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CONFERENZA STAMPA DI PRESENTAZIONE DEL LIBRO DI JOSEPH RATZINGER - BENEDETTO XVI: "GESÙ DI NAZARET - SECONDA PARTE. DALL’INGRESSO IN GERUSALEMME FINO ALLA RISURREZIONE" (LIBRERIA EDITRICE VATICANA), 10.03.2011


CONFERENZA STAMPA DI PRESENTAZIONE DEL LIBRO DI JOSEPH RATZINGER - BENEDETTO XVI: "GESÙ DI NAZARET - SECONDA PARTE. DALL’INGRESSO IN GERUSALEMME FINO ALLA RISURREZIONE" (LIBRERIA EDITRICE VATICANA)

Alle ore 17.00 di oggi, nell’Aula Giovanni Paolo II della Sala Stampa della Santa Sede si tiene la Conferenza Stampa di presentazione del libro di Joseph Ratzinger - Benedetto XVI: "Gesù di Nazaret - Seconda Parte. Dall’ingresso in Gerusalemme fino alla risurrezione" (Libreria Editrice Vaticana).
Intervengono: l’Em.mo Card. Marc Ouellet, Prefetto della Congregazione per i Vescovi; il Prof. Claudio Magris, scrittore e germanista, e il Rev.do Don Giuseppe Costa, S.D.B., Direttore della Libreria Editrice Vaticana.
Pubblichiamo di seguito l’intervento dell’Em.mo Card. Marc Ouellet:

● INTERVENTO DELL’EM.MO CARD. MARC OUELLET

 TESTO IN LINGUA ITALIANA

 TESTO IN LINGUA FRANCESE

 TESTO IN LINGUA ITALIANA

Nonostante sia assai denso, questo libro si legge per intero senza interruzioni. Percorrendone i nove capitoli e le prospettive finali, il lettore è trasportato per sentieri scoscesi verso l’avvincente incontro con Gesù, una figura familiare che si rivela ancor più vicina nella sua umanità come nella sua divinità. Completata la lettura, si vorrebbe proseguire il dialogo, non soltanto con l’autore ma con Colui del quale egli parla. Gesù di Nazareth è più di un libro, è una testimonianza commovente, affascinante, liberatrice. Quanto interesse susciterà tra gli esperti e tra i fedeli!

L’EVENTO

Oltre l’interesse d’un libro su Gesù, è il libro del papa che si presenta in umiltà al foro degli esegeti, per confrontarsi con loro sui metodi e sui risultati delle loro ricerche. Lo scopo del Santo Padre è quello di andare con loro più lontano, in stretto rigore scientifico, certo, ma anche nella fede nello Spirito Santo che scandaglia le profondità di Dio nella Sacra Scrittura. In questo foro, gli scambi fecondi predominano di molto sugli accenti critici, e ciò contribuisce a far meglio conoscere e riconoscere l’essenziale contributo degli esegeti.

Non c’è forse da trarre grande speranza da questo riavvicinamento tra l’esegesi rigorosa dei testi biblici e l’interpretazione teologica della Sacra Scrittura? Io non posso fare a meno di scorgere in questo libro l’aurora d’una nuova era dell’esegesi, una promettente era di esegesi teologica.

Il papa dialoga in primo luogo con l’esegesi tedesca ma non ignora importanti autori che appartengono alle aree linguistiche francofona, anglofona e latina. Eccelle nell’individuare le questioni essenziali e i nodi decisivi, costringendosi ad evitare le discussioni sui dettagli e le dispute di scuola che pregiudicherebbero il suo proposito, che è quello di «trovare il Gesù reale», non il «Gesù storico» proprio del filone dominante dell’esegesi critica, ma il «Gesù dei Vangeli» ascoltato in comunione con i discepoli di Gesù d’ogni tempo, e così «giungere anche alla certezza della figura veramente storica di Gesù» (9).

Questa formulazione del suo obiettivo manifesta l’interesse metodologico del libro. Il papa affronta in modo pratico ed esemplare il complemento teologico auspicato dall’Esortazione Apostolica Verbum Domini per lo sviluppo dell’esegesi. Nulla stimola di più dell’esempio dato e dei risultati ottenuti. Gesù di Nazareth offre una magnifica base per un fruttuoso dialogo non solo tra esegeti, ma anche tra pastori, teologi ed esegeti.

Prima di illustrare con alcuni esempi i risultati di questa esegesi di Joseph Ratzinger-Benedetto XVI, aggiungo ancora un’osservazione sul metodo. L’autore si sforza di applicare in maggior profondità i tre criteri d’interpretazione formulati al Concilio Vaticano II dalla Costituzione sulla Divina Rivelazione Dei Verbum: tener conto dell’unità della Sacra Scrittura, del complesso della Tradizione della Chiesa e rispettare l’analogia della fede. Come buon pedagogo che ci ha abituati alle sue omelie mistagogiche, degne di san Leone Magno, Benedetto XVI, a partire dalla figura - oh quanto centrale ed unica - di Gesù, mostra la pienezza di senso che promana dalla Sacra Scrittura «interpretata alla luce dello stesso Spirito mediante il quale è stata scritta » (DV 12).

