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MESSAGGIO DEL SANTO PADRE PER LA 98a GIORNATA MONDIALE DEL MIGRANTE E DEL RIFUGIATO (15 GENNAIO 2012), 25.10.2011


Migrazioni e nuova evangelizzazione: questo il tema scelto dal Santo Padre Benedetto XVI per la 98a Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato che sarà celebrata domenica 15 gennaio 2012.
Di seguito pubblichiamo il testo del Messaggio del Santo Padre per la prossima Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato:

TESTO IN LINGUA ITALIANA

Cari Fratelli e Sorelle!

Annunciare Gesù Cristo unico Salvatore del mondo "costituisce la missione essenziale della Chiesa, compito e missione che i vasti e profondi mutamenti della - società attuale non rendono meno urgenti" (Esort. ap. Evangelii nuntiandi, 14). Anzi, oggi avvertiamo l’urgenza di promuovere, con nuova forza e rinnovate modalità, l’opera di evangelizzazione in un mondo in cui l’abbattimento delle frontiere e i nuovi processi di globalizzazione rendono ancora più vicine le persone e i popoli, sia per lo sviluppo dei mezzi di comunicazione, sia per la frequenza e la facilità con cui sono resi possibili spostamenti di singoli e di gruppi. In questa nuova situazione dobbiamo risvegliare in ognuno di noi l’entusiasmo e il coraggio che mossero le prime comunità cristiane ad essere intrepide annunciatrici della novità evangelica, facendo risuonare nel nostro cuore le parole di san Paolo: "Annunciare il Vangelo non è per me un vanto; perché è una necessità che mi si impone: guai a me se non annuncio il Vangelo!" (1Cor 9,16).

Il tema che ho scelto quest’anno per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato – "Migrazioni e nuova evangelizzazione" – nasce da questa realtà. L’ora presente, infatti, chiama la Chiesa a compiere una nuova evangelizzazione anche nel vasto e complesso fenomeno della mobilità umana, intensificando l’azione missionaria sia nelle regioni di primo annuncio, sia nei Paesi di tradizione cristiana.

Il Beato Giovanni Paolo II ci invitava a "nutrirci della Parola, per essere «servi della Parola» nell’impegno dell’evangelizzazione ..., [in una situazione] che si fa sempre più varia e impegnativa, nel contesto della globalizzazione e del nuovo e mutevole intreccio di popoli e culture che la caratterizza" (Lett. ap. Novo millennio ineunte, 40). Le migrazioni interne o internazionali, infatti, come sbocco per la ricerca di migliori condizioni di vita o per fuggire dalla minaccia di persecuzioni, guerre, violenza, fame e catastrofi naturali, hanno prodotto una mescolanza di persone e di popoli senza precedenti, con problematiche nuove non solo da un punto di vista umano, ma anche etico, religioso e spirituale. Le attuali ed evidenti conseguenze della secolarizzazione, l’emergere di nuovi movimenti settari, una diffusa insensibilità nei confronti della fede cristiana, una marcata tendenza alla frammentarietà, rendono difficile focalizzare un riferimento unificante che incoraggi la formazione di "una sola famiglia di fratelli e sorelle in società che si fanno sempre più multietniche e interculturali, dove anche le persone di varie religioni sono spinte al dialogo, perché si possa trovare una serena e fruttuosa convivenza nel rispetto delle legittime differenze", come scrivevo nel Messaggio dello scorso anno per questa Giornata Mondiale. Il nostro tempo è segnato da tentativi di cancellare Dio e l’insegnamento della Chiesa dall’orizzonte della vita, mentre si fanno strada il dubbio, lo scetticismo e l’indifferenza, che vorrebbero eliminare persino ogni visibilità sociale e simbolica della fede cristiana.

In tale contesto, i migranti che hanno conosciuto Cristo e l’hanno accolto non di rado sono spinti a non ritenerlo più rilevante nella propria vita, a perdere il senso della fede, a non riconoscersi più come parte della Chiesa e spesso conducono un’esistenza non più segnata da Cristo e dal suo Vangelo. Cresciuti in seno a popoli marcati dalla fede cristiana, spesso emigrano verso Paesi in cui i cristiani sono una minoranza o dove l’antica tradizione di fede non è più convinzione personale, né confessione comunitaria, ma è ridotta ad un fatto culturale. Qui la Chiesa è posta di fronte alla sfida di aiutare i migranti a mantenere salda la fede, anche quando manca l’appoggio culturale che esisteva nel Paese d’origine, individuando anche nuove strategie pastorali, come pure metodi e linguaggi per un’accoglienza sempre vitale della Parola di Dio. In alcuni casi si tratta di un’occasione per proclamare che in Gesù Cristo l’umanità è resa partecipe del mistero di Dio e della sua vita di amore, viene aperta ad un orizzonte di speranza e di pace, anche attraverso il dialogo rispettoso e la testimonianza concreta della solidarietà, mentre in altri casi c’è la possibilità di risvegliare la coscienza cristiana assopita, attraverso un rinnovato annuncio della Buona Novella e una vita cristiana più coerente, in modo da far riscoprire la bellezza dell’incontro con Cristo, che chiama il cristiano alla santità dovunque si trovi, anche in terra straniera.

L’odierno fenomeno migratorio è anche un’opportunità provvidenziale per l’annuncio del Vangelo nel mondo contemporaneo. Uomini e donne provenienti da varie regioni della terra, che non hanno ancora incontrato Gesù Cristo o lo conoscono soltanto in maniera parziale, chiedono di essere accolti in Paesi di antica tradizione cristiana. Nei loro confronti è necessario trovare adeguate modalità perché possano incontrare e conoscere Gesù Cristo e sperimentare il dono inestimabile della salvezza, che per tutti è sorgente di "vita in abbondanza" (cfr Gv 10,10); gli stessi migranti hanno un ruolo prezioso a questo riguardo poiché possono a loro volta diventare "annunciatori della Parola di Dio e testimoni di Gesù Risorto, speranza del mondo" (Esort. ap. Verbum Domini, 105).

Nell’impegnativo itinerario della nuova evangelizzazione, in ambito migratorio, assumono un ruolo decisivo gli Operatori pastorali – sacerdoti, religiosi e laici – che si trovano a lavorare sempre più in un contesto pluralista: in comunione con i loro Ordinari, attingendo al Magistero della Chiesa, li invito a cercare vie di fraterna condivisione e di rispettoso annuncio, superando contrapposizioni e nazionalismi. Da parte loro, le Chiese d’origine, quelle di transito e quelle d’accoglienza dei flussi migratori sappiano intensificare la loro cooperazione, a beneficio sia di chi parte sia di chi arriva e, in ogni caso, di chi ha bisogno di incontrare sul suo cammino il volto misericordioso di Cristo nell’accoglienza del prossimo. Per realizzare una fruttuosa pastorale di comunione, potrà essere utile aggiornare le tradizionali strutture di attenzione ai migranti e ai rifugiati, affiancandole a modelli che rispondano meglio alle mutate situazioni in cui si trovano a interagire culture e popoli diversi.

I rifugiati che chiedono asilo, fuggiti da persecuzioni, violenze e situazioni che mettono in pericolo la loro vita, hanno bisogno della nostra comprensione e accoglienza, del rispetto della loro dignità umana e dei loro diritti, nonché della consapevolezza dei loro doveri. La loro sofferenza invoca dai singoli Stati e dalla comunità internazionale che vi siano atteggiamenti di mutua accoglienza, superando timori ed evitando forme di discriminazione e che si provveda a rendere concreta la solidarietà anche mediante adeguate strutture di ospitalità e programmi di reinsediamento. Tutto ciò comporta un vicendevole aiuto tra le regioni che soffrono e quelle che già da anni accolgono un gran numero di persone in fuga e una maggiore condivisione delle responsabilità tra gli Stati.

La stampa e gli altri mezzi di comunicazione hanno un ruolo importante nel far conoscere, con correttezza, oggettività e onestà, la situazione di chi ha dovuto forzatamente lasciare la propria patria e i propri affetti e desidera iniziare a costruirsi una nuova esistenza.

Le comunità cristiane riservino particolare attenzione per i lavoratori migranti e le loro famiglie, attraverso l’accompagnamento della preghiera, della solidarietà e della carità cristiana; la valorizzazione di ciò che reciprocamente arricchisce, come pure la promozione di nuove progettualità politiche, economiche e sociali, che favoriscano il rispetto della dignità di ogni persona umana, la tutela della famiglia, l’accesso ad una dignitosa sistemazione, al lavoro e all’assistenza.

Sacerdoti, religiosi e religiose, laici e, soprattutto, giovani uomini e donne siano sensibili nell’offrire sostegno a tante sorelle e fratelli che, fuggiti dalla violenza, devono confrontarsi con nuovi stili di vita e difficoltà di integrazione. L’annuncio della salvezza in Gesù Cristo sarà fonte di sollievo, speranza e "gioia piena" (cfr Gv 15,11).

