Sala Stampa

www.vatican.va

Sala Stampa Back Top Print Pdf
Sala Stampa


MESSAGGIO DEL SANTO PADRE PER LA 97a GIORNATA MONDIALE DEL MIGRANTE E DEL RIFUGIATO (16 GENNAIO 2011), 26.10.2010


Una sola famiglia umana: questo il tema scelto dal Santo Padre Benedetto XVI per la 97a Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato che sarà celebrata domenica 16 gennaio 2011.

Di seguito pubblichiamo il testo del Messaggio del Santo Padre per la prossima Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato:

TESTO IN LINGUA ITALIANA

Cari Fratelli e Sorelle,

la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato offre l'opportunità, per tutta la Chiesa, di riflettere su un tema legato al crescente fenomeno della migrazione, di pregare affinché i cuori si aprano all'accoglienza cristiana e di operare perché crescano nel mondo la giustizia e la carità, colonne per la costruzione di una pace autentica e duratura. "Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri" (Gv 13,34) è l'invito che il Signore ci rivolge con forza e ci rinnova costantemente: se il Padre ci chiama ad essere figli amati nel suo Figlio prediletto, ci chiama anche a riconoscerci tutti come fratelli in Cristo.

Da questo legame profondo tra tutti gli esseri umani nasce il tema che ho scelto quest'anno per la nostra riflessione: "Una sola famiglia umana", una sola famiglia di fratelli e sorelle in società che si fanno sempre più multietniche e interculturali, dove anche le persone di varie religioni sono spinte al dialogo, perché si possa trovare una serena e fruttuosa convivenza nel rispetto delle legittime differenze. Il Concilio Vaticano II afferma che "tutti i popoli costituiscono una sola comunità. Essi hanno una sola origine poiché Dio ha fatto abitare l'intero genere umano su tutta la faccia della terra (cfr At 17,26); essi hanno anche un solo fine ultimo, Dio, del quale la provvidenza, la testimonianza di bontà e il disegno di salvezza si estendono a tutti" (Dich. Nostra aetate, 1). Così, noi "non viviamo gli uni accanto agli altri per caso; stiamo tutti percorrendo uno stesso cammino come uomini e quindi come fratelli e sorelle" (Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2008, 6).

La strada è la stessa, quella della vita, ma le situazioni che attraversiamo in questo percorso sono diverse: molti devono affrontare la difficile esperienza della migrazione, nelle sue diverse espressioni: interne o internazionali, permanenti o stagionali, economiche o politiche, volontarie o forzate. In vari casi la partenza dal proprio Paese è spinta da diverse forme di persecuzione, così che la fuga diventa necessaria. Il fenomeno stesso della globalizzazione, poi, caratteristico della nostra epoca, non è solo un processo socio-economico, ma comporta anche "un'umanità che diviene sempre più interconnessa", superando confini geografici e culturali. A questo proposito, la Chiesa non cessa di ricordare che il senso profondo di questo processo epocale e il suo criterio etico fondamentale sono dati proprio dall'unità della famiglia umana e dal suo sviluppo nel bene (cfr Benedetto XVI, Enc. Caritas in veritate, 42). Tutti, dunque, fanno parte di una sola famiglia, migranti e popolazioni locali che li accolgono, e tutti hanno lo stesso diritto ad usufruire dei beni della terra, la cui destinazione è universale, come insegna la dottrina sociale della Chiesa. Qui trovano fondamento la solidarietà e la condivisione.

"In una società in via di globalizzazione, il bene comune e l'impegno per esso non possono non assumere le dimensioni dell'intera famiglia umana, vale a dire della comunità dei popoli e delle Nazioni, così da dare forma di unità e di pace alla città dell'uomo, e renderla in qualche misura anticipazione prefiguratrice della città senza barriere di Dio" (Benedetto XVI, Enc. Caritas in veritate, 7). È questa la prospettiva con cui guardare anche la realtà delle migrazioni. Infatti, come già osservava il Servo di Dio Paolo VI, "la mancanza di fraternità tra gli uomini e tra i popoli" è causa profonda del sottosviluppo (Enc. Populorum progressio, 66) e - possiamo aggiungere - incide fortemente sul fenomeno migratorio. La fraternità umana è l'esperienza, a volte sorprendente, di una relazione che accomuna, di un legame profondo con l'altro, differente da me, basato sul semplice fatto di essere uomini. Assunta e vissuta responsabilmente, essa alimenta una vita di comunione e condivisione con tutti, in particolare con i migranti; sostiene la donazione di sé agli altri, al loro bene, al bene di tutti, nella comunità politica locale, nazionale e mondiale.

Il Venerabile Giovanni Paolo II, in occasione di questa stessa Giornata celebrata nel 2001, sottolineò che "[il bene comune universale] abbraccia l'intera famiglia dei popoli, al di sopra di ogni egoismo nazionalista. È in questo contesto che va considerato il diritto ad emigrare. La Chiesa lo riconosce ad ogni uomo, nel duplice aspetto di possibilità di uscire dal proprio Paese e possibilità di entrare in un altro alla ricerca di migliori condizioni di vita" (Messaggio per la Giornata Mondiale delle Migrazioni 2001, 3; cfr Giovanni XXIII, Enc. Mater et Magistra, 30; Paolo VI, Enc. Octogesima adveniens, 17). Al tempo stesso, gli Stati hanno il diritto di regolare i flussi migratori e di difendere le proprie frontiere, sempre assicurando il rispetto dovuto alla dignità di ciascuna persona umana. Gli immigrati, inoltre, hanno il dovere di integrarsi nel Paese di accoglienza, rispettandone le leggi e l'identità nazionale. "Si tratterà allora di coniugare l'accoglienza che si deve a tutti gli esseri umani, specie se indigenti, con la valutazione delle condizioni indispensabili per una vita dignitosa e pacifica per gli abitanti originari e per quelli sopraggiunti" (Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2001, 13).

In questo contesto, la presenza della Chiesa, quale popolo di Dio in cammino nella storia in mezzo a tutti gli altri popoli, è fonte di fiducia e di speranza. La Chiesa, infatti, è "in Cristo sacramento, ossia segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano" (Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium, 1); e, grazie all'azione in essa dello Spirito Santo, "gli sforzi intesi a realizzare la fraternità universale non sono vani" (Idem, Cost. past. Gaudium et spes, 38). È in modo particolare la santa Eucaristia a costituire, nel cuore della Chiesa, una sorgente inesauribile di comunione per l'intera umanità. Grazie ad essa, il Popolo di Dio abbraccia "ogni nazione, tribù, popolo e lingua" (Ap 7,9) non con una sorta di potere sacro, ma con il superiore servizio della carità. In effetti, l'esercizio della carità, specialmente verso i più poveri e deboli, è criterio che prova l'autenticità delle celebrazioni eucaristiche (cfr Giovanni Paolo II, Lett. ap. Mane nobiscum Domine, 28).

Alla luce del tema "Una sola famiglia umana", va considerata specificamente la situazione dei rifugiati e degli altri migranti forzati, che sono una parte rilevante del fenomeno migratorio. Nei confronti di queste persone, che fuggono da violenze e persecuzioni, la Comunità internazionale ha assunto impegni precisi. Il rispetto dei loro diritti, come pure delle giuste preoccupazioni per la sicurezza e la coesione sociale, favoriscono una convivenza stabile ed armoniosa.

Anche nel caso dei migranti forzati la solidarietà si alimenta alla "riserva" di amore che nasce dal considerarci una sola famiglia umana e, per i fedeli cattolici, membri del Corpo Mistico di Cristo: ci troviamo infatti a dipendere gli uni dagli altri, tutti responsabili dei fratelli e delle sorelle in umanità e, per chi crede, nella fede. Come già ebbi occasione di dire, "accogliere i rifugiati e dare loro ospitalità è per tutti un doveroso gesto di umana solidarietà, affinché essi non si sentano isolati a causa dell’intolleranza e del disinteresse" (Udienza Generale del 20 giugno 2007: Insegnamenti II, 1 (2007), 1158). Ciò significa che quanti sono forzati a lasciare le loro case o la loro terra saranno aiutati a trovare un luogo dove vivere in pace e sicurezza, dove lavorare e assumere i diritti e doveri esistenti nel Paese che li accoglie, contribuendo al bene comune, senza dimenticare la dimensione religiosa della vita.

Un particolare pensiero, sempre accompagnato dalla preghiera, vorrei rivolgere infine agli studenti esteri e internazionali, che pure sono una realtà in crescita all’interno del grande fenomeno migratorio. Si tratta di una categoria anche socialmente rilevante in prospettiva del loro rientro, come futuri dirigenti, nei Paesi di origine. Essi costituiscono dei "ponti" culturali ed economici tra questi Paesi e quelli di accoglienza, e tutto ciò va proprio nella direzione di formare "una sola famiglia umana". È questa convinzione che deve sostenere l'impegno a favore degli studenti esteri e accompagnare l'attenzione per i loro problemi concreti, quali le ristrettezze economiche o il disagio di sentirsi soli nell'affrontare un ambiente sociale e universitario molto diverso, come pure le difficoltà di inserimento. A questo proposito, mi piace ricordare che "appartenere ad una comunità universitaria significa stare nel crocevia delle culture che hanno plasmato il mondo moderno" (Giovanni Paolo II, Ai Vescovi Statunitensi delle Provincie ecclesiastiche di Chicago, Indianapolis e Milwaukee in visita "ad limina", 30 maggio 1998, 6: Insegnamenti XXI,1 [1998], 1116). Nella scuola e nell'università si forma la cultura delle nuove generazioni: da queste istituzioni dipende in larga misura la loro capacità di guardare all'umanità come ad una famiglia chiamata ad essere unita nella diversità.