Anche se l’autore si preclude d’offrire un Insegnamento ufficiale della Chiesa, è facile immaginare che la sua autorità scientifica e la ripresa in profondità di certe questioni disputate saranno di grande aiuto per confermare la fede di molti. Serviranno inoltre a far progredire dei dibattiti rimasti insabbiati a motivo dei pregiudizi razionalisti e positivisti che hanno intaccato il prestigio dell’esegesi moderna e contemporanea.

Tra la comparsa del primo volume nell’aprile 2007 e quella del secondo in questa Quaresima 2011, un gran numero di eventi felici ma anche di penose esperienze ha segnato la vita della Chiesa e del mondo. Ci si chiede come il papa sia riuscito a scrivere quest’opera molto personale e molto impegnativa, di cui l’attualità del tema e l’audacia del progetto balzano agli occhi di chiunque s’interessi al cristianesimo. Come teologo e come pastore, ho la sensazione di vivere un momento storico di grande portata teologica e pastorale. È come se in mezzo alle onde che agitano la barca della Chiesa, Pietro avesse ancora una volta afferrato la mano del Signore che ci viene incontro sulle acque, per salvarci (Mt 14, 22-33).

NODI DA SCIOGLIERE

Detto ciò che riguarda il carattere storico, teologico e pastorale dell’evento, veniamo al contenuto del libro che vorrei riassumere assai a grandi linee attorno ad alcune questioni cruciali. Innanzitutto la questione del fondamento storico del cristianesimo che attraversa i due volumi dell’opera; poi la questione del messianismo di Gesù, seguita da quella dell’espiazione dei peccati da parte del Redentore, che costituisce un problema per molti teologi; allo stesso modo la questione del sacerdozio di Cristo in rapporto alla sua Regalità e al suo Sacrificio che tanta importanza rivestono per la concezione cattolica del sacerdozio e della Santa Eucaristia; da ultimo la questione della risurrezione di Gesù, il suo rapporto alla corporeità ed il suo legame con la fondazione della Chiesa.

Non occorre dire che l’elenco non è esaustivo e molti troveranno altre questioni più interessanti, ad esempio il suo commento del discorso escatologico di Gesù o ancora della preghiera sacerdotale in Giovanni 17. Io identifico le questioni qui esposte come nodi da sciogliere in esegesi come in teologia, allo scopo di ricondurre la fede dei fedeli alla Parola stessa di Dio, compresa in tutta la sua forza e la sua coerenza, nonostante i condizionamenti teologici e culturali che a volte impediscono l’accesso al senso profondo della Scrittura.

La questione del fondamento storico del cristianesimo impegna Joseph Ratzinger fin dagli anni della sua formazione e del suo primo insegnamento, come appare dal suo volume su Introduzione al cristianesimo (Einführung in das Christentum), pubblicato oltre quarant’anni or sono, e che ebbe all’epoca un notevole impatto sugli uditori e i lettori. Dal momento che il cristianesimo è la religione del Verbo incarnato nella storia, per la Chiesa è indispensabile stare ai fatti ed agli avvenimenti reali, proprio in quanto essi contengono dei «misteri» che la teologia deve approfondire utilizzando chiavi d’interpretazione che appartengono al dominio della fede. In questo secondo volume che tratta degli avvenimenti centrali della passione, della morte e della risurrezione di Cristo, l’autore confessa che il compito è particolarmente delicato. La sua esegesi interpreta i fatti reali in maniera analoga al trattato su «i misteri della vita di Gesù» di san Tommaso d’Aquino, «guidato dall’ermeneutica della fede, ma tenendo conto nello stesso tempo e responsabilmente della ragione storica, necessariamente contenuta in questa stessa fede» (9).

Sotto questa luce, si comprende l’interesse del papa per l’esegesi storico-critica ch’egli ben conosce e da cui trae il meglio per approfondire gli avvenimenti dell’Ultima Cena, il significato della preghiera del Getsemani, la cronologia della passione ed in particolare le tracce storiche della risurrezione. Non manca di porre in evidenza di passaggio il difetto d’apertura di un’esegesi esercitata in modo troppo esclusivo secondo la «ragione», ma il suo principale intendimento rimane quello di far luce teologicamente sui fatti del Nuovo Testamento con l’aiuto dell’Antico Testamento e viceversa, in modo analogo ma più rigoroso rispetto all’interpretazione tipologica dei Padri della Chiesa. Il legame del cristianesimo con l’ebraismo appare rafforzato da questa esegesi che si radica nella storia di Israele ripresa nel suo orientamento verso il Cristo. Ecco allora, per esempio, che la preghiera sacerdotale di Gesù, che sembra per eccellenza una meditazione teologica, acquisisce in lui una dimensione del tutto nuova grazie alla sua interpretazione illuminata dalla tradizione ebraica dello Yom Kippur.

