Sala Stampa

www.vatican.va

Sala Stampa Back Top Print Pdf
Sala Stampa


MESSAGGIO DEL SANTO PADRE PER LA QUARESIMA 2011, 22.02.2011


Pubblichiamo di seguito il testo del Messaggio del Santo Padre per la Quaresima 2011 sul tema: "Con Cristo siete sepolti nel Battesimo, con lui siete anche risorti" (cfr Col 2,12):

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE

"Con Cristo siete sepolti nel Battesimo, con lui siete anche risorti" (cfr Col 2,12)

Cari fratelli e sorelle,

la Quaresima, che ci conduce alla celebrazione della Santa Pasqua, è per la Chiesa un tempo liturgico assai prezioso e importante, in vista del quale sono lieto di rivolgere una parola specifica perché sia vissuto con il dovuto impegno. Mentre guarda all’incontro definitivo con il suo Sposo nella Pasqua eterna, la Comunità ecclesiale, assidua nella preghiera e nella carità operosa, intensifica il suo cammino di purificazione nello spirito, per attingere con maggiore abbondanza al Mistero della redenzione la vita nuova in Cristo Signore (cfr Prefazio I di Quaresima).

1. Questa stessa vita ci è già stata trasmessa nel giorno del nostro Battesimo, quando, "divenuti partecipi della morte e risurrezione del Cristo", è iniziata per noi "l’avventura gioiosa ed esaltante del discepolo" (Omelia nella Festa del Battesimo del Signore, 10 gennaio 2010). San Paolo, nelle sue Lettere, insiste ripetutamente sulla singolare comunione con il Figlio di Dio realizzata in questo lavacro. Il fatto che nella maggioranza dei casi il Battesimo si riceva da bambini mette in evidenza che si tratta di un dono di Dio: nessuno merita la vita eterna con le proprie forze. La misericordia di Dio, che cancella il peccato e permette di vivere nella propria esistenza "gli stessi sentimenti di Cristo Gesù" (Fil 2,5), viene comunicata all’uomo gratuitamente.

L’Apostolo delle genti, nella Lettera ai Filippesi, esprime il senso della trasformazione che si attua con la partecipazione alla morte e risurrezione di Cristo, indicandone la meta: che "io possa conoscere lui, la potenza della sua risurrezione, la comunione alle sue sofferenze, facendomi conforme alla sua morte, nella speranza di giungere alla risurrezione dai morti" (Fil 3,10-11). Il Battesimo, quindi, non è un rito del passato, ma l’incontro con Cristo che informa tutta l’esistenza del battezzato, gli dona la vita divina e lo chiama ad una conversione sincera, avviata e sostenuta dalla Grazia, che lo porti a raggiungere la statura adulta del Cristo.

Un nesso particolare lega il Battesimo alla Quaresima come momento favorevole per sperimentare la Grazia che salva. I Padri del Concilio Vaticano II hanno richiamato tutti i Pastori della Chiesa ad utilizzare "più abbondantemente gli elementi battesimali propri della liturgia quaresimale" (Cost. Sacrosanctum Concilium, 109). Da sempre, infatti, la Chiesa associa la Veglia Pasquale alla celebrazione del Battesimo: in questo Sacramento si realizza quel grande mistero per cui l’uomo muore al peccato, è fatto partecipe della vita nuova in Cristo Risorto e riceve lo stesso Spirito di Dio che ha risuscitato Gesù dai morti (cfr Rm 8,11). Questo dono gratuito deve essere sempre ravvivato in ciascuno di noi e la Quaresima ci offre un percorso analogo al catecumenato, che per i cristiani della Chiesa antica, come pure per i catecumeni d’oggi, è una scuola insostituibile di fede e di vita cristiana: davvero essi vivono il Battesimo come un atto decisivo per tutta la loro esistenza.

2. Per intraprendere seriamente il cammino verso la Pasqua e prepararci a celebrare la Risurrezione del Signore - la festa più gioiosa e solenne di tutto l’Anno liturgico - che cosa può esserci di più adatto che lasciarci condurre dalla Parola di Dio? Per questo la Chiesa, nei testi evangelici delle domeniche di Quaresima, ci guida ad un incontro particolarmente intenso con il Signore, facendoci ripercorrere le tappe del cammino dell’iniziazione cristiana: per i catecumeni, nella prospettiva di ricevere il Sacramento della rinascita, per chi è battezzato, in vista di nuovi e decisivi passi nella sequela di Cristo e nel dono più pieno a Lui.

La prima domenica dell’itinerario quaresimale evidenzia la nostra condizione dell’uomo su questa terra. Il combattimento vittorioso contro le tentazioni, che dà inizio alla missione di Gesù, è un invito a prendere consapevolezza della propria fragilità per accogliere la Grazia che libera dal peccato e infonde nuova forza in Cristo, via, verità e vita (cfr Ordo Initiationis Christianae Adultorum, n. 25). E’ un deciso richiamo a ricordare come la fede cristiana implichi, sull’esempio di Gesù e in unione con Lui, una lotta "contro i dominatori di questo mondo tenebroso" (Ef 6,12), nel quale il diavolo è all’opera e non si stanca, neppure oggi, di tentare l’uomo che vuole avvicinarsi al Signore: Cristo ne esce vittorioso, per aprire anche il nostro cuore alla speranza e guidarci a vincere le seduzioni del male.

Il Vangelo della Trasfigurazione del Signore pone davanti ai nostri occhi la gloria di Cristo, che anticipa la risurrezione e che annuncia la divinizzazione dell’uomo. La comunità cristiana prende coscienza di essere condotta, come gli apostoli Pietro, Giacomo e Giovanni, "in disparte, su un alto monte" (Mt 17,1), per accogliere nuovamente in Cristo, quali figli nel Figlio, il dono della Grazia di Dio: "Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo" (v. 5). E’ l’invito a prendere le distanze dal rumore del quotidiano per immergersi nella presenza di Dio: Egli vuole trasmetterci, ogni giorno, una Parola che penetra nelle profondità del nostro spirito, dove discerne il bene e il male (cfr Eb 4,12) e rafforza la volontà di seguire il Signore.

La domanda di Gesù alla Samaritana: "Dammi da bere" (Gv 4,7), che viene proposta nella liturgia della terza domenica, esprime la passione di Dio per ogni uomo e vuole suscitare nel nostro cuore il desiderio del dono dell’ "acqua che zampilla per la vita eterna" (v. 14): è il dono dello Spirito Santo, che fa dei cristiani "veri adoratori" in grado di pregare il Padre "in spirito e verità" (v. 23). Solo quest’acqua può estinguere la nostra sete di bene, di verità e di bellezza! Solo quest’acqua, donataci dal Figlio, irriga i deserti dell’anima inquieta e insoddisfatta, "finché non riposa in Dio", secondo le celebri parole di sant’Agostino.

La "domenica del cieco nato" presenta Cristo come luce del mondo. Il Vangelo interpella ciascuno di noi: "Tu, credi nel Figlio dell’uomo?". "Credo, Signore!" (Gv 9,35.38), afferma con gioia il cieco nato, facendosi voce di ogni credente. Il miracolo della guarigione è il segno che Cristo, insieme alla vista, vuole aprire il nostro sguardo interiore, perché la nostra fede diventi sempre più profonda e possiamo riconoscere in Lui l’unico nostro Salvatore. Egli illumina tutte le oscurità della vita e porta l’uomo a vivere da "figlio della luce".

Quando, nella quinta domenica, ci viene proclamata la risurrezione di Lazzaro, siamo messi di fronte al mistero ultimo della nostra esistenza: "Io sono la risurrezione e la vita… Credi questo?" (Gv 11,25-26). Per la comunità cristiana è il momento di riporre con sincerità, insieme a Marta, tutta la speranza in Gesù di Nazareth: "Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo" (v. 27). La comunione con Cristo in questa vita ci prepara a superare il confine della morte, per vivere senza fine in Lui. La fede nella risurrezione dei morti e la speranza della vita eterna aprono il nostro sguardo al senso ultimo della nostra esistenza: Dio ha creato l’uomo per la risurrezione e per la vita, e questa verità dona la dimensione autentica e definitiva alla storia degli uomini, alla loro esistenza personale e al loro vivere sociale, alla cultura, alla politica, all’economia. Privo della luce della fede l’universo intero finisce rinchiuso dentro un sepolcro senza futuro, senza speranza.

Il percorso quaresimale trova il suo compimento nel Triduo Pasquale, particolarmente nella Grande Veglia nella Notte Santa: rinnovando le promesse battesimali, riaffermiamo che Cristo è il Signore della nostra vita, quella vita che Dio ci ha comunicato quando siamo rinati "dall’acqua e dallo Spirito Santo", e riconfermiamo il nostro fermo impegno di corrispondere all’azione della Grazia per essere suoi discepoli.

3. Il nostro immergerci nella morte e risurrezione di Cristo attraverso il Sacramento del Battesimo, ci spinge ogni giorno a liberare il nostro cuore dal peso delle cose materiali, da un legame egoistico con la "terra", che ci impoverisce e ci impedisce di essere disponibili e aperti a Dio e al prossimo. In Cristo, Dio si è rivelato come Amore (cfr 1Gv 4,7-10). La Croce di Cristo, la "parola della Croce" manifesta la potenza salvifica di Dio (cfr 1Cor 1,18), che si dona per rialzare l’uomo e portargli la salvezza: amore nella sua forma più radicale (cfr Enc. Deus caritas est, 12). Attraverso le pratiche tradizionali del digiuno, dell’elemosina e della preghiera, espressioni dell’impegno di conversione, la Quaresima educa a vivere in modo sempre più radicale l’amore di Cristo. Il digiuno, che può avere diverse motivazioni, acquista per il cristiano un significato profondamente religioso: rendendo più povera la nostra mensa impariamo a superare l’egoismo per vivere nella logica del dono e dell’amore; sopportando la privazione di qualche cosa - e non solo di superfluo - impariamo a distogliere lo sguardo dal nostro "io", per scoprire Qualcuno accanto a noi e riconoscere Dio nei volti di tanti nostri fratelli. Per il cristiano il digiuno non ha nulla di intimistico, ma apre maggiormente a Dio e alle necessità degli uomini, e fa sì che l’amore per Dio sia anche amore per il prossimo (cfr Mc 12,31).

Nel nostro cammino ci troviamo di fronte anche alla tentazione dell’avere, dell’avidità di denaro, che insidia il primato di Dio nella nostra vita. La bramosia del possesso provoca violenza, prevaricazione e morte; per questo la Chiesa, specialmente nel tempo quaresimale, richiama alla pratica dell’elemosina, alla capacità, cioè, di condivisione. L’idolatria dei beni, invece, non solo allontana dall’altro, ma spoglia l’uomo, lo rende infelice, lo inganna, lo illude senza realizzare ciò che promette, perché colloca le cose materiali al posto di Dio, unica fonte della vita. Come comprendere la bontà paterna di Dio se il cuore è pieno di sé e dei propri progetti, con i quali ci si illude di potersi assicurare il futuro? La tentazione è quella di pensare, come il ricco della parabola: "Anima mia, hai a disposizione molti beni per molti anni…". Conosciamo il giudizio del Signore: "Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita…" (Lc 12,19-20). La pratica dell’elemosina è un richiamo al primato di Dio e all’attenzione verso l’altro, per riscoprire il nostro Padre buono e ricevere la sua misericordia.

In tutto il periodo quaresimale, la Chiesa ci offre con particolare abbondanza la Parola di Dio. Meditandola ed interiorizzandola per viverla quotidianamente, impariamo una forma preziosa e insostituibile di preghiera, perché l’ascolto attento di Dio, che continua a parlare al nostro cuore, alimenta il cammino di fede che abbiamo iniziato nel giorno del Battesimo. La preghiera ci permette anche di acquisire una nuova concezione del tempo: senza la prospettiva dell’eternità e della trascendenza, infatti, esso scandisce semplicemente i nostri passi verso un orizzonte che non ha futuro. Nella preghiera troviamo, invece, tempo per Dio, per conoscere che "le sue parole non passeranno" (cfr Mc 13,31), per entrare in quell’intima comunione con Lui "che nessuno potrà toglierci" (cfr Gv 16,22) e che ci apre alla speranza che non delude, alla vita eterna.

