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UDIENZA AI PRELATI UDITORI, OFFICIALI E AVVOCATI DEL TRIBUNALE DELLA ROTA ROMANA, IN OCCASIONE DELL’INAUGURAZIONE DELL’ANNO GIUDIZIARIO, 29.01.2004


UDIENZA AI PRELATI UDITORI, OFFICIALI E AVVOCATI DEL TRIBUNALE DELLA ROTA ROMANA, IN OCCASIONE DELL’INAUGURAZIONE DELL’ANNO GIUDIZIARIO

DISCORSO DEL SANTO PADRE

INDIRIZZO DI OMAGGIO DEL DECANO DEL TRIBUNALE DELLA ROTA ROMANA, S.E. MONS. RAFFAELLO FUNGHINI

Questa mattina, nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Giovanni Paolo II ha ricevuto in Udienza i Prelati Uditori, gli Officiali e gli Avvocati del Tribunale della Rota Romana, in occasione dell’inaugurazione dell’Anno giudiziario.

Pubblichiamo di seguito il discorso che il Papa ha loro rivolto e l’indirizzo di omaggio del Decano del Tribunale della Rota Romana, S.E. Mons. Raffaello Funghini:

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Carissimi Componenti del Tribunale della Rota Romana!

1. Sono lieto di questo annuale incontro con voi per l’inaugurazione dell’Anno Giudiziario. Esso mi offre l’occasione propizia per riaffermare l’importanza del vostro ministero ecclesiale e la necessità della vostra attività giudiziaria.

Saluto cordialmente il Collegio dei Prelati Uditori, ad iniziare dal Decano, Mons. Raffaello Funghini, che ringrazio per le profonde riflessioni con le quali ha espresso il senso e il valore del vostro lavoro. Saluto poi gli Officiali, gli Avvocati e gli altri Collaboratori di codesto Tribunale Apostolico, come pure i membri dello Studio Rotale e tutti i presenti.

2. Negli incontri degli ultimi anni ho trattato di alcuni aspetti fondamentali del matrimonio: la sua indole naturale, la sua indissolubilità, la sua dignità sacramentale. In realtà, a codesto Tribunale della Sede Apostolica giungono pure altre cause di vario genere, in base alle norme stabilite dal Codice di Diritto Canonico (cfr cann. 1443-1444) e dalla Costituzione apostolica Pastor Bonus (cfr artt. 126-130). E’ però soprattutto al matrimonio che il Tribunale è sollecitato a volgere la sua attenzione. Per questo oggi, rispondendo anche alle preoccupazioni manifestate da Mons. Decano, desidero nuovamente soffermarmi sulle cause matrimoniali a voi affidate e, in particolare, su un aspetto giuridico-pastorale che da esse emerge: alludo al favor iuris di cui gode il matrimonio, e alla connessa presunzione di validità in caso di dubbio, dichiarata dal canone 1060 del Codice latino e dal canone 779 del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali.

Talvolta infatti si sentono voci critiche al riguardo. Tali principi ad alcuni sembrano legati a situazioni sociali e culturali del passato, nelle quali la richiesta di sposarsi in forma canonica presupponeva normalmente nei nubendi la comprensione ed accettazione della vera natura del matrimonio. Nella crisi che in tanti ambienti segna oggi purtroppo questa istituzione, a costoro sembra che la stessa validità del consenso debba considerarsi spesso compromessa, a causa dei vari tipi di incapacità oppure per l'esclusione di beni essenziali. Dinanzi a questa situazione, i critici menzionati si domandano se non sarebbe più giusto presumere l'invalidità del matrimonio contratto piuttosto che la sua validità.

In questa prospettiva il favor matrimonii, si afferma da costoro, dovrebbe cedere il posto al favor personae, o al favor veritatis subiecti o al favor libertatis.

3. Per valutare correttamente le nuove posizioni è opportuno anzitutto individuare il fondamento e i limiti del favor in questione. In realtà, si tratta di un principio che trascende di gran lunga la presunzione di validità, dal momento che informa tutte le norme canoniche, sia sostanziali che processuali, concernenti il matrimonio. Il sostegno al matrimonio, infatti, deve ispirare l'intera attività della Chiesa, dei Pastori e dei fedeli, della società civile, in una parola di tutte le persone di buona volontà. Fondamento di tale atteggiamento non è una scelta più o meno opinabile, bensì l'apprezzamento del bene oggettivo rappresentato da ogni unione coniugale e da ogni famiglia. Proprio quando è minacciato il riconoscimento personale e sociale di un bene così fondamentale, si scopre più profondamente la sua importanza per le persone e per le comunità.

