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MESSAGGIO PASQUALE DEL SANTO PADRE E BENEDIZIONE "URBI ET ORBI", 08.04.2007


Alle ore 12, dalla Loggia centrale della Basilica Vaticana, il Santo Padre Benedetto XVI rivolge ai fedeli presenti in Piazza San Pietro ed a quanti lo ascoltano attraverso la radio e la televisione il Messaggio pasquale che riportiamo di seguito:

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE

Fratelli e sorelle del mondo intero,
uomini e donne di buona volontà!

Cristo è risorto! Pace a voi! Si celebra oggi il grande mistero, fondamento della fede e della speranza cristiana: Gesù di Nazaret, il Crocifisso, è risuscitato dai morti il terzo giorno, secondo le Scritture. L’annuncio dato dagli angeli, in quell’alba del primo giorno dopo il sabato, a Maria di Magdala e alle donne accorse al sepolcro, lo riascoltiamo oggi con rinnovata emozione: "Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui, è risuscitato!" (Lc 24,5-6).

Non è difficile immaginare quali fossero, in quel momento, i sentimenti di queste donne: sentimenti di tristezza e sgomento per la morte del loro Signore, sentimenti di incredulità e stupore per un fatto troppo sorprendente per essere vero. La tomba però era aperta e vuota: il corpo non c’era più. Pietro e Giovanni, avvertiti dalle donne, corsero al sepolcro e verificarono che esse avevano ragione. La fede degli Apostoli in Gesù, l’atteso Messia, era stata messa a durissima prova dallo scandalo della croce. Durante il suo arresto, la sua condanna e la sua morte si erano dispersi, ed ora si ritrovavano insieme, perplessi e disorientati. Ma il Risorto stesso venne incontro alla loro incredula sete di certezze. Non fu sogno, né illusione o immaginazione soggettiva quell’incontro; fu un’esperienza vera, anche se inattesa e proprio per questo particolarmente toccante. "Venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!»" (Gv 20,19).

A quelle parole, la fede quasi spenta nei loro animi si riaccese. Gli Apostoli riferirono a Tommaso, assente in quel primo incontro straordinario: Sì, il Signore ha compiuto quanto aveva preannunciato; è veramente risorto e noi lo abbiamo visto e toccato! Tommaso però rimase dubbioso e perplesso. Quando Gesù venne una seconda volta, otto giorni dopo nel Cenacolo, gli disse: "Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo ma credente!". La risposta dell’Apostolo è una commovente professione di fede: "Mio Signore e mio Dio!" (Gv 20,27-28).

"Mio Signore e mio Dio"! Rinnoviamo anche noi la professione di fede di Tommaso. Come augurio pasquale, quest’anno, ho voluto scegliere proprio le sue parole, perché l’odierna umanità attende dai cristiani una rinnovata testimonianza della risurrezione di Cristo; ha bisogno di incontrarlo e di poterlo conoscere come vero Dio e vero Uomo. Se in questo Apostolo possiamo riscontrare i dubbi e le incertezze di tanti cristiani di oggi, le paure e le delusioni di innumerevoli nostri contemporanei, con lui possiamo anche riscoprire con convinzione rinnovata la fede in Cristo morto e risorto per noi. Questa fede, tramandata nel corso dei secoli dai successori degli Apostoli, continua, perché il Signore risorto non muore più. Egli vive nella Chiesa e la guida saldamente verso il compimento del suo eterno disegno di salvezza.

Ciascuno di noi può essere tentato dall’incredulità di Tommaso. Il dolore, il male, le ingiustizie, la morte, specialmente quando colpiscono gli innocenti - ad esempio, i bambini vittime della guerra e del terrorismo, delle malattie e della fame - non mettono forse a dura prova la nostra fede? Eppure paradossalmente, proprio in questi casi, l’incredulità di Tommaso ci è utile e preziosa, perché ci aiuta a purificare ogni falsa concezione di Dio e ci conduce a scoprirne il volto autentico: il volto di un Dio che, in Cristo, si è caricato delle piaghe dell’umanità ferita. Tommaso ha ricevuto dal Signore e, a sua volta, ha trasmesso alla Chiesa il dono di una fede provata dalla passione e morte di Gesù e confermata dall’incontro con Lui risorto. Una fede che era quasi morta ed è rinata grazie al contatto con le piaghe di Cristo, con le ferite che il Risorto non ha nascosto, ma ha mostrato e continua a indicarci nelle pene e nelle sofferenze di ogni essere umano.

"Dalle sue piaghe siete stati guariti" (1 Pt 2,24), è questo l’annuncio che Pietro rivolgeva ai primi convertiti. Quelle piaghe, che per Tommaso erano dapprima un ostacolo alla fede, perché segni dell’apparente fallimento di Gesù; quelle stesse piaghe sono diventate, nell’incontro con il Risorto, prove di un amore vittorioso. Queste piaghe che Cristo ha contratto per amore nostro ci aiutano a capire chi è Dio e a ripetere anche noi: "Mio Signore e mio Dio". Solo un Dio che ci ama fino a prendere su di sé le nostre ferite e il nostro dolore, soprattutto quello innocente, è degno di fede.

Quante ferite, quanto dolore nel mondo! Non mancano calamità naturali e tragedie umane che provocano innumerevoli vittime e ingenti danni materiali. Penso a quanto è avvenuto di recente in Madagascar, nelle Isole Salomone, in America Latina e in altre Regioni del mondo. Penso al flagello della fame, alle malattie incurabili, al terrorismo e ai sequestri di persona, ai mille volti della violenza - talora giustificata in nome della religione - al disprezzo della vita e alla violazione dei diritti umani, allo sfruttamento della persona. Guardo con apprensione alla condizione in cui si trovano non poche regioni dell’Africa: nel Darfur e nei Paesi vicini permane una catastrofica e purtroppo sottovalutata situazione umanitaria; a Kinshasa, nella Repubblica Democratica del Congo, gli scontri e i saccheggi delle scorse settimane fanno temere per il futuro del processo democratico congolese e per la ricostruzione del Paese; in Somalia la ripresa dei combattimenti allontana la prospettiva della pace e appesantisce la crisi regionale, specialmente per quanto riguarda gli spostamenti della popolazione e il traffico di armi; una grave crisi attanaglia lo Zimbabwe, per la quale i Vescovi del Paese, in un loro recente documento, hanno indicato come unica via di superamento la preghiera e l’impegno condiviso per il bene comune.

Di riconciliazione e di pace ha bisogno la popolazione di Timor Est, che si appresta a vivere importanti scadenze elettorali. Di pace hanno bisogno anche lo Sri Lanka, dove solo una soluzione negoziata porrà fine al dramma del conflitto che lo insanguina, e l’Afghanistan, segnato da crescente inquietudine e instabilità. In Medio Oriente, accanto a segni di speranza nel dialogo fra Israele e l’Autorità palestinese, nulla di positivo purtroppo viene dall’Iraq, insanguinato da continue stragi, mentre fuggono le popolazioni civili; in Libano lo stallo delle istituzioni politiche minaccia il ruolo che il Paese è chiamato a svolgere nell’area mediorientale e ne ipoteca gravemente il futuro. Non posso infine dimenticare le difficoltà che le comunità cristiane affrontano quotidianamente e l’esodo dei cristiani dalla Terra benedetta che è la culla della nostra fede. A quelle popolazioni rinnovo con affetto l’espressione della mia vicinanza spirituale.

Cari fratelli e sorelle, attraverso le piaghe di Cristo risorto possiamo vedere questi mali che affliggono l’umanità con occhi di speranza. Risorgendo, infatti, il Signore non ha tolto la sofferenza e il male dal mondo, ma li ha vinti alla radice con la sovrabbondanza della sua Grazia. Alla prepotenza del Male ha opposto l’onnipotenza del suo Amore. Ci ha lasciato come via alla pace e alla gioia l’Amore che non teme la morte. "Come io vi ho amato - ha detto agli Apostoli prima di morire -, così amatevi anche voi gli uni gli altri" (Gv 13,34).

Fratelli e sorelle nella fede, che mi ascoltate da ogni parte della terra! Cristo risorto è vivo tra noi, è Lui la speranza di un futuro migliore. Mentre con Tommaso diciamo: "Mio Signore e mio Dio!", risuoni nel nostro cuore la parola dolce ma impegnativa del Signore: "Se uno mi vuol servire mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servo. Se uno mi serve, il Padre lo onorerà" (Gv 12,26). Ed anche noi, uniti a Lui, disposti a spendere la vita per i nostri fratelli (cfr 1 Gv 3,16), diventiamo apostoli di pace, messaggeri di una gioia che non teme il dolore, la gioia della Risurrezione. Ci ottenga questo dono pasquale Maria, Madre di Cristo risorto. Buona Pasqua a tutti!

