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SANTA MESSA DELLA NOTTE NELLA SOLENNITÀ DEL NATALE DEL SIGNORE, 24.12.2005


A mezzanotte, il Santo Padre Benedetto XVI presiede, nella Patriarcale Basilica Vaticana, la Santa Messa della Notte per la Solennità del Natale del Signore 2005.
L’annuncio della nascita storica di Cristo è dato con parole dell’antico testo della Kalenda.
Quindi, il Santo Padre intona il Gloria in excelsis Deo quale inno di glorificazione a Dio per la nascita del Redentore.
Durante il canto dell’inno, alcuni bambini provenienti dai diversi Continenti presentano un omaggio floreale all’immagine di Gesù Bambino.
Nel corso della celebrazione eucaristica in Basilica, dopo la proclamazione del Santo Vangelo, il Papa tiene la seguente omelia:

OMELIA DEL SANTO PADRE

"Il Signore mi ha detto: «Tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato»". Con queste parole del Salmo secondo, la Chiesa inizia la Santa Messa della veglia di Natale, nella quale celebriamo la nascita del nostro Redentore Gesù Cristo nella stalla di Betlemme. Un volta, questo Salmo apparteneva al rituale dell'incoronazione dei re di Giuda. Il popolo d'Israele, a causa della sua elezione, si sentiva in modo particolare figlio di Dio, adottato da Dio. Siccome il re era la personificazione di quel popolo, la sua intronizzazione era vissuta come un atto solenne di adozione da parte di Dio, nel quale il re veniva, in qualche modo, coinvolto nel mistero stesso di Dio. Nella notte di Betlemme queste parole, che erano di fatto più l'espressione di una speranza che una realtà presente, hanno assunto un senso nuovo ed inaspettato. Il Bimbo nel presepe è davvero il Figlio di Dio. Dio non è solitudine perenne, ma, un circolo d'amore nel reciproco darsi e ridonarsi, Egli è Padre, Figlio e Spirito Santo.

Ancora di più: in Gesù Cristo, il Figlio di Dio, Dio stesso, Dio da Dio, si è fatto uomo. A Lui il Padre dice: "Tu sei mio figlio". L'eterno oggi di Dio è disceso nell'oggi effimero del mondo e trascina il nostro oggi passeggero nell'oggi perenne di Dio. Dio è così grande che può farsi piccolo. Dio è così potente che può farsi inerme e venirci incontro come bimbo indifeso, affinché noi possiamo amarlo. Dio è così buono da rinunciare al suo splendore divino e discendere nella stalla, affinché noi possiamo trovarlo e perché così la sua bontà tocchi anche noi, si comunichi a noi e continui ad operare per nostro tramite. Questo è Natale: "Tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato". Dio è diventato uno di noi, affinché noi potessimo essere con Lui, diventare simili a Lui. Ha scelto come suo segno il Bimbo nel presepe: Egli è così. In questo modo impariamo a conoscerlo. E su ogni bambino rifulge qualcosa del raggio di quell'oggi, della vicinanza di Dio che dobbiamo amare ed alla quale dobbiamo sottometterci – su ogni bambino, anche su quello non ancora nato.

Ascoltiamo una seconda parola della liturgia di questa Notte santa, questa volta presa dal Libro del profeta Isaia: "Su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse" (9,1). La parola "luce" pervade tutta la liturgia di questa Santa Messa. È accennata nuovamente nel brano tratto dalla lettera di san Paolo a Tito: "È apparsa la grazia" (2,11). L'espressione "è apparsa" appartiene al linguaggio greco e, in questo contesto, dice la stessa cosa che l’ebraico esprime con le parole "una luce rifulse": l’"apparizione" – l’"epifania" – è l'irruzione della luce divina nel mondo pieno di buio e pieno di problemi irrisolti. Infine, il Vangelo ci racconta che ai pastori apparve la gloria di Dio e "li avvolse di luce" (Lc 2,9). Dove compare la gloria di Dio, là si diffonde nel mondo la luce. "Dio è luce e in Lui non ci sono tenebre", ci dice san Giovanni (1 Gv 1,5). La luce è fonte di vita.

Ma luce significa soprattutto conoscenza, significa verità in contrasto col buio della menzogna e dell'ignoranza. Così la luce ci fa vivere, ci indica la strada. Ma poi, la luce, in quanto dona calore, significa anche amore. Dove c'è amore, emerge una luce nel mondo; dove c'è odio, il mondo è nel buio. Sì, nella stalla di Betlemme è apparsa la grande luce che il mondo attende. In quel Bimbo giacente nella stalla, Dio mostra la sua gloria – la gloria dell'amore, che dà in dono se stesso e che si priva di ogni grandezza per condurci sulla via dell'amore. La luce di Betlemme non si è mai più spenta. Lungo tutti i secoli ha toccato uomini e donne, "li ha avvolti di luce". Dove è spuntata la fede in quel Bambino, lì è sbocciata anche la carità – la bontà verso gli altri, l’attenzione premurosa per i deboli ed i sofferenti, la grazia del perdono. A partire da Betlemme una scia di luce, di amore, di verità pervade i secoli. Se guardiamo ai santi – da Paolo ed Agostino fino a san Francesco e san Domenico, da Francesco Saverio e Teresa d'Avila a Madre Teresa di Calcutta – vediamo questa corrente di bontà, questa via di luce che, sempre di nuovo, si infiamma al mistero di Betlemme, a quel Dio che si è fatto Bambino. Contro la violenza di questo mondo Dio oppone, in quel Bambino, la sua bontà e ci chiama a seguire il Bambino.

Insieme con l'albero di Natale, i nostri amici austriaci ci hanno portato quest’anno anche una piccola fiamma che avevano acceso a Betlemme, per dirci: il vero mistero del Natale è lo splendore interiore che viene da questo Bambino. Lasciamo che tale splendore interiore si comunichi a noi, che accenda nel nostro cuore la fiammella della bontà di Dio; portiamo tutti, col nostro amore, la luce nel mondo! Non permettiamo che questa fiamma luminosa accesa nella fede si spenga per le correnti fredde del nostro tempo! Custodiamola fedelmente e facciamone dono agli altri! In questa notte, nella quale guardiamo verso Betlemme, vogliamo anche pregare in modo speciale per il luogo della nascita del nostro Redentore e per gli uomini che là vivono e soffrono. Vogliamo pregare per la pace in Terra Santa: Guarda, Signore, quest'angolo della terra che, come tua patria, ti è tanto caro! Fa’ che lì rifulga la tua luce! Fa’ che lì arrivi la pace!

