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CONFERENZA STAMPA DI PRESENTAZIONE DELLA RISTAMPA ANASTATICA DELLA BIBBIA DI "BLAJ", A CURA DELLA TIPOGRAFIA VATICANA, 29.05.2001


CONFERENZA STAMPA DI PRESENTAZIONE DELLA RISTAMPA ANASTATICA DELLA BIBBIA DI "BLAJ", A CURA DELLA TIPOGRAFIA VATICANA

INTERVENTO DI SUA BEATITUDINE EM.MA CARD. IGNACE MOUSSA I DAOUD

INTERVENTO DI S.E. MONS. IOAN ROBU

INTERVENTO DEL PROF. CAMIL MURĂSANU

INTERVENTO DEL PROF. CESARE ALZATI

Alle 11.30 di questa mattina, nell’Aula Giovanni Paolo II della Sala Stampa della Santa Sede, si tiene la Conferenza Stampa di presentazione della ristampa anastatica, a cura della Tipografia Vaticana, della Bibbia di "Blaj" (1795), "monumento della lingua romena".

Prendono parte alla Conferenza Stampa: Sua Beatitudine Em.ma Card. Igance Moussa I Douad, Prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali; S.E. Mons. Ioan Robu, Arcivescovo di Bucarest, Presidente della Conferenza Episcopale Romena; il Dott. Eugen Simion, Presidente dell’Accademia Romena di Bucarest; il Dott. Camil Murăsanu, dell’Accademia Romena; e il Prof. Cesare Alzati, dell’Università di Pisa.

Pubblichiamo gli interventi di Sua Beatitudine Em.ma Card. Ignace Moussa I Daoud,, di S.E. Mons. Ioan Robu, del Dott. Camil Murăsanu e del Prof. Cesare Alzati, dell’Università di Pisa:

INTERVENTO DI SUA BEATITUDINE EM.MA CARD. IGNACE MOUSSA I DAOUD

Eminenze, Eccellenze, Rev.di Padri, Signore e Signori,

La Congregazione per le Chiese Orientali, la Metropolia greco-cattolica romena e l'Accademia Romena, hanno voluto l'odierna presentazione della ristampa della storica Bibbia di Blaj, essendo consapevoli della portata culturale e religiosa che tale monumento letterario ha avuto nella storia della Romania.

E' stato interpretato in questo modo il pensiero del Santo Padre, grazie alla cui benevolenza la Tipografia Vaticana ha curato questa bellissima pubblicazione, mentre lo stesso Sommo Pontefice non cessa di esprimere la propria vicinanza alla Nazione romena che l'ha accolto con grande amore due anni or sono.

Fu in quello storico viaggio che si vide riaccendersi il desiderio dell'unità religiosa e nazionale dei Romeni.

Perché se è vero che la "Bibbia di Blaj" è stata per molti anni un efficace strumento di evangelizzazione ed ha avuto enorme importanza per lo sviluppo della lingua moderna romena, essa possiede anche un non indifferente significato ecumenico.

Tradotta per opera del celebre monaco Samuil Micu che per la parte del Vecchio Testamento si è basato sulla Septuaginta, fu accettata da cattolici e da ortodossi. Data la sua qualità, è stata perciò adoperata comunemente da entrambe le Comunità, poi ristampata, costituendo infine una base per le altre traduzioni. Grazie a ciò si è formato anche un comune linguaggio teologico che ha permesso di capire meglio le proprie posizioni e condurre un fruttuoso dialogo.

L'edizione che oggi presentiamo, frutto del quinquennale lavoro di illustri esperti, avrà un degno posto nelle biblioteche e permetterà ad un vasto pubblico di avvicinare e conoscere questa famosa e così significativa opera.

Sono certo che nello stesso tempo questo volume aiuterà a capire meglio l'importanza che nella storia della Nazione Romena ha avuto la Chiesa greco-cattolica. In questa circostanza mi limito a ricordare soltanto i corifei della Scuola transilvana di Blaj nel cui ambiente è nata la traduzione, aggiungendo il nome del Vescovo greco-cattolico Ioan Bob che ha provveduto nell'anno 1795 all'edizione dell'opera.