[00502-01.01] [Testo originale: Italiano]

TRADUZIONE IN LINGUA FRANCESE

Frères et Sœurs du monde entier,
Hommes et Femmes de bonne volonté!

Le Christ est ressuscité! Paix à vous! Aujourd’hui nous célébrons le grand mystère, le fondement de la foi et de l’espérance chrétiennes : Jésus de Nazareth, le Crucifié, est ressuscité d’entre les morts le troisième jour, conformément aux Écritures. C’est avec une émotion renouvelée que nous réentendons aujourd’hui l’annonce qui, à l’aube du premier jour après le sabbat, a été adressée par l’ange à Marie-Madeleine et aux femmes accourues au tombeau: «Pourquoi cherchez-vous le Vivant parmi les morts? Il n’est pas ici, il est ressuscité!» (Lc 24,5-6).

Il n’est pas difficile d’imaginer quels furent, à ce moment-là, les sentiments qui habitaient ces femmes: des sentiments de tristesse et d’effroi en raison de la mort de leur Seigneur, des sentiments d’incrédulité et d’étonnement devant un fait trop surprenant pour être vrai. Cependant, le tombeau était ouvert et vide: de corps, il n’y en avait plus. Avertis par les femmes, Pierre et Jean accoururent au tombeau et vérifièrent que les femmes avaient dit vrai. La foi des Apôtres en Jésus, le Messie attendu, avait été mise à très rude épreuve par le scandale de la croix. Au cours de son arrestation, de sa condamnation et de sa mort, ils s’étaient dispersés, et maintenant ils se retrouvaient ensemble, perplexes et désorientés. Mais le Ressuscité Lui-même vint à la rencontre de leur soif incrédule de certitudes. Cette rencontre ne fut ni un songe, ni une illusion, ni une imagination subjective; ce fut une expérience véritable, même si elle était inattendue et, à ce titre, particulièrement touchante. «Jésus vint, et il était là au milieu d’eux. Il leur dit : ‘La paix soit avec vous!’»(Jn 20,19).

À ces paroles, la foi, presque éteinte dans leurs cœurs, se ralluma. Les Apôtres déclarèrent à Thomas, absent lors de cette première et extraordinaire rencontre : Oui, le Seigneur a accompli ce qu’il avait annoncé auparavant; il est vraiment ressuscité, et nous l’avons vu et touché! Thomas demeura cependant dubitatif et perplexe. Quand il vint au Cénacle une seconde fois, huit jours plus tard, Jésus lui dit : «Avance ton doigt ici, et vois mes mains; avance ta main, et mets-là dans mon côté : cesse d’être incrédule, sois croyant». La réponse de l’Apôtre est une émouvante profession de foi : «Mon Seigneur et mon Dieu!» (Jn 20,27-28).

«Mon Seigneur et mon Dieu!» Renouvelons, nous aussi, la profession de foi de Thomas. Cette année, comme vœux de Pâques, j’ai voulu justement choisir ses paroles, parce que l’humanité présente attend des chrétiens un témoignage renouvelé de la résurrection du Christ; elle a besoin de le rencontrer et de pouvoir le connaître comme vrai Dieu et vrai Homme. Si, chez cet Apôtre, nous pouvons rencontrer les doutes et les incertitudes de nombreux chrétiens d’aujourd’hui, les peurs et les désillusions d’un grand nombre de nos contemporains, avec lui, nous pouvons aussi redécouvrir, avec une conviction renouvelée, la foi au Christ mort et ressuscité pour nous. Cette foi, transmise au cours des siècles par les successeurs des Apôtres, demeure, parce que le Seigneur ressuscité ne meurt plus. Il vit dans l’Église et il la guide résolument vers l’accomplissement de son dessein éternel de salut.

Chacun de nous peut être tenté par l’incrédulité de Thomas. La souffrance, le mal, les injustices, la mort, spécialement quand ils frappent les innocents – comme, par exemple, les enfants victimes de la guerre et du terrorisme, de la maladie et de la faim –, ne mettent-ils pas à dure épreuve notre foi? Pourtant, paradoxalement, dans ces cas, l’incrédulité de Thomas nous est utile et précieuse, car elle nous aide à purifier toute fausse conception de Dieu et elle nous conduit à découvrir son visage authentique : le visage d’un Dieu qui, dans le Christ, s’est chargé des plaies de l’humanité blessée. Thomas a reçu du Seigneur le don d’une foi éprouvée par la passion et la mort de Jésus, et confirmée par sa rencontre avec Lui, le Ressuscité, et il a transmis ce don à l’Église. Une foi qui était presque morte et qui est née à nouveau grâce au contact avec les plaies du Christ, avec les blessures que le Ressuscité n’a pas cachées, mais qu’il a montrées et qu’il continue de nous montrer à travers les peines et les souffrances de tout être humain.

«C’est par ses blessures que vous avez été guéris» (1 P 2,24), telle est l’annonce que Pierre adresse aux premiers convertis. Ces plaies, qui pour Thomas furent d’abord un obstacle à la foi, parce que signes de l’apparent échec de Jésus; ces mêmes plaies sont devenues, dans la rencontre avec le Ressuscité, des preuves d’un amour victorieux. Ces plaies, que le Christ a reçues par amour pour nous, nous aident à comprendre qui est Dieu et à répéter nous aussi: «Mon Seigneur et mon Dieu». Seul un Dieu qui nous aime au point de prendre sur lui nos blessures et notre souffrance, surtout la souffrance de l’innocent, est digne de foi.

Que de blessures, que de souffrances dans le monde! Il ne manque pas de calamités naturelles ni de tragédies humaines qui provoquent d’innombrables victimes et des dommages matériels considérables. Je pense à ce qui est advenu récemment à Madagascar, aux Îles Salomon, en Amérique Latine et dans d’autres régions du monde. Je pense au fléau de la faim, aux maladies incurables, au terrorisme et aux séquestrations de personnes, aux mille visages de la violence – parfois justifiée au nom de la religion – au mépris de la vie et à la violation des droits humains, à l’exploitation de l’être humain. J’observe avec appréhension les conditions dans lesquelles se trouvent de nombreuses régions de l’Afrique: au Darfour et dans les pays voisins perdure une situation humanitaire catastrophique et malheureusement sous-évaluée; à Kinshasa, en République Démocratique du Congo, les affrontements et les pillages des dernières semaines font craindre pour l’avenir du processus démocratique congolais et pour la reconstruction du pays; en Somalie, la reprise des combats éloigne la perspective de la paix et accroît la crise régionale, spécialement en ce qui concerne les déplacements de population et le trafic d’armes; une grave crise secoue le Zimbabwe, face à laquelle les évêques du pays, dans un document récent, ont indiqué que la prière et le souci partagé du bien commun étaient l’unique voie de dépassement.

La population du Timor oriental, qui s’apprête à vivre d’importantes échéances électorales, a besoin de paix et de réconciliation; ont aussi besoin de paix le Sri Lanka, où seule une solution négociée mettra fin au conflit dramatique qui l’ensanglante, et l’Afghanistan, marqué par une tension et une instabilité croissantes. Au Moyen-Orient, à côté des signes d’espérance dans le dialogue entre Israël et l’Autorité palestinienne, rien de positif ne vient de l’Iraq, ensanglanté par des massacres continuels, tandis que les populations civiles s’enfuient; au Liban, la fragilisation des institutions politiques menace le rôle que le pays est appelé à jouer au Moyen-Orient et hypothèque gravement l’avenir. Enfin, je ne peux pas oublier les difficultés que les communautés chrétiennes affrontent quotidiennement et l’exode qui s’ensuit dans la Terre bénie qui est le berceau de notre foi. À ces populations, je renouvelle avec affection l’expression de ma proximité spirituelle.

