Sala Stampa

www.vatican.va

Sala Stampa Back Top Print Pdf
Sala Stampa


MESSAGGIO DEL SANTO PADRE PER LA XLVII GIORNATA MONDIALE DI PREGHIERA PER LE VOCAZIONI, 16.02.2010


MESSAGGIO DEL SANTO PADRE PER LA XLVII GIORNATA MONDIALE DI PREGHIERA PER LE VOCAZIONI

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE

TRADUZIONE IN LINGUA FRANCESE  

TRADUZIONE IN LINGUA INGLESE 

TRADUZIONE IN LINGUA TEDESCA  

TRADUZIONE IN LINGUA SPAGNOLA  

TRADUZIONE IN LINGUA PORTOGHESE  

TRADUZIONE IN LINGUA POLACCA

Il 25 aprile 2010, IV Domenica di Pasqua, si celebra la 47ma Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni sul tema: "La testimonianza suscita vocazioni".

Pubblichiamo di seguito il Messaggio che il Santo Padre Benedetto XVI invia per l’occasione ai Vescovi, ai sacerdoti ed ai fedeli di tutto il mondo:

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE

Venerati Fratelli nell'Episcopato e nel Sacerdozio,

cari fratelli e sorelle!

La 47a Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni, che si celebrerà la IV domenica di Pasqua - domenica del "Buon Pastore" - il 25 aprile 2010, mi offre l'opportunità di proporre alla vostra riflessione un tema che ben si intona con l'Anno Sacerdotale: La testimonianza suscita vocazioni. La fecondità della proposta vocazionale, infatti, dipende primariamente dall'azione gratuita di Dio, ma, come conferma l'esperienza pastorale, è favorita anche dalla qualità e dalla ricchezza della testimonianza personale e comunitaria di quanti hanno già risposto alla chiamata del Signore nel ministero sacerdotale e nella vita consacrata, poiché la loro testimonianza può suscitare in altri il desiderio di corrispondere, a loro volta, con generosità all'appello di Cristo. Questo tema è dunque strettamente legato alla vita e alla missione dei sacerdoti e dei consacrati. Pertanto, vorrei invitare tutti coloro che il Signore ha chiamato a lavorare nella sua vigna a rinnovare la loro fedele risposta, soprattutto in quest'Anno Sacerdotale, che ho indetto in occasione del 150° anniversario della morte di san Giovanni Maria Vianney, il Curato d'Ars, modello sempre attuale di presbitero e di parroco.

Già nell'Antico Testamento i profeti erano consapevoli di essere chiamati con la loro esistenza a testimoniare ciò che annunciavano, pronti ad affrontare anche l'incomprensione, il rifiuto, la persecuzione. Il compito affidato loro da Dio li coinvolgeva completamente, come un "fuoco ardente" nel cuore, che non si può contenere (cfr Ger 20,9), e perciò erano pronti a consegnare al Signore non solo la voce, ma ogni elemento della loro esistenza. Nella pienezza dei tempi, sarà Gesù, l'inviato del Padre (cfr Gv 5,36), a testimoniare con la sua missione l'amore di Dio verso tutti gli uomini, senza distinzione, con particolare attenzione agli ultimi, ai peccatori, agli emarginati, ai poveri. Egli è il sommo Testimone di Dio e del suo anelito per la salvezza di tutti. All'alba dei tempi nuovi, Giovanni Battista, con una vita interamente spesa per preparare la strada a Cristo, testimonia che nel Figlio di Maria di Nazaret si adempiono le promesse di Dio. Quando lo vede venire al fiume Giordano, dove stava battezzando, lo indica ai suoi discepoli come "l'agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo" (Gv 1,29). La sua testimonianza è tanto feconda, che due dei suoi discepoli "sentendolo parlare così, seguirono Gesù" (Gv 1,37).

Anche la vocazione di Pietro, secondo quanto scrive l'evangelista Giovanni, passa attraverso la testimonianza del fratello Andrea, il quale, dopo aver incontrato il Maestro e aver risposto al suo invito a rimanere con Lui, sente il bisogno di comunicargli subito ciò che ha scoperto nel suo "dimorare" con il Signore: "Abbiamo trovato il Messia - che si traduce Cristo - e lo condusse da Gesù" (Gv 1,41-42). Così avvenne per Natanaele, Bartolomeo, grazie alla testimonianza di un altro discepolo, Filippo, il quale gli comunica con gioia la sua grande scoperta: "Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè, nella Legge, e i Profeti: Gesù, il figlio di Giuseppe, di Nazaret" (Gv 1,45). L'iniziativa libera e gratuita di Dio incontra e interpella la responsabilità umana di quanti accolgono il suo invito a diventare strumenti, con la propria testimonianza, della chiamata divina. Questo accade anche oggi nella Chiesa: Iddio si serve della testimonianza di sacerdoti, fedeli alla loro missione, per suscitare nuove vocazioni sacerdotali e religiose al servizio del Popolo di Dio. Per questa ragione desidero richiamare tre aspetti della vita del presbitero, che mi sembrano essenziali per un'efficace testimonianza sacerdotale.

Elemento fondamentale e riconoscibile di ogni vocazione al sacerdozio e alla consacrazione è l'amicizia con Cristo. Gesù viveva in costante unione con il Padre, ed è questo che suscitava nei discepoli il desiderio di vivere la stessa esperienza, imparando da Lui la comunione e il dialogo incessante con Dio. Se il sacerdote è l` "uomo di Dio", che appartiene a Dio e che aiuta a conoscerlo e ad amarlo, non può non coltivare una profonda intimità con Lui, rimanere nel suo amore, dando spazio all'ascolto della sua Parola. La preghiera è la prima testimonianza che suscita vocazioni. Come l'apostolo Andrea, che comunica al fratello di aver conosciuto il Maestro, ugualmente chi vuol essere discepolo e testimone di Cristo deve averlo "visto" personalmente, deve averlo conosciuto, deve aver imparato ad amarlo e a stare con Lui.

Altro aspetto della consacrazione sacerdotale e della vita religiosa è il dono totale di sé a Dio. Scrive l'apostolo Giovanni: "In questo abbiamo conosciuto l'amore, nel fatto che egli ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli" (1 Gv 3,16). Con queste parole, egli invita i discepoli ad entrare nella stessa logica di Gesù che, in tutta la sua esistenza, ha compiuto la volontà del Padre fino al dono supremo di sé sulla croce. Si manifesta qui la misericordia di Dio in tutta la sua pienezza; amore misericordioso che ha sconfitto le tenebre del male, del peccato e della morte. L'immagine di Gesù che nell'Ultima Cena si alza da tavola, depone le vesti, prende un asciugamano, se lo cinge ai fianchi e si china a lavare i piedi agli Apostoli, esprime il senso del servizio e del dono manifestati nell'intera sua esistenza, in obbedienza alla volontà del Padre (cfr Gv 13,3-15). Alla sequela di Gesù, ogni chiamato alla vita di speciale consacrazione deve sforzarsi di testimoniare il dono totale di sé a Dio. Da qui scaturisce la capacità di darsi poi a coloro che la Provvidenza gli affida nel ministero pastorale, con dedizione piena, continua e fedele, e con la gioia di farsi compagno di viaggio di tanti fratelli, affinché si aprano all'incontro con Cristo e la sua Parola divenga luce per il loro cammino. La storia di ogni vocazione si intreccia quasi sempre con la testimonianza di un sacerdote che vive con gioia il dono di se stesso ai fratelli per il Regno dei Cieli. Questo perché la vicinanza e la parola di un prete sono capaci di far sorgere interrogativi e di condurre a decisioni anche definitive (cfr Giovanni Paolo 11, Esort. ap. post-sinod. Pastores dabo vobis, 39).

Infine, un terzo aspetto che non può non caratterizzare il sacerdote e la persona consacrata è il vivere la comunione. Gesù ha indicato come segno distintivo di chi vuol essere suo discepolo la profonda comunione nell'amore: "Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri" (Gv 13,35). In modo particolare, il sacerdote dev'essere uomo di comunione, aperto a tutti, capace di far camminare unito l'intero gregge che la bontà del Signore gli ha affidato, aiutando a superare divisioni, a ricucire strappi, ad appianare contrasti e incomprensioni, a perdonare le offese. Nel luglio 2005, incontrando il Clero di Aosta, ebbi a dire che se i giovani vedono sacerdoti isolati e tristi, non si sentono certo incoraggiati a seguirne l'esempio. Essi restano dubbiosi se sono condotti a considerare che questo è il futuro di un prete. È importante invece realizzare la comunione di vita, che mostri loro la bellezza dell'essere sacerdote. Allora, il giovane dirà: "questo può essere un futuro anche per me, così si può vivere" (Insegnamenti I, [2005], 354). Il Concilio Vaticano Il, riferendosi alla testimonianza che suscita vocazioni, sottolinea l'esempio di carità e di fraterna collaborazione che devono offrire i sacerdoti (cfr Decreto Optatam totius, 2).

Mi piace ricordare quanto scrisse il mio venerato Predecessore Giovanni Paolo Il: "La vita stessa dei presbiteri, la loro dedizione incondizionata al gregge di Dio, la loro testimonianza di amorevole servizio al Signore e alla sua Chiesa - una testimonianza segnata dalla scelta della croce accolta nella speranza e nella gioia pasquale -, la loro concordia fraterna e il loro zelo per l'evangelizzazione del mondo sono il primo e il più persuasivo fattore di fecondità vocazionale" (Pastores dabo vobis, 41). Si potrebbe dire che le vocazioni sacerdotali nascono dal contatto con i sacerdoti, quasi come un prezioso patrimonio comunicato con la parola, con l'esempio e con l'intera esistenza.

Questo vale anche per la vita consacrata. L'esistenza stessa dei religiosi e delle religiose parla dell'amore di Cristo, quando essi lo seguono in piena fedeltà al Vangelo e con gioia ne assumono i criteri di giudizio e di comportamento. Diventano "segno di contraddizione" per il mondo, la cui logica spesso è ispirata dal materialismo, dall'egoismo e dall'individualismo. La loro fedeltà e la forza della loro testimonianza, poiché si lasciano conquistare da Dio rinunciando a se stessi, continuano a suscitare nell'animo di molti giovani il desiderio di seguire, a loro volta, Cristo per sempre, in modo generoso e totale. Imitare Cristo casto, povero e obbediente, e identificarsi con Lui: ecco l'ideale della vita consacrata, testimonianza del primato assoluto di Dio nella vita e nella storia degli uomini.