Desidero infine ricordare la situazione di numerosi studenti internazionali che affrontano problemi di inserimento, difficoltà burocratiche, disagi nella ricerca di alloggio e di strutture di accoglienza. In modo particolare le comunità cristiane siano sensibili verso tanti ragazzi e ragazze che, proprio per la loro giovane età, oltre alla crescita culturale, hanno bisogno di punti di riferimento e coltivano nel loro cuore una profonda sete di verità e il desiderio di incontrare Dio. In modo speciale, le Università di ispirazione cristiana siano luogo di testimonianza e d’irradiazione della nuova evangelizzazione, seriamente impegnate a contribuire, nell’ambiente accademico, al progresso sociale, culturale e umano, oltre che a promuovere il dialogo fra le culture, valorizzando l’apporto che possono dare gli studenti internazionali. Questi saranno spinti a diventare essi stessi attori della nuova evangelizzazione se incontreranno autentici testimoni del Vangelo ed esempi di vita cristiana.

Cari amici, invochiamo l’intercessione di Maria, "Madonna del cammino", perché l’annuncio gioioso della salvezza di Gesù Cristo porti speranza nel cuore di coloro che, lungo le strade del mondo, si trovano in condizioni di mobilità. A tutti assicuro la mia preghiera e imparto la Benedizione Apostolica.

Dal Vaticano, 21 Settembre 2011

BENEDICTUS PP. XVI

[01461-01.01] [Testo originale: Italiano]

TRADUZIONE IN LINGUA FRANCESE

Chers frères et sœurs !

Annoncer Jésus Christ unique Sauveur du monde «constitue la mission essentielle de l’Eglise, tâche et mission que les mutations vastes et profondes de la société actuelle ne rendent que plus urgentes » (Exhort. apost. Evangelii nuntiandi, n. 14). Aujourd’hui, nous ressentons même l’urgence de promouvoir, avec une force nouvelle et des modalités renouvelées, l’œuvre d’évangélisation dans un monde où l’élimination des frontières et les nouveaux processus de mondialisation rendent les personnes et les peuples encore plus proches, soit grâce au développement des moyens de communication, soit grâce à la fréquence et à la facilité avec lesquelles les déplacements de personnes et de groupes sont rendus possibles. Dans cette nouvelle situation, nous devons réveiller en chacun de nous l’enthousiasme et le courage qui poussèrent les premières communautés chrétiennes à être des annonciatrices intrépides de la nouveauté évangélique, en faisant retentir dans notre cœur les paroles de saint Paul: «Annoncer l’Evangile en effet n’est pas pour moi un titre de gloire; c’est une nécessité qui m’incombe. Oui, malheur à moi si je n’annonçais pas l’Evangile !» (1 Co 9, 16).

Le thème que j’ai choisi cette année pour la Journée mondiale du Migrant et du Réfugié - « Migrations et nouvelle évangélisation » - découle de cette réalité. En effet, le moment présent appelle l’Eglise à accomplir une nouvelle évangélisation également dans le phénomène vaste et complexe de la mobilité humaine, en intensifiant l’action missionnaire tant dans les régions de première annonce que dans les pays de tradition chrétienne.

Le bienheureux Jean-Paul II nous invitait à « nous nourrir de la Parole, pour que nous soyons des "serviteurs de la Parole" dans notre mission d’évangélisation... [dans] une situation qui se fait toujours plus diversifiée et plus prenante, dans le contexte de la mondialisation et de la mosaïque nouvelle et changeante de peuples et de cultures qui la caractérise » (Lett. apost. Novo millennio ineunte, n. 40). En effet, les migrations internes ou internationales, comme issue pour rechercher de meilleures conditions de vie ou pour fuir la menace de persécutions, de guerres, de la violence, de la faim et de catastrophes naturelles, ont produit un brassage de personnes et de peuples sans précédent, avec des problématiques nouvelles non seulement d’un point de vue humain, mais également éthique, religieux et spirituel. Les conséquences actuelles et évidentes de la sécularisation, l’apparition de nouveaux mouvements sectaires, l’insensibilité diffuse à l’égard de la foi chrétienne, la nette tendance à la fragmentation, rendent difficile de se concentrer sur une référence unifiante qui encourage la formation d’ « une seule famille de frères et sœurs dans des sociétés qui deviennent toujours plus multiethniques et interculturelles, où les personnes de diverses religions aussi sont encouragées au dialogue, afin que l’on puisse parvenir à une coexistence sereine et fructueuse dans le respect des différences légitimes », comme je l’écrivais dans le Message de l’an dernier pour cette Journée mondiale. Notre époque est marquée par des tentatives d’éliminer Dieu et l’enseignement de l’Eglise de l’horizon de la vie, tandis que progressent le doute, le scepticisme et l’indifférence, qui voudraient éliminer jusqu’à toute visibilité sociale et symbolique de la foi chrétienne.

Dans ce contexte, les migrants qui ont connu le Christ et l’ont accueilli sont souvent poussés à ne plus le considérer comme étant important dans leur vie, à perdre le sens de la foi, à ne plus se reconnaître comme faisant partie de l’Eglise et conduisent souvent une existence qui n’est plus marquée par le Christ et son Evangile. Ayant grandi au sein de peuples marqués par la foi chrétienne, ils émigrent souvent dans des pays où les chrétiens constituent une minorité ou dans lesquels l’antique tradition de foi n’est plus une conviction personnelle, ni une confession communautaire, mais est réduite à un fait culturel. Là, l’Eglise est placée face au défi d’aider les migrants à maintenir solide la foi, même lorsque manque l’appui culturel qui existait dans le pays d’origine, en identifiant également de nouvelles stratégies pastorales, ainsi que des méthodes et des langages pour un accueil toujours vital de la Parole de Dieu. Dans certains cas, il s’agit d’une occasion pour proclamer qu’en Jésus Christ, l’humanité participe du mystère de Dieu et de sa vie d’amour, est ouverte à un horizon d’espérance et de paix, notamment à travers le dialogue respectueux et le témoignage concret de la solidarité, tandis que dans d’autres cas, il existe la possibilité de réveiller la conscience chrétienne assoupie, à travers une annonce renouvelée de la Bonne Nouvelle et une vie chrétienne plus cohérente, de façon à faire redécouvrir la beauté de la rencontre avec le Christ, qui appelle le chrétien à la sainteté, où qu’il soit, même en terre étrangère.

Le phénomène migratoire actuel est également une occasion providentielle pour l’annonce de l’Evangile dans le monde contemporain. Des hommes et des femmes provenant de diverses régions de la terre, qui n’ont pas encore rencontré Jésus Christ ou ne le connaissent que de façon partielle, demandent à être accueillis dans des pays d’antique tradition chrétienne. Il est nécessaire de trouver à leur égard des modalités adéquates afin qu’ils puissent rencontrer et connaître Jésus Christ et faire l’expérience du don inestimable du salut, qui est pour tous source de « vie en abondance » (cf. Jn 10, 10); les migrants eux-mêmes peuvent jouer un rôle précieux à cet égard car ils peuvent devenir à leur tour « messagers de la Parole de Dieu et des témoins de Jésus Ressuscité, espérance du monde » (Exhort. apost. Verbum Domini, n. 105).

Sur l’itinéraire exigeant de la nouvelle évangélisation, dans le domaine migratoire, les agents de la pastorale - prêtres, religieux et laïcs - assument un rôle décisif et doivent œuvrer toujours plus dans un contexte pluraliste: en communion avec leurs Ordinaires, en puisant au Magistère de l’Eglise, je les invite à rechercher des chemins de partage fraternel et d’annonce respectueuse, en surmontant les oppositions et les nationalismes. Pour leur part, les Eglises d’origine, celles de transit et celles d’accueil des flux migratoires doivent savoir intensifier leur coopération, au bénéfice de ceux qui partent et de ceux qui arrivent, et, dans tous les cas, de ceux qui ont besoin de rencontrer sur leur chemin le visage miséricordieux du Christ dans l’accueil du prochain. Pour réaliser une pastorale fructueuse de communion, il pourra être utile de mettre à jour les structures traditionnelles d’attention aux migrants et aux réfugiés, en les accompagnant de modèles qui répondent mieux aux nouvelles situations dans lesquelles les cultures et les peuples divers interagissent.