Chers Frères et Sœurs, à travers les plaies du Christ ressuscité, c’est avec des yeux d’espérance que nous pouvons voir les maux qui affligent l’humanité. En effet, en ressuscitant, le Seigneur n’a pas enlevé la souffrance et le mal du monde, mais il les a vaincus à la racine avec la surabondance de sa Grâce. Au pouvoir immense du Mal, il a opposé la toute-puissance de son Amour. Comme chemin vers la paix et vers la joie, il nous a laissé l’Amour qui ne craint pas la Mort. « Comme je vous ai aimés – a-t-il dit aux Apôtres avant de mourir – vous aussi aimez-vous les uns les autres» (Jn 13,34).

Frères et Sœurs dans la foi, vous qui m’écoutez dans toutes les parties du monde! Le Christ ressuscité est vivant parmi nous, c’est Lui l’espérance d’un avenir meilleur. Alors qu’avec Thomas, nous disons: «Mon Seigneur et mon Dieu!», résonne dans notre cœur la parole Seigneur, qui est douce mais qui requiert un engagement: «Si quelqu’un veut me servir, qu’il me suive; et là où je suis, là aussi sera mon serviteur. Si quelqu’un me sert, mon Père l’honorera» (Jn 12,26). Et nous aussi, unis à Lui, disposés à dépenser notre vie pour nos frères (cf. 1 Jn 3,16), nous devenons apôtres de la paix, messagers d’une joie qui ne craint pas la souffrance, la joie de la Résurrection. Que Marie, Mère du Christ ressuscité, nous obtienne ce don pascal. Bonne Pâques à tous!

[00502-03.01] [Texte original: Italien]

TRADUZIONE IN LINGUA INGLESE

Dear Brothers and Sisters throughout the world,
Men and women of good will!

Christ is risen! Peace to you! Today we celebrate the great mystery, the foundation of Christian faith and hope: Jesus of Nazareth, the Crucified One, has risen from the dead on the third day according to the Scriptures. We listen today with renewed emotion to the announcement proclaimed by the angels on the dawn of the first day after the Sabbath, to Mary of Magdala and to the women at the sepulchre: "Why do you search among the dead for one who is alive? He is not here, he is risen!" (Lk 24:5-6).

It is not difficult to imagine the feelings of these women at that moment: feelings of sadness and dismay at the death of their Lord, feelings of disbelief and amazement before a fact too astonishing to be true. But the tomb was open and empty: the body was no longer there. Peter and John, having been informed of this by the women, ran to the sepulchre and found that they were right. The faith of the Apostles in Jesus, the expected Messiah, had been submitted to a severe trial by the scandal of the cross. At his arrest, his condemnation and death, they were dispersed. Now they are together again, perplexed and bewildered. But the Risen One himself comes in response to their thirst for greater certainty. This encounter was not a dream or an illusion or a subjective imagination; it was a real experience, even if unexpected, and all the more striking for that reason. "Jesus came and stood among them and said to them, ‘peace be with you!’" (Jn 20:19).

At these words their faith, which was almost spent within them, was re-kindled. The Apostles told Thomas who had been absent from that first extraordinary encounter: Yes, the Lord has fulfilled all that he foretold; he is truly risen and we have seen and touched him! Thomas however remained doubtful and perplexed. When Jesus came for a second time, eight days later in the Upper Room, he said to him: "put your finger here and see my hands; and put out your hand and place it in my side; do not be faithless, but believing!" The Apostle’s response is a moving profession of faith: "My Lord and my God!" (Jn 20:27-28).

"My Lord and my God!" We too renew that profession of faith of Thomas. I have chosen these words for my Easter greetings this year, because humanity today expects from Christians a renewed witness to the resurrection of Christ; it needs to encounter him and to know him as true God and true man. If we can recognize in this Apostle the doubts and uncertainties of so many Christians today, the fears and disappointments of many of our contemporaries, with him we can also rediscover with renewed conviction, faith in Christ dead and risen for us. This faith, handed down through the centuries by the successors of the Apostles, continues on because the Risen Lord dies no more. He lives in the Church and guides it firmly towards the fulfilment of his eternal design of salvation.

We may all be tempted by the disbelief of Thomas. Suffering, evil, injustice, death, especially when it strikes the innocent such as children who are victims of war and terrorism, of sickness and hunger, does not all of this put our faith to the test? Paradoxically the disbelief of Thomas is most valuable to us in these cases because it helps to purify all false concepts of God and leads us to discover his true face: the face of a God who, in Christ, has taken upon himself the wounds of injured humanity. Thomas has received from the Lord, and has in turn transmitted to the Church, the gift of a faith put to the test by the passion and death of Jesus and confirmed by meeting him risen. His faith was almost dead but was born again thanks to his touching the wounds of Christ, those wounds that the Risen One did not hide but showed, and continues to point out to us in the trials and sufferings of every human being.

"By his wounds you have been healed" (1 Pt 2:24). This is the message Peter addressed to the early converts. Those wounds that, in the beginning were an obstacle for Thomas’s faith, being a sign of Jesus’ apparent failure, those same wounds have become in his encounter with the Risen One, signs of a victorious love. These wounds that Christ has received for love of us help us to understand who God is and to repeat: "My Lord and my God!" Only a God who loves us to the extent of taking upon himself our wounds and our pain, especially innocent suffering, is worthy of faith.

How many wounds, how much suffering there is in the world! Natural calamities and human tragedies that cause innumerable victims and enormous material destruction are not lacking. My thoughts go to recent events in Madagascar, in the Solomon Islands, in Latin America and in other regions of the world. I am thinking of the scourge of hunger, of incurable diseases, of terrorism and kidnapping of people, of the thousand faces of violence which some people attempt to justify in the name of religion, of contempt for life, of the violation of human rights and the exploitation of persons. I look with apprehension at the conditions prevailing in several regions of Africa. In Darfur and in the neighbouring countries there is a catastrophic, and sadly to say underestimated, humanitarian situation. In Kinshasa in the Democratic Republic of the Congo the violence and looting of the past weeks raises fears for the future of the Congolese democratic process and the reconstruction of the country. In Somalia the renewed fighting has driven away the prospect of peace and worsened a regional crisis, especially with regard to the displacement of populations and the traffic of arms. Zimbabwe is in the grip of a grievous crisis and for this reason the Bishops of that country in a recent document indicated prayer and a shared commitment for the common good as the only way forward.

Likewise the population of East Timor stands in need of reconciliation and peace as it prepares to hold important elections. Elsewhere too, peace is sorely needed: in Sri Lanka only a negotiated solution can put an end to the conflict that causes so much bloodshed; Afghanistan is marked by growing unrest and instability; In the Middle East, besides some signs of hope in the dialogue between Israel and the Palestinian authority, nothing positive comes from Iraq, torn apart by continual slaughter as the civil population flees. In Lebanon the paralysis of the country’s political institutions threatens the role that the country is called to play in the Middle East and puts its future seriously in jeopardy. Finally, I cannot forget the difficulties faced daily by the Christian communities and the exodus of Christians from that blessed Land which is the cradle of our faith. I affectionately renew to these populations the expression of my spiritual closeness.

Dear Brothers and sisters, through the wounds of the Risen Christ we can see the evils which afflict humanity with the eyes of hope. In fact, by his rising the Lord has not taken away suffering and evil from the world but has vanquished them at their roots by the superabundance of his grace. He has countered the arrogance of evil with the supremacy of his love. He has left us the love that does not fear death, as the way to peace and joy. "Even as I have loved you – he said to his disciples before his death – so you must also love one another" (cf. Jn 13:34).

Brothers and sisters in faith, who are listening to me from every part of the world! Christ is risen and he is alive among us. It is he who is the hope of a better future. As we say with Thomas: "My Lord and my God!", may we hear again in our hearts the beautiful yet demanding words of the Lord: "If any one serves me, he must follow me; and where I am, there shall my servant be also; if any one serves me, the Father will honour him" (Jn 12:26). United to him and ready to offer our lives for our brothers (cf. 1 Jn 3:16), let us become apostles of peace, messengers of a joy that does not fear pain – the joy of the Resurrection. May Mary, Mother of the Risen Christ, obtain for us this Easter gift. Happy Easter to you all.

[00502-02.01] [Original text: Italian]

TRADUZIONE IN LINGUA TEDESCA

Brüder und Schwestern in aller Welt,
Männer und Frauen guten Willens!

Christus ist auferstanden! Der Friede sei mit Euch! Heute feiern wir das große Mysterium, das Fundament des Glaubens und der christlichen Hoffnung: Jesus von Nazareth, der Gekreuzigte, ist am dritten Tag von den Toten erstanden, nach der Schrift. Die Botschaft, welche die Engel im Morgengrauen jenes ersten Tages nach dem Sabbat Maria Magdalena und den anderen Frauen, die zum Grab geeilt waren, verkündeten, hören wir heute wieder neu mit innerer Ergriffenheit: „Was sucht ihr den Lebenden bei den Toten? Er ist nicht hier, sondern er ist auferstanden" (Lc 24,5-6).