Con il termine "pace" siamo giunti alla terza parola-guida della liturgia di questa Notte santa. Il Bambino che Isaia annuncia è da lui chiamato "Principe della pace". Del suo regno si dice: "La pace non avrà fine". Ai pastori si annuncia nel Vangelo la "gloria di Dio nel più alto dei cieli" e la "pace in terra…". Una volta si leggeva: "… agli uomini di buona volontà"; nella nuova traduzione si dice: "… agli uomini che egli ama". Che significa questo cambiamento? Non conta più la buona volontà? Poniamo meglio la domanda: Quali sono gli uomini che Dio ama, e perché li ama? Dio è forse parziale? Ama forse soltanto alcuni e abbandona gli altri a se stessi? Il Vangelo risponde a queste domande mostrandoci alcune precise persone amate da Dio. Ci sono persone singole – Maria, Giuseppe, Elisabetta, Zaccaria, Simeone, Anna ecc. Ma ci sono anche due gruppi di persone: i pastori e i sapienti dell'Oriente, i cosiddetti re magi. Soffermiamoci in questa notte sui pastori. Che specie di uomini sono? Nel loro ambiente i pastori erano disprezzati; erano ritenuti poco affidabili e, in tribunale, non venivano ammessi come testimoni. Ma chi erano in realtà? Certamente non erano grandi santi, se con questo termine si intendono persone di virtù eroiche. Erano anime semplici. Il Vangelo mette in luce una caratteristica che poi, nelle parole di Gesù, avrà un ruolo importante: erano persone vigilanti. Questo vale dapprima nel senso esteriore: di notte vegliavano vicino alle loro pecore. Ma vale anche in un senso più profondo: erano disponibili per la parola di Dio, per l’Annuncio dell’angelo. La loro vita non era chiusa in se stessa; il loro cuore era aperto. In qualche modo, nel più profondo, erano in attesa di qualcosa, in attesa finalmente di Dio. La loro vigilanza era disponibilità – disponibilità ad ascoltare, disponibilità ad incamminarsi; era attesa della luce che indicasse loro la via. È questo che a Dio interessa. Egli ama tutti perché tutti sono creature sue. Ma alcune persone hanno chiuso la loro anima; il suo amore non trova presso di loro nessun accesso. Essi credono di non aver bisogno di Dio; non lo vogliono. Altri che forse moralmente sono ugualmente miseri e peccatori, almeno soffrono di questo. Essi attendono Dio. Sanno di aver bisogno della sua bontà, anche se non ne hanno un’idea precisa. Nel loro animo aperto all’attesa la luce di Dio può entrare, e con essa la sua pace. Dio cerca persone che portino e comunichino la sua pace. Chiediamogli di far sì che non trovi chiuso il nostro cuore. Facciamo in modo di essere in grado di diventare portatori attivi della sua pace – proprio nel nostro tempo.

Tra i cristiani la parola pace ha poi assunto un significato tutto speciale: è diventata una parola per designare la comunione nell'Eucaristia. In essa è presente la pace di Cristo. Attraverso tutti i luoghi dove si celebra l'Eucaristia una rete di pace si espande sul mondo intero. Le comunità raccolte intorno all’Eucaristia costituiscono un regno della pace vasto come il mondo. Quando celebriamo l'Eucaristia ci troviamo a Betlemme, nella "casa del pane". Cristo si dona a noi e ci dona con ciò la sua pace. Ce la dona perché noi portiamo la luce della pace nel nostro intimo e la comunichiamo agli altri; perché diventiamo operatori di pace e contribuiamo così alla pace nel mondo. Perciò preghiamo: Signore, compi la tua promessa! Fa’ che là dove c'è discordia nasca la pace! Fa’ che emerga l'amore là dove regna l'odio! Fa’ che sorga la luce là dove dominano le tenebre! Facci diventare portatori della tua pace! Amen.

[01688-01.02] [Testo originale: Italiano]

TRADUZIONE IN LINGUA FRANCESE

«Le Seigneur m’a dit: "Tu es mon fils; moi, aujourd’hui, je t’ai engendré"». Par ces paroles du psaume 2, l’Église commence la Messe de la veillée de Noël, dans laquelle nous célébrons la naissance de notre Rédempteur Jésus Christ, dans l’étable de Bethléem. Autrefois, ce psaume appartenait au rituel du couronnement du roi de Juda. Le peuple d’Israël, en raison de son élection, se sentait de façon particulière fils de Dieu, adopté par Dieu. Comme le roi était la personnification de ce peuple, son intronisation était vécue comme un acte solennel d’adoption de la part de Dieu, dans lequel le roi était, en quelque sorte, introduit dans le mystère même de Dieu. Dans la nuit de Bethléem, ces paroles, qui étaient en fait plutôt l’expression d’une espérance qu’une réalité présente, ont pris un sens nouveau et inattendu. L’Enfant dans la crèche est vraiment le Fils de Dieu. Dieu n’est pas solitude éternelle, mais cercle d’amour où il se donne et se redonne dans la réciprocité. Il est Père, Fils et Esprit Saint.

Plus encore: en Jésus Christ, le Fils de Dieu, Dieu lui-même, Dieu de Dieu, s’est fait homme. C’est à Lui que le Père dit: «Tu es mon fils». L’aujourd’hui éternel de Dieu est descendu dans l’aujourd’hui éphémère du monde et il entraîne notre aujourd’hui passager dans l’aujourd’hui éternel de Dieu. Dieu est si grand qu’il peut se faire petit. Dieu est si puissant qu’il peut se faire faible et venir à notre rencontre comme un enfant sans défense, afin que nous puissions l’aimer. Dieu est bon au point de renoncer à sa splendeur divine et descendre dans l’étable, afin que nous puissions le trouver et pour que, ainsi, sa bonté nous touche aussi, qu’elle se communique à nous et continue à agir par notre intermédiaire. C’est cela Noël: «Tu es mon fils; moi, aujourd’hui, je t’ai engendré». Dieu est devenu l’un de nous, afin que nous puissions être avec Lui, devenir semblables à Lui. Il a choisi comme signe l’Enfant dans la crèche: Il est ainsi. De cette façon nous apprenons à le connaître. Et sur chaque enfant resplendit quelque chose du rayon de cet aujourd’hui, de la proximité de Dieu que nous devons aimer et à laquelle nous devons nous soumettre – sur chaque enfant, même sur celui qui n’est pas encore né.

Écoutons une deuxième parole de la liturgie de cette sainte Nuit, cette fois tirée du Livre du prophète Isaïe: «Sur ceux qui habitaient le pays de l’ombre, une lumière a resplendi» (9, 1). Le mot «lumière» pénètre toute la liturgie de cette Messe. Elle est mentionnée de nouveau dans le passage tiré de la lettre de saint Paul à Tite: «La grâce de Dieu est apparue» (2, 11). L’expression «est apparue» (est manifestée) appartient au langage grec et, dans ce contexte, dit la même chose que ce que l’hébreu exprime par les mots «une lumière resplendit»: l’«apparition» – l’«épiphanie» – est l’irruption de la lumière divine dans le monde plein d’obscurité et plein de problèmes irrésolus. Enfin, l’Évangile nous rapporte que la gloire de Dieu apparut aux bergers et «les enveloppa de lumière» (Lc 2, 9). Là où paraît la gloire de Dieu, là se répand, dans le monde, la lumière. «Dieu est lumière, il n’y a pas de ténèbres en lui», dit saint Jean (1 Jn 1, 5). La lumière est source de vie.