Les réfugiés qui demandent asile, ayant fui les persécutions, les violences et les situations qui mettent leur vie en danger, ont besoin de notre compréhension et de notre accueil, du respect de leur dignité humaine et de leurs droits, tout comme de la prise de conscience de leurs devoirs. Leur souffrance exige de la part des Etats et de la communauté internationale des attitudes d’accueil réciproque, en surmontant les craintes et en évitant les formes de discrimination, et que l’on rende concrète la solidarité notamment à travers des structures d’accueil adéquates et des programmes de réinsertion. Tout cela comporte une aide réciproque entre les régions qui souffrent et celles qui accueillent déjà depuis des années un grand nombre de personnes en fuite, ainsi qu’un plus grand partage des responsabilités entre les Etats.

La presse et les autres moyens de communication ont un rôle important pour faire connaître de façon correcte, objective et honnête, la situation de ceux qui ont été contraints de quitter leur patrie et leurs êtres chers et qui veulent commencer à se construire une nouvelle existence.

Les communautés chrétiennes doivent accorder une attention particulière aux travailleurs migrants et à leurs familles, à travers l’accompagnement de la prière, de la solidarité et de la charité chrétienne; la valorisation de ce qui enrichit réciproquement, ainsi que la promotion de nouveaux programmes d’action politiques, économiques et sociaux, qui favorisent le respect de la dignité de chaque personne humaine, la protection de la famille, l’accès à un logement digne, à un travail et à une assistance.

Les prêtres, les religieux et les religieuses, les laïcs et surtout les jeunes hommes et femmes doivent faire preuve de sensibilité en offrant leur soutien à un grand nombre de frères et de sœurs qui, ayant fui la violence, doivent se confronter à de nouveaux styles de vie et à des difficultés d’intégration. L’annonce du salut en Jésus Christ sera une source de soulagement, d’espérance et de « joie pleine » (cf. Jn 15, 11).

Je désire enfin rappeler la situation de nombreux étudiants internationaux qui font face à des problèmes d’insertion, à des difficultés bureaucratiques, et à des obstacles dans la recherche de logement et de structures d’accueil. De façon particulière, les communautés chrétiennes doivent être sensibles à l’égard des nombreux jeunes garçons et filles qui, précisément en raison de leur jeune âge, outre la croissance culturelle, ont besoin de points de référence et cultivent dans leur cœur une profonde soif de vérité et le désir de rencontrer Dieu. De façon particulière, les universités d’inspiration chrétienne doivent être des lieux de témoignage et de diffusion de la nouvelle évangélisation, sérieusement engagés à contribuer, dans le milieu académique, au progrès social, culturel et humain, ainsi qu’à promouvoir le dialogue entre les cultures, en valorisant la contribution que peuvent apporter les étudiants internationaux. Ceux-ci seront poussés à devenir eux aussi des acteurs de la nouvelle évangélisation s’ils rencontrent d’authentiques témoins de l’Evangile et des exemples de vie chrétienne.

Chers amis, invoquons l’intercession de Marie, « Vierge du chemin », afin que l’annonce joyeuse du salut de Jésus Christ apporte l’espérance dans le cœur de ceux qui, le long des routes du monde, se trouvent dans des situations de mobilité. À tous j’assure ma prière et je donne la Bénédiction apostolique.

Du Vatican, le 21 septembre 2011

BENEDICTUS PP. XVI

[01461-03.02] [Texte original: Italien]

TRADUZIONE IN LINGUA INGLESE

Dear Brothers and Sisters,

Proclaiming Jesus Christ the one Saviour of the world "constitutes the essential mission of the Church. It is a task and mission which the vast and profound changes of present-day society make all the more urgent" (Evangelii Nuntiandi, 14). Indeed, today we feel the urgent need to give a fresh impetus and new approaches to the work of evangelization in a world in which the breaking down of frontiers and the new processes of globalization are bringing individuals and peoples even closer. This is both because of the development of the means of social communication and because of the frequency and ease with which individuals and groups can move about today. In this new situation we must reawaken in each one of us the enthusiasm and courage that motivated the first Christian communities to be undaunted heralds of the Gospel’s newness, making St Paul’s words resonate in our hearts: "For if I preach the gospel, that gives me no ground for boasting. For necessity is laid upon me. Woe to me if I do not preach the gospel!" (1 Cor 9:16).

"Migration and the New Evangelization" is the theme I have chosen this year for the World Day of Migrants and Refugees, and it arises from the aforesaid situation. The present time, in fact, calls upon the Church to embark on a new evangelization also in the vast and complex phenomenon of human mobility. This calls for an intensification of her missionary activity both in the regions where the Gospel is proclaimed for the first time and in countries with a Christian tradition.

Blessed John Paul II invited us to "nourish ourselves with the word in order to be ‘servants of the word’ in the work of evangelization ... [in] a situation which is becoming increasingly diversified and demanding, in the context of ‘globalization’ and of the consequent new and uncertain mingling of peoples and cultures" (Novo Millennio Ineunte, 40). Internal or international migration, in fact, as an opening in search of better living conditions or to flee from the threat of persecution, war, violence, hunger or natural disasters, has led to an unprecedented mingling of individuals and peoples, with new problems not only from the human standpoint but also from ethical, religious and spiritual ones. The current and obvious consequences of secularization, the emergence of new sectarian movements, widespread insensitivity to the Christian faith and a marked tendency to fragmentation are obstacles to focusing on a unifying reference that would encourage the formation of "one family of brothers and sisters in societies that are becoming ever more multiethnic and intercultural, where also people of various religions are urged to take part in dialogue, so that a serene and fruitful coexistence with respect for legitimate differences may be found", as I wrote in my Message last year for this World Day. Our time is marked by endeavours to efface God and the Church’s teaching from the horizon of life, while doubt, scepticism and indifference are creeping in, seeking to eliminate all the social and symbolic visibility of the Christian faith.

In this context migrants who have known and welcomed Christ are not infrequently constrained to consider him no longer relevant to their lives, to lose the meaning of their faith, no longer to recognize themselves as members of the Church, and often lead a life no longer marked by Christ and his Gospel. Having grown up among peoples characterized by their Christian faith they often emigrate to countries in which Christians are a minority or where the ancient tradition of faith, no longer a personal conviction or a community religion, has been reduced to a cultural fact. Here the Church is faced with the challenge of helping migrants keep their faith firm even when they are deprived of the cultural support that existed in their country of origin, and of identifying new pastoral approaches, as well as methods and expressions, for an ever vital reception of the Word of God. In some cases this is an opportunity to proclaim that, in Jesus Christ, humanity has been enabled to participate in the mystery of God and in his life of love. Humanity is also opened to a horizon of hope and peace, also through respectful dialogue and a tangible testimony of solidarity. In other cases there is the possibility of reawakening the dormant Christian conscience through a renewed proclamation of the Good News and a more consistent Christian life to enable people to rediscover the beauty of the encounter with Christ who calls Christians to holiness wherever they may be, even in a foreign land.

The phenomenon of migration today is also a providential opportunity for the proclamation of the Gospel in the contemporary world. Men and women from various regions of the earth who have not yet encountered Jesus Christ or know him only partially, ask to be received in countries with an ancient Christian tradition. It is necessary to find adequate ways for them to meet and to become acquainted with Jesus Christ and to experience the invaluable gift of salvation which, for everyone, is a source of "life in abundance" (cf. Jn 10:10); migrants themselves have a special role in this regard because they in turn can become "heralds of God’s word and witnesses to the Risen Jesus, the hope of the world" (Apostolic Exhortation Verbum Domini, 105).

Pastoral workers – priests, religious and lay people – play a crucial role in the demanding itinerary of the new evangelization in the context of migration. They work increasingly in a pluralist context: in communion with their Ordinaries, drawing on the Church’s Magisterium. I invite them to seek ways of fraternal sharing and respectful proclamation, overcoming opposition and nationalism. For their part, the Churches of origin, of transit and those that welcome the migration flows should find ways to increase their cooperation for the benefit both of those who depart and those who arrive, and, in any case, of those who, on their journey, stand in need of encountering the merciful face of Christ in the welcome given to one’s neighbour. To achieve a fruitful pastoral service of communion, it may be useful to update the traditional structures of care for migrants and refugees, by setting beside them models that respond better to the new situations in which different peoples and cultures interact with one another.

Asylum seekers, who fled from persecution, violence and situations that put their life at risk, stand in need of our understanding and welcome, of respect for their human dignity and rights, as well as awareness of their duties. Their suffering pleads with individual states and the international community to adopt attitudes of reciprocal acceptance, overcoming fears and avoiding forms of discrimination, and to make provisions for concrete solidarity also through appropriate structures for hospitality and resettlement programmes. All this entails mutual help between the suffering regions and those which, already for years, have accepted a large number of fleeing people, as well as a greater sharing of responsibilities among States.

The press and the other media have an important role in making known, correctly, objectively and honestly, the situation of those who have been forced to leave their homeland and their loved ones and want to start building a new life.

Christian communities are to pay special attention to migrant workers and their families by accompanying them with prayer, solidarity and Christian charity, by enhancing what is reciprocally enriching, as well as by fostering new political, economic and social planning that promotes respect for the dignity of every human person, the safeguarding of the family, access to dignified housing, to work and to welfare.

