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CONFERENZA STAMPA DI PRESENTAZIONE DEL MESSAGGIO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI PER LA 97ma GIORNATA MONDIALE DEL MIGRANTE E DEL RIFUGIATO, 26.10.2010


CONFERENZA STAMPA DI PRESENTAZIONE DEL MESSAGGIO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI PER LA 97ma GIORNATA MONDIALE DEL MIGRANTE E DEL RIFUGIATO

INTERVENTO DI S.E. MONS. ANTONIO MARIA VEGLIÒ

INTERVENTO DI P. GABRIELE FERDINANDO BENTOGLIO, C.S.

Alle ore 11.30 di questa mattina, nell’Aula Giovanni Paolo II della Sala Stampa della Santa Sede, ha luogo la Conferenza Stampa di presentazione del Messaggio del Santo Padre Benedetto XVI per la 97ma Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato (16 gennaio 2011) sul tema: "Una sola famiglia umana".
Intervengono: S.E. Mons. Antonio Maria Vegliò, Presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti; P. Gabriele Ferdinando Bentoglio, C.S., Sotto-Segretario del medesimo Pontificio Consiglio.
Ne pubblichiamo di seguito gli interventi:

INTERVENTO DI S.E. MONS. ANTONIO MARIA VEGLIÒ

Sono lieto e onorato di presentare oggi il Messaggio del Santo Padre Benedetto XVI per la celebrazione annuale della Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, che avrà luogo il 16 gennaio 2011. Ne è tema "Una sola famiglia umana".

"Grazie alla comune origine il genere umano forma una unità. Dio infatti ‘creò da uno solo tutte le nazioni degli uomini’ (At 17,26)", recita il Catechismo della Chiesa Cattolica – CCC – al n. 360. La prima pagina della Bibbia offre una meravigliosa visione, che ci fa contemplare il genere umano nell’unità di una comune origine in Dio: "un solo Dio e padre di tutti" (Ef 4,6) che "ci chiama ad essere figli amati nel suo Figlio prediletto" e "ci chiama anche a riconoscerci tutti come fratelli in Cristo" (Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato 2011).

L’umanità dunque è "una sola famiglia di fratelli e sorelle in società che si fanno sempre più multietniche e interculturali" (GMMR 2011), grazie anche alle migrazioni, che generalmente costituiscono una difficile esperienza, pur nelle varie tipologie che il fenomeno assume. Infatti, ci sono le migrazioni "interne o internazionali, permanenti o stagionali, economiche o politiche, volontarie o forzate" (GMMR 2011). Si tratta di movimenti che portano comunque a una mescolanza di etnie, culture e religioni che rende il dialogo un necessario strumento verso "una serena e fruttuosa convivenza nel rispetto delle legittime differenze" (GMMR 2011). Nel suo Messaggio per la Giornata mondiale della pace (GMP) del 2001 (n. 12), il Venerabile Giovanni Paolo II affermò che "sono molte le civiltà che si sono sviluppate e arricchite proprio per gli apporti dati dall’immigrazione. In altri casi, le diversità culturali di autoctoni e immigrati non si sono integrate, ma hanno mostrato la capacità di convivere, attraverso una prassi di rispetto reciproco delle persone e di accettazione o tolleranza dei differenti costumi" (cfr. anche Erga Migrantes Caritas Christi – EMCC – , n. 2).

È dunque importante che gli immigrati si integrino nel Paese di accoglienza "rispettandone le leggi e l’identità nazionale" (GMMR 2011). È vero che "non è facile individuare assetti e ordinamenti che garantiscano, in modo equilibrato ed equo, i diritti e i doveri tanto di chi accoglie quanto di chi viene accolto" (GMP 2001, n. 12), ma si possono "individuare alcuni principi etici di fondo a cui fare riferimento. Primo fra tutti, è […] il principio secondo cui gli immigrati vanno sempre trattati con il rispetto dovuto alla dignità di ciascuna persona umana" (ibid., n. 13). Certo è diritto degli Stati "regolare i flussi migratori e […] difendere le proprie frontiere" (GMMR 2011), per salvaguardare la sicurezza della Nazione, ma tale diritto deve sempre tener conto del principio appena menzionato. "Si tratterà allora di coniugare l’accoglienza che si deve a tutti gli esseri umani, specie se indigenti, con la valutazione delle condizioni indispensabili per una vita dignitosa e pacifica per gli abitanti originari e per quelli sopraggiunti (GMP 2001, n. 13)" (GMMR 2011).