In sintesi, l’itinerario quaresimale, nel quale siamo invitati a contemplare il Mistero della Croce, è "farsi conformi alla morte di Cristo" (Fil 3,10), per attuare una conversione profonda della nostra vita: lasciarci trasformare dall’azione dello Spirito Santo, come san Paolo sulla via di Damasco; orientare con decisione la nostra esistenza secondo la volontà di Dio; liberarci dal nostro egoismo, superando l’istinto di dominio sugli altri e aprendoci alla carità di Cristo. Il periodo quaresimale è momento favorevole per riconoscere la nostra debolezza, accogliere, con una sincera revisione di vita, la Grazia rinnovatrice del Sacramento della Penitenza e camminare con decisione verso Cristo.

Cari fratelli e sorelle, mediante l’incontro personale col nostro Redentore e attraverso il digiuno, l’elemosina e la preghiera, il cammino di conversione verso la Pasqua ci conduce a riscoprire il nostro Battesimo. Rinnoviamo in questa Quaresima l’accoglienza della Grazia che Dio ci ha donato in quel momento, perché illumini e guidi tutte le nostre azioni. Quanto il Sacramento significa e realizza, siamo chiamati a viverlo ogni giorno in una sequela di Cristo sempre più generosa e autentica. In questo nostro itinerario, ci affidiamo alla Vergine Maria, che ha generato il Verbo di Dio nella fede e nella carne, per immergerci come Lei nella morte e risurrezione del suo Figlio Gesù ed avere la vita eterna.

Dal Vaticano, 4 novembre 2010

BENEDICTUS PP XVI

[00246-01.01] [Testo originale: Italiano]

TRADUZIONE IN LINGUA INGLESE

"You were buried with him in baptism, in which you were also raised with him." (cf. Col 2: 12)

Dear Brothers and Sisters,

The Lenten period, which leads us to the celebration of Holy Easter, is for the Church a most valuable and important liturgical time, in view of which I am pleased to offer a specific word in order that it may be lived with due diligence. As she awaits the definitive encounter with her Spouse in the eternal Easter, the Church community, assiduous in prayer and charitable works, intensifies her journey in purifying the spirit, so as to draw more abundantly from the Mystery of Redemption the new life in Christ the Lord (cf. Preface I of Lent).

1. This very life was already bestowed upon us on the day of our Baptism, when we "become sharers in Christ’s death and Resurrection", and there began for us "the joyful and exulting adventure of his disciples" (Homily on the Feast of the Baptism of the Lord, 10 January, 2010). In his Letters, St. Paul repeatedly insists on the singular communion with the Son of God that this washing brings about. The fact that, in most cases, Baptism is received in infancy highlights how it is a gift of God: no one earns eternal life through their own efforts. The mercy of God, which cancels sin and, at the same time, allows us to experience in our lives "the mind of Christ Jesus" (Phil 2: 5), is given to men and women freely.The Apostle to the Gentiles, in the Letter to the Philippians, expresses the meaning of the transformation that takes place through participation in the death and resurrection of Christ, pointing to its goal: that "I may come to know him and the power of his resurrection, and partake of his sufferings by being molded to the pattern of his death, striving towards the goal of resurrection from the dead" (Phil 3: 10-11). Hence, Baptism is not a rite from the past, but the encounter with Christ, which informs the entire existence of the baptized, imparting divine life and calling for sincere conversion; initiated and supported by Grace, it permits the baptized to reach the adult stature of Christ.

A particular connection binds Baptism to Lent as the favorable time to experience this saving Grace. The Fathers of the Second Vatican Council exhorted all of the Church’s Pastors to make greater use "of the baptismal features proper to the Lenten liturgy" (Constitution on the Sacred Liturgy Sacrosanctum concilium, n. 109). In fact, the Church has always associated the Easter Vigil with the celebration of Baptism: this Sacrament realizes the great mystery in which man dies to sin, is made a sharer in the new life of the Risen Christ and receives the same Spirit of God who raised Jesus from the dead (cf. Rm 8: 11). This free gift must always be rekindled in each one of us, and Lent offers us a path like that of the catechumenate, which, for the Christians of the early Church, just as for catechumens today, is an irreplaceable school of faith and Christian life. Truly, they live their Baptism as an act that shapes their entire existence.

2. In order to undertake more seriously our journey towards Easter and prepare ourselves to celebrate the Resurrection of the Lord – the most joyous and solemn feast of the entire liturgical year – what could be more appropriate than allowing ourselves to be guided by the Word of God? For this reason, the Church, in the Gospel texts of the Sundays of Lent, leads us to a particularly intense encounter with the Lord, calling us to retrace the steps of Christian initiation: for catechumens, in preparation for receiving the Sacrament of rebirth; for the baptized, in light of the new and decisive steps to be taken in the sequela Christi and a fuller giving of oneself to him.

The First Sunday of the Lenten journey reveals our condition as human beings here on earth. The victorious battle against temptation, the starting point of Jesus’ mission, is an invitation to become aware of our own fragility in order to accept the Grace that frees from sin and infuses new strength in Christ – the way, the truth and the life (cf. Ordo Initiationis Christianae Adultorum, n. 25). It is a powerful reminder that Christian faith implies, following the example of Jesus and in union with him, a battle "against the ruling forces who are masters of the darkness in this world" (Eph 6: 12), in which the devil is at work and never tires – even today – of tempting whoever wishes to draw close to the Lord: Christ emerges victorious to open also our hearts to hope and guide us in overcoming the seductions of evil.

The Gospel of the Transfiguration of the Lord puts before our eyes the glory of Christ, which anticipates the resurrection and announces the divinization of man. The Christian community becomes aware that Jesus leads it, like the Apostles Peter, James and John "up a high mountain by themselves" (Mt 17: 1), to receive once again in Christ, as sons and daughters in the Son, the gift of the Grace of God: "This is my Son, the Beloved; he enjoys my favor. Listen to him" (Mt 17: 5). It is the invitation to take a distance from the noisiness of everyday life in order to immerse oneself in God’s presence. He desires to hand down to us, each day, a Word that penetrates the depths of our spirit, where we discern good from evil (cf. Heb 4:12), reinforcing our will to follow the Lord.

The question that Jesus puts to the Samaritan woman: "Give me a drink" (Jn 4: 7), is presented to us in the liturgy of the third Sunday; it expresses the passion of God for every man and woman, and wishes to awaken in our hearts the desire for the gift of "a spring of water within, welling up for eternal life" (Jn 4: 14): this is the gift of the Holy Spirit, who transforms Christians into "true worshipers," capable of praying to the Father "in spirit and truth" (Jn 4: 23). Only this water can extinguish our thirst for goodness, truth and beauty! Only this water, given to us by the Son, can irrigate the deserts of our restless and unsatisfied soul, until it "finds rest in God", as per the famous words of St. Augustine.

The Sunday of the man born blind presents Christ as the light of the world. The Gospel confronts each one of us with the question: "Do you believe in the Son of man?" "Lord, I believe!" (Jn 9: 35. 38), the man born blind joyfully exclaims, giving voice to all believers. The miracle of this healing is a sign that Christ wants not only to give us sight, but also open our interior vision, so that our faith may become ever deeper and we may recognize him as our only Savior. He illuminates all that is dark in life and leads men and women to live as "children of the light".

On the fifth Sunday, when the resurrection of Lazarus is proclaimed, we are faced with the ultimate mystery of our existence: "I am the resurrection and the life… Do you believe this?" (Jn 11: 25-26). For the Christian community, it is the moment to place with sincerity – together with Martha – all of our hopes in Jesus of Nazareth: "Yes, Lord, I believe that you are the Christ, the Son of God, the one who was to come into this world" (Jn 11: 27). Communion with Christ in this life prepares us to overcome the barrier of death, so that we may live eternally with him. Faith in the resurrection of the dead and hope in eternal life open our eyes to the ultimate meaning of our existence: God created men and women for resurrection and life, and this truth gives an authentic and definitive meaning to human history, to the personal and social lives of men and women, to culture, politics and the economy. Without the light of faith, the entire universe finishes shut within a tomb devoid of any future, any hope.

The Lenten journey finds its fulfillment in the Paschal Triduum, especially in the Great Vigil of the Holy Night: renewing our baptismal promises, we reaffirm that Christ is the Lord of our life, that life which God bestowed upon us when we were reborn of "water and Holy Spirit", and we profess again our firm commitment to respond to the action of the Grace in order to be his disciples.

3. By immersing ourselves into the death and resurrection of Christ through the Sacrament of Baptism, we are moved to free our hearts every day from the burden of material things, from a self-centered relationship with the "world" that impoverishes us and prevents us from being available and open to God and our neighbor. In Christ, God revealed himself as Love (cf. 1Jn 4: 7-10). The Cross of Christ, the "word of the Cross", manifests God’s saving power (cf. 1Cor 1: 18), that is given to raise men and women anew and bring them salvation: it is love in its most extreme form (cf. Encyclical Deus caritas est, n. 12). Through the traditional practices of fasting, almsgiving and prayer, which are an expression of our commitment to conversion, Lent teaches us how to live the love of Christ in an ever more radical way. Fasting, which can have various motivations, takes on a profoundly religious significance for the Christian: by rendering our table poorer, we learn to overcome selfishness in order to live in the logic of gift and love; by bearing some form of deprivation – and not just what is in excess – we learn to look away from our "ego", to discover Someone close to us and to recognize God in the face of so many brothers and sisters. For Christians, fasting, far from being depressing, opens us ever more to God and to the needs of others, thus allowing love of God to become also love of our neighbor (cf. Mk 12: 31).

In our journey, we are often faced with the temptation of accumulating and love of money that undermine God’s primacy in our lives. The greed of possession leads to violence, exploitation and death; for this, the Church, especially during the Lenten period, reminds us to practice almsgiving – which is the capacity to share. The idolatry of goods, on the other hand, not only causes us to drift away from others, but divests man, making him unhappy, deceiving him, deluding him without fulfilling its promises, since it puts materialistic goods in the place of God, the only source of life. How can we understand God’s paternal goodness, if our heart is full of egoism and our own projects, deceiving us that our future is guaranteed? The temptation is to think, just like the rich man in the parable: "My soul, you have plenty of good things laid by for many years to come…". We are all aware of the Lord’s judgment: "Fool! This very night the demand will be made for your soul…" (Lk 12: 19-20). The practice of almsgiving is a reminder of God’s primacy and turns our attention towards others, so that we may rediscover how good our Father is, and receive his mercy.

During the entire Lenten period, the Church offers us God’s Word with particular abundance. By meditating and internalizing the Word in order to live it every day, we learn a precious and irreplaceable form of prayer; by attentively listening to God, who continues to speak to our hearts, we nourish the itinerary of faith initiated on the day of our Baptism. Prayer also allows us to gain a new concept of time: without the perspective of eternity and transcendence, in fact, time simply directs our steps towards a horizon without a future. Instead, when we pray, we find time for God, to understand that his "words will not pass away" (cf. Mk 13: 31), to enter into that intimate communion with Him "that no one shall take from you" (Jn 16: 22), opening us to the hope that does not disappoint, eternal life.

In synthesis, the Lenten journey, in which we are invited to contemplate the Mystery of the Cross, is meant to reproduce within us "the pattern of his death" (Ph 3: 10), so as to effect a deep conversion in our lives; that we may be transformed by the action of the Holy Spirit, like St. Paul on the road to Damascus; that we may firmly orient our existence according to the will of God; that we may be freed of our egoism, overcoming the instinct to dominate others and opening us to the love of Christ. The Lenten period is a favorable time to recognize our weakness and to accept, through a sincere inventory of our life, the renewing Grace of the Sacrament of Penance, and walk resolutely towards Christ.

Dear Brothers and Sisters, through the personal encounter with our Redeemer and through fasting, almsgiving and prayer, the journey of conversion towards Easter leads us to rediscover our Baptism. This Lent, let us renew our acceptance of the Grace that God bestowed upon us at that moment, so that it may illuminate and guide all of our actions. What the Sacrament signifies and realizes, we are called to experience every day by following Christ in an ever more generous and authentic manner. In this our itinerary, let us entrust ourselves to the Virgin Mary, who generated the Word of God in faith and in the flesh, so that we may immerse ourselves – just as she did – in the death and resurrection of her Son Jesus, and possess eternal life.