Ogni presbitero, ogni consacrato e ogni consacrata, fedeli alla loro vocazione, trasmettono la gioia di servire Cristo, e invitano tutti i cristiani a rispondere all'universale chiamata alla santità. Pertanto, per promuovere le vocazioni specifiche al ministero sacerdotale ed alla vita consacrata, per rendere più forte e incisivo l'annuncio vocazionale, è indispensabile l'esempio di quanti hanno già detto il proprio "si" a Dio e al progetto di vita che Egli ha su ciascuno. La testimonianza personale, fatta di scelte esistenziali e concrete, incoraggerà i giovani a prendere decisioni impegnative, a loro volta, che investono il proprio futuro. Per aiutarli è necessaria quell'arte dell'incontro e del dialogo capace di illuminarli e accompagnarli, attraverso soprattutto quell'esemplarità dell'esistenza vissuta come vocazione. Così ha fatto il Santo Curato d'Ars, il quale, sempre a contatto con i suoi parrocchiani, "insegnava soprattutto con la testimonianza di vita. Dal suo esempio, i fedeli imparavano a pregare" (Lettera per l'Indizione dell'Anno Sacerdotale, 16 giugno 2009).

Possa ancora una volta questa Giornata Mondiale offrire una preziosa occasione a molti giovani per riflettere sulla propria vocazione, aderendovi con semplicità, fiducia e piena disponibilità. La Vergine Maria, Madre della Chiesa, custodisca ogni più piccolo germe di vocazione nel cuore di coloro che il Signore chiama a seguirlo più da vicino; faccia sì che diventi albero rigoglioso, carico di frutti per il bene della Chiesa e dell'intera umanità. Per questo prego, mentre imparto a tutti la Benedizione Apostolica.

Dal Vaticano, 13 novembre 2009

BENEDICTUS PP. XVI

[00227-01.01] [Testo originale: Italiano]

TRADUZIONE IN LINGUA FRANCESE

Vénérables Frères dans l’Épiscopat

et dans le Sacerdoce, chers frères et sœurs!

La 47ème Journée Mondiale de Prière pour les Vocations que nous célébrerons le 4ème dimanche de Pâques – dimanche du «Bon Pasteur» – le 25 avril 2010, me donne l’occasion de proposer à votre méditation un thème qui est bien en harmonie avec l’Année Sacerdotale: Le témoignage suscite des vocations. En effet, la fécondité de la proposition vocationnelle dépend avant tout de l’action gratuite de Dieu; mais, comme le confirme l’expérience pastorale, elle est aussi favorisée par la qualité et par la richesse du témoignage personnel et communautaire de ceux qui ont déjà répondu à l’appel du Seigneur dans le ministère sacerdotal et dans la vie consacrée: leur témoignage peut susciter chez d’autres le désir de répondre à leur tour, avec générosité, à l’appel du Christ. Ce thème est donc étroitement lié à la vie et à la mission des prêtres et des personnes consacrées. C’est la raison pour laquelle je voudrais inviter tous ceux que le Seigneur a appelés à travailler dans sa vigne, à renouveler la fidélité de leur réponse, surtout en cette Année Sacerdotale ouverte à l’occasion du 150ème anniversaire de la mort du saint Curé d’Ars, Jean-Marie Vianney, exemple toujours actuel de prêtre et de curé.

Déjà dans l’Ancien Testament, les prophètes savaient qu’ils étaient appelés à témoigner par leur existence de ce qu’ils annonçaient, et ils étaient prêts à affronter même l’incompréhension, le rejet, la persécution. La mission que Dieu leur confiait les impliquait complètement, ils avaient au cœur comme un «feu dévorant» qu’on ne peut contenir (cf. Jr 20,9) et ils étaient prêts à mettre au service du Seigneur non seulement leur voix, mais aussi tous les aspects de leur existence. Dans la plénitude des temps, il appartiendra à Jésus, l’envoyé du Père (cf. Jn 5,36), de témoigner, par sa mission, de l’amour de Dieu à l’égard de tous les hommes sans distinction, avec une particulière attention aux plus petits, aux pécheurs, aux marginaux, aux pauvres. Il est, par excellence, le Témoin de Dieu et de sa volonté que tous soient sauvés. à l’aube des temps nouveaux, Jean-Baptiste, par sa vie entièrement consacrée à préparer les voies du Christ, témoigne que les promesses de Dieu s’accomplissent dans le Fils de Marie de Nazareth. Quand il le voit venir au Jourdain, où il baptisait, il le désigne à ses disciples comme «l’Agneau de Dieu, celui qui enlève le péché du monde» (Jn 1, 29). Son témoignage est si fécond, que deux de ses disciples «en l’entendant parler ainsi, suivirent Jésus» (Jn 1, 37).

De même, la vocation de Pierre, selon ce qu’écrit l’évangéliste Jean, passe par le témoignage de son frère André qui, après avoir rencontré le Maître et répondu à son invitation à rester avec lui, éprouve le besoin de lui faire part immédiatement de ce qu’il a découvert en «demeurant» avec le Seigneur: «Nous avons trouvé le Messie – autrement dit le Christ – et il l’amena à Jésus» (Jn 1, 41-42). C’est ce qui est arrivé aussi à Nathanaël, Barthélémy, grâce au témoignage d’un autre disciple, Philippe, qui lui communique avec joie sa grande découverte: «Celui dont parlent la loi de Moïse et les Prophètes, nous l’avons trouvé: c’est Jésus fils de Joseph, de Nazareth» (Jn 1, 45). L’initiative libre et gratuite de Dieu rencontre et interpelle la responsabilité humaine de ceux qui accueillent son invitation à devenir, par leur propre témoignage, des instruments de l’appel divin. Ceci arrive encore aujourd’hui dans l’Église: Dieu se sert du témoignage des prêtres qui sont fidèles à leur mission pour susciter de nouvelles vocations sacerdotales et religieuses au service du peuple de Dieu. C’est la raison pour laquelle je désire rappeler trois aspects de la vie du prêtre, qui me paraissent essentiels pour un témoignage sacerdotal efficace.

L’amitié avec le Christ est un élément fondamental et reconnaissable de toute vocation au sacerdoce et à la consécration. Jésus vivait en constante union avec son Père, ce qui suscitait chez les disciples le désir de vivre la même expérience, en apprenant de Lui la communion et le dialogue incessant avec Dieu. Si le prêtre est l’«homme de Dieu», qui appartient à Dieu et qui aide à le connaître et à l’aimer, il ne peut pas ne pas cultiver une profonde intimité avec Lui, demeurer dans son amour, en faisant place à l’écoute de sa Parole. La prière est le premier témoignage qui suscite des vocations. De même que l’apôtre André annonce à son frère qu’il a rencontré le Maître, celui qui veut être disciple et témoin du Christ doit l’avoir «vu» personnellement, doit l’avoir connu, doit avoir appris à l’aimer et à demeurer avec Lui.

Le don total de soi à Dieu est un autre aspect de la consécration sacerdotale et de la vie consacrée. L’apôtre Jean écrit: «Voici à quoi nous avons reconnu l’amour: lui, Jésus, a donné sa vie pour nous. Nous aussi, nous devons donner notre vie pour nos frères» (1 Jn 3, 16). Par ces mots, il invite les disciples à entrer dans la logique même de Jésus qui, dans toute son existence, a accompli la volonté du Père jusqu’au don suprême sur la croix. La miséricorde de Dieu se manifeste là dans toute sa plénitude: amour miséricordieux qui a vaincu les ténèbres du mal, du péché et de la mort. Le geste de Jésus qui, à la Dernière Cène, se lève de table, dépose ses vêtements, prend un linge dont il se ceint, et se penche pour laver les pieds des Apôtres, exprime le sens du service et du don manifestés dans son existence tout entière, en obéissance à la volonté du Père (cf. Jn 13, 3-15). à la suite de Jésus, toute personne appelée à vivre une consécration spéciale doit s’efforcer de témoigner de ce don total de soi à Dieu. C’est de cela que naît la capacité de se donner ensuite à ceux que la Providence lui confie dans le ministère pastoral, avec un dévouement complet, permanent et fidèle, dans la joie de se faire compagnon de voyage de tant de frères, pour qu’ils s’ouvrent à la rencontre avec le Christ et que sa Parole devienne lumière sur leur route. L’histoire de chaque vocation est presque toujours liée au témoignage d’un prêtre qui vit avec joie le don de lui-même à ses frères pour le Royaume des cieux. Ceci parce que le voisinage et la parole d’un prêtre sont capables de faire surgir des interrogations et de conduire à des décisions, même définitives (cf. Jean-Paul II, Exhort. ap. post-synod. Pastores dabo vobis, n. 39).

Enfin, vivre la communion est un troisième aspect qui ne peut pas ne pas caractériser le prêtre et la personne consacrée. Jésus a indiqué la profonde communion dans l’amour comme signe distinctif de celui qui veut être son disciple: «Ce qui montrera à tous les hommes que vous êtes mes disciples: c’est l’amour que vous aurez les uns pour les autres» (Jn 13, 35). De façon particulière, le prêtre doit être un homme de communion, ouvert à tous, capable de faire marcher dans l’unité tout le troupeau que la bonté du Seigneur lui a confié, en l’aidant à dépasser les divisions, à recoudre les déchirures, à aplanir les oppositions et les incompréhensions, à pardonner les offenses. Lorsque j’ai rencontré le Clergé d’Aoste en juillet 2005, j’ai dit que si les jeunes voient des prêtres isolés et tristes, ils ne se sentent certainement pas encouragés à suivre leur exemple. Ils restent perplexes s’ils sont amenés à penser que tel est l’avenir du prêtre. Il est au contraire important de réaliser la communion de vie qui leur révèle la beauté du sacerdoce. Alors le jeune dira: «Cela peut être un avenir également pour moi, on peut vivre ainsi» (Insegnamenti I, [2005], 354). à propos du témoignage qui suscite des vocations, le Concile Vatican II souligne l’exemple de charité et de collaboration fraternelle que doivent offrir les prêtres (cf. Décret Optatam totius, n. 2).