Es ist nicht schwer, sich vorzustellen, was diese Frauen in jenem Moment empfanden: Traurigkeit und Erschütterung über den Tod ihres Herrn mischten sich mit Unglauben und Staunen über das, was zu außerordentlich erschien, um wahr sein zu können. Das Grab aber war offen und leer: Der Leichnam war nicht mehr da. Petrus und Johannes liefen auf die Nachricht der Frauen hin schnell zum Grab und stellten fest, daß diese recht berichtet hatten. Der Glaube der Apostel an Jesus, den erwarteten Messias, war durch das Ärgernis des Kreuzes auf eine sehr harte Probe gestellt worden. Bei Jesu Festnahme und angesichts seiner Verurteilung und seines Todes waren alle auseinandergelaufen; nun hatten sie sich wieder zusammengefunden, ratlos und verwirrt. Doch der Auferstandene selbst kam ihrem ungläubigen Verlangen nach Sicherheiten entgegen: Diese Begegnung war kein Traum, keine Illusion oder subjektive Vorstellung; es war eine reale, wenn auch unerwartete und gerade deshalb besonders eindrucksvolle Erfahrung. „Jesus kam, trat in ihre Mitte und sagte zu ihnen: »Friede sei mit euch!« (Joh 20,19).

Bei diesen Worten flammte in ihren Herzen der beinahe erloschene Glaube wieder auf. Die Apostel berichteten dem Thomas, der bei dieser ersten außergewöhnlichen Begegnung nicht zugegen gewesen war: Jawohl, der Herr hat erfüllt, was er angekündigt hatte; er ist wirklich auferstanden, und wir haben ihn gesehen und angefaßt! Thomas aber blieb zweifelnd und unschlüssig. Als Jesus acht Tage darauf zum zweiten Mal in den Abendmahlssaal kam, sagte er zu ihm: „Streck deinen Finger aus – hier sind meine Hände! Streck deine Hand aus und leg sie in meine Seite, und sei nicht ungläubig, sondern gläubig!" Die Antwort des Apostels ist ein bewegendes Glaubensbekenntnis: „Mein Herr und mein Gott!" (Joh 20,27-28).

„Mein Herr und mein Gott!" Gemeinsam wollen auch wir das Glaubensbekenntnis des Thomas erneuern. Als österlichen Glückwunsch habe ich in diesem Jahr gerade seine Worte gewählt, denn die heutige Menschheit erwartet von den Christen ein neuerliches Zeugnis der Auferstehung Christi; sie hat es nötig, ihm zu begegnen und ihn kennenzulernen als wahren Gott und wahren Menschen. Wenn wir bei diesem Apostel die Zweifel und Unsicherheiten so vieler heutiger Christen, die Ängste und Enttäuschungen unzähliger unserer Zeitgenossen feststellen können, dann können wir mit ihm auch den Glauben an den für uns gestorbenen und auferstandenen Christus mit erneuter Überzeugung wiederentdecken. Dieser Glaube, der im Laufe der Jahrhunderte von den Nachfolgern der Apostel weitergegeben wurde, besteht weiter, denn der auferstandene Herr stirbt nicht mehr. Er lebt in der Kirche und führt sie sicher bis zur Vollendung seines ewigen Heilsplanes.

Jeder von uns kann versucht sein, dem Unglauben des Thomas zu verfallen. Der Schmerz, das Böse, die Ungerechtigkeiten, der Tod, besonders wenn Unschuldige betroffen sind – zum Beispiel die Kinder, die Krieg und Terrorismus, Krankheiten und Hunger zum Opfer fallen – stellt all das unseren Glauben etwa nicht auf eine harte Probe? Und doch ist uns paradoxerweise gerade in diesen Fällen der Unglaube des Thomas nützlich und wertvoll, weil er uns hilft, alle falschen Vorstellungen von Gott zu läutern, und uns dazu führt, sein wahres Angesicht zu entdecken: das Angesicht eines Gottes, der in Christus die Qualen der verwundeten Menschheit auf sich genommen hat. Thomas hat die Gabe eines durch Jesu Passion und Tod geprüften und durch die Begegnung mit Ihm als dem Auferstandenen bestärkten Glaubens vom Herrn empfangen und an die Kirche weitergegeben. Eines Glaubens, der fast gestorben war und dank der Berührung mit Christi Wunden wiedergeboren wurde – mit jenen Wunden, die der Auferstandene nicht verborgen, sondern gezeigt hat und auf die er uns in der Not und den Leiden eines jeden Menschen immer noch hinweist.

„Durch seine Wunden seid ihr geheilt" (1 Petr 2,24) – das ist die Botschaft, die Petrus an die ersten Konvertiten richtete. Diese Wunden, die für den Glauben des Thomas zuerst ein Hindernis darstellten, da sie Zeichen des augenscheinlichen Scheiterns Jesu waren, diese selben Wunden sind in der Begegnung mit dem Auferstandenen Beweise einer siegreichen Liebe geworden. Diese Wunden, die Christus sich aus Liebe zu uns zugezogen hat, helfen uns zu begreifen, wer Gott ist, und selber nachzusprechen: „Mein Herr und mein Gott." Nur ein Gott, der uns so liebt, daß er unsere Wunden und unseren Schmerz – vor allem den der Unschuldigen – auf sich nimmt, ist glaubwürdig.

Wie viele Verwundungen, wieviel Schmerz ist in der Welt! Es fehlt nicht an Naturkatastrophen und menschlichen Tragödien, die unzählige Opfer fordern und ungeheure materielle Schäden verursachen. Ich denke daran, was jüngst in Madagaskar, auf den Salomon-Inseln, in Lateinamerika und in anderen Regionen der Welt geschehen ist. Ich denke an die Plage des Hungers, an die unheilbaren Krankheiten, an den Terrorismus und an die Geiselnahmen, an die tausend Gesichter der – manchmal im Namen der Religion gerechtfertigten – Gewalt, an die Geringschätzung des Lebens und an die Verletzung der Menschenrechte, an die Ausbeutung von Menschen. Mit Besorgnis sehe ich die Lage, in der sich nicht wenige Regionen Afrikas befinden: In Darfur und in den Nachbarländern dauert eine katastrophale und leider unterschätzte humanitäre Situation an; in Kinshasa, in der Demokratischen Republik Kongo lassen die Zusammenstöße und Plünderungen der vergangenen Wochen um die Zukunft des kongolesischen demokratischen Prozesses und um den Wiederaufbau des Landes fürchten; in Somalia rückt die Wiederaufnahme der Gefechte die Friedensaussicht in die Ferne und belastet die regionale Krise, besonders was die Bevölkerungsbewegungen und den Waffenhandel betrifft; eine schwere Krise peinigt Simbabwe, für deren Überwindung die Bischöfe des Landes in einem Dokument kürzlich als einzigen Weg das Gebet und den gemeinsamen Einsatz für das Gute angegeben haben.

Versöhnung und Frieden braucht die Bevölkerung von Ost-Timor, die wichtigen Wahlen entgegengeht. Frieden brauchen auch Sri Lanka, wo nur eine auf dem Verhandlungsweg gefundene Lösung dem Drama des blutigen Konflikts ein Ende setzen kann, und Afghanistan, das von zunehmender Unruhe und Instabilität gezeichnet ist. Im Mittleren Osten gibt es neben Zeichen der Hoffnung im Dialog zwischen Israel und den palästinensischen Autoritäten leider keine positiven Signale aus dem Irak, der fortdauernd von blutigen Gemetzeln heimgesucht ist, während die Zivilbevölkerungen fliehen; im Libanon bedroht die Pattsituation der politischen Institutionen die Rolle, die das Land im nahöstlichen Raum erfüllen sollte, und belastet stark seine Zukunft. Schließlich kann ich nicht die Schwierigkeiten unerwähnt lassen, mit denen sich die christlichen Gemeinden täglich auseinandersetzen müssen, und die Auswanderung der Christen aus dem Heiligen Land, der Wiege unseres Glaubens. Diesen Bevölkerungen möchte ich mit Liebe erneut versichern, daß ich ihnen im Geiste nahe bin.