Un secondo nodo riguarda il messianismo di Gesù. Certi esegeti moderni hanno fatto di Gesù un rivoluzionario, un maestro di morale, un profeta escatologico, un rabbi idealista, un folle di Dio, un messia in qualche modo a immagine del suo interprete influenzato dalle ideologie dominanti.

L’esposizione di Benedetto XVI su questo punto è diffusa e ben radicata nella tradizione ebraica. Egli s’inserisce nella continuità di questa tradizione che unisce il religioso e il politico, ma sottolineando a qual punto Gesù operi la rottura tra i due domini. Gesù dichiara davanti al Sinedrio d’essere il Messia, ma non senza chiarire la natura esclusivamente religiosa del proprio messianismo. È d’altra parte per questo motivo che è condannato come blasfemo, poiché si è identificato con «il Figlio dell’uomo che viene sulle nubi del cielo». Il papa espone con forza e chiarezza le dimensioni regale e sacerdotale di questo messianismo, il cui senso è quello d’instaurare il culto nuovo, l’adorazione in Spirito e in Verità, che coinvolge l’intera esistenza, personale e comunitaria, come un’offerta d’amore per la glorificazione di Dio nella carne.

Un terzo nodo da sciogliere riguarda il senso della redenzione e il posto che vi deve o meno occupare l’espiazione dei peccati. Il papa affronta le obiezioni moderne a questa dottrina tradizionale. Un Dio che esige una espiazione infinita non è forse un Dio crudele la cui immagine è incompatibile con la nostra concezione d’un Dio misericordioso? Come conciliare le nostre moderne mentalità sensibili all’autonomia delle persone con l’idea di un’espiazione vicaria da parte di Cristo? Questi nodi sono particolarmente difficili da sciogliere.

L’autore riprende queste domande più volte, a diversi livelli, e mostra come la misericordia e la giustizia vadano di pari passo nel quadro dell’Alleanza voluta da Dio. Un Dio che perdonasse tutto senza preoccuparsi della risposta che deve dare la sua creatura avrebbe preso sul serio l’Alleanza e soprattutto l’orribile male che avvelena la storia del mondo? Quando si guardano da vicino i testi del Nuovo Testamento, domanda l’autore, non è Dio a prendere su se stesso, nel suo Figlio crocifisso, l’esigenza d’una riparazione e d’una risposta d’amore autentico? «Dio stesso ‘beve il calice’ di tutto ciò che è terribile e ristabilisce così il diritto mediante la grandezza del suo amore che, attraverso la sofferenza, trasforma il buio» (258-259).

Tali questioni sono poste e risolte in un senso che invita alla riflessione ed in primo luogo alla conversione. Non si può infatti veder chiaro in tali questioni ultime rimanendo neutrali o a distanza. Occorre investirvi la propria libertà per scoprire il senso profondo dell’Alleanza che giustamente impegna la libertà d’ogni persona. La conclusione del Santo Padre è perentoria: «Il mistero dell’espiazione non dev’essere sacrificato a nessun razionalismo saccente» (267).

Un quarto nodo concerne il Sacerdozio di Cristo. Secondo le categorie ecclesiali del giorno d’oggi, Gesù era un laico investito d’una vocazione profetica. Non apparteneva all’aristocrazia sacerdotale del Tempio e viveva al margine di questa fondamentale istituzione del popolo d’Israele. Questo fatto ha indotto molti interpreti a considerare la figura di Gesù come del tutto estranea e senza alcun rapporto con il sacerdozio. Benedetto XVI corregge quest’interpretazione appoggiandosi saldamente sull’Epistola agli Ebrei che parla diffusamente del Sacerdozio di Cristo, e la cui dottrina ben si armonizza con la teologia di san Giovanni e di san Paolo.

Il Papa risponde ampiamente alle obiezioni storiche e critiche mostrando la coerenza del sacerdozio nuovo di Gesù con il culto nuovo ch’egli è venuto a stabilire sulla terra in obbedienza alla volontà del Padre. Il commento della preghiera sacerdotale di Gesù è d’una grande profondità e conduce il lettore a pascoli che non aveva immaginato. L’istituzione dell’Eucaristia appare in questo contesto d’una bellezza luminosa che si ripercuote sulla vita della Chiesa come suo fondamento e sua sorgente perenne di pace e di gioia. L’autore si attiene strettamente alle più approfondite analisi storiche ma dipana egli stesso delle aporie come solo un’esegesi teologica può farlo. Si giunge al termine del capitolo sull’Ultima Cena non senza emozione e restandone ammirati.