Je rappelle volontiers ce qu’a écrit mon vénéré Prédécesseur Jean-Paul II: «La vie des prêtres, leur dévouement absolu au peuple de Dieu, leur témoignage de service d'amour pour le Seigneur et son Église – un témoignage marqué du signe de la croix, acceptée dans l'espérance et la joie pascale –, leur concorde fraternelle et leur zèle pour l'évangélisation du monde sont les premiers et les plus convaincants des facteurs de la fécondité des vocations» (Pastores dabo vobis, 41). On pourrait dire que les vocations sacerdotales naissent du contact avec les prêtres, à la manière d’un précieux patrimoine qui est transmis par la parole, l’exemple et toute l’existence.

Ceci vaut également pour la vie consacrée. L’être même des religieux et des religieuses parle de l’amour du Christ quand ils le suivent en pleine fidélité à l’Évangile et en assument avec joie les critères de jugement et de comportement. Ils deviennent «signe de contradiction» pour le monde, dont la logique est souvent inspirée par le matérialisme, l’égoïsme et l’individualisme. Parce qu’ils se laissent conquérir par Dieu en renonçant à eux-mêmes, leur fidélité et la force de leur témoignage continuent de susciter dans le cœur de tant de jeunes le désir de suivre le Christ à leur tour et pour toujours, de façon généreuse et absolue. Imiter le Christ chaste, pauvre et obéissant, et s’identifier à Lui: tel est l’idéal de la vie consacrée, témoignage du primat absolu de Dieu dans la vie et l’histoire des hommes.

Tout prêtre, tout consacré, toute consacrée qui est fidèle à sa vocation communique la joie de servir le Christ et invite les chrétiens à répondre à l’appel universel à la sainteté. Par conséquent, l’exemple de ceux qui ont déjà dit leur «oui» à Dieu et au projet de vie qu’Il a sur chacun, est indispensable pour promouvoir les vocations spécifiques au ministère sacerdotal et à la vie consacrée, pour rendre plus fort et plus incisif l’appel vocationnel. Le témoignage personnel, fait de choix existentiels et concrets, encouragera les jeunes à prendre, à leur tour, des décisions exigeantes qui engagent leur avenir. Pour les aider, il faut cet art de la rencontre et du dialogue capable de les éclairer et de les accompagner, grâce surtout à l’exemplarité d’une existence vécue comme une vocation. C’est ce qu’a fait le Saint Curé d’Ars: en contact permanent avec ses paroissiens, il «enseignait surtout par le témoignage de sa vie. A son exemple, les fidèles apprenaient à prier» (Lettre pour l’Indiction de l’Année Sacerdotale, 16 juin 2009).

Que cette Journée Mondiale puisse offrir encore une fois une précieuse occasion à beaucoup de jeunes pour réfléchir sur leur propre vocation, en y adhérant avec simplicité, confiance et pleine disponibilité! Que la Vierge Marie, Mère de l’Église, protège tout germe de vocation, si petit soit-il, dans le cœur de ceux que le Seigneur appelle à le suivre de plus près; qu’elle fasse en sorte qu’il devienne un arbre robuste, chargé de fruits pour le bien de l’Église et de l’humanité tout entière! Je prie pour cela et j’accorde à tous la Bénédiction Apostolique.

Du Vatican, le 13 novembre 2009

BENEDICTUS PP.XVI

[00227-03.01] [Texte original: Italien]

TRADUZIONE IN LINGUA INGLESE

Dear Brothers in the Episcopate and in the Priesthood,

Dear Brothers and Sisters!

The 47th World Day of Prayer for Vocations, to be celebrated on the Fourth Sunday of Easter – Good Shepherd Sunday – 25 April 2010, gives me the opportunity to offer for your meditation a theme which is most fitting for this Year for Priests: Witness Awakens Vocations. The fruitfulness of our efforts to promote vocations depends primarily on God’s free action, yet, as pastoral experience confirms, it is also helped by the quality and depth of the personal and communal witness of those who have already answered the Lord’s call to the ministerial priesthood and to the consecrated life, for their witness is then able to awaken in others a desire to respond generously to Christ’s call. This theme is thus closely linked to the life and mission of priests and of consecrated persons. Hence I wish to invite all those whom the Lord has called to work in his vineyard to renew their faithful response, particularly in this Year for Priests which I proclaimed on the 150th anniversary of the death of Saint John Mary Vianney, the Curé of Ars, an ever-timely model of a priest and a pastor.

In the Old Testament the prophets knew that they were called to witness by their own lives to the message they proclaimed, and were prepared to face misunderstanding, rejection and persecution. The task which God entrusted to them engaged them fully, like a "burning fire" in the heart, a fire that could not be contained (cf. Jer 20:9). As a result, they were prepared to hand over to the Lord not only their voice, but their whole existence. In the fullness of time, Jesus, sent by the Father (cf. Jn 5:36), would bear witness to the love of God for all human beings, without distinction, with particular attention to the least ones, sinners, the outcast and the poor. Jesus is the supreme Witness to God and to his concern for the salvation of all. At the dawn of the new age, John the Baptist, by devoting his whole life to preparing the way for Christ, bore witness that the promises of God are fulfilled in the Son of Mary of Nazareth. When John saw Jesus coming to the river Jordan where he was baptizing, he pointed him out to his disciples as "the lamb of God, who takes away the sin of the world" (Jn 1:29). His testimony was so effective that two of his disciples, "hearing him say this, followed Jesus" (Jn 1:37).

Similarly the calling of Peter, as we read in the Evangelist John, occurred through the witness of his brother Andrew, who, after meeting the Master and accepting his invitation to stay with him, felt the need to share immediately with Peter what he discovered by "staying" with the Lord: "We have found the Messiah (which means Christ). He then brought him to Jesus" (Jn 1:41-42). This was also the case for Nathanael, Bartholomew, thanks to the witness of yet another disciple, Philip, who joyfully told him of his great discovery: "We have found him of whom Moses in the law and also the prophets wrote, Jesus of Nazareth, the son of Joseph" (Jn 1:45). God’s free and gracious initiative encounters and challenges the human responsibility of all those who accept his invitation to become, through their own witness, the instruments of his divine call. This occurs in the Church even today: the Lord makes use of the witness of priests who are faithful to their mission in order to awaken new priestly and religious vocations for the service of the People of God. For this reason, I would like to mention three aspects of the life of a priest which I consider essential for an effective priestly witness.

A fundamental element, one which can be seen in every vocation to the priesthood and the consecrated life, is friendship with Christ. Jesus lived in constant union with the Father and this is what made the disciples eager to have the same experience; from him they learned to live in communion and unceasing dialogue with God. If the priest is a "man of God", one who belongs to God and helps others to know and love him, he cannot fail to cultivate a deep intimacy with God, abiding in his love and making space to hear his Word. Prayer is the first form of witness which awakens vocations. Like the Apostle Andrew, who tells his brother that he has come to know the Master, so too anyone who wants to be a disciple and witness of Christ must have "seen" him personally, come to know him, and learned to love him and to abide with him.

Another aspect of the consecration belonging to the priesthood and the religious life is the complete gift of oneself to God. The Apostle John writes: "By this we know love, that he laid down his life for us; and therefore we ought to lay down our lives for the brethren" (1 Jn 3:16). With these words, he invites the disciples to enter into the very mind of Jesus who in his entire life did the will of the Father, even to the ultimate gift of himself on the Cross. Here, the mercy of God is shown in all its fullness; a merciful love that has overcome the darkness of evil, sin and death. The figure of Jesus who at the Last Supper, rises from the table, lays aside his garments, takes a towel, girds himself with it and stoops to wash the feet of the Apostles, expresses the sense of service and gift manifested in his entire existence, in obedience to the will of the Father (cf. Jn 13:3-15). In following Jesus, everyone called to a life of special consecration must do his utmost to testify that he has given himself completely to God. This is the source of his ability to give himself in turn to those whom Providence entrusts to him in his pastoral ministry with complete, constant and faithful devotion, and with the joy of becoming a companion on the journey to so many brothers and sisters, enabling them too to become open to meeting Christ, so that his Word may become a light to their footsteps. The story of every vocation is almost always intertwined with the testimony of a priest who joyfully lives the gift of himself to his brothers and sisters for the sake of the Kingdom of God. This is because the presence and words of a priest have the ability to raise questions and to lead even to definitive decisions (cf. John Paul II, Post-Synodal Apostolic Exhortation Pastores Dabo Vobis, 39).

A third aspect which necessarily characterizes the priest and the consecrated person is a life of communion. Jesus showed that the mark of those who wish to be his disciples is profound communion in love: "By this all men will know that you are my disciples, if you have love for one another" (Jn 13:35). In a particular way the priest must be a man of communion, open to all, capable of gathering into one the pilgrim flock which the goodness of the Lord has entrusted to him, helping to overcome divisions, to heal rifts, to settle conflicts and misunderstandings, and to forgive offences. In July 2005, speaking to the clergy of Aosta, I noted that if young people see priests who appear distant and sad, they will hardly feel encouraged to follow their example. They will remain hesitant if they are led to think that this is the life of a priest. Instead, they need to see the example of a communion of life which can reveal to them the beauty of being a priest. Only then will a young man say, "Yes, this could be my future; I can live like this" (Insegnamenti I, [2005], 354). The Second Vatican Council, in speaking of the witness that awakens vocations, emphasizes the example of charity and of fraternal cooperation which priests must offer (cf. Decree Optatam Totius, 2).

Here I would like to recall the words of my venerable Predecessor John Paul II: "The very life of priests, their unconditional dedication to God’s flock, their witness of loving service to the Lord and to his Church – a witness marked by free acceptance of the Cross in the spirit of hope and Easter joy – their fraternal unity and zeal for the evangelization of the world are the first and most convincing factor in the growth of vocations" (Pastores Dabo Vobis, 41). It can be said that priestly vocations are born of contact with priests, as a sort of precious legacy handed down by word, example and a whole way of life.