Liebe Brüder und Schwestern, durch die Wunden des auferstandenen Christus können wir die Übel, welche die Menschheit quälen, mit Augen der Hoffnung sehen. Der Herr hat zwar in seiner Auferstehung das Leid und das Böse nicht aus der Welt genommen, aber er hat es mit der Überfülle seiner Gnade an der Wurzel besiegt. Der Übermacht des Bösen hat er die Allmacht seiner Liebe entgegengesetzt. Er hat uns als Weg zum Frieden und zur Freude die Liebe hinterlassen, die den Tod nicht fürchtet. „Wie ich euch geliebt habe", hat er vor seinem Sterben zu den Aposteln gesagt, „so sollt auch ihr einander lieben" (Joh 13,34).

Brüder und Schwestern im Glauben, die ihr mich in allen Teilen der Erde hört! Der auferstandene Christus lebt unter uns; er ist die Hoffnung auf eine bessere Zukunft. Während wir mit Thomas sagen: „Mein Herr und mein Gott!", möge in unseren Herzen das freundliche, aber anspruchsvolle Wort des Herrn nachklingen: „Wenn einer mir dienen will, folge er mir nach; und wo ich bin, dort wird auch mein Diener sein. Wenn einer mir dient, wird der Vater ihn ehren" (Joh 12,26). Und wenn wir, mit ihm vereint, bereit sind, unser Leben für unsere Brüder und Schwestern einzusetzen (vgl. 1 Joh 3, 16), dann werden auch wir Apostel des Friedens, Boten einer Freude, die den Schmerz nicht fürchtet, der Auferstehungsfreude. Diese österliche Gabe erwirke uns Maria, die Mutter des auferstandenen Christus. Frohe Ostern Euch allen!

[00502-05.01] [Originalsprache: Italienisch]

TRADUZIONE IN LINGUA SPAGNOLA

Hermanos y hermanas del mundo entero,
¡hombres y mujeres de buena voluntad!

¡Cristo ha resucitado! ¡Paz a vosotros! Se celebra hoy el gran misterio, fundamento de la fe y de la esperanza cristiana: Jesús de Nazaret, el Crucificado, ha resucitado de entre los muertos al tercer día, según las Escrituras. El anuncio dado por los ángeles, al alba del primer día después del sábado, a Maria la Magdalena y a las mujeres que fueron al sepulcro, lo escuchamos hoy con renovada emoción: "¿Por qué buscáis entre los muertos al que vive? No está aquí, ha resucitado!" (Lc 24,5-6).

No es difícil imaginar cuales serían, en aquel momento, los sentimientos de estas mujeres: sentimientos de tristeza y desaliento por la muerte de su Señor, sentimientos de incredulidad y estupor ante un hecho demasiado sorprendente para ser verdadero. Sin embargo, la tumba estaba abierta y vacía: ya no estaba el cuerpo. Pedro y Juan, avisados por las mujeres, corrieron al sepulcro y verificaron que ellas tenían razón. La fe de los Apóstoles en Jesús, el Mesías esperado, había sufrido una dura prueba por el escándalo de la cruz. Durante su detención, condena y muerte se habían dispersado, y ahora se encontraban juntos, perplejos y desorientados. Pero el mismo Resucitado se hizo presente ante su sed incrédula de certezas. No fue un sueño, ni ilusión o imaginación subjetiva aquel encuentro; fue una experiencia verdadera, aunque inesperada y justo por esto particularmente conmovedora. "Entró Jesús, se puso en medio y les dijo: «Paz a vosotros»" (Jn 20,19).

Ante aquellas palabras, se reavivó la fe casi apagada en sus ánimos. Los Apóstoles lo contaron a Tomás, ausente en aquel primer encuentro extraordinario: ¡Sí, el Señor ha cumplido cuanto había anunciado; ha resucitado realmente y nosotros lo hemos visto y tocado! Tomás, sin embargo, permaneció dudoso y perplejo. Cuando, ocho días después, Jesús vino por segunda vez al Cenáculo le dijo: "Trae tu dedo, aquí tienes mis manos; trae tu mano y métela en mi costado; y no seas incrédulo, sino creyente!". La respuesta del apóstol es una conmovedora profesión de fe: "¡Señor mío y Dios mío!" (Jn 20,27-28).

"¡Señor mío y Dios mío!". Renovemos también nosotros la profesión de fe de Tomás. Como felicitación pascual, este año, he elegido justamente sus palabras, porque la humanidad actual espera de los cristianos un testimonio renovado de la resurrección de Cristo; necesita encontrarlo y poder conocerlo como verdadero Dios y verdadero Hombre. Si en este Apóstol podemos encontrar las dudas y las incertidumbres de muchos cristianos de hoy, los miedos y las desilusiones de innumerables contemporáneos nuestros, con él podemos redescubrir también con renovada convicción la fe en Cristo muerto y resucitado por nosotros. Esta fe, transmitida a lo largo de los siglos por los sucesores de los Apóstoles, continúa, porque el Señor resucitado ya no muere más. Él vive en la Iglesia y la guía firmemente hacia el cumplimiento de su designio eterno de salvación.

Cada uno de nosotros puede ser tentado por la incredulidad de Tomás. ¿El dolor, el mal, las injusticias, la muerte, especialmente cuando afectan a los inocentes - por ejemplo, los niños víctimas de la guerra y del terrorismo, de las enfermedades y del hambre-, ¿no someten quizás nuestra fe a dura prueba? No obstante, justo en estos casos, la incredulidad de Tomás nos resulta paradójicamente útil y preciosa, porque nos ayuda a purificar toda concepción falsa de Dios y nos lleva a descubrir su rostro auténtico: el rostro de un Dios que, en Cristo, ha cargado con las llagas de la humanidad herida. Tomás ha recibido del Señor y, a su vez, ha transmitido a la Iglesia el don de una fe probada por la pasión y muerte de Jesús, y confirmada por el encuentro con Él resucitado. Una fe que estaba casi muerta y ha renacido gracias al contacto con las llagas de Cristo, con las heridas que el Resucitado no ha escondido, sino que ha mostrado y sigue indicándonos en las penas y los sufrimientos de cada ser humano.

"Sus heridas os han curado" (1 P 2,24), éste es el anuncio que Pedro dirigió a los primeros convertidos. Aquellas llagas, que en un primer momento fueron un obstáculo a la fe para Tomás, porque eran signos del aparente fracaso de Jesús; aquellas mismas llagas se han vuelto, en el encuentro con el Resucitado, pruebas de un amor victorioso. Estas llagas que Cristo ha contraído por nuestro amor nos ayudan a entender quién es Dios y a repetir también: "Señor mío y Dios mío". Sólo un Dios que nos ama hasta cargar con nuestras heridas y nuestro dolor, sobre todo el dolor inocente, es digno de fe.

¡Cuántas heridas, cuánto dolor en el mundo! No faltan calamidades naturales y tragedias humanas que provocan innumerables víctimas e ingentes daños materiales. Pienso en lo que ha ocurrido recientemente en Madagascar, en las Islas Salomón, en América latina y en otras Regiones del mundo. Pienso en el flagelo del hambre, en las enfermedades incurables, en el terrorismo y en los secuestros de personas, en los mil rostros de la violencia - a veces justificada en nombre de la religión -, en el desprecio de la vida y en la violación de los derechos humanos, en la explotación de la persona. Miro con aprensión las condiciones en que se encuentran tantas regiones de África: en el Darfur y en los Países cercanos se da una situación humanitaria catastrófica y por desgracia infravalorada; en Kinshasa, en la República Democrática del Congo, los choques y los saqueos de las pasadas semanas hacen temer por el futuro del proceso democrático congoleño y por la reconstrucción del País; en Somalia la reanudación de los combates aleja la perspectiva de la paz y agrava la crisis regional, especialmente por lo que concierne a los desplazamientos de la población y al tráfico de armas; una grave crisis atenaza Zimbabwe, para la cual los Obispos del País, en un reciente documento, han indicado como única vía de superación la oración y el compromiso compartido por el bien común.