Priests, men and women religious, lay people, and most of all young men and women are to be sensitive in offering support to their many sisters and brothers who, having fled from violence, have to face new lifestyles and the difficulty of integration. The proclamation of salvation in Jesus Christ will be a source of relief, hope and "full joy" (cf. Jn 15:11).

Lastly, I would like to mention the situation of numerous international students who are facing problems of integration, bureaucratic difficulties, hardship in the search for housing and welcoming structures. Christian communities are to be especially sensitive to the many young men and women who, precisely because of their youth, need reference points in addition to cultural growth, and have in their hearts a profound thirst for truth and the desire to encounter God. Universities of Christian inspiration are to be, in a special way, places of witness and of the spread of the new evangelization, seriously committed to contributing to social, cultural and human progress in the academic milieu. They are also to promote intercultural dialogue and enhance the contribution that international students can give. If these students meet authentic Gospel witnesses and examples of Christian life, it will encourage them to become agents of the new evangelization.

Dear friends, let us invoke the intercession of Mary, "Our Lady of the Way", so that the joyful proclamation of salvation in Jesus Christ may bring hope to the hearts of those who are on the move on the roads of the world. To one and all I assure my prayers and impart my Apostolic Blessing.

From the Vatican, 21 September 2011

BENEDICTUS PP. XVI

[01461-02.02] [Original text: Italian]

TRADUZIONE IN LINGUA TEDESCA

Liebe Brüder und Schwestern!

Jesus Christus, den einzigen Retter der Welt, zu verkünden, ist »die wesentliche Sendung der Kirche …, eine Aufgabe und Sendung, die die umfassenden und tiefgreifenden Veränderungen der augenblicklichen Gesellschaft nur noch dringender machen« (Apostolisches Schreiben Evangelii nuntiandi, 14). Heute spüren wir sogar die dringende Notwendigkeit, mit neuer Kraft und in erneuerter Weise die Evangelisierungstätigkeit zu fördern, in einer Welt, in der die Aufhebung von Grenzen und die neuen Prozesse der Globalisierung die Personen und Völker einander noch stärker annähern, sowohl durch die Entwicklung der Kommunikationsmittel als auch durch die Häufigkeit und Leichtigkeit, mit denen einzelnen und Gruppen ein Ortwechsel ermöglicht wird. In dieser neuen Situation müssen wir in jedem von uns die Begeisterung und den Mut, die die ersten christlichen Gemeinden bewegt haben, die Neuheit des Evangeliums furchtlos zu verkünden, neu erwecken, indem wir in unserem Herzen die Worte des hl. Paulus widerhallen lassen: »Wenn ich nämlich das Evangelium verkünde, dann kann ich mich deswegen nicht rühmen; denn ein Zwang liegt auf mir. Weh mir, wenn ich das Evangelium nicht verkünde!« (1 Kor 9,16).

Das Thema, das ich in diesem Jahr für den Welttag des Migranten und Flüchtlings gewählt habe – »Migrationen und Neuevangelisierung« – entsteht aus dieser Wirklichkeit heraus. Denn die gegenwärtige Stunde ruft die Kirche auf, eine Neuevangelisierung durchzuführen, auch innerhalb des weiten und komplexen Phänomens der menschlichen Mobilität, und die Missionstätigkeit zu verstärken, sowohl in den Gebieten der Erstverkündigung als auch in den Ländern christlicher Tradition.

Der sel. Johannes Paul II. lädt uns ein, »uns vom Wort [zu] nähren, um im Bemühen um die Evangelisierung ›Diener des Wortes zu sein‹ …, [in einer Situation], die im Zusammenhang mit der Globalisierung und der neuen gegenseitigen Verflechtung von Völkern und Kulturen, die sie mit sich bringt, immer vielfältiger und anspruchsvoller wird« (Apostolisches Schreiben Novo millennio ineunte, 40). Denn die innerstaatlichen und internationalen Migrationen – auf der Suche nach besseren Lebensbedingungen oder um vor der Bedrohung durch Verfolgungen, Kriegen, Gewalt, Hunger und Naturkatastrophen zu fliehen – haben zu einer nie dagewesenen Mischung von Personen und Völkern geführt, mit neuen Problematiken nicht nur vom menschlichen, sondern auch vom ethischen, religiösen und geistlichen Gesichtspunkt her. Die gegenwärtigen offensichtlichen Folgen der Säkularisierung, das Aufkommen neuer sektiererischer Bewegungen, eine weitverbreitete Gleichgültigkeit gegenüber dem christlichen Glauben, eine deutliche Tendenz zur Zersplitterung machen es schwer, einen gemeinsamen Bezugspunkt ins Auge zu fassen, der dazu ermutigt, »eine einzige Menschheitsfamilie« zu bilden, »eine einzige Familie von Brüdern und Schwestern in Gesellschaften, die immer multiethnischer und interkultureller werden, wo auch die Personen unterschiedlicher Religion zum Dialog geführt werden, um zu einem friedlichen und fruchtbaren Zusammenleben zu gelangen, unter Achtung der legitimen Unterschiede«, wie ich im vergangenen Jahr in der Botschaft zu diesem Welttag geschrieben habe. Unsere Zeit ist geprägt von Versuchen, Gott und die Lehre der Kirche aus dem Horizont des Lebens zu entfernen, während Zweifel, Skepsis und Gleichgültigkeit sich breitmachen, die sogar jegliche gesellschaftliche und symbolische Sichtbarkeit des christlichen Glaubens auslöschen möchten.

In diesem Zusammenhang werden die Migranten, die Christus kennengelernt und ihn angenommen haben, nicht selten dahin gebracht, ihm im eigenen Leben als nicht mehr relevant zu betrachten, den Sinn für den Glauben zu verlieren, sich nicht mehr als Teil der Kirche zu verstehen, und oft führen sie ein Leben, das nicht mehr von Christus und von seinem Evangelium geprägt ist. In Völkern aufgewachsen, die vom christlichen Glauben geprägt sind, wandern sie oft in Länder aus, in denen die Christen in der Minderheit sind oder wo die überkommene Glaubenstradition keine persönliche Überzeugung und kein gemeinsames Bekenntnis mehr ist, sondern zu einem kulturellen Faktor reduziert wurde. Hier steht die Kirche vor der Herausforderung, den Migranten zu helfen, am Glauben festzuhalten, selbst wenn der kulturelle Halt fehlt, der in der Heimat vorhanden war, auch durch die Auffindung immer neuer pastoraler Strategien sowie von Methoden und Sprachen für eine stets lebendige Annahme des Wortes Gottes. In einigen Fällen handelt es sich um eine Gelegenheit zu verkünden, daß die Menschheit in Jesus Christus des Geheimnisses Gottes und seines Lebens der Liebe teilhaftig und auf einen Horizont der Hoffnung und des Friedens hin geöffnet wird, auch durch den respektvollen Dialog und das konkrete Zeugnis der Solidarität. In anderen Fällen wiederum gibt es die Möglichkeit, das eingeschlafene christliche Gewissen durch eine erneuerte Verkündigung der Frohbotschaft und ein konsequenteres christliches Leben zu wecken, um die Schönheit der Begegnung mit Christus wiederzuentdecken, der den Christen zur Heiligkeit beruft, wo immer er sich befindet, auch in der Fremde.

Das gegenwärtige Migrationsphänomen ist auch eine von der Vorsehung geschenkte Gelegenheit für die Verkündigung des Evangeliums in der heutigen Welt. Männer und Frauen aus verschiedenen Teilen der Erde, die Jesus Christus noch nicht begegnet sind oder ihn nur bruchstückhaft kennen, bitten in Ländern alter christlicher Tradition um Aufnahme. Ihnen gegenüber müssen angemessene Wege gefunden werden, damit sie Jesus Christus begegnen und kennenlernen und das unschätzbare Geschenk des Heils erfahren können, das für alle Menschen Quelle des »Lebens in Fülle« ist (vgl. Joh 10,10). Den Migranten kommt in diesem Zusammenhang eine wertvolle Rolle zu, denn sie können »selbst Verkündiger des Wortes Gottes und Zeugen des auferstandenen Jesus, der Hoffnung der Welt, werden« (Apostolisches Schreiben Verbum Domini, 105).