The same can be said with regard to the consecrated life. The very life of men and women religious proclaims the love of Christ whenever they follow him in complete fidelity to the Gospel and joyfully make their own its criteria for judgement and conduct. They become "signs of contradiction" for the world, whose thinking is often inspired by materialism, self-centredness and individualism. By letting themselves be won over by God through self-renunciation, their fidelity and the power of their witness constantly awaken in the hearts of many young people the desire to follow Christ in their turn, in a way that is generous and complete. To imitate Christ, chaste, poor and obedient, and to identify with him: this is the ideal of the consecrated life, a witness to the absolute primacy of God in human life and history.

Every priest, every consecrated person, faithful to his or her vocation, radiates the joy of serving Christ and draws all Christians to respond to the universal call to holiness. Consequently, in order to foster vocations to the ministerial priesthood and the consecrated life, and to be more effective in promoting the discernment of vocations, we cannot do without the example of those who have already said "yes" to God and to his plan for the life of each individual. Personal witness, in the form of concrete existential choices, will encourage young people for their part to make demanding decisions affecting their future. Those who would assist them need to have the skills for encounter and dialogue which are capable of enlightening and accompanying them, above all through the example of life lived as a vocation. This was what the holy Curé of Ars did: always in close contact with his parishioners, he taught them "primarily by the witness of his life. It was from his example that the faithful learned to pray" (Letter Proclaiming the Year for Priests, 16 June 2009).

May this World Day once again offer many young people a precious opportunity to reflect on their own vocation and to be faithful to it in simplicity, trust and complete openness. May the Virgin Mary, Mother of the Church, watch over each tiny seed of a vocation in the hearts of those whom the Lord calls to follow him more closely, may she help it to grow into a mature tree, bearing much good fruit for the Church and for all humanity. With this prayer, to all of you I impart my Apostolic Blessing.

From the Vatican, 13 November 2009

BENEDICTUS PP. XVI

[00227-02.01] [Original text: Italian]

TRADUZIONE IN LINGUA TEDESCA

Verehrte Mitbrüder im Bischofs- und im Priesteramt,

liebe Brüder und Schwestern!

Der 47. Weltgebetstag um geistliche Berufungen, der am 25. April 2010, dem 4. Sonntag der Osterzeit – dem Sonntag des „Guten Hirten" – gefeiert wird, gibt mir Gelegenheit, ein Thema zum Nachdenken zu unterbreiten, das sich gut in das Priesterjahr einfügt: Das Zeugnis weckt Berufungen. Ob Bemühungen in der Berufungspastoral Früchte zeitigen, hängt in der Tat zuallererst von Gottes gnädigem Handeln ab. Die pastorale Erfahrung zeigt jedoch, daß auch die Qualität und der Reichtum des persönlichen und des gemeinschaftlichen Zeugnisses derer, die im Priesteramt und im geweihten Leben bereits auf den Ruf des Herrn geantwortet haben, zur Fruchtbarkeit beitragen; denn ihr Zeugnis kann in anderen den Wunsch wecken, ebenso großherzig dem Ruf Christi zu entsprechen. Es besteht also ein enger Zusammenhang mit dem Leben und der Sendung der Priester und gottgeweihten Männer und Frauen. Ich möchte daher alle einladen, die der Herr zur Arbeit in seinen Weinberg gerufen hat, gerade jetzt im Priesterjahr, das ich anläßlich des 150. Todestages des heiligen Johannes Maria Vianney ausgerufen habe, ihre Antwort in Treue zu erneuern. Der Pfarrer von Ars ist ein stets zeitgemäßes Vorbild für alle Priester und Pfarrer.

Schon im Alten Testament waren sich die Propheten bewußt, daß sie dazu berufen sind, mit ihrem Leben zu bezeugen, was sie verkündigen, und dafür auch Unverständnis, Ablehnung und Verfolgung zu ertragen. Die ihnen von Gott anvertraute Aufgabe nahm ihre ganze Existenz in Anspruch wie ein „brennendes Feuer" im Herzen, das man nicht zu löschen vermag (vgl. Jer 20,9). So waren sie bereit, dem Herrn nicht nur ihre Stimme zu schenken, sondern alles, was zu ihrem Leben gehörte.

In der Fülle der Zeit bezeugt Jesus, der Gesandte des Vaters (vgl. Joh 5,36), durch seine Sendung die Liebe Gottes zu allen Menschen, ohne Unterschied und mit besonderer Sorge um die Letzten, die Sünder, die Ausgegrenzten, die Armen. Er ist der erhabenste Zeuge für Gott und seinen Willen, alle Menschen zu retten. Beim Anbruch dieser neuen Zeit bezeugt Johannes der Täufer durch ein Leben, das ganz darauf ausgerichtet ist, Christus den Weg zu bereiten, daß sich im Sohn Marias von Nazaret Gottes Verheißung erfüllt. Als er ihn zum Jordan kommen sieht, wo er taufte, verweist er seine Jünger auf ihn als „das Lamm Gottes, das die Sünde der Welt hinwegnimmt" (Joh 1,29). Sein Zeugnis trägt reiche Frucht: Zwei seiner Jünger „hörten, was er sagte, und folgten Jesus" (Joh 1,37).

Auch die Berufung des Petrus nimmt gemäß der Schilderung des Evangelisten Johannes ihren Weg über das Zeugnis seines Bruders Andreas. Nachdem dieser dem Meister begegnet und seiner Einladung, bei ihm zu bleiben, gefolgt ist, verspürt er das Bedürfnis, sofort seinem Bruder mitzuteilen, was er entdeckt hatte, als er beim Herrn „geblieben ist": „Wir haben den Messias gefunden. Messias heißt übersetzt: der Gesalbte (Christus). Und er führte ihn zu Jesus" (Joh 1,41-42). Ebenso verhielt es sich mit Natanaël – Bartholomäus – dank des Zeugnisses eines anderen Jüngers, Philippus, der ihm freudig seine große Entdeckung mitteilte: „Wir haben den gefunden, über den Mose im Gesetz und auch die Propheten geschrieben haben: Jesus aus Nazaret, den Sohn Josefs" (Joh 1,45). Die völlig freie Initiative Gottes trifft auf die Verantwortung der Menschen und bewirkt, daß jene, die seine Einladung annehmen, durch ihr Zeugnis wiederum zu Werkzeugen des göttlichen Rufs werden. Das geschieht auch heute in der Kirche: Gott bedient sich des Zeugnisses der Priester, die ihrer Sendung treu sind, um neue Berufungen zum Priestertum und zum geweihten Leben im Dienst des Gottesvolkes zu wecken. Aus diesem Grund möchte ich drei Aspekte des priesterlichen Lebens ins Gedächtnis rufen, die mir für ein wirksames Zeugnis des Priesters wesentlich erscheinen.

Das grundlegende und charakteristische Element jeder Berufung zum Priestertum und zum geweihten Leben ist die Freundschaft mit Christus. Jesus lebte in ständiger Einheit mit dem Vater. Das weckte auch in den Jüngern den Wunsch, dieselbe Erfahrung machen zu dürfen und von ihm zu lernen, in ständiger Gemeinschaft und in immerwährendem Dialog mit Gott zu leben. Wenn der Priester ein „Mann Gottes" ist, der Gott gehört und der anderen hilft, Gott kennen und lieben zu lernen, muß er eine tiefe Verbindung mit Gott pflegen, in seiner Liebe verweilen und dem Hören auf sein Wort Raum geben. Das Gebet ist das wichtigste Zeugnis, das Berufungen weckt. Ebenso wie der Apostel Andreas, der seinem Bruder mitteilt, daß er den Meister kennengelernt hat, muß derjenige, der Jünger und Zeuge Christi sein will, ihn persönlich „gesehen" und kennengelernt haben; er muß gelernt haben, ihn zu lieben und bei ihm zu sein.

Ein weiterer Aspekt des Weihepriestertums und des geweihten Lebens ist die vollständige Hingabe seiner selbst an Gott. Der Apostel Johannes schreibt: „Daran haben wir die Liebe erkannt, daß er sein Leben für uns hingegeben hat. So müssen auch wir für die Brüder das Leben hingeben" (1 Joh 3,16). Mit diesen Worten lädt er die Jünger ein, in die Logik Jesu einzutreten, der in seinem ganzen Leben den Willen des Vaters bis zur äußersten Selbsthingabe am Kreuz erfüllt hat. Hier offenbart sich die Barmherzigkeit Gottes in ihrer ganzen Fülle: barmherzige Liebe, die die Finsternis des Bösen, der Sünde und des Todes überwunden hat. Das Bild, wie Jesus beim Letzten Abendmahl vom Tisch aufsteht, sein Gewand ablegt, sich mit einem Leinentuch umgürtet und sich niederbeugt, um den Aposteln die Füße zu waschen, bringt den Dienst und die Hingabe zum Ausdruck, die er sein ganzes Leben hindurch im Gehorsam gegenüber dem Willen des Vaters gezeigt hat (vgl. Joh 13,3-15). In der Nachfolge Jesu muß jeder, der zu einem Leben besonderer Weihe berufen ist, sich bemühen, Zeuge für die völlige Selbsthingabe an Gott zu werden. Von da kommt die Fähigkeit, sich in voller, beständiger und treuer Hingabe für jene einzusetzen, die die Vorsehung ihrem Hirtendienst anvertraut hat, und mit Freude Wegbegleiter vieler Brüder und Schwestern zu werden, damit sie sich für die Begegnung mit Christus öffnen und sein Wort zum Licht auf ihrem Weg wird. Die Geschichte einer jeden Berufung ist fast immer mit dem Zeugnis eines Priesters verbunden, der mit Freude seine Selbsthingabe an die Brüder und Schwestern um des Himmelreiches willen lebt. Die Nähe und das Wort eines Priesters können nämlich Fragen aufkommen lassen und auch endgültige Entscheidungen herbeiführen (vgl. Johannes Paul II., Nachsynodales Apostolisches Schreiben Pastores dabo vobis, 39).

