ihn auch an alle Mitarbeiter unserer großen Familie weiter. Einen besonderen Dank richte ich an den Kardinaldekan Angelo Sodano, der im Namen der Anwesenden und all derer gesprochen hat, die in den verschiedenen Einrichtungen der Kurie und des Governatoratos arbeiten, einschließlich derer, die ihren Dienst in den Päpstlichen Vertretungen in aller Welt vollziehen. Wir alle setzen uns dafür ein, daß die Verkündigung der Engel in der Nacht von Bethlehem: „Verherrlicht ist Gott in der Höhe und auf Erden ist Friede bei den Menschen seiner Gnade" (Lk 2,14), in der ganzen Welt erklinge, um Freude und Hoffnung zu bringen.

Am Ende dieses Jahres steht Europa in einer wirtschaftlichen und finanziellen Krise, die letzten Endes auf der ethischen Krise beruht, die den Alten Kontinent bedroht. Selbst wenn Werte wie Solidarität, Einstehen für die anderen, Verantwortlichkeit für die Armen und Leidenden weitgehend unbestritten sind, so fehlt häufig die motivierende Kraft, die konkret den einzelnen und die großen gesellschaftlichen Gruppen zu Verzichten und Opfern bewegen kann. Erkenntnis und Wille gehen nicht notwendig miteinander. Der Wille, der das eigene Interesse verteidigt, verdunkelt die Erkenntnis, und die geschwächte Erkenntnis kann den Willen nicht aufrichten. Insofern steigen aus dieser Krise sehr grundlegende Fragen auf: Wo ist das Licht, durch das unserer Erkenntnis nicht nur allgemeine Ideen, sondern konkrete Imperative aufleuchten können? Wo ist die Kraft, die den Willen nach oben zieht? Es sind Fragen, auf die unsere Verkündigung des Evangeliums, die neue Evangelisierung antworten muß, damit aus Botschaft Ereignis, aus Verkündigung Leben wird.

Die große Thematik dieses Jahres wie der kommenden Jahre heißt in der Tat: Wie verkündigen wir heute das Evangelium? Wie kann Glaube als lebendige Kraft heute Wirklichkeit werden? Die kirchlichen Ereignisse des vergangenen Jahres sind letztlich alle auf dieses Thema bezogen. Da waren die Reisen nach Kroatien, zum Weltjugendtag nach Spanien, in meine Heimat nach Deutschland und schließlich nach Afrika – Benin – zur Übergabe des postsynodalen Dokuments über Gerechtigkeit, Friede, Versöhnung, aus dem konkrete Wirklichkeit in den verschiedenen Ortskirchen wachsen soll. Unvergeßlich sind auch die Reisen nach Venedig, nach San Marino, zum Eucharistischen Kongreß in Ancona, nach Kalabrien. Und da ist schließlich der wichtige Tag der Begegnung der Religionen und der überhaupt nach Wahrheit und Friede suchenden Menschen in Assisi als neuer Aufbruch in der Pilgerschaft nach Wahrheit und Frieden. Die Errichtung des Päpstlichen Rates für die Neuevangelisierung ist zugleich Vorverweis auf die Synode des kommenden Jahres zum gleichen Thema. Dazu gehört dann auch das Jahr des Glaubens zum Gedächtnis des Konzilsbeginns vor 50 Jahren. Jedes dieser Ereignisse hatte seine eigenen Akzente. In Deutschland, dem Ursprungsland der Reformation, hatte natürlich die ökumenische Frage mit all ihren Mühsalen und Hoffnungen ein besonderes Gewicht. Untrennbar davon steht immer wieder im Brennpunkt der Dispute die Frage: Was ist Reform der Kirche? Wie geschieht sie? Was sind ihre Wege und ihre Ziele? Mit Besorgnis sehen nicht nur treue Glaubende, sondern auch Außenstehende, wie die regulären Kirchgänger immer älter werden und ihre Zahl beständig abnimmt; wie der Priesternachwuchs stagniert; wie Skepsis und Unglaube wachsen. Was also sollen wir tun? Es gibt nicht endende Dispute darüber, was man machen muß, damit die Trendwende gelingt. Und sicher muß man vielerlei machen. Aber das Machen allein löst die Aufgabe nicht. Der Kern der Krise der Kirche in Europa ist die Krise des Glaubens. Wenn wir auf sie keine Antwort finden, wenn Glaube nicht neu lebendig wird, tiefe Überzeugung und reale Kraft von der Begegnung mit Jesus Christus her, dann bleiben alle anderen Reformen wirkungslos.

In diesem Punkt war die Begegnung mit der freudigen Leidenschaft des Glaubens in Afrika eine große Ermutigung. Nichts von der bei uns so verbreiteten Müdigkeit des Glaubens, nichts von dem immer wieder wahrnehmbaren Überdruß am Christsein war da spürbar. In allen Problemen, Leiden und Mühsalen, die es natürlich gerade in Afrika gibt, war doch immer eine Freudigkeit des Christseins zu erleben, das Getragensein von dem inneren Glück, Christus zu kennen und seiner Kirche zuzugehören. Aus dieser Freude kommen auch die Kräfte, Christus in den bedrängenden Situationen menschlichen Leidens zu dienen, sich ihm zur Verfügung zu stellen, ohne nach dem eigenen Wohlbefinden umzuschauen. Diesem opferbereiten und gerade so fröhlichen Glauben zu begegnen, ist eine große Medizin gegen die Müdigkeit des Christseins, wie wir es in Europa erleben.

Eine Medizin gegen die Müdigkeit des Glaubens war auch die großartige Erfahrung des Weltjugendtages zu Madrid. Dies war gelebte Neuevangelisierung. Immer mehr zeichnet sich in den Weltjugendtagen eine neue, verjüngte Weise des Christseins ab, die ich in fünf Punkten zu charakterisieren versuchen möchte.