Auspico che la Bibbia di Blaj, ristampata con tanta cura, possa aiutare anche il dialogo con la Chiesa ortodossa, che affonda le proprie radici nella stessa sorgente viva della Parola di Dio e della Tradizione Orientale. Perché, come ha detto il Santo Padre nella Lettera Apostolica per il 3° Centenario dell'Unione di Romeni di Transilvania con la Chiesa di Roma, "la ricerca dell'unità tra i cristiani, nell'amore e nella verità, è elemento fondamentale per una più incisiva evangelizzazione".

Con questo augurio lascio adesso la parola agli illustri Relatori che presenteranno i diversi aspetti del volume ristampato della Bibbia di Blaj.

E ringrazio tutti per la loro presenza.

[00885-01.02] [Testo originale: Italiano]

INTERVENTO DI S.E. MONS. IOAN ROBU

Vostra Beatitudine, Eminenze, Eccellenze,
Signor Presidente dell’Accademia romena,
Signori e signore,

In nome della Conferenza episcopale cattolica romena saluto con molto piacere la ristampa della pregiata edizione della Bibbia di Blaj - 1795, tradotta dall’erudito monaco Samuil Micu. Frutto della Chiesa romena unita a Roma, Chiesa che ha dato un alto tributo per la cultura e gli ideali del popolo romeno, nata sul fondo della competenza teologica, storica e filologica (…), la Bibbia di Blaj ha ricevuto con fermezza rispettosa la fiaccola della Bibbia stampata a Bucarest nel 1688, aprendo la strada verso i secoli futuri. La sua espressione pregiata e apprezzata dagli esegeti e linguisti, ha saputo trovare le parole giuste per far comprendere "il libro della parola di Dio".

La lingua della Bibbia tradotta da Samuil Micu non offre solo la realtà della Rivelazione che aspetta per essere incarnata nella vita dei credenti, ma anche un testo fedele alla tradizione comune della Chiesa greco-cattolica e ortodossa. Si torna, infatti, sempre allo spirito della Sacra Scrittura per rifondare la carità e la fede, la speranza per un mondo dove Cristo dovrebbe essere più presente e più sentito nei progetti dell’umanità.

Festeggiando l’anno scorso il terzo centenario dell’unione con la Sede apostolica romana, la Chiesa Romena unita è chiamata a far rivivere la sua presenza in mezzo al popolo che ha tanto amato e servito. La sua unione porta l’eco di storia e cultura del popolo romeno di radici latine, ma forgiato nell’eredità bizantina. Questa unione, luogo di generoso incontro tra i due polmoni della Chiesa, potrebbe offrire il compimento delle migliori attese nel dialogo nella carità e nella verità tra gli ortodossi e i cattolici.

Oggi, la Chiesa greco-cattolica non dimentica il valore del lavoro dei suoi avi e riporta in attualità, tramite la generosità e la paterna considerazione del Santo Padre, uno dei principali monumenti della nostra lingua e della cultura cristiana romena. Perciò la presente edizione commemorativa, come lo dichiara nella Prefazione alla Bibbia Sua Eccellenza il metropolita Lucian, è un voto di gratitudine per quelli che, nella vigna del Signore, l’hanno realizzata con umiltà, diligenza e pazienza.

Sia questa storica ristampa della Bibbia l’emblema della libertà ripresa e dell’apertura della Romania verso l’Europa.

Sia quest’evento l’occasione di letizia spirituale e di fiducia segnata dal potere vivificante della Parola del Signore per il popolo romeno, per la nostra amata patria!

[00886-01.01] [Testo originale: Italiano]

INTERVENTO DEL PROF. CAMIL MURĂSANU

La traduzione della Sacra Scrittura , ristampata oggi a 206 anni della sua apparizione, ha significato nella cultura del popolo romeno un atto di erudizione e di fede. E stata l’opera di un grande scienziato, figlio della Chiesa Romena Unita con Roma.