Necesitan reconciliación y paz: la población de Timor Este, que se prepara a vivir importantes convocatorias electorales; Sri Lanka, donde sólo una solución negociada pondrá punto final al drama del conflicto que lo ensangrienta; Afganistán, marcado por una creciente inquietud e inestabilidad. En Medio Oriente - junto con señales de esperanza en el diálogo entre Israel y la Autoridad palestina -, por desgracia nada positivo viene de Irak, ensangrentado por continuas matanzas, mientras huyen las poblaciones civiles; en el Líbano el estancamiento de las instituciones políticas pone en peligro el papel que el País está llamado a desempeñar en el área de Medio Oriente e hipoteca gravemente su futuro. No puedo olvidar, por fin, las dificultades que las comunidades cristianas afrontan cotidianamente y el éxodo de los cristianos de aquella Tierra bendita que es la cuna de nuestra fe. A aquellas poblaciones renuevo con afecto mi cercanía espiritual.

Queridos hermanos y hermanas: a través de las llagas de Cristo resucitado podemos ver con ojos de esperanza estos males que afligen a la humanidad. En efecto, resucitando, el Señor no ha quitado el sufrimiento y el mal del mundo, pero los ha vencido en la raíz con la superabundancia de su gracia. A la prepotencia del Mal ha opuesto la omnipotencia de su Amor. Como vía para la paz y la alegría nos ha dejado el Amor que no teme a la Muerte. "Que os améis unos a otros - dijo a los Apóstoles antes de morir – como yo os he amado" (Jn 13,34).

¡Hermanos y hermanas en la fe, que me escucháis desde todas partes de la tierra! Cristo resucitado está vivo entre nosotros, Él es la esperanza de un futuro mejor. Mientras decimos con Tomás: "¡Señor mío y Dios mío!", resuena en nuestro corazón la palabra dulce pero comprometedora del Señor: "El que quiera servirme, que me siga, y donde esté yo, allí también estará mi servidor; a quien me sirva, el Padre lo premiará" (Jn 12,26). Y también nosotros, unidos a Él, dispuestos a dar la vida por nuestros hermanos (cf. 1 Jn 3,16, nos convertimos en apóstoles de paz, mensajeros de una alegría que no teme el dolor, la alegría de la Resurrección. Que María, Madre de Cristo resucitado, nos obtenga este don pascual. ¡Feliz Pascua a todos!

[00502-04.01] [Texto original: Italiano]

TRADUZIONE IN LINGUA PORTOGHESE

Irmãos e Irmãs do mundo inteiro,
homens e mulheres de boa vontade!

Cristo ressuscitou! A paz esteja convosco! Hoje se celebra o grande mistério, fundamento da fé e da esperança cristã: Jesus de Nazaré, o Crucificado, ressuscitou dos mortos ao terceiro dia, conforme as Escrituras. O anúncio feito aos anjos, naquela aurora do primeiro dia depois do sábado, a Maria Madalena e às mulheres que foram ao sepulcro, o ouvimos hoje com renovada emoção: "Por que buscais entre os mortos aquele que está vivo? Não está aqui, mas ressuscitou!" (Lc 24,5-6).

Não é difícil imaginar quais seriam, naquele momento, os sentimentos destas mulheres: sentimentos de tristeza e desconcerto pela morte do seu Senhor, sentimentos de incredulidade e surpresa diante de um fato surpreendente demais para ser verdadeiro. O túmulo, porém, estava aberto e vazio: o corpo já não estava mais. Pedro e João, avisados pelas mulheres, correram ao sepulcro e verificaram que elas tinham razão. A fé dos Apóstolos em Jesus, o Messias esperado, tinha sido posta a uma prova duríssima pelo escândalo da cruz. Durante a sua prisão, condenação e morte os tinham dispersado, mas agora se acham novamente juntos, perplexos e desorientados. Mas o mesmo Ressuscitado faz-se presente diante da sua incrédula sede de certezas. Aquele encontro não foi um sonho, nem uma ilusão ou imaginação subjetiva; foi uma experiência verdadeira, apesar de inesperada e, precisamente por isto, particularmente comovedora. "Jesus veio e pôs-se no meio deles. Disse-lhes ele: ‘A paz esteja convosco! ’ "(Jo 20,19).

Diante daquelas palavras, a fé quase apagada nos seus corações reacende-se. Os Apóstolos referiram a Tomé, ausente naquele primeiro encontro extraordinário: Sim, o Senhor cumpriu aquilo que tinha anunciado; ressuscitou realmente e nós o vimos e o tocamos! Tomé, porém, permaneceu duvidoso e perplexo. Quando, oito dias depois, Jesus veio pela segunda vez no Cenáculo, lhe disse: "Introduz aqui o teu dedo, e vê as minhas mãos. Põe a tua mão no meu lado. Não sejas incrédulo, mas homem de fé". A resposta do Apóstolo é uma profissão de fé comovedora: "Meu Senhor, e meu Deus!" (Jo 20, 27-28).

"Meu Senhor, e meu Deus"! Renovemos também nós a profissão de fé de Tomé. Como felicitação pascoal, este ano, quis escolher precisamente estas suas palavras, porque a humanidade de hoje espera dos cristãos um testemunho renovado da ressurreição de Cristo; necessita encontrá-Lo e poder conhecê-Lo como verdadeiro Deus e verdadeiro Homem. Se neste Apóstolo podemos entrever as dúvidas e as incertezas de tantos cristãos de hoje, os medos e as desilusões de numerosos nossos contemporâneos, com ele podemos também redescobrir, com renovada convicção, a fé em Cristo morto e ressuscitado por nós. Esta fé, transmitida ao longo dos séculos pelos sucessores dos Apóstolos, continua, porque o Senhor ressuscitado já não morre mais. Ele vive na Igreja e a guia firmemente ao cumprimento do seu eterno desígnio de salvação.

Cada um de nós pode ser tentado pela incredulidade de Tomé. A dor, o mal, as injustiças, a morte, especialmente quando afetam os inocentes - por exemplo, as crianças vítimas das guerras e do terrorismo, das doenças e da fome - por acaso não submetem nossa fé à dura prova? No entanto, precisamente nestes casos, a incredulidade de Tomé nos é paradoxalmente útil e preciosa, porque nos ajuda a purificar toda falsa concepção de Deus e nos leva a descobrir seu rosto autentico: o rosto de um Deus que, em Cristo, carregou sobre si as chagas da humanidade ferida. Tomé recebeu do Senhor e, por sua vez, transmitiu à Igreja o dom da fé experimentada pela paixão e morte de Jesus e confirmada pelo encontro com Ele ressuscitado. Uma fé que estava quase morta e renasceu graças ao contato com as chagas de Cristo, com as feridas que o Ressuscitado não escondeu, mas mostrou e continua indicando-nos nas penas e nos sofrimentos de cada ser humano.

"Pelas suas chagas fostes curados" (1Ped 2,24), este é anúncio que Pedro dirigiu aos primeiros convertidos. Aquelas chagas, que inicialmente foram para Tomé um obstáculo para a fé, porque eram sinais do aparente fracasso de Jesus; aquelas mesmas chagas tornaram-se, no encontro com o Ressuscitado, provas de um amor vitorioso. Estas chagas que Cristo assumiu por nosso amor, nos ajudam a entender quem é Deus e a repetir também: "Meu Senhor, e meu Deus". Somente um Deus que nos ama a ponto de carregar sobre si com as nossas feridas e nossa dor, sobretudo a dor inocente, é digno de fé.

Quantas feridas, quantas dores no mundo! Não faltam calamidades naturais e tragédias humanas que provocam numerosas vítimas e ingentes danos materiais. Penso no que aconteceu recentemente em Madagascar, nas Ilhas Salomão, na América Latina e em outras Regiões do mundo. Penso no flagelo da fome, nas doenças incuráveis, no terrorismo e nos seqüestros de pessoas, nos mil rostos da violência - às vezes justificada em nome da religião -, no desprezo da vida e na violação dos direitos humanos, na exploração da pessoa. Vejo com apreensão as condições em que se encontram tantas regiões da África: no Darfur e nos Países vizinhos persiste uma situação humanitária catastrófica e infelizmente menosprezada; em Kinshasa, na República Democrática do Congo, os choques e os saqueios das semanas passadas fazem temer pelo futuro do processo democrático congolês e pela reconstrução do País; na Somália a retomada dos combates afasta a perspectiva da paz e agrava a crise regional, especialmente no que se refere aos deslocamentos da população e ao tráfego de armas; uma grave crise aflige o Zimbábue, para a qual os Bispos do País, num recente documento, indicaram como única via de superação a oração e o compromisso compartilhado pelo bem comum.