1. Da ist als erstes eine neue Erfahrung der Katholizität, der Universalität der Kirche. Das ist es, was junge Menschen und alle Anwesenden ganz unmittelbar berührt hat: Wir kommen von allen Kontinenten, und obwohl wir uns nie gesehen haben, kennen wir uns. Wir haben verschiedene Sprachen und verschiedene Lebensgewohnheiten, verschiedene kulturelle Formen, und doch sind wir sofort eins miteinander als eine große Familie. Die äußere Trennung und Verschiedenheit ist relativiert. Wir alle sind berührt von dem einen Herrn Jesus Christus, in dem uns das wahre Menschsein und zugleich das Gesicht Gottes selbst erschienen ist. Wir beten das Gleiche. Von der gleichen inneren Begegnung mit Jesus Christus her haben wir inwendig die gleiche Formung des Verstandes, des Willens und des Herzens empfangen. Und endlich ist die gemeinsame Liturgie Heimat des Herzens und verbindet uns zu einer großen Familie. Daß alle Menschen Brüder und Schwestern sind, ist hier nicht bloß Idee, sondern wird reale gemeinsame Erfahrung, die Freude schafft. Und so wußten wir auch ganz praktisch: Trotz aller Mühsale und Dunkelheiten ist es schön, der weltweiten Kirche, der Katholischen Kirche zuzugehören, die der Herr uns geschenkt hat.

2. Von da aus kommt dann eine neue Art, das Menschsein, das Christsein zu leben. Eine der wichtigsten Erfahrungen dieser Tage war für mich die Begegnung mit den Volontären des Weltjugendtages: etwa 20.000 junge Menschen, die durchweg Wochen oder Monate ihres Lebens zur Verfügung gestellt hatten, um an den technischen, organisatorischen und inhaltlichen Vorbereitungen für den Weltjugendtag zu arbeiten und die so überhaupt den geregelten Ablauf des Ganzen möglich gemacht hatten. Mit seiner Zeit gibt ein Mensch immer ein Stück seines Lebens. Am Ende waren diese jungen Menschen sichtbar und greifbar von einem großen Gefühl des Glücks erfüllt: Ihre verschenkte Zeit hatte Sinn; im Weggeben ihrer Zeit und ihrer Arbeitskraft hatten sie gerade die Zeit, das Leben gefunden. Und da wurde mir etwas Grundsätzliches deutlich: Diese jungen Menschen hatten im Glauben ein Stück Leben gegeben, nicht weil es geboten und nicht weil man sich damit den Himmel verdient; auch nicht weil man dadurch der Gefahr der Hölle entgeht. Sie taten es nicht, weil sie vollkommen sein wollten. Sie schauten nicht nach sich selber um. Das Bild der Frau des Lot, die durch das Umschauen zu einer Salzsäule erstarrt ist, kam mir in den Sinn. Wie oft ist das Leben von Christen dadurch bestimmt, daß sie vor allem nach sich selbst umsehen, das Gute sozusagen für sich selbst tun. Und wie groß ist die Versuchung aller Menschen, vor allem um sich selbst besorgt zu sein; umzuschauen auf sich selber hin und dabei innerlich leer zu werden, zur „Salzsäule". Aber hier ging es nicht darum, sich selbst zu vervollkommnen oder sein Leben für sich haben zu wollen. Diese jungen Menschen haben Gutes getan, auch wenn es schwer war, auch wenn es Verzichte forderte, weil es schön ist, das Gute zu tun, für die anderen da zu sein. Man muß nur den Sprung wagen. All dem geht voraus die Begegnung mit Jesus Christus, die in uns die Liebe zu Gott und zu den anderen entzündet und uns frei macht von der Suche nach dem eigenen Ich. Ein dem heiligen Franz Xaver zugeschriebenes Gebet sagt: Ich tue das Gute nicht, weil ich dafür in den Himmel komme und nicht weil du mich sonst in die Hölle werfen könntest. Ich tue es, weil du Du bist, mein König und mein Herr. Derselben Haltung bin ich auch in Afrika zum Beispiel bei den Schwestern von Mutter Teresa begegnet, die sich um die verstoßenen, kranken, armen und leidenden Kinder mühen, ohne nach sich selbst zu fragen und gerade so innerlich reich und frei werden. Dies ist die eigentlich christliche Haltung. Unvergeßlich bleibt mir auch die Begegnung mit den behinderten Jugendlichen in der Stiftung S. José in Madrid, wo mir wieder die gleiche Bereitschaft begegnet ist, sich selbst für die anderen zur Verfügung zu stellen – eine Bereitschaft zur Hingabe, die letztlich aus der Begegnung mit Christus stammt, der sich für uns hingegeben hat.

3. Ein drittes Element, das immer selbstverständlicher und zentraler zu den Weltjugendtagen und der von ihnen ausgehenden Spiritualität gehört, ist die Anbetung. Unvergeßlich ist mir der Augenblick meiner Reise ins Vereinigte Königreich, wo im Hydepark die Zehntausende von überwiegend jungen Menschen in einem gefüllten Schweigen auf die Anwesenheit des Herrn im Sakrament antworteten, anbeteten. Dasselbe hat sich in kleinerem Maßstab wieder in Zagreb ereignet und wiederum in Madrid nach dem Gewitter, das das Ganze der nächtlichen Begegnung durch den Ausfall der Mikrophone zu zerstören drohte. Gott ist allgegenwärtig, ja. Aber die leibliche Gegenwart des auferstandenen Christus ist noch einmal etwas anderes, etwas Neues. Der Auferstandene tritt mitten unter uns herein. Und da können wir gar nicht anders als mit dem Apostel Thomas sagen: Mein Herr und mein Gott! Anbetung ist zuerst ein Akt des Glaubens – der Akt des Glaubens als solcher. Gott ist nicht irgendeine mögliche oder unmögliche Hypothese über den Ursprung des Alls. Er ist da. Und wenn er da ist, dann beuge ich mich vor ihm. Dann öffnen sich Verstand und Wille und Herz auf ihn hin und von ihm her. Im auferstandenen Christus ist der menschgewordene Gott da, der für uns gelitten hat, weil er uns liebt. In diese Gewißheit der leibhaftigen Liebe Gottes zu uns treten wir als Mitliebende hinein. Das ist Anbetung, und das bestimmt dann mein Leben. Nur so kann ich auch Eucharistie richtig feiern und den Leib des Herrn recht empfangen.

4. Ein weiteres wichtiges Element der Weltjugendtage ist die immer selbstverständlicher zum Ganzen gehörende Anwesenheit des Bußsakraments. Damit anerkennen wir, daß wir immer wieder Vergebung brauchen und daß Vergebung Verantwortung ist. Im Menschen ist vom Schöpfer her die Bereitschaft zu lieben da und die Fähigkeit, im Glauben Gott zu antworten. Aber es gibt von der sündigen Geschichte des Menschen her (die kirchliche Lehre spricht von der Erbsünde) auch die umgekehrte Tendenz zur Liebe – die Tendenz zum Egoismus, zur Selbstverschließung, ja, zum Bösen. Immer wieder wird meine Seele verschmutzt durch diese nach unten ziehende Schwerkraft, die in mir da ist. Deshalb brauchen wir die Demut, die immer neu Gott um Vergebung bittet; die sich reinigen läßt und die die Gegenkraft, die positive Kraft des Schöpfers in uns aufweckt, die uns nach oben zieht.