Un ultimo nodo da me considerato riguarda infine la risurrezione, la sua dimensione storica ed escatologica, il suo rapporto alla corporeità e alla Chiesa. Il Santo Padre comincia senza giri di parole: « La fede cristiana sta o cade con la verità della testimonianza secondo cui Cristo è risorto dai morti » (269).

Il papa insorge contro le elucubrazioni esegetiche che dichiarano compatibili l’annuncio della risurrezione di Cristo e la permanenza del suo cadavere nel sepolcro. Egli esclude queste assurde teorie osservando che il sepolcro vuoto, anche se non è una prova della risurrezione, di cui nessuno è stato diretto testimone, resta un segno, un presupposto, una traccia lasciata nella storia da un evento trascendente. «Solo un avvenimento reale d’una qualità radicalmente nuova era in grado di rendere possibile l’annuncio apostolico, che non è spiegabile con speculazioni o esperienze interiori, mistiche» (305).

Secondo lui, la risurrezione di Gesù introduce una sorta di «mutazione decisiva», un «salto di qualità» che inaugura «una nuova possibilità d’essere uomo». La paradossale esperienza delle apparizioni rivela che in questa nuova dimensione dell’essere «egli non è legato alle leggi della corporeità, alle leggi dello spazio e del tempo». Gesù vive in pienezza, in un nuovo rapporto con la corporeità reale, ma è libero nei confronti dei vincoli corporei quali noi li conosciamo.

L’importanza storica della risurrezione si manifesta nella testimonianza delle prime comunità che hanno dato vita alla tradizione della domenica come segno identificativo d’appartenenza al Signore. «Per me,  dice il Santo Padre  la celebrazione del Giorno del Signore, che fin dall’inizio distingue la comunità cristiana, è una delle prove più forti del fatto che in quel giorno è successa una cosa straordinaria – la scoperta del sepolcro vuoto e l’incontro con il Signore risorto» (288).

Nel capitolo sull’Ultima Cena, il papa affermava: «Con l’Eucaristia, la Chiesa stessa è stata istituita». Qui aggiunge un’osservazione di grande portata teologica e pastorale: «Il racconto della risurrezione diviene per se stesso ecclesiologia: l’incontro con il Signore risorto è missione e dà alla Chiesa nascente la sua forma» (289). Ogni volta che noi partecipiamo all’Eucaristia domenicale andiamo all’incontro con il Risorto che torna verso di noi, nella speranza che noi rendiamo così testimonianza ch’Egli è vivente e ch’Egli ci fa vivere. Non c’è in tutto questo di che rifondare il senso della messa domenicale e della missione?

INVITO AL DIALOGO

Dopo aver citato questi nodi senza che mi sia possibile estendermi in modo adeguato sulla loro soluzione, mi preme concludere questa sommaria presentazione facendo un poco più spazio al significato di questa grande opera su Gesù di Nazareth.

È evidente come mediante quest’opera il successore di Pietro si dedichi al suo ministero specifico che è di confermare i suoi fratelli nella fede. Ciò che qui colpisce in sommo grado, è il modo con cui lo fa, in dialogo con gli esperti in campo esegetico, ed in vista di alimentare e fortificare la relazione personale dei discepoli con il loro Maestro e Amico, oggi. Una tal esegesi, teologica quanto al metodo, ma che include la dimensione storica, si riallaccia effettivamente al modo di interpretare dei Padri della Chiesa, senza tuttavia che l’interpretazione s’allontani dal senso letterale e dalla storia concreta per evadere in artificiose allegorie.

Grazie all’esempio che dà ed ai risultati che ottiene, questo libro eserciterà una mediazione tra l’esegesi contemporanea e l’esegesi patristica, da un lato, come anche nel necessario dialogo tra esegeti, teologi e pastori, da un altro. In quest’opera vedo un grande invito al dialogo su ciò che è essenziale del cristianesimo, in un mondo in cerca di punti di riferimento, in cui le differenti tradizioni religiose faticano a trasmettere alle nuove generazioni l’eredità della saggezza religiosa dell’umanità.

Dialogo dunque all’interno della Chiesa, dialogo con le altre confessioni cristiane, dialogo con gli Ebrei il cui coinvolgimento storico in quanto popolo nella condanna a morte di Gesù viene una volta di più escluso. Dialogo infine con altre tradizioni religiose sul senso di Dio e dell’uomo che emana dalla figura di Gesù, così propizia alla pace e all’unità del genere umano.

Al termine d’una prima lettura, avendo maggiormente gustato la Verità di cui con umiltà e passione è testimone l’autore, sento il bisogno di dar seguito a questo incontro di Gesù di Nazareth sia con l’invitare altri a leggerlo che riprendendone la lettura una seconda volta come meditazione del tempo liturgico di Quaresima e di Pasqua. Credo che la Chiesa debba rendere grazie a Dio per questo libro storico, per quest’opera cerniera tra due epoche, che inaugura una nuova era dell’esegesi teologica. Questo libro avrà un effetto liberatorio per stimolare l’amore della Sacra Scrittura, per incoraggiare la lectio divina e per aiutare i preti a predicare la Parola di Dio.