Mais lumière signifie surtout connaissance, vérité en opposition à l’obscurité du mensonge et de l’ignorance. Ainsi, la lumière nous fait vivre, nous indique la route. Mais ensuite, la lumière, parce qu’elle donne de la chaleur, signifie aussi amour. Là où il y a de l’amour, apparaît une lumière dans le monde; là où il y a de la haine le monde est dans l’obscurité. Oui, dans l’étable de Bethléem est apparue la grande lumière que le monde attend. Dans cet Enfant couché dans l’étable, Dieu montre sa gloire – la gloire de l’amour, qui se fait don lui-même et qui se prive de toute grandeur pour nous conduire sur le chemin de l’amour. La lumière de Bethléem ne s’est plus jamais éteinte. Tout au long des siècles, elle a touché des hommes et des femmes, «elle les a enveloppés de lumière». Là où a surgi la foi en cet Enfant, là aussi a jailli la charité – la bonté envers les autres, l’attention empressée pour ceux qui sont faibles et pour ceux qui souffrent, la grâce du pardon. À partir de Bethléem, un sillage de lumière, d’amour, de vérité, envahit les siècles. Si nous regardons les saints – de Paul et Augustin, jusqu’à saint François et saint Dominique, de François-Xavier et Thérèse d’Avila à Mère Teresa de Calcutta – nous voyons ce courant de bonté, ce chemin de lumière qui, toujours de nouveau, s’enflamme au mystère de Bethléem, à ce Dieu qui s’est fait Enfant. Dans cet Enfant, Dieu oppose sa bonté à la violence de ce monde et il nous appelle à suivre l’Enfant.

Avec l’arbre de Noël, nos amis autrichiens nous ont apporté cette année aussi une petite flamme qu’ils avaient allumée à Bethléem, pour nous dire: le vrai mystère de Noël est la splendeur intérieure qui vient de cet Enfant. Laissons cette splendeur intérieure se communiquer à nous, allumer dans notre cœur la petite flamme de la bonté de Dieu; par notre amour, portons tous la lumière dans le monde! Ne permettons pas que cette flamme de lumière allumée dans la foi soit éteinte par les courants froids de notre temps! Gardons-la fidèlement et faisons-en don aux autres! En cette nuit, dans laquelle nous regardons vers Bethléem, nous voulons aussi prier de façon spéciale pour le lieu de la naissance de notre Rédempteur et pour les hommes qui y vivent et qui y souffrent. Nous voulons prier pour la paix en Terre Sainte: Regarde, Seigneur, cette région de la terre qui, étant ta patrie, t’est si chère! Fais que ta lumière y brille! Fais que la paix y advienne!

Avec le terme «paix», nous sommes arrivés à la troisième parole-guide de la liturgie de cette sainte Nuit. L’Enfant qu’Isaïe annonce est appelé par lui «Prince de la paix». On dit de son règne: «La paix n’aura pas de fin». Aux bergers sont annoncées dans l’Évangile la «gloire de Dieu au plus haut des cieux» et «la paix sur terre...». Autrefois on lisait: «...aux hommes de bonne volonté»; dans la nouvelle traduction, on dit: «...aux hommes, qu’il aime». Que signifie ce changement? La bonne volonté ne compte-t-elle plus? Posons mieux la question: qui sont les hommes que Dieu aime et pourquoi les aime-t-il? Dieu est-il partial? Aime-t-il seulement des personnes déterminées et abandonne-t-il les autres à elles-mêmes? L’Évangile répond à ces questions en nous présentant quelques personnes particulières aimées de Dieu. Ce sont des personnes précises – Marie, Joseph, Élisabeth, Zacharie, Siméon, Anne, etc. Mais il y a aussi deux groupes de personnes: les bergers et les sages de l’Orient, ceux qu’on appelle les rois mages. Arrêtons-nous en cette nuit sur les bergers. Quelle sorte d’hommes sont-ils? Dans leurs milieux, les bergers étaient méprisés; ils étaient considérés comme peu fiables et, au tribunal, ils n’étaient pas admis comme témoins. Mais qui étaient-ils en réalité? Ils n’étaient certainement pas de grands saints, si par ce terme nous entendons des personnes de vertu héroïque. C’étaient des âmes simples. L’Évangile met en lumière une caractéristique qui, par la suite, dans les paroles de Jésus, aura un rôle important: c’étaient des veilleurs. Cela vaut avant tout dans le sens extérieur: de nuit, ils veillaient auprès de leurs moutons. Mais cela vaut aussi dans un sens plus profond: ils étaient disponibles à la parole de Dieu, à l’Annonce de l’ange. Leur vie n’était pas fermée sur elle-même; leur cœur était ouvert. D’une certaine façon, au plus profond, ils attendaient quelque chose, ils attendaient finalement Dieu. Leur vigilance était disponibilité – disponibilité à écouter, disponibilité à se mettre en route; elle était une attente de la lumière qui leur indiquerait le chemin. C’est cela qui intéresse Dieu. Dieu aime tous les hommes parce que tous sont ses créatures. Mais certaines personnes ont fermé leur âme; son amour ne trouve aucun accès auprès d’eux. Ils croient qu’ils n’ont pas besoin de Dieu; ils ne le veulent pas. D’autres, qui peut-être moralement sont aussi pauvres et pécheurs, souffrent au moins de cela. Ils attendent Dieu. Ils savent qu’ils ont besoin de sa bonté, même s’ils n’en ont pas une idée précise. Dans leur cœur ouvert à l’attente, la lumière de Dieu peut entrer et, avec elle, sa paix. Dieu cherche des personnes qui apportent sa paix et qui la communiquent. Demandons-lui de faire en sorte qu’il ne trouve pas notre cœur fermé. Faisons en sorte de pouvoir devenir des porteurs actifs de sa paix – précisément dans notre temps.

Chez les chrétiens, le mot paix a pris ensuite une signification toute spéciale: elle est devenue un nom pour désigner la communion dans l’Eucharistie. En elle, la paix du Christ est présente. Grâce à tous les lieux où se célèbre l’Eucharistie, un réseau de paix s’étend sur le monde entier. Les communautés rassemblées autour de l’Eucharistie constituent un règne de paix, vaste comme le monde. Quand nous célébrons l’Eucharistie, nous nous trouvons à Bethléem, dans la «maison du pain». Le Christ se donne à nous et nous donne avec cela sa paix. Il nous la donne pour que nous portions la lumière de la paix au plus profond de nous-mêmes et que nous la communiquions aux autres; pour que nous devenions des artisans de paix et que nous contribuions ainsi à la paix dans le monde. Prions donc: Seigneur, réalise ta promesse! Fais que là où se trouve la discorde naisse la paix! Fais que là où règne la haine jaillisse l’amour! Fais que là où dominent les ténèbres surgisse la lumière! Fais-nous devenir des porteurs de ta paix! Amen.

[01688-03.02] [Texte original: Italien]

TRADUZIONE IN LINGUA INGLESE

"The Lord said to me: You are my son; this day I have begotten you". With these words of the second Psalm, the Church begins the Vigil Mass of Christmas, at which we celebrate the birth of Jesus Christ our Redeemer in a stable in Bethlehem. This Psalm was once a part of the coronation rite of the kings of Judah. The people of Israel, in virtue of its election, considered itself in a special way a son of God, adopted by God. Just as the king was the personification of the people, his enthronement was experienced as a solemn act of adoption by God, whereby the King was in some way taken up into the very mystery of God. At Bethlehem night, these words, which were really more an expression of hope than a present reality, took on new and unexpected meaning. The Child lying in the manger is truly God’s Son. God is not eternal solitude but rather a circle of love and mutual self-giving. He is Father, Son and Holy Spirit.