5. Schließlich möchte ich als letztes, nicht zu übersehendes Kennzeichen der Spiritualität der Weltjugendtage die Freude nennen. Woher kommt sie? Wie erklärt sie sich? Sicher wirken viele Faktoren zusammen. Aber der entscheidende ist nach meinem Dafürhalten die aus dem Glauben kommende Gewißheit: Ich bin gewollt. Ich habe einen Auftrag in der Geschichte. Ich bin angenommen, bin geliebt. Josef Pieper hat in seinem Buch über die Liebe gezeigt, daß der Mensch sich selbst nur annehmen kann, wenn er von einem anderen angenommen ist. Er braucht das Dasein des anderen, der ihm nicht nur mit Worten sagt: Es ist gut, daß du bist. Nur vom Du her kann das Ich zu sich selbst kommen. Nur wenn es angenommen ist, kann es sich annehmen. Wer nicht geliebt wird, kann sich auch nicht selber lieben. Dieses Angenommenwerden kommt zunächst vom anderen Menschen her. Aber alles menschliche Annehmen ist zerbrechlich. Letztlich brauchen wir ein unbedingtes Angenommensein. Nur wenn Gott mich annimmt und ich dessen gewiß werde, weiß ich endgültig: Es ist gut, daß ich bin. Es ist gut, ein Mensch zu sein. Wo die Wahrnehmung für das Angenommensein des Menschen von Gott, für unser Geliebtsein durch ihn verschwindet, da findet die Frage, ob es überhaupt gut ist, ein Mensch zu sein, keine Antwort mehr. Der Zweifel am Menschsein wird immer unüberschreitbarer. Wo der Zweifel an Gott dominierend wird, da folgt der Zweifel am Menschsein selbst unausweichlich. Wir sehen heute, wie sich dieser Zweifel ausbreitet. Wir sehen es an der Freudlosigkeit, an der inneren Traurigkeit, die man in so vielen menschlichen Gesichtern lesen kann. Nur der Glaube macht mich gewiß: Es ist gut, daß ich bin. Es ist gut, ein Mensch zu sein, auch in schwieriger Zeit. Der Glaube macht von innen her froh. Das ist eine der wunderbaren Erfahrungen der Weltjugendtage.

Es würde zu weit führen, jetzt noch ausführlich über die Begegnung in Assisi zu sprechen, wie es der Bedeutung des Ereignisses entspräche. Danken wir einfach Gott, daß wir – die Vertreter der Weltreligionen und auch die Vertreter des nach der Wahrheit suchenden Denkens – uns an diesem Tag in einem Klima der Freundschaft und des gegenseitigen Respekts in der Liebe zur Wahrheit und in der gemeinsamen Verantwortung für den Frieden begegnen durften. So dürfen wir hoffen, daß aus dieser Begegnung eine neue Bereitschaft gewachsen ist, dem Frieden, der Versöhnung und der Gerechtigkeit zu dienen.

Am Ende möchte ich Ihnen allen von Herzen danken für das Mittragen der Sendung, die uns der Herr als Zeugen seiner Wahrheit übergeben hat, und Ihnen allen die Freude wünschen, die Gott uns in der Menschwerdung seines Sohnes schenken wollte. Ihnen allen gesegnete Weihnachten! Danke.

[01843-05.02] [Originalsprache: Italienisch]

TRADUZIONE IN LINGUA SPAGNOLA

Señores Cardenales,
Venerados Hermanos en el Episcopado y en el Presbiterado,
queridos hermanos y hermanas

Vivimos hoy en un momento especialmente intenso. La santa Navidad está ya muy cerca y lleva a la gran familia de la Curia romana a reunirse para este hermoso intercambio de felicitaciones, que conllevan el deseo recíproco de vivir con alegría y auténtico fruto espiritual la fiesta de Dios que se hizo carne y puso su morada entre nosotros (cf. Jn 1,14). Esta es para mí una ocasión no sólo para expresar mi felicitación personal, sino también para manifestar a cada uno de vosotros mi agradecimiento y el de la Iglesia por vuestro generoso servicio; os ruego que lo transmitáis también a todos los colaboradores de nuestra gran familia. Doy las gracias de modo particular al Cardenal Decano, Angelo Sodano, que se ha hecho portavoz de los sentimientos de todos los presentes y de los que trabajan en las diferentes oficinas de la Curia, del Governatorato, incluidos los que desempeñan su ministerio en las Representaciones Pontificias repartidas por todo el mundo. Todos estamos comprometidos en que el anuncio que los ángeles proclamaron en la noche de Belén, «Gloria a Dios en el cielo, y en la tierra paz a los hombres de buena voluntad» (Lc 2,14), resuene en toda la tierra para llevar gozo y esperanza.

En este final del año, Europa se encuentra en una crisis económica y financiera que, en última instancia, se funda sobre la crisis ética que amenaza al Viejo Continente. Aunque no están en discusión algunos valores como la solidaridad, el compromiso por los demás, la responsabilidad por los pobres y los que sufren, falta con frecuencia, sin embargo, la fuerza que los motive, capaz de inducir a las personas y a los grupos sociales a renuncias y sacrificios. El conocimiento y la voluntad no siguen siempre la misma pauta. La voluntad que defiende el interés personal oscurece el conocimiento, y el conocimiento debilitado no es capaz de fortalecer la voluntad. Por eso, de esta crisis surgen preguntas muy fundamentales: ¿Dónde está la luz que pueda iluminar nuestro conocimiento, no sólo con ideas generales, sino con imperativos concretos? ¿Dónde está la fuerza que lleva hacia lo alto nuestra voluntad? Estas son preguntas a las que debe responder nuestro anuncio del Evangelio, la nueva evangelización, para que el mensaje llegue a ser acontecimiento, el anuncio se convierta en vida.