Alla fine di questo rapido volo su un’opera che avvicina il lettore al vero volto di Dio in Gesù Cristo, non mi rimane che dire: Grazie, Santo Padre! Consentitemi tuttavia di aggiungere ancora un’ultima parola, una domanda, poiché un simile servizio reso alla Chiesa e al mondo nelle circostanze che si conoscono e con i condizionamenti che si possono intuire, merita più d’una parola o d’un gesto di gratitudine. Il Santo Padre tiene la mano di Gesù sulle onde burrascose e ci tende l’altra mano perché insieme noi non facciamo che una cosa sola con Lui. Chi afferrerà questa mano tesa che ci trasmette le parole della Vita eterna?

[00362-01.01] [Testo originale: Francese]

 TESTO IN LINGUA FRANCESE

Ce livre très dense se lit malgré tout d’un seul trait. En parcourant ses neuf chapitres ouverts sur une prospective, le lecteur est entraîné par des chemins escarpés vers la rencontre captivante de Jésus, une figure familière qui se révèle encore plus proche en son humanité comme en sa divinité. Une fois terminée la lecture, on voudrait continuer le dialogue, non seulement avec l’auteur mais avec Celui dont il parle. Jésus de Nazareth est plus qu’un livre, c’est un témoignage émouvant, fascinant, libérateur. Que d’intérêt il soulèvera chez les experts et les fidèles!

L’ÉVÉNEMENT

Outre l’intérêt d’un livre sur Jésus, c’est le livre du pape qui se présente humblement au forum des exégètes, pour échanger avec eux sur les méthodes et les résultats de leurs recherches. Le but du Saint-Père est d’aller plus loin avec eux, en toute rigueur scientifique, bien sûr, mais aussi dans la foi en l’Esprit Saint qui sonde les profondeurs de Dieu dans la Sainte Écriture. À ce forum, les bons échanges dominent de beaucoup les pointes critiques, ce qui contribue à mieux faire connaître et reconnaître la contribution essentielle des exégètes.

N’y a-t-il pas beaucoup à espérer de ce rapprochement entre l’exégèse rigoureuse des textes bibliques et l’interprétation théologique de la Sainte Écriture? Je ne peux m’empêcher de voir dans ce livre l’aurore d’une nouvelle ère de l’exégèse, une ère prometteuse d’exégèse théologique.

Le pape dialogue avant tout avec l’exégèse allemande mais il n’ignore pas des auteurs reconnus appartenant aux aires linguistiques francophone, anglophone et latine. Il excelle à identifier les questions essentielles et les enjeux décisifs, s’obligeant à éviter les discussions de détails et les querelles d’école qui nuiraient à son propos. Celui-ci est de « trouver le Jésus réel », pas le « Jésus historique » du courant principal de l’exégèse critique, mais le « Jésus des Évangiles » écouté en communion avec les disciples de Jésus de tous les temps, et ainsi « parvenir à la certitude de la figure vraiment historique de Jésus » (11).

Cette formulation de son objectif manifeste l’intérêt méthodologique du livre. Le pape aborde de façon pratique et exemplaire le complément théologique souhaité par l’Exhortation Apostolique Verbum Domini pour le développement de l’exégèse. Rien ne stimule davantage que l’exemple donné et les résultats obtenus. Jésus de Nazareth offre une base magnifique pour un dialogue fructueux non seulement entre exégètes, mais aussi entre pasteurs, théologiens et exégètes!

Avant d’illustrer par quelques exemples les résultats de cette exégèse de Joseph Ratzinger-Benoît XVI, j’ajoute encore une observation sur la méthode. L’auteur s’efforce d’appliquer plus profondément les trois critères d’interprétation formulés au Concile Vatican II par la Constitution sur la révélation divine Dei Verbum : Tenir compte de l’unité de la Sainte Écriture, de l’ensemble de la Tradition de l’Église et respecter l’analogie de la foi. En bon pédagogue qui nous a habitués à ses homélies mystagogiques, dignes de saint Léon le Grand, Benoît XVI illustre à partir de la figure ô combien centrale et unique de Jésus, la plénitude de sens qui émane de la Sainte Écriture « interprétée dans le même Esprit qui l’a fait écrire » (DV 2).

Même si l’auteur se défend d’offrir un Enseignement officiel de l’Église, il est facile d’imaginer que son autorité scientifique et la reprise en profondeur de certaines questions disputées, serviront beaucoup à confirmer la foi d’un grand nombre. Elles serviront en outre à faire avancer des débats ensablés par les préjugés rationalistes et positivistes qui ont entaché la réputation de l’exégèse moderne et contemporaine.