From the Vatican, 4 November, 2010

BENEDICTUS PP XVI

[00246-02.01] [Original text: Italian]

TRADUZIONE IN LINGUA FRANCESE

«Ensevelis avec le Christ lors du Baptême, vous en êtes aussi ressuscités avec lui» (Cf. Col 2, 12)

Chers Frères et Sœurs,

Le Carême, qui nous conduit à la célébration de la Pâques très Sainte, constitue pour l’Eglise un temps liturgique vraiment précieux et important. Aussi est-ce avec plaisir que je vous adresse ce message, afin que ce Carême puisse être vécu avec toute l’ardeur nécessaire. Dans l’attente de la rencontre définitive avec son Epoux lors de la Pâque éternelle, laCommunauté ecclésiale intensifie son chemin de purification dans l’esprit, par une prière assidue et une charité active, afin de puiser avec plus d’abondance, dans le Mystère de la Rédemption, la vie nouvelle qui est dans le Christ Seigneur (cf. Préface I de Carême).

1. Cette vie nous a déjà été transmise le jour de notre Baptême lorsque, «devenus participants de la mort et de la résurrection du Christ», nous avons commencé «l'aventure joyeuse et exaltante du disciple» (Homélie en la Fête du Baptême du Seigneur, 10 janvier 2010). Dans ses épîtres, Saint Paul insiste à plusieurs reprises sur la communion toute particulière avec le Fils de Dieu, qui se réalise au moment de l’immersion dans les eaux baptismales. Le fait que le Baptême soit reçu le plus souvent en bas-âge, nous indique clairement qu’il est un don de Dieu: Nul ne mérite la vie éternelle par ses propres forces. La miséricorde de Dieu, qui efface le péché et nous donne de vivre notre existence avec «les mêmes sentiments qui sont dans le Christ Jésus» (Ph 2,5), est communiquée à l’homme gratuitement.

Dans sa lettre aux Philippiens, l’Apôtre des Gentils nous éclaire sur le sens de la transformation qui s’effectue par la participation à la mort et à la résurrection du Christ, en nous indiquant le but poursuivi: «le connaître lui, avec la puissance de sa résurrection et la communion à ses souffrances, lui devenir conforme dans sa mort, afin de parvenir si possible à ressusciter d’entre les morts» (Ph 3, 10-11). Le Baptême n’est donc pas un rite du passé, il est la rencontre avec le Christ qui donne forme à l’existence toute entière du baptisé, lui transmet la vie divine et l’appelle à une conversion sincère, mue et soutenue par la Grâce, lui permettant ainsi de parvenir à la stature adulte du Christ.

Un lien spécifique unit le Baptême au Carême en tant que période favorable pour expérimenter la grâce qui sauve. Les Pères du Concile Vatican II ont lancé un appel à tous les Pasteurs de l’Eglise pour que soient «employés plus abondamment les éléments baptismaux de la liturgie quadragésimale» (Const. Sacrosanctum Concilium, 109). En effet, dès ses origines, l’Eglise a uni la Veillée Pascale et la célébration du Baptême: dans ce sacrement s’accomplit le grand Mystère où l’homme meurt au péché, devient participant de la vie nouvelle dans le Christ ressuscité, et reçoit ce même Esprit de Dieu qui a ressuscité Jésus d’entre les morts (cf. Rm 8,11). Ce don gratuit doit être constamment ravivé en chacun de nous, et le Carême nous offre un parcours analogue à celui du catéchuménat qui, pour les chrétiens de l’Eglise primitive comme pour ceux d’aujourd’hui, est un lieu d’apprentissage indispensable de foi et de vie chrétienne: ils vivent vraiment leur Baptême comme un acte décisif pour toute leur existence.

2. Pour emprunter sérieusement le chemin vers Pâques et nous préparer à célébrer la Résurrection du Seigneur – qui est la fête la plus joyeuse et solennelle de l’année liturgique –, qu’est-ce qui pourrait être le plus adapté si ce n’est de nous laisser guider par la Parole de Dieu? C’est pourquoi l’Eglise, à travers les textes évangéliques proclamés lors des dimanches de Carême, nous conduit-elle à une rencontre particulièrement profonde avec le Seigneur, nous faisant parcourir à nouveau les étapes de l’initiation chrétienne: pour les catéchumènes en vue de recevoir le sacrement de la nouvelle naissance; pour ceux qui sont déjà baptisés, en vue d’opérer de nouveaux pas décisifs à la suite du Christ, dans un don plus plénier.

Le premier dimanche de l’itinéraire quadragésimal éclaire notre condition terrestre. Le combat victorieux de Jésus sur les tentations qui inaugure le temps de sa mission, est un appel à prendre conscience de notre fragilité pour accueillir la Grâce qui nous libère du péché et nous fortifie d’une façon nouvelle dans le Christ, chemin, vérité et vie (cf. Ordo Initiationis Christianae Adultorum, n. 25). C’est une invitation pressante à nous rappeler, à l’exemple du Christ et en union avec lui, que la foi chrétienne implique une lutte contre les «Puissances de ce monde de ténèbres» (Ep 6,12) où le démon est à l’œuvre et ne cesse, même de nos jours, de tenter tout homme qui veut s’approcher du Seigneur: le Christ sort vainqueur de cette lutte, également pour ouvrir notre cœur à l’espérance et nous conduire à la victoire sur les séductions du mal.

L’évangile de la Transfiguration du Seigneur nous fait contempler la gloire du Christ qui anticipe la résurrection et annonce la divinisation de l’homme. La communauté chrétienne découvre qu’à la suite des apôtres Pierre, Jacques et Jean, elle est conduite «dans un lieu à part, sur une haute montagne» (Mt 17,1) afin d’accueillir d’une façon nouvelle, dans le Christ, en tant que fils dans le Fils, le don de la Grâce de Dieu: «Celui-ci est mon Fils bien-aimé, qui a toute ma faveur, écoutez-le» (v.5). Ces paroles nous invitent à quitter la rumeur du quotidien pour nous plonger dans la présence de Dieu: Il veut nous transmettre chaque jour une Parole qui nous pénètre au plus profond de l’esprit, là où elle discerne le bien et le mal (cf. He 4,12) et affermit notre volonté de suivre le Seigneur.

«Donne-moi à boire» (Jn 4,7). Cette demande de Jésus à la Samaritaine, qui nous est rapportée dans la liturgie du troisième dimanche, exprime la passion de Dieu pour tout homme et veut susciter en notre cœur le désir du don de «l’eau jaillissant en vie éternelle» (v.14): C’est le don de l’Esprit Saint qui fait des chrétiens de «vrais adorateurs», capables de prier le Père «en esprit et en vérité» (v.23). Seule cette eau peut assouvir notre soif de bien, de vérité et de beauté! Seule cette eau, qui nous est donnée par le Fils, peut irriguer les déserts de l’âme inquiète et insatisfaite «tant qu’elle ne repose en Dieu», selon la célèbre expression de saint Augustin.

Le dimanche de l’aveugle-né nous présente le Christ comme la lumière du monde. L’Evangile interpelle chacun de nous: «Crois-tu au Fils de l’homme?» «Oui, je crois Seigneur!» (Jn 9, 35-38), répond joyeusement l’aveugle-né qui parle au nom de tout croyant. Le miracle de cette guérison est le signe que le Christ, en rendant la vue, veut ouvrir également notre regard intérieur afin que notre foi soit de plus en plus profonde et que nous puissions reconnaître en lui notre unique Sauveur. Le Christ illumine toutes les ténèbres de la vie et donne à l’homme de vivre en «enfant de lumière».

Lorsque l’évangile du cinquième dimanche proclame la résurrection de Lazare, nous nous trouvons face au mystère ultime de notre existence: «Je suis la résurrection et la vie... le crois-tu?» (Jn 11, 25-26). A la suite de Marthe, le temps est venu pour la communauté chrétienne de placer, à nouveau et en conscience, toute son espérance en Jésus de Nazareth: «Oui Seigneur, je crois que tu es le Christ, le Fils de Dieu, qui vient dans le monde» (v.27). La communion avec le Christ, en cette vie, nous prépare à franchir l’obstacle de la mort pour vivre éternellement en Lui. La foi en la résurrection des morts et l’espérance en la vie éternelle ouvrent notre intelligence au sens ultime de notre existence: Dieu a créé l’homme pour la résurrection et la vie; cette vérité confère une dimension authentique et définitive à l’histoire humaine, à l’existence personnelle, à la vie sociale, à la culture, à la politique, à l’économie. Privé de la lumière de la foi, l’univers entier périt, prisonnier d’un sépulcre sans avenir ni espérance.

Le parcours du Carême trouve son achèvement dans le Triduum Pascal, plus particulièrement dans la Grande Vigile de la Nuit Sainte: en renouvelant les promesses du Baptême, nous proclamons à nouveau que le Christ est le Seigneur de notre vie, de cette vie que Dieu nous a donnée lorsque nous sommes renés «de l’eau et de l’Esprit Saint», et nous réaffirmons notre ferme propos de correspondre à l’action de la Grâce pour être ses disciples.

3. Notre immersion dans la mort et la résurrection du Christ, par le sacrement du Baptême, nous pousse chaque jour à libérer notre cœur du poids des choses matérielles, du lien égoïste avec la «terre», qui nous appauvrit et nous empêche d’être disponibles et accueillants à Dieu et au prochain. Dans le Christ, Dieu s’est révélé Amour (cf. 1 Jn 4,7-10). La Croix du Christ, le «langage de la Croix» manifeste la puissance salvifique de Dieu (cf. 1 Cor 1,18) qui se donne pour relever l’homme et le conduire au salut: il s’agit de la forme la plus radicale de l’amour (cf. Enc. Deus caritas est, 12). Par la pratique traditionnelle du jeûne, de l’aumône et de la prière, signes de notre volonté de conversion, le Carême nous apprend à vivre de façon toujours plus radicale l’amour du Christ. Le jeûne, qui peut avoir des motivations diverses, a pour le chrétien une signification profondément religieuse: en appauvrissant notre table, nous apprenons à vaincre notre égoïsme pour vivre la logique du don et de l’amour; en acceptant la privation de quelque chose – qui ne soit pas seulement du superflu –, nous apprenons à détourner notre regard de notre «moi» pour découvrir Quelqu’un à côté de nous et reconnaître Dieu sur le visage de tant de nos frères. Pour le chrétien, la pratique du jeûne n’a rien d’intimiste, mais ouvre tellement à Dieu et à la détresse des hommes; elle fait en sorte que l’amour pour Dieu devienne aussi amour pour le prochain (cf. Mc 12,31).

Sur notre chemin, nous nous heurtons également à la tentation de la possession, de l’amour de l’argent, qui s’oppose à la primauté de Dieu dans notre vie. L’avidité de la possession engendre la violence, la prévarication et la mort; c’est pour cela que l’Eglise, spécialement en temps de Carême, appelle à la pratique de l’aumône, c’est à dire au partage. L’idolâtrie des biens, au contraire, non seulement nous sépare des autres mais vide la personne humaine en la laissant malheureuse, en lui mentant et en la trompant sans réaliser ce qu’elle lui promet, puisqu’elle substitue les biens matériels à Dieu, l’unique source de vie. Comment pourrions-nous donc comprendre la bonté paternelle de Dieu si notre cœur est plein de lui-même et de nos projets qui donnent l’illusion de pouvoir assurer notre avenir? La tentation consiste à penser comme le riche de la parabole: «Mon âme, tu as quantité de biens en réserve pour de nombreuses années...». Nous savons ce que répond le Seigneur: «Insensé, cette nuit même, on va te redemander ton âme...» (Lc 19,19-20). La pratique de l’aumône nous ramène à la primauté de Dieu et à l’attention envers l’autre, elle nous fait découvrir à nouveau la bonté du Père et recevoir sa miséricorde.