Cari fratelli e sorelle, il mondo dei migranti è vasto e diversificato. Conosce esperienze meravigliose e promettenti, come pure, purtroppo, tante altre drammatiche e indegne dell'uomo e di società che si dicono civili. Per la Chiesa, questa realtà costituisce un segno eloquente dei nostri tempi, che porta in maggiore evidenza la vocazione dell'umanità a formare una sola famiglia, e, al tempo stesso, le difficoltà che, invece di unirla, la dividono e la lacerano. Non perdiamo la speranza, e preghiamo insieme Dio, Padre di tutti, perché ci aiuti ad essere, ciascuno in prima persona, uomini e donne capaci di relazioni fraterne; e, sul piano sociale, politico ed istituzionale, si accrescano la comprensione e la stima reciproca tra i popoli e le culture. Con questi auspici, invocando l'intercessione di Maria Santissima Stella maris, invio di cuore a tutti la Benedizione Apostolica, in modo speciale ai migranti ed ai rifugiati e a quanti operano in questo importante ambito.

Da Castel Gandolfo, 27 settembre 2010

BENEDICTUS PP. XVI

[01453-01.01] [Testo originale: Italiano]

TRADUZIONE IN LINGUA FRANCESE

Chers frères et sœurs,

La Journée mondiale du migrant et du réfugié offre l’occasion, pour toute l’Eglise, de réfléchir sur un thème lié au phénomène croissant de la migration, de prier afin que les cœurs s’ouvrent à l’accueil chrétien et d’œuvrer afin que croissent dans le monde la justice et la charité, piliers de l’édification d’une paix authentique et durable. «Comme je vous ai aimés, vous aussi, aimez-vous les uns les autres» (Jn 13, 34) est l’invitation que le Seigneur nous adresse avec force et nous renouvelle constamment: si le Père nous appelle à être des fils bien-aimés dans son Fils préféré, il nous appelle aussi à nous reconnaître tous comme frères dans le Christ.

De ce lien profond entre tous les êtres humains découle le thème que j’ai choisi cette année pour notre réflexion: «Une seule famille humaine», une seule famille de frères et sœurs dans des sociétés qui deviennent toujours plus multiethniques et interculturelles, où les personnes de diverses religions aussi sont encouragées au dialogue, afin que l’on puisse parvenir à une coexistence sereine et fructueuse dans le respect des différences légitimes. Le Concile Vatican II affirme que «tous les peuples forment, en effet, une seule communauté; ils ont une seule origine, puisque Dieu a fait habiter tout le genre humain sur toute la face de la terre (cf. Ac 17, 26); ils ont aussi une seule fin dernière, Dieu, dont la providence, les témoignages de bonté et les desseins de salut s’étendent à tous» (Déclaration Nostra aetate, n. 1). Ainsi, «nous ne vivons pas les uns à côté des autres par hasard; nous parcourons tous un même chemin comme hommes et donc comme frères et sœurs» (Message pour la Journée mondiale de la Paix 2008, n. 6).

Le chemin est le même, celui de la vie, mais les situations que nous traversons sur ce parcours sont différentes: beaucoup de personnes doivent affronter l’expérience difficile de la migration, dans ses différentes expressions: intérieures ou internationales, permanentes ou saisonnières, économiques ou politiques, volontaires ou forcées. Dans divers cas, le départ de son propre pays est provoqué par différentes formes de persécutions, de sorte que la fuite devient nécessaire. De plus, le phénomène même de la mondialisation, caractéristique de notre époque, n’est pas seulement un processus socio-économique, mais comporte également «une humanité qui devient de plus en plus interconnectée», dépassant les frontières géographiques et culturelles. A ce propos, l’Eglise ne cesse de rappeler que le sens profond de ce processus historique et son critère éthique fondamental découlent précisément de l’unité de la famille humaine et de son développement dans le bien (cf. Benoît XVI, Enc. Caritas in veritate, n. 42). Tous, appartiennent donc à une unique famille, migrants et populations locales qui les accueillent, et tous ont le même droit de bénéficier des biens de la terre, dont la destination est universelle, comme l’enseigne la doctrine sociale de l’Eglise. C’est ici que trouvent leur fondement la solidarité et le partage.

«Dans une société en voie de mondialisation, le bien commun et l’engagement en sa faveur ne peuvent pas ne pas assumer les dimensions de la famille humaine tout entière, c’est-à-dire de la communauté des peuples et des Nations, au point de donner forme d’unité et de paix à la cité des hommes, et d’en faire, en quelque sorte, la préfiguration anticipée de la cité sans frontières de Dieu» (Benoît XVI, Enc. Caritas in veritate, n. 7). Telle est la perspective dans laquelle il faut considérer également la réalité des migrations. En effet, comme l’observait déjà le Serviteur de Dieu Paul VI, «le manque de fraternité entre les hommes et entre les peuples» est la cause profonde du sous-développement (Enc. Populorum progressio, n. 66) et — pouvons-nous ajouter — il influe fortement sur le phénomène migratoire. La fraternité humaine est l’expérience, parfois surprenante, d’une relation qui rapproche, d’un lien profond avec l’autre, différent de moi, fondé sur le simple fait d’être des hommes. Assumée et vécue de façon responsable, elle alimente une vie de communion et de partage avec tous, en particulier avec les migrants; elle soutient le don de soi aux autres, en vue de leur bien, du bien de tous, dans la communauté politique locale, nationale et mondiale.

Le vénérable Jean-Paul II, à l’occasion de cette même journée célébrée en 2001, souligna que «[le bien commun universel] englobe toute la famille des peuples, au-dessus de tout égoïsme nationaliste. C'est dans ce contexte qu'il faut considérer le droit à émigrer. L’Eglise reconnaît ce droit à tout homme, sous son double aspect: possibilité de sortir de son pays et possibilité d'entrer dans un autre pays à la recherche de meilleures conditions de vie» (Message pour la Journée mondiale des migrations 2001, n. 3; cf. Jean XXIII, Enc. Mater et Magistra, n. 30; Paul VI, Enc. Octogesima adveniens, n. 17). Dans le même temps, les Etats ont le droit de réglementer les flux migratoires et de défendre leurs frontières, en garantissant toujours le respect dû à la dignité de chaque personne humaine. En outre, les immigrés ont le devoir de s’intégrer dans le pays d’accueil, en respectant ses lois et l’identité nationale. «Il faudra alors concilier l'accueil qui est dû à tous les êtres humains, spécialement aux indigents, avec l'évaluation des conditions indispensables à une vie digne et pacifique pour les habitants originaires du pays et pour ceux qui viennent les rejoindre» (Jean-Paul II, Message pour la Journée mondiale de la paix 2001, n. 13).

Dans ce contexte, la présence de l’Eglise comme peuple de Dieu en chemin dans l’histoire parmi tous les autres peuples, est une source de confiance et d’espérance. En effet, l’Eglise est «dans le Christ, en quelque sorte le sacrement, c’est-à-dire à la fois le signe et le moyen de l’union intime avec Dieu et de l’unité de tout le genre humain» (Conc. Œcum. Vatican II, Const. dogm. Lumen gentium, n. 1); et, grâce à l’action de l’Esprit Saint en elle, «l’effort qui tend à instaurer une fraternité universelle n’est pas vain» (ibid., Const. apost. Gaudium et spes, n. 38). C’est de façon particulière la sainte Eucharistie qui constitue, dans le cœur de l’Eglise, une source inépuisable de communion pour l’humanité tout entière. Grâce à elle, le Peuple de Dieu embrasse «toutes nations, races, peuples et langues» (Ap 7, 9) non pas à travers une sorte de pouvoir sacré, mais à travers le service supérieur de la charité. En effet, l’exercice de la charité, en particulier à l’égard des plus pauvres et faibles, est un critère qui prouve l’authenticité des célébrations eucharistiques (cf. Jean-Paul II, Lett. apost. Mane nobiscum Domine, n. 28).

C’est à la lumière du thème «une seule famille», qu’il faut considérer de façon spécifique la situation des réfugiés et des autres migrants forcés, qui représentent une part importante du phénomène migratoire. A l’égard de ces personnes, qui fuient les violences et les persécutions, la Communauté internationale a pris des engagements précis. Le respect de leurs droits, ainsi que des justes préoccupations pour la sécurité et la cohésion sociale, favorisent une coexistence stable et harmonieuse.

Dans le cas des migrants forcés également, la solidarité se nourrit de la «réserve» d’amour qui naît du fait de se considérer comme une seule famille humaine et, pour les fidèles catholiques, membres du Corps mystique du Christ: nous dépendons en effet tous les uns des autres, nous sommes tous responsables de nos frères et sœurs en humanité, et, pour ceux qui croient, dans la foi. Comme j’ai déjà eu l’occasion de le dire, «accueillir les réfugiés et leur accorder l'hospitalité représente pour tous un geste juste de solidarité humaine, afin que ces derniers ne se sentent pas isolés à cause de l'intolérance et du manque d'intérêt» (Audience générale, 20 juin 2007: Insegnamenti II, 1 (2007), 1158). Cela signifie qu’il faudra aider ceux qui sont contraints de quitter leurs maisons ou leur terre à trouver un lieu où ils pourront vivre dans la paix et la sécurité, travailler et assumer les droits et les devoirs existant dans le pays qui les accueille, en contribuant au bien commun, sans oublier la dimension religieuse de la vie.