Entre la parution du premier tome en avril 2007 et celle du deuxième tome en ce carême 2011, beaucoup d’événements heureux mais aussi d’expériences pénibles ont marqué la vie de l’Église et du monde. On se demande comment le pape a pu faire pour écrire cette œuvre très personnelle et très exigeante, dont l’actualité du thème et l’audace de l’entreprise sautent aux yeux de quiconque s’intéresse au christianisme. Comme théologien et comme pasteur, j’ai l’impression de vivre un moment historique d’une grande portée théologique et pastorale. C’est comme si au milieu des flots qui agitent la barque de l’Église, Pierre avait de nouveau saisi la main du Seigneur venant à nous sur les eaux, pour nous sauver (Mt 14, 22-33).

NŒUDS À DÉNOUER

Ceci étant dit concernant le caractère historique, théologique et pastoral de l’événement, venons-en au contenu du livre que je voudrais résumer bien imparfaitement autour de quelques questions cruciales. Tout d’abord la question du fondement historique du christianisme qui traverse les deux tomes de l’œuvre; ensuite la question du messianisme de Jésus, suivie de la question de l’expiation des péchés par le Rédempteur, qui fait problème pour beaucoup de théologiens; la question également du Sacerdoce du Christ en rapport avec sa Royauté et son Sacrifice qui ont tant d’importance pour la conception catholique du sacerdoce et de la Sainte Eucharistie; la question enfin de la résurrection de Jésus, son rapport à la corporéité et son lien avec la fondation de l’Église.

La liste n’est pas exhaustive cela va sans dire et beaucoup trouveront d’autres questions plus intéressantes, par exemple son commentaire du discours eschatologique de Jésus ou encore de la prière sacerdotale de Jean 17. J’identifie les questions ci-haut comme des nœuds à dénouer en exégèse comme en théologie, afin de reconduire la foi des fidèles à la Parole de Dieu elle-même, comprise dans toute sa force et sa cohérence, malgré les conditionnements théologiques et culturels qui bloquent parfois l’accès au sens profond de l’Écriture.

La question du fondement historique du christianisme occupe Joseph Ratzinger depuis les années de sa formation et de son premier enseignement, comme il appert de son volume sur La foi chrétienne, hier et aujourd’hui (Einführung in das Christentum), publié il y plus de quarante ans, et qui eut un impact remarquable sur les auditeurs et lecteurs de l’époque. Le christianisme étant la religion du Verbe incarné dans l’histoire, il est indispensable pour l’Église de tenir aux faits et aux événements réels, justement parce qu’ils contiennent des « mystères » que la théologie doit approfondir en utilisant des clefs d’interprétation qui ressortent au domaine de la foi. Dans ce deuxième tome portant sur les événements centraux de la passion, de la mort et de la résurrection du Christ, l’auteur confesse que la tâche est particulièrement délicate. Son exégèse interprète les faits réels d’une façon analogue au traité sur « les mystères de la vie de Jésus » de saint Thomas d’Aquin, « guidé par l’herméneutique de la foi, mais en tenant compte en même temps et de manière responsable de la raison historique, nécessairement contenue dans cette même foi » (11).

Dans cette lumière, on comprend l’intérêt du Pape pour l’exégèse historico-critique qu’il connaît bien et dont il extrait le meilleur pour approfondir les événements de la Dernière Cène, la signification de la prière à Gethsémani, la chronologie de la passion et particulièrement les traces historiques de la résurrection. Il ne manque pas de dénoncer au passage le manque d’ouverture d’une exégèse pratiquée trop exclusivement selon la « raison », mais son propos principal demeure d’éclairer théologiquement les faits du Nouveau Testament avec l’aide de l’Ancien Testament et vice-versa, d’une façon analogue mais plus rigoureuse que l’interprétation typologique des Pères de l’Église. Le lien du christianisme avec le judaïsme apparaît renforcé par cette exégèse qui s’enracine dans l’histoire d’Israël ressaisie dans son orientation vers le Christ. C’est pourquoi la prière sacerdotale de Jésus, par exemple, qui semble par excellence une méditation théologique, acquiert chez lui une toute nouvelle dimension grâce à son interprétation éclairée par la tradition juive du Yom Kippur.

Un deuxième nœud concerne le messianisme de Jésus. Certains exégètes modernes ont fait de Jésus un révolutionnaire, un maître de morale, un prophète eschatologique, un rabbi idéaliste, un fou de Dieu, un partisan engagé pour les marginaux de l’époque, un messie en quelque sorte à l’image de son interprète influencé par les idéologies dominantes.

