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CELEBRAZIONE DELLA PAROLA IN OCCASIONE DEL MERCOLEDÌ DELLE CENERI, 09.02.2005


CELEBRAZIONE DELLA PAROLA IN OCCASIONE DEL MERCOLEDÌ DELLE CENERI

Alle ore 10.30 di oggi, Mercoledì delle Ceneri, nella Patriarcale Basilica Vaticana, l’Em.mo Card. James Francis Stafford, Penitenziere Maggiore della Penitenzieria Apostolica, ha presieduto - a nome del Santo Padre Giovanni Paolo II - la Celebrazione della Parola.

La Celebrazione, in luogo della consueta Udienza Generale, si è svolta con il rito di introduzione, la liturgia della Parola e l’omelia, la benedizione e l’imposizione delle ceneri, la preghiera e l’orazione del Signore, i riti di conclusione.

Pubblichiamo di seguito l’omelia pronunciata nel corso della cerimonia dall’Em.mo Card. James Francis Stafford:

● OMELIA DEL CARD. JAMES FRANCIS STAFFORD

(Gioele 2,12-18; 2Cor 5,20-6,2; Mt 6,1-6.16-18)

Siamo riuniti presso la tomba di Pietro, in questa patriarcale basilica vaticana che racchiude il mondo intero, per la liturgia delle sacre Ceneri, che segna l'inizio della Quaresima. Nel rivolgermi a voi, fratelli e sorelle, avverto la gioia e l'onore, di presiedere questa solenne liturgia a nome del Santo Padre. Avvertiamo la sua spirituale presenza fra noi e lo ricordiamo con affetto chiedendo al Signore che gli conceda le grazie necessarie al suo primaziale carisma di confermare nell'unità della fede i fratelli (cf Lc 22,32).

Nella prima lettura il profeta Gioele grida a nome del Signore: «Ritornate a me con tutto il cuore!». Nella lingua dell'Antico Testamento la nozione di conversione è espressa in maniera molto concreta attraverso il verbo "ritornare", cioè "tornare indietro". Dalla Sacra Scrittura sappiamo che il popolo d'Israele è continuamente tentato di allontanarsi da Dio per seguire vie non buone. Per questo, ogni volta che si allontana, il Signore gli manda i suoi profeti a dire: "tornate indietro", cioè "invertite il senso di marcia, riprendete la direzione giusta, convertitevi al Signore". Non è infatti a una ideologia che ci dobbiamo convertire, bensì al Signore. La nostra fede infatti non è una ideologia, ma l'adesione al Cristo Signore. Il Signore stesso lo dichiara: «Ritornate a me!». E poco più oltre il profeta spiega e motiva questo invito: «Ritornate al Signore, vostro Dio, perché egli è misericordioso», e, da parte sua, altro non fa che comprendere e perdonare.

Il messaggio della prima lettura va oltre. Il suono delle trombe arriva all'orecchio di tutti -anziani, fanciulli, bambini, sposi, sacerdoti -, perché come popolo sono chiamati all'adunanza, e al dovere di convertirsi. La conversione non è un’esperienza che possiamo vivere da soli: essa nasce principalmente, nel Nuovo Testamento, a partire dal raduno liturgico. Infatti il momento cultuale, come ci ha ricordato il Concilio Vaticano II, è «fons et culmen» del vivere cristiano (SC l0).

Nella pagina di Matteo Gesù indica tre modi per vivere la conversione: l'elemosina, cioè la condivisione; la preghiera, cioè l'affidarsi al Signore; il digiuno, cioè la capacità di sapersi imporre dei limiti. Ma questi comportamenti non significano vera conversione, se motivati da convenienza puramente formale: «Quando fai l’elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra».

Per il digiuno come per la preghiera, Gesù insiste sull'aspetto interiore. La preghiera vera, unitamente alla conversione autentica che ne deriva, deve sgorgare da un cuore deciso a convertirsi. È infatti nel cuore che, secondo la Bibbia, si gioca il destino dell’uomo.

Gesù non fa altro che spronarci a vivere tale interiorità sia nel momento della preghiera personale sia soprattutto durante la preghiera liturgica.

L'apostolo Paolo ci aiuta a tirare le conclusioni che derivano dal nostro ascolto della Parola di Dio. Esorta i cristiani di Corinto, a lasciarsi riconciliare con Dio. La conversione infatti è riconciliazione: quella verticale, con Dio, che ogni cristiano deve innanzitutto coltivare nel suo cuore, alla quale deve corrispondere la riconciliazione orizzontale con i fratelli. Ora, se la conversione sgorga in maniera eminente dal raduno liturgico, dobbiamo domandarci se la nostra vita sia una sincera sintesi dei tre momenti: liturgia, conversione e riconciliazione.