Je voudrais adresser enfin une pensée particulière, toujours accompagnée par la prière, aux étudiants étrangers et internationaux, qui représentent également une réalité en croissance au sein du grand phénomène migratoire. Il s’agit d’une catégorie qui revêt elle aussi une importance sociale, dans la perspective de leur retour, en tant que futurs dirigeants, dans leurs pays d’origine. Ils constituent des «ponts culturels» et économiques entre ces pays et ceux d’accueil, et tout cela va précisément dans la direction de former «une seule famille humaine». C’est cette conviction qui doit soutenir l’engagement en faveur des étudiants étrangers et accompagner l’attention pour leurs problèmes concrets, comme les difficultés financières ou la crainte se sentir seul pour affronter un milieu social et universitaire très différent, ainsi que les difficultés d’insertion. A ce propos, je voudrais rappeler qu’«appartenir à une communauté universitaire signifie être au carrefour des cultures qui ont façonné le monde moderne» (Jean-Paul II, discours au évêques des Etats-Unis des provinces ecclésiastique de Chicago, Indianapolis et Milwaukee, en visite «ad limina Apostolorum», 30 mai 1998, 6: Insegnamenti XXI, 1 [1998], 1116). C’est à l’école et à l’Université que se forme la culture des nouvelles générations: de ces institutions dépend dans une large mesure leur capacité à considérer l’humanité comme une famille appelée à être unie dans la diversité.

Chers frères et sœurs, le monde des migrants est vaste et diversifié. Il est constitué d’expériences merveilleuses et prometteuses, ainsi que, malheureusement, de nombreuses autres, dramatiques et indignes de l’homme et de sociétés qui se qualifient de civiles. Pour l’Eglise, cette réalité constitue un signe éloquent de notre époque, qui souligne de façon encore plus évidente la vocation de l’humanité à former une seule famille et, dans le même temps, les difficultés qui, au lieu de l’unir, la divisent et la déchirent. Ne perdons pas l’espérance et prions ensemble Dieu, Père de tous, afin qu’il nous aide à être, chacun en première personne, des hommes et des femmes capables de relations fraternelles; et, sur le plan social, politique et institutionnel, afin que s’accroissent la compréhension et l’estime réciproques entre les peuples et les cultures. Avec ces vœux, en invoquant l’intercession de la Très Sainte Vierge Marie Stella Maris, j’envoie de tout cœur à tous une Bénédiction apostolique, de façon particulière aux migrants et aux réfugiés et à tous ceux qui œuvrent dans cet important domaine.

De Castel Gandolfo, le 27 septembre 2010

BENEDICTUS PP. XVI

[01453-03.01] [Texte original: Italien]

TRADUZIONE IN LINGUA INGLESE

Dear Brothers and Sisters,

The World Day of Migrants and Refugees offers the whole Church an opportunity to reflect on a theme linked to the growing phenomenon of migration, to pray that hearts may open to Christian welcome and to the effort to increase in the world justice and charity, pillars on which to build an authentic and lasting peace. "As I have loved you, so you also should love one another" (Jn 13:34), is the invitation that the Lord forcefully addresses to us and renews us constantly: if the Father calls us to be beloved children in his dearly beloved Son, he also calls us to recognize each other as brothers and sisters in Christ.

This profound link between all human beings is the origin of the theme that I have chosen for our reflection this year: "One human family", one family of brothers and sisters in societies that are becoming ever more multiethnic and intercultural, where also people of various religions are urged to take part in dialogue, so that a serene and fruitful coexistence with respect for legitimate differences may be found. The Second Vatican Council affirms that "All peoples are one community and have one origin, because God caused the whole human race to dwell on the face of the earth (cf. Acts 17:26); they also have one final end, God" (Message for the World Day of Peace, 2008, 1). "His providence, His manifestations of goodness, His saving design extend to all men" (Declaration Nostra aetate, 1). Thus, "We do not live alongside one another purely by chance; all of us are progressing along a common path as men and women, and thus as brothers and sisters" (Message for the World Day of Peace, 2008, 6).

The road is the same, that of life, but the situations that we pass through on this route are different: many people have to face the difficult experience of migration in its various forms: internal or international, permanent or seasonal, economic or political, voluntary or forced. In various cases the departure from their Country is motivated by different forms of persecution, so that escape becomes necessary. Moreover, the phenomenon of globalization itself, characteristic of our epoch, is not only a social and economic process, but also entails "humanity itself [that] is becoming increasingly interconnected", crossing geographical and cultural boundaries. In this regard, the Church does not cease to recall that the deep sense of this epochal process and its fundamental ethical criterion are given by the unity of the human family and its development towards what is good (cf. Benedict XVI, Encyclical Caritas in veritate, 42). All, therefore, belong to one family, migrants and the local populations that welcome them, and all have the same right to enjoy the goods of the earth whose destination is universal, as the social doctrine of the Church teaches. It is here that solidarity and sharing are founded.

"In an increasingly globalized society, the common good and the effort to obtain it cannot fail to assume the dimensions of the whole human family, that is to say, the community of peoples and nations, in such a way as to shape the earthly city in unity and peace, rendering it to some degree an anticipation and a prefiguration of the undivided city of God" (Benedict XVI, Encyclical Caritas in veritate, 7). This is also the perspective with which to look at the reality of migration. In fact, as the Servant of God Paul VI formerly noted, "the weakening of brotherly ties between individuals and nations" (Encyclical Populorum progressio, 66), is a profound cause of underdevelopment and – we may add – has a major impact on the migration phenomenon. Human brotherhood is the, at times surprising, experience of a relationship that unites, of a profound bond with the other, different from me, based on the simple fact of being human beings. Assumed and lived responsibly, it fosters a life of communion and sharing with all and in particular with migrants; it supports the gift of self to others, for their good, for the good of all, in the local, national and world political communities.

Venerable John Paul II, on the occasion of this same Day celebrated in 2001, emphasized that "[the universal common good] includes the whole family of peoples, beyond every nationalistic egoism. The right to emigrate must be considered in this context. The Church recognizes this right in every human person, in its dual aspect of the possibility to leave one’s country and the possibility to enter another country to look for better conditions of life" (Message for World Day of Migration 2001, 3; cf. John XXIII, Encyclical Mater et Magistra, 30; Paul VI, Encyclical Octogesima adveniens, 17). At the same time, States have the right to regulate migration flows and to defend their own frontiers, always guaranteeing the respect due to the dignity of each and every human person. Immigrants, moreover, have the duty to integrate into the host Country, respecting its laws and its national identity. "The challenge is to combine the welcome due to every human being, especially when in need, with a reckoning of what is necessary for both the local inhabitants and the new arrivals to live a dignified and peaceful life" (World Day of Peace 2001, 13).

In this context, the presence of the Church, as the People of God journeying through history among all the other peoples, is a source of trust and hope. Indeed the Church is "in Christ like a sacrament or as a sign and instrument both of a very closely knit union with God and of the unity of the whole human race" (Second Vatican Ecumenical Council, Dogmatic Constitution Lumen gentium, 1); and through the action within her of the Holy Spirit, "the effort to establish a universal brotherhood is not a hopeless one" (Idem, Pastoral Constitution Gaudium et spes, 38). It is the Holy Eucharist in particular that constitutes, in the heart of the Church, an inexhaustible source of communion for the whole of humanity. It is thanks to this that the People of God includes "every nation, race, people, and tongue" (Rev 7:9), not with a sort of sacred power but with the superior service of charity. In fact the exercise of charity, especially for the poorest and weakest, is the criterion that proves the authenticity of the Eucharistic celebration (cf. John Paul II, Apostolic Letter Mane nobiscum Domine, 28).

The situation of refugees and of the other forced migrants, who are an important part of the migration phenomenon, should be specifically considered in the light of the theme "One human family". For these people who flee from violence and persecution the International Community has taken on precise commitments. Respect of their rights, as well as the legitimate concern for security and social coherence, foster a stable and harmonious coexistence.

Also in the case of those who are forced to migrate, solidarity is nourished by the "reserve" of love that is born from considering ourselves a single human family and, for the Catholic faithful, members of the Mystical Body of Christ: in fact we find ourselves depending on each other, all responsible for our brothers and sisters in humanity and, for those who believe, in the faith. As I have already had the opportunity to say, "Welcoming refugees and giving them hospitality is for everyone an imperative gesture of human solidarity, so that they may not feel isolated because of intolerance and disinterest" (General Audience, 20 June 2007: Insegnamenti II, 1 [2007], 1158). This means that those who are forced to leave their homes or their country will be helped to find a place where they may live in peace and safety, where they may work and take on the rights and duties that exist in the Country that welcomes them, contributing to the common good and without forgetting the religious dimension of life.

Lastly, I would like to address a special thought, again accompanied by prayer, to the foreign and international students who are also a growing reality within the great migration phenomenon. This, as well, is a socially important category with a view to their return, as future leaders, to their Countries of origin. They constitute cultural and economic "bridges" between these Countries and the host Countries, and all this goes precisely in the direction of forming "one human family". This is the conviction that must support the commitment to foreign students and must accompany attention to their practical problems, such as financial difficulties or the hardship of feeling alone in facing a very different social and university context, as well as the difficulties of integration. In this regard, I would like to recall that "to belong to a university community… is to stand at the crossroads of the cultures that have formed the modern world" (John Paul II, To the Bishops of the United States of America of the Ecclesiastical Provinces of Chicago, Indianapolis and Milwaukee on their ad limina visit, 30 May 1998, 6: Insegnamenti XXI, 1 [1998] 1116). At school and at university the culture of the new generations is formed: their capacity to see humanity as a family called to be united in diversity largely depends on these institutions.