Alla luce di queste considerazioni appare chiaramente che il dovere di difendere e favorire il matrimonio spetta certamente in maniera particolare ai sacri Pastori, ma costituisce anche una precisa responsabilità di tutti i fedeli, anzi di tutti gli uomini e delle autorità civili, ognuno secondo le proprie competenze.

4. Il favor iuris di cui gode il matrimonio implica la presunzione della sua validità, fino a che non sia provato il contrario (cfr CIC, can. 1060; CCEO, can. 779). Per cogliere il significato di questa presunzione, conviene in primo luogo ricordare che essa non rappresenta un'eccezione rispetto ad una regola generale in senso opposto. Al contrario, si tratta dell'applicazione al matrimonio di una presunzione che costituisce un principio fondamentale di ogni ordinamento giuridico: gli atti umani di per sé leciti e che incidono sui rapporti giuridici si presumono validi, pur essendo ovviamente ammessa la prova della loro invalidità (cfr CIC, can. 124 § 2; CCEO, can. 931 § 2).

Questa presunzione non può essere interpretata come mera protezione delle apparenze o dello status quo in quanto tale, poiché è prevista anche, entro limiti ragionevoli, la possibilità di impugnare l’atto. Tuttavia ciò che all’esterno appare correttamente posto in essere, nella misura in cui rientri nella sfera della liceità, merita un'iniziale considerazione di validità e la conseguente protezione giuridica, poiché tale punto di riferimento esterno è l'unico di cui realisticamente l’ordinamento dispone per discernere le situazioni cui deve offrire tutela. Ipotizzare l’opposto, il dovere cioè di offrire la prova positiva della validità dei rispettivi atti, significherebbe esporre i soggetti ad un’esigenza di pressoché impossibile attuazione. La prova dovrebbe infatti comprendere i molteplici presupposti e requisiti dell'atto, i quali spesso hanno notevole estensione nel tempo e nello spazio e coinvolgono una serie amplissima di persone e di atti precedenti e connessi.

5. Che dire allora della tesi secondo cui il fallimento stesso della vita coniugale dovrebbe far presumere l'invalidità del matrimonio? Purtroppo la forza di questa erronea impostazione è a volte così grande da trasformarsi in un generalizzato pregiudizio, che porta a cercare i capi di nullità come mere giustificazioni formali di un pronunciamento che in realtà poggia sul fatto empirico dell'insuccesso matrimoniale. Questo ingiusto formalismo di coloro che avversano il tradizionale favor matrimonii può arrivare a dimenticare che, secondo l'esperienza umana segnata dal peccato, un matrimonio valido può fallire a causa dell'uso sbagliato della libertà degli stessi coniugi.

La constatazione delle vere nullità dovrebbe portare piuttosto ad accertare con maggior serietà, al momento delle nozze, i requisiti necessari per sposarsi, specialmente quelli concernenti il consenso e le reali disposizioni dei nubendi. I parroci e coloro che collaborano con loro in quest'ambito hanno il grave dovere di non cedere ad una visione meramente burocratica delle investigazioni prematrimoniali di cui al can. 1067. Il loro intervento pastorale deve essere guidato dalla consapevolezza che le persone possono proprio in quel momento scoprire il bene naturale e soprannaturale del matrimonio, ed impegnarsi di conseguenza a perseguirlo.

6. In verità, la presunzione di validità del matrimonio si colloca in un contesto più ampio. Spesso il vero problema non è tanto la presunzione in parola, quanto la visione complessiva del matrimonio stesso e, quindi, il processo per accertare la validità della sua celebrazione. Tale processo è essenzialmente inconcepibile al di fuori dell'orizzonte dell'accertamento della verità. Questo riferimento teleologico alla verità è ciò che accomuna tutti i protagonisti del processo, nonostante la diversità dei loro ruoli. Al riguardo, è stato insinuato uno scetticismo più o meno aperto sulla capacità umana di conoscere la verità sulla validità di un matrimonio. Anche in questo campo occorre una rinnovata fiducia nella ragione umana, sia per quanto riguarda gli aspetti essenziali del matrimonio, che per quel che concerne le circostanze particolari di ogni unione.