L’exposé de Benoît XVI à ce sujet est diffus et bien enraciné dans la tradition juive. Il s’inscrit dans la continuité de cette tradition qui unit le religieux et le politique, mais en soulignant à quel point Jésus opère la rupture entre les deux domaines. Jésus reconnaît devant le Sanhédrin qu’il est le Messie, mais non sans clarifier la nature exclusivement religieuse de son messianisme. C’est d’ailleurs pour cette raison qu’il est condamné pour blasphème, puisqu’il s’est identifié avec « le Fils de l’homme venant sur les nuées du ciel ». Le pape illustre avec force et clarté les dimensions royale et sacerdotale de ce messianisme, dont le sens est d’instaurer le culte nouveau, l’adoration en Esprit et en Vérité, qui implique toute l’existence, personnelle et communautaire, comme une offrande d’amour pour la glorification de Dieu dans la chair.

Un troisième nœud à dénouer concerne le sérieux de la rédemption et la place que doit y occuper ou pas l’expiation des péchés. Le pape affronte les objections modernes à cette doctrine traditionnelle. Un Dieu qui exige une expiation infinie n’est-il pas un Dieu cruel dont l’image est incompatible avec notre idée d’un Dieu miséricordieux? Comment concilier nos mentalités modernes sensibles à l’autonomie des personnes avec l’idée d’une expiation vicaire de la part du Christ? Ces nœuds sont particulièrement difficiles à dénouer.

L’auteur reprend ces questions plusieurs fois, à différents niveaux, et montre comment la miséricorde et la justice vont de pair dans le cadre de l’Alliance voulue par Dieu. Un Dieu qui pardonnerait tout sans se soucier de la réponse que doit fournir sa créature aurait-il pris au sérieux l’Alliance et surtout le mal horrible qui empoisonne l’histoire du monde? Quand on regarde de près les textes du Nouveau Testament, demande l’auteur, n’est-ce pas Dieu qui prend sur lui-même, en son Fils crucifié, l’exigence d’une réparation et d’une réponse d’amour authentique? « Dieu lui-même ‘boit le calice’ de tout ce qui est terrible et il rétablit ainsi le droit par la grandeur de son amour qui, à travers la souffrance, transforme les ténèbres » (264-265).

Ces questions sont posées et résolues dans un sens qui invite à la réflexion et surtout à la conversion. Car on ne peut voir clair en ces questions ultimes en restant neutre ou distant. Il faut y investir sa liberté pour découvrir le sens profond de l’Alliance qui engage justement la liberté de chaque personne. La conclusion du Saint-Père est péremptoire : « Le mystère de l’expiation ne doit être sacrifié à aucun rationalisme pédant » (272).

Un quatrième nœud concerne le Sacerdoce du Christ. Dans les catégories ecclésiales d’aujourd’hui, Jésus était un laïc investi d’une vocation prophétique. Il n’appartenait pas à l’aristocratie sacerdotale du Temple et vivait en marge de cette institution fondamentale du peuple d’Israël. Ce fait a induit bien des interprètes à considérer la figure de Jésus comme totalement étrangère au sacerdoce et sans rapport avec lui. Benoît XVI corrige cette interprétation en s’appuyant fortement sur l’Épitre aux Hébreux qui parle abondamment du Sacerdoce du Christ, et dont la doctrine s’harmonise bien avec la théologie de saint Jean et de saint Paul.

Benoît XVI répond amplement aux objections historiques et critiques en montrant la cohérence du Sacerdoce nouveau de Jésus avec le culte nouveau qu’il est venu établir sur terre en obéissance à la volonté du Père. Le commentaire de la prière sacerdotale de Jésus est d’une grande profondeur et mène le lecteur à des pâturages qu’il n’avait pas imaginés. L’institution de l’Eucharistie apparaît dans ce contexte d’une beauté lumineuse qui rejaillit sur la vie de l’Église comme son fondement et sa source permanente de paix et de joie. L’auteur se tient au plus près des analyses historiques les plus poussées mais il dénoue lui-même des apories comme seule une exégèse théologique peut le faire. On termine le chapitre sur la Dernière Cène non sans émotion et dans l’admiration.

Enfin un dernier nœud que je retiens concerne la résurrection, sa dimension historique et eschatologique, son rapport à la corporéité et à l’Église. Le Saint Père commence sans ambages : « La foi chrétienne tient par la vérité du témoignage selon lequel le Christ est ressuscité des morts, ou bien elle s’effondre » (275).

Le pape s’insurge contre les élucubrations exégétiques qui déclarent compatibles l’annonce de la résurrection du Christ et la permanence de son cadavre dans le tombeau. Il exclut ces théories absurdes en signalant que le tombeau vide, même s’il n’est pas une preuve de la résurrection, dont personne n’a été directement témoin, demeure un signe, un présupposé, une trace laissée dans l’histoire par un événement transcendant. « Seul un événement réel d’une qualité radicalement nouvelle était en mesure de rendre possible l’annonce apostolique, qui ne peut être expliquée par des spéculations ou des expériences intérieures mystiques » (310).