Dear brothers and sisters, the world of migrants is vast and diversified. It knows wonderful and promising experiences, as well as, unfortunately, so many others that are tragic and unworthy of the human being and of societies that claim to be civil. For the Church this reality constitutes an eloquent sign of our times which further highlights humanity’s vocation to form one family, and, at the same time, the difficulties which, instead of uniting it, divide it and tear it apart. Let us not lose hope and let us together pray God, the Father of all, to help us – each in the first person – to be men and women capable of brotherly relationships and, at the social, political and institutional levels, so that understanding and reciprocal esteem among peoples and cultures may increase. With these hopes, as I invoke the intercession of Mary Most Holy, Stella Maris, I cordially impart the Apostolic Blessing to all and, especially, to migrants and refugees and to everyone who works in this important field.

From Castel Gandolfo, 27 September 2010

BENEDICTUS PP. XVI

[01453-02.01] [Original text: Italian]

TRADUZIONE IN LINGUA TEDESCA

Liebe Brüder und Schwestern!

Der Welttag des Migranten und Flüchtlings bietet der ganzen Kirche Gelegenheit, über ein Thema nachzudenken, das mit dem wachsenden Phänomen der Migration verbunden ist, zu beten, daß die Herzen sich für die christliche Gastfreundschaft öffnen mögen und dahin zu wirken, daß Gerechtigkeit und Liebe in der Welt zunehmen, als Stützpfeiler zum Aufbau eines wahren und dauerhaften Friedens. »Wie ich euch geliebt habe, so sollt auch ihr einander lieben« (Joh 13,34): Diese Aufforderung richtet der Herr stets aufs neue mit Nachdruck an uns. Wenn der Vater uns aufruft, geliebte Kinder in seinem geliebten Sohn zu sein, dann ruft er uns auch auf, uns alle gegenseitig als Brüder in Christus zu erkennen.

Dieser tiefen Verbindung zwischen allen Menschen entspringt das Thema, das ich in diesem Jahr für unsere Reflexion gewählt habe: »Eine einzige Menschheitsfamilie«, eine einzige Familie von Brüdern und Schwestern in Gesellschaften, die immer multiethnischer und interkultureller werden, wo auch die Personen unterschiedlicher Religion zum Dialog geführt werden, um zu einem friedlichen und fruchtbaren Zusammenleben zu gelangen, unter Achtung der legitimen Unterschiede. Das Zweite Vatikanische Konzil sagt: »Alle Völker sind ja eine einzige Gemeinschaft, sie haben denselben Ursprung, da Gott das ganze Menschengeschlecht auf dem gesamten Erdkreis wohnen ließ (vgl. Apg 17,26); auch haben sie Gott als ein und dasselbe letzte Ziel. Seine Vorsehung, die Bezeugung seiner Güte und seine Heilsratschlüsse erstrecken sich auf alle Menschen« (Erklärung Nostra aetate, 1). So leben wir »nicht zufällig nebeneinander; als Menschen sind wir alle auf demselben Weg und darum gehen wir ihn als Brüder und Schwestern« (Botschaft zur Feier des Weltfriedenstages 2008, 6; in O.R. dt., Nr. 51/52 vom 21.12.2007, S. 14).

Wir sind auf demselben Weg, dem Lebensweg, durchleben aber auf diesem Weg unterschiedliche Situationen. Viele sehen sich mit der schwierigen Erfahrung der Migration konfrontiert, in ihren verschiedenen Formen: innerhalb eines Landes oder im Ausland, ständige oder vorübergehende, wirtschaftliche oder politische, freiwillige oder erzwungene. In manchen Fällen ist das Verlassen des eigenen Landes durch unterschiedliche Formen der Verfolgung bedingt, die die Flucht notwendig machen. Auch das Phänomen der Globalisierung, das für unsere Zeit bezeichnend ist, ist nicht nur ein sozioökonomischer Prozeß, sondern bringt auch eine »zunehmend untereinander verflochtene Menschheit« mit sich und überwindet geographische und kulturelle Grenzen. In diesem Zusammenhang erinnert die Kirche stets daran, daß der tiefere Sinn dieses epochalen Prozesses und sein grundlegendes ethisches Kriterium in der Einheit der Menschheitsfamilie und in ihrem Voranschreiten im Guten gegeben sind (vgl. Benedikt XVI., Enzyklika Caritas in veritate, 42). Alle gehören also zu einer einzigen Familie, Migranten und die sie aufnehmenden Gastvölker, und alle haben dasselbe Recht, die Güter der Erde zu nutzen, deren Bestimmung allgemein ist, wie die Soziallehre der Kirche lehrt. Solidarität und Teilen haben hier ihre Grundlage.

»In einer Gesellschaft auf dem Weg zur Globalisierung müssen das Gemeinwohl und der Einsatz dafür unweigerlich die Dimensionen der gesamten Menschheitsfamilie, also der Gemeinschaft der Völker und der Nationen, annehmen, so daß sie der Stadt des Menschen die Gestalt der Einheit und des Friedens verleihen und sie gewissermaßen zu einer vorausdeutenden Antizipation der grenzenlosen Stadt Gottes machen« (Benedikt XVI., Caritas in veritate, 7). Unter diesem Gesichtspunkt muß auch die Wirklichkeit der Migrationen betrachtet werden. Wie bereits der Diener Gottes Paul VI. sagte, ist das »Fehlen der brüderlichen Bande unter den Menschen und unter den Völkern« die tiefere Ursache für die Unterentwicklung (Enzyklika Populorum progressio, 66) und – so können wir hinzufügen – nimmt starken Einfluß auf das Migrationsphänomen. Die Brüderlichkeit unter den Menschen ist die – manchmal überraschende – Erfahrung einer Beziehung, die vereint, einer tiefen Verbindung mit dem anderen, der anders ist als ich, basierend auf der einfachen Tatsache, Menschen zu sein. Wenn sie verantwortungsvoll angenommen und gelebt wird, nährt sie ein Leben der Gemeinschaft und des Teilens mit allen, insbesondere mit den Migranten; unterstützt sie die Selbsthingabe an die anderen, an ihr Wohl, an das Wohl aller Menschen, in der lokalen, nationalen und weltweiten politischen Gemeinschaft.

Der ehrwürdige Diener Gottes Johannes Paul II. betonte anläßlich desselben Welttages im Jahre 2001: »[Das universelle Gemeinwohl] umfaßt die gesamte Völkerfamilie, über jeden nationalistischen Egoismus hinweg. In diesem Zusammenhang muß das Recht auf Auswanderung betrachtet werden. Die Kirche gesteht dieses Recht jedem Menschen zu, und zwar in zweifacher Hinsicht, einmal bezüglich der Möglichkeit sein Land zu verlassen und zum anderen hinsichtlich der Möglichkeit, in ein anderes Land einwandern zu können, um bessere Lebensbedingungen zu suchen« (Botschaft zum Welttag des Migranten und Flüchtlings 2001, 3; in O.R. dt., Nr. 13 vom 30.3.2001, S. 7; vgl. Johannes XXIII., Enzyklika Mater et magistra, 30; Paul VI., Enzyklika Octogesima adveniens, 17). Gleichzeitig haben die Staaten das Recht, die Einwanderungsströme zu regeln und die eigenen Grenzen zu schützen, wobei die gebührende Achtung gegenüber der Würde einer jeden menschlichen Person stets gewährleistet sein muß. Die Einwanderer haben darüber hinaus die Pflicht, sich im Gastland zu integrieren, seine Gesetze und nationale Identität zu respektieren. »Es wird sich dann darum handeln, die Aufnahme, die man allen Menschen, besonders wenn es Bedürftige sind, schuldig ist, mit der Einschätzung der Voraussetzungen zu verbinden, die für ein würdevolles und friedliches Leben der ursprünglich ansässigen Bevölkerung und der hinzugekommenen unerläßlich sind« (Johannes Paul II., Botschaft zur Feier des Weltfriedenstages 2001, 13; in O.R. dt., Nr. 51/52 vom 22.12.2000, S. 10).

In diesem Zusammenhang ist die Anwesenheit der Kirche als Volk Gottes, das in der Geschichte inmitten aller anderen Völker unterwegs ist, Quelle des Vertrauens und der Hoffnung. »Die Kirche ist ja in Christus gleichsam das Sakrament, das heißt Zeichen und Werkzeug für die innigste Vereinigung mit Gott wie für die Einheit der ganzen Menschheit« (Zweites Vatikanisches Konzil, Dogmatische Konstitution Lumen gentium, 1); und dank des Wirkens des Heiligen Geistes ist »der Versuch, eine allumfassende Brüderlichkeit herzustellen, nicht vergeblich« (ebd., Pastorale Konstitution Gaudium et spes, 38). Besonders die heilige Eucharistie stellt im Herzen der Kirche eine unerschöpfliche Quelle der Gemeinschaft für die gesamte Menschheit dar. Dank ihrer umfaßt das Gottesvolk »alle Nationen und Stämme, Völker und Sprachen« (vgl. Off 7,9) nicht aus einer Art heiliger Vollmacht heraus, sondern durch den erhabenen Dienst der Liebe. Der Liebesdienst, insbesondere an den Armen und Schwachen, ist in der Tat das Kriterium, auf Grund dessen die Echtheit unserer Eucharistiefeiern überprüft wird (vgl. Johannes Paul II., Apostolisches Schreiben Mane nobiscum Domine, 28; in O.R. dt., Nr. 42 vom 15.10.2004, S. 10).