Auf dem anspruchsvollen Weg der Neuevangelisierung kommt im Umfeld der Migranten den Mitarbeitern in der Pastoral – Priestern, Ordensleuten und Laien –, deren Arbeit immer mehr in einem pluralistischen Kontext stattfindet, eine entscheidende Rolle zu: Ich lade sie ein, in Gemeinschaft mit ihren Ortsbischöfen und aus dem Lehramt der Kirche schöpfend Wege des brüderlichen Miteinanders und der respektvollen Verkündigung zu suchen und Gegensätze und Nationalismen zu überwinden. Die Kirchen der Ursprungsländer, der Durchzugsländer und der Aufnahmeländer der Migrationsströme sollten ihrerseits ihre Zusammenarbeit vertiefen, zum Nutzen der Aufbrechenden ebenso wie der Ankommenden und in jedem Fall derer, die auf ihrem Weg der Begegnung mit dem erbarmenden Antlitz Christi in der Aufnahme des Nächsten bedürfen. Zur Umsetzung einer fruchtbringenden Pastoral der Gemeinschaft kann es nützlich sein, die traditionellen Hilfsstrukturen für Migranten und Flüchtlingen zu erneuern und ihnen Modelle zur Seite zu stellen, die den veränderten Situationen, in denen unterschiedliche Kulturen und Völker miteinander leben und handeln, besser entsprechen.

Die Flüchtlinge, die um Asyl bitten und vor Verfolgung, Gewalt und lebensbedrohlichen Situationen geflohen sind, brauchen unser Verständnis und unsere Aufnahmebereitschaft, die Achtung ihrer Menschenwürde und ihrer Rechte, und sie müssen sich auch ihrer Pflichten bewußt sein. Ihr Leiden ruft die einzelnen Staaten und die internationale Gemeinschaft auf, eine Haltung gegenseitiger Annahme einzunehmen, Ängste zu überwinden und Diskriminierungen zu vermeiden sowie für eine konkrete Umsetzung der Solidarität zu sorgen, auch durch geeignete Aufnahmestrukturen und Umsiedlungspläne. All das beinhaltet auch die gegenseitige Hilfe zwischen den leidgeplagten Regionen und denen, die schon jahrelang zahlreiche Menschen auf der Flucht aufnehmen, sowie die Übernahme größerer gemeinsamer Verantwortung von seiten der Staaten.

Der Presse und den anderen Kommunikationsmitteln kommt die wichtige Aufgabe zu, korrekt, objektiv und aufrichtig über die Situation derer zu berichten, die gezwungen waren, ihre Heimat und ihre Angehörigen zu verlassen, und beginnen möchten, eine neue Existenz aufzubauen.

Die christlichen Gemeinden sollen den Arbeitsmigranten und ihren Familien besondere Aufmerksamkeit entgegenbringen, durch die Begleitung in Gebet, Solidarität und christlicher Nächstenliebe; durch die Wertschätzung dessen, was der gegenseitigen Bereicherung dient; und durch die Unterstützung neuer politischer, wirtschaftlicher und sozialer Projekte, die die Achtung der Würde jeder menschlichen Person, den Schutz der Familie, den Zugang zu angemessener Unterbringung, zu Arbeit und Hilfeleistungen fördern.

Priester, Ordensmänner und Ordensfrauen, Laien und vor allem junge Männer und Frauen sollen gegenüber den vielen Schwestern und Brüdern, die vor der Gewalt geflohen sind und neuen Lebensstilen und Integrationsschwierigkeiten gegenüberstehen, Einfühlsamkeit zeigen und ihnen Unterstützung anbieten. Die Verkündigung des Heils in Jesus Christus soll Quelle der Erleichterung, der Hoffnung und der »vollkommenen Freude« sein (vgl. Joh 15,11).

Abschließend möchte ich an die Situation zahlreicher internationaler Studenten erinnern, die mit Eingliederungsproblemen, bürokratischen Schwierigkeiten und Beschwernissen auf der Suche nach Unterkunft und Begegnungsstätten konfrontiert sind. Die christlichen Gemeinden sollten besonders einfühlsam sein gegenüber den vielen jungen Männern und Frauen, die aufgrund ihres jugendlichen Alters nicht nur kulturelles Wachstum, sondern darüber hinaus auch Bezugspunkte brauchen, und die in ihrem Herzen ein tiefes Verlangen nach der Wahrheit hegen und den Wunsch haben, Gott zu begegnen. Insbesondere die christlich orientierten Universitäten sollen Orte des Zeugnisses sein, von denen die Neuevangelisierung ausstrahlt. Sie sollten sich ernsthaft darum bemühen, im akademischen Bereich zum sozialen, kulturellen und menschlichen Fortschritt beizutragen und darüber hinaus den Dialog zwischen den Kulturen zu fördern und dem Beitrag, den die internationalen Studenten leisten können, Wertschätzung entgegenzubringen. Wenn sie echten Zeugen des Evangeliums und Vorbildern christlichen Lebens begegnen, wird es sie anspornen, selbst zu Handlungsträgern der Neuevangelisierung zu werden.

Liebe Freunde, bitten wir um die Fürsprache Marias, »Unsere Liebe Frau vom Weg«, auf daß die freudige Verkündigung des Heils Jesu Christi Hoffnung bringe in die Herzen derer, die auf den Straßen der Welt unterwegs sind. Allen sichere ich mein Gebet zu und erteile ihnen den Apostolischen Segen.

Aus dem Vatikan, am 21. September 2011

BENEDICTUS PP. XVI

[01461-05.02] [Originalsprache: Italienisch]

TRADUZIONE IN LINGUA SPAGNOLA

Queridos hermanos y hermanas:

Anunciar a Jesucristo, único Salvador del mundo, «constituye la misión esencial de la Iglesia; una tarea y misión que los cambios amplios y profundos de la sociedad actual hacen cada vez más urgentes» (Exhortación apostólica Evangelii nuntiandi, 14). Más aún, hoy notamos la urgencia de promover, con nueva fuerza y modalidades renovadas, la obra de evangelización en un mundo en el que la desaparición de las fronteras y los nuevos procesos de globalización acercan aún más las personas y los pueblos, tanto por el desarrollo de los medios de comunicación como por la frecuencia y la facilidad con que se llevan a cabo los desplazamientos de individuos y de grupos. En esta nueva situación debemos despertar en cada uno de nosotros el entusiasmo y la valentía que impulsaron a las primeras comunidades cristianas a anunciar con ardor la novedad evangélica, haciendo resonar en nuestro corazón las palabras de san Pablo: «El hecho de predicar no es para mí motivo de orgullo. No tengo más remedio y, ¡ay de mí si no anuncio el Evangelio!» (1 Co 9,16).

El tema que he elegido este año para la Jornada mundial del emigrante y del refugiado – Migraciones y nueva evangelización – nace de esta realidad. En efecto, el momento actual llama a la Iglesia a emprender una nueva evangelización también en el vasto y complejo fenómeno de la movilidad humana, intensificando la acción misionera, tanto en las regiones de primer anuncio como en los países de tradición cristiana.

El beato Juan Pablo II nos invitaba a «alimentarnos de la Palabra para ser "servidores de la Palabra" en el compromiso de la evangelización…, [en una situación] que cada vez es más variada y comprometedora, en el contexto de la globalización y de la nueva y cambiante mezcla de pueblos y culturas que la caracteriza» (Carta apostólica Novo millennio ineunte, 40). En efecto, las migraciones internas o internacionales realizadas en busca de mejores condiciones de vida o para escapar de la amenaza de persecuciones, guerras, violencia, hambre y catástrofes naturales, han producido una mezcla de personas y de pueblos sin precedentes, con problemáticas nuevas no solo desde un punto de vista humano, sino también ético, religioso y espiritual. Como escribí en el Mensaje del año pasado para esta Jornada mundial, las consecuencias actuales y evidentes de la secularización, la aparición de nuevos movimientos sectarios, una insensibilidad generalizada con respecto a la fe cristiana y una marcada tendencia a la fragmentación hacen difícil encontrar una referencia unificadora que estimule la formación de «una sola familia de hermanos y hermanas en sociedades que son cada vez más multiétnicas e interculturales, donde también las personas de diversas religiones se ven impulsadas al diálogo, para que se pueda encontrar una convivencia serena y provechosa en el respeto de las legítimas diferencias». Nuestro tiempo está marcado por intentos de borrar a Dios y la enseñanza de la Iglesia del horizonte de la vida, mientras crece la duda, el escepticismo y la indiferencia, que querrían eliminar incluso toda visibilidad social y simbólica de la fe cristiana.