Questa Chiesa è nata intorno al 1700, in seguito all’accettazione del cattolicesimo da una notevole parte del clero e della popolazione romena della provincia di Transilvania, a quell’ora sotto l’Impero Austriaco. La corte di Vienna aveva loro promesso in cambio il miglioramento dello stato sociale, politico e culturale dei romeni. Costoro, fino a quel tempo non godevano di diritti, figurando nelle leggi del paese sotto il degradante titolo di "tollerati".

La Chiesa Unita si è sviluppata progressivamente e ha compiuto un ruolo importante nella vita del popolo romeno. I suoi fedeli hanno avuto la possibilità di studiare in Europa centrale e a Roma, acquistando una solida formazione teologica, storica e filosofica. Su questo fondamento, essi hanno largamente argomentato la teoria dell’origine latina del popolo e della lingua romena diventando poi la pietra angolare della storia e del "credo" nazionale romeno.

Intorno all’anno 1750, il più gran vescovo degli uniti, Inocentiu Micu, ha coraggiosamente formulato e difeso nella Dieta il primo programma coerente per l’emancipazione della nazione romena, per la sua promozione sul piano dell’uguaglianza politica e sociale con le nazioni privilegiate.

Nella città vescovile di Blaj furono fondate le prime scuole romene in Transilvania. Gradualmente ampliate e diversificate, diventarono le più importanti istituzioni d’insegnamento per i romeni, coltivando con fervore la coscienza nazionale.

La Chiesa unita, insieme con quella ortodossa, hanno avuto un merito per preparare le anime per la gran lotta politica dell’anno 1848. A Blaj presso la residenza vescovile si è svolta la prima assemblea popolare nazionale dei romeni transilvani, la quale riprese il programma emesso cento anni prima dal vescovo Inocentiu.

Alla fine della prima guerra mondiale una nuova grand’assemblea popolare ha espresso il desiderio dei romeni della Transilvania d’unirsi con la Romania. A quel momento storico, i capi delle due Chiese furono presenti ed uno degli insigni vescovi uniti diede lettura davanti al popolo, radunato in gran numero, alla risoluzione dell’unione.

Realizzata l’unità nazionale, la Chiesa unita si consacrò alla stessa missione spirituale, compiuta i due secoli precedenti della sua esistenza. Nell’anno 1948 è stata confrontata con una tragedia. Il regime comunista l’ha messa fuori legge, confiscando i suoi beni e sottoponendo a delle durissime persecuzioni tutti quelli che si rifiutarono di rinunziare alla loro fede – vescovi, sacerdoti, semplici fedeli.

Nel 1989, benché indebolita dalle persecuzioni, la Chiesa greco-cattolica si è rialzata dalle ceneri. Fu inevitabile che questi tragici quarant’anni non creassero alcuni risentimenti tra la Chiesa unita e ortodossa. Ma si spera che essi saranno appianati nello spirito della giustizia e della fraternità cristiana, cosi come il santo Padre ha auspicato nel corso della sua storica visita in Romania.

La Chiesa greco-cattolica rispetta le leggi dello stato e sostiene l’integrazione del paese nell’Unione europea. Una prova dell’attuale sua vocazione per la cultura e la fede fornita, dalla monumentale opera offerta oggi alla vostra attenzione, un’opera generosamente appoggiata dalla Sua Santità.

Accanto alla venerazione per tutta l’attività del suo pontificato, messo al servizio dell’intera umanità, questo appoggio ha costituito per noi una ragione in più per dedicare la presente edizione romena della Bibbia, alla Sua Santità, Papa Giovanni Paolo II, esprimendoli, nello stesso tempo, tutta la nostra gratitudine per averci concesso il favore di poter esporre i nostri pensieri davanti ad una cosi egregia assistenza.

[00887-01.01] [Testo originale: Italiano]

INTERVENTO DEL PROF. CESARE ALZATI

Anche il recente pellegrinaggio, che da Roma ha condotto Giovanni Paolo II in Oriente sulle orme di san Paolo, ha riproposto all’attenzione internazionale la realtà delle Chiese unite. Di tali Chiese gli strumenti della comunicazione s’erano già ampiamente occupati nell’ambito della visita papale a Bucarest, e certamente se ne occuperanno in modo ancor più consistente in occasione dell’ormai imminente viaggio in Ucraina.