Im Licht des Themas »Eine einzige Menschheitsfamilie« muß insbesondere die Situation der Flüchtlinge und der anderen Zwangsmigranten in Betracht gezogen werden, die einen bedeutenden Teil des Migrationsphänomens ausmachen. Gegenüber diesen Personen, die vor Gewalt und Verfolgung fliehen, hat die internationale Gemeinschaft bestimmte Verpflichtungen übernommen. Die Achtung ihrer Rechte sowie die berechtigte Sorge um Sicherheit und sozialen Zusammenhalt fördern ein stabiles und einträchtiges Zusammenleben.

Auch gegenüber den Zwangsmigranten nährt sich die Solidarität aus dem »Vorrat« der Liebe, der daraus entsteht, daß wir uns als eine einzige Menschheitsfamilie und, im Falle der katholischen Gläubigen, als Glieder des mystischen Leibes Christi betrachten: Wir sind nämlich voneinander abhängig und tragen alle Verantwortung für unsere Brüder und Schwestern in der Menschennatur und – was die Gläubigen betrifft – im Glauben. Ich hatte schon einmal Gelegenheit zu sagen: »Die Flüchtlinge aufzunehmen und ihnen Gastfreundschaft zu gewähren ist für alle eine Pflicht menschlicher Solidarität, damit diese sich aufgrund von Intoleranz und Desinteresse nicht isoliert fühlen« (Generalaudienz am 20. Juni 2007; in O.R. dt., Nr. 26 vom 29.6.2007, S. 2). Das bedeutet, daß jenen, die gezwungen sind, ihr Zuhause oder ihr Land zu verlassen, geholfen werden muß, einen Ort zu finden, wo sie in Frieden und Sicherheit leben, wo sie in ihrem Gastland arbeiten und die bestehenden Rechte und Pflichten übernehmen und zum Gemeinwohl beitragen können, ohne dabei die religiöse Dimension des Lebens zu vergessen.

Einige besondere Überlegungen, stets begleitet vom Gebet, möchte ich zum Abschluß den ausländischen und internationalen Studenten widmen, die ebenso eine wachsende Realität innerhalb des großen Migrationsphänomens darstellen. Diese Kategorie ist auch gesellschaftlich von Bedeutung, im Hinblick auf die Rückkehr in ihre Heimatländer als zukünftige Verantwortungsträger. Sie sind kulturelle und wirtschaftliche »Brücken« zwischen diesen Ländern und ihren Gastländern, und all das geht in Richtung auf die Herausbildung »einer einzigen Menschheitsfamilie«. Eben diese Überzeugung muß die Bemühungen zugunsten der ausländischen Studenten stützen und die Aufmerksamkeit gegenüber ihren konkreten Problemen begleiten – wie die wirtschaftliche Eingeschränktheit oder das unangenehme Gefühl, einem völlig anderen sozialen und universitären Umfeld allein gegenüberzustehen, und die Schwierigkeiten bei der Eingliederung. In diesem Zusammenhang möchte ich in Erinnerung rufen, daß »Zugehörigkeit zu einer Universitätsgemeinschaft bedeutet, am Knotenpunkt der Kulturen zu stehen, die die moderne Welt geprägt haben« (Johannes Paul II., Ansprache an die Bischöfe der Vereinigten Staaten von Amerika aus den Kirchenprovinzen Chicago, Indianapolis und Milwaukee anläßlich ihres »Ad-limina»-Besuchs, 30. Mai 1998, 6; in O.R. dt., Nr. 30 vom 24.7.1998, S. 9). In Schule und Universität wird die Kultur der neuen Generationen herausgebildet: Von diesen Einrichtungen hängt weitgehend deren Fähigkeit ab, die Menschheit als eine Familie zu betrachten, die berufen ist, in der Vielfalt vereint zu sein.

Liebe Brüder und Schwestern, die Welt der Migranten ist weit und vielschichtig. Es gibt darin wunderbare und vielversprechende Erfahrungen, aber leider auch viele andere, dramatische Erfahrungen, die des Menschen und der Gesellschaften, die sich als zivilisiert bezeichnen, unwürdig sind. Für die Kirche stellt diese Wirklichkeit ein beredtes Zeichen unserer Zeit dar, das die Berufung der Menschheit, eine einzige Familie zu bilden, deutlicher zum Vorschein treten läßt, gleichzeitig aber auch die Schwierigkeiten, die sie spalten und zerreißen statt sie zu vereinen. Wir wollen die Hoffnung nicht verlieren und Gott, den Vater aller Menschen, gemeinsam bitten, daß er uns helfen möge, Männer und Frauen zu sein, die – jeder ganz persönlich – zu brüderlichen Beziehungen fähig sind, und daß auf sozialer, politischer und institutioneller Ebene das Verständnis und die gegenseitige Wertschätzung zwischen Völkern und Kulturen wachsen mögen. Mit diesem Wunsch bitte ich die allerseligste Jungfrau Maria »Stella maris« um ihre Fürsprache und erteile allen von Herzen den Apostolischen Segen, insbesondere den Migranten und den Flüchtlingen sowie allen, die in diesem wichtigen Bereich tätig sind.

Aus Castel Gandolfo, am 27. September 2010

BENEDICTUS PP. XVI

[01453-05.01] [Originalsprache: Italienisch]

TRADUZIONE IN LINGUA SPAGNOLA

Queridos hermanos y hermanas:

La Jornada Mundial del Emigrante y del Refugiado brinda a toda la Iglesia la oportunidad de reflexionar sobre un tema vinculado al creciente fenómeno de la emigración, de orar para que los corazones se abran a la acogida cristiana y de trabajar para que crezcan en el mundo la justicia y la caridad, columnas para la construcción de una paz auténtica y duradera. «Como yo os he amado, que también os améis unos a otros» (Jn 13, 34) es la invitación que el Señor nos dirige con fuerza y nos renueva constantemente: si el Padre nos llama a ser hijos amados en su Hijo predilecto, nos llama también a reconocernos todos como hermanos en Cristo.

De este vínculo profundo entre todos los seres humanos nace el tema que he elegido este año para nuestra reflexión: «Una sola familia humana», una sola familia de hermanos y hermanas en sociedades que son cada vez más multiétnicas e interculturales, donde también las personas de diversas religiones se ven impulsadas al diálogo, para que se pueda encontrar una convivencia serena y provechosa en el respeto de las legítimas diferencias. El Concilio Vaticano II afirma que «todos los pueblos forman una comunidad, tienen un mismo origen, puesto que Dios hizo habitar a todo el género humano sobre la faz de la tierra (cf. Hch 17, 26), y tienen también un fin último, que es Dios, cuya providencia, manifestación de bondad y designios de salvación se extienden a todos» (Decl. Nostra aetate, 1). Así, «no vivimos unos al lado de otros por casualidad; todos estamos recorriendo un mismo camino como hombres y, por tanto, como hermanos y hermanas» (Mensaje para la Jornada Mundial de la Paz 2008, 6).

El camino es el mismo, el de la vida, pero las situaciones que atravesamos en ese recorrido son distintas: muchos deben afrontar la difícil experiencia de la emigración, en sus diferentes expresiones: internas o internacionales, permanentes o estacionales, económicas o políticas, voluntarias o forzadas. En algunos casos las personas se ven forzadas a abandonar el propio país impulsadas por diversas formas de persecución, por lo que la huida aparece como necesaria. Además, el fenómeno mismo de la globalización, característico de nuestra época, no es sólo un proceso socioeconómico, sino que conlleva también «una humanidad cada vez más interrelacionada», que supera fronteras geográficas y culturales. Al respecto, la Iglesia no cesa de recordar que el sentido profundo de este proceso histórico y su criterio ético fundamental vienen dados precisamente por la unidad de la familia humana y su desarrollo en el bien (cf. Benedicto XVI, Enc. Caritas in veritate, 42). Por tanto, todos, tanto emigrantes como poblaciones locales que los acogen, forman parte de una sola familia, y todos tienen el mismo derecho a gozar de los bienes de la tierra, cuya destinación es universal, como enseña la doctrina social de la Iglesia. Aquí encuentran fundamento la solidaridad y el compartir.

«En una sociedad en vías de globalización, el bien común y el esfuerzo por él han de abarcar necesariamente a toda la familia humana, es decir, a la comunidad de los pueblos y naciones, dando así forma de unidad y de paz a la ciudad del hombre, y haciéndola en cierta medida una anticipación que prefigura la ciudad de Dios sin barreras» (Benedicto XVI, Enc. Caritas in veritate, 7). Desde esta perspectiva hay que mirar también la realidad de las migraciones. De hecho, como ya observaba el Siervo de Dios Pablo VI, «la falta de fraternidad entre los hombres y entre los pueblos» es causa profunda del subdesarrollo (Enc. Populorum progressio, 66) y -podríamos añadir- incide fuertemente en el fenómeno migratorio. La fraternidad humana es la experiencia, a veces sorprendente, de una relación que une, de un vínculo profundo con el otro, diferente de mí, basado en el simple hecho de ser hombres. Asumida y vivida responsablemente, alimenta una vida de comunión y de compartir con todos, de modo especial con los emigrantes; sostiene la entrega de sí mismo a los demás, a su bien, al bien de todos, en la comunidad política local, nacional y mundial.