Pendant toute la période du Carême, l’Eglise nous offre avec grande abondance la Parole de Dieu. En la méditant et en l’intériorisant pour l’incarner au quotidien, nous découvrons une forme de prière qui est précieuse et irremplaçable. En effet l’écoute attentive de Dieu qui parle sans cesse à notre cœur, nourrit le chemin de foi que nous avons commencé le jour de notre Baptême. La prière nous permet également d’entrer dans une nouvelle perception du temps: Sans la perspective de l’éternité et de la transcendance, en effet, le temps n’est qu’une cadence qui rythme nos pas vers un horizon sans avenir. En priant, au contraire, nous prenons du temps pour Dieu, pour découvrir que ses «paroles ne passeront pas» (Mc 13,31), pour entrer en cette communion intime avec Lui «que personne ne pourra nous enlever» (cf. Jn 16,22), qui nous ouvre à l’espérance qui ne déçoit pas, à la vie éternelle.

En résumé, le parcours du Carême, où nous sommes invités à contempler le mystère de la Croix, consiste à nous rendre «conformes au Christ dans sa mort» (Ph 3,10), pour opérer une profonde conversion de notre vie: nous laisser transformer par l’action de l’Esprit Saint, comme saint Paul sur le chemin de Damas; mener fermement notre existence selon la volonté de Dieu; nous libérer de notre égoïsme en dépassant l’instinct de domination des autres et en nous ouvrant à la charité du Christ. La période du Carême est un temps favorable pour reconnaître notre fragilité, pour accueillir, à travers une sincère révision de vie, la Grâce rénovatrice du Sacrement de Pénitence et marcher résolument vers le Christ.

Chers Frères et Sœurs, par la rencontre personnelle avec notre Rédempteur et par la pratique du jeûne, de l’aumône et de la prière, le chemin de conversion vers Pâques nous conduit à découvrir d’une façon nouvelle notre Baptême. Accueillons à nouveau, en ce temps de Carême, la Grâce que Dieu nous a donnée au moment de notre Baptême, afin qu’elle illumine et guide toutes nos actions. Ce que ce Sacrement signifie et réalise, nous sommes appelés à le vivre jour après jour, en suivant le Christ avec toujours plus de générosité et d’authenticité. En ce cheminement, nous nous confions à la Vierge Marie qui a enfanté le Verbe de Dieu dans sa foi et dans sa chair, pour nous plonger comme Elle dans la mort et la résurrection de son Fils Jésus et avoir la vie éternelle.

Du Vatican, le 4 novembre 2010

BENEDICTUS PP XVI

[00246-03.01] [Texte original: Italien]

TRADUZIONE IN LINGUA TEDESCA

„Mit Christus wurdet ihr in der Taufe begraben, mit ihm auch auferweckt!" (vgl. Kol 2,12)

Liebe Brüder und Schwestern!

Die Fastenzeit, die uns zur Feier des heiligen Osterfestes hinführt, ist für die Kirche eine überaus kostbare und wichtige liturgische Zeit. Im Hinblick darauf freue ich mich, ein besonderes Wort an euch zu richten, da sie mit entsprechendem Eifer gelebt werden soll. Während die Gemeinschaft der Kirche der endgültigen Vereinigung mit ihrem Bräutigam beim ewigen Ostern entgegenharrt, verstärkt sie, unermüdlich im Gebet und in Werken der Liebe, ihre Anstrengungen auf dem Weg der Reinigung im Geist, um mit größerer Fülle aus dem Geheimnis der Erlösung das neue Leben in Christus zu schöpfen (vgl. Präfation für die Fastenzeit I).

1. Dieses Leben ist uns schon am Tag unserer Taufe geschenkt worden, als für uns, die wir „mit der Taufe am Tod und an der Auferstehung Christi Anteil haben", „das freudige und erhebende Abenteuer der Jüngerschaft" begonnen hat (Homilie am Fest der Taufe des Herrn, 10. Januar 2010). Der heilige Paulus betont in seinen Briefen immer wieder die einzigartige Gemeinschaft mit dem Sohn Gottes, die durch dieses Bad der Taufe gewirkt wird. Die Tatsache, dass man die Taufe in den meisten Fällen als Kind empfängt, macht deutlich, dass es sich um ein Geschenk Gottes handelt: Keiner verdient sich das ewige Leben aus eigener Kraft heraus. Das Erbarmen Gottes, das die Sünde hinweg nimmt und es ermöglicht, so zu leben, „wie es dem Leben in Christus Jesus entspricht" (Phil 2,5), wird dem Menschen unentgeltlich geschenkt.

Der Völkerapostel erläutert in seinem Brief an die Philipper den Sinngehalt der Umwandlung, welche sich durch die Teilnahme am Tod und an der Auferstehung Christi vollzieht, indem er ihr Ziel aufzeigt: „Christus will ich erkennen und die Macht seiner Auferstehung und die Gemeinschaft mit seinen Leiden; sein Tod soll mich prägen. So hoffe ich, auch zur Auferstehung von den Toten zu gelangen" (Phil 3,10-11). Die Taufe ist also kein Ritus der Vergangenheit, sondern die Begegnung mit Christus, der die ganze Existenz des Getauften formt, ihm göttliches Leben verleiht und ihn zu einer aufrichtigen Umkehr ruft, die von der Gnade begonnen und getragen wird und so die Vollgestalt Christi erreichen lässt.

Die Taufe steht in einer besonderen Beziehung zur Fastenzeit als einem günstigen Moment, um die rettende Gnade zu erfahren. Die Väter des Zweiten Vatikanischen Konzils haben alle Hirten der Kirche dazu aufgerufen, „die der Fastenliturgie eigenen Taufmotive stärker" zu nutzen (Konstitution Sacrosanctum Concilium, 109). Denn immer schon verbindet die Kirche die Osternacht mit der Feier der Taufe: In diesem Sakrament wird jenes große Geheimnis wirksam, in dem der Mensch der Sünde stirbt, des neuen Lebens im auferstandenen Christus teilhaftig wird und denselben Geist Gottes empfängt, der Jesus von den Toten auferweckt hat (vgl. Röm 8,11). Dieses unentgeltliche Geschenk muss immer wieder neu in jedem von uns entfacht werden, und die Fastenzeit bietet uns einen dem Katechumenat ähnlichen Weg an, der für die Christen der frühen Kirche wie auch für die Taufbewerber von heute eine unersetzbare Schule des Glaubens und des christlichen Lebens ist: Sie erleben die Taufe wirklich als einen entscheidenden Moment für ihre ganze Existenz.

2. Was könnte sich besser eignen, um ernsthaft den Weg auf Ostern zu beschreiten und uns auf die Feier der Auferstehung des Herrn – das freudigste und feierlichste Fest des ganzen Kirchenjahres – vorzubereiten, als sich vom Wort Gottes leiten zu lassen? Deshalb führt uns die Kirche in den Evangelientexten der Sonntage der Fastenzeit hin auf eine besonders innige Begegnung mit dem Herrn, indem sie uns die Etappen der christlichen Initiation noch einmal durchlaufen lässt: für die Katechumenen im Hinblick auf den Empfang des Sakramentes der Wiedergeburt; für die schon Getauften, um neue und maßgebende Schritte in der Nachfolge Christi und in der vollkommeneren Hingabe an Ihn zu setzen.

Der erste Sonntag des Weges durch die Fastenzeit macht die Verfassung unseres Menschseins auf dieser Erde deutlich. Der siegreiche Kampf gegen die Versuchungen, mit dem die Sendung Jesu beginnt, ist eine Einladung, sich der eigenen Schwachheit bewusst zu werden, um die Gnade zu empfangen, die von Sünden frei macht und neue Kraft in Christus ausgießt, der Weg, Wahrheit und Leben ist (vgl. Die Feier der Eingliederung Erwachsener in die Kirche, Nr. 25). Er ist ein deutlicher Aufruf, sich daran zu erinnern, dass der christliche Glaube, nach dem Beispiel Jesu und in Gemeinschaft mit Ihm, einen Kampf „gegen die Beherrscher dieser finsteren Welt" (Eph 6,12) einschließt, in welcher der Teufel am Werk ist, der auch heute nicht müde wird, den Menschen, der sich dem Herrn nähern will, zu versuchen: Christus geht daraus als Sieger hervor, um auch unser Herz für die Hoffnung zu öffnen und uns darin zu leiten, die Verführungen des Bösen zu besiegen.

Das Evangelium von der Verklärung des Herrn stellt uns die Herrlichkeit Christi vor Augen, die die Auferstehung vorwegnimmt und die Vergöttlichung des Menschen ankündigt. Die Gemeinschaft der Christen erkennt, dass sie wie die Apostel Petrus, Jakobus und Johannes „beiseite […] auf einen hohen Berg" (Mt 17,1) geführt wird, um in Christus, als Söhne im Sohn, wieder das Geschenk der göttlichen Gnade zu empfangen: „Das ist mein geliebter Sohn, an dem ich Gefallen gefunden habe; auf ihn sollt ihr hören." (V. 5). Es ist eine Einladung, vom Lärm des Alltags Abstand zu nehmen, um in die Gegenwart Gottes einzutauchen: Er möchte uns tagtäglich ein Wort zukommen lassen, das tief in unseren Geist eindringt, wo es Gut und Böse unterscheidet (vgl. Hebr 4,12), und das den Willen stärkt, dem Herrn nachzufolgen.

Die Bitte Jesu an die samaritische Frau: „Gib mir zu trinken!" (Joh 4,7), die ihren Platz in der Liturgie des dritten Sonntages hat, drückt die Leidenschaft Gottes für jeden Menschen aus und möchte in unserem Herzen den Wunsch nach dem Geschenk der „sprudelnden Quelle […], deren Wasser ewiges Leben schenkt" (V. 14), wecken: Es ist die Gabe des Heiligen Geistes, der die Christen zu „wahren Beter[n]" macht, die fähig sind, den Vater „im Geist und in der Wahrheit" (V. 23) anzubeten. Nur dieses Wasser vermag unseren Durst nach dem Guten, nach der Wahrheit und nach der Schönheit zu löschen! Nur dieses Wasser, das uns der Sohn gibt, bewässert die Wüsten der unruhigen und unzufriedenen Seele, „bis sie ruht in Gott", wie es das bekannte Wort des heiligen Augustinus sagt.

Der Sonntag des Blindgeborenen stellt uns Christus als das Licht der Welt vor Augen. Das Evangelium fragt jeden einzelnen von uns: „Glaubst du an den Menschensohn?". „Ich glaube, Herr!" (Joh 9,35.38), bestätigt freudig der Blindgeborene und macht sich so zur Stimme eines jeden Glaubenden. Das Heilungswunder ist das Zeichen dafür, dass Christus zusammen mit dem Augenlicht auch unseren inneren Blick öffnen möchte, damit unser Glaube immer tiefer wird und wir in Ihm unseren einzigen Retter erkennen können. Er erhellt alle Dunkelheit des Lebens und lässt den Menschen als „Kind des Lichtes" leben.

Wenn uns am fünften Sonntag die Auferweckung des Lazarus verkündet wird, werden wir mit dem letzten Geheimnis unserer Existenz konfrontiert: „Ich bin die Auferstehung und das Leben. […] Glaubst du das?" (Joh 11,25-26). Für die christliche Gemeinschaft ist das der Augenblick, mit Marta offen alle Hoffnung auf Jesus von Nazaret zu setzen: „Ja, Herr, ich glaube, dass du der Messias bist, der Sohn Gottes, der in die Welt kommen soll" (V. 27). Die Gemeinschaft mit Christus in diesem Leben bereitet uns darauf vor, die Grenze des Todes zu überwinden, um für immer in Ihm zu leben. Der Glaube an die Auferstehung der Toten und die Hoffnung auf das ewige Leben öffnen unseren Blick für den letzten Sinn unserer Existenz: Gott hat den Menschen für die Auferstehung und das Leben erschaffen, und diese Wahrheit gibt der Geschichte der Menschen, ihrer persönlichen Existenz und ihrem Leben in der Gesellschaft wie auch der Kultur, der Politik und der Wirtschaft ihren wahren und letztgültigen Sinn. Ohne das Licht des Glaubens endet das ganze Universum eingeschlossen in einem Grab ohne Zukunft, ohne Hoffnung.