En efecto, el gran tema de este año, como también de los siguientes, es cómo anunciar el Evangelio. ¿De qué manera la fe, en cuanto fuerza viva y vital, puede llegar a ser hoy realidad? Todos los acontecimientos eclesiales del año que está por concluir han estado relacionados en definitiva con este tema. Se han realizado viajes a Croacia, a España, para la Jornada Mundial de la Juventud, a mi Patria, Alemania, y finalmente a África, Benín, para la entrega del Documento postsinodal sobre justicia, paz y reconciliación; un documento del que ha de nacer una realidad concreta en las diversas Iglesias particulares. Han sido inolvidables también los viajes a Venecia, a San Marino, a Ancona, para el Congreso eucarístico, y a Calabria. Y ha tenido lugar, en fin, la importante jornada del encuentro entre las religiones y entre las personas en búsqueda de verdad y de paz en Asís; una jornada concebida como un nuevo impulso en la peregrinación hacia la verdad y la paz. La institución del Consejo Pontificio para la Promoción de la Nueva Evangelización nos remite anticipadamente al Sínodo que sobre el mismo tema tendrá lugar en el próximo año. También tiene que ver con ello el Año de la Fe, en recuerdo del comienzo del Concilio, hace cincuenta años. Cada uno de estos acontecimientos ha tenido su propio matiz. En Alemania, el país de origen de la Reforma, la cuestión ecuménica, con todas sus dificultades y esperanzas, ha tenido naturalmente una importancia particular. Indisolublemente unida a esto, hay siempre en el centro de las discusiones una pregunta: ¿Qué es una reforma de la Iglesia? ¿Cómo sucede? ¿Cuáles son sus caminos y sus objetivos? No sólo los fieles creyentes, sino también otros ajenos, observan con preocupación cómo los que van regularmente a la iglesia son cada vez más ancianos y su número disminuye continuamente; cómo hay un estancamiento de las vocaciones al sacerdocio; cómo crecen el escepticismo y la incredulidad. ¿Qué debemos hacer entonces? Hay una infinidad de discusiones sobre lo que se debe hacer para invertir la tendencia. Y, ciertamente, es necesario hacer muchas cosas. Pero el hacer, por sí solo, no resuelve el problema. El núcleo de la crisis de la Iglesia en Europa es la crisis de fe. Si no encontramos una respuesta para ella, si la fe no adquiere nueva vitalidad, con una convicción profunda y una fuerza real gracias al encuentro con Jesucristo, todas las demás reformas serán ineficaces.

En este sentido, el encuentro en África con la gozosa pasión por la fe ha sido de gran aliento. Allí no se percibía ninguna señal del cansancio de la fe, tan difundido entre nosotros, ningún tedio de ser cristianos, como se percibe cada vez más en nosotros. Con tantos problemas, sufrimientos y penas como hay ciertamente en África, siempre se experimentaba sin embargo la alegría de ser cristianos, de estar sostenidos por la felicidad interior de conocer a Cristo y de pertenecer a su Iglesia. De esta alegría nacen también las energías para servir a Cristo en las situaciones agobiantes de sufrimiento humano, para ponerse a su disposición, sin replegarse en el propio bienestar. Encontrar esta fe dispuesta al sacrificio, y precisamente alegre en ello, es una gran medicina contra el cansancio de ser cristianos que experimentamos en Europa.

La magnífica experiencia de la Jornada Mundial de la Juventud, en Madrid, ha sido también una medicina contra el cansancio de creer. Ha sido una nueva evangelización vivida. Cada vez con más claridad se perfila en las Jornadas Mundiales de la Juventud un modo nuevo, rejuvenecido, de ser cristiano, que quisiera intentar caracterizar en cinco puntos.

1. Primero, hay una nueva experiencia de la catolicidad, la universalidad de la Iglesia. Esto es lo que ha impresionado de inmediato a los jóvenes y a todos los presentes: venimos de todos los continentes y, aunque nunca nos hemos visto antes, nos conocemos. Hablamos lenguas diversas y tenemos diferentes hábitos de vida, diferentes formas culturales y, sin embargo, nos encontramos de inmediato unidos, juntos como una gran familia. Se relativiza la separación y la diversidad exterior. Todos quedamos tocados por el único Señor Jesucristo, en el cual se nos ha manifestado el verdadero ser del hombre y, a la vez, el rostro mismo de Dios. Nuestras oraciones son las mismas. En virtud del encuentro interior con Jesucristo, hemos recibido en nuestro interior la misma formación de la razón, de la voluntad y del corazón. Y, en fin, la liturgia común constituye una especie de patria del corazón y nos une en una gran familia. El hecho de que todos los seres humanos sean hermanos y hermanas no es sólo una idea, sino que aquí se convierte en una experiencia real y común que produce alegría. Y, así, hemos comprendido también de manera muy concreta que, no obstante todas las fatigas y la oscuridad, es hermoso pertenecer a la Iglesia universal, a la Iglesia católica, que el Señor nos ha dado.

2. De aquí nace después un modo nuevo de vivir el ser hombres, el ser cristianos. Una de las experiencias más importantes de aquellos días ha sido para mí el encuentro con los voluntarios de la Jornada Mundial de la Juventud: eran alrededor de 20.000 jóvenes que, sin excepción, habían puesto a disposición semanas o meses de su vida para colaborar en los preparativos técnicos, organizativos y de contenido de la JMJ, y precisamente así habían hecho posible el desarrollo ordenado de todo el conjunto. Al dar su tiempo, el hombre da siempre una parte de la propia vida. Al final, estos jóvenes estaban visible y «tangiblemente» llenos de una gran sensación de felicidad: su tiempo que habían entregado tenía un sentido; precisamente en el dar su tiempo y su fuerza laboral habían encontrado el tiempo, la vida. Y entonces, algo fundamental se me ha hecho evidente: estos jóvenes habían ofrecido en la fe un trozo de vida, no porque había sido mandado o porque con ello se ganaba el cielo; ni siquiera porque así se evita el peligro del infierno. No lo habían hecho porque querían ser perfectos. No miraban atrás, a sí mismos. Me vino a la mente la imagen de la mujer de Lot que, mirando hacia atrás, se convirtió en una estatua de sal. Cuántas veces la vida de los cristianos se caracteriza por mirar sobre todo a sí mismos; hacen el bien, por decirlo así, para sí mismos. Y qué grande es la tentación de todos los hombres de preocuparse sobre todo de sí mismos, de mirar hacia atrás a sí mismos, convirtiéndose así interiormente en algo vacío, «estatuas de sal». Aquí, en cambio, no se trataba de perfeccionarse a sí mismos o de querer tener la propia vida para sí mismos. Estos jóvenes han hecho el bien – aun cuando ese hacer haya sido costoso, aunque haya supuesto sacrificios – simplemente porque hacer el bien es algo hermoso, es hermoso ser para los demás. Sólo se necesita atreverse a dar el salto. Todo eso ha estado precedido por el encuentro con Jesucristo, un encuentro que enciende en nosotros el amor por Dios y por los demás, y nos libera de la búsqueda de nuestro propio «yo». Una oración atribuida a san Francisco Javier dice: «Hago el bien no porque a cambio entraré en el cielo y ni siquiera porque, de lo contrario, me podrías enviar al infierno. Lo hago porque Tú eres Tú, mi Rey y mi Señor». También en África encontré esta misma actitud, por ejemplo en las religiosas de Madre Teresa que cuidan de los niños abandonados, enfermos, pobres y que sufren, sin preguntarse por sí mismas y, precisamente así, se hacen interiormente ricas y libres. Esta es la actitud propiamente cristiana. También ha sido inolvidable para mí el encuentro con los jóvenes discapacitados en la fundación San José, de Madrid, encontré de nuevo la misma generosidad de ponerse a disposición de los demás; una generosidad en el darse que, en definitiva, nace del encuentro con Cristo que se ha entregado a sí mismo por nosotros.