El Venerable Juan Pablo II, con ocasión de esta misma Jornada celebrada en 2001, subrayó que «[el bien común universal] abarca toda la familia de los pueblos, por encima de cualquier egoísmo nacionalista. En este contexto, precisamente, se debe considerar el derecho a emigrar. La Iglesia lo reconoce a todo hombre, en el doble aspecto de la posibilidad de salir del propio país y la posibilidad de entrar en otro, en busca de mejores condiciones de vida» (Mensaje para la Jornada Mundial de las Migraciones 2001, 3; cf. Juan XXIII, Enc. Mater et Magistra, 30; Pablo VI, Enc. Octogesima adveniens, 17). Al mismo tiempo, los Estados tienen el derecho de regular los flujos migratorios y defender sus fronteras, asegurando siempre el respeto debido a la dignidad de toda persona humana. Los inmigrantes, además, tienen el deber de integrarse en el país de acogida, respetando sus leyes y la identidad nacional. «Se trata, pues, de conjugar la acogida que se debe a todos los seres humanos, en especial si son indigentes, con la consideración sobre las condiciones indispensables para una vida decorosa y pacífica, tanto para los habitantes originarios como para los nuevos llegado» (Juan Pablo II, Mensaje para la Jornada Mundial de la Paz 2001, 13).

En este contexto, la presencia de la Iglesia, en cuanto pueblo de Dios que camina en la historia en medio de todos los demás pueblos, es fuente de confianza y de esperanza. De hecho, la Iglesia es «en Cristo com un sacramento o sea signo e instrumento de la unión íntima con Dios y de la unidad de todo el género humano» (Conc. Ecum. Vat. II, Const. Dogm. Lumen gentium, 1); y, gracias a la acción del Espíritu Santo en ella, «esforzarse por instaurar la fraternidad universal no son cosas inútiles» (Idem, Const. past. Gaudium et spes, 38). De un modo especial la sagrada Eucaristía constituye, en el corazón de la Iglesia, una fuente inagotable de comunión para toda la humanidad. Gracias a ella, el Pueblo de Dios abraza a «toda nación, razas, pueblos y lenguas» (Ap 7, 9) no con una especie de poder sagrado, sino con el servicio superior de la caridad. En efecto, el ejercicio de la caridad, especialmente para con los más pobres y débiles, es criterio que prueba la autenticidad de las celebraciones eucarísticas (cf. Juan Pablo II, Carta ap. Mane nobiscum Domine, 28).

A la luz del tema «Una sola familia humana» es preciso considerar específicamente la situación de los refugiados y de los demás emigrantes forzados, que son una parte relevante del fenómeno migratorio. Respecto a estas personas, que huyen de violencias y persecuciones, la comunidad internacional ha asumido compromisos precisos. El respeto de sus derechos, así como las justas preocupaciones por la seguridad y la cohesión social, favorecen una convivencia estable y armoniosa.

También en el caso de los emigrantes forzados la solidaridad se alimenta en la «reserva» de amor que nace de considerarnos una sola familia humana y, para los fieles católicos, miembros del Cuerpo Místico de Cristo: de hecho nos encontramos dependiendo los unos de los otros, todos responsables de los hermanos y hermanas en humanidad y, para quien cree, en la fe. Como ya dije en otra ocasión, «acoger a los refugiados y darles hospitalidad es para todos un gesto obligado de solidaridad humana, a fin de que no se sientan aislados a causa de la intolerancia y el desinterés» (Audiencia general del 20 de junio de 2007: L'Osservatore Romano, edición en lengua española, 22 de junio de 2007, p. 15). Esto significa que a quienes se ven forzados a dejar sus casas o su tierra se les debe ayudar a encontrar un lugar donde puedan vivir en paz y seguridad, donde puedan trabajar y asumir los derechos y deberes existentes en el país que los acoge, contribuyendo al bien común, sin olvidar la dimensión religiosa de la vida.

Por último, quiero dirigir una palavra especial, acompañada de la oración, a los estudiantes extranjeros e internacionales, que son también una realidad en crecimiento dentro del gran fenómeno migratorio. Se trata de una categoría también socialmente relevante en la perspectiva de su regreso, como futuros dirigentes, a sus países de origen. Constituyen «puentes» culturales y económicos entre estos países y los de acogida, lo que va precisamente en la dirección de formar «una sola familia humana». Esta convicción es la que debe sostener el compromiso en favor de los estudiantes extranjeros, estando atentos a sus problemas concretos, como las estrecheces económicas o la aflicción de sentirse solos a la hora de afrontar un ambiente social y universitario muy distinto, al igual que las dificultades de inserción. A este propósito, me complace recordar que «pertenecer a una comunidad universitaria significa estar en la encrucijada de las culturas que han formado el mundo moderno» (Juan Pablo II, A los obispos estadounidenses de las provincias eclesiásticas de Chicago, Indianápolis y Milwaukee en visita ad limina, 30 de mayo de 1998: L'Osservatore Romano, edición en lengua española, 19 de junio de 2010, p. 7). En la escuela y en la universidad se forma la cultura de las nuevas generaciones: de estas instituciones depende en gran medida su capacidad de mirar a la humanidad como a una familia llamada a estar unida en la diversidad.

Queridos hermanos y hermanas, el mundo de los emigrantes es vasto y diversificado. Conoce experiencias maravillosas y prometedoras, y, lamentablemente, también muchas otras dramáticas e indignas del hombre y de sociedades que se consideran civilizadas. Para la Iglesia, esta realidad constituye un signo elocuente de nuestro tiempo, que avidencia aún más la vocación de la humanidad a formar una sola familia y, al mismo tiempo, las dificultades que, en lugar de unirla, la dividen y la laceran. No perdamos la esperanza, y oremos juntos a Dios, Padre de todos, para que nos ayude a ser, a cada uno en primera persona, hombres y mujeres capaces de relaciones fraternas; y para que, en el ámbito social, político e institucional, crezcan la comprensión y la estima recíproca entre los pueblos y las culturas. Con estos deseos, invocando la intercesión de María Santísima Stella maris, envío de corazón a todos la Bendición Apostólica, de modo especial a los emigrantes y a los refugiados, así como a cuantos trabajan en este importante ámbito.

Castel Gandolfo, 27 de septiembre de 2010

BENEDICTUS PP. XVI

[01453-04.01] [Texto original: Italiano]

TRADUZIONE IN LINGUA PORTOGHESE

Queridos Irmãos e Irmãs!

O Dia Mundial do Migrante e do Refugiado oferece a oportunidade, a toda a Igreja, para reflectir sobre o tema relacionado com o crescente fenómeno da migração, para rezar a fim de que os corações se abram ao acolhimento cristão e trabalhem para que cresçam no mundo a justiça e a caridade, colunas para a construção de uma paz autêntica e duradoura. «Que vos ameis uns aos outros assim como Eu vos amei» (Jo 13, 34) é o convite que o Senhor nos dirige com vigor e nos renova constantemente: se o Pai nos chama para sermos filhos amados no seu Filho predilecto, chama-nos também para nos reconhecermos a todos como irmãos em Cristo.

Deste vínculo profundo entre todos os seres humanos surge o tema que escolhi este ano para a nossa reflexão: «Uma só família humana», uma só família de irmãos e irmãs em sociedades que se tornam cada vez mais multi-étnicas e intra-culturais, onde também as pessoas de várias religiões são estimuladas ao diálogo, para que se possa encontrar uma serena e frutuosa convivência no respeito das legítimas diferenças. O Concílio Vaticano II afirma que « os homens constituem todos uma só comunidade; todos têm a mesma origem, pois foi Deus quem fez habitar em toda a terra o inteiro género humano (cf. Act 17, 26); têm, além disso, o mesmo fim último, Deus, cuja providência, testemunho de bondade e desígnios de salvação se estendem a todos» (Decl. Nostra aetate,1). Assim, nós «não vivemos uns ao lado dos outros por acaso; estamos percorrendo todos um mesmo caminho como homens e por isso como irmãos e irmãs» (Mensagem para o Dia Mundial da Paz de 2008, 6).

O caminho é o mesmo, o da vida, mas as situações por que passamos neste percurso são diversas: muitos devem enfrentar a difícil experiência da migração, nas suas diversas expressões: internas ou internacionais, permanentes ou periódicas, económicas ou políticas, voluntárias ou forçadas. Em vários casos a partida do próprio país é estimulada por diversas formas de perseguição, de modo que a fuga se torna necessária. Depois, o próprio fenómeno da globalização característico da nossa época, não é só um processo socioeconómico, mas comporta também «uma humanidade que se torna mais interrelacionada», superando confins geográficos e culturais. A este propósito, a Igreja não cessa de recordar que o sentido profundo deste processo sazonal e o seu critério ético fundamental são dados precisamente pela unidade da família humana e pelo seu desenvolvimento no bem (cf. Bento XVI, Enc. Caritas in veritate, 42). Portanto, todos pertencem a uma só família, migrantes e populações locais que os recebem, e todos têm o mesmo direito de usufruir dos bens da terra, cujo destino é universal, como ensina a doutrina social da Igreja. Aqui encontram fundamento a solidariedade e a partilha.