En este contexto, los inmigrantes que han conocido a Cristo y lo han acogido son inducidos con frecuencia a no considerarlo importante en su propia vida, a perder el sentido de la fe, a no reconocerse como parte de la Iglesia, llevando una vida que a menudo ya no está impregnada de Cristo y de su Evangelio. Crecidos en el seno de pueblos marcados por la fe cristiana, a menudo emigran a países donde los cristianos son una minoría o donde la antigua tradición de fe ya no es una convicción personal ni una confesión comunitaria, sino que se ha visto reducida a un hecho cultural. Aquí la Iglesia afronta el desafío de ayudar a los inmigrantes a mantener firme su fe, aun cuando falte el apoyo cultural que existía en el país de origen, buscando también nuevas estrategias pastorales, así como métodos y lenguajes para una acogida siempre viva de la Palabra de Dios. En algunos casos se trata de una ocasión para proclamar que en Jesucristo la humanidad participa del misterio de Dios y de su vida de amor, se abre a un horizonte de esperanza y paz, incluso a través del diálogo respetuoso y del testimonio concreto de la solidaridad, mientras que en otros casos existe la posibilidad de despertar la conciencia cristiana adormecida a través de un anuncio renovado de la Buena Nueva y de una vida cristiana más coherente, para ayudar a redescubrir la belleza del encuentro con Cristo, que llama al cristiano a la santidad dondequiera que se encuentre, incluso en tierra extranjera.

El actual fenómeno migratorio es también una oportunidad providencial para el anuncio del Evangelio en el mundo contemporáneo. Hombres y mujeres provenientes de diversas regiones de la tierra, que aún no han encontrado a Jesucristo o lo conocen solamente de modo parcial, piden ser acogidos en países de antigua tradición cristiana. Es necesario encontrar modalidades adecuadas para ellos, a fin de que puedan encontrar y conocer a Jesucristo y experimentar el don inestimable de la salvación, fuente de «vida abundante» para todos (cf. Jn 10,10); a este respecto, los propios inmigrantes tienen un valioso papel, puesto que pueden convertirse a su vez en «anunciadores de la Palabra de Dios y testigos de Jesús resucitado, esperanza del mundo» (Exhortación apostólica Verbum Domini, 105).

En el comprometedor itinerario de la nueva evangelización en el ámbito migratorio, desempeñan un papel decisivo los agentes pastorales – sacerdotes, religiosos y laicos –, que trabajan cada vez más en un contexto pluralista: en comunión con sus Ordinarios, inspirándose en el Magisterio de la Iglesia, los invito a buscar caminos de colaboración fraterna y de anuncio respetuoso, superando contraposiciones y nacionalismos. Por su parte, las Iglesias de origen, las de tránsito y las de acogida de los flujos migratorios intensifiquen su cooperación, tanto en beneficio de quien parte como, de quien llega y, en todo caso, de quien necesita encontrar en su camino el rostro misericordioso de Cristo en la acogida del prójimo. Para realizar una provechosa pastoral de comunión puede ser útil actualizar las estructuras tradicionales de atención a los inmigrantes y a los refugiados, asociándolas a modelos que respondan mejor a las nuevas situaciones en que interactúan culturas y pueblos diversos.

Los refugiados que piden asilo, tras escapar de persecuciones, violencias y situaciones que ponen en peligro su propia vida, tienen necesidad de nuestra comprensión y acogida, del respeto de su dignidad humana y de sus derechos, así como del conocimiento de sus deberes. Su sufrimiento reclama de los Estados y de la comunidad internacional que haya actitudes de acogida mutua, superando temores y evitando formas de discriminación, y que se provea a hacer concreta la solidaridad mediante adecuadas estructuras de hospitalidad y programas de reinserción. Todo esto implica una ayuda recíproca entre las regiones que sufren y las que ya desde hace años acogen a un gran número de personas en fuga, así como una mayor participación en las responsabilidades por parte de los Estados.

La prensa y los demás medios de comunicación tienen una importante función al dar a conocer, con exactitud, objetividad y honradez, la situación de quienes han debido dejar forzadamente su patria y sus seres queridos y desean empezar una nueva vida.

Las comunidades cristianas han de prestar una atención particular a los trabajadores inmigrantes y a sus familias, a través del acompañamiento de la oración, de la solidaridad y de la caridad cristiana; la valoración de lo que enriquece recíprocamente, así como la promoción de nuevos programas políticos, económicos y sociales, que favorezcan el respeto de la dignidad de toda persona humana, la tutela de la familia y el acceso a una vivienda digna, al trabajo y a la asistencia.

Los sacerdotes, los religiosos y las religiosas, los laicos y, sobre todo, los hombres y las mujeres jóvenes han de ser sensibles para ofrecer apoyo a tantas hermanas y hermanos que, habiendo huido de la violencia, deben afrontar nuevos estilos de vida y dificultades de integración. El anuncio de la salvación en Jesucristo será fuente de alivio, de esperanza y de «alegría plena» (cf. Jn 15,11).

Por último, deseo recordar la situación de numerosos estudiantes internacionales que afrontan problemas de inserción, dificultades burocráticas, inconvenientes en la búsqueda de vivienda y de estructuras de acogida. De modo particular, las comunidades cristianas han de ser sensibles respecto a tantos muchachos y muchachas que, precisamente por su joven edad, además del crecimiento cultural, necesitan puntos de referencia y cultivan en su corazón una profunda sed de verdad y el deseo de encontrar a Dios. De modo especial, las Universidades de inspiración cristiana han de ser lugares de testimonio y de irradiación de la nueva evangelización, seriamente comprometidas a contribuir en el ambiente académico al progreso social, cultural y humano, además de promover el diálogo entre las culturas, valorizando la aportación que pueden dar los estudiantes internacionales. Estos se sentirán alentados a convertirse ellos mismos en protagonistas de la nueva evangelización si encuentran auténticos testigos del Evangelio y ejemplos de vida cristiana.

Queridos amigos, invoquemos la intercesión de María, Virgen del Camino, para que el anuncio gozoso de salvación de Jesucristo lleve esperanza al corazón de quienes se encuentran en condiciones de movilidad por los caminos del mundo. Aseguro todos mi oración, impartiendo la Bendición Apostólica.

Vaticano, 21 de septiembre de 2011

BENEDICTUS PP. XVI

[01461-04.02] [Texto original: Italiano]

TRADUZIONE IN LINGUA PORTOGHESE

Queridos Irmãos e Irmãs!

Anunciar Jesus Cristo, único Salvador do mundo, «constitui a missão essencial da Igreja, tarefa e missão, que as amplas e profundas mudanças da sociedade actual tornam ainda mais urgentes» (Exort. apost. Evangelii nuntiandi, 14). Aliás, hoje, sentimos a urgência de promover, com novo vigor e novas modalidades, a obra de evangelização num mundo onde a queda das fronteiras e os novos processos de globalização deixaram as pessoas e os povos ainda mais próximos, tanto pela expansão dos meios de comunicação, como pela frequência e a facilidade com que indivíduos e grupos se podem deslocar. Nesta nova situação, devemos despertar em cada um de nós o entusiasmo e a coragem que impeliram as primeiras comunidades cristãs a ser intrépidas anunciadoras da novidade evangélica, fazendo ressoar no nosso coração as palavras de São Paulo: «Se anuncio o Evangelho, não tenho de que me gloriar, é antes uma obrigação que me foi imposta: ai de mim, se eu não evangelizar!» (1 Cor 9,16).

O tema, que escolhi para o Dia Mundial do Migrante e do Refugiado em 2012 – «Migrações e nova evangelização» –, nasce desta realidade. De facto, a hora presente chama a Igreja a realizar uma nova evangelização inclusive no vasto e complexo fenómeno da mobilidade humana, intensificando a acção missionária tanto nas regiões de primeiro anúncio, como nos países de tradição cristã.

O Beato João Paulo II convidava-nos a «alimentar-nos da Palavra para sermos "servos da Palavra" no trabalho da evangelização... [numa] situação que se vai tornando cada vez mais variada e difícil com a progressiva mistura de povos e culturas que caracteriza o novo contexto da globalização» (Carta apost. Novo millennio ineunte, 40). Com efeito, as migrações dentro ou para fora da nação, como solução para a busca de melhores condições de vida ou para fugir de eventuais perseguições, guerras, violência, fome e catástrofes naturais, produziram uma mistura de pessoas e de povos sem precedentes, com novas problemáticas do ponto de vista não só humano, mas também ético, religioso e espiritual. As actuais e palpáveis consequências da secularização, a aparição de novos movimentos sectários, uma difundida insensibilidade à fé cristã, uma acentuada tendência à fragmentação, tornam difícil focalizar uma referência unificadora que encoraje a formação de «uma só família de irmãos e irmãs em sociedades que se tornam cada vez mais multiétnicas e interculturais, onde também as pessoas de várias religiões são estimuladas ao diálogo, para que se possa encontrar uma serena e frutuosa convivência no respeito das legítimas diferenças», como eu escrevia na Mensagem do ano passado para este Dia Mundial. O nosso tempo está marcado por tentativas de cancelar Deus e a doutrina da Igreja do horizonte da vida, enquanto ganham terreno a dúvida, o cepticismo e a indiferença, que gostariam de eliminar todo e qualquer referimento social e simbólico da fé cristã.