Mi sia permessa anzitutto una precisazione terminologica in merito a tali Chiese, precisazione d’ordine storico, ma non solo.

Se "Chiese cattoliche di rito orientale" è denominazione che essenzialmente riflette la percezione ecclesiologica e canonica che l’Occidente ha della comunione ecclesiale e del suo unitario strutturarsi attorno alla cattedra romana, "Chiese greco-cattoliche" è definizione d’origine cancelleresca, che in ambito asburgico serviva a identificare tali Chiese e a distinguerle dalle "Chiese greco-orientali" pur ampiamente presenti nei territori imperiali.

In realtà ciò che caratterizzava, e caratterizza, questi organismi ecclesiastici è il fatto di aver proclamato l’Unione con la Chiesa di Roma, sicché quali Chiese unite esse appaiono indicate dalle fonti: unite e non uniate. In effetti uniati, ad eccezione dell’area russa, non è termine originario. Esso, anche nelle varie regioni ortodosse, è il frutto di una recezione (relativamente recente) del lessico apologetico-confessionale russo, e nelle lingue occidentali riflette assai efficacemente l’importanza decisiva che, soprattutto nel Novecento, le scuole teologiche russe dell’emigrazione hanno avuto nel mediare in Occidente la conoscenza dell’Oriente cristiano. Questo carattere non originario, ma derivato, del termine uniati è ben evidenziato dal fatto che nelle aree linguistiche extra-russe, anche ortodosse, esso è venuto affiancandosi al precedente termine uniti1, come testimoniato in ambito polacco-lituano con riferimento all’unione rutena2, e come del resto appare anche in ambito greco (dove ounîtai rappresenta la forma lessicale originaria)3, nonché nelle altre aree cristiane del Vicino Oriente4.

Merita osservare come, in tale contesto, dal termine uniti si sia generata la coppia lessicale uniti / non uniti. Questa peraltro non è il frutto di un "curioso egocentrismo confessionale" delle cancellerie cattoliche, quasi che la definizione dei diversi soggetti avvenisse in riferimento a Roma5, ma al contrario è terminologia il cui centro focale è costituito proprio dalle realtà locali. In effetti, nel contesto di tale coppia lessicale, uniti è il secondo termine specificativo all’interno di un binomio, il cui primo termine designa i credenti orientali e le loro Chiese per quanto essi sono in se stessi e in base alla loro peculiare tradizione. In questo senso - ad esempio - tutti i Romeni di Transilvania erano analogamente Români e pravoslavnici (ossia, ortodossi), ma dopo lo stabilirsi dell’Unione e la sua crisi, una parte furono uniti, un’altra - divenuta poi ampiamente maggioritaria - furono neuniti. E gli uni e gli altri ben distinti dai catolici, ossia gli Ungheresi di rito latino6. Sicché "legea pravoslavnică neunită" poteva con legittimo orgoglio essere definita la tradizione della propria Chiesa dal vescovo ortodosso Gherasim di Arad nel 18367; e in modo simile sull’altro fronte Vasile Lucaciu dopo la I Guerra Mondiale poté proporre di abbandonare la denominazione Greco-catolici, fissatasi nella cancelleria asburgica, per recuperare l’originaria autodefinizione, terminologicamente aggiornata: Ortodocsi uniti8.

"Chiese unite" s’è detto, ossia Chiese di tradizione non romana e neppure latina, che in precisi momenti della propria storia - nella pienezza dei propri ordinamenti istituzionali - hanno decretato la comunione con la Sede di Roma. È il caso della metropolia di Kyiv alla fine del Cinquecento; ed è il caso negli anni 1697-1701 della metropolia transilvana; in termini non dissimili si erano stabilite anche le Unioni con Roma di altre realtà ecclesiastiche orientali, quali il patriarcato maronita in ambito libanese o il katholikosato caldeo più a Oriente.

In tali casi non si trattò affatto di gruppi di fedeli orientali che, accorpatisi sotto l’azione proselitistica di missionari latini, da Roma ricevettero la loro configurazione istituzionale; si trattò invece di vere e proprie Chiese che, segnate da una specifica tradizione e dotate di una precisa identità canonica, su tale base procedettero a sancire l’Unione con la Chiesa di Roma. Tali Chiese, dunque, non nascono dall’Unione, ma a un certo punto della loro storia hanno stabilito l’Unione. Esse sono pertanto parte organica dell’Oriente cristiano, di cui condividono la genesi storica, il radicamento antropologico, le dinamiche culturali.