« Numa sociedade em vias de globalização, o bem comum e o empenho em seu favor não podem deixar de assumir as dimensões da família humana inteira, ou seja, da comunidade dos povos e das nações, para dar forma de unidade e paz à cidade do homem e torná-la em certa medida antecipação que prefigura a cidade de Deus sem barreiras.» (Bento XVI, Enc. Caritas in veritate,7). É esta a perspectiva com a qual olhar também para a realidade das migrações. De facto, como já fazia notar o Servo de Deus Paulo VI, «a falta de fraternidade entre os homens e entre os povos» é causa profunda de subdesenvolvimento (Enc. Populorum progressio, 66) e – podemos acrescentar – incide em grande medida sobre o fenómeno migratório. A fraternidade humana é a experiência, por vezes surpreendente, de uma relação que irmana, de uma ligação profunda com o próximo, diferente de mim, baseado no simples facto de sermos homens. Assumida e vivida responsavelmente ela alimenta uma vida de comunhão e de partilha com todos, sobretudo com os migrantes; apoia a doação de si aos demais, ao seu bem, ao bem de todos, na comunidade política local, nacional e mundial.

O Venerável João Paulo II, por ocasião deste mesmo Dia celebrado em 2001, ressaltou que «(o bem comum universal) abrange toda a família dos povos, acima de todo o egoísmo nacionalista. É neste contexto que se considera o direito de emigrar. A Igreja reconhece-o a cada homem no duplo aspecto da possibilidade de sair do próprio País e a possibilidade de entrar num outro à procura de melhores condições de vida. » (Mensagem para o Dia Mundial das Migrações 2001,3; cf. João XXIII, Enc. Mater et Magistra,30: Paulo VI, Octogesima Adveniens,17). Ao mesmo tempo, os Estados têm o direito de regular os fluxos migratórios e de defender as próprias fronteiras, garantindo sempre o respeito devido à dignidade de cada pessoa humana. Além disso, os imigrantes têm o dever de se integrarem no país que os recebe, respeitando as suas leis e a identidade nacional. «Procurar-se-á então conjugar o acolhimento devido a todo o ser humano, sobretudo no caso de pobres, com a avaliação das condições indispensáveis para uma vida decorosa e pacífica tanto dos habitantes originários como dos adventícios» (João Paulo II, Mensagem para o Dia Mundial da Paz de 2001, 13).

Neste contexto, a presença da Igreja, como povo de Deus a caminho na história no meio de todos os outros povos, é fonte de confiança e esperança. De facto, a Igreja é «em Cristo, é como que o sacramento, ou sinal, e o instrumento da íntima união com Deus e da unidade de todo o género humano» (Conc. Ec. Vat. II, Const. Dog. Lumen gentium,1); e, graças à acção do Espírito Santo nela, «o esforço por estabelecer a universal fraternidade não é vão» (Ibid, Const. Past. Gaudium et spes, 38). De modo particular é a Sagrada Eucaristia que constitui, no coração da Igreja, uma fonte inexaurível de comunhão para toda a humanidade. Graças a ela, o Povo de Deus abraça «todas as nações, tribos, povos e línguas» (Ap 7, 9) não com uma espécie de poder sagrado, mas com o serviço superior da caridade. Com efeito, a prática da caridade, sobretudo em relação aos mais pobres e débeis, é critério que prova a autenticidade das celebrações eucarísticas (cf. João Paulo II, Carta apost. Mane nobiscum Domine, 28).

À luz do tema «Uma só família humana», deve ser considerada especificamente a situação dos refugiados e dos outros migrantes forçados, que são uma parte relevante do fenómeno migratório. Em relação a estas pessoas, que fogem de violências e de perseguições, a Comunidade internacional assumiu compromissos bem determinados. O respeito dos seus direitos, assim como das justas preocupações pela segurança e pela unidade social, favorecem uma convivência estável e harmoniosa.

Também no caso dos migrantes forçados a solidariedade alimenta-se na «reserva» de amor que nasce do considerar-se uma só família humana e, para os fiéis católicos, membros do Corpo Místico de Cristo: somos de facto dependentes uns dos outros, todos responsáveis dos irmãos e das irmãs em humanidade e, para quem crê, na fé. Como já tive a ocasião de dizer, «Acolher os refugiados e dar-lhes hospitalidade é para todos um gesto obrigatório de solidariedade humana, para que eles não se sintam isolados por causa da intolerância e do desinteresse» (Audiência geral de 20 de Junho de 2007: Insegnamenti II, 1 [2007], 1158). Isto significa que todos os que são forçados a deixar as suas casas ou a sua terra serão ajudados a encontrar um lugar no qual viver em paz e em segurança, onde trabalhar e assumir os direitos e deveres existentes no país que os acolhe, contribuindo para o bem comum, sem esquecer a dimensão religiosa da vida.

Por fim, gostaria de dirigir um pensamento particular, sempre acompanhado da oração, aos estudantes estrangeiros e internacionais, que também são uma realidade em crescimento no âmbito do grande fenómeno migratório. Trata-se de uma categoria também socialmente relevante na perspectiva do seu regresso, como futuros dirigentes, aos países de origem. Eles constituem «pontes» culturais e económicas entre estes países e os que os recebem, e tudo isto se orienta para formar «uma só família humana». É esta convicção que deve apoiar o compromisso a favor dos estudantes estrangeiros e acompanhar a atenção pelos seus problemas concretos, como as dificuldades económicas ou o mal-estar de se sentirem sozinhos ao enfrentar um ambiente social e universitário muito diferente, assim como as dificuldades de inserção. A este propósito, apraz-me recordar que « pertencer a uma comunidade universitária significa estar na encruzilhada das culturas que formaram o mundo moderno» (cf. João Paulo II, Aos Bispos dos Estados Unidos das Províncias eclesiásticas de Chicago, Indianapolis e Milwaukee em visita «ad limina», 30 de Maio de 1998, 6: Insegnamenti XXI, 1 [1998], 1116). A cultura das novas gerações forma-se na escola e na universidade: depende em grande medida destas instituições a sua capacidade de olhar para a humanidade como para uma família chamada a estar unida na diversidade.

Queridos irmãos e irmãs, o mundo dos migrantes é vasto e diversificado. Conhece experiências maravilhosas e prometedoras, assim como, infelizmente, muitas outras dramáticas e indignas do homem e de sociedades que se consideram civis. Para a Igreja, esta realidade constitui um sinal eloquente do nosso tempo, que dá mais realce à vocação da humanidade de formar uma só família e, ao mesmo tempo, as dificuldades que, em vez de a unir, a dividem e dilaceram. Não percamos a esperança, e rezemos juntos a Deus, Pai de todos, para que nos ajude a ser, cada um em primeira pessoa, homens e mulheres capazes de estabelecer relações fraternas; e, a nível social, político e institucional, incrementem-se a compreensão e a estima recíproca entre os povos e as culturas. Com estes votos, invocando a intercessão de Maria Santíssima Stella maris, envio de coração a todos a Bênção Apostólica, de modo especial aos migrantes e aos refugiados e a quantos trabalham neste importante âmbito.

Castel Gandolfo, 27 de Setembro de 2010.

BENEDICTUS PP. XVI

[01453-06.01] [Texto original: Italiano]

TRADUZIONE IN LINGUA POLACCA

Drodzy bracia i siostry!

Światowy Dzień Migranta i Uchodźcy jest dla całego Kościoła okazją do refleksji nad tematem związanym z narastającym zjawiskiem migracji, do modlitwy o to, aby serca otwierały się na chrześcijańską gościnność, i do działania, ażeby szerzyły się w świecie sprawiedliwość i miłość, które stoją u podstaw budowania autentycznego i trwałego pokoju. „Tak jak Ja was umiłowałem, żebyście i wy tak się miłowali wzajemnie" (J 13, 34) – brzmi wezwanie, które Pan kieruje do nas z mocą i nieustannie nam powtarza: skoro Ojciec powołuje nas, byśmy byli umiłowanymi dziećmi w Jego wybranym Synu, to wzywa nas także, abyśmy uznali, że wszyscy jesteśmy braćmi w Chrystusie.

Ta głęboka więź łącząca wszystkich ludzi zainspirowała temat do refeleksji, który wybrałem w tym roku: „Jedna rodzina ludzka", jedna rodzina braci i sióstr w społeczeństwach, które stają się coraz bardziej wieloetniczne i wielokulturowe, w których także osoby wyznające różne religie dążą do dialogu, aby możliwe było spokojne i owocne współżycie przy poszanowaniu uprawnionych różnic. Sobór Watykański II stwierdza, że „wszystkie (…) ludy stanowią jedną wspólnotę, mają jeden początek, ponieważ Bóg sprawił, że rodzaj ludzki zamieszkuje całą powierzchnię ziemi (por. Dz 17, 26), mają też jeden ostateczny cel – Boga. Jego opatrzność, świadectwo dobroci i zbawcze plany rozciągają się na wszystkich ludzi" (dekl. Nostra aetate, 1). Tak więc „nie żyjemy obok siebie przez przypadek; wszyscy idziemy tą samą drogą jako ludzie, a zatem jako bracia i siostry" (Orędzie na Światowy Dzień Pokoju 2008 r., n. 6).