Em tal contexto, sucede frequentemente que os migrantes que conheceram Cristo e O aceitaram se sintam impelidos a considerá-Lo como não relevante na própria vida, a perder o sentido da fé, a deixar de se reconhecerem como parte da Igreja, acabando muitas vezes por viverem uma existência que já não é caracterizada por Cristo e pelo seu Evangelho. Cresceram no seio de povos marcados pela fé cristã, mas depois com frequência emigram para países onde os cristãos são uma minoria ou a antiga tradição de fé já não é convicção pessoal, nem confissão comunitária, mas está reduzida a um facto cultural. Aqui a Igreja enfrenta o desafio de ajudar os migrantes a manterem firme a fé, mesmo quando falta o apoio cultural que existia no país de origem, lançando mão inclusive de novas estratégias pastorais, assim como de métodos e linguagens para um acolhimento vivo da Palavra de Deus. Em alguns casos, trata-se duma ocasião para proclamar que, em Jesus Cristo, a humanidade se torna participante do mistério de Deus e da sua vida de amor, abrindo-se a um horizonte de esperança e de paz através, nomeadamente, do diálogo respeitoso e do testemunho concreto da solidariedade, enquanto, noutros casos, há a possibilidade de despertar a consciência cristã adormecida, através dum renovado anúncio da Boa Nova e duma vida cristã mais coerente para fazer descobrir a beleza do encontro com Cristo, que chama o cristão à santidade em todo o lado, mesmo em terra estrangeira.

Mas o actual fenómeno migratório é também uma oportunidade providencial para o anúncio do Evangelho no mundo contemporâneo. Homens e mulheres provenientes das mais diversas regiões da terra, que ainda não encontraram Jesus Cristo ou que O conhecem só de maneira parcial, pedem para ser acolhidos em países de antiga tradição cristã. Em relação a eles, é necessário encontrar modalidades adequadas para que possam encontrar e conhecer Jesus Cristo e experimentar o dom inestimável da salvação, que para todos é fonte de «vida em abundância» (cf. Jo 10,10); os próprios migrantes desempenham um papel precioso a este respeito, porque podem, por sua vez, tornar-se «anunciadores da Palavra de Deus e testemunhas do Senhor Ressuscitado, esperança do mundo» (Exort. apost. Verbum Domini, 105).

No exigente itinerário da nova evangelização em âmbito migratório, assumem um papel decisivo os agentes pastorais – sacerdotes, religiosos e leigos – que se encontram a trabalhar num contexto cada vez mais pluralista: em comunhão com os seus Ordinários, inspirando-se no Magistério da Igreja, convido-os a procurar caminhos de partilha fraterna e anúncio respeitoso, superando contrastes e nacionalismos. Por sua vez, as Igrejas tanto de proveniência, como de trânsito e de acolhimento dos fluxos migratórios saibam intensificar a sua cooperação em benefício tanto dos que partem como daqueles que chegam e, em todo o caso, de quantos têm necessidade de encontrar no seu caminho o rosto misericordioso de Cristo no acolhimento do próximo. Para uma frutuosa pastoral de comunhão, poderá ser útil actualizar as tradicionais estruturas que atendem os migrantes e os refugiados, dotando-as de modelos que correspondam melhor às novas situações em que aparecem diferentes culturas e povos a interagir.

Os refugiados que pedem asilo, fugindo de perseguições, violências e situações que põem em perigo a sua vida, têm necessidade da nossa compreensão e acolhimento, do respeito pela sua dignidade humana e seus direitos, assim como da consciência dos seus deveres. O seu sofrimento reclama dos diversos Estados e da comunidade internacional que haja atitudes de mútuo acolhimento, superando temores e evitando formas de discriminação e que se procure tornar concreta a solidariedade também mediante adequadas estruturas de hospitalidade e programas de reinserção. Tudo isto exige uma ajuda recíproca entre as regiões que sofrem e aquelas que, anos após anos, acolhem um grande número de pessoas em fuga e também uma maior partilha de responsabilidades entre os Estados.

A imprensa e os outros meios de comunicação desempenham um papel importante para fazer conhecer, com imparcialidade, objectividade e honestidade, a situação de quantos foram forçados a deixar a sua pátria e os seus afectos e desejam começar a construir uma nova existência.

As comunidades cristãs reservem particular atenção aos trabalhadores migrantes e suas famílias, acompanhando-os com a oração, a solidariedade e a caridade cristã; valorizando aquilo que enriquece reciprocamente e promovendo novos projectos políticos, económicos e sociais, que favoreçam o respeito pela dignidade de cada pessoa, a tutela da família, o acesso a uma habitação condigna, ao trabalho e à assistência.

Sacerdotes, religiosos e religiosas, leigos, e sobretudo os jovens e as jovens, mostrem-se sensíveis e ajudem incontáveis irmãs e irmãos que, tendo fugido da violência, se devem confrontar com novos estilos de vida e com dificuldades de integração. O anúncio da salvação em Jesus Cristo será fonte de alívio, esperança e «alegria completa» (cf. Jo 15,11).

Por fim, desejo recordar a situação de numerosos estudantes vindos de outros países que enfrentam problemas de inserção, dificuldades burocráticas, aflições na busca de alojamento e de estruturas de acolhimento. De modo particular, as comunidades cristãs mostrem-se sensíveis com tantos jovens que, além do crescimento cultural, têm necessidade – precisamente devido à sua tenra idade – de pontos de referência, cultivando no seu coração uma profunda sede de verdade e o desejo de encontrar Deus. De modo especial, as Universidades de inspiração cristã sejam lugares de testemunho e de irradiação da nova evangelização, aparecendo seriamente comprometidas, no ambiente académico, não só em cooperar para o progresso social, cultural e humano, mas também em promover o diálogo entre as culturas, valorizando a contribuição que podem dar os estudantes estrangeiros. Estes sentir-se-ão impelidos a tornar-se, eles mesmos, protagonistas da nova evangelização, se encontrarem testemunhas autênticas do Evangelho e modelos de vida cristã.

Queridos amigos, invoquemos a intercessão de «Nossa Senhora do Caminho», para que o anúncio jubiloso da salvação de Jesus Cristo infunda esperança no coração daqueles que se encontram, em condições de mobilidade, pelas estradas do mundo. A todos asseguro a minha oração e concedo a Bênção Apostólica.

Vaticano, 21 de Setembro de 2011.

BENEDICTUS PP. XVI

[01461-06.02] [Texto original: Italiano]

TRADUZIONE IN LINGUA POLACCA

Drodzy bracia i siostry!

Głoszenie Jezusa Chrystusa, jedynego Zbawiciela świata, «jest pierwszorzędnym (…) posłannictwem Kościoła; nakaz ten i posłannictwo zobowiązuje tym bardziej w dobie wielkich i poważnych przemian w dzisiejszym społeczeństwie» (adhort. apost. Evangelii nuntiandi, 14). Dziś odczuwamy wręcz pilną potrzebę prowadzenia z nową mocą i w odnowiony sposób dzieła ewangelizacji w świecie, w którym zniesienie granic oraz nowe procesy globalizacyjne jeszcze bardziej zbliżają osoby i narody, czy to dzięki rozwojowi środków przekazu, czy ze względu na możliwości częstego i łatwego przemieszczania się pojedynczych osób i grup. W tej nowej sytuacji musimy rozbudzić w sobie, każdy z nas, taki entuzjazm i odwagę, jakie pozwoliły pierwszym wspólnotom chrześcijańskim nieustraszenie głosić ewangeliczną nowość, powtarzając w swym sercu słowa św. Pawła: «Nie jest dla mnie powodem do chluby to, że głoszę Ewangelię. Świadom jestem ciążącego na mnie obowiązku. Biada mi bowiem, gdybym nie głosił Ewangelii!» (1 Kor 9, 16).

Temat Światowego Dnia Migranta i Uchodźcy, który wybrałem w tym roku – «Migracje a nowa ewangelizacja» – zainspirowany jest tą rzeczywistością. Obecne czasy wymagają bowiem od Kościoła prowadzenia nowej ewangelizacji z uwzględnieniem także rozległego i złożonego zjawiska przemieszczania się ludności, poprzez wzmożenie działalności misyjnej zarówno na obszarach, gdzie Ewangelia jest głoszona po raz pierwszy, jak i w krajach o tradycji chrześcijańskiej.