3. Un tercer elemento, que de manera cada vez más natural y central forma parte de las Jornadas Mundiales de la Juventud, y de la espiritualidad que proviene de ellas, es la adoración. Fue inolvidable para mí, durante mi viaje en el Reino Unido, el momento en Hydepark, en que decenas de miles de personas, en su mayoría jóvenes, respondieron con un intenso silencio a la presencia del Señor en el Santísimo Sacramento, adorándolo. Lo mismo sucedió, de modo más reducido, en Zagreb, y de nuevo en Madrid, tras el temporal que amenazaba con estropear todo el encuentro nocturno, al no funcionar los micrófonos. Dios es omnipresente, sí. Pero la presencia corpórea de Cristo resucitado es otra cosa, algo nuevo. El Resucitado viene en medio de nosotros. Y entonces no podemos sino decir con el apóstol Tomás: «Señor mío y Dios mío». La adoración es ante todo un acto de fe: el acto de fe como tal. Dios no es una hipótesis cualquiera, posible o imposible, sobre el origen del universo. Él está allí. Y si él está presente, yo me inclino ante él. Entonces, razón, voluntad y corazón se abren hacia él, a partir de él. En Cristo resucitado está presente el Dios que se ha hecho hombre, que sufrió por nosotros porque nos ama. Entramos en esta certeza del amor corpóreo de Dios por nosotros, y lo hacemos amando con él. Esto es adoración, y esto marcará después mi vida. Sólo así puedo celebrar también la Eucaristía de modo adecuado y recibir rectamente el Cuerpo del Señor.

4. Otro elemento importante de las Jornadas Mundiales de la Juventud es la presencia del Sacramento de la Penitencia que, de modo cada vez más natural, forma parte del conjunto. Con eso reconocemos que tenemos continuamente necesidad de perdón y que perdón significa responsabilidad. Existe en el hombre, proveniente del Creador, la disponibilidad a amar y la capacidad de responder a Dios en la fe. Pero, proveniente de la historia pecaminosa del hombre (la doctrina de la Iglesia habla del pecado original), existe también la tendencia contraria al amor: la tendencia al egoísmo, al encerrarse en sí mismo, más aún, al mal. Mi alma se mancha una y otra vez por esta fuerza de gravedad que hay en mí, que me atrae hacia abajo. Por eso necesitamos la humildad que siempre pide de nuevo perdón a Dios; que se deja purificar y que despierta en nosotros la fuerza contraria, la fuerza positiva del Creador, que nos atrae hacia lo alto.

5. Finalmente, como última característica que no hay que descuidar en la espiritualidad de las Jornadas Mundiales de la Juventud, quisiera mencionar la alegría. ¿De dónde viene? ¿Cómo se explica? Seguramente hay muchos factores que intervienen a la vez. Pero, según mi parecer, lo decisivo es la certeza que proviene de la fe: yo soy amado. Tengo un cometido en la historia. Soy aceptado, soy querido. Josef Pieper, en su libro sobre el amor, ha mostrado que el hombre puede aceptarse a sí mismo sólo si es aceptado por algún otro. Tiene necesidad de que haya otro que le diga, y no sólo de palabra: «Es bueno que tú existas». Sólo a partir de un «tú», el «yo» puede encontrarse a sí mismo. Sólo si es aceptado, el «yo» puede aceptarse a sí mismo. Quien no es amado ni siquiera puede amarse a sí mismo. Este ser acogido proviene sobre todo de otra persona. Pero toda acogida humana es frágil. A fin de cuentas, tenemos necesidad de una acogida incondicionada. Sólo si Dios me acoge, y estoy seguro de ello, sabré definitivamente: «Es bueno que yo exista». Es bueno ser una persona humana. Allí donde falta la percepción del hombre de ser acogido por parte de Dios, de ser amado por él, la pregunta sobre si es verdaderamente bueno existir como persona humana, ya no encuentra respuesta alguna. La duda acerca de la existencia humana se hace cada vez más insuperable. Cuando llega a ser dominante la duda sobre Dios, surge inevitablemente la duda sobre el mismo ser hombres. Hoy vemos cómo esta duda se difunde. Lo vemos en la falta de alegría, en la tristeza interior que se puede leer en tantos rostros humanos. Sólo la fe me da la certeza: «Es bueno que yo exista». Es bueno existir como persona humana, incluso en tiempos difíciles. La fe alegra desde dentro. Ésta es una de las experiencias maravillosas de las Jornadas Mundiales de la Juventud.

Nos llevaría muy lejos hablar ahora también del encuentro de Asís de manera detallada, como merecería la importancia del acontecimiento. Agradezcamos sencillamente a Dios porque nosotros –representantes de las religiones del mundo y también representantes del pensamiento en búsqueda de la verdad – pudimos encontrarnos aquel día en un clima de amistad y de respeto recíproco, en el amor por la verdad y en la responsabilidad común por la paz. Podemos esperar que de este encuentro haya nacido una nueva disponibilidad para servir la paz, la reconciliación y la justicia.

Por último, quisiera agradecer de corazón a todos vosotros por el apoyo para llevar adelante la misión que el Señor nos ha confiado como testigos de su verdad, y os deseo a todos la alegría que Dios, en la encarnación de su Hijo, nos ha querido dar. Feliz Navidad a todos vosotros. Gracias.