L'ufficio di Penitenziere Maggiore mi fa sperimentare ogni giorno la bellezza del Sacramento della Penitenza, dono di grazia, dono di vita; in esso si rinnova l'amorevole compassione di Cristo per l'uomo e nel contempo, viene restituita la grazia, la gioia del cuore, la veste nuziale che permette l'ingresso nella vita eterna.

Fratelli e sorelle, solo la Chiesa, in quanto corpo di Cristo, è in grado, all'inizio di questo terzo millennio, di comporre nell'intimo dell'uomo come nella comunità umana, le tensioni che il mondo vive a tutti i livelli. Anche noi, nella Curia Romana, e non potrebbe essere diversamente, facciamo esperienza quotidianamente dei nostri limiti e della nostra fragilità. Il Santo Padre ci ha frequentemente richiamato (cf Cost. Apost., Pastor Bonus) al dovere di dare alla Chiesa come al mondo, l'alto esempio della reciproca concordia, della pace, nel suo senso più nobile, in quanto cioè ha origine da Cristo Gesù. Egli è infatti, secondo la lettera agli Efesini (2,14), la nostra pace.

Sono convinto, che prima dei solenni documenti, è il libro della nostra vita, che deve rendere testimonianza al mondo, che la riconciliazione, cioè la pace, è possibile. E non vi sarà pace, senza l'attenzione indispensabile ai poveri, la cui responsabilità nell'odierno disastro ecologico risiede principalmente nella nostra società dei consumi. La Parola di Dio si dirige ai confratelli e a quanti sono impegnati nel servizio alla Sede Apostolica, perché con ogni mezzo e in stato di conversione permanente, siamo in grado di dare l'esempio di una vita cristiana austera, perché il nostro sguardo sia libero di servire solo Dio, cercando sempre il bene dei nostri fratelli.

Alla domanda, che il mondo oggi sempre più si pone: "Dov’è il nostro Dio?", deve rispondere la testimonianza convincente della nostra vita. Infatti la presenza e la compassione di Dio non piovono dall'alto. La presenza attiva e operosa di Dio alle donne e agli uomini di oggi passa attraverso di noi, soprattutto quando ci raduniamo "come Chiesa", intorno alla mensa della Parola e del Pane di vita.

La Quaresima di quest'anno, secondo l'invito del Santo Padre, pone in particolare risalto il nostro rapporto essenziale con l'Eucaristia. «Senza il memoriale del Signore - cioè senza l'Eucaristia - noi non possiamo esistere», dichiaravano durante la persecuzione di Diocleziano i cristiani del nord-Africa. Anche noi, senza la forza che promana dall'Eucaristia, soprattutto domenicale, non possiamo vivere. Vorrei riassumere in tre punti il nostro impegno quaresimale: 

1) La liturgia della Chiesa, di fronte alla diffusa incertezza della fede, è il primo strumento di autentica evangelizzazione, ispirata all'icona dei discepoli di Emmaus che, a partire dalla Parola del Signore spiegata lungo la via, lo riconobbero nello spezzare il pane (cf Lc 24).

2) Con la domenica riscopriamo l'Eucaristia! Facciamo nostro quello «stupore eucaristico» che ha guidato il Santo Padre nella stesura della lettera enciclica Ecclesia de Eucharistia (nn. 5-6). Ma preoccupiamoci di riscoprirla nella sua dimensione conviviale e nella sua irrinunciabile dimensione sacrificale, giacché «l'Eucaristia è un dono troppo grande, per sopportare ambiguità e diminuzioni» (n. 10).

3) Con l'Eucaristia riscopriamo il rapporto tra liturgia e vita, come delineato dal Santo Padre, nella Lettera Apostolica Mane nobiscum Domine: l'attenzione alla povertà di ogni tipo, insieme all'amore vicendevole ci farà riconoscere come veri discepoli di Cristo. È questo il criterio in base al quale sarà comprovata l'autenticità delle nostre celebrazioni eucaristiche (n. 28). A sua volta questo rapporto tra liturgia e vita esige la testimonianza risoluta ai valori veri: la vita, la famiglia, l’onestà personale, gli impegni derivanti dal vincolo coniugale, dal celibato sacerdotale, dalla consacrazione religiosa, dalla professione sociale, senza i quali non esiste la vera povertà di spirito.

Domandiamo a Dio Padre che ci aiuti a riscoprire e a fare nostra la mistica del servizio, alla scuola di Gesù che dai profeti venne preannunciato come il Servo del Signore (Is 52,13; ecc.), alla scuola della Vergine Madre, che dichiarandosi la Serva del Signore (Lc 1,38) diede il via al grande disegno della redenzione. Amen.

[00196-01.01] [Testo originale: Italiano]

[B0080-XX.02]