De reconciliação e de paz necessita a população de Timor Leste, que se prepara a viver importantes convocatórias eleitorais. De paz necessitam também o Sri Lanka, onde só uma solução negociada porá ponto final ao drama do conflito que o ensangüenta, e o Afeganistão, marcado por uma crescente inquietação e instabilidade. No Oriente Médio, junto com sinais de esperança no diálogo entre Israel e a Autoridade palestinense, nada de positivo, infelizmente, vem do Iraque, ensangüentado por contínuas matanças, enquanto fogem as populações civis; no Líbano a paralise das instituições políticas põe em perigo o papel que o País está chamado a desempenhar na área do Oriente Médio e hipoteca gravemente seu futuro. Não posso esquecer, enfim, as dificuldades que as comunidades cristãs enfrentam quotidianamente e o êxodo dos cristãos daquela Terra bendita que é o berço da nossa fé. Àquelas populações renovo com afeto minha proximidade espiritual.

Queridos irmãos e irmãs: através das chagas de Cristo ressuscitado podemos ver com olhos de esperança estes males que afligem a humanidade. Com efeito, ressuscitando, o Senhor não tirou o sofrimento e o mal que aflige a humanidade, mas venceu-os pela raiz com a superabundância da sua Graça. À prepotência do mal opôs a onipotência do seu Amor. Como via para a paz e a alegria deixou-nos o Amor que não teme a morte. "Como eu vos tenho amado - disse aos Apóstolos antes de morrer - assim também vós deveis amar-vos uns aos outros" (Jo 13,34).

Irmãos e irmãs na fé, que me escutais de todas as partes da terra! Cristo ressuscitado está vivo entre nós, Ele é a esperança de um futuro melhor. Enquanto dizemos com Tomé: "Meu Senhor, e meu Deus"!, ressoe em nosso coração a palavra doce mas comprometedora do Senhor: "Se alguém me quer servir, siga-me; e onde eu estiver, estará ali também o meu servo. Se alguém me serve, meu Pai o honrará" (Jo 12,26). E também nós, unidos a Ele, dispostos a dar a vida pelos nossos irmãos (cf. 1Jo 3,16), nos convertemos em apóstolos da paz, mensageiros de uma alegria que não teme a dor, a alegria da Ressurreição. Que Maria, Mãe de Cristo ressuscitado nos obtenha este dom pascoal. Feliz Páscoa a todos!

[00502-06.01] [Texto original: Italiano]

TRADUZIONE IN LINGUA GRECA

Αγαπητοί Αδελφοί και Αδελφές σε ολόκληρο τον κόσμο,
Άνδρες και γυναίκες καλής θελήσεως,

Χριστός Ανέστη! Ειρήνη Υμίν! Σήμερα εορτάζομε το μέγα μυστήριο, το θεμέλιο της χριστιανικής πίστεως και ελπίδος: ο Ιησούς ο Ναζωραίος, ο Εσταυρωμένος, ανέστη εκ των νεκρών την τρίτη ημέρα κατά τας Γραφάς. Ακούμε σήμερα με ανανεωμένη συγκίνηση την είδηση που διακηρύσσεται από τους αγγέλους την αυγή της πρώτης ημέρας μετά το Σάββατο, προς την Μαρία την Μαγδαληνή και τις γυναίκες παρά τω μνημείω: «Τι ζητείτε τον ζώντα μετά των νεκρών; ουκ έστιν ώδε, αλλά ηγέρθη» (Λουκ. 24:5-6).

Δεν είναι δύσκολο να φαντασθούμε τα συναισθήματα αυτών των γυναικών εκείνη τη στιγμή: συναισθήματα λύπης και αποκαρδιώσεως για το θάνατο του Κυρίου των, αισθήματα δυσπιστίας και σαστίσματος ενώπιον ενός γεγονότος υπερβολικά εκπληκτικού για να είναι αληθινό. Το μνημείον όμως ήταν ανοικτό και κενό: το σώμα δεν ήταν πλέον εκεί. Ο Πέτρος και ο Ιωάννης, που το επληροφορήθησαν από τις γυναίκες, έσπευσαν προς τον τάφο και διεπίστωσαν ότι εκείνες είχαν δίκιο.  Η πίστη των Αποστόλων στον Ιησού, τον αναμενόμενο Μεσσία, είχε υποβληθεί σε σοβαρή δοκιμασία από το σκάνδαλο του Σταυρού. Με τη σύλληψη, την καταδίκη και το θάνατό Του, διεσκορπίσθησαν. Τώρα είναι και πάλι μαζί, προβληματισμένοι και σαστισμένοι. Όμως ο ίδιος ο Αναστάς έρχεται να ανταποκριθεί στη δίψα τους για μεγαλύτερη βεβαιότητα. Η συνάντηση αυτή δεν ήταν όνειρο ή παραίσθηση ή προϊόν υποκειμενικής φαντασίας· ήταν εμπειρία πραγματική, μολονότι απροσδόκητη, και γι’ αυτό ακριβώς ακόμη πιο εκπληκτική. «Ήλθεν ο Ιησούς και έστη εις το μέσον και λέγει αυτοίς, Ειρήνη υμίν» (Ιω. 20:19).

Στο άκουσμα αυτών των λόγων, η πίστις τους, η οποία είχε σχεδόν αναλωθεί εντός τους, ανεζωπυρώθη. Οι Απόστολοι είπαν προς τον Θωμά, ο οποίος ήταν απών από εκείνη την πρώτη εκπληκτική συνάντηση: Ναι, ο Κύριος έχει εκπληρώσει όλα όσα προείπε· αληθώς ανέστη, τον είδαμε και τον αγγίξαμε! Παρά ταύτα, ο Θωμάς παρέμενε αβέβαιος και προβληματισμένος. Όταν ο Ιησούς ήλθε διά δευτέραν φοράν, οκτώ ημέρες αργότερα, εις το «ανάγαιον» (ανώγι), είπε προς τον Θωμά: «Φέρε τον δάκτυλόν σου ώδε, και ίδε τας χείρας μου, και φέρε την χείρα σου και βάλε εις την πλευράν μου, και μη γίνου άπιστος αλλά πιστός». Η απάντηση του Αποστόλου είναι μία συγκινητική διακήρυξη πίστεως: «Ο Κύριός μου και ο Θεός μου» (Ιω. 20:27-28).

«Ο Κύριός μου και ο Θεός μου»! Και εμείς επίσης ανανεώνουμε εκείνη την διακήρυξη πίστεως του Θωμά. Επέλεξα αυτές τις λέξεις για τον πασχάλιο χαιρετισμό μου φέτος, διότι σήμερα η ανθρωπότητα αναμένει από τους Χριστιανούς μία ανανεωμένη μαρτυρία της Αναστάσεως του Χριστού· έχει ανάγκη να Τον συναντήσει και να Τον γνωρίσει ως αληθή Θεό και αληθή άνθρωπο. Εάν σε αυτό τον Απόστολο αναγνωρίζωμε τις αμφιβολίες και τις αβεβαιότητες τόσο πολλών σημερινών Χριστιανών, τους φόβους και τις απογοητεύσεις πολλών εκ των συγχρόνων μας, μπορούμε επίσης μαζί του να ανακαλύψωμε με ανανεωμένη πεποίθηση, την πίστη στον δι’ ημάς θανόντα και αναστάντα Χριστόν. Η πίστη αυτή, παραδοθείσα μέσα από τους αιώνες υπό των διαδόχων των Αποστόλων, εξακολουθεί, διότι ο Αναστάς Κύριος δεν πεθαίνει πλέον. Ζει εν τη Εκκλησία και την οδηγεί σταθερά προς την εκπλήρωση του αιωνίου Του σχεδίου προς τη σωτηρία μας.