But there is more: in Jesus Christ, the Son of God, God himself, God from God, became man. To him the Father says: "You are my son". God’s everlasting "today" has come down into the fleeting today of the world and lifted our momentary today into God’s eternal today. God is so great that he can become small. God is so powerful that he can make himself vulnerable and come to us as a defenceless child, so that we can love him. God is so good that he can give up his divine splendour and come down to a stable, so that we might find him, so that his goodness might touch us, give itself to us and continue to work through us. This is Christmas: "You are my son, this day I have begotten you". God has become one of us, so that we can be with him and become like him. As a sign, he chose the Child lying in the manger: this is how God is. This is how we come to know him. And on every child shines something of the splendour of that "today", of that closeness of God which we ought to love and to which we must yield – it shines on every child, even on those still unborn.

Let us listen to a second phrase from the liturgy of this holy Night, one taken from the Book of the Prophet Isaiah: "Upon the people who walked in darkness a great light has shone" (Is 9:1). The word "light" pervades the entire liturgy of tonight’s Mass. It is found again in the passage drawn from Saint Paul’s letter to Titus: "The grace of God has appeared" (2:11). The expression "has appeared", in the original Greek says the same thing that was expressed in Hebrew by the words "a light has shone": this "apparition" – this "epiphany" – is the breaking of God’s light upon a world full of darkness and unsolved problems. The Gospel then relates that the glory of the Lord appeared to the shepherds and "shone around them" (Lk 2:9). Wherever God’s glory appears, light spreads throughout the world. Saint John tells us that "God is light and in him is no darkness" (1 Jn 1:5). The light is a source of life.

But first, light means knowledge; it means truth, as contrasted with the darkness of falsehood and ignorance. Light gives us life, it shows us the way. But light, as a source of heat, also means love. Where there is love, light shines forth in the world; where there is hatred, the world remains in darkness. In the stable of Bethlehem there appeared the great light which the world awaits. In that Child lying in the stable, God has shown his glory – the glory of love, which gives itself away, stripping itself of all grandeur in order to guide us along the way of love. The light of Bethlehem has never been extinguished. In every age it has touched men and women, "it has shone around them". Wherever people put their faith in that Child, charity also sprang up – charity towards others, loving concern for the weak and the suffering, the grace of forgiveness. From Bethlehem a stream of light, love and truth spreads through the centuries. If we look to the Saints – from Paul and Augustine to Francis and Dominic, from Francis Xavier and Teresa of Avila to Mother Teresa of Calcutta – we see this flood of goodness, this path of light kindled ever anew by the mystery of Bethlehem, by that God who became a Child. In that Child, God countered the violence of this world with his own goodness. He calls us to follow that Child.

Along with the Christmas tree, our Austrian friends have also brought us this year a small flame lit in Bethlehem, as if to say that the true mystery of Christmas is the inner brightness radiating from this Child. May that inner brightness spread to us, and kindle in our hearts the flame of God’s goodness; may all of us, by our love, bring light to the world! Let us keep this light-giving flame, lit in faith, from being extinguished by the cold winds of our time! Let us guard it faithfully and give it to others! On this night, when we look towards Bethlehem, let us pray in a special way for the birthplace of our Redeemer and for the men and women who live and suffer there. We wish to pray for peace in the Holy Land: Look, O Lord, upon this corner of the earth, your homeland, which is so very dear to you! Let your light shine upon it! Let it know peace!

The word "peace" brings us to a third key to the liturgy of this holy Night. The Child foretold by Isaiah is called "Prince of Peace". His kingdom is said to be one "of endless peace". The shepherds in the Gospel hear the glad tidings: "Glory to God in the highest" and "on earth, peace...". At one time we used to say: "to men of good will". Nowadays we say "to those whom God loves". What does this change mean? Is good will no longer important? We would do better to ask: who are those whom God loves, and why does he love them? Does God have favourites? Does he love only certain people, while abandoning the others to themselves? The Gospel answers these questions by pointing to some particular people whom God loves. There are individuals, like Mary, Joseph, Elizabeth, Zechariah, Simeon and Anna. But there are also two groups of people: the shepherds and the wise men from the East, the "Magi". Tonight let us look at the shepherds. What kind of people were they? In the world of their time, shepherds were looked down upon; they were considered untrustworthy and not admitted as witnesses in court. But really, who were they? To be sure, they were not great saints, if by that word we mean people of heroic virtue. They were simple souls. The Gospel sheds light on one feature which later on, in the words of Jesus, would take on particular importance: they were people who were watchful. This was chiefly true in a superficial way: they kept watch over their flocks by night. But it was also true in a deeper way: they were ready to receive God’s Word through the Angel’s proclamation. Their life was not closed in on itself; their hearts were open. In some way, deep down, they were waiting for something; ultimately, they were waiting for God.. Their watchfulness was a kind of readiness – a readiness to listen and to set out. They were waiting for a light which would show them the way. That is what is important for God. He loves everyone, because everyone is his creature. But some persons have closed their hearts; there is no door by which his love can enter. They think that they do not need God, nor do they want him. Other persons, who, from a moral standpoint, are perhaps no less wretched and sinful, at least experience a certain remorse. They are waiting for God. They realize that they need his goodness, even if they have no clear idea of what this means. Into their expectant hearts God’s light can enter, and with it, his peace. God seeks persons who can be vessels and heralds of his peace. Let us pray that he will not find our hearts closed. Let us strive to be active heralds of his peace – in the world of today.

Among Christians, the word "peace" has taken on a very particular meaning: it has become a word to designate communion in the Eucharist. There Christ’s peace is present. In all the places where the Eucharist is celebrated, a great network of peace spreads through the world. The communities gathered around the Eucharist make up a kingdom of peace as wide as the world itself. When we celebrate the Eucharist we find ourselves in Bethlehem, in the "house of bread". Christ gives himself to us and, in doing so, gives us his peace. He gives it to us so that we can carry the light of peace within and give it to others. He gives it to us so that we can become peacemakers and builders of peace in the world. And so we pray: Lord, fulfil your promise! Where there is conflict, give birth to peace! Where there is hatred, make love spring up! Where darkness prevails, let light shine! Make us heralds of your peace! Amen.

[01688-02.02] [Original text: Italian]

TRADUZIONE IN LINGUA TEDESCA

„Der Herr sprach zu mir: ‚Mein Sohn bist du; heute habe ich dich gezeugt." Mit diesen Worten aus dem Psalm 2 eröffnet die Kirche die Mitternachtsmesse zu Weihnachten, mit der wir die Geburt unseres Erlösers Jesus Christus im Stall zu Bethlehem feiern. Einst hat dieser Psalm dem Krönungsritual der Könige von Juda zugehört. Das Volk Israel wußte sich durch seine Erwählung in besonderer Weise als Gottes Sohn, als von Gott angenommen. Der König war nun die Verkörperung dieses Volkes, und seine Erhebung auf den Thron war so ein feierlicher Akt der Adoption durch Gott selber, durch den er irgendwie in das Geheimnis Gottes selbst einbezogen wurde. In der Nacht von Bethlehem haben diese Worte, die stets mehr Ausdruck einer Hoffnung als gegenwärtiger Wirklichkeit waren, einen neuen und unerwarteten Sinn angenommen. Das Kindlein in der Krippe ist wirklich Gottes Sohn. Gott ist nicht ewige Einsamkeit, sondern ein Kreis der Liebe in Hingabe und Zurückschenken: Vater, Sohn und Heiliger Geist.