Ogni flusso migratorio ha un suo itinerario di inserimento, connesso a molteplici variabili. I rapporti che si sviluppano fra gli immigrati (individui e gruppi) e la società di accoglienza si possono ricondurre a schemi che potremmo sintetizzare negli elementi seguenti:

1. l’assimilazione o assorbimento che si traduce nella conformazione all’ingranaggio sociale, processo che equivale a una "deculturazione" e "spersonalizzazione";

2. la ghettizzazione che implica la chiusura, l’autodifesa e la resistenza di fronte all’esclusione, il rifiuto della società circostante, la marginalità e la discriminazione, che alimentano l’aggressività e l’ostilità reciproche;

3. la fusione sincretica o "melting pot", che si esplicita nella fusione dei diversi modelli culturali, con perdita di identità culturale propria;

4. il "pluralismo culturale" che affianca le culture e sembra porsi come reazione al carattere unidimensionale della cultura locale, che tende a subordinare i modelli culturali a quelli della produzione e della consumazione.

A questi schemi classici, nella linea del Messaggio del Santo Padre che oggi presentiamo, possiamo aggiungere un quinto caso, quello dell’"integrazione sociale", accompagnata dalla "sintesi culturale", che comporta da un lato un processo dinamico – cioè la reciprocità dello scambio – e, dall’altro, un’integrazione sociale che presuppone la partecipazione alla creazione e al cambiamento delle relazioni sociali.

La "sintesi culturale" presuppone l’elaborazione di modelli originali, scaturiti dalle culture presenti, senza per questo lasciarsi ridurre ad alcuna di esse; modelli che si inseriscono nella cultura di base che in questo modo si rafforza.

In tale quadro concettuale solo l’ultimo processo rappresenta il successo del pluriculturalismo ed è l’unico a permettere ai gruppi immigrati di dare vita a una "nuova cultura" il cui beneficiario è la società intera (immigrati e autoctoni). L’assimilazione, in effetti, non può essere concepita come l’ultimo stadio dell’acculturazione, ma – come la ghettizzazione, il melting pot e il pluriculturalismo – essa non è che una forma del suo fallimento.

All’interno di questo quadro rappresentativo, costatiamo che tutti siamo figli di un solo Padre e fratelli tra di noi con vocazione all’unità. In effetti, rispondendo a questa autentica chiamata divina, siamo consapevoli che "noi ‘non viviamo gli uni accanto agli altri per caso; stiamo tutti percorrendo uno stesso cammino come uomini e quindi come fratelli e sorelle’ (GMP 2008, 6)", e quindi tutti "fanno parte di un’unica famiglia, migranti e popolazioni locali che li accolgono" (GMMR 2011).

Questa visione ci porta anche a considerare l’unità della casa dell’umanità, del suo habitat che è la terra, dei cui beni tutti gli uomini, per diritto naturale, possono usare per il sostentamento e lo sviluppo della vita. Sì, tutti hanno lo stesso diritto ai beni della terra, secondo il principio della "destinazione universale delle risorse", che la Dottrina sociale della Chiesa insegna. Dunque, la solidarietà umana e la carità non devono escludere nessuno dalla ricca varietà delle persone, delle culture e dei popoli (cfr. CCC, n. 361) e, ancora, condividere con gli altri non è un atto di gentilezza o di generosità, ma un dovere verso i membri della medesima famiglia.

In essa, a nessuno deve mancare il necessario e il patrimonio familiare va gestito nella solidarietà, senza eccessi e senza sprechi. Così anche nella famiglia umana – come si espresse Benedetto XVI nel 2008 – , non "vanno dimenticati i poveri [tra cui molti migranti e rifugiati], esclusi in molti casi dalla destinazione universale dei beni del creato" e va cercata "un’economia che risponda veramente alle esigenze di un bene comune a dimensioni planetarie". Le relazioni tra le singole persone e tra i popoli devono permettere "a tutti di collaborare su un piano di parità e di giustizia" e al tempo stesso occorre adoperarsi "per una saggia utilizzazione delle risorse e per un’equa distribuzione della ricchezza". In questo contesto, "gli aiuti dati ai Paesi poveri devono rispondere a criteri di sana logica economica, evitando sprechi" (cfr. GMP 2008, nn. 7 e 10).