Ein dritter Aspekt, der Priester und gottgeweihte Männer und Frauen unbedingt auszeichnen sollte, ist schließlich das Leben in Gemeinschaft. Jesus hat die tiefe Gemeinschaft in der Liebe zum Merkmal derer erklärt, die seine Jünger sein wollen: „Daran werden alle erkennen, daß ihr meine Jünger seid: wenn ihr einander liebt" (Joh 13,35). Insbesondere der Priester muß ein Gemeinschaftsmensch sein, der allen Menschen gegenüber offen ist und die ganze Herde, die ihm der Herr in seiner Güte anvertraut hat, auf dem Weg zusammenhalten kann. Er muß helfen, Spaltungen zu überwinden, Risse zu heilen, Unverständnis und Gegensätze auszugleichen, Kränkungen zu vergeben. Bei meiner Begegnung mit dem Klerus von Aosta im Juli 2005 habe ich gesagt, daß die Jugendlichen, wenn sie isolierte und traurige Priester sehen, bestimmt nicht dazu ermutigt werden, diesem Beispiel zu folgen. Sie werden unsicher, wenn sie den Eindruck bekommen, daß dies die Zukunft eines Priesters ist. Daher ist es wichtig, ein Leben in Gemeinschaft zu führen, das ihnen zeigt, wie schön es ist, Priester zu sein. Dann wird der Jugendliche sagen: „Das kann auch für mich eine Zukunft sein, so kann man leben" (Ansprache in der Pfarrkirche von Introd/Aostatal, 25. Juli 2005). Das Zweite Vatikanische Konzil hebt in bezug auf das Zeugnis, das Berufungen weckt, das Beispiel der Liebe und der brüderlichen Gemeinschaft in der Arbeit hervor, das die Priester geben müssen (vgl. Dekret Optatam totius, 2).

Ich möchte in Erinnerung rufen, was mein verehrter Vorgänger Johannes Paul II. schrieb: „Das Leben der Priester, ihre bedingungslose Hingabe an Gottes Herde, ihr Zeugnis des liebevollen Dienstes für den Herrn und seine Kirche – ein Zeugnis, das gekennzeichnet ist von der Annahme des in der Hoffnung und österlichen Freude getragenen Kreuzes –, ihre brüderliche Eintracht und ihr Eifer für die Evangelisierung der Welt sind der wichtigste und überzeugendste Faktor für die Fruchtbarkeit ihrer Berufung" (Pastores dabo vobis, 41). Man könnte sagen, daß Berufungen zum Priestertum aus dem Kontakt mit Priestern geboren werden, gleichsam wie ein kostbares Erbe, das durch das Wort, durch das Beispiel und durch das ganze Leben weitergegeben wird.

Das gilt auch für das geweihte Leben. Die Existenz der gottgeweihten Männer und Frauen selbst spricht von der Liebe Christi, wenn sie ihm in völliger Treue zum Evangelium nachfolgen und sich seine Urteils- und Verhaltenskriterien in Freude zu eigen machen. Sie werden zum „Zeichen des Widerspruchs" für die Welt, deren Logik oft vom Materialismus, vom Egoismus und vom Individualismus geprägt ist. Wenn sie sich von Gott ergreifen lassen und sich selbst zurücknehmen, wecken ihre Treue und die Kraft ihres Zeugnisses auch weiterhin im Herzen vieler Jugendlicher den Wunsch, ihrerseits Christus für immer und mit großherziger Ganzhingabe zu folgen. Den keuschen, armen und gehorsamen Christus nachzuahmen und sich mit ihm zu identifizieren – das ist das Ideal des geweihten Lebens, ein Zeugnis für den absoluten Primat Gottes im Leben und in der Geschichte der Menschen.

Jeder Priester und alle gottgeweihten Männer und Frauen, die ihrer Berufung treu sind, geben diese Freude, Christus zu dienen, an andere weiter und laden alle Christen ein, auf die allgemeine Berufung zur Heiligkeit zu antworten. Um die besonderen Berufungen zum Priesteramt und zum geweihten Leben zu fördern und die Berufungspastoral stärker und nachhaltiger zu machen, ist daher das Vorbild jener unverzichtbar, die bereits „ja" gesagt haben zu Gott und zu dem Plan, den er für jeden Menschen hat. Das persönliche Zeugnis, das aus konkreten Lebensentscheidungen besteht, wird die Jugendlichen ermutigen, ihrerseits anspruchsvolle Entscheidungen über die eigene Zukunft zu treffen. Um ihnen zu helfen, ist jene Kunst der Begegnung und des Dialogs notwendig, die in der Lage ist, sie zu erleuchten und zu begleiten, vor allem durch das Beispiel der als Berufung gelebten Existenz. So hat es der Pfarrer von Ars gemacht: Stets in Kontakt mit den Angehörigen seiner Pfarrgemeinde lehrte er „vor allem mit dem Zeugnis seines Lebens. Durch sein Vorbild lernten die Gläubigen zu beten" (Schreiben zum Beginn des Priesterjahres, 16. Juni 2009).

Möge dieser Weltgebetstag vielen Jugendlichen erneut eine wertvolle Gelegenheit bieten, über die eigene Berufung nachzudenken und sie mit Einfachheit, Treue und völliger Bereitschaft anzunehmen. Die Jungfrau Maria, die Mutter der Kirche, bewahre im Herzen aller, die der Herr in seine besondere Nachfolge ruft, jeden noch so kleinen Keim der Berufung und lasse ihn zu einem kräftigen Baum werden, reich an Früchten zum Wohl der Kirche und der gesamten Menschheit. Dafür bete ich und erteile allen den Apostolischen Segen.

Aus dem Vatikan, am 13. November 2009

BENEDICTUS PP. XVI

[00227-05.01] [Originalsprache: Italienisch]

TRADUZIONE IN LINGUA SPAGNOLA

Venerados Hermanos en el Episcopado y en el Sacerdocio

Queridos hermanos y hermanas

La 47 Jornada Mundial de Oración por las Vocaciones, que se celebrará en el IV domingo de Pascua, domingo del "Buen Pastor", el 25 de abril de 2010, me ofrece la oportunidad de proponer a vuestra reflexión un tema en sintonía con el Año Sacerdotal: El testimonio suscita vocaciones. La fecundidad de la propuesta vocacional, en efecto, depende primariamente de la acción gratuita de Dios, pero, como confirma la experiencia pastoral, está favorecida también por la cualidad y la riqueza del testimonio personal y comunitario de cuantos han respondido ya a la llamada del Señor en el ministerio sacerdotal y en la vida consagrada, puesto que su testimonio puede suscitar en otros el deseo de corresponder con generosidad a la llamada de Cristo. Este tema está, pues, estrechamente unido a la vida y a la misión de los sacerdotes y de los consagrados. Por tanto, quisiera invitar a todos los que el Señor ha llamado a trabajar en su viña a renovar su fiel respuesta, sobre todo en este Año Sacerdotal, que he convocado con ocasión del 150 aniversario de la muerte de san Juan María Vianney, el Cura de Ars, modelo siempre actual de presbítero y de párroco.

Ya en el Antiguo Testamento los profetas eran conscientes de estar llamados a dar testimonio con su vida de lo que anunciaban, dispuestos a afrontar incluso la incomprensión, el rechazo, la persecución. La misión que Dios les había confiado los implicaba completamente, como un incontenible "fuego ardiente" en el corazón (cf. Jr 20, 9), y por eso estaban dispuestos a entregar al Señor no solamente la voz, sino toda su existencia. En la plenitud de los tiempos, será Jesús, el enviado del Padre (cf. Jn 5, 36), el que con su misión dará testimonio del amor de Dios hacia todos los hombres, sin distinción, con especial atención a los últimos, a los pecadores, a los marginados, a los pobres. Él es el Testigo por excelencia de Dios y de su deseo de que todos se salven. En la aurora de los tiempos nuevos, Juan Bautista, con una vida enteramente entregada a preparar el camino a Cristo, da testimonio de que en el Hijo de María de Nazaret se cumplen las promesas de Dios. Cuando lo ve acercarse al río Jordán, donde estaba bautizando, lo muestra a sus discípulos como "el Cordero de Dios, que quita el pecado del mundo" (Jn 1, 29). Su testimonio es tan fecundo, que dos de sus discípulos "oyéndole decir esto, siguieron a Jesús" (Jn 1, 37).

También la vocación de Pedro, según escribe el evangelista Juan, pasa a través del testimonio de su hermano Andrés, el cual, después de haber encontrado al Maestro y haber respondido a la invitación de permanecer con Él, siente la necesidad de comunicarle inmediatamente lo que ha descubierto en su "permanecer" con el Señor: "Hemos encontrado al Mesías -que quiere decir Cristo- y lo llevó a Jesús" (Jn 1, 41-42). Lo mismo sucede con Natanael, Bartolomé, gracias al testimonio de otro discípulo, Felipe, el cual comunica con alegría su gran descubrimiento: "Hemos encontrado a aquel de quien escribió Moisés, en el libro de la ley, y del que hablaron los Profetas: es Jesús, el hijo de José, el de Nazaret" (Jn 1, 45). La iniciativa libre y gratuita de Dios encuentra e interpela la responsabilidad humana de cuantos acogen su invitación para convertirse con su propio testimonio en instrumentos de la llamada divina. Esto acontece también hoy en la Iglesia: Dios se sirve del testimonio de los sacerdotes, fieles a su misión, para suscitar nuevas vocaciones sacerdotales y religiosas al servicio del Pueblo de Dios. Por esta razón deseo señalar tres aspectos de la vida del presbítero, que considero esenciales para un testimonio sacerdotal eficaz.

Elemento fundamental y reconocible de toda vocación al sacerdocio y a la vida consagrada es la amistad con Cristo. Jesús vivía en constante unión con el Padre, y esto era lo que suscitaba en los discípulos el deseo de vivir la misma experiencia, aprendiendo de Él la comunión y el diálogo incesante con Dios. Si el sacerdote es el "hombre de Dios", que pertenece a Dios y que ayuda a conocerlo y amarlo, no puede dejar de cultivar una profunda intimidad con Él, permanecer en su amor, dedicando tiempo a la escucha de su Palabra. La oración es el primer testimonio que suscita vocaciones. Como el apóstol Andrés, que comunica a su hermano haber conocido al Maestro, igualmente quien quiere ser discípulo y testigo de Cristo debe haberlo "visto" personalmente, debe haberlo conocido, debe haber aprendido a amarlo y a estar con Él.