Mehr noch: In Jesus Christus ist Gottes Sohn, Gott selbst ein Mensch geworden. Zu ihm sagt der Vater: „Mein Sohn bist du." Das ewige Heute Gottes ist in das vergängliche Heute dieser Welt herabgestiegen und zieht unser vergehendes Heute in Gottes immerwährendes Heute hinein. Gott ist so groß, daß er klein werden kann. Gott ist so mächtig, daß er sich wehrlos machen kann und als wehrloses Kindlein auf uns zugeht, damit wir ihn lieben können. Gott ist so gut, daß er auf seinen göttlichen Glanz verzichtet und in den Stall herabsteigt, damit wir ihn finden können und so seine Güte auch uns berührt, uns ansteckt, durch uns weiterwirkt. Das ist Weihnachten: „Mein Sohn bist du; heute habe ich dich gezeugt." Gott ist einer von uns geworden, damit wir mit ihm sein, ihm ähnlich werden können. Er hat das Kind in der Krippe zu seinem Zeichen gewählt: So ist er. So lernen wir ihn kennen. Und über jedem Kind steht etwas vom Strahl dieses Heute, von der göttlichen Nähe, die wir lieben und der wir uns beugen sollen – über jedem Kind, auch über dem ungeborenen.

Hören wir ein zweites Wort aus der Liturgie dieser Heiligen Nacht, diesmal dem Buch des Propheten Jesaja entnommen: „Über denen, die im Land der Finsternis wohnen, strahlt ein Licht auf" (9, 1). Das Wort Licht durchzieht die ganze Liturgie dieser heiligen Messe. Es klingt wieder an in der Lesung aus dem Brief des heiligen Paulus an Titus: „Die Gnade ist erschienen" (2, 11). Der Ausdruck „ist erschienen" gehört dem griechischen Sprachbereich zu und besagt dort dasselbe, was im Hebräischen „ein Licht strahlte auf" heißt: Die „Erscheinung" – die „Epiphanie" – ist das Hereinleuchten von Gottes Licht in eine Welt voller Dunkel und voller ungelöster Fragen. Schließlich erzählt uns das Evangelium davon, daß den Hirten der Glanz Gottes erschien und daß er sie „umstrahlte" (Lk 2, 9). Wo Gottes Herrlichkeit erscheint, da wird es hell in der Welt. „Gott ist Licht, und keine Finsternis ist in ihm", sagt uns der heilige Johannes (1 Joh, 1,5). Licht ist Quelle von Leben.

Licht bedeutet aber vor allem Erkenntnis, bedeutet Wahrheit im Gegensatz zum Dunkel der Lüge und der Unwissenheit. So läßt Licht uns leben, zeigt uns den Weg. Licht bedeutet aber dann, weil es Wärme schenkt, auch Liebe. Wo Liebe ist, geht ein Licht auf in der Welt; wo Haß ist, ist die Welt finster. Ja, im Stall von Bethlehem ist das große Licht erschienen, auf das die Welt wartet. In dem Kind, das da im Stall liegt, zeigt Gott seine Herrlichkeit – die Herrlichkeit der Liebe, die sich selbst verschenkt und die sich aller Größe begibt, um uns auf den Weg der Liebe zu führen. Das Licht von Bethlehem ist nicht mehr erloschen. In allen Jahrhunderten hat es Menschen berührt, hat es sie umstrahlt. Wo der Glaube an dieses Kind aufging, da blühte auch die Caritas auf – die Güte für die anderen, das Zugehen auf die Schwachen, auf die Leidenden; die Gnade des Verzeihens. Von Bethlehem her zieht sich eine Lichtspur, eine Spur der Liebe und der Wahrheit durch die Jahrhunderte: Wenn wir auf die Heiligen hinschauen von Paulus über Augustinus hinauf zu Franz von Assisi und Dominikus, über Franz Xaver und Teresa von Avila bis herauf zu Mutter Teresa – dann sehen wir diesen Strom der Güte, diesen Weg des Lichtes, der sich immer neu am Geheimnis von Bethlehem entzündet, an dem Gott, der ein Kind geworden ist. Der Gewalt dieser Welt hält Gott seine Güte in diesem Kind entgegen und ruft uns auf, dem Kind zu folgen.

Zusammen mit dem Christbaum haben uns unsere Freunde aus Österreich auch eine kleine Flamme mitgebracht, die sie in Bethlehem entzündet hatten, um uns zu sagen: Das eigentliche Geheimnis, um das es an Weihnachten geht, ist das innere Leuchten, das von diesem Kinde kommt. Lassen wir uns von diesem inneren Leuchten anstecken, das Flämmchen von Gottes Güte in unserem Herzen entzünden und tragen wir alle durch unsere Liebe Licht in die Welt; lassen wir dieses Licht nicht auslöschen durch die Zugluft der Zeit. Hüten wir es treulich und schenken wir es weiter. In dieser Nacht, in der wir auf Bethlehem schauen, wollen wir aber auch ganz besonders für den Geburtsort des Erlösers beten und für die Menschen, die dort leben und leiden. Wir wollen beten um Frieden im Heiligen Land: Herr, schau auf diesen Fleck Erde hin, der dir so lieb ist als deine menschliche Heimat. Laß dort dein Licht aufleuchten. Laß dort Friede werden.