[01843-04.02] [Texto original: Italiano]

TRADUZIONE IN LINGUA PORTOGHESE

Senhores Cardeais,
Venerados Irmãos no Episcopado e no Presbiterado,
Amados irmãos e irmãs!

Um momento como este que vivemos hoje reveste-se sempre de particular intensidade. O Santo Natal já está perto e a grande família da Cúria Romana sente-se impelida a reunir-se para trocar entre si venturosos votos que encerram o desejo de viver, com alegria e verdadeiro fruto espiritual, a festa de Deus que encarnou e pôs a sua tenda no meio de nós (cf. Jo 1, 14). Esta ocasião permite-me não só apresentar-vos os meus votos pessoais, mas também exprimir a cada um de vós o agradecimento, meu e da Igreja, pelo vosso generoso serviço; peço-vos que o façais chegar também a todos os colaboradores que formam a nossa grande família. Um obrigado particular ao Cardeal Decano Ângelo Sodano, que se fez intérprete dos sentimentos dos presentes e de quantos trabalham nos diversos Departamentos da Cúria, do Governatorado, incluindo aqueles que realizam o seu ministério nas Representações Pontifícias espalhadas por todo o mundo. Todos nós estamos empenhados em fazer com que o pregão que os Anjos proclamaram na noite de Belém – «Glória a Deus nas alturas e paz na terra aos homens do seu agrado» (Lc 2, 14) – ressoe por toda a terra levando alegria e esperança.

No fim deste ano, a Europa encontra-se no meio duma crise económica e financeira que, em última análise, se fundamenta na crise ética que ameaça o Velho Continente. Embora certos valores como a solidariedade, o serviço aos outros, a responsabilidade pelos pobres e atribulados sejam em grande parte compartilhados, todavia falta muitas vezes a força capaz de motivar e induzir o indivíduo e os grandes grupos sociais a abraçarem renúncias e sacrifícios. O conhecimento e a vontade caminham, necessariamente, lado a lado. A vontade de preservar o lucro pessoal obscurece o conhecimento e este, enfraquecido, é incapaz de revigorar a vontade. Por isso, desta crise surgem interrogações fundamentais: Onde está a luz que possa iluminar o nosso conhecimento não apenas com ideias gerais, mas também com imperativos concretos? Onde está a força que sublime a nossa vontade? São questões às quais o nosso anúncio do Evangelho, a nova evangelização, deve dar resposta, para que a mensagem se torne acontecimento, o anúncio se torne vida.

Com efeito, a grande temática tanto deste ano como dos anos futuros gira à volta disto: Como anunciar hoje o Evangelho? Como pode a fé, enquanto força viva e vital, tornar-se realidade hoje? Os acontecimentos eclesiais deste ano que está a terminar referiam-se todos, em última análise, a este tema. Entre eles contam-se as minhas viagens à Croácia, a Espanha para a Jornada Mundial da Juventude, à minha pátria da Alemanha e, por fim, à África – ao Benim – para a entrega da Exortação pós-sinodal sobre justiça, paz e reconciliação; documento este, que se deve traduzir em realidade concreta nas diversas Igrejas particulares. Não posso esquecer também as viagens a Veneza, a São Marino, a Ancona para o Congresso Eucarístico e à Calábria. E tivemos, enfim, a significativa jornada de Assis, com o encontro entre as religiões e entre as pessoas em busca de verdade e de paz; jornada concebida como um novo impulso na peregrinação para a verdade e a paz. A instituição do Pontifício Conselho para a Promoção da Nova Evangelização constitui, simultaneamente, um prenúncio do Sínodo sobre o mesmo tema que terá lugar no próximo ano. E entra também neste contexto o Ano da Fé, na comemoração da abertura do Concílio há cinquenta anos. Cada um destes acontecimentos revestiu-se de acentuações próprias. Na Alemanha, país onde teve origem a Reforma, naturalmente teve uma importância particular a questão ecuménica com todas as suas fadigas e esperanças. Indivisivelmente associada com ela, levanta-se sempre de novo, no centro da disputa, a questão: O que é uma reforma da Igreja? Como se realiza? Quais são os seus caminhos e os seus objectivos? É com preocupação que fiéis crentes, e não só, notam como as pessoas que frequentam regularmente a Igreja se vão tornando sempre mais idosas e o seu número diminui continuamente; notam como se verifica uma estagnação nas vocações ao sacerdócio; como crescem o cepticismo e a descrença. Então que devemos fazer? Existem discussões sem fim a propósito do que se deve fazer para haver uma inversão de tendência. E certamente é preciso fazer tantas coisas; mas o fazer, por si só, não resolve o problema. O cerne da crise da Igreja na Europa é a crise da fé. Se não encontrarmos uma resposta para esta crise, ou seja, se a fé não ganhar de novo vitalidade, tornando-se um convicção profunda e uma força real graças ao encontro com Jesus Cristo, permanecerão ineficazes todas as outras reformas.

Neste sentido, o encontro com a jubilosa paixão pela fé, na África, foi um grande encorajamento. Lá não se sentia qualquer indício desta lassidão da fé, tão difusa entre nós, não havia nada deste tédio de ser cristão que se constata sempre de novo no meio de nós. Apesar de todos os problemas, de todos os sofrimentos e penas que existem, sem dúvida, precisamente na África, sempre se palpava a alegria de ser cristão, o ser sustentado pela felicidade interior de conhecer Cristo e pertencer à sua Igreja. E desta alegria nascem também as energias para servir Cristo nas situações opressivas de sofrimento humano, para se colocar à sua disposição em vez de acomodar-se no próprio bem-estar. Encontrar esta fé disposta ao sacrifício e, mesmo no meio deste, jubilosa é um grande remédio contra a lassidão de ser cristão que experimentamos na Europa.

E um remédio contra a lassidão do crer foi também a magnífica experiência da Jornada Mundial da Juventude, em Madrid. Esta foi uma nova evangelização ao vivo. De forma cada vez mais clara vai-se delineando, nas Jornadas Mundiais da Juventude, um modo novo e rejuvenescido de ser cristão, que poder-se-ia caracterizar em cinco pontos.