Der Weg durch die Fastenzeit findet seine Vollendung in den Drei Österlichen Tagen, besonders in der großen Vigil der Osternacht: Bei der Erneuerung des Taufversprechens bekennen wir von neuem, dass Christus der Herr unseres Lebens ist, jenes Lebens, das Gott uns geschenkt hat, als wir „aus dem Wasser und dem Heiligen Geist" wiedergeboren wurden, und wir bekräftigen von neuem unseren festen Entschluss, dem Werk der Gnade zu entsprechen, um seine Jünger zu sein.

3. Unser Eingetaucht-Sein in Tod und Auferstehung Christi durch das Sakrament der Taufe drängt uns jeden Tag aufs neue dazu, unser Herz von der Last der materiellen Dinge zu befreien, von jener egoistischen Bindung an die „Erde", die uns arm macht und uns daran hindert, für Gott und den Nächsten bereit und offen zu sein. In Christus hat sich Gott als die Liebe offenbart (vgl. 1 Joh 4,7-10). Das Kreuz Christi, das „Wort vom Kreuz" verdeutlicht die rettende Kraft Gottes (vgl. 1 Kor 1,18), die geschenkt wird, um den Menschen aufzurichten und ihm das Heil zu bringen: Liebe in ihrer radikalsten Form (vgl. Enzyklika Deus caritas est, 12). Durch die traditionellen Übungen des Fastens, des Almosengebens und des Gebetes, Ausdrucksweisen der Verpflichtung zur Umkehr, erzieht die Fastenzeit dazu, die Liebe Christi immer radikaler zu leben. Das Fasten, das unterschiedlich begründet sein kann, hat für den Christen einen tief religiösen Sinn: Indem wir unseren Tisch ärmer machen, lernen wir unseren Egoismus zu überwinden, um in der Logik des Schenkens und der Liebe zu leben; indem wir den Verzicht auf etwas auf uns nehmen – nicht bloß auf etwas Überflüssiges – lernen wir, unseren Blick vom eigenen „Ich" abzuwenden, um jemanden an unserer Seite zu entdecken und Gott im Angesicht vieler unserer Brüder zu erkennen. Für den Christen hat das Fasten nichts mit einer Ichbezogenheit zu tun, sondern es öffnet mehr und mehr auf Gott hin und auf die Bedürfnisse der Menschen und sorgt dafür, dass die Liebe zu Gott auch die Liebe zum Nächsten einschließt (vgl. Mk 12,31).

Auf unserem Weg sehen wir uns auch der Versuchung des Haben-Wollens gegenüber, der Habsucht nach Geld, die die Vorrangstellung Gottes in unserem Leben gefährdet. Die Besitzgier bringt Gewalt, Missbrauch und Tod hervor; aus diesem Grunde erinnert die Kirche besonders in der Fastenzeit an die Übung des Almosengebens, das heißt an das Teilen. Die Vergötterung der Güter hingegen entfernt nicht nur vom anderen, sondern sie entblößt den Menschen, macht ihn unglücklich, betrügt ihn, weckt falsche Hoffnungen, ohne das zu verwirklichen, was sie verspricht, weil sie die materiellen Dinge an die Stelle Gottes setzt, der allein Quelle des Lebens ist. Wie kann man die Vatergüte Gottes verstehen, wenn das Herz voll von sich selbst und den eigenen Plänen ist, mit denen man sich einbildet, sich die Zukunft sichern zu können? Es ist die Versuchung, so zu denken wie der Reiche im Gleichnis: „Nun hast du einen großen Vorrat, der für viele Jahre reicht…". Wir kennen das Urteil des Herrn: „Du Narr! Noch in dieser Nacht wird man dein Leben von dir zurückfordern…" (Lk 12,19-20). Die Übung des Almosengebens ist ein Aufruf, Gott den Vorrang zu geben und dem anderen gegenüber aufmerksam zu sein, um unseren guten Vater neu zu entdecken und sein Erbarmen zu empfangen.

In der gesamten Fastenzeit bietet uns die Kirche das Wort Gottes sehr reichlich an. Wenn wir es betrachten und verinnerlichen, um es tagtäglich zu leben, lernen wir eine kostbare und unersetzbare Form des Gebetes kennen. Denn das aufmerksame Hören auf Gott, der unaufhörlich zu unserem Herzen spricht, nährt den Weg des Glaubens, den wir am Tag der Taufe begonnen haben. Das Gebet erlaubt uns auch, eine neue Auffassung der Zeit zu gewinnen: Ohne die Perspektive der Ewigkeit und der Transzendenz unterteilt sie nämlich nur unsere Schritte auf einen Horizont hin, der keine Zukunft hat. Im Gebet finden wir hingegen Zeit für Gott, um zu erkennen, dass „seine Worte nicht vergehen werden" (vgl. Mk 13,31), um einzutreten in jene innige Gemeinschaft mit Ihm, die „niemand uns nimmt" (vgl. Joh 16,22) und die uns für die Hoffnung öffnet, die nicht zugrunde gehen lässt, für das ewige Leben.

Kurz gesagt, der Weg durch die Fastenzeit, auf dem wir eingeladen sind, das Geheimnis des Kreuzes zu betrachten, bedeutet, dass „sein Tod mich prägen soll" (Phil 3,10), um eine tiefe Umkehr in unserem Leben verwirklichen zu können: sich verwandeln lassen durch das Wirken des Heiligen Geistes wie der hl. Paulus auf dem Weg nach Damaskus; unsere Existenz mit Entschiedenheit am Willen Gottes ausrichten; uns von unserem Egoismus befreien, indem wir die Machtsucht über die andern überwinden und uns der Liebe Christi öffnen. Die Fastenzeit ist eine geeignete Zeit, um unsere Schwachheit einzugestehen und nach einer ehrlichen Prüfung unseres Lebens die erneuernde Gnade des Sakramentes der Versöhnung zu empfangen sowie entschieden auf Christus zuzugehen.

Liebe Brüder und Schwestern, durch die persönliche Begegnung mit unserem Erlöser und durch Fasten, Almosengeben und Gebet führt uns der Weg der Umkehr auf Ostern hin zur Wiederentdeckung unserer Taufe. Empfangen wir in dieser Fastenzeit wieder neu die Gnade, die Gott uns in jenem Moment geschenkt hat, damit er all unser Handeln erleuchte und leite. Was das Sakrament bezeichnet und bewirkt, sollen wir jeden Tag in der Nachfolge Christi großzügiger und überzeugender leben. Auf diesem unseren Weg vertrauen wir uns der Jungfrau Maria an, die das Wort Gottes im Glauben und im Fleisch geboren hat, um wie sie in den Tod und die Auferstehung ihres Sohnes Jesus einzutauchen und das ewige Leben zu erlangen.

Aus dem Vatikan, am 4. November 2010

BENEDICTUS PP XVI

[00246-05.01] [Originalsprache: Italienisch]

TRADUZIONE IN LINGUA SPAGNOLA

«Con Cristo sois sepultados en el Bautismo, con él también habéis resucitado» (cf. Col 2, 12)

Queridos hermanos y hermanas:

La Cuaresma, que nos lleva a la celebración de la Santa Pascua, es para la Iglesia un tiempo litúrgico muy valioso e importante, con vistas al cual me alegra dirigiros unas palabras específicas para que lo vivamos con el debido compromiso. La Comunidad eclesial, asidua en la oración y en la caridad operosa, mientras mira hacia el encuentro definitivo con su Esposo en la Pascua eterna, intensifica su camino de purificación en el espíritu, para obtener con más abundancia del Misterio de la redención la vida nueva en Cristo Señor (cf. Prefacio I de Cuaresma).

1. Esta misma vida ya se nos transmitió el día del Bautismo, cuando «al participar de la muerte y resurrección de Cristo» comenzó para nosotros «la aventura gozosa y entusiasmante del discípulo» (Homilía en la fiesta del Bautismo del Señor, 10 de enero de 2010). San Pablo, en sus Cartas, insiste repetidamente en la comunión singular con el Hijo de Dios que se realiza en este lavacro. El hecho de que en la mayoría de los casos el Bautismo se reciba en la infancia pone de relieve que se trata de un don de Dios: nadie merece la vida eterna con sus fuerzas. La misericordia de Dios, que borra el pecado y permite vivir en la propia existencia «los mismos sentimientos que Cristo Jesús» (Flp 2, 5) se comunica al hombre gratuitamente.

El Apóstol de los gentiles, en la Carta a los Filipenses, expresa el sentido de la transformación que tiene lugar al participar en la muerte y resurrección de Cristo, indicando su meta: que yo pueda «conocerle a él, el poder de su resurrección y la comunión en sus padecimientos hasta hacerme semejante a él en su muerte, tratando de llegar a la resurrección de entre los muertos» (Flp 3, 10-11). El Bautismo, por tanto, no es un rito del pasado sino el encuentro con Cristo que conforma toda la existencia del bautizado, le da la vida divina y lo llama a una conversión sincera, iniciada y sostenida por la Gracia, que lo lleve a alcanzar la talla adulta de Cristo.

Un nexo particular vincula al Bautismo con la Cuaresma como momento favorable para experimentar la Gracia que salva. Los Padres del Concilio Vaticano II exhortaron a todos los Pastores de la Iglesia a utilizar «con mayor abundancia los elementos bautismales propios de la liturgia cuaresmal» (Sacrosanctum Concilium, 109). En efecto, desde siempre, la Iglesia asocia la Vigilia Pascual a la celebración del Bautismo: en este Sacramento se realiza el gran misterio por el cual el hombre muere al pecado, participa de la vida nueva en Jesucristo Resucitado y recibe el mismo espíritu de Dios que resucitó a Jesús de entre los muertos (cf. Rm 8, 11). Este don gratuito debe ser reavivado en cada uno de nosotros y la Cuaresma nos ofrece un recorrido análogo al catecumenado, que para los cristianos de la Iglesia antigua, así como para los catecúmenos de hoy, es una escuela insustituible de fe y de vida cristiana: viven realmente el Bautismo como un acto decisivo para toda su existencia.

2. Para emprender seriamente el camino hacia la Pascua y prepararnos a celebrar la Resurrección del Señor —la fiesta más gozosa y solemne de todo el Año litúrgico—, ¿qué puede haber de más adecuado que dejarnos guiar por la Palabra de Dios? Por esto la Iglesia, en los textos evangélicos de los domingos de Cuaresma, nos guía a un encuentro especialmente intenso con el Señor, haciéndonos recorrer las etapas del camino de la iniciación cristiana: para los catecúmenos, en la perspectiva de recibir el Sacramento del renacimiento, y para quien está bautizado, con vistas a nuevos y decisivos pasos en el seguimiento de Cristo y en la entrega más plena a él.

El primer domingo del itinerario cuaresmal subraya nuestra condición de hombre en esta tierra. La batalla victoriosa contra las tentaciones, que da inicio a la misión de Jesús, es una invitación a tomar conciencia de la propia fragilidad para acoger la Gracia que libera del pecado e infunde nueva fuerza en Cristo, camino, verdad y vida (cf. Ordo Initiationis Christianae Adultorum, n. 25). Es una llamada decidida a recordar que la fe cristiana implica, siguiendo el ejemplo de Jesús y en unión con él, una lucha «contra los Dominadores de este mundo tenebroso» (Ef 6, 12), en el cual el diablo actúa y no se cansa, tampoco hoy, de tentar al hombre que quiere acercarse al Señor: Cristo sale victorioso, para abrir también nuestro corazón a la esperanza y guiarnos a vencer las seducciones del mal.

El Evangelio de la Transfiguración del Señor pone delante de nuestros ojos la gloria de Cristo, que anticipa la resurrección y que anuncia la divinización del hombre. La comunidad cristiana toma conciencia de que es llevada, como los Apóstoles Pedro, Santiago y Juan «aparte, a un monte alto» (Mt 17, 1), para acoger nuevamente en Cristo, como hijos en el Hijo, el don de la gracia de Dios: «Este es mi Hijo amado, en quien me complazco; escuchadle» (v. 5). Es la invitación a alejarse del ruido de la vida diaria para sumergirse en la presencia de Dios: él quiere transmitirnos, cada día, una palabra que penetra en las profundidades de nuestro espíritu, donde discierne el bien y el mal (cf. Hb 4, 12) y fortalece la voluntad de seguir al Señor.