Mit dem Wort Friede sind wir beim dritten Leitwort der Liturgie dieser Heiligen Nacht angelangt. Das Kind, das Jesaja voraussagt, wird von ihm Friedensfürst genannt. Von seiner Regierung wird gesagt: Der Friede wird ohne Ende sein. Den Hirten wird im Evangelium die Herrlichkeit Gottes in der Höhe angekündigt und der Friede auf Erden. Früher lasen wir: Friede den Menschen, die guten Willens sind; in der neuen Übersetzung heißt es: den Menschen seiner Gnade. Was bedeutet diese Änderung? Zählt der gute Wille nicht mehr? Oder fragen wir besser: Welche Menschen sind es, die Gottes Gnade erfahren, weil er sie liebt, und warum liebt er sie? Ist er parteilich? Liebt er nur Bestimmte und überläßt die anderen sich selber? Das Evangelium antwortet uns auf diese Frage, indem es uns Menschen zeigt, die von Gott geliebt sind. Da sind einzelne – Maria, Josef, Elisabeth, Zacharias, Simeon, Anna usw. Aber da sind auch zwei Gruppen von Menschen: die Hirten und die Weisen aus dem Morgenland. Bleiben wir in dieser Nacht bei den Hirten. Was sind das für Menschen? In ihrer Umwelt waren Hirten verachtet; sie galten als unzuverlässig und wurden als Zeugen bei Gericht nicht zugelassen. Aber was waren sie wirklich? Gewiß keine großen Heiligen, wenn man darunter Menschen mit heroischer Tugend versteht. Es waren einfache Seelen. Das Evangelium läßt einen Zug aufscheinen, der dann in den Worten Jesu eine große Rolle spielen wird: Es sind wachende Menschen. Das gilt zunächst in dem äußeren Sinn, daß sie nachts bei ihren Schafen wachten. Aber es gilt in einem tieferen Sinn: Sie sind ansprechbar für Gott. Ihr Leben ist nicht in sich selbst geschlossen; ihr Herz steht offen. Irgendwie im tiefsten warten sie auf ihn. Ihre Wachheit ist Bereitschaft – Bereitschaft zum Hören, Bereitschaft zum Aufbrechen; sie ist Warten auf das Licht, das uns den Weg zeigt. Darum geht es. Gott liebt alle, denn alle sind seine Geschöpfe. Aber manche Menschen haben ihre Seele zugemacht; seine Liebe findet keinen Eingang bei ihnen. Sie meinen, Gott nicht zu brauchen; sie wollen ihn nicht. Andere, die vielleicht auch in moralischer Hinsicht armselig und sündig sind, leiden doch darunter. Sie warten auf Gott. Sie wissen, daß sie seine Güte brauchen, auch wenn sie keine genaue Vorstellung davon haben. In ihre wartende Offenheit kann Gottes Licht hineintreten und mit ihm sein Friede. Gott sucht Menschen, die seinen Frieden weitertragen. Bitten wir ihn, daß er unser Herz nicht verschlossen findet. Machen wir uns bereit, aktive Träger seines Friedens zu sein – gerade in dieser Zeit.

Unter den Christen hat das Wort Friede dann eine ganz besondere Bedeutung angenommen: Es wurde ein Name für die heilige Eucharistie. In ihr ist sein Friede da. Durch all die Orte, in denen Eucharistie gefeiert wird, spannt er ein Netz des Friedens über die Welt. Die eucharistischen Gemeinden sind ein weltweites Königreich des Friedens. Wenn wir Eucharistie feiern, sind wir in Bethlehem, im „Haus des Brotes". Christus gibt sich uns und gibt uns seinen Frieden. Er gibt ihn, damit wir das Licht des Friedens in uns tragen und es weitergeben; damit wir Friedensstifter werden und so zum Frieden in der Welt beitragen. So bitten wir ihn: Herr, mache deine Verheißung wahr. Laß Frieden werden, wo Unfrieden ist. Laß Liebe aufstehen, wo Haß ist. Laß Licht werden, wo Dunkel ist. Mache uns zu Trägern deines Friedens. Amen.

[01688-05.01] [Originalsprache: Italienisch]

TRADUZIONE IN LINGUA SPAGNOLA

"El Señor me ha dicho: Tu eres mi hijo, yo te he engendrado hoy". Con estas palabras del Salmo segundo, la Iglesia inicia la Santa Misa de la vigilia de Navidad, en la cual celebramos el nacimiento de nuestro Redentor Jesucristo en el establo de Belén. En otro tiempo, este Salmo pertenecía al ritual de la coronación del rey de Judá. El pueblo de Israel, a causa de su elección, se sentía de modo particular hijo de Dios, adoptado por Dios. Como el rey era la personificación de aquel pueblo, su entronización se vivía como un acto solemne de adopción por parte de Dios, en el cual el rey estaba en cierto modo implicado en el misterio mismo de Dios. En la noche de Belén, estas palabras que de hecho eran más la expresión de una esperanza que de una realidad presente, han adquirido un significado nuevo e inesperado. El Niño en el pesebre es verdaderamente el Hijo de Dios. Dios no es soledad eterna, sino un círculo de amor en el recíproco entregarse y volverse a entregar. Él es Padre, Hijo y Espíritu Santo.

Más aún, en Jesucristo, el Hijo de Dios, Dios mismo, Dios de Dios, se ha hecho hombre. El Padre le dice: "Tu eres mi hijo". El eterno hoy de Dios ha descendido en el hoy efímero del mundo, arrastrando nuestro hoy pasajero al hoy perenne de Dios. Dios es tan grande que puede hacerse pequeño. Dios es tan potente que puede hacerse inerme y venir a nuestro encuentro como niño indefenso, a fin de que podamos amarlo. Es tan bueno que puede renunciar a su esplendor divino y descender a un establo para que podamos encontrarlo y, de este modo, su bondad nos toque, nos sea comunicada y continúe actuando a través de nosotros. Esto es la Navidad: "Tu eres mi hijo, hoy yo te he engendrado". Dios se ha hecho uno de nosotros, para que podamos estar con Él, llegar a ser semejantes a Él. Ha elegido como signo suyo al Niño en el pesebre: Él es así. De este modo aprendemos a conocerlo. Y sobre todo niño resplandece algún destello de aquel hoy, de la cercanía de Dios que debemos amar y a la cual hemos de someternos; sobre todo niño, también sobre el que aún no ha nacido.

Escuchemos una segunda palabra de la liturgia de esta Noche santa, tomada en este caso del Libro del profeta Isaías: "Sobre los que vivían en tierra de sombras, una luz brilló sobre ellos" (9,1). La palabra "luz" impregna toda la liturgia de esta Santa Misa. Se alude a ella nuevamente en el párrafo tomado de la carta de san Pablo a Tito: "se ha manifestado la gracia" (2,11). La expresión "se ha manifestado" proviene del griego y, en este contexto, significa lo mismo que el hebreo expresa con las palabras "una luz brilló"; la "manifestación" – la "epifanía" – es la irrupción de la luz divina en el mundo lleno de oscuridad y problemas sin resolver. En fin, el Evangelio relata cómo la gloria de Dios se apareció a los pastores y "los envolvió en su luz" (Lc 2, 9). Donde se manifiesta la gloria de Dios, se difunde en el mundo la luz. "Dios es luz, en Él no hay tiniebla alguna", nos dice san Juan (1 Jn 1,5). La luz es fuente de vida.

Pero luz significa sobre todo conocimiento, verdad, en contraste con la oscuridad de la mentira y de la ignorancia. Así, la luz nos hace vivir, nos indica el camino. Pero además, en cuanto da calor, significa también amor. Donde hay amor, surge una luz en el mundo; donde hay odio, el mundo queda en la oscuridad. Ciertamente, en el establo de Belén ha aparecido la gran luz que el mundo espera. El aquel Niño acostado en el pesebre, Dios muestra su gloria: la gloria del amor, que se da como don a sí mismo y que se priva de toda grandeza para conducirnos por el camino del amor. La luz de Belén nunca se ha apagado. Ha iluminado hombre y mujeres a lo largo de los siglos, "los ha envuelto en su luz". Donde ha aparecido la fe en aquel Niño, ha florecido también la caridad: la bondad hacia los demás, la atención solícita a los débiles y los que sufren, la gracia del perdón. A partir de Belén, una estela de luz, de amor y de verdad impregna los siglos. Si nos fijamos en los santos –desde Pablo y Agustín a san Francisco y santo Domingo, desde Francisco Javier a Teresa de Ávila y Madre Teresa de Calcuta-, vemos esta corriente de bondad, este camino de luz que se inflama siempre de nuevo en el misterio de Belén, en el Dios que se ha hecho Niño. Contra la violencia de este mundo, Dios opone en aquel Niño su bondad y nos llama a seguir al Niño.