Otro aspecto de la consagración sacerdotal y de la vida religiosa es el don total de sí mismo a Dios. Escribe el apóstol Juan: "En esto hemos conocido lo que es el amor: en que él ha dado su vida por nosotros. También nosotros debemos dar la vida por los hermanos" (1 Jn 3, 16). Con estas palabras, el apóstol invita a los discípulos a entrar en la misma lógica de Jesús que, a lo largo de su existencia, ha cumplido la voluntad del Padre hasta el don supremo de sí mismo en la cruz. Se manifiesta aquí la misericordia de Dios en toda su plenitud; amor misericordioso que ha vencido las tinieblas del mal, del pecado y de la muerte. La imagen de Jesús que en la Última Cena se levanta de la mesa, se quita el manto, toma una toalla, se la ciñe a la cintura y se inclina para lavar los pies a los apóstoles, expresa el sentido del servicio y del don manifestados en su entera existencia, en obediencia a la voluntad del Padre (cfr Jn 13, 3-15). Siguiendo a Jesús, quien ha sido llamado a la vida de especial consagración debe esforzarse en dar testimonio del don total de sí mismo a Dios. De ahí brota la capacidad de darse luego a los que la Providencia le confíe en el ministerio pastoral, con entrega plena, continua y fiel, y con la alegría de hacerse compañero de camino de tantos hermanos, para que se abran al encuentro con Cristo y su Palabra se convierta en luz en su sendero. La historia de cada vocación va unida casi siempre con el testimonio de un sacerdote que vive con alegría el don de sí mismo a los hermanos por el Reino de los Cielos. Y esto porque la cercanía y la palabra de un sacerdote son capaces de suscitar interrogantes y conducir a decisiones incluso definitivas (cf. JUAN PABLO II, Exhort. ap. postsinodal, Pastores dabo vobis, 39).

Por último, un tercer aspecto que no puede dejar de caracterizar al sacerdote y a la persona consagrada es el vivir la comunión. Jesús indicó, como signo distintivo de quien quiere ser su discípulo, la profunda comunión en el amor: "Por el amor que os tengáis los unos a los otros reconocerán todos que sois discípulos míos" (Jn 13, 35). De manera especial, el sacerdote debe ser hombre de comunión, abierto a todos, capaz de caminar unido con toda la grey que la bondad del Señor le ha confiado, ayudando a superar divisiones, a reparar fracturas, a suavizar contrastes e incomprensiones, a perdonar ofensas. En julio de 2005, en el encuentro con el Clero de Aosta, tuve la oportunidad de decir que si los jóvenes ven sacerdotes muy aislados y tristes, no se sienten animados a seguir su ejemplo. Se sienten indecisos cuando se les hace creer que ése es el futuro de un sacerdote. En cambio, es importante llevar una vida indivisa, que muestre la belleza de ser sacerdote. Entonces, el joven dirá: "sí, este puede ser un futuro también para mí, así se puede vivir" (Insegnamenti I, [2005], 354). El Concilio Vaticano II, refiriéndose al testimonio que suscita vocaciones, subraya el ejemplo de caridad y de colaboración fraterna que deben ofrecer los sacerdotes (cf. Optatam totius, 2).

Me es grato recordar lo que escribió mi venerado Predecesor Juan Pablo II: "La vida misma de los presbíteros, su entrega incondicional a la grey de Dios, su testimonio de servicio amoroso al Señor y a su Iglesia —un testimonio sellado con la opción por la cruz, acogida en la esperanza y en el gozo pascual—, su concordia fraterna y su celo por la evangelización del mundo, son el factor primero y más persuasivo de fecundidad vocacional" (Pastores dabo vobis, 41). Se podría decir que las vocaciones sacerdotales nacen del contacto con los sacerdotes, casi como un patrimonio precioso comunicado con la palabra, el ejemplo y la vida entera.

Esto vale también para la vida consagrada. La existencia misma de los religiosos y de las religiosas habla del amor de Cristo, cuando le siguen con plena fidelidad al Evangelio y asumen con alegría sus criterios de juicio y conducta. Llegan a ser "signo de contradicción" para el mundo, cuya lógica está inspirada muchas veces por el materialismo, el egoísmo y el individualismo. Su fidelidad y la fuerza de su testimonio, porque se dejan conquistar por Dios renunciando a sí mismos, sigue suscitando en el alma de muchos jóvenes el deseo de seguir a Cristo para siempre, generosa y totalmente. Imitar a Cristo casto, pobre y obediente, e identificarse con Él: he aquí el ideal de la vida consagrada, testimonio de la primacía absoluta de Dios en la vida y en la historia de los hombres.

Todo presbítero, todo consagrado y toda consagrada, fieles a su vocación, transmiten la alegría de servir a Cristo, e invitan a todos los cristianos a responder a la llamada universal a la santidad. Por tanto, para promover las vocaciones específicas al ministerio sacerdotal y a la vida religiosa, para hacer más vigoroso e incisivo el anuncio vocacional, es indispensable el ejemplo de todos los que ya han dicho su "sí" a Dios y al proyecto de vida que Él tiene sobre cada uno. El testimonio personal, hecho de elecciones existenciales y concretas, animará a los jóvenes a tomar decisiones comprometidas que determinen su futuro. Para ayudarles es necesario el arte del encuentro y del diálogo capaz de iluminarles y acompañarles, a través sobre todo de la ejemplaridad de la existencia vivida como vocación. Así lo hizo el Santo Cura de Ars, el cual, siempre en contacto con sus parroquianos, "enseñaba, sobre todo, con el testimonio de su vida. De su ejemplo aprendían los fieles a orar" (Carta para la convocación del Año Sacerdotal, 16 junio 2009).

Que esta Jornada Mundial ofrezca de nuevo una preciosa oportunidad a muchos jóvenes para reflexionar sobre su vocación, entregándose a ella con sencillez, confianza y plena disponibilidad. Que la Virgen María, Madre de la Iglesia, custodie hasta el más pequeño germen de vocación en el corazón de quienes el Señor llama a seguirle más de cerca, hasta que se convierta en árbol frondoso, colmado de frutos para bien de la Iglesia y de toda la humanidad. Rezo por esta intención, a la vez que imparto a todos la Bendición Apostólica.

Vaticano, 13 de noviembre de 2009

BENEDICTUS PP. XVI

[00227-04.01] [Texto original: Italiano]

TRADUZIONE IN LINGUA PORTOGHESE

Veneráveis Irmãos no Episcopado e no Sacerdócio,

Amados Irmãos e Irmãs!

O 47º Dia Mundial de Oração pelas Vocações, que será celebrado no IV Domingo de Páscoa – Domingo do «Bom Pastor» –, a 25 de Abril de 2010, oferece-me a oportunidade de propor à vossa reflexão um tema que quadra bem com o Ano Sacerdotal: O testemunho suscita vocações. De facto, a fecundidade da proposta vocacional depende primariamente da acção gratuita de Deus, mas é favorecida também – como o confirma a experiência pastoral – pela qualidade e riqueza do testemunho pessoal e comunitário de todos aqueles que já responderam ao chamamento do Senhor no ministério sacerdotal e na vida consagrada, pois o seu testemunho pode suscitar noutras pessoas o desejo de, por sua vez, corresponder com generosidade ao apelo de Cristo. Assim, este tema apresenta-se intimamente ligado com a vida e a missão dos sacerdotes e dos consagrados. Por isso, desejo convidar todos aqueles que o Senhor chamou para trabalhar na sua vinha a renovarem a sua fidelidade de resposta, sobretudo neste Ano Sacerdotal que proclamei por ocasião dos 150 anos de falecimento de São João Maria Vianney, o Cura d’Ars, modelo sempre actual de presbítero e pároco.

Já no Antigo Testamento os profetas tinham consciência de que eram chamados a testemunhar com a sua vida aquilo que anunciavam, prontos a enfrentar mesmo a incompreensão, a rejeição, a perseguição. A tarefa, que Deus lhes confiara, envolvia-os completamente, como um «fogo ardente» no coração impossível de conter (cf. Jr 20,9), e, por isso, estavam prontos a entregar ao Senhor não só a voz, mas todos os elementos da sua vida. Na plenitude dos tempos, será Jesus, o enviado do Pai (cf. Jo 5,36), que, através da sua missão, testemunha o amor de Deus por todos os homens sem distinção, com especial atenção pelos últimos, os pecadores, os marginalizados, os pobres. Jesus é a suprema Testemunha de Deus e da sua ânsia de que todos se salvem. Na aurora dos novos tempos, João Baptista, com uma vida gasta inteiramente para preparar o caminho a Cristo, testemunha que, se cumprem, no Filho de Maria de Nazaré, as promessas de Deus. Quando O vê chegar ao rio Jordão, onde estava a baptizar, João indica-O aos seus discípulos como «o cordeiro de Deus, aquele que tira o pecado do mundo» (Jo 1,29). O seu testemunho é tão fecundo que dois dos seus discípulos, «ouvindo o que ele tinha dito, seguiram Jesus» (Jo 1,37).

Também a vocação de Pedro, conforme no-la descreve o evangelista João, passa pelo testemunho de seu irmão André; este, após ter encontrado o Mestre e aceite o seu convite para permanecer com Ele, logo sente necessidade de comunicar a Pedro aquilo que descobriu «permanecendo» junto do Senhor: «"Encontrámos o Messias" (que quer dizer Cristo). E levou-o a Jesus» (Jo 1,41-42). O mesmo aconteceu com Natanael – Bartolomeu –, graças ao testemunho doutro discípulo, Filipe, que cheio de alegria lhe comunica a sua grande descoberta: «Acabámos de encontrar Aquele de quem escreveu Moisés na Lei e que os Profetas anunciaram: é Jesus, o filho de José, de Nazaré» (Jo 1,45). A iniciativa livre e gratuita de Deus cruza-se com a responsabilidade humana daqueles que acolhem o seu convite, e interpela-os para se tornarem, com o próprio testemunho, instrumentos do chamamento divino. O mesmo acontece, ainda hoje, na Igreja: Deus serve-se do testemunho de sacerdotes fiéis à sua missão, para suscitar novas vocações sacerdotais e religiosas para o serviço do seu Povo. Por esta razão, desejo destacar três aspectos da vida do presbítero, que considero essenciais para um testemunho sacerdotal eficaz.