Ίσως όλοι να νιώθουμε τον πειρασμό της δυσπιστίας του Θωμά. Ταλαιπωρίες, δεινά, αδικία, θάνατος, ιδίως όταν πλήττουν αθώους, όπως παιδιά τα οποία γίνονται θύματα πολέμου, τρομοκρατίας, ασθενειών ή λιμού, άραγε όλα αυτά δεν θέτουν την πίστη μας σε δοκιμασία; Παραδόξως, η δυσπιστία του Θωμά είναι εξαιρετικά πολύτιμη για μας σε αυτές τις περιπτώσεις, διότι μας βοηθά να καθαρθούμε από όλες τις ψευδείς περί Θεού αντιλήψεις και μας οδηγεί να ανακαλύψωμε το αληθές Του πρόσωπο: το πρόσωπο ενός Θεού, ο οποίος, εν Χριστώ, πήρε επάνω του τις πληγές της τραυματισμένης ανθρωπότητος. Ο Θωμάς δέχθηκε από τον Κύριο και, με τη σειρά του, μετέδωσε στην Εκκλησία το δώρο μιας πίστεως, η οποία ετέθη σε δοκιμασία από το Πάθος και τον θάνατο του Ιησού και επιβεβαιώθηκε από τη συνάντηση με τον ίδιο, όταν ανεστήθη. Η πίστη του Θωμά είχε σχεδόν πεθάνει, αλλά ξαναγεννήθηκε χάρις στο άγγιγμα των πληγών του Χριστού, τις οποίες ο Αναστάς δεν απέκρυψε αλλά έδειξε, και εξακολουθεί να μας τις επισημαίνει, στις δοκιμασίες και τις ταλαιπωρίες κάθε ανθρωπίνου όντος.

«Ού τω μώλωπι ιάθητε» (1 Πέτρ. 2:24). Αυτό είναι το μήνυμα που ο Πέτρος απηύθυνε προς τους πρώτους προσήλυτους. Οι πληγές εκείνες, οι οποίες στην αρχή αποτελούσαν εμπόδιο για την πίστη του Θωμά, σαν σημείο φαινομενικής αποτυχίας του Ιησού, οι ίδιες εκείνες πληγές γίνονται, κατά την συνάντησή του με τον Αναστάντα, σημείο νικητήριας αγάπης. Οι πληγές που δέχθηκε ο Χριστός για την αγάπη Του προς ημάς, μας βοηθούν να κατανοήσωμε ποιος είναι ο Θεός και να επαναλάβωμε: «Ο Κύριός μου και ο Θεός μου»! Μόνο ένας Θεός, ο οποίος μας αγαπά τόσο, ώστε να πάρει επάνω του τις πληγές μας και τον πόνο μας, ιδίως τον πόνο των αθώων, είναι άξιος πίστεως.

Πόσες πληγές, πόσος πόνος υπάρχει στον κόσμο! Δεν λείπουν οι θεομηνίες και οι ανθρώπινες τραγωδίες, οι οποίες προκαλούν αναρίθμητα θύματα και τεράστιες υλικές καταστροφές. Οι σκέψεις μου κατευθύνονται προς τα πρόσφατα γεγονότα στη Μαδαγασκάρη, στις Νήσους του Σολομώντος, στη Λατινική Αμερική και σε άλλες περιοχές του κόσμου. Σκέπτομαι τις μάστιγες του λιμού, των ανίατων ασθενειών, της τρομοκρατίας και της απαγωγής ανθρώπων, τα χίλια πρόσωπα της βίας, την οποία ορισμένοι προσπαθούν να δικαιολογήσουν εν ονόματι της θρησκείας ή από περιφρόνηση προς τη ζωή ή παραβιάζοντες ανθρώπινα δικαιώματα ή εκμεταλλευόμενοι πρόσωπα. Με ανησυχία παρακολουθώ τις συνθήκες οι οποίες επικρατούν σε πολλές περιοχές της Αφρικής. Στο Darfur και στις γειτονικές χώρες παρατηρείται μία καταστροφική κατάσταση από ανθρωπιστικής πλευράς, η σοβαρότης της οποίας, λυπούμαι που το λέω, υποτιμάται. Στην Kinshasa και στη Λαϊκή Δημοκρατία του Κονγκό η βία και οι λεηλασίες των τελευταίων εβδομάδων εγείρουν φόβους για το μέλλον της δημοκρατικής διαδικασίας στο Κονγκό και της ανοικοδομήσεως της χώρας. Στη Σομαλία οι συμπλοκές που ξανάρχισαν απομακρύνουν την προοπτική της ειρηνεύσεως και επιδεινώνουν την κρίση στην περιοχή, ιδίως εις ό,τι αφορά εις τη μετακίνηση των πληθυσμών και το λαθρεμπόριο όπλων. Η Ζιμπάμπουε μαστίζεται επίσης από σοβαρή κρίση και για το λόγο αυτό οι Επίσκοποι της χώρας, σε πρόσφατο έγγραφό τους, επεσήμαναν ότι η προσευχή και η κοινή δέσμευση στο κοινό καλό αποτελούν τον μόνο δρόμο προς τα εμπρός.

Ομοίως, ο πληθυσμός του Ανατολικού Τιμόρ έχει ανάγκη συμφιλιώσεως και ειρηνεύσεως, καθώς προετοιμάζεται για τη διεξαγωγή σημαντικών εκλογών. Αλλά και αλλού υπάρχει επώδυνη ανάγκη ειρήνης: στη Σρι Λάνκα μόνο μία λύση μέσα από διαπραγματεύσεις είναι δυνατόν να θέσει τέρμα στη σύρραξη που προκαλεί τόσο μεγάλη αιματοχυσία· το Αφγανιστάν μαστίζεται από διογκούμενη αναταραχή και αστάθεια· στη Μέση Ανατολή, πέρα από κάποια ελπιδοφόρα σημεία στο διάλογο μεταξύ του Ισραήλ και της Παλαιστινιακής Αρχής, τίποτε το θετικό δεν έρχεται από το Ιράκ, που σπαράσσεται από τις συνεχιζόμενες σφαγές, καθώς ο άμαχος πληθυσμός το εγκαταλείπει. Στο Λίβανο η παράλυση των πολιτικών θεσμών της χώρας απειλεί το ρόλο που η χώρα καλείται να παίξει στη Μέση Ανατολή και θέτει σε σοβαρό κίνδυνο το μέλλον της. Τέλος, δεν μπορώ να ξεχάσω τις δυσκολίες, τις οποίες αντιμετωπίζουν καθημερινά οι χριστιανικές κοινότητες, ή την μαζική έξοδο των Χριστιανών από την ευλογημένη εκείνη Γη που αποτελεί το λίκνο της πίστεώς μας. Με αγάπη ανανεώνω την έκφραση της πνευματικής μου εγγύτητος προς αυτούς τους πληθυσμούς.

Αγαπητοί Αδελφοί και Αδελφές, μέσα από τις πληγές του Αναστάντος Χριστού μπορούμε να ατενίσουμε με ελπίδα τα δεινά που μαστίζουν την ανθρωπότητα. Στην πραγματικότητα, με την ανάστασή Του ο Κύριος δεν απεμάκρυνε τα κακοπαθήματα και τα δεινά από τον κόσμο, αλλά τα κατετρόπωσε στη ρίζα τους με την υπεραφθονία της χάρης Του. Εξουδετέρωσε την αλαζονεία του κακού με την υπεροχή της αγάπης Του. Ως δρόμο προς την ειρήνη και την ευτυχία, μας άφησε την αγάπη που δεν φοβείται τον θάνατο. «Καθώς ηγάπησα υμάς» —είπε προς τους μαθητές Του πριν από το θάνατό Του— έτσι «και υμείς αγαπάτε αλλήλους» (πρβλ. Ιω. 13:34).

Αδελφοί και Αδελφές εν τη πίστει, που με ακούτε από όλα τα μέρη του κόσμου! Ο Χριστός ανέστη και είναι ζωντανός μεταξύ ημών. Είναι Εκείνος που αποτελεί την ελπίδα για ένα καλύτερο μέλλον. Καθώς, μαζί με τον Θωμά,  θα αναφωνούμε «ο Κύριός μου και ο Θεός μου», είθε να ακούσουμε και πάλι στις καρδιές μας τον όμορφο, αλλά απαιτητικό λόγο του Κυρίου: «εάν εμοί τις διακονή, εμοί ακολουθείτω, και όπου ειμί εγώ εκεί και ο διάκονος ο εμός έσται· εάν τις εμοί διακονή, τιμήσει αυτόν ο πατήρ» (Ιω. 12:26). Ενωμένοι προς Εκείνον και πρόθυμοι να προσφέρωμε τη ζωή μας υπέρ των αδελφών μας (πρβλ. 1 Ιω. 3:16), ας γίνωμε απόστολοι ειρήνης, αγγελιοφόροι μιας χαράς που δεν φοβείται τον πόνο — της χαράς της Αναστάσεως. Είθε η Μαρία, Μητέρα του Αναστάντος Χριστού, να μας εξασφαλίσει το Πασχάλιο τούτο δώρο. Ευτυχισμένο Πάσχα σε όλους σας.

[00502-AA.01] [Testo originale: Italiano]

[B0183-XX.02]