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SANTA MESSA NELLA SOLENNITÀ DI MARIA SS.MA MADRE DI DIO E NELLA 42a GIORNATA MONDIALE DELLA PACE, 01.01.2009


Alle ore 10 di questa mattina, nella Basilica Vaticana, il Santo Padre Benedetto XVI presiede la Celebrazione della Solennità di Maria Santissima Madre di Dio nell’ottava di Natale e in occasione della 42a Giornata Mondiale della Pace sul tema: "Combattere la povertà, costruire la pace".

Concelebrano con il Papa il Card. Tarcisio Bertone, Segretario di Stato, il Card. Renato Raffaele Martino, Presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace e del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, S.E. Mons. Fernando Filoni, Arcivescovo tit. di Volturno, Sostituto della Segreteria di Stato, S.E. Mons. Dominique Mamberti, Arcivescovo tit. di Sagona, Segretario per i Rapporti con gli Stati, S.E. Mons. Giampaolo Crepaldi, Vescovo tit. di Bisarcio, Segretario del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace.

Pubblichiamo di seguito l’omelia che il Papa pronuncia nel corso della Santa Messa:

● OMELIA DEL SANTO PADRE

Venerati Fratelli,

Signori Ambasciatori,

cari fratelli e sorelle!

Nel primo giorno dell’anno, la divina Provvidenza ci raduna per una celebrazione che ogni volta ci commuove per la ricchezza e la bellezza delle sue corrispondenze: il Capodanno civile s’incontra con il culmine dell’ottava di Natale, in cui si celebra la Divina Maternità di Maria, e questo incontro trova una sintesi felice nella Giornata Mondiale della Pace. Nella luce del Natale di Cristo, mi è gradito rivolgere a ciascuno i migliori auguri per l’anno appena iniziato. Li porgo, in particolare, al Cardinale Renato Raffaele Martino ed ai suoi collaboratori del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, con speciale riconoscenza per il loro prezioso servizio. Li porgo, al tempo stesso, al Segretario di Stato, Cardinale Tarcisio Bertone, e all’intera Segreteria di Stato; come pure, con viva cordialità, ai Signori Ambasciatori presenti oggi in gran numero. I miei voti fanno eco all’augurio che il Signore stesso ci ha appena indirizzato, nella liturgia della Parola. Una Parola che, a partire dall’avvenimento di Betlemme, rievocato nella sua concretezza storica dal Vangelo di Luca (2,16-21), e riletto in tutta la sua portata salvifica dall’apostolo Paolo (Gal 4,4-7), diventa benedizione per il popolo di Dio e per l’intera umanità.

Viene così portata a compimento l’antica tradizione ebraica della benedizione (Nm 6,22-27): i sacerdoti d’Israele benedicevano il popolo "ponendo su di esso il nome" del Signore. Con una formula ternaria – presente nella prima lettura – il sacro Nome veniva invocato per tre volte sui fedeli, quale auspicio di grazia e di pace. Questa remota usanza ci riporta ad una realtà essenziale: per poter camminare sulla via della pace, gli uomini e i popoli hanno bisogno di essere illuminati dal "volto" di Dio ed essere benedetti dal suo "nome". Proprio questo si è avverato in modo definitivo con l’Incarnazione: la venuta del Figlio di Dio nella nostra carne e nella storia ha portato una irrevocabile benedizione, una luce che più non si spegne e che offre ai credenti e agli uomini di buona volontà la possibilità di costruire la civiltà dell’amore e della pace.

Il Concilio Vaticano II ha detto, a questo riguardo, che "con l’incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo" (Gaudium et spes, 22). Questa unione è venuta a confermare l’originario disegno di un’umanità creata ad "immagine e somiglianza" di Dio. In realtà, il Verbo incarnato è l’unica immagine perfetta e consustanziale del Dio invisibile. Gesù Cristo è l’uomo perfetto. "In Lui - osserva ancora il Concilio - la natura umana è stata assunta…, perciò stesso essa è stata anche in noi innalzata a una dignità sublime" (ibid.). Per questo la storia terrena di Gesù, culminata nel mistero pasquale, è l’inizio di un mondo nuovo, perché ha realmente inaugurato una nuova umanità, capace, sempre e solo con la grazia di Cristo, di operare una "rivoluzione" pacifica. Una rivoluzione non ideologica ma spirituale, non utopistica ma reale, e per questo bisognosa di infinita pazienza, di tempi talora lunghissimi, evitando qualunque scorciatoia e percorrendo la via più difficile: la via della maturazione della responsabilità nelle coscienze.