Junto con el árbol de Navidad, nuestros amigos austriacos este año nos han traído también una pequeña llama que encendieron en Belén, queriendo decir así que el verdadero misterio de la Navidad es el resplandor interior que viene de este Niño. Dejemos que este resplandor interior llegue a nosotros, que prenda en nuestro corazón la llamita de la bondad de Dios; llevemos todos, con nuestro amor, la luz al mundo. No permitamos que esta llama luminosa, encendida en la fe, se apague por las corrientes frías de nuestro tiempo. Que la custodiemos fielmente y la ofrezcamos a los demás. En esta noche en que miramos hacia Belén, queremos rezar de modo especial también por el lugar del nacimiento de nuestro Redentor y por los hombres que allí viven y sufren. Queremos rezar por la paz en Tierra Santa: Mira, Señor, este rincón de la tierra, al que tanto amas por ser tu patria. Haz que ella resplandezca la luz. Haz que la paz llegue a ella.

Con el término "paz" hemos llegado a la tercera palabra clave de la liturgia de esta Noche santa. El Niño que anuncia Isaías lo llama él mismo "Príncipe de la paz". De su reino se dice: "La paz no tendrá fin". En el Evangelio, se anuncia a los pastores la "gloria de Dios en lo alto del cielo" y la "paz en la tierra". Antes se decía: "a los hombres de buena voluntad"; en las nuevas traducciones se dice: "a los hombres que él ama". ¿Por qué este cambio? ¿Ya no cuenta la buena voluntad? Formulemos mejor la pregunta: ¿Quienes son los hombres que Dios ama y por qué los ama? ¿Acaso Dios es parcial? ¿Ama tal vez sólo a determinadas personas y abandona a las demás a su suerte? El Evangelio responde a estas preguntas presentando algunas personas concretas amadas por Dios. Algunas lo son individualmente: María, José, Isabel, Zacarías, Simeón, Ana, etc. Pero también hay dos grupos de personas: los pastores y los sabios del oriente, los llamados reyes magos. Detengámonos esta noche en los pastores. ¿Qué tipo de hombres son? En su ambiente, los pastores eran despreciados; eran considerados poco de fiar y en los tribunales no se les admitía como testigos. Pero ¿quiénes eran en realidad? Ciertamente no eran grandes santos, si con este término se entiende personas de virtudes heroicas. Eran almas simples. El Evangelio destaca una característica que luego, en las palabras de Jesús, tendrá un papel importante: eran personas vigilantes. Esto vale ante todo en su sentido exterior: por la noche velaban cercanos a sus ovejas. Pero también tiene un sentido más profundo: estaban dispuestos a oír la palabra de Dios, el anuncio del ángel. Su vida no estaba cerrada en sí misma; tenían un corazón abierto. De algún modo, en lo más íntimo de su ser, estaban esperando algo, en último término esperaban a Dios. Su vigilancia era disponibilidad; disponibilidad para escuchar, disponibilidad para ponerse en camino; era espera de la luz que les indicara el camino. Esto es lo que a Dios le interesa. Él ama a todos porque todos son criaturas suyas. Pero algunas personas han cerrado su alma; su amor no encuentra en ellas resquicio alguno por donde entrar. Creen no necesitar a Dios; no lo quieren. Otros, quizás moralmente igual de pobres y pecadores, al menos sufren por ello. Esperan en Dios. Saben que necesitan su bondad, aunque no tengan una idea precisa de ella. En su espíritu abierto a la esperanza, puede entrar la luz de Dios y, con ella, su paz. Dios busca a personas que sean portadoras de su paz y la comuniquen. Roguémosle para que no encuentre cerrado nuestro corazón. Esforcémonos por ser capaces de ser portadores activos de su paz, precisamente en nuestro tiempo.

Además, la palabra paz ha adquirido un significado del todo especial para los cristianos: se ha convertido en una palabra para designar la comunión en la Eucaristía. En ella está presente la paz de Cristo. Mediante todos los lugares donde se celebra la Eucaristía, se extiende en el mundo entero como una red de paz. Las comunidades reunidas en torno a la Eucaristía son un reino de paz vasto como el mundo. Cuando celebramos la Eucaristía nos encontramos en Belén, en la "casa del pan". Cristo se nos da, y con ello nos da su paz. Nos la da para que llevemos la luz de la paz en lo más hondo de nuestro ser y la comuniquemos a los otros; para que seamos agentes de la paz y contribuyamos así a la paz en el mundo. Por eso rogamos: Cumple tu promesa, Señor. Haz que donde hay discordia nazca la paz; que surja el amor donde reina el odio; que se haga luz donde dominan las tinieblas. Haz que seamos portadores de tu paz. Amén.

[01688-04.02] [Texto original: Italiano]

TRADUZIONE IN LINGUA PORTOGHESE

«O Senhor disse-Me: "Tu és meu filho, Eu hoje Te gerei"». Com estas palavras do Salmo segundo, a Igreja dá início à Santa Missa da vigília de Natal, na qual celebramos o nascimento do nosso Redentor Jesus Cristo no estábulo de Belém. Outrora, este Salmo pertencia ao ritual da coroação dos reis de Judá. O povo de Israel, por causa da sua eleição, sentia-se de modo particular filho de Deus, adoptado por Deus. Uma vez que o rei era a personificação daquele povo, a sua entronização era vivida como um acto solene de adopção por parte de Deus, no qual o rei ficava, de certo modo, envolvido no próprio mistério de Deus. Na noite de Belém, estas palavras, que de facto eram mais a expressão duma esperança que realidade presente, ganharam um sentido novo e inesperado. O Menino no presépio é verdadeiramente o Filho de Deus. Deus não é perene solidão, mas um círculo de amor no recíproco dar-se e um dar-se sem cessar. Ele é Pai, Filho e Espírito Santo.

Mais ainda: em Jesus Cristo, o Filho de Deus, o próprio Deus Se fez homem. É a Ele que o Pai diz: «Tu és meu filho». O hoje eterno de Deus desceu ao hoje efémero do mundo e arrasta o nosso hoje passageiro para o hoje perene de Deus. Deus é tão grande que Se pode fazer pequeno. Deus é tão poderoso que Se pode fazer inerme e vir ter connosco como menino indefeso, para que O possamos amar. Deus é tão bom que renuncia ao seu esplendor divino e desce ao estábulo para que O possamos encontrar e, assim, a sua bondade chegue também a nós, se nos comunique e continue a agir por nosso intermédio. O Natal é isto: «Tu és meu Filho, Eu hoje Te gerei». Deus tornou-Se um de nós, para que nós pudéssemos viver com Ele, tornarmo-nos semelhantes a Ele. Como próprio sinal, escolheu o Menino no presépio: Deus é assim. Deste modo, aprendemos a conhecê-Lo. E em todo o menino brilha algo da luz daquele hoje, da proximidade de Deus que devemos amar e à qual nos devemos submeter – em todo o menino, mesmo na criança ainda não nascida.