La tendenza ad ampliare strumentalmente le nullità, dimenticando l'orizzonte della verità oggettiva, comporta una distorsione strutturale dell'intero processo. L'istruttoria, in questa prospettiva, perde la sua incisività in quanto l'esito è predeterminato. L'indagine stessa della verità, alla quale il giudice è gravemente obbligato ex officio (cfr CIC, can. 1452; CCEO, can. 1110) e per il conseguimento della quale si serve dell'aiuto del difensore del vincolo e dell'avvocato, si risolverebbe in un susseguirsi di formalismi privi di vita. La sentenza, poiché al posto della capacità di indagine e di critica verrebbe a prevalere la costruzione di risposte predeterminate, perderebbe o gravemente attenuerebbe la sua tensione costitutiva verso la verità. Concetti chiave come quelli di certezza morale e di libero apprezzamento delle prove rimarrebbero senza il loro necessario punto di riferimento nella verità oggettiva (cfr CIC, can. 1608; CCEO, can. 1291), che si rinunzia a cercare oppure si considera inafferrabile.

7. Più a monte, il problema riguarda la concezione del matrimonio, a sua volta inserita in una visione globale della realtà. L'essenziale dimensione di giustizia del matrimonio, che fonda il suo essere in una realtà intrinsecamente giuridica, viene sostituita da ottiche empiriche, di stampo sociologico, psicologico, ecc., così come da varie modalità di positivismo giuridico. Senza nulla togliere ai validi contributi che possono provenire dalla sociologia, dalla psicologia o dalla psichiatria, non si può dimenticare che una considerazione autenticamente giuridica del matrimonio richiede una visione metafisica della persona umana e della relazionalità coniugale. Senza questo fondamento ontologico, l'istituzione matrimoniale diventa mera sovrastruttura estrinseca, frutto della legge e del condizionamento sociale, limitante la persona nella sua libera realizzazione.

Occorre invece riscoprire la verità, la bontà e la bellezza dell'istituto matrimoniale, che essendo opera dello stesso Dio attraverso la natura umana e la libertà del consenso dei coniugi, rimane come realtà personale indissolubile, come vincolo di giustizia e di amore, legato da sempre al disegno della salvezza ed elevato nella pienezza dei tempi alla dignità di sacramento cristiano. Questa è la realtà che la Chiesa e il mondo debbono favorire! Questo è il vero favor matrimonii!

Nel presentarvi questi spunti di riflessione, desidero rinnovare l’espressione del mio apprezzamento per il delicato e impegnativo vostro lavoro nell'amministrazione della giustizia. Con questi sentimenti, mentre invoco su ciascuno di voi, cari Prelati Uditori, Officiali ed Avvocati della Rota Romana, la costante assistenza divina, a tutti imparto con affetto la mia Benedizione.

[00155-01.02] [Testo originale: Italiano]

INDIRIZZO DI OMAGGIO DEL DECANO DEL TRIBUNALE DELLA ROTA ROMANA, S.E. MONS. RAFFAELLO FUNGHINI

Beatissimo Padre,

ogni anno la solenne inaugurazione dell'Anno Giudiziario ci offre la graditissima occasione di un diretto personale incontro con Vostra Santità e di ricevere non solo incoraggiamento nel nostro lavoro, ma principalmente sicuro insegnamento dal Supremo Legislatore della Chiesa contro peregrine interpretazioni ed abusi nell'amministrazione della giustizia. Di ciò vi ringraziamo con animo grato.

Quest'anno l'incontro ha un carattere speciale.

Abbiamo celebrato nello scorso ottobre il compimento del XXV anno del Vostro Pontificato, venticinquennio segnato dalla promulgazione dei due Codici, della Chiesa latina e della Chiesa orientale, e della Costituzione Apostolica «Pastor Bonus».

La Vostra opera legislativa ha non solo superato il largamente diffuso antigiuridicismo del periodo conciliare e immediatamente postconciliare, che sottolineava la contrapposizione tra Vangelo e legge positiva ecclesiale, tra carità e diritto, tra Chiesa carismatica e dell'amore e Chiesa del diritto, ma ha esaurientemente dimostrato che la Chiesa come Popolo di Dio si regge sì fondamentalmente e primieramente jure divino, ma nella sua realtà esistenziale ha bisogno del diritto positivo a tutela dei diritti personali e di certezze nel rapporto societario ecclesiale.

«Novus Codex Juris Canonici - afferma la Costituzione Apostolica «Sacrae disciplinae Leges», con, la quale avete promulgato il Codex Juris Canonici - Ecclesiae omnino necessarius est. Cum ad modum etiam socialis visibilisque compaginis constituta, ipsa normis indiget».

Ha inoltre dato notevole impulso allo studio di diritto canonico come testimoniano da un lato l'incremento delle Facoltà di diritto canonico e dall'altro i frequenti convegni e settimane di studio.