Quando perciò la situazione è tale che non è possibile, per una persona e per la sua famiglia, vivere con dignità nella terra natia, si deve dare loro la possibilità di cercare migliori opportunità altrove. Il diritto ad emigrare sancito dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, art. 13, che ogni persona possiede, va infatti inquadrato proprio nella destinazione universale dei beni di questo mondo, come ribadì Giovanni XXIII nell’Enciclica Mater et Magistra (nn. 30 e 33). Giovanni Paolo II lo sottolineò nel suo Messaggio per la Giornata del Migrante e del Rifugiato del 2001 (n. 3) dicendo che "[il bene comune universale] abbraccia l’intera famiglia dei popoli, al di sopra di ogni egoismo nazionalista. È in questo contesto che va considerato il diritto ad emigrare. La Chiesa lo riconosce ad ogni uomo nel duplice aspetto di possibilità di uscire dal proprio Paese e possibilità di entrare in un altro alla ricerca di migliori condizioni di vita" (GMMR 2011).

Nell’Enciclica Caritas in veritate (CV), Benedetto XVI ha recentemente affermato che "nessun Paese da solo può ritenersi in grado di far fronte ai problemi migratori del nostro tempo" (CV, 62). Pertanto, nella nostra "società in via di globalizzazione, il bene comune e l’impegno per esso non possono non assumere le dimensioni dell’intera famiglia umana, vale a dire della comunità dei popoli e delle Nazioni, così da dare forma di unità e di pace alla città dell’uomo, e renderla in qualche misura anticipazione prefiguratrice della città senza barriere di Dio (CV, 7)" (GMMR 2011).

Nel contesto di questa presentazione, vale la pena ricordare che le Nazioni Unite hanno dedicato l’anno 2010, che ormai volge al termine, come "Anno internazionale per l’avvicinamento delle culture", su richiesta della Conferenza Generale dell’UNESCO svoltasi a fine 2007. Tale proposta fu adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, che conferì all’UNESCO il mandato di curare l’organizzazione dell’Anno. Obiettivo generale dell’iniziativa è stato quello di iscrivere nell’ottica del dialogo e della vicinanza interculturale le prassi politiche, a livello locale, nazionale, regionale e internazionale, coinvolgendo in tal modo il più ampio numero di partners. Si è inteso, dunque, rafforzare la comunicazione tra i popoli, ai fini di una migliore comprensione reciproca e di una più compiuta conoscenza dei diversi modi di vita. L’Anno 2010 è stata occasione di ribadire la visione di un’umanità pluralistica e l’interazione tra diversità culturale e dialogo interculturale. Pertanto, anche il Messaggio del Santo Padre rafforza nella comunità internazionale la percezione dell’importanza del dialogo e promuove il riconoscimento dei diritti umani per tutti, combattendo contro le nuove forme di razzismo e discriminazione.

"La mancanza di fraternità tra gli uomini e tra i popoli è causa profonda del sottosviluppo e […] incide fortemente sul fenomeno migratorio" (GMMR 2011), afferma Benedetto XVI. L’autentico sviluppo, infatti, proviene dalla "condivisione dei beni e delle risorse", che "non è assicurata dal solo progresso tecnico e da mere relazioni di convenienza, ma dal potenziale di amore che vince il male con il bene (cfr. Rm 12,21) e apre alla reciprocità delle coscienze e delle libertà" (CV, 9). A questo proposito anche l’Istruzione Erga Migrantes Caritas Christi, pubblicata nel 2004 dal nostro Dicastero, solleva la "questione etica […] della ricerca di un nuovo ordine economico internazionale per una più equa distribuzione dei beni della terra, che contribuirebbe […] a ridurre e moderare i flussi […] delle popolazioni in difficoltà". In effetti, tale nuovo ordine richiede una nuova visione "della comunità mondiale, considerata come famiglia di popoli, a cui finalmente sono destinati i beni della terra, in una prospettiva del bene comune universale" (EMCC, 8).

La riflessione e l’auspicio del Santo Padre sul tema dell’Eucaristia, "sorgente inesauribile di comunione per l’intera umanità" (GMMR 2011), incoraggia la crescita nella carità vissuta e concreta, soprattutto verso i più poveri e deboli, tra i quali questo Messaggio Pontificio raccomanda i migranti, i rifugiati e gli studenti internazionali.