Cari amici, questa è la via evangelica alla pace, la via che anche il Vescovo di Roma è chiamato a riproporre con costanza ogni volta che mette mano all’annuale Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace. Percorrendo questa strada occorre talvolta ritornare su aspetti e problematiche già affrontati, ma così importanti da richiedere sempre nuova attenzione. E’ il caso del tema che ho scelto per il Messaggio di quest’anno: "Combattere la povertà, costruire la pace". Un tema che si presta a un duplice ordine di considerazioni, che ora posso solo brevemente accennare. Da una parte la povertà scelta e proposta da Gesù, dall’altra la povertà da combattere per rendere il mondo più giusto e solidale.

Il primo aspetto trova il suo contesto ideale in questi giorni, nel tempo di Natale. La nascita di Gesù a Betlemme ci rivela che Dio ha scelto la povertà per se stesso nella sua venuta in mezzo a noi. La scena che i pastori videro per primi, e che confermò l’annuncio fatto loro dall’angelo, è quella di una stalla dove Maria e Giuseppe avevano cercato rifugio, e di una mangiatoia in cui la Vergine aveva deposto il Neonato avvolto in fasce (cfr Lc 2,7.12.16). Questa povertà Dio l’ha scelta. Ha voluto nascere così – ma potremmo subito aggiungere: ha voluto vivere, e anche morire così. Perché? Lo spiega in termini popolari sant’Alfonso Maria de’ Liguori, in un cantico natalizio, che tutti in Italia conoscono: "A Te, che sei del mondo il Creatore, mancano panni e fuoco, o mio Signore. Caro eletto pargoletto, quanto questa povertà più m’innamora, giacché ti fece amor povero ancora". Ecco la risposta: l’amore per noi ha spinto Gesù non soltanto a farsi uomo, ma a farsi povero. In questa stessa linea possiamo citare l’espressione di san Paolo nella seconda Lettera ai Corinzi: "Conoscete infatti – egli scrive – la grazia del Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà" (8,9). Testimone esemplare di questa povertà scelta per amore è san Francesco d’Assisi. Il francescanesimo, nella storia della Chiesa e della civiltà cristiana, costituisce una diffusa corrente di povertà evangelica, che tanto bene ha fatto e continua a fare alla Chiesa e alla famiglia umana. Ritornando alla stupenda sintesi di san Paolo su Gesù, è significativo – anche per la nostra riflessione odierna – che sia stata ispirata all’Apostolo proprio mentre stava esortando i cristiani di Corinto ad essere generosi nella colletta in favore dei poveri. Egli spiega: "Non si tratta di mettere in difficoltà voi per sollevare gli altri, ma che vi sia uguaglianza" (8,13).

E’ questo un punto decisivo, che ci fa passare al secondo aspetto: c’è una povertà, un’indigenza, che Dio non vuole e che va "combattuta" – come dice il tema dell’odierna Giornata Mondiale della Pace; una povertà che impedisce alle persone e alle famiglie di vivere secondo la loro dignità; una povertà che offende la giustizia e l’uguaglianza e che, come tale, minaccia la convivenza pacifica. In questa accezione negativa rientrano anche le forme di povertà non materiale che si riscontrano pure nelle società ricche e progredite: emarginazione, miseria relazionale, morale e spirituale (cfr Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2008, 2). Nel mio Messaggio ho voluto ancora una volta, sulla scia dei miei Predecessori, considerare attentamente il complesso fenomeno della globalizzazione, per valutarne i rapporti con la povertà su larga scala. Di fronte a piaghe diffuse quali le malattie pandemiche (ivi, 4), la povertà dei bambini (ivi, 5) e la crisi alimentare (ivi, 7), ho dovuto purtroppo tornare a denunciare l’inaccettabile corsa ad accrescere gli armamenti. Da una parte si celebra la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, e dall’altra si aumentano le spese militari, violando la stessa Carta delle Nazioni Unite, che impegna a ridurle al minimo (cfr art. 26). Inoltre, la globalizzazione elimina certe barriere, ma può costruirne di nuove (Messaggio cit., 8), perciò bisogna che la comunità internazionale e i singoli Stati siano sempre vigilanti; bisogna che non abbassino mai la guardia rispetto ai pericoli di conflitto, anzi, si impegnino a mantenere alto il livello della solidarietà. L’attuale crisi economica globale va vista in tal senso anche come un banco di prova: siamo pronti a leggerla, nella sua complessità, quale sfida per il futuro e non solo come un’emergenza a cui dare risposte di corto respiro? Siamo disposti a fare insieme una revisione profonda del modello di sviluppo dominante, per correggerlo in modo concertato e lungimirante? Lo esigono, in realtà, più ancora che le difficoltà finanziarie immediate, lo stato di salute ecologica del pianeta e, soprattutto, la crisi culturale e morale, i cui sintomi da tempo sono evidenti in ogni parte del mondo.