La legislazione, che porta il Vostro nome, ha adeguato la legge della Chiesa alle direttive, orientamenti e insegnamenti del Concilio Vaticano II, nella fedeltà alla «longinqua illa hereditas iuris quae in libris veteris et novi testamenti continetur, ex qua tota traditio iuridica et legifera Ecclesiae, tamquam a suo primo fonte originem ducit» (Sacrae disciplinae Leges).

Non mancano però cultori ed operatori del diritto, che, dietro suggestioni sociologiche, relativizzano la «traditio iuridica et legifera Ecclesiae» come legata a diversa società cristiana e civile nonché a minore affermazione e riconoscimento dei diritti della persona e giungono ad accusare anche la vigente legislazione canonica di preferire l'istituzione alla stessa persona del fedele, anzi di sacrificare questa a quella.

Così, per esempio, partendo da questi presupposti ed esasperando l'esigenza di dovuto rispetto al fedele ed alla sua libertà nell'ambito stesso della comunità ecclesiale, si tenta non solo di relativizzare, ma addirittura di capovolgere in favorem libertatis il tradizionale principio del favor iuris, di cui gode il matrimonio, recepito nel Codice Piano-Benedettino (c. 1014) e consacrato con identica formulazione nel can. 1060 del Codice latino e nel can. 779 del Codice delle Chiese orientali, ritenendo troppo formalistico e riduttivo riconoscere tale favor iuris al solo fatto dell'avvenuta celebrazione e non anche ad un'effettiva, sia pure non piena, realizzazione dell'unione matrimoniale in conformità alla nozione di matrimonio data dal can. 1055, § 1, C.J.C

La pregiudiziale avanzata dai critici nei confronti di questi due canoni è che alla Chiesa, nelle cause di nullità di matrimonio, interessa salvaguardare non solo prevalentemente, ma in modo assoluto l'istituto matrimoniale e specificatamente l'indissolubilità del vincolo, e che, nello stesso ordinamento processuale, tutto converge a vantaggio di quella con disattenzione alle rivendicazioni delle parti.

Un attento e sereno esame dei due Codici non favorisce questa lettura della vigente legislazione canonica.

Infatti l'interesse individuale delle parti o, almeno della parte che desidera la dichiarazione di nullità del suo matrimonio è tanto positivamente tutelato e protetto che, di fronte ad un impedimento pubblico, già secondo il Codice Piano-Benedettino (can. 1971, § 1, 2') ed in caso di nullità già divulgata o ove non si possa o non sia opportuno convalidare il matrimonio, secondo il vigente Codice (can. 1674, 2°), non solo è permessa e consentita l'accusa da parte del Promotore di Giustizia, ma suggerita pro bono animarum et veritate.

Il vero concetto poi del favor matrimonii non è a senso unico.

Secondo la genuina nozione, comprensiva e integrale, della «traditio iuridica et legifera Ecclesiae», «ita est matrimonii favor, irritum dissolvere, ac validum tueri» (Sanchez, De sancto matrimonii sacramento, 1. VII, disput. c, n. 14).

Tale principio è nella logica propria dell'ordinamento processuale canonico, tendente alla ricerca della verità, che con le regole probatorie offre un aiuto ed una garanzia alla scoperta della verità.

Infatti non si può dubitare che lo scopo forale è «la salus animarum» come «suprema lex» secondo il can. 1752 ed interesse unico e prevalente della Chiesa è che i matrimoni validi siano tali dichiarati così come quelli contratti con impedimento dirimente o viziati nel consenso di almeno uno dei contraenti o in mancanza della legittima forma canonica siano dichiarati nulli.

«La sentenza di nullità non può essere negata - affermava Pio XII nell'Allocuzione al nostro Tribunale del 3 ottobre 1941 - a chi, secondo le prescrizioni canoniche, giustamente e legittimamente la chiede, purché consti dell'asserita invalidità, per quel constare che nelle cose umane suol dirsi ciò di cui si ha morale certezza, che cioè, escluda ogni dubbio prudente, ossia fondato su ragioni positive. Non può esigersi la certezza assoluta della nullità, la quale cioè escluda non solo ogni positiva probabilità, ma anche la mera possibilità del contrario» (Pio XII, Allocuzione alla Rota, 3 ottobre 1941, AAS, vol. XXXIII, p. 424.

Il favor del c. 1060, di cui gode il matrimonio, che vale per qualunque matrimonio «etiam infidelium» (cfr. Instructio S. Officii d. 18 decembris 1872 ad Vic. Apost. Ocoeaniae Centralis - Collect. S.C. de P.F., II, n. 1392), è l'applicazione del c. 124, § 2: «Actus iuridicus quoad sua elementa externa rite positus praesumitur validus».