Błogosławiony Jan Paweł II zachęcał nas, aby «karmić się słowem, aby być 'sługami Słowa' w dziele ewangelizacji (…) [w sytuacji], która staje się coraz trudniejsza i bardziej zróżnicowana w związku z globalizacją oraz powstawaniem nowych i zmiennych współzależności między narodami i kulturami» (list apost. Novo millennio ineunte, 40). Migracje wewnętrzne czy do innych krajów – jako sposób poszukiwania lepszych warunków życia lub ucieczka przed groźbą prześladowań, wojen, przemocy, głodu i klęsk żywiołowych – doprowadziły bowiem do nie mającego precedensu wymieszania osób i narodów, rodząc nowe problemy z punktu widzenia nie tylko ludzkiego, ale także etycznego, religijnego i duchowego. Obecne, wyraźnie widoczne skutki sekularyzacji, pojawianie się nowych ruchów sekciarskich, rozpowszechnione zobojętnienie na wiarę chrześcijańską, wyraźna tendencja do fragmentaryczności utrudniają znalezienie jednoczącego punktu odniesienia, który sprzyjałby powstaniu «jednej rodziny braci i sióstr w społeczeństwach, które stają się coraz bardziej wieloetniczne i wielokulturowe, w których także osoby wyznające różne religie dążą do dialogu, aby możliwe było spokojne i owocne współżycie przy poszanowaniu uprawnionych różnic», jak napisałem w ubiegłorocznym Orędziu na ten Światowy Dzień. Znamienne dla naszych czasów są próby usunięcia Boga i nauczania Kościoła z horyzontu życia, podczas gdy szerzą się zwątpienie, sceptycyzm i obojętność, usiłujące nawet wyeliminować wszelkie przejawy społeczne i symboliczne wiary chrześcijańskiej.

W takiej sytuacji migranci, którzy poznali Chrystusa i Go przyjęli, nierzadko skłonni są nie uznawać Go już za ważnego w ich życiu, zagubić sens wiary, nie uważać się już za część Kościoła i często prowadzą życie, w którym nie ma już Chrystusa i Jego Ewangelii. Wyrośli oni wśród ludów naznaczonych przez wiarę chrześcijańską, a często emigrują do krajów, w których chrześcijanie są mniejszością bądź gdzie dawna tradycja wiary przestała być osobistym przekonaniem czy wyznaniem społeczności, a stała się po prostu faktem kulturowym. W tej sytuacji wyzwaniem dla Kościoła staje się niesienie pomocy migrantom w zachowaniu mocnej wiary, także wtedy, gdy brakuje im oparcia, które mieli w kulturze kraju pochodzenia, a także wypracowanie nowych strategii duszpasterskich oraz metod i języków, sprzyjających istotnej rzeczy, jaką jest przyjmowanie Słowa Bożego. W niektórych przypadkach jest to okazja do głoszenia, że w Jezusie Chrystusie ludzkość dostąpiła udziału w tajemnicy Boga i Jego życiu miłości, co otwiera przed nią perspektywę nadziei i pokoju, także dzięki pełnemu szacunku dialogowi i konkretnemu świadectwu solidarności, natomiast w innych przypadkach możliwe jest rozbudzenie uśpionego sumienia chrześcijańskiego poprzez odnowione głoszenie Dobrej Nowiny i bardziej konsekwentne życie chrześcijańskie, aby umożliwić odkrycie na nowo piękna spotkania z Chrystusem, który powołuje chrześcijanina do świętości, gdziekolwiek on się znajduje, także na obcej ziemi.

Dzisiejsze zjawisko migracji jest także opatrznościową sposobnością do głoszenia Ewangelii we współczesnym świecie. Ludzie przybywający z różnych regionów ziemi, którzy jeszcze nie spotkali Jezusa Chrystusa albo znają Go tylko wyrywkowo, proszą o gościnę w krajach o dawnej tradycji chrześcijańskiej. Konieczne jest znalezienie odpowiednich sposobów, aby mogli oni spotkać i poznać Jezusa Chrystusa i doświadczyć, czym jest nieoceniony dar zbawienia, który dla wszystkich jest źródłem «życia w obfitości» (por. J 10, 10); sami migranci mogą w tym względzie odegrać cenną rolę, gdyż oni z kolei mogą stać się «zwiastunami słowa Bożego i świadkami zmartwychwstałego Jezusa, nadziei świata» (adhort. apost. Verbum Domini, 105).

W trudnym dziele nowej ewangelizacji w środowisku migracyjnym decydującą rolę odgrywają zaangażowani w duszpasterstwo kapłani, zakonnicy i osoby świeckie, którzy pracują w kontekście coraz bardziej pluralistycznym; zachęcam ich, by w jedności ze swoimi ordynariuszami, czerpiąc z Magisterium Kościoła, szukali dróg dzielenia się po bratersku, przepowiadania z szacunkiem, przezwyciężając niezgody i nacjonalizmy. Ze swej strony Kościoły w krajach pochodzenia, te, do których rzynależą przejściowo, oraz Kościoły przyjmujące fale migrantów winny polepszyć współpracę dla dobra zarówno wyjeżdżających, jak i przybywających, a w każdym razie potrzebujących spotkać na swojej drodze miłosierne oblicze Chrystusa w tych, którzy przyjmują bliźniego. Do urzeczywistnienia owocnego duszpasterstwa wspólnotowego może być przydatne uwspółcześnienie tradycyjnych struktur opieki nad migrantami i uchodźcami, przez dostosowanie ich do modeli lepiej odpowiadających zmienionym sytuacjom, w których oddziałują na siebie różne kultury i ludy.

Uchodźcy proszący o azyl, którzy uciekają przed prześladowaniami, przemocą i sytuacjami stanowiącymi zagrożenie dla ich życia, potrzebują naszego zrozumienia i akceptacji, poszanowania ich ludzkiej godności i ich praw, a także muszą być świadomi swoich obowiązków. Ich cierpienie apeluje do poszczególnych państw i wspólnoty międzynarodowej o wzajemną akceptację, przezwyciężenie lęków i wystrzeganie się różnych form dyskryminacji, a także konkretną solidarność, wyrażającą się m.in. poprzez tworzenie odpowiednich struktur służących przyjmowaniu migrantów i programy osiedleńcze. To wszystko wymaga wzajemnej pomocy regionów, które cierpią, z tymi, które już od lat przyjmują wielką liczbę uciekinierów, a także lepszego współudziału państw w odpowiedzialności.

Prasa i inne środki przekazu odgrywają ważną rolę w ukazywaniu – w należyty sposób, obiektywnie i uczciwie – sytuacji osób, które zostały zmuszone do opuszczenia swojej ojczyzny i bliskich osób i pragną rozpocząć budowanie na nowo swojego życia.

Wspólnoty chrześcijańskie winny szczególną troską otoczyć pracujących migrantów oraz ich rodziny, towarzysząc im modlitwą, okazując solidarność i chrześcijańską miłość; wykorzystując to, co wzajemnie wzbogaca, jak również wprowadzając nowe programy polityczne, ekonomiczne i społeczne, które będą sprzyjały poszanowaniu godności każdej osoby ludzkiej, ochronie rodziny, będą zapewniały godziwe mieszkanie, pracę i opiekę.

Kapłani, zakonnicy i zakonnice, świeccy, a przede wszystkim młodzież winni z wrażliwością służyć wsparciem bardzo licznym siostrom i braciom, którzy uciekając od przemocy, muszą konfrontować się z nowymi stylami życia i przezwyciężać trudności integracyjne. Głoszenie zbawienia w Jezusie Chrystusie będzie źródłem otuchy, nadziei i «pełnej radości» (por. J 15, 11).

Pragnę na koniec wspomnieć o sytuacji licznych studentów obcokrajowców, którzy zmagają się z problemami adaptacyjnymi, trudnościami biurokratycznymi, trudnościami wiążącymi się z szukaniem mieszkania i ośrodków dla migrantów. Wspólnoty chrześcijańskie w szczególny sposób winny być uwrażliwione na jakże licznych młodych ludzi, którzy właśnie ze względu na swój młody wiek potrzebują – oprócz wykształcenia – punktów odniesienia i żywią w swym sercu głębokie pragnienie prawdy oraz pragnienie spotkania Boga. Zwłaszcza uniwersytety o inspiracji chrześcijańskiej winny być miejscem świadectwa i promieniowania nowej ewangelizacji, poważnie starając się przyczyniać w środowisku akademickim do rozwoju społecznego, kulturowego i ludzkiego, a także promować dialog między kulturami, dowartościowując wkład, jaki mogą wnieść studenci z różnych krajów. Oni to, gdy spotkają autentycznych świadków Ewangelii i przykłady życia chrześcijańskiego, sami będą poczuwali się do tego, by osobiście zaangażować się w nową ewangelizację.

Drodzy przyjaciele, prośmy o wstawiennictwo Maryję, «Matkę dobrej drogi», aby radosne głoszenie zbawienia Jezusa Chrystusa wnosiło nadzieję w serca tych, którzy są na świecie w drodze. Wszystkich zapewniam o mojej modlitwie i udzielam apostolskiego błogosławieństwa.

Watykan, 21 września 2011 r.

BENEDICTUS PP. XVI

[01461-09.03] [Testo originale: Italiano]

[B0633-XX.03]