Ouçamos uma segunda palavra da liturgia desta Noite santa, tomada agora do Livro do profeta Isaías: «Para os que habitavam na terra da escuridão, uma luz começou a brilhar» (9, 1). A palavra «luz» permeia toda a liturgia desta Santa Missa. Aparece um novo aceno no texto da carta de São Paulo a Tito: «Manifestou-se a graça» (2, 11). A palavra «manifestou-se» diz, em língua grega e neste contexto, a mesma coisa que o hebraico exprime com as palavras «uma luz brilhou»: a «manifestação» – a «epifania» – é a irrupção da luz divina no mundo cheio de escuridão e de problemas insolúveis. Por fim, o Evangelho narra-nos que apareceu a glória de Deus aos pastores e «cercou-os de luz» (Lc 2, 9). Onde aparece a glória de Deus, aí irradia a luz pelo mundo. «Deus é luz e n’Ele não há trevas», diz-nos São João (1 Jo 1, 5). A luz é fonte de vida.

Mas luz significa sobretudo conhecimento, significa verdade em contraposição com a escuridão da mentira e da ignorância. Deste modo, a luz faz-nos viver, indica-nos a estrada. Além disso, enquanto gera calor, a luz significa também amor. Onde há amor, levanta-se uma luz no mundo; onde há ódio, o mundo permanece na escuridão. É verdade, no estábulo de Belém, apareceu a grande luz que o mundo espera. Naquele Menino deitado na manjedoura, Deus mostra a sua glória – a glória do amor, em que Ele mesmo Se entrega em dom e Se despoja de toda a grandeza para nos conduzir pelo caminho do amor. A luz de Belém nunca mais se apagou. Ao longo de todos os séculos, envolveu homens e mulheres, «cercou-os de luz». Onde despontou a fé naquele Menino, aí desabrochou também a caridade – a bondade para com todos, a carinhosa atenção pelos débeis e os doentes, a graça do perdão. A partir de Belém, um rasto de luz, de amor, de verdade atravessa os séculos. Se olharmos os Santos – desde Paulo e Agostinho até São Francisco e São Domingos, desde Francisco Xavier e Teresa de Ávila até à Irmã Teresa de Calcutá – vemos esta corrente de bondade, este caminho de luz que se inflama, sempre de novo, no mistério de Belém, naquele Deus que Se fez Menino. Contra a violência deste mundo, Deus opõe, naquele Menino, a sua bondade e chama-nos a seguir o Menino.

Juntamente com a árvore de Natal, os nossos amigos austríacos trouxeram-nos também uma pequena chama que tinham aceso em Belém, para nos dizer: o verdadeiro mistério do Natal é o esplendor interior que irradia deste Menino. Deixemos que se comunique a nós esse esplendor interior, que acenda no nosso coração a chama da bondade de Deus; todos nós levemos, com o nosso amor, a luz ao mundo! Não deixemos que esta chama luminosa se apague por causa das correntes frias do nosso tempo! Guardemo-la fielmente e demo-la aos outros! Nesta noite, em que voltamos o nosso olhar para Belém, queremos também rezar de modo especial pelo lugar do nascimento do nosso Redentor e pelos homens que lá vivem e sofrem. Queremos rezar pela paz na Terra Santa: Olhai, Senhor, este ângulo da terra que, como pátria vossa, tanto amais! Fazei que resplandeça lá a vossa luz! Fazei que lá chegue a paz!

Com o termo «paz», chegamos à terceira palavra-mestra da liturgia desta Noite santa. Ao Menino que anuncia, Isaías chama-Lhe «Príncipe da paz». A propósito do seu reino, diz-se: «A paz não terá fim». No Evangelho, é anunciado aos pastores: «Glória a Deus nas alturas e paz na terra…». Outrora lia-se: «…aos homens de boa vontade»; na nova tradução, diz-se: «…aos homens que Ele ama». Que significa esta mudança? Deixou de ter valor a boa vontade? Ponhamos melhor a questão: Quais são os homens que Deus ama e porque é que os ama? Porventura Deus é parcial? Porventura ama apenas certas pessoas, deixando as outras entregues a si mesmas? O Evangelho responde a estas perguntas, mostrando-nos algumas pessoas concretas amadas por Deus. Há pessoas individuais – Maria, José, Isabel, Zacarias, Simeão, Ana, etc. Mas há também dois grupos de pessoas: os pastores e os sábios do Oriente, os chamados reis magos. Nesta noite, detenhamo-nos nos pastores. Que espécie de homens são eles? No seu ambiente, os pastores eram desprezados; eram considerados pouco sérios e, em tribunal, não eram admitidos como testemunhas. Mas, quem eram na realidade? Certamente não eram grandes santos, se por este termo entendemos pessoas de virtudes heróicas. Eram almas simples. O Evangelho evidencia uma característica que mais tarde, nas palavras de Jesus, havia de ter um papel importante: eram pessoas vigilantes. Isto vale primariamente em sentido exterior: de noite vigiavam, perto das suas ovelhas. Mas vale também num sentido mais profundo: estavam disponíveis à palavra de Deus. A sua vida não estava fechada em si mesma; o seu coração estava aberto. De certo modo, no mais fundo de si mesmos, estavam à espera d’Ele. A sua vigilância era disponibilidade – disponibilidade para ouvirem, disponibilidade para se porem caminho. Estavam à espera da luz que lhes indicasse o caminho. E isto é o que interessa a Deus. Ele ama a todos, porque todos são criaturas suas. Mas, algumas pessoas têm a sua alma fechada; o seu amor não encontra qualquer acesso a eles. Pensam que não têm necessidade de Deus; não O querem. Outros, que moralmente talvez sejam igualmente miseráveis e pecadores, pelo menos sofrem com isso. Estes esperam Deus. Sabem que têm necessidade da sua bondade, embora não tenham uma ideia precisa dela. No seu íntimo, aberto à expectativa, a luz de Deus pode entrar, e com ela a sua paz. Deus procura pessoas que levem e comuniquem a sua paz. Peçamos-Lhe para fazer com que não encontre fechado o nosso coração. Esforcemo-nos por nos tornarmos capazes de ser portadores activos da sua paz – precisamente no nosso tempo.

Além disso, a palavra paz assumiu entre os cristãos um significado de todo especial: tornou-se um nome para designar a Eucaristia. Nesta, está presente a paz de Cristo. Através de todos os lugares onde se celebra a Eucaristia, estende-se uma rede de paz sobre o mundo inteiro. As comunidades reunidas à volta da Eucaristia constituem um reino da paz largo como o mundo. Quando celebramos a Eucaristia, encontramo-nos em Belém, na «casa do pão». Cristo dá-Se a nós, e assim nos dá a sua paz. Dá-no-la para que levemos a luz da paz no nosso íntimo e a comuniquemos aos outros; para que nos tornemos obreiros de paz e contribuamos assim para a paz no mundo. Por isso, suplicamos: Senhor, realizai a vossa promessa! Fazei que, onde houver discórdia, nasça a paz! Fazei que desponte o amor, onde reinar o ódio! Fazei que surja a luz, onde dominarem as trevas! Fazei que nos tornemos portadores da vossa paz! Amen.

[01688-06.01] [Texto original: Italiano]

[B0650-XX.02]