Ho ritenuto opportuno richiamare questi aspetti delle Chiese unite, perché essi si trovano come condensati e riproposti dal testo che qui si presenta, e che per tale pregnanza di significati assume, nel cruciale momento che stiamo vivendo, un valore ideale di non trascurabile rilievo.

Mi pare anzitutto degno di nota il fatto che a Blaj fin dal 1760 si disponeva di una traduzione romena della Bibbia, autorevolmente promossa e in parte direttamente condotta dallo stesso vescovo Petru Pavel Aron. Essa aveva peraltro assunto quale testo base la Vulgata latina, ossia la forma testuale propria della Chiesa occidentale: di fatto tale traduzione sarebbe rimasta senza eco ecclesiale e Samuil Micu non la tenne in alcun conto per la sua grande impresa, che oggi vediamo riproposta da questa bella edizione.

Il dotto ieromonaco unito ebbe in effetti estrema cura nell’attenersi rigorosamente nella sua traduzione al testo greco dei Settanta, in fedele continuità rispetto alla tradizione dell’Oriente cristiano di matrice costantinopolitana, tradizione analogamente condivisa da tutte le Chiese dei Romeni, al di qua e al di là dei Carpazi.

Questa consapevolezza d’essere, in quanto membro della Chiesa unita, compartecipe della medesima tradizione ecclesiale - la medesima lege - presente nella Chiesa non unita, trova eloquente manifestazione nel rispetto con cui lo stesso Samuil Micu si rapporta alla ortodossa e transcarpatica Bibbia di Bucarest, opera di Nicolae Milescu apparsa nel 1688: quest’ultima costituisce un riferimento costante ed è riguardata come il precedente diretto della nuova traduzione, che sulla scia di quella si concepisce ("în ceea veache să află " [nella vecchia si trova] è l’espressione ricorrente nell’apparato di note posto dal traduttore a corredo del testo).

Come giustamente ha sottolineato Ioan Chindris nel saggio introduttivo di questa riedizione della Bibbia di Blaj, criticamente condotta, Samuil Micu non intese il proprio lavoro entro i limiti angusti di una prospettiva confessionale, ma lo concepì come inserito all’interno della tradizione ecclesiale romena globalmente intesa, quale era venuta sviluppandosi lungo la storia - alla scuola di Costantinopoli - negli organismi ecclesiastici dell’intero spazio romeno.

Va immediatamente rimarcato come questa intenzionalità del traduttore abbia trovato ai suoi tempi ampia rispondenza nella realtà ecclesiale, unita e non unita, che lo circondava.

Chindris segnala la collaborazione offerta alla revisione del testo da Dimitrie Eustatievici, intellettuale d’origine greca nato e cresciuto a Brasov, esponente di spicco del sistema scolastico ortodosso in Transilvania, nonché la pronta disponibilità e il fattivo impegno subito manifestati dal vescovo ortodosso del principato, Gherasim Adamovici, per la stampa dell’opera, che sarebbe stata poi rivendicata e realizzata del vescovo unito, Ioan Bob.

Possiamo vedere in tutto questo la testimonianza inequivocabile dei profondi legami che, ancora nella seconda parte del Settecento, caratterizzavano uniti e non uniti in terra transilvana. Si deve altresì constatare che analoga consapevolezza di appartenere a un comune patrimonio ecclesiale si sarebbe manifestata anche nei decenni successivi e in ambito non unito. Quando infatti si fece impellente la necessità di dotare i Romeni di Bessarabia di un testo biblico nella loro lingua, le autorità di San Pietroburgo, tra il 1817 e il 1819, procedettero alla ristampa del testo precedentemente apparso in Transilvania, esplicitamente da loro menzionato. E analogamente si sarebbe comportato alla metà del secolo il vescovo ortodosso di Buzèu, il transilvano Filotei, che nella sua sede episcopale d’oltrecarpazi scelse di ristampare, tra il 1854 e il 1856, la Bibbia di Blaj, da lui presentata ai fedeli ortodossi come la meglio curata e la più perspicua tra le traduzioni della Scrittura in lingua romena.