[01458-01.01] [Testo originale: Italiano]

INTERVENTO DI P. GABRIELE FERDINANDO BENTOGLIO, C.S.

A complemento di quanto ha esposto l’Arcivescovo Presidente, soffermandosi in particolare sui movimenti migratori – inclusi quelli internazionali a motivo di studio –, desidero mettere in luce quanto il Messaggio del Santo Padre si sofferma a considerare affermando che "in vari casi la partenza dal proprio Paese è spinta da diverse forme di persecuzione, così che la fuga diventa necessaria" (Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato 2011), riferendosi a quanti sono costretti a lasciare il proprio Paese per cercare asilo e rifugio altrove.

Con i processi di globalizzazione, anche mediante i frequenti e rapidi movimenti delle persone, il mondo si va sempre più unificando. A fondamento dell’autentica unità, comunque, vi è la consapevolezza della comune appartenenza alla natura umana. In tal modo, intravediamo il solido costituirsi di una sola famiglia, nella quale tutti siamo interdipendenti. In effetti, gli avvenimenti che si registrano in una parte del mondo inevitabilmente hanno ripercussioni anche altrove e, dunque, costatiamo che il mondo è davvero un villaggio, di cui tutti siamo diventati cittadini. E la mobilità umana, nelle sue differenti tipologie, è una di queste manifestazioni a livello globale, come afferma il Santo Padre spiegando che "il fenomeno stesso della globalizzazione, caratteristico della nostra epoca, non è solo un processo socio-economico, ma comporta anche ‘un’umanità che diviene sempre più interconnessa’, superando confini geografici e culturali" (GMMR 2011).

Quest’anno il Messaggio di Benedetto XVI, il quinto del suo Pontificato, sottolinea che l’umanità è una sola famiglia, multietnica e interculturale, e questo produce immancabili conseguenze per l’individuo, la società, gli Stati e le Chiese locali. La prima è che una famiglia autentica non è dominata dai membri più forti, ma si comporta esattamente all’opposto, cosicché i bisogni dei membri più deboli determinano la direzione e le decisioni da prendere. A fondamento vi è, senza dubbio, una cultura d’accoglienza, ospitalità e solidarietà. Come afferma il Santo Padre: "Accogliere i rifugiati e offrir loro ospitalità è per ognuno un gesto retto di solidarietà umana, così da non farli sentire isolati a causa dell’intolleranza e indifferenza" (GMMR 2011).

I rifugiati e i richiedenti asilo compiono atti di coraggio nell’abbandonare la loro patria e si dirigono verso altri Paesi proprio perché i loro fondamentali diritti umani sono stati violati, divenendo oggetto di persecuzione e vedendo in pericolo la loro stessa vita. Sono vittime di guerre e di violenze, costretti a fronteggiare condizioni umane in cui nessuno dovrebbe vivere. Ciò si assomma spesso al fatto di aver dovuto sopportare esperienze traumatiche, oppure alla consapevolezza che per loro il destino è stato favorevole, mentre i loro familiari sono rimasti in zone di pericolo.

Solo per quantificare il fenomeno di cui stiamo parlando, i dati statistici affermano che si contano oggi 15 milioni di rifugiati, dei quali 10.4 milioni sono sotto la responsabilità diretta dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), mentre il restante 4.8 sono a carico dell’Agenzia di Lavoro e Sostegno delle Nazioni Unite nel Vicino Medio-Oriente (UNRWA). Il numero delle persone sfollate all’interno dello stesso Paese (IDPs), soprattutto in relazione a casi di violazione dei diritti umani, si aggira attorno ai 27 milioni1.

In tale contesto, la Chiesa avverte come suo compito quello di ristabilire i valori e la dignità umana, specialmente mediante la promozione di una cultura dell’incontro e del rispetto, che risana le ferite subite e promette nuovi orizzonti di integrazione, di sicurezza e di pace. La sfida consiste nel creare zone di tolleranza, speranza, guarigione, protezione, e nell’assicurare che drammi e tragedie – già troppo a lungo sperimentati in tempi passati e anche in quelli recenti – non accadano mai più. Qui il Messaggio Pontificio tocca uno dei temi forti della millenaria esperienza cristiana, quello dell’accoglienza. Essa, tradotta nell’ospitalità, nella compassione e nella ricerca dell’uguaglianza – in fatto di diritti e di doveri – costituisce il primo passo della risposta alla sfida alla quale ho accennato. L’obiettivo è quello di garantire ai rifugiati, ai richiedenti asilo e ai profughi concrete possibilità di sviluppo del loro potenziale umano, "aiutati a trovare un luogo dove vivere in pace e sicurezza, dove lavorare e assumere i diritti e doveri esistenti nel Paese che li accoglie, contribuendo al bene comune, senza dimenticare la dimensione religiosa della vita" (GMMR 2011).