Praesupposto basilare è la celebrazione externe rite peracta, che abbia avuto luogo cioè la manifestazione del consenso nella forma sostanziale prescritta, in modo che sussista almeno una figura esteriore di negozio ed il dubium, in casu, verta sul valor matrimonii, come specifica il can. 1060, e non sulla materiale existentia matrimonii. Detta celebrazione non si presume, ma deve essere provata secondo il principio: «facta sunt probanda, non praesumuntur».

Ora qualunque negozio giuridico, posto in essere secondo le formalità richieste dalla legge, almeno per ciò che è oggetto di conoscenza e verifica umana, esige la tutela del diritto. Tale tutela innanzi tutto richiede che l'atto sia considerato valido finché non si dimostri il contrario.

A ben riflettere, pertanto, la tutela del negozio giuridico non ha per oggetto solo l'istituzione, ma anche le persone, che avendo dato origine al negozio hanno diritto a sicurezza giuridica e garanzia legale del medesimo, da loro predisposto in conformità a quanto richiesto dalla legge.

Con il favor iuris la legge canonica, mentre afferma la tutela del matrimonio come istituto naturale, propriamente e specificamente difende pure determinati rapporti giuridici di interesse pubblico e sociale, garantiti alle parti dalla celebrazione del matrimonio finché non sia provata la nullità del medesimo.

«Quanto alle dichiarazioni di nullità dei matrimoni - continuava Pio XII nella citata Allocuzione alla Rota - nessuno ignora essere la Chiesa guardinga e aliena dal favorirle. Se infatti la tranquillità, la stabilità e la sicurezza dell'umano commercio in genere esigono che i contratti non siano con leggerezza proclamati nulli, ciò vale ancor più per un contratto di tanto momento, qual è il matrimonio, la cui fermezza e stabilità sono richieste dal bene comune della società umana e dal bene privato dei coniugi e della prole, e la cui dignità di sacramento vieta che ciò è sacro e sacramentale vada di leggieri esposto al pericolo di profanazione» (Pio XII, Allocuzione alla Rota Romana, 3 ottobre 1941, AAS, vol. XXXIII, p. 423.

Nel caso di dubbio positivo e prudente la legge prevede ed esige decisione pro validitate non per premiare l'inadeguatezza o negligenza o scrupolosità del giudice, ma per l'inadeguatezza ed insufficienza della prova.

In ogni processo colui che lo promuove deve addurre valide prove a favore della sua richiesta: a lui spetta l'onere della prova.

Da ciò scaturisce che l'insufficienza delle prove, nelle cause di nullità di matrimonio, come nelle altre cause contenziose o penali, gravemente nuoce a colui che l'ha promossa.

Peculiarità degna di rilievo è che nelle cause di nullità di matrimonio il giudice ha davanti a sé non solo un contratto o un atto di gravi conseguenze giuridiche, ma un sacramento: le parti sono sposate «in Domino» (I Cor. 7,39) e secondo l'insegnamento di Papa Innocenzo III «Tolerabilius est aliquos contra statuta hominum dimittere copulatos quam coniunctos legitime contra Dominum separare» (Innocentius III, c. 47, De testibus et attestationibus, Il, 20).

I Codificatori, nel decidere il permanere della tradizionale presunzione, opportunamente rilevarono: «canonem integrum servandum esse ... non tantum ad praecavendas frequentes incertitudines de statu matrimoniali, sed maxime quia canon, non quidem est iuris divini, tamen nititur iure divino circa matrimoni proprietates essentiales» (Communicationes, 3 [1971], p. 70).

La Rota Romana nella sua secolare attività ha costantemente riconosciuto e fermamente applicato nelle sue decisioni il favor matrimonii, nella fedeltà alla traditio iuridica et legifera Ecclesiae.

Anche a Rota restituta il principio «in dubio standum est pro matrimoni validitate donec contarium probetur» fu fatto proprio, prima della Codificazione Piano-Benedettina, fin dalla videntibus omnibus del 30 giugno 1910 (RRDec., vol. II, pp. 219-237).

Un evidente segno questo della fedeltà del Nostro Tribunale Apostolico Beato Petro eiusque Successoribus e del generoso ossequio al Magistero Pontificio, impegno al quale poco fa, nella Cappella Paolina, ci siamo obbligati con solenne giuramento dando inizio, dopo aver invocato l'assistenza dello Spirito Santo, al nuovo Anno Giudiziario.

Sul nostro lavoro quotidiano invochiamo la Vostra Benedizione Apostolica. Benediteci, Padre Santo.

[00156-01.01] [Testo originale: Italiano]

[B0046-XX.01