Elemento fundamental e comprovado de toda a vocação ao sacerdócio e à vida consagrada é a amizade com Cristo. Jesus vivia em constante união com o Pai, e isto suscitava nos discípulos o desejo de viverem a mesma experiência, aprendendo d’Ele a comunhão e o diálogo incessante com Deus. Se o sacerdote é o «homem de Deus», que pertence a Deus e ajuda a conhecê-Lo e a amá-Lo, não pode deixar de cultivar uma profunda intimidade com Ele e permanecer no seu amor, reservando tempo para a escuta da sua Palavra. A oração é o primeiro testemunho que suscita vocações. Tal como o apóstolo André comunica ao irmão que conheceu o Mestre, assim também quem quiser ser discípulo e testemunha de Cristo deve tê-Lo «visto» pessoalmente, deve tê-Lo conhecido, deve ter aprendido a amá-Lo e a permanecer com Ele.

Outro aspecto da consagração sacerdotal e da vida religiosa é o dom total de si mesmo a Deus. Escreve o apóstolo João: «Nisto conhecemos o amor: Jesus deu a sua vida por nós, e nós devemos dar a vida pelos nossos irmãos» (1 Jo 3,16). Com estas palavras, os discípulos são convidados a entrar na mesma lógica de Jesus que, ao longo de toda a sua vida, cumpriu a vontade do Pai até à entrega suprema de Si mesmo na cruz. Manifesta-se aqui a misericórdia de Deus em toda a sua plenitude; amor misericordioso que derrotou as trevas do mal, do pecado e da morte. A figura de Jesus que, na Última Ceia, Se levanta da mesa, depõe o manto, pega numa toalha, ata-a à cintura e Se inclina a lavar os pés aos Apóstolos, exprime o sentido de serviço e doação que caracterizou toda a sua vida, por obediência à vontade do Pai (cf. Jo 13,3-15). No seguimento de Jesus, cada pessoa chamada a uma vida de especial consagração deve esforçar-se por testemunhar o dom total de si mesma a Deus. Daqui brota a capacidade para se dar depois àqueles que a Providência lhe confia no ministério pastoral, com dedicação plena, contínua e fiel, e com a alegria de fazer-se companheiro de viagem de muitos irmãos, a fim de que se abram ao encontro com Cristo e a sua Palavra se torne luz para o seu caminho. A história de cada vocação cruza-se quase sempre com o testemunho de um sacerdote que vive jubilosamente a doação de si mesmo aos irmãos por amor do Reino dos Céus. É que a presença e a palavra de um padre são capazes de despertar interrogações e de conduzir mesmo a decisões definitivas (cf. João Paulo II, Exort. ap. pós-sinodal Pastores dabo vobis, 39).

Um terceiro aspecto que, enfim, não pode deixar de caracterizar o sacerdote e a pessoa consagrada é viver a comunhão. Jesus indicou, como sinal distintivo de quem deseja ser seu discípulo, a profunda comunhão no amor: «É por isto que todos saberão que sois meus discípulos: se vos amardes uns aos outros» (Jo 13,35). De modo particular, o sacerdote deve ser um homem de comunhão, aberto a todos, capaz de fazer caminhar unido todo o rebanho que a bondade do Senhor lhe confiou, ajudando a superar divisões, sanar lacerações, aplanar contrastes e incompreensões, perdoar as ofensas. Em Julho de 2005, no encontro com o Clero de Aosta, afirmei que os jovens, se virem os sacerdotes isolados e tristes, com certeza não se sentirão encorajados a seguir o seu exemplo. Levados a considerar que tal possa ser o futuro de um padre, vêem aumentar a sua hesitação. Torna-se importante, pois, realizar a comunhão de vida, que lhes mostre a beleza de ser sacerdote. Então, o jovem dirá: «Isto pode ser um futuro também para mim, assim pode-se viver» (Insegnamenti, vol. I/2005, 354). O Concílio Vaticano II, referindo-se ao testemunho capaz de suscitar vocações, destaca o exemplo de caridade e de fraterna cooperação que devem oferecer os sacerdotes (cf. Decreto Optatam totius, 2).

Apraz-me recordar o que escreveu o meu venerado predecessor João Paulo II: «A própria vida dos padres, a sua dedicação incondicional ao rebanho de Deus, o seu testemunho de amoroso serviço ao Senhor e à sua Igreja – testemunho assinalado pela opção da cruz acolhida na esperança e na alegria pascal –, a sua concórdia fraterna e o seu zelo pela evangelização do mundo são o primeiro e mais persuasivo factor de fecundidade vocacional» (Pastores dabo vobis, 41). Poder-se-ia afirmar que as vocações sacerdotais nascem do contacto com os sacerdotes, como se fossem uma espécie de património precioso comunicado com a palavra, o exemplo e a existência inteira.

Isto aplica-se também à vida consagrada. A própria existência dos religiosos e religiosas fala do amor de Cristo, quando O seguem com plena fidelidade ao Evangelho e assumem com alegria os seus critérios de discernimento e conduta. Tornam-se «sinais de contradição» para o mundo, cuja lógica frequentemente é inspirada pelo materialismo, o egoísmo e o individualismo. A sua fidelidade e a força do seu testemunho, porque se deixam conquistar por Deus renunciando a si mesmos, continuam a suscitar no ânimo de muitos jovens o desejo de, por sua vez, seguirem Cristo para sempre, de modo generoso e total. Imitar Cristo casto, pobre e obediente e identificar-se com Ele: eis o ideal da vida consagrada, testemunho do primado absoluto de Deus na vida e na história dos homens.

Fiel à sua vocação, cada presbítero, cada consagrado e cada consagrada transmite a alegria de servir Cristo, e convida todos os cristãos a responderem à vocação universal à santidade. Assim, para se promoverem as vocações específicas ao ministério sacerdotal e à vida consagrada, para se tornar mais forte e incisivo o anúncio vocacional, é indispensável o exemplo daqueles que já disseram o próprio «sim» a Deus e ao projecto de vida que Ele tem para cada um. O testemunho pessoal, feito de opções existenciais e concretas, há-de encorajar, por sua vez, os jovens a tomarem decisões empenhativas que envolvem o próprio futuro. Para ajudá-los, é necessária aquela arte do encontro e do diálogo capaz de os iluminar e acompanhar sobretudo através do exemplo de vida abraçada como vocação. Assim fez o Santo Cura d’Ars, que, no contacto permanente com os seus paroquianos, «ensinava sobretudo com o testemunho da vida. Pelo seu exemplo, os fiéis aprendiam a rezar» (Carta de Proclamação do Ano Sacerdotal, 16/06/2009).

Que este Dia Mundial possa oferecer, uma vez mais, preciosa ocasião para muitos jovens reflectirem sobre a própria vocação, abrindo-se a ela com simplicidade, confiança e plena disponibilidade. A Virgem Maria, Mãe da Igreja, guarde o mais pequenino gérmen de vocação no coração daqueles que o Senhor chama a segui-Lo mais de perto; faça com que se torne uma árvore frondosa, carregada de frutos para o bem da Igreja e de toda a humanidade. Por esta intenção rezo, enquanto concedo a todos a Bênção Apostólica.

Vaticano, 13 de Novembro de 2009.

BENEDICTUS PP. XVI

[00227-06.01] [Texto original: Italiano]

TRADUZIONE IN LINGUA POLACCA

Czcigodni Bracia w biskupstwie i kapłaństwie,

Drodzy Bracia i Siostry!

47 Światowy Dzień Modlitw o Powołania, który przeżywać będziemy w IV Niedzielę Wielkanocną – 25 kwietnia 2010 roku, w Niedzielę „Dobrego Pasterza" – stanowi dla mnie okazję, by poddać pod refleksję temat, który dobrze harmonizuje z Rokiem Kapłańskim: Świadectwo wzbudza powołania. Owocność propozycji powołaniowych zależy najpierw od inicjatywy i działania Boga, ale – jak to potwierdza doświadczenie duszpasterskie – jest wspierana także jakością i bogactwem świadectwa osobistego i wspólnotowego tych, którzy już odpowiedzieli na wołanie Pana do podjęcia posługi kapłańskiej czy do życia konsekrowanego. Ich świadectwo może pomóc innym, by i oni zapragnęli z wielkodusznością odpowiedzieć na głos Chrystusa. Powyższy temat jest zatem ściśle powiązany z życiem i posłannictwem kapłanów oraz osób konsekrowanych. Wszystkich, których Pan powołał do pracy w swojej winnicy, pragnę zaprosić do tego, by odnowili swoją wierną odpowiedź, zwłaszcza w tym Roku Kapłańskim, który ustanowiłem w związku ze 150. rocznicą śmierci św. Jana Marii Vianneya, proboszcza z Ars, który jest wciąż aktualnym wzorem kapłana i proboszcza.

Już w Starym Testamencie prorocy byli świadomi swego powołania, by własnym życiem świadczyć o tym, co głosili, gotowi zmierzyć się równocześnie z niezrozumieniem, odrzuceniem czy prześladowaniem. Zadanie, które otrzymali od Boga, pochłaniało ich całkowicie, jak „płonący ogień" w sercu, którego nie da się zatrzymać (por. Jr 20, 9) i dlatego byli gotowi oddać Panu nie tylko swój głos, ale całe swe istnienie. W pełni czasów sam Jezus jest tym, który został posłany przez Ojca (por. J 5, 36), aby zaświadczyć swoim posłaniem o miłości Boga do wszystkich – bez różnicy – ludzi, ze szczególną troską o tych ostatnich, grzeszników, marginalizowanych, biednych. Jezus jest najwyższym Świadkiem Boga i Jego gorącego pragnienia, by wszyscy ludzie zostali zbawieni. Jutrzenką pełni czasów jest Jan Chrzciciel, który całkowicie poświęcił życie, by przygotować Chrystusowi drogę. To on świadczy o tym, że w Synu Maryi z Nazaretu spełnia się obietnica Boga. Kiedy widzi, że Jezus pojawia się na brzegu Jordanu, gdzie on chrzcił, wskazuje Go swoim uczniom jako „Baranka Bożego, który gładzi grzechy świata" (por. J 1, 29). Jego Świadectwo jest tak owocne, że dwaj jego uczniowie „usłyszeli, jak mówił i poszli za Jezusem" (J 1, 37).