La petición de Jesús a la samaritana: «Dame de beber» (Jn 4, 7), que se lee en la liturgia del tercer domingo, expresa la pasión de Dios por todo hombre y quiere suscitar en nuestro corazón el deseo del don del «agua que brota para vida eterna» (v. 14): es el don del Espíritu Santo, que hace de los cristianos «adoradores verdaderos» capaces de orar al Padre «en espíritu y en verdad» (v. 23). ¡Sólo esta agua puede apagar nuestra sed de bien, de verdad y de belleza! Sólo esta agua, que nos da el Hijo, irriga los desiertos del alma inquieta e insatisfecha, «hasta que descanse en Dios», según las célebres palabras de san Agustín.

El domingo del ciego de nacimiento presenta a Cristo como luz del mundo. El Evangelio nos interpela a cada uno de nosotros: «¿Tú crees en el Hijo del hombre?». «Creo, Señor» (Jn 9, 35.38), afirma con alegría el ciego de nacimiento, dando voz a todo creyente. El milagro de la curación es el signo de que Cristo, junto con la vista, quiere abrir nuestra mirada interior, para que nuestra fe sea cada vez más profunda y podamos reconocer en él a nuestro único Salvador. Él ilumina todas las oscuridades de la vida y lleva al hombre a vivir como «hijo de la luz».

Cuando, en el quinto domingo, se proclama la resurrección de Lázaro, nos encontramos frente al misterio último de nuestra existencia: «Yo soy la resurrección y la vida... ¿Crees esto?» (Jn 11, 25-26). Para la comunidad cristiana es el momento de volver a poner con sinceridad, junto con Marta, toda la esperanza en Jesús de Nazaret: «Sí, Señor, yo creo que tú eres el Cristo, el Hijo de Dios, el que iba a venir al mundo» (v. 27). La comunión con Cristo en esta vida nos prepara a cruzar la frontera de la muerte, para vivir sin fin en él. La fe en la resurrección de los muertos y la esperanza en la vida eterna abren nuestra mirada al sentido último de nuestra existencia: Dios ha creado al hombre para la resurrección y para la vida, y esta verdad da la dimensión auténtica y definitiva a la historia de los hombres, a su existencia personal y a su vida social, a la cultura, a la política, a la economía. Privado de la luz de la fe todo el universo acaba encerrado dentro de un sepulcro sin futuro, sin esperanza.

El recorrido cuaresmal encuentra su cumplimiento en el Triduo Pascual, en particular en la Gran Vigilia de la Noche Santa: al renovar las promesas bautismales, reafirmamos que Cristo es el Señor de nuestra vida, la vida que Dios nos comunicó cuando renacimos «del agua y del Espíritu Santo», y confirmamos de nuevo nuestro firme compromiso de corresponder a la acción de la Gracia para ser sus discípulos.

3. Nuestro sumergirnos en la muerte y resurrección de Cristo mediante el sacramento del Bautismo, nos impulsa cada día a liberar nuestro corazón del peso de las cosas materiales, de un vínculo egoísta con la «tierra», que nos empobrece y nos impide estar disponibles y abiertos a Dios y al prójimo. En Cristo, Dios se ha revelado como Amor (cf. 1 Jn 4, 7-10). La Cruz de Cristo, la «palabra de la Cruz» manifiesta el poder salvífico de Dios (cf. 1 Co 1, 18), que se da para levantar al hombre y traerle la salvación: amor en su forma más radical (cf. Enc. Deus caritas est, 12). Mediante las prácticas tradicionales del ayuno, la limosna y la oración, expresiones del compromiso de conversión, la Cuaresma educa a vivir de modo cada vez más radical el amor de Cristo. El ayuno, que puede tener distintas motivaciones, adquiere para el cristiano un significado profundamente religioso: haciendo más pobre nuestra mesa aprendemos a superar el egoísmo para vivir en la lógica del don y del amor; soportando la privación de alguna cosa —y no sólo de lo superfluo— aprendemos a apartar la mirada de nuestro «yo», para descubrir a Alguien a nuestro lado y reconocer a Dios en los rostros de tantos de nuestros hermanos. Para el cristiano el ayuno no tiene nada de intimista, sino que abre mayormente a Dios y a las necesidades de los hombres, y hace que el amor a Dios sea también amor al prójimo (cf. Mc 12, 31).

En nuestro camino también nos encontramos ante la tentación del tener, de la avidez de dinero, que insidia el primado de Dios en nuestra vida. El afán de poseer provoca violencia, prevaricación y muerte; por esto la Iglesia, especialmente en el tiempo cuaresmal, recuerda la práctica de la limosna, es decir, la capacidad de compartir. La idolatría de los bienes, en cambio, no sólo aleja del otro, sino que despoja al hombre, lo hace infeliz, lo engaña, lo defrauda sin realizar lo que promete, porque sitúa las cosas materiales en el lugar de Dios, única fuente de la vida. ¿Cómo comprender la bondad paterna de Dios si el corazón está lleno de uno mismo y de los propios proyectos, con los cuales nos hacemos ilusiones de que podemos asegurar el futuro? La tentación es pensar, como el rico de la parábola: «Alma, tienes muchos bienes en reserva para muchos años... Pero Dios le dijo: "¡Necio! Esta misma noche te reclamarán el alma"» (Lc 12, 19-20). La práctica de la limosna nos recuerda el primado de Dios y la atención hacia los demás, para redescubrir a nuestro Padre bueno y recibir su misericordia.

En todo el período cuaresmal, la Iglesia nos ofrece con particular abundancia la Palabra de Dios. Meditándola e interiorizándola para vivirla diariamente, aprendemos una forma preciosa e insustituible de oración, porque la escucha atenta de Dios, que sigue hablando a nuestro corazón, alimenta el camino de fe que iniciamos en el día del Bautismo. La oración nos permite también adquirir una nueva concepción del tiempo: de hecho, sin la perspectiva de la eternidad y de la trascendencia, simplemente marca nuestros pasos hacia un horizonte que no tiene futuro. En la oración encontramos, en cambio, tiempo para Dios, para conocer que «sus palabras no pasarán» (cf. Mc 13, 31), para entrar en la íntima comunión con él que «nadie podrá quitarnos» (cf. Jn 16, 22) y que nos abre a la esperanza que no falla, a la vida eterna.

En síntesis, el itinerario cuaresmal, en el cual se nos invita a contemplar el Misterio de la cruz, es «hacerme semejante a él en su muerte» (Flp 3, 10), para llevar a cabo una conversión profunda de nuestra vida: dejarnos transformar por la acción del Espíritu Santo, como san Pablo en el camino de Damasco; orientar con decisión nuestra existencia según la voluntad de Dios; liberarnos de nuestro egoísmo, superando el instinto de dominio sobre los demás y abriéndonos a la caridad de Cristo. El período cuaresmal es el momento favorable para reconocer nuestra debilidad, acoger, con una sincera revisión de vida, la Gracia renovadora del Sacramento de la Penitencia y caminar con decisión hacia Cristo.

Queridos hermanos y hermanas, mediante el encuentro personal con nuestro Redentor y mediante el ayuno, la limosna y la oración, el camino de conversión hacia la Pascua nos lleva a redescubrir nuestro Bautismo. Renovemos en esta Cuaresma la acogida de la Gracia que Dios nos dio en ese momento, para que ilumine y guíe todas nuestras acciones. Lo que el Sacramento significa y realiza estamos llamados a vivirlo cada día siguiendo a Cristo de modo cada vez más generoso y auténtico. Encomendamos nuestro itinerario a la Virgen María, que engendró al Verbo de Dios en la fe y en la carne, para sumergirnos como ella en la muerte y resurrección de su Hijo Jesús y obtener la vida eterna.

Vaticano, 4 de noviembre de 2010

BENEDICTUS PP XVI

[00246-04.01] [Texto original: Italiano]

TRADUZIONE IN LINGUA PORTOGHESE

«Sepultados com Ele no baptismo, foi também com Ele que ressuscitastes» (cf. Cl 2, 12)

Amados irmãos e irmãs!

A Quaresma, que nos conduz à celebração da Santa Páscoa, é para a Igreja um tempo litúrgico muito precioso e importante, em vista do qual me sinto feliz por dirigir uma palavra específica para que seja vivido com o devido empenho. Enquanto olha para o encontro definitivo com o seu Esposo na Páscoa eterna, a Comunidade eclesial, assídua na oração e na caridade laboriosa, intensifica o seu caminho de purificação no espírito, para haurir com mais abundância do Mistério da redenção a vida nova em Cristo Senhor (cf. Prefácio I de Quaresma).

1. Esta mesma vida já nos foi transmitida no dia do nosso Baptismo, quando, «tendo-nos tornado partícipes da morte e ressurreição de Cristo» iniciou para nós «a aventura jubilosa e exaltante do discípulo» (Homilia na Festa do Baptismo do Senhor, 10 de Janeiro de 2010). São Paulo, nas suas Cartas, insiste repetidas vezes sobre a singular comunhão com o Filho de Deus realizada neste lavacro. O facto que na maioria dos casos o Baptismo se recebe quando somos crianças põe em evidência que se trata de um dom de Deus: ninguém merece a vida eterna com as próprias forças. A misericórdia de Deus, que lava do pecado e permite viver na própria existência «os mesmos sentimentos de Jesus Cristo» (Fl 2, 5), é comunicada gratuitamente ao homem.

O Apóstolo dos gentios, na Carta aos Filipenses, expressa o sentido da transformação que se realiza com a participação na morte e ressurreição de Cristo, indicando a meta: que assim eu possa «conhecê-Lo, a Ele, à força da sua Ressurreição e à comunhão nos Seus sofrimentos, configurando-me à Sua morte, para ver se posso chegar à ressurreição dos mortos» (Fl 3, 10-11). O Baptismo, portanto, não é um rito do passado, mas o encontro com Cristo que informa toda a existência do baptizado, doa-lhe a vida divina e chama-o a uma conversão sincera, iniciada e apoiada pela Graça, que o leve a alcançar a estatura adulta de Cristo.

Um vínculo particular liga o Baptismo com a Quaresma como momento favorável para experimentar a Graça que salva. Os Padres do Concílio Vaticano II convidaram todos os Pastores da Igreja a utilizar «mais abundantemente os elementos baptismais próprios da liturgia quaresmal» (Const. Sacrosanctum Concilium, 109). De facto, desde sempre a Igreja associa a Vigília Pascal à celebração do Baptismo: neste Sacramento realiza-se aquele grande mistério pelo qual o homem morre para o pecado, é tornado partícipe da vida nova em Cristo Ressuscitado e recebe o mesmo Espírito de Deus que ressuscitou Jesus dos mortos (cf. Rm 8, 11). Este dom gratuito deve ser reavivado sempre em cada um de nós e a Quaresma oferece-nos um percurso análogo ao catecumenato, que para os cristãos da Igreja antiga, assim como também para os catecúmenos de hoje, é uma escola insubstituível de fé e de vida cristã: deveras eles vivem o Baptismo como um acto decisivo para toda a sua existência.

2. Para empreender seriamente o caminho rumo à Páscoa e nos prepararmos para celebrar a Ressurreição do Senhor – a festa mais jubilosa e solene de todo o Ano litúrgico – o que pode haver de mais adequado do que deixar-nos conduzir pela Palavra de Deus? Por isso a Igreja, nos textos evangélicos dos domingos de Quaresma, guia-nos para um encontro particularmente intenso com o Senhor, fazendo-nos repercorrer as etapas do caminho da iniciação cristã: para os catecúmenos, na perspectiva de receber o Sacramento do renascimento, para quem é baptizado, em vista de novos e decisivos passos no seguimento de Cristo e na doação total a Ele.