La résurrection de Jésus introduit selon lui, une sorte de « mutation décisive », un « saut de qualité » qui inaugure « une nouvelle possibilité d’être homme ». L’expérience paradoxale des apparitions révèle que dans cette nouvelle dimension de l’être, « il n’est pas lié aux lois de la corporéité, aux lois de l’espace et du temps ». Il vit pleinement, dans un nouveau rapport à la corporéité réelle, mais il est libre vis-à-vis des liens du corps tels que nous les connaissons.

L’importance historique de la résurrection se manifeste dans le témoignage des premières communautés qui ont créé la tradition du dimanche comme signe identitaire d’appartenance au Seigneur. « La célébration du Jour du Seigneur, qui dès le début distingue la communauté chrétienne, est pour moi, dit le Saint-Père, une des preuves les plus puissantes du fait que, ce jour-là, quelque chose d’extraordinaire s’est produit --- la découverte du tombeau vide et la rencontre avec le Seigneur ressuscité » (294).

Au chapitre sur la Dernière Cène, le pape affirmait : « Avec l’Eucharistie, l’Église elle-même a été instituée ». Il ajoute ici une observation d’une grande portée théologique et pastorale : « Le récit de la résurrection devient par lui-même ecclésiologie : la rencontre avec le Seigneur ressuscité est mission et donne sa forme à l’Église naissante » (295). Chaque fois que nous participons à l’Eucharistie dominicale nous allons à la rencontre du Ressuscité qui revient vers nous, dans l’espérance que nous rendions ainsi témoignage qu’Il est vivant et qu’Il nous fait vivre. N’y a-t-il pas là de quoi refonder le sens de la messe dominicale et de la mission?

INVITATION AU DIALOGUE

Ayant évoqué ces nœuds sans qu’il me soit possible d’exposer proprement leur dénouement, je tiens à conclure cette présentation sommaire en dégageant un peu plus la signification de cette grande œuvre sur Jésus de Nazareth.

Il est évident que par cette œuvre le successeur de Pierre s’adonne à son ministère spécifique qui est de confirmer ses frères dans la foi. Ce qui frappe ici au plus haut point, c’est la manière de le faire, en dialogue avec les experts dans le domaine de l’exégèse, et en vue de nourrir et de fortifier la relation personnelle des disciples avec leur Maître et Ami, aujourd’hui. Une telle exégèse, théologique quant à sa méthode, mais incluant la dimension historique, renoue effectivement avec la manière d’interpréter des Pères de l’Église, sans toutefois que l’interprétation s’éloigne du sens littéral et de l’histoire concrète pour s’évader dans des allégories artificielles.

Grâce à l’exemple qu’il donne et aux résultats qu’il obtient, ce livre exercera une médiation entre l’exégèse contemporaine et l’exégèse patristique, d’une part, de même que dans le nécessaire dialogue entre exégètes, théologiens et pasteurs, d’autre part. Je vois dans cette œuvre une grande invitation au dialogue sur l’essentiel du christianisme, dans un monde en recherche de repères, où les différentes traditions religieuses peinent à transmettre aux nouvelles générations l’héritage de la sagesse religieuse de l’humanité.

Dialogue donc à l’intérieur de l’Église, dialogue avec les autres confessions chrétiennes, dialogue avec les Juifs dont l’implication historique comme peuple dans la condamnation à mort de Jésus est exclue une fois de plus. Dialogue enfin avec d’autres traditions religieuses sur le sens de Dieu et de l’homme qui émane de la figure de Jésus, si propice à la paix et à l’unité du genre humain.

Au terme d’une première lecture, ayant goûté davantage la Vérité dont témoigne humblement et passionnément l’auteur, j’éprouve le besoin de donner suite à cette rencontre de Jésus de Nazareth tant en invitant autrui à le lire qu’en reprenant la lecture une seconde fois comme méditation de la saison liturgique du carême et de Pâque. Je crois que l’Église doit rendre grâce à Dieu pour ce livre historique, pour cette œuvre charnière entre deux âges, inaugurant une nouvelle ère de l’exégèse théologique. Ce livre aura un effet libérateur pour stimuler l’amour de la Sainte Écriture, pour encourager la lectio divina et pour aider les prêtres à prêcher la Parole de Dieu.

À la fin de ce survol d’une œuvre qui rapproche le lecteur du vrai visage de Dieu en Jésus Christ, il me reste à dire : Merci très Saint-Père! Permettez-moi toutefois d’ajouter encore un dernier mot, une question, car un tel service rendu à l’Église et au monde dans les circonstances que l’on sait et avec les contraintes que l’on devine, mérite plus qu’une parole ou qu’un geste de gratitude. Le Saint-Père tient la main de Jésus sur les flots agités et il nous tend l’autre main pour qu’ensemble nous ne fassions qu’un avec Lui. Qui saisira cette main tendue qui nous transmet les paroles de la Vie éternelle?

[00362-03.01] [Texte original: Français]

[B0144-XX.01]