Tutto questo richiede che diventiamo tutti maggiormente consci delle disagiate situazioni dei rifugiati, dei loro sogni e progetti di vita, oltre alle cause prossime e remote dei loro problemi. Il Santo Padre dice che "anche nel caso dei migranti forzati la solidarietà si alimenta alla ‘riserva’ di amore che nasce dal considerarci una sola famiglia umana e, per i fedeli cattolici, membri del Corpo Mistico di Cristo: ci troviamo infatti a dipendere gli uni dagli altri, tutti responsabili dei fratelli e delle sorelle in umanità e, per chi crede, nella fede" (GMMR 2011).

L’accoglienza comincia con l’empatia, cioè con lo sforzo di capire i sentimenti dell’altro e di comprendere come ci si trova in un mondo sconosciuto, con costumi e tradizioni diverse. Significa vedere nel volto del rifugiato una persona umana, che in questo momento particolare ha bisogno di buona assistenza. Essa implica la disponibilità ad offrire aiuto, costruendo contatti di fraternità e tessendo quotidianamente canali di comunicazione, anche per spiegare il significato di nuove usanze e aiutare a penetrare meglio nella conoscenza del nuovo ambiente sociale con il coinvolgimento attivo negli eventi che segnano la vitalità del territorio.

Le raccomandazioni che cogliamo nel Messaggio del Santo Padre mirano a sollecitare i singoli e la comunità internazionale a non ignorare le dimensioni di una sfida che riguarda il mondo intero. In effetti, potremmo avere l’impressione che solo l’Europa stia attualmente affrontando tale problema. Ma non possiamo dimenticare che, ad esempio, il Sud Africa ha accettato 220 mila richiedenti asilo nell’arco dello scorso anno, e tale cifra corrisponde quasi al numero di persone accolte nei 27 Stati membri dell’Unione Europea messi insieme, e più di quattro volte il numero di coloro che hanno cercato asilo presso gli Stati Uniti d’America2. Teniamo conto, poi, che l’80% del numero complessivo dei rifugiati e dei richiedenti asilo cerca di mantenere una certa prossimità con il Paese di origine. Dunque, assumere consapevolezza delle dimensioni del fenomeno certamente aiuta a rimettere le cose nel loro giusto ordine.

Indubbiamente ciò richiede anche che gli Stati si assumano le rispettive legittime responsabilità. In effetti, l’atteggiamento attuale di molti Paesi sembra contraddire gli accordi sottoscritti, manifestando talvolta comportamenti dettati dalla paura dello straniero e, non di rado, anche da mascherata discriminazione. Così, emerge una disparità sempre più accentuata tra gli impegni presi e la loro attuazione. È sotto gli occhi di tutti il ricorso a vari modi per eludere la responsabilità di accogliere e sostenere coloro che cercano rifugio e protezione umanitaria. Esplicitamente Benedetto XVI ammonisce che "nei confronti di queste persone, che fuggono da violenze e persecuzioni, la Comunità internazionale ha assunto impegni precisi. Il rispetto dei loro diritti, come pure delle giuste preoccupazioni per la sicurezza e la coesione sociale, favoriscono una convivenza stabile ed armoniosa" (GMMR 2011).

Invece, l’ingresso in alcuni Paesi per chiedere asilo è sempre più ostacolato e impraticabile. Quelli che si avventurano con mezzi di trasporto via mare (nel Pacifico, nel Mediterraneo o nel Golfo di Aden, ad esempio), ma anche quelli che utilizzano altre vie di fuga, troppo spesso si vedono trattati con pregiudizio: i loro casi non sempre vengono esaminati individualmente, mentre accade con frequenza che vengano rigettati in blocco. Anche a loro si dirige l’appello del Santo Padre quando afferma che "hanno il dovere di integrarsi nel Paese di accoglienza, rispettandone le leggi e l’identità nazionale" (GMMR 2011).