Occorre allora cercare di stabilire un "circolo virtuoso" tra la povertà "da scegliere" e la povertà "da combattere". Si apre qui una via feconda di frutti per il presente e per il futuro dell’umanità, che si potrebbe riassumere così: per combattere la povertà iniqua, che opprime tanti uomini e donne e minaccia la pace di tutti, occorre riscoprire la sobrietà e la solidarietà, quali valori evangelici e al tempo stesso universali. Più in concreto, non si può combattere efficacemente la miseria, se non si fa quello che scrive san Paolo ai Corinzi, cioè se non si cerca di "fare uguaglianza", riducendo il dislivello tra chi spreca il superfluo e chi manca persino del necessario. Ciò comporta scelte di giustizia e di sobrietà, scelte peraltro obbligate dall’esigenza di amministrare saggiamente le limitate risorse della terra. Quando afferma che Gesù Cristo ci ha arricchiti "con la sua povertà", san Paolo offre un’indicazione importante non solo sotto il profilo teologico, ma anche sul piano sociologico. Non nel senso che la povertà sia un valore in sé, ma perché essa è condizione per realizzare la solidarietà. Quando Francesco d’Assisi si spoglia dei suoi beni, fa una scelta di testimonianza ispiratagli direttamente da Dio, ma nello stesso tempo mostra a tutti la via della fiducia nella Provvidenza. Così, nella Chiesa, il voto di povertà è l’impegno di alcuni, ma ricorda a tutti l’esigenza del distacco dai beni materiali e il primato delle ricchezze dello spirito. Ecco dunque il messaggio da raccogliere oggi: la povertà della nascita di Cristo a Betlemme, oltre che oggetto di adorazione per i cristiani, è anche scuola di vita per ogni uomo. Essa ci insegna che per combattere la miseria, tanto materiale quanto spirituale, la via da percorrere è quella della solidarietà, che ha spinto Gesù a condividere la nostra condizione umana.

Cari fratelli e sorelle, penso che la Vergine Maria si sia posta più di una volta questa domanda: perché Gesù ha voluto nascere da una ragazza semplice e umile come me? E poi, perché ha voluto venire al mondo in una stalla ed avere come prima visita quella dei pastori di Betlemme? La risposta Maria l’ebbe pienamente alla fine, dopo aver deposto nel sepolcro il corpo di Gesù, morto e avvolto in fasce (cfr Lc 23,53). Allora comprese appieno il mistero della povertà di Dio. Comprese che Dio si era fatto povero per noi, per arricchirci della sua povertà piena d’amore, per esortarci a frenare l’ingordigia insaziabile che suscita lotte e divisioni, per invitarci a moderare la smania di possedere e ad essere così disponibili alla condivisione e all’accoglienza reciproca. A Maria, Madre del Figlio di Dio fattosi nostro fratello, rivolgiamo fiduciosi la nostra preghiera, perché ci aiuti a seguirne le orme, a combattere e vincere la povertà, a costruire la vera pace, che è opus iustitiae. A Lei affidiamo il profondo desiderio di vivere in pace che sale dal cuore della grande maggioranza delle popolazioni israeliana e palestinese, ancora una volta messe a repentaglio dalla massiccia violenza scoppiata nella striscia di Gaza in risposta ad altra violenza. Anche la violenza, anche l’odio e la sfiducia sono forme di povertà – forse le più tremende – "da combattere". Che esse non prendano il sopravvento! In tal senso i Pastori di quelle Chiese, in questi tristi giorni, hanno fatto udire la loro voce. Insieme ad essi e ai loro carissimi fedeli, soprattutto quelli della piccola ma fervente parrocchia di Gaza, deponiamo ai piedi di Maria le nostre preoccupazioni per il presente e i timori per il futuro, ma altresì la fondata speranza che, con il saggio e lungimirante contributo di tutti, non sarà impossibile ascoltarsi, venirsi incontro e dare risposte concrete all’aspirazione diffusa a vivere in pace, in sicurezza, in dignità. Diciamo a Maria: accompagnaci, celeste Madre del Redentore, lungo tutto l’anno che oggi inizia, e ottieni da Dio il dono della pace per la Terrasanta e per l’intera umanità. Santa Madre di Dio, prega per noi. Amen.

[00001-01.01] [Testo originale: Italiano]

[B0001-XX.01]