Questa circolarità tra uniti e ortodossi, fondata su un mutuo riconoscimento e nutrita di reciproca stima, attesta tutta la fecondità insita nella rigorosa adesione di Samuil Micu all’identità orientale della propria Chiesa e alla sua tradizione. Ma essa evidenzia altresì quali costruttivi rapporti si siano fattivamente messi in atto tra uniti e ortodossi lungo la storia, quando le relazioni tra le due Chiese furono vissute senza i soffocanti condizionamenti dell’ideologia confessionale. Proprio la forza condizionante di quest’ultima è il fattore che in modo decisivo ha imposto al pur grande presule ortodosso Andrei Saguna un tortuoso comportamento, volto a occultare l’effettiva paternità del testo biblico da lui editato a Sibiu tra il 1856 e il 1858, testo costituito dalla Bibbia di Blaj, errori di stampa compresi.

L’apertura di orizzonti insita nell’opera di Samuil Micu non si limita peraltro ai soli rapporti tra uniti e non uniti. Non va trascurata la circostanza che il testo dei Settanta da lui assunto quale base della sua traduzione non sia stato quello dell’edizione complutense, ma il testo dell’edizione protestante olandese di Franeker, apparsa nel 1709. Anche la Bibbia di Bucarest aveva avuto a suo tempo come base un’edizione protestante, segnatamente la Septuaginta di Francoforte del 1597.

Siamo così posti di fronte a figure ecclesiali e, più in generale, a un mondo religioso in cui la profonda e matura consapevolezza della propria identità non precludeva scambi fecondi e un’ampia circolazione di opere.

Da una siffatta esperienza scaturisce un preciso messaggio, che soprattutto nell’oggi sembra assumere estrema attualità per le Chiese.

Il riavvicinamento tra le varie componenti dell’ecumene cristiana trova un suo momento ineludibile nella purificazione delle memorie (e le celebrazioni giubilari, fino all’ultimo pellegrinaggio del papa di Roma in Grecia, hanno offerto contributi estremamente significativi al riguardo). Peraltro tale avvicinamento non potrà realizzarsi se non sarà sentito e vissuto dalle Chiese come un reciproco, generoso scambio di doni, che non annulla le ricchezze di ciascuna Chiesa, ma le permette di riconoscere anche le ricchezze altrui.

Una tale esperienza si è in effetti realizzata attorno alla Bibbia di Blaj, sia – come s’è visto – in diversi aspetti della sua elaborazione, caratterizzata da molteplici apporti, sia nella sua successiva fortuna, che ha ampiamente travalicato i confini delle Chiese.

Questo richiamo al riconoscimento reciproco delle rispettive ricchezze, che viene dal testo oggi presentato, appare quanto mai opportuno in un momento in cui, di fronte agli enormi compiti che attendono la testimonianza cristiana, non risultano ancora completamente superati atteggiamenti teologici e disciplinari improntati a una esclusiva autoreferenza, che considera l’altro un semplice motivo di disturbo, quando non uno scandalo purtroppo inevitabile.

Il sensus fidei del popolo cristiano, cui i teologi dovrebbero forse prestare maggiore attenzione, si è recentemente espresso al riguardo in termini quanto mai espliciti.

Quando al termine della visita di Giovanni Paolo II a Bucarest la folla spontaneamente è esplosa nell’acclamazione: "Unitate, unitate!", essa non ha fatto che manifestare ai pastori delle Chiese il proprio desiderio di veder realizzato al più presto quell’incontro in cui i doni dell’uno possano essere compiutamente compartecipati dall’altro, all’interno di una comune fraterna testimonianza al mondo.

La fecondità di un tale incontro può essere chiaramente valutata nella concreta esperienza storica del popolo romeno, se soltanto ci si soffermi a considerare le molteplici convergenze sviluppatesi nel corso della storia tra uniti e ortodossi in Transilvania e quanto ne è risultato sul piano culturale e nazionale.