Jest to ta sama droga, droga życia, ale sytuacje, które na niej napotykamy, są różne. Wielu ludzi musi decydować się na trudne doświadczenie migracji w jej wielorakich formach: migracji wewnętrznej czy międzynarodowej, stałej lub okresowej, z powodów ekonomicznych bądź politycznych, dobrowolnej czy przymusowej. W wielu przypadkach do wyjazdu z własnego kraju zmuszają różnego rodzaju prześladowania, powodujące że ucieczka staje się koniecznością. Samo zjawisko globalizacji, charakterystyczne dla naszej epoki, nie jest tylko procesem społeczno-ekonomicznym, ale obejmuje także „ludzkość, która staje się coraz bardziej wzajemnie połączona", pokonując granice geograficzne i kulturowe. W związku z tym Kościół nie przestaje przypominać, że głęboki sens tego epokowego procesu i jego podstawowe kryterium etyczne opierają się właśnie na jedności rodziny ludzkiej i na jej rozwoju ku dobru (por. Benedykt XVI, Caritas in veritate, 42). Wszyscy zatem należą do jednej rodziny – zarówno migranci, jak społeczności lokalne, które ich przyjmują – i wszyscy mają takie samo prawo do korzystania z dóbr ziemi, których przeznaczenie jest powszechne, jak uczy nauka społeczna Kościoła. Solidarność i dzielenie sie są oparte na tej wlasnie podstawie.

„W społeczeństwie globalizującym się dobro wspólne i zaangażowanie na jego rzecz nie mogą nie odnosić się do całej rodziny ludzkiej, to znaczy wspólnoty ludów i narodów, aby zaprowadzić jedność i pokój w mieście człowieka, kształtując je w pewnej mierze jako antycypację i zapowiedź miasta Bożego bez barier" (Benedykt XVI, Caritas in veritate, 7). W takiej perspektywie trzeba patrzeć także na rzeczywistość migracji. Jak bowiem stwierdził już sługa Boży Paweł VI, „rozluźnienie braterskich więzi zarówno między ludźmi, jak i między narodami" jest głęboką przyczyną zacofania (enc. Populorum progressio, 66) i – możemy dodać – silnie oddziałuje na zjawisko migracji. Braterstwo ludzi jest doświadczeniem, niekiedy zdumiewającym, jednoczącego związku, silnej więzi z drugim człowiekiem, innym niż ja, opartej na prostym fakcie, że jesteśmy ludźmi. Uznane i przeżywane w sposób odpowiedzialny braterstwo pobudza do życia w jedności i dzielenia się ze wszystkimi, w szczególności z migrantami; jest podstawą oddawania się innym, dla ich dobra, dla dobra wszystkich, we wspólnocie politycznej lokalnej, krajowej i światowej.

Czcigodny Jan Paweł II, w 2001 r. z okazji Światowego Dnia Migranta napisał, że „[powszechne dobro wspólne] ogarnia (…) całą rodzinę narodów, przekraczając granice egoistycznych nacjonalizmów. W tym właśnie kontekście należy rozpatrywać prawo do emigracji. Kościół uznaje, że każdy człowiek posiada to prawo w podwójnym aspekcie: mianowicie ma możność opuścić własny kraj oraz udać się do innego w poszukiwaniu lepszych warunków życia" (Orędzie na Światowy Dzień Migranta 2001 r., 3; por. Jan XXIII, enc. Mater et Magistra, 30; Paweł VI, enc. Octogesima adveniens, 17). Jednocześnie państwa mają prawo regulować napływ migrantów i bronić własnych granic, zawsze gwarantując każdemu człowiekowi szacunek należny jego godności. Ponadto obowiązkiem imigrantów jest integracja w kraju, który ich przyjmuje, szanowanie jego praw i narodowej tożsamości. „Należy zatem łączyć postawę gościnności, jaką wypada okazać wszystkim ludzkim istotom, zwłaszcza ubogim, z właściwą oceną niezbędnych warunków, jakie trzeba zapewnić zarówno rdzennym mieszkańcom kraju, jak i przybyszom, aby mogli żyć godziwie i w pokoju" (Jan Paweł II, Orędzie na Światowy Dzień Pokoju 2001 r., 13).

Obecność Kościoła jako ludu Bożego wędrującego w dziejach pośród wszystkich innych ludów jest w tym kontekście źródłem ufności i nadziei. Kościół jest bowiem „w Chrystusie (…) sakramentem, czyli znakiem i narzędziem wewnętrznego zjednoczenia z Bogiem i jedności całego rodzaju ludzkiego" (Sobór Watykański II, konst. dogm. Lumen gentium, 1), i dzięki działaniu w nim Ducha Świętego „próba stworzenia powszechnego braterstwa nie jest nadaremna" (tenże, konst. duszp. Gaudium et spes, 38). W sposób szczególny to święta Eucharystia stanowi w sercu Kościoła niewyczerpane źródło jedności całej ludzkości. Dzięki niej lud Boży obejmuje „każdy naród i wszystkie pokolenia, ludy i języki" (por. Ap 7, 9) nie czymś w rodzaju świętej władzy, lecz najwyższą posługą miłości. Rzeczywiście miłosierdzie, praktykowane zwłaszcza względem ubogich i słabych, stanowi kryterium autentyczności celebracji eucharystycznych (por. Jan Paweł II, list apostolski, Mane nobiscum Domine, 28).

W świetle hasła „Jedna rodzina ludzka", należy wziąć pod uwagę w szczególności sytuację uchodźców i innych migrantów przymusowych, którzy stanowią pokaźną część zjawiska migracyjnego. Wspólnota międzynarodowa podjęła konkretne zobowiązania względem osób, które uciekają przed przemocą i prześladowaniami. Poszanowanie ich praw, jak również słuszna troska o bezpieczeństwo i spójność społeczną sprzyjają ustabilizowanemu i zgodnemu współżyciu.

Również w przypadku migrantów przymusowych pokarmem dla solidarności są „zasoby" miłości, która rodzi się z uznania, że jesteśmy jedną rodziną ludzką, a w przypadku wiernych katolickich, że jesteśmy członkami mistycznego Ciała Chrystusa. W rzeczywistości wszyscy jesteśmy wzajemnie od siebie uzależnieni, odpowiedzialni za braci i siostry w człowieczeństwie, a w przypadku wierzących – w wierze. Jak już kiedyś mówiłem, „przyjmowanie uchodźców i udzielanie im gościny jest obowiązkiem wszystkich, wynikającym z ludzkiej solidarności, która nakazuje nam zadbać o to, by nie poczuli się odizolowani z powodu nietolerancji i obojętności (audiencja generalna z 20 czerwca 2007 r., w „L'Osservatore Romano", wyd. polskie, n. 7-8/2007, s. 48; Insegnamenti II, 1 (2007), 1158). Oznacza to, że osobom, które zostały zmuszone do opuszczenia swych domów czy swojej ziemi należy pomóc w znalezieniu miejsca, gdzie będą mogły żyć w pokoju i bezpieczeństwie, gdzie będą mogły pracować i przyswoić sobie prawa i obowiązki kraju, który ich gości, wnosząc wkład w dobro wspólne i nie zapominając o religijnym wymiarze życia.

Szczególną refleksję, której towarzyszy również modlitwa, chciałbym na koniec poświęcić studentom zagranicznym i studiującym poza granicami własnego kraju, którzy również stanowią rosnącą liczebnie grupę w ramach wielkiego zjawiska migracji. Ze społecznego punktu widzenia stanowią oni znaczącą kategorię osób ze względu na to, że w przyszłości wrócą do kraju jako liderzy.

Tworzą oni „pomosty" kulturowe i ekonomiczne pomiędzy swoimi ojczyznami i krajami udzielającymi im gościny, a wszystko to zmierza właśnie w kierunku stworzenia „jednej rodziny ludzkiej". To właśnie przekonanie musi umacniać w zaangażowaniu na rzecz studentów zagranicznych i przyświecać uwrażliwianiu na ich konkretne problemy, takie jak ograniczone środki ekonomiczne czy dyskomfort i poczucie samotności w zetknięciu z bardzo odmiennym środowiskiem społecznym i uniwersyteckim, jak również trudności adaptacyjne. Odnośnie do tego chciałbym przypomnieć, że „należeć do wspólnoty uniwersyteckiej oznacza znaleźć się na skrzyżowaniu kultur, które ukształtowały współczesny świat" (Jan Paweł II, przemówienie do biskupów amerykańskich z prowincji kościelnych Chicago, Indianapolis i Milwaukee, przybyłych z wizytą „ad limina", 30 maja 1998 r., 6: Insegnamenti XXI, 1 [1998], 1116). W szkole i na uniwersytecie kształtuje się kultura nowych pokoleń, których zdolność postrzegania ludzkości jako jednej rodziny, powołanej do jedności w różnorodności, zależy w dużej mierze od tych instytucji.

Drodzy bracia i siostry, świat migrantów jest rozległy i zróżnicowany, są w nim doświadczenia wspaniałe i obiecujące, ale niestety także wiele innych, dramatycznych i nie licujących z godnością człowieka i społeczeństw, które uważają się za cywilizowane. Dla Kościoła ta rzeczywistość jest wymownym znakiem naszych czasów, który wyraźniej ukazuje powołanie ludzkości do tworzenia jednej rodziny, a zarazem wskazującym trudności, które zamiast łączyć, dzielą ją i powodują rozłamy. Nie traćmy nadziei i prośmy razem Boga, Ojca wszystkich ludzi, aby nam pomógł - każdemu indywidualnie - stawać się ludźmi zdolnymi do życia w relacjach braterskich oraz by w sferze życia społecznego, politycznego i instytucjonalnego wzrastały zrozumienie i wzajemny szacunek między narodami i kulturami. Z tą nadzieją proszę o wstawiennictwo Najświętszą Maryję Stella maris i udzielam z serca wszystkim Błogosławieństwa Apostolskiego, w szczególności migrantom i uchodźcom oraz wszystkim, którzy zajmują się tą ważną dziedziną.

Castel Gandolfo, 27 września 2010

BENEDICTUS PP. XVI

[01453-09.01] [Testo originale: Italiano]

[B0648-XX.01]