Również powołanie Piotra, jak to opisuje Jan Ewangelista, dokonuje się z pomocą świadectwa jego brata – Andrzeja, który – po spotkaniu Pana i odpowiedzi na zaproszenie, by z Nim pozostać – czuje potrzebę, by natychmiast powiedzieć Piotrowi, co odkrył przez „zamieszkanie" z Panem: „Znaleźliśmy Mesjasza – to znaczy: Chrystusa. I przyprowadził go do Jezusa" (J 1, 41-42). Podobnie było w przypadku Natanaela, dzięki świadectwu innego ucznia – Filipa, który powiedział mu z radością o swoim wielkim odkryciu: „Znaleźliśmy tego, o którym pisał Mojżesz w Prawie i Prorocy: Jezusa, Syna Józefa, z Nazaretu" (J 1, 45).

Wolna i bezinteresowna inicjatywa Boga spotyka się z odpowiedzią człowieka i stanowi wezwanie dla tych, którzy przyjmują Boże zaproszenie do tego, by – za pomocą własnego świadectwa - stać się narzędziami Bożego powołania. To samo powtarza się także dzisiaj w Kościele: Bóg posługuje się świadectwem kapłanów, wiernych swej misji, aby wzbudzać nowe powołania kapłańskie i zakonne na służbę Ludowi Bożemu. Z tego powodu pragnę wskazać na trzy aspekty życia kapłana, które wydają mi się istotne dla dawania owocnego świadectwa.

Elementem podstawowym i specyficznym każdego powołania kapłańskiego, a także powołania do życia konsekrowanego, jest przyjaźń z Chrystusem. Jezus żył w stałym zjednoczeniu z Ojcem i właśnie to wzbudzało w uczniach pragnienie, by przeżywać to samo doświadczenie, ucząc się od Niego komunii i nieustannego dialogu z Bogiem. Jeśli ksiądz jest „Bożym człowiekiem", który przynależy do Boga oraz pomaga Boga poznać i pokochać, nie może nie rozwijać głębokiej jedności z Nim, trwać w Jego miłości i wsłuchiwać się w Jego Słowo. Modlitwa jest pierwszym świadectwem, które wzbudza powołania. Podobnie jak Andrzej Apostoł, który mówi bratu o tym, że spotkał Mistrza, każdy, kto chce być uczniem i świadkiem Chrystusa, musi „zobaczyć" Go osobiście, musi Go poznać, musi nauczyć się Go kochać i przebywać z Nim.

Drugim aspektem konsekracji kapłańskiej czy zakonnej jest całkowity dar z siebie dla Boga. Jan Apostoł pisze: "Po tym poznaliśmy miłość, że On oddał za nas życie swoje. My także winniśmy oddać życie za braci" (1 J 3, 16). Tymi słowami św. Jan zaprasza uczniów, by weszli w tę samą logikę Jezusa, który w całym swym sposobie istnienia pełnił wolę Ojca aż do ostatecznego daru z siebie na krzyżu. Tutaj w całej pełni wyraża się Boże miłosierdzie; miłość miłosierna, która pokonała ciemności zła, grzechu i śmierci. Obraz Jezusa, który w czasie Ostatniej Wieczerzy wstaje od stołu, składa swe szaty, bierze prześcieradło, przepasuje się nim i pochyla się przed apostołami, aby umyć im nogi, wyraża ducha służby i daru z własnego życia w całkowitym posłuszeństwie wobec woli Ojca (por. J 13, 3-15). Idąc za Jezusem, każdy powołany do życia w sposób szczególny konsekrowanego powinien starać się świadczyć, że jest całkowitym darem dla Boga. Tu ma swe źródło zdolność do stawania się darem dla tych, których Opatrzność Boża powierza mu w posłudze pasterskiej, do zaangażowania się całkowicie, w sposób stały i wierny, z radością towarzysząc w drodze wielu osobom, aby i one mogły otworzyć się na spotkanie z Chrystusem i aby Jego Słowo stało się światłem na ich szlaku. Historia każdego powołania prawie zawsze łączy się ze świadectwem jakiegoś księdza, który przeżywa w radości swoje bycie darem dla bliźnich ze względu na Królestwo Boże. Bliskość i słowo kapłana prowadzą do pojawienia się pytań i do podjęcia ostatecznych decyzji (por. Jan Paweł II, Pastores dabo vobis, 39).

Trzeci wreszcie aspekt, który powinien charakteryzować kapłana czy osobę konsekrowaną, to życie we wspólnocie. Jezus wskazał głęboką jedność w miłości jako znak wyróżniający Jego uczniów: „Po tym wszyscy poznają, żeście uczniami moimi, jeśli będziecie się wzajemnie miłowali" (J 13, 35). W sposób szczególny kapłan powinien być człowiekiem wspólnoty, otwartym na wszystkich, zdolnym do tego, by prowadzić w jedności całą wspólnotę wierzących, którą Dobroć Boża mu zawierzyła. Ma pomagać w przezwyciężaniu podziałów, w łączeniu rozłączonych, w łagodzeniu napięć i nieporozumień, w przebaczaniu krzywd. W lipcu 2005 roku, spotykając się z duchownymi w Aoście, powiedziałem, że jeśli młodzi ludzie widzą kapłanów odizolowanych i smutnych, to z pewnością nie czują się zachęceni do naśladowania ich przykładu. Jeśli pomyślą, że taka jest przyszłość kapłana, rodzą się w nich obawy. Ważna jest zatem taka forma wspólnoty życia, która ukaże młodym ludziom piękno bycia kapłanem. Wówczas młody człowiek powie: „to może być także moja przyszłość, tak chciałbym żyć" (Nauczanie, I, [2005], 354). Sobór Watykański II, odnosząc się do świadectwa, które wzbudza powołanie, podkreśla potrzebę miłości i braterskiej współpracy, o której mają świadczyć kapłani (por. Optatam totius, 2).

Z radością przypominam to, co napisał mój Czcigodny Poprzednik Jan Paweł II: „Najważniejszym i najskuteczniejszym środkiem budzenia powołań jest świadectwo życia kapłanów, ich bezwarunkowe oddanie się owczarni Bożej, ich pełna miłości służba Chrystusowi i jego Kościołowi — służba będąca dźwiganiem krzyża, przyjętego z paschalną nadzieją i radością, wreszcie braterska zgoda i gorące pragnienie ewangelizacji" (Pastores dabo vobis, 41). Można powiedzieć, że powołania kapłańskie rodzą się w kontakcie z kapłanami, jakby jakieś cenne dziedzictwo, komunikowane za pomocą słów, czynów i całego sposobu bycia.

Ta sama zasada odnosi się także do osób konsekrowanych. Już sam fakt istnienia osób zakonnych mówi o miłości Chrystusa, gdy osoby te idą za Nim w pełnej wierności Ewangelii oraz gdy z radością przyjmują Jego kryteria osądu i postępowania. Stają się „znakami sprzeciwu" dla świata, którego logika jest często inspirowana materializmem, egoizmem i indywidualizmem. Gdy pozwalają się zdobyć przez Boga i zrezygnować z samych siebie, ich wierność i siła świadectwa wzbudzają w sercach wielu młodych pragnienie, by pójść za Chrystusem na zawsze, w sposób hojny i całkowity. Naśladowanie Chrystusa czystego, ubogiego i posłusznego oraz utożsamianie się z Nim: oto ideał życia konsekrowanego i świadectwo absolutnego prymatu Boga w życiu i w historii człowieka.

Każdy prezbiter, każdy konsekrowany i każda konsekrowana, wierni swemu powołaniu, przekazują radość służenia Chrystusowi i zapraszają wszystkich chrześcijan do udzielenia odpowiedzi na powszechne powołanie do świętości. Stąd, aby wspierać szczególne powołania do kapłaństwa i życia konsekrowanego, aby przesłanie powołaniowe uczynić jeszcze silniejszym i bardziej stanowczym, jest konieczny przykład tych, którzy już powiedzieli swoje „tak" Bogu oraz projektowi życia, który On przygotował dla każdego człowieka. Osobiste świadectwo, oparte na konkretnych decyzjach życiowych, dodaje młodym odwagi, by także oni zdobyli się na decyzje wymagające zaangażowania na całą przyszłość. Aby im w tym pomoc, konieczna jest owa sztuka spotykania się i dialogu, który pomaga im odnaleźć światło i wsparcie w kimś, kto we wzorcowy sposób przeżywa swoje życie jako powołanie. Tak właśnie czynił św. Proboszcz z Ars, który miał silną więź z parafianami, „pouczał swoich parafian świadectwem swego życia. Z jego przykładu wierni uczyli się modlitwy" (List z racji rozpoczęcia Roku Kapłańskiego, 16 czerwca 2009).

Niech ten Światowy Dzień Modlitw o Powołania stanie się jeszcze jedną cenną okazją dla młodych ludzi, aby zastanowili się nad własnym powołaniem, odpowiadając na nie z prostotą, zaufaniem i gotowością. Dziewica Maryja, Matka Kościoła, niech strzeże każdego, najmniejszego nawet ziarna powołania w sercach tych, których Pan wzywa, by byli bliżej Niego i Go naśladowali; niech Ona sprawi, by to ziarno stało się kwitnącym drzewem, pełnym owoców dla dobra Kościoła i całej ludzkości. O to się modlę, udzielając wszystkim Apostolskiego Błogosławieństwa.

Watykan, 13 listopada 2009

BENEDICTUS PP. XVI

[00227-09.01] [Testo originale: Polacco]

[B0100-XX.02]