Il recente pellegrinaggio paolino del papa di Roma ha evidenziato tutte le difficoltà presenti nel dialogo tra le Chiese, ma ha altresì mostrato come le stesse questioni non siano dovunque vissute nello stesso modo: a Damasco l’incontro tra i rappresentanti delle diverse Chiese col papa si è svolto nella cattedrale ortodossa, e ha visto significativamente, fianco a fianco, il patriarca ortodosso d’Antiochia e il patriarca unito.

La Bibbia di Blaj mostra concretamente come anche la realtà delle Chiese unite sia dono prezioso per l’ecumene cristiana e possa offrire all’insieme delle Chiese, d’Occidente e d’Oriente le proprie ricchezze di una specifica testimonianza cristiana, vagliata in questo secolo dalla prova del martirio.

Mi auguro che come un tempo il mondo ortodosso seppe riconoscersi in quel testo e lo accolse come prezioso dono dalla Chiesa romena unita, così ai giorni nostri la splendida riedizione di tale Bibbia aiuti le due Chiese a ritrovare l’una nell’altra i propri lineamenti e a riconoscere in entrambe i due cori attraverso cui il popolo romeno lungo la storia ha cantato la gloria di Dio.

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1 Quanto alle lingue occidentali correnti, lo Standard Dictionary of the English Language. International Edition, II, New York 19669, p. 1371, spiegando il lemma Uniat, alle parole "A member of any community of Eastern Christians that aknowledges the supremacy of the pope of Rome" aggiunge la precisazione "also called United Armenian, United Greek". A tale proposito oltremodo significativo risulta il fatto che in ambito italiano, dove il contatto con il mondo russo è stato assai meno consistente, il lemma Uniato sia totalmente ignorato a fine Ottocento dal Melzi (Il Nuovissimo Melzi. Dizionario completo, Milano 1896) e dal successivo Palazzi (F. Palazzi, Nuovissimo dizionario della lingua italiana, Milano 19392), e che per parte sua lo Zingarelli registri puntualmente il lemma Unito, così spiegandolo: "Chiese orientali che, conservando la loro costituzione, lingua e liturgia si sono riunite con la romana, adottando la dottrina della processione dello Spirito Santo e del primato del papa: armena, copta, etiopica, greca e siriaca" (N. Zingarelli, Vocabolario della lingua italiana, Bologna 19572, p. 1656; sia qui per inciso osservato che, quanto alla dottrina filioquista, sarebbe forse opportuno dire ch’essa, più che adottata, è stata riconosciuta legittima).

2 "Dyzunitami religii Greckiey / unitami religii Greckiey" è la coppia lessicale evidenziata dal Decretum Vladislai IV (1° Luglio 1636), in Monumenta Ucrainae Historica, ed. Metr. A. Šeptyckyj, Romae 1965, p. 220.

3 D. B. Demetrakou Mesiskle, Méga Lexikòn oles tês Ellenikês Glôsses, VI, Athenai 1955, p. 5284.

4 Cfr. l’intervento del patriarca melkita d’Antiochia, Gregorio Jusof, alla conferenza dei patriarchi orientali svoltasi in Vaticano nell’Ottobre/Novembre 1894: W. de Vries, Rom und die Patriarchate des Ostens, Freiburg 1963.

5 Giraudo, Uniati di Romania, in Italia e Romania. Due popoli e due storie a confronto. Secc. XIV-XVIII, cur. S. Graciotti, Firenze 1998 (Civiltà Veneziana. Studi, XLVIII), pp. 264-265.

6 Cfr. tra XVIII e XIX secolo Petru Maior, Istoria Besearicei Românilor…, Buda 1813, cap. IV, par. 7.

7 Così si esprime il giuramento antiunionistico dal presule imposto ai preti della sua episcopia: ed. Gh. Ciuhandu, Episcopii Samuil Vulcan si Gherasim Rat, Arad 1935, pp. 560-561.

8 I. Filip, Părinte Vasile Lucaciu. Leul de la Sisesti, "Bună Vestiră", VIII (1-2) (1969), pp. 15-17.

[00888-01.01] [Testo originale: Italiano]