O primeiro domingo do itinerário quaresmal evidencia a nossa condição do homens nesta terra. O combate vitorioso contra as tentações, que dá início à missão de Jesus, é um convite a tomar consciência da própria fragilidade para acolher a Graça que liberta do pecado e infunde nova força em Cristo, caminho, verdade e vida (cf. Ordo Initiationis Christianae Adultorum, n. 25). É uma clara chamada a recordar como a fé cristã implica, a exemplo de Jesus e em união com Ele, uma luta «contra os dominadores deste mundo tenebroso» (Hb 6, 12), no qual o diabo é activo e não se cansa, nem sequer hoje, de tentar o homem que deseja aproximar-se do Senhor: Cristo disso sai vitorioso, para abrir também o nosso coração à esperança e guiar-nos na vitória às seduções do mal.

O Evangelho da Transfiguração do Senhor põe diante dos nossos olhos a glória de Cristo, que antecipa a ressurreição e que anuncia a divinização do homem. A comunidade cristã toma consciência de ser conduzida, como os apóstolos Pedro, Tiago e João, «em particular, a um alto monte» (Mt 17, 1), para acolher de novo em Cristo, como filhos no Filho, o dom da Graça de Deus: «Este é o Meu Filho muito amado: n’Ele pus todo o Meu enlevo. Escutai-O» (v. 5). É o convite a distanciar-se dos boatos da vida quotidiana para se imergir na presença de Deus: Ele quer transmitir-nos, todos os dias, uma Palavra que penetra nas profundezas do nosso espírito, onde discerne o bem e o mal (cf. Hb 4, 12) e reforça a vontade de seguir o Senhor.

O pedido de Jesus à Samaritana: «Dá-Me de beber» (Jo 4, 7), que é proposto na liturgia do terceiro domingo, exprime a paixão de Deus por todos os homens e quer suscitar no nosso coração o desejo do dom da «água a jorrar para a vida eterna» (v. 14): é o dom do espírito Santo, que faz dos cristãos «verdadeiros adoradores» capazes de rezar ao Pai «em espírito e verdade» (v. 23). Só esta água pode extinguir a nossa sede do bem, da verdade e da beleza! Só esta água, que nos foi doada pelo Filho, irriga os desertos da alma inquieta e insatisfeita, «enquanto não repousar em Deus», segundo as célebres palavras de Santo Agostinho.

O domingo do cego de nascença apresenta Cristo como luz do mundo. O Evangelho interpela cada um de nós: «Tu crês no Filho do Homem?». «Creio, Senhor» (Jo 9, 35.38), afirma com alegria o cego de nascença, fazendo-se voz de todos os crentes. O milagre da cura é o sinal que Cristo, juntamente com a vista, quer abrir o nosso olhar interior, para que a nossa fé se torne cada vez mais profunda e possamos reconhecer n’Ele o nosso único Salvador. Ele ilumina todas as obscuridades da vida e leva o homem a viver como «filho da luz».

Quando, no quinto domingo, nos é proclamada a ressurreição de Lázaro, somos postos diante do último mistério da nossa existência: «Eu sou a ressurreição e a vida... Crês tu isto?» (Jo 11, 25-26). Para a comunidade cristã é o momento de depor com sinceridade, juntamente com Marta, toda a esperança em Jesus de Nazaré: «Sim, Senhor, creio que Tu és o Cristo, o Filho de Deus, que havia de vir ao mundo» (v. 27). A comunhão com Cristo nesta vida prepara-nos para superar o limite da morte, para viver sem fim n’Ele. A fé na ressurreição dos mortos e a esperança da vida eterna abrem o nosso olhar para o sentido derradeiro da nossa existência: Deus criou o homem para a ressurreição e para a vida, e esta verdade doa a dimensão autêntica e definitiva à história dos homens, à sua existência pessoal e ao seu viver social, à cultura, à política, à economia. Privado da luz da fé todo o universo acaba por se fechar num sepulcro sem futuro, sem esperança.

O percurso quaresmal encontra o seu cumprimento no Tríduo Pascal, particularmente na Grande Vigília na Noite Santa: renovando as promessas baptismais, reafirmamos que Cristo é o Senhor da nossa vida, daquela vida que Deus nos comunicou quando renascemos «da água e do Espírito Santo», e reconfirmamos o nosso firme compromisso em corresponder à acção da Graça para sermos seus discípulos.

3. O nosso imergir-nos na morte e ressurreição de Cristo através do Sacramento do Baptismo, estimula-nos todos os dias a libertar o nosso coração das coisas materiais, de um vínculo egoísta com a «terra», que nos empobrece e nos impede de estar disponíveis e abertos a Deus e ao próximo. Em Cristo, Deus revelou-se como Amor (cf 1 Jo 4, 7-10). A Cruz de Cristo, a «palavra da Cruz» manifesta o poder salvífico de Deus (cf. 1 Cor 1, 18), que se doa para elevar o homem e dar-lhe a salvação: amor na sua forma mais radical (cf. Enc. Deus caritas est, 12). Através das práticas tradicionais do jejum, da esmola e da oração, expressões do empenho de conversão, a Quaresma educa para viver de modo cada vez mais radical o amor de Cristo. O Jejum, que pode ter diversas motivações, adquire para o cristão um significado profundamente religioso: tornando mais pobre a nossa mesa aprendemos a superar o egoísmo para viver na lógica da doação e do amor; suportando as privações de algumas coisas – e não só do supérfluo – aprendemos a desviar o olhar do nosso «eu», para descobrir Alguém ao nosso lado e reconhecer Deus nos rostos de tantos irmãos nossos. Para o cristão o jejum nada tem de intimista, mas abre em maior medida para Deus e para as necessidades dos homens, e faz com que o amor a Deus seja também amor ao próximo (cf. Mc 12, 31).

No nosso caminho encontramo-nos perante a tentação do ter, da avidez do dinheiro, que insidia a primazia de Deus na nossa vida. A cupidez da posse provoca violência, prevaricação e morte: por isso a Igreja, especialmente no tempo quaresmal, convida à prática da esmola, ou seja, à capacidade de partilha. A idolatria dos bens, ao contrário, não só afasta do outro, mas despoja o homem, torna-o infeliz, engana-o, ilude-o sem realizar aquilo que promete, porque coloca as coisas materiais no lugar de Deus, única fonte da vida. Como compreender a bondade paterna de Deus se o coração está cheio de si e dos próprios projectos, com os quais nos iludimos de poder garantir o futuro? A tentação é a de pensar, como o rico da parábola: «Alma, tens muitos bens em depósito para muitos anos...». «Insensato! Nesta mesma noite, pedir-te-ão a tua alma...» (Lc 12, 19-20). A prática da esmola é uma chamada à primazia de Deus e à atenção para com o próximo, para redescobrir o nosso Pai bom e receber a sua misericórdia.

Em todo o período quaresmal, a Igreja oferece-nos com particular abundância a Palavra de Deus. Meditando-a e interiorizando-a para a viver quotidianamente, aprendemos uma forma preciosa e insubstituível de oração, porque a escuta atenta de Deus, que continua a falar ao nosso coração, alimenta o caminho de fé que iniciámos no dia do Baptismo. A oração permite-nos também adquirir uma nova concepção do tempo: de facto, sem a perspectiva da eternidade e da transcendência ele cadencia simplesmente os nossos passos rumo a um horizonte que não tem futuro. Ao contrário, na oração encontramos tempo para Deus, para conhecer que «as suas palavras não passarão» (cf. Mc 13, 31), para entrar naquela comunhão íntima com Ele «que ninguém nos poderá tirar» (cf. Jo 16, 22) e que nos abre à esperança que não desilude, à vida eterna.

Em síntese, o itinerário quaresmal, no qual somos convidados a contemplar o Mistério da Cruz, é «fazer-se conformes com a morte de Cristo» (Fl 3, 10), para realizar uma conversão profunda da nossa vida: deixar-se transformar pela acção do Espírito Santo, como São Paulo no caminho de Damasco; orientar com decisão a nossa existência segundo a vontade de Deus; libertar-nos do nosso egoísmo, superando o instinto de domínio sobre os outros e abrindo-nos à caridade de Cristo. O período quaresmal é momento favorável para reconhecer a nossa debilidade, acolher, com uma sincera revisão de vida, a Graça renovadora do Sacramento da Penitência e caminhar com decisão para Cristo.

Queridos irmãos e irmãs, mediante o encontro pessoal com o nosso Redentor e através do jejum, da esmola e da oração, o caminho de conversão rumo à Páscoa leva-nos a redescobrir o nosso Baptismo. Renovemos nesta Quaresma o acolhimento da Graça que Deus nos concedeu naquele momento, para que ilumine e guie todas as nossas acções. Tudo o que o Sacramento significa e realiza, somos chamados a vivê-lo todos os dias num seguimento de Cristo cada vez mais generoso e autêntico. Neste nosso itinerário, confiemo-nos à Virgem Maria, que gerou o Verbo de Deus na fé e na carne, para nos imergir como ela na morte e ressurreição do seu Filho Jesus e ter a vida eterna.

Vaticano, 4 de Novembro de 2010

BENEDICTUS PP XVI

[00246-06.01] [Texto original: Italiano]

● TRADUZIONE IN LINGUA POLACCA

„Z Chrystusem jesteście pogrzebani w Chrzcie, z Nim jesteście także wskrzeszeni" (por. Kol 2,12)

Drodzy bracia i siostry,

Wielki Post, który prowadzi nas do świętowania Wielkiej Nocy, jest dla Kościoła drogocennym i ważnym okresem liturgicznym, dlatego z radością kieruję do was słowo, aby był on przeżywany z należnym zaangażowaniem. Wspólnota Kościoła, gorliwie trwająca w modlitwie i w czynnej miłości, wypatrujeostatecznego spotkania ze swym Oblubieńcem, gdy nadejdzie czas wiekuistej Paschy, intensyfikuje swoją drogę oczyszczenia w Duchu, aby z większą obfitością dostąpić w tajemnicy odkupienia nowego życia w Chrystusie Panu (por. I Prefacja Wielkopostna).

1. To właśnie życie zostało nam już przekazane w dniu naszego Chrztu, gdy „stając się uczestnikami śmierci i zmartwychwstania Chrystusa", zaczęła się dla nas „radosna i zdumiewająca przygoda ucznia" (Homilia z dnia Chrztu Pańskiego, 10 stycznia 2010). Święty Paweł w swoich listach wielokrotnie kładzie nacisk na wyjątkową wspólnotę z Synem Bożym, która realizuje się w tym obmyciu. Fakt, że w większości przypadków Chrzest otrzymuje się w dzieciństwie, ukazuje, że chodzi o dar Boga: nikt poprzez własne siły nie zasługuje na życie wieczne. Miłosierdzie Boga, które gładzi grzech i pozwala przeżywać we własnej egzystencji „te same dążenia Chrystusa Jezusa" (Flp 2,5), darowane jest człowiekowi z czystej łaski.

Apostoł Narodów wyraża w Liście do Filipian sens transformacji, która dokonuje się wraz z udziałem w śmierci i zmartwychwstaniu Chrystusa, wskazując na jej cel: „abym mógł poznać Jego, moc Jego zmartwychwstania, udział w Jego cierpieniach, upodabniając się do Jego śmierci, w nadziei na osiągnięcie zmartwychwstania umarłych" (Flp 3,10-11). Chrzest nie jest więc rytem z przeszłości, ale spotkaniem z Chrystusem, które kształtuje całe istnienie ochrzczonego, daje mu życie Boże i wzywa go do szczerego nawrócenia, sprawionego i podtrzymanego przez Łaskę, które prowadzi go do osiągnięcia dojrzałej postawy Chrystusa.

Szczególny związek łączy Chrzest z Wielkim Postem, jako czasem dobrym do przeżycia zbawiającej Łaski. Ojcowie Soboru Watykańskiego II wezwali wszystkich Pasterzy Kościoła do używania „obficiej elementów chrzcielnych właściwych dla liturgii wielkopostnej" (Konstytucja Sacrosanctum Concilium, 109). W istocie, Kościół od zawsze łączy Wigilię Paschalną z celebracją Chrztu: w tym sakramencie realizuje się owa wielka tajemnica, przez którą człowiek umiera dla grzechu, uzyskuje udział w nowym życiu w Zmartwychwstałym Chrystusie i otrzymuje tego samego Ducha Bożego, który wskrzesił Chrystusa z martwych (por. Rz 8,11). Ten darmowy dar powinien być zawsze w nas ożywiany, a Wielki Post daje nam drogę analogiczną do katechumenatu, który dla chrześcijan starożytnego Kościoła, podobnie jak dla katechumenów dzisiejszych, jest niezastąpioną szkołą wiary i życia chrześcijańskiego: oni naprawdę przeżywają Chrzest jako akt decydujący dla całej ich egzystencji.