1. Em primeiro lugar, há uma nova experiência da catolicidade, da universalidade da Igreja. Foi isto que impressionou, de forma muito viva e imediata, os jovens e todos os presentes: Vimos de todos os continentes e, apesar de nunca nos termos visto antes, conhecemo-nos. Falamos línguas diferentes e possuímos costumes de vida diversos e formas culturais diversas; e no entanto sentimo-nos imediatamente unidos como uma grande família. Separação e diversidade exteriores ficaram relativizadas. Todos somos tocados pelo mesmo e único Senhor Jesus Cristo, no qual se nos manifestou o verdadeiro ser do homem e, conjuntamente, o próprio Rosto de Deus. As nossas orações são as mesmas. Em virtude do mesmo encontro interior com Jesus Cristo, recebemos no mais íntimo de nós mesmos a mesma formação da razão, da vontade e do coração. E, por fim, a liturgia comum constitui uma espécie de pátria do coração e une-nos numa grande família. Aqui o facto de todos os seres humanos serem irmãos e irmãs não é apenas uma ideia mas torna-se uma experiência comum real, que gera alegria. E assim compreendemos também de maneira muito concreta que, apesar de todas as fadigas e obscuridades, é bom pertencer à Igreja universal, à Igreja Católica, que o Senhor nos deu.

2. E disto nasce, depois, um novo modo de viver o ser homem, o ser cristão. Para mim, uma das experiências mais importantes daqueles dias foi o encontro com os voluntários da Jornada Mundial da Juventude: eram cerca de 20.000 jovens, tendo todos, sem excepção, disponibilizado semanas ou meses da sua vida para colaborar na preparação técnica, organizativa e temática das actividades da Jornada Mundial da Juventude, e tornando, precisamente assim, possível o desenvolvimento regular de tudo. Com o próprio tempo, o homem oferece sempre uma parte da sua própria vida. No fim, estes jovens estavam, visível e «palpavelmente», inundados duma grande sensação de felicidade: o tempo dado tinha um sentido; precisamente no dom do seu tempo e da sua força laboral, encontraram o tempo, a vida. E então tornou-se-me evidente uma coisa fundamental: estes jovens ofereceram, na fé, um pedaço de vida, e não porque isso lhes fora mandado, nem porque se ganha o céu com isso, nem mesmo porque assim se escapa ao perigo do inferno. Não o fizeram, porque queriam ser perfeitos. Não olhavam para trás, para si mesmos. Passou-me pela mente a imagem da mulher de Lot, que, olhando para trás, se transformou numa estátua de sal. Quantas vezes a vida dos cristãos se caracteriza pelo facto de olharem sobretudo para si mesmos; por assim dizer, fazem o bem para si mesmos. E como é grande, para todos os homens, a tentação de se preocuparem antes de mais nada consigo mesmos, de olharem para trás para si mesmos, tornando-se assim interiormente vazios, «estátuas de sal»! Em Madrid, ao contrário, não se tratava de aperfeiçoar-se a si mesmo ou de querer conservar a própria vida para si mesmo. Estes jovens fizeram o bem – sem olhar ao peso e aos sacrifícios que o mesmo exigia – simplesmente porque é bom fazer o bem, é bom servir os outros. É preciso apenas ousar o salto. Tudo isto é antecedido pelo encontro com Jesus Cristo, um encontro que acende em nós o amor a Deus e aos outros e nos liberta da busca do nosso próprio «eu». Assim recita uma oração atribuída a São Francisco Xavier: Faço o bem, não porque em troca entrarei no céu, nem porque de contrário me poderíeis mandar para o inferno. Faço-o por Vós, que sois o meu Rei e meu Senhor. Este mesmo comportamento fui encontrá-lo também na África, por exemplo nas Irmãs de Madre Teresa que se prodigalizam pelas crianças abandonadas, doentes, pobres e atribuladas, sem se importarem consigo mesmas, tornando-se, precisamente assim, interiormente ricas e livres. Tal é o comportamento propriamente cristão. Para mim, ficou memorável também o encontro com os jovens deficientes na fundação de São José, em Madrid, onde voltei a encontrar a mesma generosidade de colocar-se à disposição dos outros; uma generosidade de se dar, que, em última análise, nasce do encontro com Cristo que Se deu a Si mesmo por nós.

3. Um terceiro elemento que vai, de forma cada vez mais natural e central, fazendo parte das Jornadas Mundiais da Juventude e da espiritualidade que delas deriva, é a adoração. Restam inesquecíveis em mim aqueles momentos no Hydepark, durante a minha viagem à Inglaterra, quando dezenas de milhares de pessoas, na sua maioria jovens, responderam à presença do Senhor no Santíssimo Sacramento com um profundo silêncio, adorando-O. E sucedeu o mesmo, embora em medida menor, em Zagreb e de novo em Madrid depois do temporal que ameaçava arruinar todo o encontro nocturno por causa dos microfones que não funcionavam. Deus é, sem dúvida, omnipresente; mas a presença corpórea de Cristo ressuscitado constitui algo mais, constitui algo de novo. O Ressuscitado entra no meio de nós. E então não podemos senão dizer como o apóstolo Tomé: Meu Senhor e meu Deus! A adoração é, antes de mais nada, um acto de fé; o acto de fé como tal. Deus não é uma hipótese qualquer, possível ou impossível, sobre a origem do universo. Ele está ali. E se Ele está presente, prostro-me diante d’Ele. Então a razão, a vontade e o coração abrem-se para Ele, a partir d’Ele. Em Cristo ressuscitado, está presente Deus feito homem, que sofreu por nós porque nos ama. Entramos nesta certeza do amor corpóreo de Deus por nós, e fazemo-lo amando com Ele. Isto é adoração, e isto confere depois um cunho próprio à minha vida. E só assim posso celebrar convenientemente a Eucaristia e receber devidamente o Corpo do Senhor.

4. Outro elemento importante das Jornadas Mundiais da Juventude é a presença do sacramento da Penitência, que tem vindo, com naturalidade sempre maior, a fazer parte do conjunto. Deste modo, reconhecemos que necessitamos continuamente de perdão e que perdão significa responsabilidade. Proveniente do Criador, existe no homem a disponibilidade para amar e a capacidade de responder a Deus na fé. Mas, proveniente da história pecaminosa do homem (a doutrina da Igreja fala do pecado original), existe também a tendência contrária ao amor: a tendência para o egoísmo, para se fechar em si mesmo, ou melhor, no mal. Incessantemente a minha alma fica manchada por esta força de gravidade em mim, que me atrai para baixo. Por isso, temos necessidade da humildade que sempre de novo pede perdão a Deus, que se deixa purificar e que desperta em nós a força contrária, a força positiva do Criador, que nos atrai para o alto.