Ad ogni modo, sembra confermato che rifugiati e richiedenti asilo versino oggi in pessime condizioni più che in passato, anche nei Paesi ospitanti del Sud del pianeta. Qui si contano a migliaia i rifugiati che sono forzati a rimanere nei campi di raccolta, a volte senza diritto di impiego e limitati nei loro movimenti all’interno del campo. Qui, tra l’altro, risiede uno dei motivi che li porta ad essere dipendenti dalle razioni di cibo giornaliero, che molto spesso sono insufficienti. Nel campo, poi, nascono e crescono nuove generazioni, che però conoscono soltanto il campo e sono ignare di quanto vi è all’esterno. Non è un’eccezione trovare bambini, figli di rifugiati, che hanno vissuto nel campo fino alla maggiore età.

Sorge allora l’interrogativo: cosa significa vivere per anni in un campo affollato, senza speranza di una vita più decente, oppure vedere che non c’è futuro per i bambini? Accade con frequenza, perciò, che vi sia chi tenti di abbandonare il campo per andare verso i centri urbani e sperare di rifarsi una vita, senza però chiedere la relativa autorizzazione e, dunque, violando la normativa vigente. Dignità e diritti dei rifugiati dovrebbero essere rispettati, specialmente in circostanze in cui esiste una frattura tra la teoria e la pratica. Ogni rifugiato possiede diritti fondamentali, che sono inalienabili e devono essere sempre rispettati.

Occorre offrire speranza per il futuro. La Chiesa, da parte sua, sta cercando di rispondere a questa domanda. I suoi sforzi e le sue attività ne sono appunto una chiara testimonianza. Papa Benedetto XVI offre ispirazione, motivazioni e incoraggiamento quando afferma che "ognuno, nutrito nella fede di Cristo al Banchetto eucaristico, assimila il suo stile di vita, che è lo stile del servizio attento specialmente ai più deboli e sfortunati. Infatti, la carità pratica è un criterio per provare l’autenticità delle nostre celebrazioni liturgiche".3

Vorrei concludere citando l’appello che risuona oggi con straordinaria forza nella voce del Santo Padre con queste espressioni: "Per la Chiesa, questa realtà costituisce un segno eloquente dei nostri tempi, che porta in maggiore evidenza la vocazione dell’umanità a formare una sola famiglia, e, al tempo stesso, le difficoltà che, invece di unirla, la dividono e la lacerano. Non perdiamo la speranza, e preghiamo insieme Dio, Padre di tutti, perché ci aiuti ad essere, ciascuno in prima persona, uomini e donne capaci di relazioni fraterne; e, sul piano sociale, politico ed istituzionale, si accrescano la comprensione e la stima reciproca tra i popoli e le culture" (GMMR 2011).

____________________________

1

Totale dei rifugiati

(sotto la protezione UNHCR)

Richiedenti asilo

IDPs connessi coi diritti umani

Alla fine del 2009

Africa

2.300.062

436.930

11.600.000

Asia

5.620.502

67.928

4.300.000

Europa

1.628.086

282.214

America Latina e Caraibi

367.437

68.785

5.000.000

Nord America

444.895

124.973

Oceania

35.558

2.590

Medio Oriente

3.800.000

Europa e Asia Centrale

2.400.000

Totale

10.396.540

983.420

27.100.000

I primi posti nelle statistiche concernenti persone sfollate nel loro Paese (IDPs alla fine del 2009) spettano a Sudan 4,9 milioni; Colombia 3,3 - 4,9 milioni; Iraq 2,76 milioni; Repubblica Democratica del Congo 1,9 milioni; Somalia 1,5 milioni; Pakistan 1,2 milioni. Cfr. IDMC - NRC, Internal Displacement Global Overview of Trends and Developments in 2009, Geneva, May 2010; UNHCR, 2009 Global Trends, Refugees, Asylum-seekers, Returnees, Internally Diplaced and Stateless Persons, Geneva, June 2010.

2 Cfr. Sixty-first Session of the Executive Committee of the High Commissioner’s Programme, Agenda item 5(a): Statement by Ms. Erika Feller Assistant High Commissioner - Protection: Rule of Law 60 Years On, 6 October 2010, che si può consultare su http://www.unhcr.org/refworld/docid/4cbOcbc12507.html [visto il 14 ottobre 2010].

3 BENEDETTO XVI, Angelus del 19 giugno 2005, in L’Osservatore Romano (22 giugno 2005), p.1.

[01459-01.01] [Testo originale: Italiano]

 [B0649-XX.02]