2. Aby wejść na poważnie na drogę wiodącą do Wielkiej Nocy i przygotować się do świętowania Zmartwychwstania Pańskiego – najradośniejszego i najuroczystszego święta całego roku liturgicznego – cóż może być bardziej stosowne, niż pozwolić się prowadzić Słowu Bożemu? Dlatego Kościół, w tekstach ewangelicznych kolejnych niedziel Wielkiego Postu, prowadzi nas do szczególnie intensywnego spotkania z Panem, zapraszając nas do przebiegnięcia na nowo etapów chrześcijańskiego wtajemniczenia: dla katechumenów w perspektywie otrzymania sakramentu odrodzenia, dla ochrzczonych w perspektywie nowych i decydujących kroków w naśladowaniu Chrystusa i w jeszcze głębszym darze dla Niego.

Pierwsza niedziela wielkopostnej drogi ukazuje naszą sytuację człowieka na tej ziemi. Zwycięska walka z pokusami, która rozpoczyna misję Jezusa, jest zaproszeniem do uświadomienia sobie własnej ułomności, aby przyjąć Łaskę, która uwalnia z grzechu i wlewa nową siłę w Chrystusie jako drodze, prawdzie i życiu (por. Obrzędy Chrześcijańskiego Wtajemniczenia Dorosłych, n. 25). Jest stanowczym wezwaniem by przypomnieć, jak wiara chrześcijańska implikuje, na wzór Chrystusa i w jedności z Nim, walkę „z władcami tego świata pogrążonego w ciemnościach" (Ef 6,12), w którym diabeł działa i nie ustaje, także i dzisiaj, w kuszeniu człowieka, który chce zbliżyć się do Pana: Chrystus wychodzi z niej zwycięski, aby otworzyć nasze serce na nadzieję i prowadzić nas do zwyciężania pokus zła.

Ewangelia o Przemienieniu Pańskimstawia przed naszymi oczami chwałę Chrystusa, która antycypuje zmartwychwstanie i która zwiastuje przebóstwienie człowieka. Wspólnota chrześcijańska uświadamia sobie, że jest prowadzona, jak apostołowie Piotr, Jakub i Jan, „osobno, na wysoką górę" (Mt 17,1), aby przyjąć na nowo w Chrystusie, jako synowie w Synu, dar Łaski Bożej: „To jest mój Syn umiłowany, w którym sobie upodobałem. Słuchajcie Go" (w. 5). Jest to zaproszenie do oddalenia się od codziennego szumu, aby zanurzyć się w obecności Boga: On chce przekazać nam każdego dnia słowo, które przenika do głębin naszego ducha, gdzie rozróżnia dobro od zła (por. Hbr 4,12) i umacnia wolę pójścia za Panem.

Prośba Jezusa do Samarytanki: „Daj mi pić" (J 4,7), która przekazana zostaje w liturgii trzeciej niedzieli, wyraża uczucie Boga do każdego człowieka i pragnie wzbudzić w naszym sercu pragnienie daru „wody, który tryska ku życiu wiecznemu" (w. 14): jest to dar Ducha Świętego, który czyni z chrześcijan „prawdziwych czcicieli", którzy modlą się do Ojca „w duchu i prawdzie" (w. 23). Tylko ta woda może ugasić nasze pragnienie dobra, prawdy i piękna! Tylko ta woda, dana nam przez Syna, nawadnia pustynie niespokojnej i nienasyconej duszy, dopóki ta „nie spocznie w Bogu", zgodnie ze słynnymi słowami świętego Augustyna.

„Niedziela niewidomego od urodzenia" ukazuje Chrystusa jako światłość świata. Ewangelia stawia każdemu z nas pytanie: „Czy ty wierzysz w Syna Człowieczego?" „Wierzę, Panie!" (J 9,35.38), stwierdza z radością niewidomy od urodzenia, stając się głosem każdego wierzącego. Cud uzdrowienia jest znakiem, że Chrystus, razem ze wzrokiem, pragnie otworzyć nasze spojrzenie wewnętrzne, aby nasza wiara stawała się coraz głębsza i abyśmy mogli rozpoznać w Nim naszego jedynego Zbawiciela. On rozświetla wszystkie ciemności życia i prowadzi człowieka do życia jako „syn światłości".

Gdy piątej niedzieli zostaje nam ogłoszone wskrzeszenie Łazarza, jesteśmy postawieni przed ostatnią tajemnicą naszej egzystencji: „Ja jestem zmartwychwstaniem i życiem… Wierzysz w to?" (J 11,25-26). Dla wspólnoty chrześcijańskiej jest to moment szczerego złożenia, wraz z Martą, całej nadziei w Jezusie z Nazaretu: „Tak, Panie, ja wierzę, że Ty jesteś Chrystus, Syn Boży, który przychodzi na świat" (w. 27). Współudział z Chrystusem w tym życiu przygotowuje nas do pokonania granicy śmierci, aby żyć bez końca w Nim. Wiara w zmartwychwstanie umarłych i nadzieja na życie wieczne otwierają nasze spojrzenie na ostateczny sens naszej egzystencji: Bóg stworzył człowieka dla zmartwychwstania i dla życia, i ta prawda nadaje autentyczny i definitywny wymiar ludzkiej historii, ich życiu osobistemu i ich życiu społecznemu, kulturze, polityce, ekonomii. Pozbawiony światła wiary cały wszechświat zostaje zamknięty w grobie bez przyszłości, bez nadziei.

Wielkopostna droga znajduje swoje spełnienie w Triduum Paschalnym, szczególnie w Wielkiej Wigilii Świętej Nocy: odnawiając przyrzeczenia chrzcielne, ponownie wyznajemy, że Chrystus jest Panem naszego życia, tego życia, które Bóg nam podarował, gdy zostaliśmy odrodzeni „z wody i z Ducha Świętego", i potwierdzamy nasze mocne postanowienie, by odpowiadać działaniu Łaski, aby stawać się Jego uczniami.

3. Nasze zanurzenie w śmierci i zmartwychwstaniu Chrystusa przez Sakrament Chrztu każdego dnia nas pobudza, by uwolnić nasze serce od ciężaru rzeczy materialnych, od egoistycznego przywiązania do „ziemi", które nas zubaża i które przeszkadza nam w byciu dyspozycyjnymi i otwartymi na Boga i na bliźniego. W Chrystusie Bóg objawił się jako Miłość (por. 1 J 4,7-10). Krzyż Chrystusa, „słowo Krzyża" objawia zbawczą moc Boga (por. 1 Kor 1,18), która się daje, aby wywyższyć człowieka i przynieść mu zbawienie: miłość w jej najbardziej radykalnej formie (por. Enc. Deus caritas est, 12). Poprzez tradycyjne praktyki postu, jałmużny i modlitwy, wyrazy zaangażowania w nawrócenie, Wielki Post uczy żyć w świecie coraz bardziej radykalną miłością Chrystusa. Post, który może mieć różne motywacje, nabiera dla chrześcijanina znaczenia głęboko religijnego: czyniąc nasz stół uboższym, uczymy się pokonywać egoizm, aby żyć w logice daru i miłości; znosząc pozbawienie czegoś – i to nie tylko zbytecznego – uczymy się odwracać spojrzenie od naszego „ja", aby odkryć Kogoś obok nas i rozpoznać Boga w obliczach tylu naszych braci. Dla chrześcijanina post nie powoduje zamknięcia się, ale otwiera bardziej na Boga i na potrzeby ludzi, a także sprawia, że miłość do Boga staje się także miłością do bliźniego (por. Mk 12,31).

Na naszej drodze znajdujemy się przed pokusą posiadania, chciwością pieniędzy, która usidla prymat Boga w naszym życiu. Żądza posiadania prowokuje przemoc, nadużycia władzy i śmierć; dlatego Kościół, szczególnie w czasie wielkopostnym, wzywa do praktykowania jałmużny, to znaczy zdolności do dzielenia się. Natomiast bałwochwalcze służenie dobrom materialnym nie tylko oddala od drugiej osoby, ale odziera człowieka, czyni go nieszczęśliwym, łudzi go, nie urzeczywistniając tego, co obiecuje, ponieważ umieszcza rzeczy materialne na miejscu Boga, jedynego źródła życia. Jak pojąć ojcowską dobroć Boga, jeśli serce jest pełne siebie samego i swoich własnych projektów, którymi łudzimy się, że możemy zapewnić sobie bezpieczną przyszłość? Pokusa polega na myśleniu tak, jak bogacz w przypowieści: „Duszo moja, do twej dyspozycji masz wiele dóbr na wiele lat…" Znamy osąd Pana: „Głupcze, tej właśnie nocy zażądają od ciebie twojego życia…" (Łk 12,19-20). Praktykowanie jałmużny jest wezwaniem do prymatu Boga i do uwagi skierowanejna bliźniego, aby na nowo odkryć naszego dobrego Ojca i przyjąć Jego miłosierdzie.

W całym okresie wielkopostnym Kościół daje nam ze szczególną obfitością Słowo Boże. Rozważając i przyjmując je, aby żyć nim na co dzień, uczymy się drogocennej i niezastąpionej formy modlitwy, ponieważ uważne słuchanie Boga, który stale mówi do naszego serca, karmi drogę wiary, którą rozpoczęliśmy w dniu Chrztu. Modlitwa pozwala nam również zdobyć nowe pojęcie czasu: w istocie, bez perspektywy wieczności i transcendencji, odmierza on po prostu nasze kroki w stronę horyzontu, który nie ma przyszłości. W modlitwie znajdujemy natomiast czas dla Boga, by poznać, że „Jego słowa nie przeminą" (por. Mk 13,31), by wejść w tę intymną wspólnotę z Nim, „której nikt nie będzie mógł nam odebrać" (por. J 16,22) i która otwiera nas na nadzieję, która nie zwodzi, na życie wieczne.

Podsumowując, wielkopostna droga, na której jesteśmy zaproszeni do kontemplowania Tajemnicy Krzyża, polega na „upodobnieniu się do śmierci Chrystusa" (Flp 3,10), aby przeżyć głębokie nawrócenie naszego życia: pozwolić się przemienić przez działanie Ducha Świętego, jak święty Paweł na drodze do Damaszku; ukierunkować w zdecydowany sposób naszą egzystencję według woli Boga; uwolnić się od naszego egoizmu, pokonując instynkt panowania nad innymi i otwierając się na miłość Chrystusa. Okres wielkopostny jest dogodnym momentem, aby na nowo uznać naszą słabość, przyjąć, ze szczerą rewizją życia, odnawiającą Łaskę Sakramentu Pokuty i podążać w zdecydowany sposób w stronę Chrystusa.

Drodzy bracia i siostry, poprzez osobowe spotkanie z naszym Odkupicielem oraz przez post, modlitwę i jałmużnę, droga nawrócenia w kierunku Wielkiej Nocy prowadzi nas do odkrycia na nowo naszego Chrztu. Odnawiamy w tym Wielkim Poście przyjmowanie Łaski, którą Bóg dał nam w owym momencie, aby oświecała i prowadziła wszystkie nasze działania. Jesteśmy powołani, by przeżywać każdego dnia to, co tenSakrament oznacza i realizuje, w coraz hojniejszym i autentycznym naśladowaniu Chrystusa. W tej naszej drodze zawierzamy nas samych Dziewicy Maryi, która zrodziła Słowo Boże w wierze i w ciele, aby zanurzyć się jak Ona w śmierci i zmartwychwstaniu jej Syn Jezusa i aby mieć żyć wieczne.

Z Watykanu, 4 listopada 2010 r.

BENEDICTUS PP XVI

[00246-09.01] [Testo originale: Italiano]

[B0108-XX.02]