5. Por fim, como última característica, que não se deve descurar na espiritualidade das Jornadas Mundiais da juventude, quero mencionar a alegria. Donde brota? Como se explica? Seguramente são muitos os factores que interagem; mas, a meu ver, o factor decisivo é esta certeza que deriva da fé: Eu sou desejado; tenho uma missão na história; sou aceite, sou amado. Josef Pieper mostrou, no seu livro sobre o amor, que o homem só se pode aceitar a si mesmo, se for aceite por outra pessoa qualquer. Precisa que haja outra pessoa que lhe diga, e não só por palavras: É bom que tu existas. Somente a partir de um «tu» é que o «eu» pode encontrar-se si mesmo. Só se for aceite, é que o «eu» se pode aceitar a si mesmo. Quem não é amado, também não se pode amar a si mesmo. Este saber-se acolhido provém, antes de tudo, doutra pessoa. Entretanto todo o acolhimento humano é frágil; no fim de contas, precisamos de um acolhimento incondicional; somente se Deus me acolher e eu estiver seguro disso mesmo é que sei definitivamente: É bom que eu exista; é bom ser uma pessoa humana. Quando falta ao homem a percepção de ser acolhido por Deus, de ser amado por Ele, a pergunta sobre se existir como pessoa humana seja verdadeiramente coisa boa, deixa de encontrar qualquer resposta; torna-se cada vez mais insuperável a dúvida acerca da existência humana. Onde se torna predominante a dúvida sobre Deus, acaba inevitavelmente por seguir-se a dúvida acerca do meu ser homem. Hoje vemos quão difusa é esta dúvida! Vemo-lo na falta de alegria, na tristeza interior que se pode ler em muitos rostos humanos. Só a fé me dá esta certeza: É bom que eu exista; é bom existir como pessoa humana, mesmo em tempos difíceis. A fé faz-nos felizes a partir de dentro. Esta é uma das maravilhosas experiências das Jornadas Mundiais da Juventude.

Alongaria demasiado o nosso encontro falar agora também, de modo detalhado, do encontro de Assis, como a importância do acontecimento mereceria. Limitamo-nos a agradecer a Deus, porque nós – os representantes das religiões do mundo e também os representantes do pensamento em busca da verdade – pudemos, naquele dia, encontrar-nos num clima de amizade e de respeito mútuo, no amor à verdade e na responsabilidade comum pela paz. Por isso podemos esperar que, daquele encontro, tenha nascido uma disponibilidade nova para servir a paz, a reconciliação e a justiça.

Queria enfim agradecer do íntimo do coração a todos vós pelo apoio que prestais para levar por diante a missão que o Senhor nos confiou como testemunhas da sua verdade, e desejo a todos vós a alegria que Deus nos quis dar na encarnação do seu Filho. Um santo Natal para todos vós! Obrigado!

[01843-06.02] [Texto original: Italiano]

INDIRIZZO DI OMAGGIO DEL DECANO DEL COLLEGIO CARDINALIZIO

Santità, venerato Successore dell'Apostolo Pietro!
È con sentimenti di profondo gaudio spirituale che oggi ho l'onore di rivolgermi a Lei, a nome dei responsabili della Curia Romana e del Governatorato del Vaticano.
Il Natale è ormai vicino, riproponendoci in tutto il suo fulgore il mistero della venuta di Cristo in mezzo a noi.
Ricorrendo alle parole iniziali dell'Enciclica "Veritatis splendor ", vorrei dire che presto apparirà di fronte al mondo "Navitatis splendor ", così come esso rifulse di fronte ai pastori nella notte di Betlemme.
In tale circostanza, Padre Santo, noi oggi ci stringiamo intorno a Lei, posto dallo Spirito Santo a reggere la Santa Chiesa di Dio, per augurarLe ogni bene ed assicurarLa di tutta la nostra vicinanza e della nostra più profonda devozione.
Allo stesso tempo, noi vogliamo manifestarLe il nostro rinnovato impegno di servizio, affinché Vostra Santità possa continuare a svolgere, con la sapienza che La distingue, la Sua alta missione al servizio della Chiesa e del mondo. In realtà, la pecorella che Ella, come Buon Pastore, porta sulle spalle non è solo la Chiesa, ma l'umanità intera, oggi così scossa e disorientata.
In particolare, Le sono vicini i membri del sacro Collegio dei cardinali, accorsi oggi numerosi a quest'incontro. Alcuni di essi sono nel pieno delle loro forze. Altri sono già avanti negli anni e sentono il peso dell'età, sperimentando ciò che ben esprime una canzone popolare che ci dice: "vivere non è sempre poesia!".
Tutti però sono impegnati nella loro responsabilità di servizio alla Sede Apostolica, tenendo ben presente il monito di Gesù: "a chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto" (Lc 12,48). Sappiamo, infatti, molto bene che ogni attimo è carico d'eterno e per questo ci impegniamo a trafficare bene i talenti che Dio ci ha dato.
In quest'incontro natalizio, vorremmo infine esprimerLe tutta la nostra gratitudine per il luminoso magistero che nel corso dell'anno Ella ha rivolto al mondo, sia da questa Sede Romana, come nei quattro grandi viaggi internazionali compiuti quest'anno, prima in Croazia, poi in Spagna ed in Germania e recentemente in Benin.
In particolare Le siamo riconoscenti per l'indizione dell'Anno della Fede, perché tutti accolgano e vivano nella sua bellezza il Vangelo di Cristo.
Noi tutti poi ci impegneremo nel programma di nuova evangelizzazione che Ella sta promovendo nel mondo, perché, da un lato, la fede sia ripensata e rivissuta da tutti i credenti e, d'altro lato, perché questi vogliano anche uscire dal tempio ed incontrare nel "cortile dei gentili" coloro che veramente cercano la verità. In realtà, in varie occasioni, Ella ci ha ricordato che "fede e ragione possono essere intese come le due ali, con le quali lo spirito umano è innalzato alla contemplazione della verità" (Discorso a Praga, «L’Osservatore Romano», 28 settembre 2009).
Beatissimo Padre,
con questi sentimenti di filiale devozione e di profonda gratitudine per la Sua sollecitudine pastorale, noi oggi ci stringiamo intorno a Lei.
Oltre ai responsabili della Curia Romana e del Governatorato del Vaticano sono qui spiritualmente presenti anche i Rappresentanti Pontifici sparsi per il mondo ed egualmente dediti al servizio della Sede Apostolica.
Tutti in coro Le auguriamo liete e sante Feste Natalizie ed un sereno Anno Nuovo, colmo delle più elette grazie del Signore!

[01845-01.01] [Testo originale: Italiano]

[B0764-XX.02]